Corte dei Conti Procura Regionale per il Molise Giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Molise per l’esercizio finanziario 2012 Udienza pubblica del 3 aprile 2014 Requisitoria del Procuratore Regionale Carlo Alberto Manfredi Selvaggi REQUISITORIA DEL PROCURATORE REGIONALE rappresentante il Pubblico Ministero presso gli Uffici della Corte dei Conti per il Molise, nel giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Molise per l’esercizio finanziario 2012, ai sensi degli artt.: 100, comma 2 e 103, comma 2 Cost.; 1, comma 5, del d.l. n. 174/2012, convertito in l. n. 213/2012; 40 e 72 del r.d. n. 1214/1934; 4 e 26 del r.d. n. 1038/1933; 190 c.p.c. INDICE 1. Introduzione pag. 2 2. Considerazioni pag. 9 2.1. I tempi di approvazione dello schema di rendiconto pag. 9 2.2. La sentenza n. 138/2013 della Corte costituzionale pag. 11 2.3. I principali dati del rendiconto pag. 14 2.4. La spesa sanitaria pag. 17 2.5. Le società partecipate pag. 21 3. Conclusioni pag. 24 1 1. Introduzione Si celebra oggi il primo giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Molise, ai sensi dell’art. 1, comma 5, del d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 dicembre 2012, n. 213. La norma prevede: “Il rendiconto generale della regione è parificato dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti ai sensi degli articoli 39, 40 e 41 del testo unico di cui al regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214. Alla decisione di parifica è allegata una relazione nella quale la Corte dei conti formula le sue osservazioni in merito alla legittimità e alla regolarità della gestione e propone le misure di correzione e gli interventi di riforma che ritiene necessari al fine, in particolare, di assicurare l'equilibrio del bilancio e di migliorare l'efficacia e l'efficienza della spesa. La decisione di parifica e la relazione sono trasmesse al presidente della giunta regionale e al consiglio regionale”. Il legislatore ha voluto, in tal modo, estendere alle Regioni a statuto ordinario un istituto precedentemente riservato al rendiconto dello Stato, secondo gli artt. 39 ss. del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, e a quelli delle Regioni ad autonomia differenziata, in base alla rispettive norme statutarie. Si tratta di una misura coerente con il complessivo tenore del d.l. n. 174/2012. Come è noto, questo provvedimento, oltre a introdurre nuovi strumenti volti a garantire il riequilibrio della situazione finanziaria degli enti locali in difficoltà, ha rafforzato il controllo della Corte dei conti sull’attività delle Regioni. Al di là della parificazione del rendiconto, infatti, alla Sezione regionale di controllo sono state affidate diverse nuove incombenze, quali la relazione semestrale sulla copertura finanziaria delle leggi regionali, il controllo di regolarità finanziaria sul bilancio e sul rendiconto della Regione, il controllo dei rendiconti dei gruppi del Consiglio regionale e l’esame della relazione annuale del Presidente della Regione sulla regolarità della gestione e 2 sull’efficacia e sull’adeguatezza del sistema dei controlli interni. Queste misure rappresentano un’evoluzione, e, per usare le parole del legislatore, un adeguamento, delle forme di controllo che la Corte dei conti già esercitava sulle Regioni ai sensi degli artt. 3, comma 5, della l. 14 gennaio 1994, n. 20 e 7, comma 7, della l. 5 giugno 2003, n. 131. Le ragioni dell’ampliamento dei meccanismi di controllo sono duplici. Da un lato, si può individuare una giustificazione di natura, per così dire, contingente, consistente nella necessità di dare risposta alla domanda di trasparenza e di riduzione dei costi proveniente dall’opinione pubblica, rafforzata a seguito dell’emersione, nel periodo immediatamente precedente l’emanazione del decreto-legge, di rilevanti illeciti perpetrati nell’ambito di alcune assemblee legislative regionali. Dall’altro, si rinviene una ragione di carattere ordinamentale, che lo stesso decreto-legge indica nell’esigenza di rafforzare il coordinamento della finanza pubblica e di assicurare il rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea. Proprio a quest’ultimo riguardo, va ricordato che, pochi mesi prima del d.l. n. 174/2012, era stata approvata la legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, che ha introdotto nella Carta costituzionale il principio del pareggio di bilancio. Più in particolare, la legge, in attuazione del Trattato europeo del 2 marzo 2012, conosciuto come fiscal compact, ha dato ingresso nell’ordinamento nazionale a un principio di carattere generale, secondo il quale tutte le Amministrazioni pubbliche, comprese le Regioni e gli enti locali, devono assicurare l’equilibrio tra entrate e spese del bilancio e la sostenibilità del debito, nell’osservanza delle regole dell’Unione Europea in materia economico-finanziaria (in tal senso i novellati artt. 81, 97 e 119 Cost.). Le norme di attuazione del principio sono state dettate dalla l. 24 dicembre 2012, n. 243. 3 Il concetto di equilibrio di bilancio implica una prospettiva non limitata al singolo esercizio, ma orientata sul breve-medio periodo. Per le Regioni e per gli enti locali, esso si realizza con il conseguimento, sia in fase di programmazione che di rendiconto, di un valore non negativo, in termini di competenza e di cassa, del saldo tra le entrate finali e le spese finali, nonché del saldo tra le entrate correnti e le spese correnti, incluse le quote di capitale delle rate di ammortamento dei prestiti. Laddove, a consuntivo, si registri uno scostamento dall’obiettivo, ciascun ente provvede a recuperare il disavanzo entro il triennio successivo. Ove, invece, si registrino avanzi di bilancio, gli stessi devono essere destinati al ripiano del debito o al finanziamento delle spese di investimento (art. 9 della l. n. 243/2012). Con riguardo all’indebitamento, la novella ha confermato la regola per la quale le autonomie territoriali possono ricorrervi solo per finanziare spese di investimento, introducendo l’obbligo della contestuale definizione di piani di ammortamento e la condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio (artt. 119, comma 6, Cost. e 10 della l. n. 243/2012). E’ inoltre previsto che nelle fasi sfavorevoli del ciclo economico e in caso di eventi eccezionali, lo Stato partecipi al finanziamento dei servizi essenziali e delle prestazioni fondamentali inerenti i diritti civili e sociali, attraverso un apposito fondo. Per converso, nelle fasi favorevoli del ciclo, sono le autonomie territoriali a dover contribuire alla sostenibilità del debito pubblico attraverso un versamento al Fondo per l’ammortamento dei Titoli di Stato (artt. 11 s. della l. n. 243/2012). Orbene, nonostante le modifiche cui si è appena fatto riferimento siano entrate in vigore soltanto il 1° gennaio 2014, non vi è dubbio che il sistema di cui al d.l. n. 174/2012 sia stato delineato anche allo scopo di assicurare il rispetto dei principi ad esse sottesi, in primis quello dell’equilibrio di bilancio. 4 La relazione di strumentalità esistente tra i nuovi controlli della Corte dei conti sull’attività delle Regioni e il rispetto dei vincoli europei di finanza pubblica, del resto, è stata più volte riconosciuta dalla Corte costituzionale. Da ultimo, con la sentenza n. 39 depositata il 6 marzo 2014, il giudice delle leggi, dopo aver ricordato il fondamento costituzionale del rispetto dei vincoli europei (rinvenibile, tra l’altro, nell’art. 97 Cost., come modificato dalla l. cost. n. 1/2012), ha sottolineato come i controlli di regolarità e legittimità contabile, attribuiti alla Corte dei conti al fine di prevenire squilibri finanziari, siano strumentali al rispetto degli obblighi che lo Stato ha assunto nei confronti dell’Unione Europea in ordine alle politiche di bilancio. L’attribuzione di tali controlli alla Corte dei conti si giustifica, secondo la Consulta, in virtù della particolare posizione della magistratura contabile, le cui decisioni, proprie di un organo di garanzia, non interferiscono con la discrezionalità degli enti destinatari del controllo: “In questa prospettiva, funzionale ai principi di coordinamento e di armonizzazione dei conti pubblici, essi [controlli] possono essere accompagnati anche da misure atte a prevenire pratiche contrarie ai principi della previa copertura e dell’equilibrio di bilancio (sentenze n. 266 e n. 60 del 2013), che ben si giustificano in ragione dei caratteri di neutralità e indipendenza del controllo di legittimità della Corte dei conti (sentenza n. 226 del 1976). Detti controlli si risolvono in un esito alternativo, nel senso che devono decidere se i bilanci preventivi e successivi degli enti territoriali siano o meno rispettosi del patto di stabilità e del principio di equilibrio (sentenze n. 60 del 2013 e n. 179 del 2007). Cionondimeno, essi non impingono nella discrezionalità propria della particolare autonomia di cui sono dotati gli enti territoriali destinatari, ma sono mirati unicamente a garantire la sana gestione finanziaria, prevenendo o contrastando pratiche non conformi ai richiamati principi costituzionali” (la sentenza citata, peraltro, ha dichiarato incostituzionali diverse parti dell’art. 1 del d.l. n. 174/2012, intervenendo, in particolare, sugli effetti del controllo di regolarità finanziaria dei bilanci regionali, sul controllo dei rendiconti dei 5 gruppi consiliari e sull’applicazione di tali istituti alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano). Queste considerazioni ben si attagliano all’istituto della parificazione del rendiconto generale della Regione, al quale la Corte dei conti procede in qualità di organo dello Stato-comunità e nell’esercizio dei poteri ad essa conferiti dall’art. 100, comma 2, Cost. L’oggetto del giudizio di parificazione è definito dall’art. 1, comma 5, del d.l. n. 174/2012 in parte rinviando alle disposizioni che regolano la parificazione del rendiconto dello Stato, e in parte con una previsione di contenuto autonomo. Sotto il primo profilo, la norma di riferimento è l’art. 39 del r.d. n. 1214/1934, secondo il quale: “La Corte verifica il rendiconto generale dello Stato e ne confronta i risultati tanto per le entrate, quanto per le spese ponendoli a riscontro con le leggi del bilancio. A tale effetto verifica se le entrate riscosse e versate ed i resti da riscuotere e da versare risultanti dal rendiconto, siano conformi ai dati esposti nei conti periodici e nei riassunti generali trasmessi alla Corte dai singoli ministeri; se le spese ordinate e pagate durante l'esercizio concordino con le scritture tenute o controllate dalla Corte ed accerta i residui passivi in base alle dimostrazioni allegate ai decreti ministeriali di impegno ed alle proprie scritture”. La Sezione Autonomie della Corte, chiamata a dettare, con la deliberazione n. 9/SEZAUT/2013/INPR del 26 marzo 2013, le prime linee di orientamento per l’applicazione della norma, ha affermato che le Sezioni regionali di controllo devono innanzitutto verificare, ai sensi del primo comma dell’art. 39 cit., la corrispondenza tra i valori indicati nel conto del bilancio, sia per l’entrata che per la spesa, e quelli esposti nella legge di bilancio e nelle successive variazioni. Per quanto attiene al controllo previsto dal secondo comma dell’art. 39 cit., che deve avere ad oggetto il raffronto tra i risultati del rendiconto e le 6 “scritture tenute o controllate dalla Corte”, l’applicazione al rendiconto regionale sconta il fatto che le Sezioni regionali di controllo non possono attingere, ad oggi, a un patrimonio di informazioni analogo a quello di cui la Corte dispone per le entrate e le spese dello Stato. A tal proposito, la Sezione molisana, per la parificazione del rendiconto regionale 2012, ha seguito l’indicazione della Sezione Autonomie di concordare con l’Amministrazione regionale la messa a disposizione delle scritture informatiche del relativo Servizio di ragioneria, e, in secondo luogo, di confrontare lo schema di rendiconto con le registrazioni dei flussi di cassa effettuate dal Tesoriere regionale, riversate nel sistema SIOPE. La parificazione del rendiconto non si limita a queste attività di riscontro. Come si è detto, l’art. 1, comma 5 del d.l. n. 174/2012 ha altresì previsto che la Sezione produca una relazione nella quale si esprime in merito alla legittimità e alla regolarità della gestione, proponendo le correzioni e le riforme necessarie ad assicurare l'equilibrio del bilancio e a migliorare l'efficacia e l'efficienza della spesa. La relazione in questione segue il modello dell’art. 41 del r.d. n. 1214/1934, adeguandone i contenuti agli obiettivi di finanza pubblica imposti dal quadro normativo vigente, sopra succintamente richiamato. Sotto il profilo del procedimento, soccorrono le norme dedicate alla parificazione del rendiconto dello Stato (artt. 38 e 43 del r.d. n. 1214/1934; art. 149 del r.d. 23 maggio 1924, n. 827; art. 38 della l. 31 dicembre 2009, n. 196), da cui si evince che la decisione della Corte deve intervenire prima dell’approvazione della legge sul rendiconto da parte dell’assemblea legislativa. La parificazione costituisce infatti attività ausiliaria al controllo politico che il potere legislativo svolge sul modo in cui si è svolta la gestione delle pubbliche risorse, della quale il rendiconto dà evidenza. Di ciò è conferma la previsione, di cui all’ultimo periodo dell’art. 1, comma 5, del d.l. n. 174/2012, secondo la quale la decisione di parifica e la relazione sono 7 trasmesse al Presidente della Giunta regionale e al Consiglio regionale. La parificazione si svolge secondo le forme della giurisdizione contenziosa (art. 40 del r.d. n. 1214/1934). Ciò rende necessaria la partecipazione della Procura Regionale, che, in qualità di Pubblico Ministero, interviene nelle udienze della Corte dei conti e deve sempre essere sentito (artt. 18 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038 e 72 del r.d. n. 1214/1934). La Procura esercita, in questa sede, una funzione riconducibile al più ampio munus di tutela dell’ordinamento finanziario che la legge le attribuisce. Come ha osservato il Procuratore Generale nella memoria depositata nel giudizio di parificazione del rendiconto dello Stato per il 2012, “le funzioni del pubblico ministero nella giurisdizione contenziosa e la sua posizione di osservatore dei fenomeni di scostamento delle gestioni dai parametri di regolarità” danno alla Procura “la possibilità di portare nel procedimento l’esperienza derivante dalla sua attività”. Tale funzione si estrinseca, in concreto, nell’espressione di un avviso in ordine alla possibilità di dichiarare la parificazione del rendiconto, con le eventuali riserve originate dalla presenza di irregolarità e disarmonie meritevoli di correzione. Nonostante la natura giurisdizionale del procedimento, la competenza ad assumere la decisione di parifica è espressamente attribuita alla Sezione regionale di controllo. Questa circostanza avvalora la tesi, autorevolmente sostenuta, secondo la quale nel giudizio di parificazione si verifica la sintesi tra le due funzioni, giurisdizionale e di controllo, della magistratura contabile, di entrambe le quali ricorrono alcuni elementi caratteristici. Ovviamente, un procedimento di tale natura implica, oltre alla partecipazione del Pubblico Ministero, l’instaurazione del contraddittorio con l’Amministrazione interessata. A tanto la Sezione molisana ha provveduto portando avanti una costante interlocuzione con la Regione, attraverso incontri, trasmissione di documenti e richieste di chiarimenti. Al termine dell’attività istruttoria, il Presidente della Sezione, con 8 l’ordinanza n. 33 del 25 marzo 2014, ha fissato l’odierna udienza, disponendo la trasmissione all’Amministrazione e a questa Procura della Relazione di accompagnamento al giudizio di parificazione. Ai contenuti di tale documento si farà, di seguito, riferimento per la formulazione di alcune osservazioni sulla complessiva gestione finanziaria della Regione. 2. Considerazioni 2.1. I tempi di approvazione dello schema di rendiconto. Una considerazione preliminare attiene ai tempi di approvazione dello schema di rendiconto per l’esercizio 2012. Secondo l’art. 64 della l. r. 7 maggio 2002, n. 4, il rendiconto generale della Regione Molise è presentato dalla Giunta entro il 30 aprile dell'anno successivo a quello cui si riferisce, ed è approvato dal Consiglio, con legge regionale, entro il 30 giugno dello stesso anno. La circostanza che il disegno di legge di approvazione del rendiconto 2012 sia stato licenziato dalla Giunta soltanto il 10 febbraio 2014, quasi un anno dopo la scadenza del termine di legge, è dovuto principalmente al fatto che con la sentenza n. 138 del 13 giugno 2013 la Consulta ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 7 della l. r. n. 23/2012, con cui era stato approvato il rendiconto del 2011. Poiché la dichiarazione di incostituzionalità è conseguita al rilievo che tra i residui attivi erano state incluse alcune partite, relative ad anni precedenti, di cui la Regione non aveva giustificato il mantenimento in bilancio, si è reso necessario procedere al riaccertamento dei residui. Tale operazione, tuttavia, è avvenuta soltanto con la deliberazione di Giunta n. 658 9 del 16 dicembre 2013, ossia ben sei mesi dopo la sentenza della Corte costituzionale. Ne è derivata una situazione del tutto anomala, in cui, stante l’esigenza di pervenire urgentemente all’approvazione dei due rendiconti 2011 e 2012, i relativi disegni di legge sono stati licenziati dalla Giunta a meno di un mese di distanza l’uno dall’altro (l’uno il 14 gennaio 2014 e l’altro il 10 febbraio 2014), mentre il secondo è stato trasmesso alla Sezione regionale di controllo, ai fini della parificazione, prima ancora che quello relativo all’anno precedente fosse approvato dal Consiglio regionale, come poi è avvenuto il 18 marzo 2014. Questa Procura non può non esprimere forti riserve circa la conformità dell’operato dell’Amministrazione al parametro della sana gestione finanziaria. Dapprima, infatti, vi è stata un’indebita inclusione nel rendiconto 2011 di poste di credito non più attuali, in contrasto, come meglio si dirà, con i principi e con le norme che regolano la redazione dei documenti contabili. Successivamente, una volta intervenuta la pronuncia della Corte costituzionale, l’operazione di riaccertamento dei residui è avvenuta con il considerevole ritardo sopra evidenziato, mettendo in moto la confusa sequenza di eventi di cui pure si è detto. Secondo quanto si legge nel verbale del 3 dicembre 2013 del Direttore del Servizio Bilancio, allegato alla deliberazione di Giunta n. 658/2013, il ritardo in questione sarebbe dovuto alla non corretta redazione, da parte di alcuni Direttori di Servizio, delle schede per mezzo delle quali ciascuno di essi avrebbe dovuto procedere al riaccertamento dei residui di propria competenza. Ciò avrebbe obbligato il Servizio Bilancio a provvedere d’ufficio a tale operazione. Tra il luglio e il settembre 2013, inoltre, i dati dei rendiconti dal 2008 in poi sono stati oggetto di esame da parte dell’Ispettorato Generale per la finanza delle Pubbliche Amministrazioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze. 10 Si tratta, in ogni caso, di una vicenda sintomatica di un approccio non corretto, quanto meno sotto il profilo organizzativo, alle esigenze di chiarezza e di attendibilità che fondano la disciplina contabile delle pubbliche Amministrazioni, e in relazione alla quale devono essere confermate le riserve già manifestate. 2.2. La sentenza n. 138/2013 della Corte costituzionale L’art. 7 della l. r. 23/2012 è stato impugnato in via principale dal Presidente del Consiglio dei ministri, insieme ad altri articoli della stessa legge. Secondo il ricorrente, la disposizione avrebbe incluso tra i residui attivi numerose partite relative ad annualità decorse, in relazione alle quali la Regione non avrebbe accertato le ragioni del mantenimento in bilancio. Ne sarebbe derivato un contrasto con il d.lgs. n. 76/2000, recante i principi fondamentali e le norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle Regioni, ed in particolare con l’art. 21, che codifica il principio del previo accertamento dei crediti aventi ad oggetto somme non riscosse al termine dell’esercizio. Secondo il ricorrente, trattandosi di un principio di coordinamento della finanza pubblica, la sua violazione avrebbe influito sui risultati della finanza regionale nel suo complesso, determinando la violazione dell’art. 117, comma 3, Cost. La Corte ha in primo luogo riconosciuto come, in astratto, la corretta redazione del rendiconto finanziario da parte della Regione possa essere ricondotta alla potestà legislativa concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi del citato art. 117, comma 3, Cost. Ha osservato, più specificamente, che “il coordinamento della finanza pubblica attiene soprattutto al rispetto delle regole di convergenza e di stabilità dei conti 11 pubblici, regole provenienti sia dall’ordinamento comunitario che da quello nazionale. In particolare, il patto di stabilità interno (…) stabilisce, tra l’altro, che, ai fini del concorso degli enti territoriali al rispetto degli obblighi comunitari della Repubblica ed alla conseguente realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, il disavanzo di ciascun ente territoriale non può superare determinati limiti, fissati dalle leggi finanziarie e di stabilità che si sono succedute a partire dal 2002 (ex multis sentenza, di questa Corte, n. 36 del 2004). Gli obiettivi finanziari in questione vengono pertanto accertati attraverso il consolidamento delle risultanze dei conti pubblici in quella prospettiva che è stata definita di “finanza pubblica allargata” (sentenze n. 267 del 2006 e n. 425 del 2004). Gli eventuali disavanzi di ciascun ente, i quali costituiscono la componente analitica dell’aggregato finanziario complessivo preso come punto di riferimento per il rispetto degli obblighi comunitari e nazionali, si accertano – per quel che riguarda la gestione annuale – attraverso il risultato di amministrazione, che costituisce l’epilogo del rendiconto finanziario. Si può pertanto concludere che le norme finanziarie contenute nei rendiconti, le quali risultano idonee a violare il rispetto dei limiti derivanti dall’ordinamento comunitario e dalla pertinente legislazione nazionale in materia oppure a non consentirne la verifica, possono risultare in contrasto con principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica”. Fatta questa premessa, la Corte ha precisato che, nei giudizi di legittimità costituzionale relativi a leggi in materia finanziaria, la violazione dell’art. 117, comma 3, Cost. è generalmente l’effetto della violazione di una norma di legge ordinaria, c.d. interposta, espressiva di un principio di coordinamento della finanza pubblica. Tale è, secondo il giudice delle leggi, l’art. 21 del d.lgs. n. 76/2000, invocato dal ricorrente. La norma, ai sensi della quale “costituiscono residui attivi le somme accertate e non riscosse e versate entro il termine dell'esercizio”, costituisce espressione del principio della previa dimostrazione analitica dei crediti e delle somme da riscuotere, da iscriversi nelle partite dei residui attivi 12 e dei quali occorre tener conto ai fini dell’avanzo d’amministrazione. Si tratta di un “principio risalente, in ragione della sua stretta inerenza ai concetti di certezza e attendibilità che devono caratterizzare le risultanze della gestione economica e finanziaria”. Ebbene, venendo all’esame della fattispecie concreta, la Corte costituzionale ha ritenuto che il rendiconto finanziario 2011 della Regione Molise non fornisse alcuna giustificazione della permanenza in bilancio di residui attivi, di cui molti risalenti nel tempo, per l’importo complessivo di € 1.286.613.416,17. La determinazione di questa somma era avvenuta, secondo la Corte, in difetto dei requisiti minimi richiesti ai fini dell’accertamento dell’entrata, ossia la ragione del credito, il titolo giuridico, il soggetto debitore, l’entità del credito e la sua scadenza. In questo modo, ha osservato la Consulta, “vengono assunte quali attività del bilancio consuntivo una serie di valori non dimostrati, espressi attraverso un’aggregazione apodittica e sintetica, suscettibile di alterare le risultanze finali del conto, che a sua volta deve essere consolidato con quello delle altre pubbliche amministrazioni per le richiamate finalità di coordinamento della finanza pubblica”. Ne è conseguita la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 7 della l. r. n. 23/2012 per contrasto con l’art. 117, comma 3, Cost. Nella motivazione della sentenza, la Corte ha ricordato come del problema della contabilizzazione dei residui attivi si sia occupato anche il d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118, in materia di armonizzazione dei sistemi contabili delle autonomie territoriali. Il decreto e la relativa normativa di attuazione hanno infatti previsto, per garantire ulteriormente l’attendibilità della posta contabile in parola, l’istituzione obbligatoria di una posta correttiva in diminuzione, denominata “fondo svalutazione crediti”, determinata secondo un coefficiente proporzionale alla capacità media di realizzazione dei crediti del quinquennio precedente. Come già si è già anticipato, la condotta della Regione, che ha 13 approvato un rendiconto in cui figuravano poste attive prive di giustificazione, si pone in totale divergenza con i principi sottesi alla redazione dei documenti contabili, e in particolare con quelli di certezza e di attendibilità richiamati dalla Corte costituzionale. Giova ricordare che l’errata contabilizzazione dei residui si riflette automaticamente sull’avanzo di amministrazione, la cui entità, come è noto, è data dal fondo di cassa a fine esercizio aumentato dei residui attivi e diminuito dei residui passivi. Si tratta, pertanto, di irregolarità suscettibili, se non intercettate tempestivamente, di rifluire sugli esercizi successivi, come meglio si vedrà nel prossimo paragrafo. Sotto questo profilo, il giudizio di parifica si configura come uno strumento utile per verificare che i residui indicati nel rendiconto siano stati correttamente accertati o riaccertati. L’esame preventivo di tale aspetto consente, verosimilmente, di evitare che, almeno da questo punto di vista, la legge di approvazione sia oggetto di un successivo giudizio di legittimità costituzionale, con le conseguenti gravi ricadute sulla continuità della gestione finanziaria regionale. 2.3. I principali dati del rendiconto Le risultanze del rendiconto 2012 possono essere così, sinteticamente, riepilogate. Sono state accertate entrate di competenza 2012 per complessivi € 1.363.436.833,41, con una differenza negativa di € 420.121.840,46 rispetto allo stanziamento di previsione, pari a € 1.783.558.673,87. Delle somme accertate sono stati riscossi € 902.642.083,76. Rispetto all’esercizio 2011, emergono un aumento degli accertamenti e una diminuzione delle riscossioni, rispettivamente del 9,25% e del 12,30%. I residui attivi complessivi da riportare nell’esercizio 2013 risultano pari 14 a € 1.410,33 milioni, con un aumento di € 178 milioni rispetto all’annualità precedente. Merita di essere evidenziata la circostanza, segnalata nella Relazione, della riduzione rispetto al 2011 della capacità di riscossione complessiva, ossia del rapporto percentuale tra riscossioni complessive e massa riscuotibile. Questo indice segnala un sostanziale peggioramento dell’attività di riscossione: il dato richiede la necessaria attenzione e le opportune correzioni, onde evitare che, negli esercizi a venire, si traduca in un progressivo aumento della massa dei residui attivi. Per quanto concerne le spese, va preso atto della nuova classificazione, adottata nel 2012, delle voci in uscita del bilancio regionale. Essa non preclude, peraltro, la comparazione con gli esercizi precedenti, che può essere effettuata, come ha fatto la Sezione, prendendo a riferimento la suddivisione delle spese per titoli. Dall’esame delle spese in conto capitale emerge che sono stati assunti impegni per € 472.466.590, a fronte di uno stanziamento di competenza di € 523.029.880. I pagamenti ammontano a € 142.275.480. Mentre gli impegni sono aumentati, rispetto al 2011, del 116,74%, i pagamenti sono diminuiti del 22,99%. Con riguardo, invece, alla spesa corrente, gli impegni sono risultati pari a € 877.853.920, inferiori rispetto all’esercizio precedente, a fronte di uno stanziamento di € 985.831.020. Sono stati effettuati pagamenti per € 768.549.350, pressoché in linea con il 2011. I residui passivi totali, da riportare nell’esercizio 2013, risultano complessivamente pari a € 1.276.879.910, con un aumento di circa € 300 milioni rispetto all’annualità precedente. Sono stati, nondimeno, eliminati, in corso di esercizio, residui per € 157.104.640, dei quali € 120.097.580 per perenzione ed € 37.007.060 per prescrizione. Il Patto di stabilità interno, confrontando il risultato conseguito al 31 15 dicembre 2012 con l’obiettivo annuale prefissato, risulta rispettato. L’ammontare complessivo dell’indebitamento al termine dell’esercizio è pari a € 341.294.839,20, di cui € 334.057.923,46 a carico della Regione ed € 7.236.915,74 a carico dello Stato. Più del 60% del debito a carico della Regione è a tasso variabile, il che comporta l’onere di un attento monitoraggio degli interessi, suscettibili di rialzo – con conseguente aumento del costo del debito – in relazione agli andamenti del mercato. La spesa per il personale della Regione ammonta, per il 2012, a complessivi € 31.895.356. Rispetto al 2011 essa ha registrato una lieve flessione, inferiore al 2%. Il divario appare maggiormente rilevante con riguardo alla spesa per la retribuzione dei direttori generali, ridotta del 26,95%. I dati inerenti la spesa sanitaria, sulla quale ci si soffermerà più avanti, corrispondono a quelli della Macro-Funzione Obiettivo n. 8, denominata “Politiche per la salute”: gli impegni complessivi ammontano a € 736.261.948,98, mentre i pagamenti in conto competenza sono pari a € 574.725.685,65. Con riferimento agli equilibri di bilancio, occorre considerare che la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 7 della l. r. n. 23/2012 ha obbligato, come già si è detto, la Regione a riaccertare i residui attivi dell’esercizio 2011. A tale operazione è conseguita la riduzione dell’avanzo di amministrazione, che dagli iniziali € 266.792.285,46 è stato rideterminato in € 211.881.885,08. Ciò ha comportato uno squilibrio nella gestione 2012, nella quale sono state finanziate spese con l’avanzo originariamente accertato, applicato per l’intero in sede di assestamento generale di bilancio. La Sezione ha, inoltre, verificato che l’avanzo 2011 risultante dal riaccertamento non finanzia l’avanzo vincolato previsto nel bilancio di previsione definitivamente assestato dell’esercizio 2012, pari a € 258.589.421,99. Si tratta di partite che vanno riportate nel bilancio 2013, delle 16 quali occorre garantire il vincolo di destinazione. Ne deriva, come si legge nella Relazione, una condizione sostanziale di disavanzo quantificabile in € 127.500.731,99, originato dalla differenza tra l’avanzo di amministrazione 2012, pari a € 131.088.690, e l’importo delle partite vincolate, che la Regione dovrà ricostituire. 2.4. La spesa sanitaria La Relazione del Collegio ricorda che la Regione Molise è sottoposta, sin dal 2007, al Piano di rientro dal disavanzo sanitario. Tali Piani sono uno strumento, di fonte pattizia, elaborato dal legislatore statale per fronteggiare il problema della crescita della spesa sanitaria, nei casi in cui le Regioni non siano in grado di intervenire efficacemente per contenerla. Più in particolare, la legge finanziaria per il 2005 (art. 1, comma 180, della l. 30 dicembre 2004, n. 311) ha stabilito che le Regioni che versano in una situazione di disavanzo sanitario devono procedere alla ricognizione delle relative cause e alla elaborazione di un Piano di riorganizzazione del rispettivo servizio sanitario. Tali Regioni devono, inoltre, stipulare un accordo con i Ministri della Salute e dell’Economia nel quale individuare gli interventi necessari al recupero dell’equilibrio economico. La legislazione finanziaria degli anni seguenti ha previsto che la stipula degli accordi con lo Stato integra, per le Regioni in disavanzo, il presupposto per accedere ai benefici economici da esso stanziati (art. 1, commi 278 ss., l. 23 dicembre 2005, n. 266). Ha, altresì, sottolineato il carattere vincolante degli accordi (artt. 1, comma 796, lett. b) della l. 27 dicembre 2006, n. 296), attribuendo al Governo, nel caso in cui la Regione non rispetti gli adempimenti previsti dal Piano, il potere di nominare, previa diffida alla 17 Regione, un commissario ad acta ed eventuali subcommissari (art. 4 del d.l. 1° ottobre 2007, n. 159, convertito in l. 29 novembre 2007, n. 222, che richiama il procedimento per l’esercizio del potere sostitutivo statale di cui all’art. 8 della l. 5 giugno 2003, n. 131, attuativo dell’art. 120, comma 2, Cost.). La verifica e il monitoraggio del rispetto dei singoli Piani di rientro sono rimessi ad appositi organi, istituiti rispettivamente presso il Ministero dell’Economia e delle Finanza e presso il Ministero della Salute, denominati Tavolo di verifica degli adempimenti e Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza (artt. 9 e 12 dell'Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005). Il Piano di rientro dal disavanzo della Regione Molise è stato siglato il 27 marzo 2007. A seguito della riunione del 10 ottobre 2008, non essendo stati conseguiti gli obiettivi prefissati, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha diffidato la Regione Molise ad adottare tutti gli atti normativi, amministrativi e gestionali che risultassero produttivi di effetti finanziari nel 2008 e idonei alla correzione strutturale della spesa per gli anni successivi. Poiché dalla successiva verifica è emersa la persistenza delle criticità precedentemente evidenziate, il Consiglio dei Ministri, con deliberazione del 28 luglio 2009, ha nominato il Presidente pro tempore della Regione Molise quale commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro. In seguito, al Presidente della Regione è stato affiancato un subcommissario, più volte sostituito. Le verifiche periodiche compiute negli anni seguenti hanno costantemente confermato il mancato adempimento degli obblighi imposti dal Piano. L’ultima riunione di verifica si è svolta il 19 febbraio 2014, e ha avuto ad oggetto l’analisi della bozza del Programma Operativo 2013-2015 trasmessa dalla Regione Molise il 10 dicembre 2013. 18 Secondo quanto risulta dalla nota di sintesi diffusa dal Ministero della Salute a seguito della riunione, gli organi di verifica hanno valutato negativamente il documento, ritenuto non idoneo alla risoluzione delle criticità presenti nella gestione del Servizio Sanitario della Regione. Con l’occasione hanno posto in evidenza come quest’ultima, a sette anni dalla stipula del Piano di rientro, presenti uno squilibrio di cassa e di competenza, fino al 31 dicembre 2012, complessivamente valutato in 334,134 milioni di euro, pari a circa la metà del finanziamento annuale attribuito alla Regione dal riparto nazionale del Fondo Sanitario Regionale. Questo elemento implica l’esigenza che il nuovo Programma Operativo preveda misure in grado di recuperare strutturalmente il disavanzo accumulato. A tal proposito, gli organi di verifica hanno osservato come il disavanzo sanitario regionale, nel periodo 2007-2013, abbia registrato non già una contrazione, come ci si sarebbe dovuti attendere per effetto della sottoscrizione del Piano, bensì un peggioramento, dovuto all’”estremo ritardo nell'attuazione delle azioni di risanamento contenute nel Piano di Rientro”. Sulla base di questo e di altri rilievi, gli organi di verifica hanno ravvisato la sussistenza dei presupposti per un rinnovato esercizio del potere sostitutivo del Governo, che potrà eventualmente estrinsecarsi anche nella nomina di un nuovo commissario ad acta, in sostituzione del Presidente della Regione (art. 2, comma 84, della l. 23 dicembre 2009, n. 191). In termini più generali, hanno ritenuto di segnalare come “la Regione Molise abbia ormai consolidato una rete di offerta assistenziale inefficiente e sovradimensionata per alcuni aspetti, quali ad esempio il settore ospedaliero, rispetto alle reali esigenze espresse dalla popolazione nelle sue componenti di struttura e di dimensione”, esprimendo l’avviso che sia “non più procrastinabile una riprogettazione del SSR”. Al di là del caso concreto, che indubbiamente desta rilevanti preoccupazioni, giustificate dalle chiare valutazioni degli organi preposti alla 19 verifica, è il caso di sottolineare come la soggezione di una Regione al Piano di rientro possa avere dirette conseguenze sulla pressione fiscale subita dalla comunità amministrata. E’ infatti stabilito, come rammenta la Relazione del Collegio, che il mancato raggiungimento degli obiettivi del Piano comporta, con riferimento all'anno d'imposta dell'esercizio successivo, l’applicazione dell'addizionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche e dell'aliquota dell'imposta regionale sulle attività produttive oltre i livelli massimi previsti dalla legislazione vigente, fino all'integrale copertura dei mancati obiettivi (art. 1, comma 796, lett. b) della l. n. 296/2006). Sotto un distinto profilo, la legge prevede che la Regione debba “rimuovere i provvedimenti anche legislativi e (…) non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro” (art. 2, commi 80 e 95, della l. n. 191/2009). La Corte costituzionale non ha mancato di pronunciarsi sulla natura dei vincoli originati dalla sottoscrizione del Piano. Essa ha costantemente ritenuto che i piani di rientro siano riconducibili ai principi di coordinamento della finanza pubblica, e ha dichiarato costituzionalmente illegittime, per contrasto con l’art. 117, comma 3, Cost. (secondo la tecnica della norma interposta, di cui si è detto al paragrafo precedente), la maggior parte delle leggi regionali che, a vario titolo, sono state ritenute non conformi alle previsioni dei piani stessi. Un esempio è offerto dalla sentenza n. 33 del 23 febbraio 2012, relativa proprio a una legge della Regione Molise che aveva dettato disposizioni in materia di assunzione di personale sanitario, pur essendo tale facoltà preclusa dal Piano di rientro. Meritano attenzione, infine, le osservazioni espresse nelle “considerazioni conclusive” del Collegio in ordine all’elevata incidenza, sulla spesa per il personale sanitario, dell’indennità di risultato prevista per i dirigenti, sovente erogata senza previa dimostrazione del raggiungimento degli obiettivi assegnati e addirittura attraverso l’erogazione di acconti in 20 corso d’esercizio. Al riguardo, sembra opportuno ricordare come, nella giurisprudenza della Corte dei conti, una siffatta condotta sia considerata produttiva di danno erariale e fonte di responsabilità amministrativa (cfr., ad esempio, Corte conti. Sez. giur. Veneto, 16 giugno 2009, n. 481). 2.5. Le società partecipate La parte della Relazione del Collegio dedicata alle società di capitale partecipate dalla Regione contiene una esaustiva analisi del quadro normativo di riferimento. Meritano di essere sottolineate, a tal riguardo, le difficoltà applicative che dette norme tendono ad incontrare, rispetto alle quali l’esperienza diretta di questa Procura conduce a conclusioni significativamente coincidenti con quelle rassegnate dalla Sezione. Ci si riferisce, in primo luogo, al fatto che la deliberazione con la quale la Giunta Regionale (d.G.R. n. 1132 del 30 dicembre 2010) ha operato la ricognizione delle proprie partecipazioni, e l’avvio del percorso di dismissione o di mantenimento delle stesse, ai sensi dell’art. 3, commi 27 ss. della l. 24 dicembre 2007, n. 244, non risulta adeguatamente motivata in relazione alle ragioni dell’una o dell’altra soluzione prescelta (dismissione o mantenimento della partecipazione). Sotto altro profilo, viene in considerazione il rapporto intercorrente tra l’Amministrazione regionale e le società c.d. in house. Senza voler ripercorrere, in questa sede, l’evoluzione giurisprudenziale che ha condotto all’individuazione e al progressivo affinamento di tale modello (da ultimo riconosciuto, in modo espresso, anche da alcune norme di legge), è opportuno ricordare come il carattere dell’in house providing consenta 21 a società private di essere direttamente investite dell’affidamento di appalti (senza, dunque, l’espletamento di una procedura di evidenza pubblica), dovendo le stesse essere considerate alla stregua di una articolazione dell’Amministrazione di riferimento. Alcune recenti pronunce, peraltro, hanno precisato come ai tre requisiti tradizionalmente indicati dalla giurisprudenza, europea e nazionale, della partecipazione pubblica totalitaria, del c.d. controllo analogo e dello svolgimento della parte prevalente dell’attività in favore degli enti soci, se ne affianchi un altro, consistente nel divieto, previsto dallo statuto, dell’ingresso di privati nel capitale sociale (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 17 gennaio 2014, n. 221). La peculiare natura delle società in house assume rilievo, in base alla normativa più recente (richiamata nella Relazione), anche sotto il profilo dell’applicazione delle norme che prevedono, per le Amministrazioni, l’obbligo di procedere a selezioni pubbliche per l’assunzione di personale e per l’acquisto di beni e servizi. Un ulteriore, importante stadio di tale progressivo processo di assimilazione è stato raggiunto dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamate a giudicare dell’esistenza della giurisdizione della Corte dei conti sui danni arrecati al patrimonio delle società in questione. Con la sentenza n. 26283 del 25 novembre 2013, la Suprema Corte ha infatti affermato che la Corte dei conti ha giurisdizione sull'azione di responsabilità della Procura Regionale diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per i danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house, “così dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggetta a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici”. 22 La portata innovativa della pronuncia è notevole, se si considera che, con una giurisprudenza inaugurata nel 2009, con la sentenza n. 26806, le stesse Sezioni Unite avevano escluso, in termini generali, la cognizione della Corte dei conti sui danni inferti al patrimonio delle società a partecipazione pubblica, sulla base dei seguenti argomenti: in primo luogo, le società, nonostante la presenza di un socio pubblico, sono pur sempre soggetti privati; in secondo luogo, i loro amministratori e dipendenti non sono legati all’ente socio da un rapporto di servizio; in terzo luogo, non può neppure ipotizzarsi che il danno alla società si rifletta direttamente sul pubblico erario, in ragione del principio dell’autonomia patrimoniale che caratterizza le società di capitali. Tornando alla situazione del Molise, appaiono pienamente condivisibili, sulla base di quanto si è detto poc’anzi in ordine ai requisiti dell’in house providing, le censure espresse dalla Sezione regionale di controllo in ordine all’affidamento diretto di servizi da parte della Regione alla Molise Dati S.p.A. Tale affidamento, infatti, ha avuto luogo allorquando il capitale della società era, in parte, nella disponibilità di un privato. La vicenda era già stata oggetto di esame da parte dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che con la del. n. 46 del 13 luglio 2010 aveva chiarito come la natura mista pubblico-privata della società precludesse in radice la qualificazione della stessa come in house, e rendesse illegittimo l’affidamento diretto di servizi in suo favore. A seguito della deliberazione dell’authority, la Regione ha deciso di procedere all’acquisto della partecipazione privata. La stessa procedura di acquisto, tuttavia, si presta a rilievi non trascurabili. Come ha osservato la Sezione, infatti, la Giunta Regionale ha deliberato la ratifica dell’atto di compravendita delle azioni private, stipulato l’11 novembre 2011, nonostante il relativo prezzo non fosse ancora definito, essendone stata rimessa la 23 determinazione a un terzo arbitratore ai sensi dell’art. 1349 c.c. All’esito della determinazione, che ha attribuito ai titoli un prezzo molto maggiore di quello ipotizzato dalla Regione, quest’ultima si è trovata a far fronte a un’obbligazione pecuniaria per la cui copertura non aveva stanziato le necessarie risorse. Né, come ha rilevato la Sezione, risulta che il relativo impegno sia stato correttamente registrato. Sulla base di questi elementi, appare meritevole di piena adesione la considerazione, espressa dal Collegio, secondo la quale si è trattato “di un’operazione da censurare oltre che sotto il profilo della assoluta assenza di ogni valutazione preventiva sulla convenienza economica della stessa, anche dal punto di vista più strettamente contabile”. 3. Conclusioni In considerazione di quanto sopra, chiedo che la Sezione di Controllo della Corte dei conti per il Molise voglia emettere la pronuncia di regolarità del Rendiconto generale della Regione Molise per l’esercizio finanziario 2012, con le eccezioni e le riserve specificate nella presente memoria. Campobasso, 3 aprile 2014 Il Procuratore Regionale Cons. Carlo Alberto Manfredi Selvaggi 24
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