2 - Trieste Artecultura - ottobre 2014 Il carteggio Claudio Magris - Biagio Marin ME VOGIO ÊSSE ETERNO di Pericle Camuffo Ai numerosi carteggi ed epistolari di Biagio Marin pubblicati negli ultimi trent’anni - il primo, quello con Giorgio Voghera, è uscito nel 1982 - si aggiunge ora quello con Claudio Magris (Ti devo tanto di ciò che sono, Milano, Garzanti, 2014, pp. 406, Euro 18.60). Il volume si apre con un ampio e intelligente saggio del curatore Renzo Sanson che mette a fuoco, ricorrendo spesso a pagine o citazioni dei diari di Marin ancora inediti, non solo il contenuto della corrispondenza, ma anche l’intero contesto in cui esso si colloca e si sviluppa, richiamando spesso episodi che lo hanno visto personalmente coinvolto. Vengono presentate 264 lettere, quasi tutte inedite, scritte tra il 1958 e il 1985 e che, benché sia stato in più occasioni presentato come il “nuovo” libro di Claudio Magris per ragioni commerciali, appartengono per due terzi a Marin. Chiude il volume una preziosa intervista di Sanson a Magris, in cui vengono sottolineati e chiariti alcuni aspetti della corrispondenza e quanto essa abbia significato per Magris. Volume ricco, dunque, con cui Marin ritorna alla Garzanti dopo La vose de la sera del 1985, e che ha il suo centro di maggiore interesse nella prima parte, nelle lettere che vanno dal 1958 ai primi anni Sessanta. In questo periodo, infatti, il dialogo è più serrato e meno lacunoso a livello documentale. Al di là della differenza d’età, - nel 1958 Marin ha 67 anni e Magris 19 in quegli anni entrambi ricoprono, l’un per l’altro, un ruolo decisivo nell’economia della propria esistenza. Da una parte c’è Marin, certo figura paterna, ma soprattutto poeta, uomo che ha vissuto a stretto contatto con i maggiori intellettuali del Novecento, che ha studiato, letto, scritto e pubblicato, un “maestro” al quale il giovane studente chiede consigli, espone problemi, discute letture, punto di riferimento nel percorso di costruzione di se stesso che il giovane Magris ha intrapreso in mezzo a mille perplessità culturali ed esistenziali; dall’altra parte c’è Magris, che rappresenta per Marin la freschezza della vita, un materiale ancora da formare, da “educare” che riattiva in lui, se mai si era assopita, la sua naturale inclinazione pedagogica assorbita fin dalla sua giovanile frequentazione dell’ambiente vociano, ma soprattutto rappresenta un sostituto del figlio Falco perduto nel 1943, un “figlio d’anima” su cui convogliare e spendere il suo desiderio di paternità, non solo biologico e affettivo, ma specialmente spirituale. Nelle lettere di quei primi anni si nota una sorprendete vicinanza tra il modo in cui Magris vive il suo rapporto con il sistema universitario torinese, con la lontananza da casa, con gli altri studenti, e il modo in cui Marin aveva vissuto le stesse inquietudini quando era un giovane studente a Vienna e a Firenze: necessità di una crescita indipendente, lontana dalle richieste e dagli schemi delle istituzioni; una certa “anarchia di temperamento” che allontana dallo studio specialistico, troppo rigoroso e mortificante, troppo vicino alla “meccanizzazione delle fabbriche”; ampiezza di “tentazioni culturali”; forte attaccamento al luogo di provenienza e conseguente senso di solitudine, di isolamento. Tutti, questi, motivi di avvicinamento colti con commozione e tenerezza da Marin il quale avverte immediatamente una “consustanzialità” tre se stesso e il giovane Magris. Ma 2 - Trieste Artecultura - ottobre 2014 pur riconoscendolo, in ragioni di questi avvicinamenti, una sorta di “Claudio Biagio”, anche se un Biagio lontano nel tempo, lo vorrebbe “Claudio - Scipio” e soprattutto “Claudio - Falco”. Magris accetta e vive con privilegio queste parentele spirituali che il vecchio poeta gli costruisce addosso ma desidera, e non potrebbe essere altrimenti, diventare, anche attraverso di esse, Claudio Magris. Questa presa di possesso di stesso, che avviene più o meno all’altezza del conseguimento della laurea e con maggiore decisione dopo la pubblicazione del Mito asburgico, segna un netto cambiamento di rotta, una cesura che marca inevitabilmente il suo rapporto con Marin. Le lettere di Magris si fanno più rade, più brevi. Gli impegni si infittiscono, il carico di lavoro aumenta, la sua carriera decolla con sorprendente rapidità. Magris diventa docente, marito, padre. Il tempo disponibile per ascoltare il grande vecchio gradese si riduce. Di tutto questo Marin si lamenta con decisione. Si sente di nuovo isolato, inascoltato, completamente solo. Ci sono alcune lettere, dell’estate del 1962, che sono dense di tristezza, intonate ad una desolata preghiera d’ascolto: “Claudio caro, ascoltami”, scrive Marin il 26 luglio di quell’anno, dopo aver riconosciuto, due mesi prima, che il loro dialogo, la consistenza e vicinanza spiritale di esso, sono irrimediabilmente mutate: “da quando sei ritornato dall’Università laureato, non ci siamo più ritrovati. Sei venuto da me un paio di volte, sempre dichiarandomi in anticipo che avevi fretta, e un dialogo tra noi non s’è più aperto. Tu ormai hai le tue mete, l’itinerario di marcia stabilito, e non hai tempo da perdere”. Magris non è indifferente alle richieste di Marin, lo stima come poeta e come uomo, riconosce in qualche modo il suo debito nei confronti di Marin per quanto riguarda alcuni aspetti fondamentali della sua formazione e gli fa una promessa che marcherà profonda- 3 - Trieste Artecultura - ottobre 2014 mente tutta la seconda parte del carteggio: gli promette, nella lettera del 27 gennaio 1963, di battersi perché la sua poesia venga finalmente riconosciuta come “un grande fatto umano del nostro tempo, della nostra cultura”. È ciò di cui Marin aveva bisogno: Claudio Magris diventa il suo “Evangelista”. In questi anni, Marin è costantemente alla ricerca di qualcuno che confermi la validità e l’importanza della sua poesia, lo è sempre stato, per la verità, e lo sarà fino alla fine dei suoi giorni anche quando non ne avrebbe più bisogno. Le lettere della seconda parte del volume, nonostante siano fitte di riferimenti ad autori e intellettuali anche dell’area triestina, e interessanti per le critiche, i consigli e le incomprensioni che i due si scambiano e affrontano, sono centrate su una delle caratteristiche principali della scrittura epistolare mariniana: una sorta di mania, di fissazione, di abitudine al lamento per la mancanza di consensi alla sua opera, di considerazione critica e di riconoscimenti ufficiali. A questa protesta, il più delle volte noiosa nella sua ripetizione, seguono di solito richieste di aiuto dal punto di vista editoriale: recensioni, articoli, presentazioni. Magris fa quel che può per tenere fede alla sua promessa: presenterà Marin in più occasioni, curerà l’edizione di tre sue antologie, lo farà arrivare a case editrici di prestigio e scriverà uno dei saggi fondamentali per la storia della critica mariniana, quel Io sono un golfo, uscito come premessa a Nel silenzio più teso nel 1980. E farà tutto questo continuando a rassicurare il vecchio Marin - “Tu sei poeta” gli scrive il 31 luglio 1967, e “Resterai. Non c’è dubbio”, il 7 dicembre 1976 - e confermando costantemente di sentirsi “suo figliolo”, il sue “erede”. Di fronte all’ennesima richiesta di Marin, Magris si vede costretto, però, a dire basta. Il 5 agosto 1983, gli scrive: “[…], non ho mai detto di essere disposto a curare la tua scelta. Non ne ho il tempo e poi non mi sembrerebbe opportuno. Ne ho curate tre, ed è meglio - per la tua poesia - che non siano sempre gli stessi ad occuparsene, anche perché fatalmente si ripetono”. È la sua considerazione conclusiva. I due si scambieranno ancora otto lettere. La differenza d’età, che nella prima parte del carteggio è motivo di coesione, di avvicinamento, nella seconda parte diventa ostacolo, incomprensione, distanza. Magris non capisce fino in fondo la necessità e l’ostinazione di Marin a voler salvare tutto, a voler pubblicare tutto: poesie, prose, diari. Più volte gli suggerisce di tagliare, di sfrondare, di selezionare. Marin non può farlo. Non solo non ne è capace, ma non ammette di dover sacrificare qualcosa di se stesso in quanto è convinto di essere, anche se in misura diversa, presente in tutto ciò che ha prodotto. Marin è vecchio, sente che i giorni a sua disposizione stanno terminando e, oltre alla mancanza di un erede materiale a cui lasciare le sue carte, i libri, gli inediti, sente profonda la mancanza di un erede spirituale, di colui che in qualche modo lo consegni all’eternità, fissando la sua permanenza nella memoria collettiva e non solo letteraria. Ogni libro che Marin pubblica è un tentativo di guadagnarsi questa eternità, tentativo che immancabilmente, secondo lui, fallisce e che deve essere ripraticato con la pubblicazione di un nuovo libro. Percorso faticoso, nel quale Marin, ritenendosi troppo “piccolo”, “isolato”, “ignorante” e così via, cerca l’aiuto dei suoi “figli d’anima” come quello dei suoi “padri d’anima”, dei “maestri”. Marin, da parte sua, non capisce che Magris ha dato il proprio contributo al raggiungimento della sua eternità, che ha tenuto fede alla sua giovanile promessa e che dovrebbe lasciarlo andare, liberarlo. Avrebbe dovuto sapere, e questo volume ne è chiara testimonianza, che la parentela spirituale, una volta scoperta, innescata e vissuta, non svanisce. 3 - Trieste Artecultura - ottobre 2014 Salotto Dei Poeti XI PREMIO GOLFO DI TRIESTE Il 5 ottobre si è svolta nella Sala del Giubileo di Trieste la cerimonia di premiazione dei poeti e scrittori aderenti all’undicesima edizione del Premio Letterario Internazionale “Golfo di Trieste” promosso dall’Associazione Letteraria “Salotto dei Poeti”. Numeroso pubblico in sala, presenti tra le autorità l’Assessore comunale Antonella Grim, l’Assessore provinciale Adele Pino nonché la dott.ssa Gloria Carlesso, Consigliere della Corte d’Appello. Presidente della giuria è stato Claudio Grisancich. L’iniziativa ha ottenuto il patrocinio della Regione, del Comune, della Provincia e della Camera di Commercio di Trieste. I premiati sono per la poesia inedita, II premio a Roberto Coccolo (Trieste), III premio a Lucia Saksida (Trieste). Per il libro di poesie, I premio a Giovanni Cristianini (Gorizia), II premio a Mario Relandini (Roma), III premio ex aequo a Caterina De Martino (Catania) e Franco Romano Falzari (Camino al Tagliamento, Udine); menzione di merito a Lelia Gambaruto (Chieri, Torino). Per la sezione dialetto I premio a Lucia Saksida (Trieste), II premio a Wilma Mismas (Trieste), III premio a Ezio Solvesi (Trieste). Per la sezione racconto breve I premio a Mario Relandini (Roma), II premio a Anita Sain (Trieste), III premio a Indira Gregovich (Trieste), menzione di merito a Roberta Selan (Pordenone). Per la sezione libro di narrativa e saggistica I premio a Lucrezia Bano (Tolmezzo), II premio a Giovanni Cameri (Mestre), III premio a Anna Gertrude Pessina (Napoli), premio speciale saggistica a Paola Grandi (Torino).
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