LEZIONE DI DIRITTO AMMINISTRATIVO 2 FONTI DEL DIRITTO E INTERESSE LEGITTIMO (II PARTE) a cura di Massimiliano Di Pirro 1. Le fonti del diritto amministrativo (II parte) 1.1. Principio di gerarchica delle fonti e disapplicazione del regolamento contrastante con la legge in materia di accesso agli atti. Nell’actio ad exhibendum di cui all’art. 25 L. 241/1990, la disciplina regolamentare interna in materia di accesso, ove si riveli in contrasto con la suddetta legge e col suo regolamento attuativo (approvato con d.P.R. 352/92), deve essere disapplicata senza che occorra una formale impugnazione del regolamento interno, giacché, alla stregua dei principi generali sulla gerarchia delle fonti, nel conflitto di due norme diverse, occorre dare preminenza a quella legislativa, di livello superiore rispetto alla disposizione regolamentare ogni volta che quest’ultima preclude l’esercizio di un diritto soggettivo; pertanto, se è ben vero che ai fini di evitare, nell’interesse sia pubblico che dei concorrenti, intralcio allo spedito andamento delle operazioni concorsuali e condizionamenti alla serena valutazione della commissione esaminatrice, non può essere consentito ai concorrenti stessi di accedere agli elaborati scritti ed ai relativi verbali di valutazione fin tanto che non siano ultimate le rispettive operazioni, è del pari evidente come, specie in assenza di qualsiasi motivazione, la conoscenza degli elaborati e dei verbali relativi alla valutazione dei medesimi non possa impedire o ostacolare o comunque compromettere l’attività della stessa commissione, una volta che le operazioni di correzione ed attribuzione di tutti gli elaborati si siano concluse e sia in corso la successiva fase concernente l’effettuazione delle prove orali dei candidati a queste ammessi. In tema di trasparenza dell’azione amministrativa, va ricordato che l’accesso ai documenti amministrativi, regolato dagli artt. 22 e 25 L. 241/1990, è esercitabile da chiunque vi abbia interesse, indipendentemente da ogni giudizio sull'ammissibilità o fondatezza della domanda giudiziale proponibile sulla base dei documenti acquisiti proprio mediante l'accesso. La disciplina positiva, e in particolare l’art. 24 L. 241/1990, esclude l'accesso per i documenti coperti dal segreto di Stato, ai sensi dell'art. 12 L. 801/1977, e per gli altri casi di segreto o di divieto previsti dall'ordinamento (comma 1). Al fine di precisare analiticamente l’ambito di eccezione alla disciplina generale, la norma autorizza il Governo ad adottare uno o più regolamenti volti a disciplinare le modalità di esercizio del diritto di accesso, in relazione all'esigenza di salvaguardare la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali, la politica monetaria e valutaria, l'ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità, nonché la riservatezza dei terzi, garantendo tuttavia in quest'ultimo caso agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi necessari alla cura e alla difesa dei loro interessi giuridici (comma 2). Ancora più a valle, lo stesso articolo, al comma 4, impone alle singole amministrazioni di individuare, con uno o più decreti, le categorie di atti da essi formati o comunque rientranti nella loro disponibilità, sottratti all'accesso per le esigenze indicate nel precedente comma 2. 1 Manuale di Diritto Amministrativo Vol. 4 – Ed. 30° In adempimento alla disciplina di rango primario, l'art. 8 d.P.R. 352/1992 contiene il regolamento per la disciplina delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi, prevedendo, all’art. 8, proprio in attuazione dell'art. 24, co. 2, i documenti (comma 5, lett. a), b) c) e d) che le singole amministrazioni avrebbero potuto sottrarre all'accesso, previa emanazione di appositi regolamenti (comma 1), tenendo presente alcuni criteri generali (fissati nei commi 2, 3 e 4). Ancora, in attuazione del comma 4 dell’art. 24 della legge il Ministro della giustizia ha adottato il regolamento n. 115/1996, individuando le categorie di documenti, formati o comunque rientranti nell'ambito della disponibilità del Ministero stesso e degli organi periferici dipendenti, sottratti all’accesso. Occorre, in particolare, prestare attenzione all’art. 4 del decreto ministeriale, che contempla le “categorie di documenti inaccessibili per motivi di riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese”. In particolare, il comma 1, lett. e), dispone che “in relazione all'esigenza di salvaguardare la riservatezza di terzi, persone, gruppi e imprese, garantendo peraltro ai medesimi la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici, sono sottratte all'accesso le seguenti categorie di documenti: … e) documentazione attinente ai lavori delle commissioni giudicatrici di concorso, fino all'esaurimento delle procedure concorsuali”. Seguendo i principi consolidati dalla giurisprudenza, deve ricordarsi come, nell’actio ad exhibendum di cui all’art. 25 della legge n. 241 del 1990, la disciplina regolamentare interna in materia di accesso, qualora sia in contrasto con la suddetta legge e con il suo regolamento governativo attuativo approvato con il d.P.R. 352/1992, non sia inidonea a impedire l’accesso e deve essere disapplicata senza che occorra una formale impugnazione del regolamento interno, poiché - alla stregua dei principi generali sulla gerarchia delle fonti nel conflitto di due norme diverse occorre dare preminenza a quella legislativa, di livello superiore rispetto alla disposizione regolamentare ogni volta che preclude l'esercizio di un diritto soggettivo (Cons. Stato, IV, 59/1999, 498/1998,). Pertanto, se è vero che, per evitare - nell'interesse pubblico e dei concorrenti - un intralcio allo spedito andamento delle operazioni e condizionamenti alla serena valutazione della commissione esaminatrice, non può essere consentito ai concorrenti stessi di accedere agli elaborati scritti e ai relativi verbali di valutazione fin tanto che non siano ultimate le rispettive operazioni, è del pari evidente che, specie in assenza di qualsiasi motivazione, la conoscenza degli elaborati del richiedente e dei verbali relativi alla valutazione dei medesimi non possa impedire o ostacolare o comunque compromettere l'attività della stessa commissione, una volta che le operazioni di correzione e attribuzione di tutti gli elaborati si siano concluse e sia in corso la successiva fase concernente l'effettuazione delle prove orali dei candidati (Cons. Stato, IV, 332/2013; 5764/2012). 1.2. La concessione di pubblici servizi tra regole europee e nazionali. Nell'ordinamento europeo il tratto distintivo della concessione viene individuato nelle modalità di remunerazione del soggetto affidatario e nell’attribuzione o meno, in capo al soggetto stesso, del rischio economico connesso alla gestione economico-funzionale dell'opera o del servizio. In particolare, il diritto europeo fonda la natura della concessione di servizi nel trasferimento, in capo a un soggetto privato, dell’alea relativa a una certa attività; ciò comporta che le modalità di remunerazione consistono nel diritto del concessionario di 2 Manuale di Diritto Amministrativo Vol. 4 – Ed. 30° sfruttare la propria prestazione con il rischio legato alla gestione del servizio, mentre nell’appalto di servizi l’assunzione del rischio risulta assente (Cons. Stato, V, 5068/2011). Con riguardo alla definizione, la concessione di servizi viene definita dalla direttiva 2004/18/CE, nonché dall’art. 3, co. 1, D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) come «il contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo». Più specificamente, l'art. 30 del Codice, al comma 2, afferma che nella concessione di servizi la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio. Pertanto, la distinzione attiene alla struttura del rapporto: - nell'appalto di servizi intercorre tra due soggetti (la prestazione è a favore dell'amministrazione); - nella concessione di servizi pubblici intercorre tra tre soggetti, nel senso che la prestazione è diretta al pubblico o agli utenti. L’affidamento delle concessioni di servizi, secondo la giurisprudenza europea e nazionale, non può essere sottratto ai principi espressi dal Trattato in tema di concorrenza. Tale regola è stata anche codificata dall’art. 30, co. 3, D.Lgs. 163/2006, secondo cui “la scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici”. L’art. 30, co. 1 precisa, invece, che “ le disposizioni del codice non si applicano alle concessioni di servizi”. L’interprete, pertanto, deve porsi il problema della differenza tra principi (principi desumibili dal Trattato ma anche principi generali relativi ai contratti pubblici), applicabili anche alle concessioni di servizi, e disposizioni del codice espressamente escluse dal campo di applicazione. Per effettuare la distinzione tra principi generali (applicabili alle concessioni di servizi) e disposizioni (inapplicabili alle concessioni di servizi) non può trascurarsi di rilevare che i principi non sono soltanto quelli che il codice definisce, soprattutto nell’art. 2, come principi generali di una data materia, nel senso di super-principi o valori o finalità teleologiche del sistema. I principi generali di un settore sono anche i valori e i criteri di valutazione immanenti all'ordinamento giuridico. Secondo il comma 3 dell'art. 30, la scelta del concessionario deve avvenire, in particolare, nel rispetto dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all'oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi. Espressione dei principi di trasparenza e di parità di trattamento dell’art. 30, co. 3, D.Lgs. 163/2006 sono, tra gli altri, l’art. 84, co. 4 e 10, D.Lgs. 163/2006. L’art. 84, co. 4, riguarda le incompatibilità dei componenti della commissione giudicatrice, mentre il comma 10 si occupa dei tempi di nomina della commissione. In particolare, l’art. 84, co. 4 prevede che i commissari diversi dal Presidente non devono aver svolto né possono svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta. Il comma 10, inoltre, aggiunge che la nomina dei commissari e la costituzione della commissione devono avvenire dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte. 3 Manuale di Diritto Amministrativo Vol. 4 – Ed. 30° Occorre ora individuare le finalità di tali disposizioni, al fine di qualificarne la natura di principio generale, o di stretta derivazione da tali principi, oppure di mere disposizioni procedurali che, in quanto tali, non possono applicarsi alle procedure per le concessioni di servizi. La tesi preferibile è nel senso dell’applicabilità di tali regole alle concessioni di servizi, essendo riconducibili ai principi generali del codice dei contratti pubblici e ai principi generali del procedimento amministrativo, quali l'imparzialità e trasparenza, espressamente contemplati anche dal comma 3 dell'art. 2 del codice dei contratti. L'art. 30, come detto, stabilisce che alle concessioni di servizi, salvo quanto disposto dallo stesso articolo, non si applicano le disposizioni del codice. Tuttavia, il problema consiste nel verificare se tali regole siano in qualche modo corrispondenti o almeno riconducibili a taluno dei principi europei o nazionali ("desumibili dal Trattato e…relativi ai contratti pubblici") o espressione di principi generali e quindi da ritenere applicabili e da applicare anche nella specie. Con riguardo alla funzione e agli obiettivi di tali disposizioni, deve osservarsi che il comma 4 dell’art. 84 è destinato a prevenire il pericolo concreto di possibili effetti distorsivi derivanti dalla partecipazione alle commissioni giudicatrici di soggetti (progettisti, dirigenti che abbiano emanato atti del procedimento di gara e così via) che siano intervenuti a diverso titolo nella procedura concorsuale. Tale regola mira, cioè, a impedire la partecipazione alla Commissione di soggetti che, nell'interesse proprio o in quello privato di alcuna delle imprese concorrenti, abbiano assunto o possano avere assunto compiti di progettazione, di esecuzione o di direzione di lavori oggetto della procedura di gara, e ciò a tutela del diritto delle parti del procedimento a una decisione amministrativa adottata da un organo terzo e imparziale. La ratio consiste nella volontà di conservare, almeno in parte, la distinzione tra i soggetti che hanno definito i contenuti e le regole della procedura e quelli che ne fanno applicazione nella fase di valutazione delle offerte. L'interesse pubblico rilevante diventa, quindi, non solo quello dell’imparzialità, cui è in ogni caso riconducibile, ma anche la volontà di assicurare che la valutazione sia il più possibile oggettiva, e cioè non influenzata dalle scelte che l’hanno preceduta, se non per ciò che è stato dedotto formalmente negli atti di gara. A sua volta la regola della posteriorità della nomina della commissione rispetto alla scadenza del termine di presentazione delle offerte risponde alla convinzione diffusa che tale vincolo temporale sia posto a presidio della trasparenza (intesa in senso più lato rispetto al senso della generale accessibilità alla attività amministrativa) e dell’imparzialità della procedura, tanto che l'orientamento più rigoroso ne fa discendere, in caso di inosservanza, l’annullabilità degli atti successivi alla nomina (Cons. Stato, V, 2738/2009). In pratica, la posticipazione della nomina dovrebbe evitare situazioni in cui le offerte siano influenzate dalle preferenze, anche solo presunte o supposte, dei commissari, o da loro suggerimenti e che vi possano essere tentativi di collusione o anche solo di contatti con imprese "amiche". Tale regola deve essere ritenuta, dunque, anch’essa espressione di un principio generale della materia dei contratti pubblici, inerente al corretto funzionamento delle procedure selettive di scelta dell'affidatario. Esaminate la ragione e la funzione di tali precetti normativi, non può non concludersi che, in quanto tese a evitare il pericolo concreto di violazione dell’imparzialità della commissione e, quindi, poste a tutela della correttezza del procedimento, della trasparenza e imparzialità 4 Manuale di Diritto Amministrativo Vol. 4 – Ed. 30° dell'azione amministrativa, tali regole hanno natura imperativa e quindi inderogabile, applicabili, perché implicitamente richiamate, anche per la disciplina delle concessioni di servizi, sulla base di canoni di interpretazione sistematica e logica. Il principio generale nel quale sussumere le disposizioni interessate è quindi quello della trasparenza e imparzialità, a maggior ragione considerando che l'art. 2, comma 3, del Codice dei contratti pubblici prevede che devono essere rispettate “anche le disposizioni sul procedimento amministrativo di cui alla L. 241/1990”, a sua volta contenente all'art. 1 i principi generali dell'azione amministrativa, tra i quali rientrano i criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza. Pertanto, l'imparzialità, sicuramente principio generale, non richiamato espressamente dall'art. 2 del codice contratti pubblici ma richiamato a mezzo del rinvio alla L. 241/1990, deve ritenersi vincolante, unitamente alla sua declinazione immediata (lo stesso principio di imparzialità è invece compreso nei principi enunciati dall'articolo 27 del codice, tra i principi relativi ai contratti esclusi). L'art. 30 si inserisce quindi nell'ottica di una progressiva assimilazione delle concessioni agli appalti, con l'obiettivo, di matrice europea, di vincolare i soggetti aggiudicatori a rispettare anche nelle procedure di affidamento delle prime i principi dell'evidenza pubblica comunitaria, tra i quali i canoni di trasparenza invalsi nelle seconde attraverso una procedura tipica di gara, nella quale si impone l'esigenza che il confronto competitivo sia effettivo e leale, pena altrimenti la vanificazione delle finalità stesse del procedimento selettivo di stampo concorsuale. Deve ritenersi, quindi, che le regole, quali quelle contenute nell'art. 84 sui tempi della formazione e sulla regolare composizione di un organo amministrativo sono un predicato dei principi di trasparenza e di imparzialità, per cui le disposizioni di cui ai commi 4 e 10 di tale norma devono ritenersi espressione di principio generale del codice applicabile, ai sensi dello stesso art. 30, anche alle concessioni di servizi pubblici. Inoltre, poiché il principio generale di giustizia impone di trattare giuridicamente in modo eguale situazioni equivalenti, sarebbe irragionevole trattare diversamente situazioni tutto sommato sostanzialmente assimilabili e che sotto il profilo esaminato (cioè delle regole sulla nomina della commissione) non presentano significative differenze. Secondo i principi generali, la caducazione della nomina effettuata in violazione delle regole di cui all'art. 84, co. 4 e 10, comporta il travolgimento, per illegittimità derivata, di tutti gli atti successivi della procedura di gara fino all'affidamento del servizio e impone, quindi, la rinnovazione dell'intero procedimento. Si tratta cioè di un’ipotesi in cui il vizio dell'aggiudicazione comporta l'obbligo di rinnovare la gara integralmente (arg. ex art. 122 c.p.a.) e non potrebbe essere altrimenti. 2. L’interesse legittimo 2.1. L’interesse al corretto svolgimento del procedimento elettorale. L’atto di indizione delle elezioni non è un atto politico, insindacabile in sede giurisdizionale, ma un atto di alta amministrazione, soggetto alla giurisdizione amministrativa, in quanto contempla l’esercizio di potestà pubbliche e di poteri organizzativi mediante attività dovute e vincolate non sussumibile nel novero dei provvedimenti adottati emanati dal governo nell’esercizio del potere politico ai sensi dell’art. 7, co. 1, D.Lgs. 104/2010. 5 Manuale di Diritto Amministrativo Vol. 4 – Ed. 30° L’elettore, quindi, può agire (ex art. 130 D.Lgs. 104/2010) contro qualsiasi condotta che illegittimamente impedisca o ritardi l’avvio del procedimento elettorale, nonché nei confronti delle illegittimità riscontrabili nello svolgimento del relativo procedimento (Cons. Stato, V, 6002/2012), il quale, pur essendo affidato a organi politici, è caratterizzato dall’esercizio di potestà pubbliche vincolate da precetti legislativi puntuali; ciò esclude la configurabilità di un atto politico (art. 7, co. 1, D.Lgs. 104/2010), contraddistinto dalla libertà nel fine. La presenza di un vincolo giuridico comporta, infatti, l’attrazione delle determinazioni assunte dagli organi politici nell’alveo dell’azione amministrativa. Ne consegue che, laddove l’ambito di estensione del pur ampio potere discrezionale che connota un’azione di governo sia circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l’esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell’atto, sindacabile nelle sedi appropriate. La previsione di norme puntuali che scandiscono l’indizione del procedimento elettorale introduce un requisito di legittimità idoneo a limitare l’esercizio del potere di indizione delle elezioni da parte dell’organo regionale, imponendo la soggezione a controllo giurisdizionale delle relative determinazioni e condotte amministrative. L’elettore può far valere il proprio interesse legittimo anche attraverso un’azione meramente dichiarativa, volta cioè a ottenere l’accertamento dell’illegittimità delle operazioni elettorali. L’ammissibilità della tutela dichiarativa trova conferma nell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Ad. Plen., n. 15/2011, n. 3/2011). Secondo tale orientamento, l’assenza di una previsione legislativa espressa non impedisce l’esperibilità di un’azione di mero accertamento qualora tale tecnica di tutela sia l’unica idonea a garantire una protezione adeguata e immediata dell’interesse legittimo (Cons. Stato, V, 472/2012). Nell’ambito di un quadro normativo sensibile all’esigenza di una piena protezione dell’interesse legittimo come posizione sostanziale correlata a un bene della vita, la mancata previsione, nel testo finale del codice del processo amministrativo (D.Lgs. 104/2010), dell’azione generale di accertamento, non impedisce la praticabilità di una tutela che rinviene il suo fondamento nelle norme immediatamente precettive dettate dalla Costituzione al fine di garantire piena e completa tutela giurisdizionale agli interessi legittimi (artt. 24, 103, 111 e 113). A tale risultato non può opporsi il principio di tipicità delle azioni, in quanto corollario indefettibile dell’effettività della tutela è proprio il principio della atipicità delle forme di tutela. In questo quadro, la mancata previsione di una norma esplicita sull’azione generale di accertamento non è sintomatica della volontà legislativa di sancire una preclusione, ma è spiegabile con la considerazione che le azioni tipizzate, idonee a conseguire statuizioni dichiarative, di condanna e costitutive, consentono di norma una tutela idonea e adeguata che non ha bisogno di pronunce meramente dichiarative in cui la funzione di accertamento non è strumentale all’adozione di un’altra pronuncia di cognizione ma si presenta allo stato puro. Ne deriva, di contro, che se le azioni tipizzate non soddisfano in modo efficiente il bisogno di tutela, l’azione di accertamento atipica, ove sorretta da un interesse ad agire concreto ed attuale ex art. 100 c.p.c., risulta praticabile in forza delle coordinate costituzionali e comunitarie richiamate dallo stesso art. 1 del codice. 6 Manuale di Diritto Amministrativo Vol. 4 – Ed. 30° Discorso non dissimile può essere svolto con riguardo all’azione di condanna pubblicistica tesa a ottenere una pronuncia che, per le attività vincolate, costringa la p.a. a indire le elezioni entro un determinato termine. La pronuncia dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 3/2011, ribadita dalla successiva sentenza 15/11, ha definitivamente sancito la generale esperibilità dell’azione di condanna quale strumento di tutela attivabile dal ricorrente innanzi al giudice amministrativo al fine di ottenere il riconoscimento del bene della vita che gli compete. Secondo le pronunce in esame, l’ammissibilità di un’azione di condanna pubblicistica (c.d. azione di esatto adempimento) è ricavabile dall’applicazione dei principi costituzionali ed europei in materia di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale nonché dall’art. 34, co. 1, lett. c), D.Lgs. 104/2010, alla stregua del quale «l’azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto è esercitata, nei limiti di cui all’art. 31, co. 3, contestualmente all’azione di annullamento del provvedimento di diniego o all’azione avverso il silenzio». È stata così codificata la domanda di condanna a un facere specifico avente ad oggetto l’emanazione del provvedimento doveroso omesso. Infatti, la disposizione, nella misura in cui detta i limiti processuali e sostanziali dell’azione di condanna pubblicistica, presuppone e, quindi, riconosce la sperimentabilità di siffatta tecnica di protezione dell’interesse legittimo pretensivo anche al di fuori del caso, già codificato dall’art. 31, della maturazione di un silenzio-rifiuto. La portata atipica delle azioni di accertamento e di condanna fuga ogni dubbio in merito alla relativa proponibilità anche in materia elettorale. Si deve, infatti, ritenere che l’elettore, legittimato, ex art. 130 D.Lgs. 104/2010, a dedurre l’illegittimità degli atti del procedimento elettorale, sia legittimato- secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata sensibile ai principi di pienezza, effettività e tempestività della tutela giurisdizionale - a contrastare le condotte che illegittimamente impediscono o ritardano l’avvio del procedimento elettorale. 2.2. Immediata impugnabilità di tutti gli atti preparatori lesivi del diritto di partecipare al procedimento elettorale. Il D.Lgs. 160/2012, recante disposizioni correttive e integrative del codice del processo amministrativo, ha innovato in ordine agli atti impugnabili della fase preparatoria delle elezioni. Tra le innovazioni che riguardano il contenzioso elettorale in relazione alla fase del procedimento elettorale preparatorio (art. 129 c.p.a.) occorre segnalare che, mentre in base al testo previgente erano impugnabili solo le esclusioni di alcuni soggetti nominati e solo in relazione alle elezioni amministrative, adesso sono impugnabili, in generale, tutti i provvedimenti immediatamente lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale preparatorio, senza limiti espressi di legittimazione attiva e con estensione al contenzioso elettorale per il Parlamento europeo. La ragione di tale innovazione è correlata all’esigenza di dare piena applicazione ai principi enunciati nella decisione sopra richiamata della Corte costituzionale 236/2010, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 83undecies d.P.R. 570/1960 nella parte in cui esclude la possibilità di un’autonoma impugnativa degli atti del procedimento preparatorio alle elezioni, ancorché immediatamente lesivi, anteriormente alla proclamazione degli eletti. Sebbene la pronuncia sia stata resa con riguardo all’impugnazione di un provvedimento di esclusione, ha tuttavia una portata generale e va intesa nel senso che tutti gli atti lesivi che fanno parte del procedimento elettorale preparatorio sono immediatamente impugnabili. 7 Manuale di Diritto Amministrativo Vol. 4 – Ed. 30° L’intento perseguito era più chiaro nel testo licenziato dalla commissione speciale del Consiglio di Stato, dove si disponeva che sono impugnabili “i provvedimenti immediatamente lesivi relativi al procedimento elettorale preparatorio”. Il testo definitivo, come detto, si riferisce testualmente ai “provvedimenti immediatamente lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale preparatorio”. Nello schema di decreto legislativo era, invece, chiaro che si intendesse estendere l’ambito oggettivo del contenzioso alle ammissioni, e la legittimazione attiva a tutti i cittadini elettori. Nel testo finale il riferimento agli atti lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale preparatorio è imprecisa, in quanto il termine “diritto” deve leggersi in termini di “interesse legittimo”, come rilevato da attenta dottrina, poiché c’è il diritto a partecipare alle elezioni (e le elezioni sono il procedimento elettorale tout court, non quello preparatorio) e c’è l’interesse legittimo al corretto svolgimento del procedimento elettorale preparatorio, nel corso del quale le competenti commissioni elettorali decidono sulle ammissioni ed esclusioni di liste, contrassegni, candidati. Al di là dei dubbi teorici che solleva il novellato art. 129 c.p.a., sul piano pratico i provvedimenti lesivi dell’interesse a partecipare al procedimento elettorale sono: - i provvedimenti di esclusione dei candidati dalle liste; - i provvedimenti di ammissione di candidati e liste. Questi ultimi, se illegittimi devono ritenersi immediatamente lesivi dell’interesse del candidato a partecipare al procedimento elettorale in un quadro di potenziali concorrenti definito e immune da possibili contestazioni all’esito del procedimento elettorale costituito dalla proclamazione degli eletti. L’attuale formulazione normativa ha voluto estendere, pertanto, l’ambito oggettivo del contenzioso elettorale preparatorio fino a includervi le ammissioni che determinano una potenziale perturbazione della competizione elettorale a prescindere dal risultato conseguente alla proclamazione degli eletti. Le ammissioni o esclusioni delle liste e dei candidati non sono quindi atti endoprocedimentali privi di potenziale lesività immediata. Gli atti ammissivi delle liste e dei candidati definiscono fasi autonome del procedimento, e gli atti che chiudono una fase, se immediatamente lesivi, sono suscettibili di autonoma impugnazione. L'interesse del candidato è quello di partecipare a una determinata consultazione elettorale in un definito contesto politico, ambientale e temporale: ogni forma di tutela che intervenga a elezioni concluse è inidonea a evitare che l'esecuzione del provvedimento illegittimo abbia, nel frattempo, prodotto un pregiudizio. In nessun altro procedimento, come quello elettorale, gli effetti dannosi di atti preparatori illegittimi si riverberano in modo irreversibile sulla rinnovazione di quegli stessi atti a seguito di una pronuncia di annullamento ex post, per l’indiscutibile non omogeneità tra due procedimenti elettorali reiterati nel tempo. L’argomentazione è comune sia per l'ipotesi di illegittima esclusione di una lista, sia per quella di illegittima ammissione di una lista concorrente. Peraltro, a confermare che un pregiudizio può derivare anche dall'ammissione illegittima di una singola candidatura o di una lista assume rilevanza la natura del sistema elettorale ormai vigente nelle elezioni comunali, provinciali e regionali, ancorato fortemente al principio maggioritario; sicché la partecipazione alla competizione elettorale con candidature o liste 8 Manuale di Diritto Amministrativo Vol. 4 – Ed. 30° formate e presentate in modo del tutto irregolare ha una influenza decisiva sul risultato elettorale, determinandolo nel suo esito finale. Da qui la lesione immediata dell'interesse di un candidato, che è quello di partecipare a una consultazione elettorale nella situazione politico-amministrativa esistente alla data prefissata, secondo le regole del gioco. Va, inoltre, rilevato che la riedizione della competizione in un momento successivo non sarebbe satisfattiva, perché influenzata dalle modificazioni, medio tempore verificatesi, del contesto politico-ambientale, in diretta dipendenza di quegli atti di ammissione illegittimi che hanno condizionato il risultato elettorale. Il diniego di una tempestiva tutela giurisdizionale fin dalla fase preparatoria estesa a tutti gli atti (di ammissione e di esclusione) è destinato a ledere l'interesse legittimo del candidato, anche perché la rinnovazione della consultazione elettorale potrà essere direttamente influenzata dalla funzione pubblica medio tempore esercitata da chi ha potuto giovarsi dell'esecuzione di un provvedimento illegittimo di ammissione alla competizione stessa. In linea generale, per i competitori politici, ottenere la ripetizione delle elezioni in un tempo successivo della vicenda elettorale in caso di vizi della fase preparatoria non è satisfattivo. Ciò vale per qualsiasi vizio riguardante l'ammissione o l'esclusione di una lista, poiché il decorrere del tempo nella materia elettorale non è certamente un fattore neutrale. Né va sottaciuta l’esigenza di garantire il bilanciamento degli interessi dei soggetti coinvolti nel procedimento elettorale con quelli dell’Amministrazione ed in primo luogo a quello di evitare la rinnovazione della procedura elettorale che comporta costi a fronte di vizi che se rilevati tempestivamente nel corso di un rito dai tempi di definizione strettissimi, quale quello dell’art. 129 c.p.a., avviano il procedimento elettorale verso un percorso indenne da contestazioni. Detti argomenti consentono di risolvere la questione della facoltatività o obbligatorietà del rito dell’art. 129 c.p.a., ovvero alla possibilità di dedurre vizi della fase preparatoria con riguardo all’atto di proclamazione degli eletti con il rito del successivo ex art. 130 c.p.a. Nella versione originaria del c.p.a. l’impugnazione immediata dei provvedimenti di esclusione appariva non doverosa: l’art. 129, co. 1, versione originaria, c.p.a. usava la locuzione “possono essere immediatamente impugnati”, e l’art. 129, co. 2, c.p.a. versione originaria lasciava intendere che se l’interessato non si avvaleva di tale facoltà, restava la possibilità di contestare l’esclusione dopo la proclamazione degli eletti, con l’altro rito elettorale. Questa conclusione è da ritenersi esclusa dall’art. 130 c.p.a., che al comma 1 recita: “contro tutti gli atti del procedimento elettorale successivi all'emanazione dei comizi elettorali è ammesso ricorso soltanto alla conclusione del procedimento elettorale, unitamente all'impugnazione dell'atto di proclamazione degli eletti”. Con la norma novellata dal D.Lgs. 160/2012 il rito disciplinato dall’art. 129 ormai sembra essere, anche sotto il profilo testuale, obbligatorio, dal momento che il comma 1 dispone che gli atti ivi menzionati “sono impugnabili”, e l’art. 129, co. 2, come novellato, dispone che solo gli atti diversi da quelli di cui al comma 1 sono impugnati alla conclusione del procedimento elettorale unitamente all’atto di proclamazione degli eletti. Il testo normativo novellato rafforza la finalità di separare nettamente gli effetti lesivi derivanti dagli atti conclusivi della procedura di ammissione delle liste e dei candidati da quella successiva della competizione elettorale che si conclude con la proclamazione degli eletti e che è tenuta indenne dai vizi della fase preparatoria sia attraverso la inoppugnabilità 9 Manuale di Diritto Amministrativo Vol. 4 – Ed. 30° degli atti che attraverso la formazione del giudicato correlato alla particolarità del rito caratterizzato dalla accelerazione dei termini per la definizione delle controversie. Non sono, pertanto, ammissibili, in sede di impugnazione degli atti di proclamazione degli eletti, censure riferibili alla fase di ammissione delle liste e dei candidati i cui atti conclusivi siano divenuti inoppugnabili. Occorre soffermarsi, ora, sulla individuazione dei destinatari necessari della notifica del ricorso elettorale ex art. 129 c.p.a. Nessuna perplessità applicativa suscita l’indicazione dell’ufficio elettorale (che ha emanato l’atto di esclusione della lista oggetto del giudizio) e della prefettura (in quanto amministrazione preposta all’organizzazione della contesa elettorale). Per quanto riguarda i controinteressati, la norma prevede la notificazione del ricorso nei loro confronti alla duplice condizione che essi siano effettivamente rintracciabili e solo «ove possibile». La prima condizione presuppone una deroga ai principi giurisprudenziali in materia di inconfigurabilità di controinteressati nei giudizi aventi ad oggetto atti di esclusione; si tratta di una precisa opzione del legislatore che ha imposto l’evocazione obbligatoria anticipata dei controinteressati nel contenzioso elettorale preparatorio. Il carattere eventuale della notificazione, che potrebbe apparire incoerente con tale opzione, si giustifica, invece, alla luce della possibilità pratica che la lista esclusa risulti l’unica partecipante alla competizione (in assoluto o in relazione al momento dell’esclusione e della successiva impugnazione). Per quanto riguarda la concreta individuazione dei litisconsorti necessari, la sezione ritiene che siano tali, in virtù di una presunzione ex lege, tutti i candidati delle liste fino a quel momento ammesse che potrebbero subire un pregiudizio dalla presenza nella competizione elettorale di una ulteriore lista. Simmetricamente, nel contenzioso instaurato a valle della proclamazione degli eletti i candidati della lista esclusa e i cittadini elettori (dunque anche i presentatori della lista), secondo consolidati principi, devono notificare il ricorso ai candidati eletti delle liste contrapposte. Viceversa, sono prive di soggettività giuridica e dunque non sono legittimate passive della domanda di annullamento delle operazioni elettorali, le liste in quanto tali e i loro delegati (Cons. Stato, V, 496/2008); questo principio, affermato nel contenzioso elettorale ordinario, va confermato anche nel contenzioso sugli atti preparatori; pertanto, mentre la legittimazione attiva spetta ex lege esclusivamente ai candidati ricusati o ai delegati della lista esclusa (art. 129, co. 1, c.p.a.), quella passiva compete esclusivamente ai candidati delle altre liste ammesse. In sintesi, nello speciale rito elettorale preparatorio disciplinato dall’art. 129 c.p.a.: − assumono la veste di litisconsorti necessari i soli candidati delle liste eventualmente ammesse; − la notificazione diretta ai singoli controinteressati è rimessa alla facoltà del ricorrente; − il ricorso può essere impersonalmente rivolto ai candidati delle eventuali liste ammesse e può essere notificato utilmente seguendo la speciale procedura sancita dall’art. 129, co. 3, lett. a), secondo periodo, c.p.a. senza necessità della specifica indicazione nominativa dei candidati; 10 Manuale di Diritto Amministrativo Vol. 4 – Ed. 30° − i candidati delle liste ammesse (essendo parti necessarie del rapporto processuale), laddove non si siano costituiti nel giudizio di primo grado, pur essendo stati ritualmente evocati, sono legittimati ad impugnare la sentenza sfavorevole ma non sono legittimati a proporre opposizione di terzo non rivestendo la qualità di litisconsorti necessari pretermessi. In materia elettorale, e in particolare in tema di giudizio anticipato sulla esclusione delle liste, il giudicato produce effetti erga omnes. Questa caratteristica si spiega, storicamente, proprio in ragione del fatto che la compresenza di interessi individuali e pubblici ha improntato il sistema legale alla previsione di una legitimatio ad causam straordinaria, diffusa e fungibile, accordata in funzione di tutela dell’interesse pubblico alla regolare composizione ed al retto funzionamento degli organi collegiali degli enti territoriali, che trova la sua ragion d’essere nell’opportunità di utilizzare l’iniziativa di qualsiasi cittadino elettore, diretta ad eliminare eventuali illegittimità in materia di operazioni elettorali ed elettorato attivo e passivo (ineleggibilità, decadenza, incompatibilità); logico corollario di tali premesse è che il giudicato formatosi in tali giudizi acquista autorità ed efficacia erga omnes, non essendo compatibile con la natura popolare dell’azione, con il suo carattere fungibile e con le sue finalità, che gli effetti della pronuncia rimangano limitati alle sole parti del primigenio giudizio e non operino nei confronti di tutti gli altri legittimati e dell’organo collegiale cui il giudizio stesso si riferisce (Cons. Stato, VI, 9323/2010). Assodata l’efficacia soggettiva del giudicato in questione, si tratta ora di individuarne il contenuto precettivo, ovvero la regula iuris capace di imporsi erga omnes; in una parola, occorre stabilire i limiti oggettivi del giudicato in materia elettorale e, in particolare, di quello riguardante l’annullamento di un provvedimento di esclusione di una lista dalla competizione elettorale. La concreta definizione del perimetro oggettivo del giudicato sconta l’applicazione di un elastico criterio integrativo di matrice giurisprudenziale (costituente diritto vivente), secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile nei limiti delle statuizioni indispensabili per giungere alla decisione; il criterio va inteso nel senso che il giudicato copre l’azione concretamente esercitata sul fondamento dei fatti costitutivi allegati e di tutti quei fatti che, sia perché semplici o secondari e sia perché convergenti nel costituire un unico diritto o nel produrre il medesimo effetto giuridico, devono intendersi implicitamente inclusi nella medesima causa petendi (Cass. 15093/2009). Sotto il profilo oggettivo, pertanto, la vis espansiva del giudicato sulle procedure elettorali preparatorie trova un limite nella corretta applicazione del principio del «dedotto e deducibile»: il giudicato di rigetto (anche per insopprimibili esigenze di tutela della stabilità della compagine politica dell’ente) impedisce alla lista esclusa (ai suoi candidati, delegati e a qualsiasi altro attore popolare) di proporre un nuovo ricorso successivamente alla proclamazione degli eletti, mentre il giudicato di accoglimento del ricorso non impedisce, successivamente alla proclamazione degli eletti, l’impugnativa dell’ammissione per vizi diversi. Il principio è stato analogamente declinato nel contenzioso sui diritti di elettorato (passivo), dove si è affermato che un giudicato negativo formatosi in relazione a uno specifico motivo di incompatibilità dell’eletto, rispetto alla carica, non impedisce altri possibili giudizi nei quali venga dedotto un (diverso) motivo di ineleggibilità (Cons. Stato, V, 1058/2012). 11 Manuale di Diritto Amministrativo Vol. 4 – Ed. 30° Dispensa giurisprudenziale La tutela dell’interesse legittimo di fronte al Tribunale superiore delle acque pubbliche Cass. S.U. 19-4-2013, n. 9534 “Secondo la più recente giurisprudenza di queste sezioni unite (n. 9149 del 17 aprile 2009; n. 23070 del 27 ottobre 2006) «sono devoluti alla giurisdizione in unico grado del Tribunale superiore delle acque pubbliche, ai sensi dell’art. 143, 1° comma, lett. a), r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775, i ricorsi avverso provvedimenti amministrativi che, sebbene non costituiscano esercizio di un potere propriamente attinente alla materia delle acque pubbliche, pure riguardino l’utilizzazione del demanio idrico, incidendo in maniera diretta e immediata sul regime delle acque». La giurisdizione in unico grado del Tribunale superiore delle acque pubbliche, pertanto, oltre a riguardare i ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi di delimitazione degli ambiti territoriali ottimali, dai quali discendono provvedimenti di organizzazione e conduzione del sistema idrico integrato, e le cause in materia di revoca dell’adesione a un consorzio e di annullamento della sua convenzione istitutiva, deve ritenersi estesa ai provvedimenti «destinati a influire sull’organizzazione e lo svolgimento del servizio idrico integrato da parte del relativo gestore» (Cass. 4461/11). Va, anzitutto, osservato che l’art. 143 t.u. sulle acque non ha inteso limitare la giurisdizione di legittimità del Tribunale superiore delle acque pubbliche ai soli giudizi impugnatori («ricorsi contro i provvedimenti definitivi») escludendo le azioni di accertamento e quelle di condanna al risarcimento del danno. La norma ha, invece, inteso definire l’ambito di detta giurisdizione del giudice specializzato circoscrivendola ai provvedimenti dell’amministrazione caratterizzati da incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche, nel senso che concorrano in concreto a disciplinare la gestione, l’esercizio delle opere idrauliche, i rapporti con i concessionari, oppure a determinare i modi di acquisto dei beni necessari all’esercizio e alla realizzazione delle opere stesse; o a stabilire o modificare la localizzazione di esse, o ad influire nella loro realizzazione mediante sospensione o revoca dei relativi provvedimenti (Cass., sez. un., 337/03; 493/00). La giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche è contrapposta, per un verso, a quella del tribunale regionale delle acque, che è un organo (in primo grado) della giurisdizione ordinaria, cui il precedente art. 140, lett. c), attribuisce le controversie in cui si discuta in via diretta di diritti correlati alle derivazioni e utilizzazioni di acque pubbliche (a cominciare da quelli di utilizzazione di acque pubbliche, collegati alla gestione di opere idrauliche, nonché i criteri di ripartizione degli oneri economici) e, per altro verso, alla giurisdizione del complesso Tar-Consiglio di Stato, ricorrente per tutte le controversie che abbiano ad oggetto atti soltanto strumentalmente inseriti in procedimenti finalizzati ad incidere sul regime delle acque pubbliche, quali esemplificativamente quelli compresi nei procedimenti ad evidenza pubblica volti alla concessione in appalto di opere relative alle acque pubbliche (Cass., sez. un., 14195/05), alle relative aggiudicazioni (Cass. 10826/93) e, in genere, concernenti la selezione degli aspiranti all’aggiudicazione dell’appalto o all’affidamento della concessione (sent. 10934/97). È assolutamente estranea a ciascuna di queste controversie l’esigenza di tutela del regime delle acque pubbliche, e in esse viene in rilievo esclusivamente l’interesse legittimo al rispetto delle norme di legge nelle procedure amministrative volte all’affidamento della concessione o dell’appalto. 12 Manuale di Diritto Amministrativo Vol. 4 – Ed. 30° Nessuna delle disposizioni dell’art. 143 t.u. sulle acque si riferisce, invece, ai limiti interni della giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche o ne limita i poteri alle azioni di impugnazione [....] Pertanto, allorché ricorra taluna delle ipotesi previste dall’art. 143 t.u. in tema di tutela giurisdizionale intesa a far valere la responsabilità della pubblica amministrazione da attività provvedimentale illegittima, la giurisdizione sulla tutela dell’interesse legittimo spetta al Tribunale superiore delle acque pubbliche, sia quando il privato invochi la tutela di annullamento, sia quando agisca per la tutela risarcitoria, in forma specifica o per equivalente, non potendo tali tecniche essere oggetto di separata e distinta considerazione ai fini della giurisdizione. E siccome deve escludersi la necessaria dipendenza del risarcimento dal previo annullamento dell’atto illegittimo e dannoso, al giudice suddetto può essere chiesta la tutela demolitoria e, insieme o successivamente, la tutela risarcitoria, ma anche la sola tutela risarcitoria, senza che la parte debba in tal caso osservare il termine di decadenza pertinente all’azione di annullamento (Cass., sez. un., 13659/06) [....]. Anche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 104/10 il Tribunale superiore delle acque pubbliche ha conservato la sua giurisdizione esclusiva, quale giudice unico amministrativo, nelle materie individuate a norma dell’art. 133, 1° comma, lett. b) ed f), cod. proc. amm. Ciò comporta che l’esclusione di tali controversie dalla giurisdizione dei Tar - Consiglio di Stato impedisce che davanti a tali giudici amministrativi possa poi proporsi la domanda risarcitoria da lesione degli stessi interessi legittimi, rientranti, invece, nella giurisdizione di legittimità del Tribunale superiore delle acque pubbliche. Un’interpretazione costituzionalmente orientata e rispettosa dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost. e anche del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. non può portare a ritenere che le domande da risarcimento del danno da lesioni di interessi legittimi debbano essere conosciute dal giudice amministrativo sempre, allorché si tratti del complesso Tar - Consiglio di Stato, e mai, allorché si tratti di materia riservata alla giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche, quale giudice amministrativo speciale in unico grado, nel qual caso rimarrebbe la doppia tutela per cui quella risarcitoria sarebbe esercitata dal giudice ordinario corrispondente e cioè il tribunale regionale delle acque pubbliche. Va, anzitutto, ricordato che la Corte costituzionale ha ritenuto che il Tribunale superiore delle acque pubbliche nella cognizione diretta per l’impugnazione di provvedimenti, in materia di acque pubbliche, ha natura di giudice amministrativo speciale (Corte cost. 26 marzo 1993, n. 118). La stessa corte ha altresì rilevato che «la specialità della materia, se può giustificare l’attribuzione ad un giudice specializzato, quale è il Tribunale superiore delle acque pubbliche, del sindacato giurisdizionale sugli atti amministrativi concernenti la materia stessa, non giustifica invece una tutela giurisdizionale differenziata quanto alle modalità ed ai contenuti, in presenza di situazioni soggettive di identica natura» (Corte cost. 31 gennaio 1991, n. 42). Ne consegue che il solo fatto che l’art. 4 cod. proc. amm. individui i giudici amministrativi nei Tar e nel Consiglio di Stato non esclude che anche il Tribunale superiore delle acque pubbliche, nell’ambito della giurisdizione esclusiva di legittimità attribuitagli, sia un giudice amministrativo, per quanto speciale, come emerge dallo stesso codice che, appunto all’art. 133, 1° comma, lett. b) ed f), fa salva la giurisdizione esclusiva del Tribunale superiore delle acque pubbliche secondo le leggi vigenti. Ciò comporta che l’unicità e l’unitarietà della tutela degli interessi legittimi, ed in materia di giurisdizione esclusiva anche dei diritti soggettivi, tutela ribadita dall’art. 7, 5° e 7° comma, d.leg. n. 104 del 2010, costituisce un principio generale della giurisdizione di ogni giudice amministrativo (speciale e non) e quindi anche del Tribunale superiore delle acque 13 Manuale di Diritto Amministrativo Vol. 4 – Ed. 30° pubbliche, il quale — in mancanza di una diversa disposizione espressa di legge — conosce pure delle domande di risarcimento del danno. Pertanto, la giurisdizione di legittimità del Tribunale superiore delle acque pubbliche, ai sensi dell’art. 143 r.d. n. 1775 del 1933, non è limitata ai soli giudizi impugnatori, ma si estende a quelli di accertamento e risarcitori, rientrando nella tutela giurisdizionale intesa a far valere la responsabilità della pubblica amministrazione per attività provvedimentale illegittima, sia l’azione con cui il privato chieda l’annullamento del provvedimento illegittimo, sia l’azione con cui invochi il risarcimento del danno, in forma specifica e per equivalente, con la conseguenza che al suddetto giudice può essere chiesta la tutela demolitoria e, insieme o successivamente, la tutela risarcitoria, ma anche la sola tutela risarcitoria, senza che la parte debba in tal caso osservare il termine di decadenza pertinente all’azione di annullamento. 14 Manuale di Diritto Amministrativo Vol. 4 – Ed. 30°
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