y(7HA3J1*QSSKKM( +&!z!%!z!$ Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLIV n. 50 (46.592) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano domenica 2 marzo 2014 . Il discorso pronunciato dal Papa durante l’udienza alla plenaria della Pontificia Commissione per l’America latina Infuriano i combattimenti tra l’esercito di Assad e i ribelli Per trasmettere fede e speranza Sangue a Damasco Stiamo “scartando” i nostri giovani e loro stanno lentamente «scivolando nel disincanto». Ma non possiamo abbandonarli: hanno bisogno di chi gli sappia dare «fede e speranza». È il senso del discorso che Papa Francesco ha rivolto ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Commissione per l’America latina nell’incontro che ha avuto lu0go venerdì mattina, 28 febbraio, nella Sala Clementina. Esplicito il riferimento alla situazione dei giovani latinoamericani, oggetto della riflessione dei lavori dell’assemblea appena conclusa: una realtà che il Pontefice conosce bene e che gli sta particolarmente a cuore. Ma il suo pensiero non poteva non abbracciare l’intero mondo giovanile, che in ogni angolo del mondo è alla ricerca di un’«utopia» destinata a infrangersi quotidianamente contro una realtà dura e difficile. Come farvi fronte? Lasciato da parte il testo del discorso già preparato — e da noi pubblicato integralmente nell’edizione di ieri — il Pontefice ha parlato a braccio, offrendo alcune indicazioni racchiuse in un trinomio: memoria, discernimento, utopia. Su questo, ha poi suggerito, si può innestare quel processo che porta alla traditio fidei e dunque alla traditio spei. L’incontro per Papa Francesco è stato anche occasione per richiamare le sue esperienze con i giovani latinoamericani. Ha ricordato, per esempio, come proprio a causa di una «cattiva educazione all’utopia», alcuni giovani argentini appartenenti all’Azione Cattolica, negli anni Settanta, sono finiti tra le fila dei guerriglieri. Poi, per rendere più immediata la percezione del valore del legame generazionale tra anziani e giovani, ha citato Rapsodia in agosto, un film opera del regista giapponese Akira Kurosawa, nel quale viene esaltato il ruolo dei nonni nella con- servazione della cultura tradizionale, anche quando i genitori ne hanno assimilata una diversa. «L’incontro dei ragazzi e dei giovani con i nonni — ha affermato — è decisivo per ricevere la memoria di un popolo e il discernimento sul presente». PAGINA 7 DAMASCO, 1. Sangue in Siria: i combattimenti tra ribelli ed esercito non conoscono tregua a tre anni dall’inizio delle ostilità. Almeno 17 persone, tra le quali donne e bambini, sono state gravemente ferite, ieri, in seguito a colpi di mortaio sulle zone orientali di Damasco. Lo riferisce l’agenzia di stampa ufficiale Sana, che parla di una ragazza in condizioni critiche dopo essere stata ferita. L’attacco — per il quale la Sana accusa non meglio precisati «gruppi di terroristi» — è avvenuto mentre migliaia di manifestanti erano scesi in piazza nel distretto di Mazzeh, a ovest di Damasco, in sostegno del regime del presidente Bashar Al Assad. La situazione è critica anche al confine con il Libano. Due ragazzi sono morti ieri in un raid effettuato dai caccia dell’esercito siriano sull’area di Arsal, località libanese al confine con la Siria. Fonti di stampa precisano che nell’attacco cinque persone sono rimaste ferite. Altre fonti riferiscono di due raid: il primo avrebbe colpito la zona di Khirbit Youneen e Wadi Hmayyed, senza provocare vittime, mentre il secondo avrebbe causato Secondo il Governo ucraino la Russia avrebbe inviato altri seimila soldati in Crimea Alta tensione tra Mosca e Kiev KIEV, 1. Cresce la tensione in Crimea, malgrado i primi accenni di dialogo diplomatico fra Russia e Occidente sulla spinosa questione. Il Governo di Kiev ha denunciato oggi che Mosca ha inviato in territorio ucraino seimila militari. Lo ha fatto sapere il ministro della Difesa, Ihor Tenyukhè, avvertendo che le forze armate nazionali sono state poste in stato di massima allerta nella penisola della Crimea, dove ieri era stata denunciata la presenza di duemila soldati. Dal canto suo, il primo ministro, Arseny Yatseniuk, aprendo stamane il consiglio dei ministri, ha definito inaccettabile la presenza di blindati russi nel centro di città ucraine, sollecitando Mosca a cessare ogni operazione militare. «La presenza inade- guata dei militari russi in Crimea è una provocazione, ma i tentativi di fare reagire l’Ucraina con la forza sono falliti» ha detto il capo del Governo. «Per questo — ha precisato — chiediamo alla Federazione russa e alle autorità che ritirino le proprie forze armate nelle basi militari». Lo stesso primo ministro ha poi annunciato che il referendum sullo status della Crimea all’interno dell’Ucraina è stato anticipato dal 25 maggio al 30 marzo prossimo. La Crimea è già una Repubblica autonoma. La penisola, che si protende nel Mar Nero, già territorio russo, venne donata nel 1954 da Nikita Kruschev a Kiev, all’epoca una delle Repubbliche sovietiche. Quattro giorni fa, il Parlamento locale aveva deciso di tenere un refe- Udienza al primo ministro di Romania Nella mattinata di sabato 1° marzo, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in udienza il primo ministro della Romania, Victor-Viorel Ponta, che successivamente ha incontrato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato dall’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. Il primo ministro ha portato i saluti del Patriarca ortodosso Daniele. Al centro dei colloqui, svoltisi in un clima di cordialità, sono stati i temi della famiglia, dell’educazione, della libertà religiosa e della salvaguardia dei valori comuni, nel contesto della proficua cooperazione tra la Santa Sede e la Romania a livello bilaterale e nell’ambito della comunità internazionale. Nel rilevare il potenziale della Chiesa Cattolica per contribuire al bene comune dell’intera società, sono state toccate anche alcune questioni aperte che interessano la comunità cattolica in Romania. Infine, c’è stato uno scambio di opinioni sull’attuale situazione internazionale, in particolare ribadendo l’auspicio che si persegua la via del dialogo e del negoziato per porre fine ai vari conflitti che affliggono il mondo. rendum sull’ampliamento dell’autonomia di Simferopoli da Kiev il 25 maggio, che è anche la data delle elezioni anticipate presidenziali in Ucraina. E mentre fonti dell’Amministrazione statunitense hanno segnalato movimenti militari russi in Crimea via aria e via mare, sulla grave crisi è intervenuto anche il presidente, Barack Obama, che ha lanciato un monito alle autorità di Mosca. «La situazione è fluida, ma un intervento militare — ha detto, senza specificare — sarebbe una grave violazione del diritto internazionale e avrebbe un costo». Obama ha assicurato che Washington sarà a fianco della comunità internazionale e si adopererà per l’integrità territoriale ucraina. Convocato su richiesta di Kiev, si è riunito ieri sera il Consiglio di sicurezza dell’Onu. L’ambasciatore ucraino, Iuri Sergeyev, ha chiesto aiuto, mentre la rappresentante statunitense, Samantha Power, ha auspicato che si attivi subito una mediazione internazionale. Dopo una serie di telefonate con il primo ministro britannico, David Cameron, il cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il presidente dell’Unione europea, Herman van Rompuy, è stato il presidente russo, Vladimir Putin, rompendo giorni di silenzio, a invitare alla calma per evitare ogni escalation. E in tutto questo — proprio mentre l’Unione europea definisce legittimo il nuovo Governo transitorio di Kiev, dicendosi pronta a firmare un accordo di associazione con l’Ucraina — il deposto presidente, Viktor Ianukovich, è riapparso per la prima volta in pubblico, in Russia. Durante una conferenza stampa a Rostov, sul Don, ha bollato il nuovo Governo rivoluzionario come «neofascista», accusando la «politica irresponsabile dell’Occidente per la crisi e i morti di una sceneggiatura non scritta in Ucraina». Subito dopo, le nuove autorità di Kiev hanno chiesto ufficialmente alla Russia l’estradizione dell’ex capo dello Stato. Oggi l’inserto mensile Donne e arte IN ALLEGATO — sempre nella stessa area — due vittime. «Per modalità e per tipologia delle vittime, i crimini commessi in Siria sono assai più gravi di quelli perpetrati nella ex Jugoslavia» ha dichiarato ieri Carla del Ponte, ex procuratore capo del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia e ora membro della commissione di inchiesta sulla Siria. «Non esistono buoni e cattivi, e tutte le parti commettono crimini». Del Ponte e gli altri membri della commissione d’inchiesta Onu sono in questi giorni impegnati in incontri a porte chiuse, nel sud della Turchia, con rifugiati siriani e dissidenti. Il mandato della commissione, presieduta dal brasiliano Paulo Sérgio Pinheiro, è già scaduto e il cinque di questo mese sarà presentato a Ginevra il rapporto conclusivo dell’inchiesta. Ma a suscitare le preoccupazioni della comunità internazionale è soprattutto l’emergenza dei profughi. Quello siriano sta diventando il più grande gruppo di profughi al mondo, superato per il momento solo dagli afghani. Secondo l’Alto commissario per i rifugiati dell’Onu, António Guterres, le persone registrate come profughi causati dalla guerra sono quasi due milioni e mezzo. Se la tendenza attuale dovesse proseguire, ha aggiunto l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, ci si attende che il numero di profughi raggiunga i quattro milioni entro la fine dell’anno. E pochi giorni fa le autorità di Damasco hanno reso noto che intendono cooperare con le Nazioni Unite nell’ambito del «rispetto della sovranità della Siria» per la fine delle violenze e per l’apertura di corridoi umanitari. Nuovi disordini a Caracas L’Onu condanna le violenze in Venezuela PAGINA 2 Accanto a Papa Giovanni Uomini armati a Simferopoli dietro un cartello che rivendica l’appartenenza russa della Crimea (LaPresse/Ap) LORIS FRANCESCO CAPOVILLA A PAGINA 6 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza: le Loro Eminenze Reverendissime i Signori Cardinali: — Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi; — José Manuel Estepa Llaurens, Arcivescovo Ordinario Militare emerito per la Spagna, in visita «ad limina Apostolorum»; le Loro Eccellenze Reverendissime i Monsignori: — Santiago García Aracil, Arcivescovo di Mérida-Badajoz (Spagna), in visita «ad limina Apostolorum»; — Braulio Rodríguez Plaza, Arcivescovo di Toledo (Spagna), con l’Ausiliare, Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Ángel Fernández Collado, Vescovo titolare di Iliturgi, in visita «ad limina Apostolorum»; — Juan del Río Martín, Arcivescovo Ordinario Militare per la Spagna, in visita «ad limina Apostolorum»; — Francisco Cerro Chaves, Vescovo di Coria-Cáceres (Spagna), in visita «ad limina Apostolorum»; — Amadeo Rodríguez Magro, Vescovo di Plasencia (Spagna), in visita «ad limina Apostolorum»; — Ciriaco Benavente Mateos, Vescovo di Albacete (Spagna), in visita «ad limina Apostolorum»; — Antonio Ángel Algora Hernando, Vescovo di Ciudad Real (Spagna), in visita «ad limina Apostolorum»; — José María Yanguas Sanz, Vescovo di Cuenca (Spagna), in visita «ad limina Apostolorum»; — Atilano Rodríguez Martínez, Vescovo di Sigüenza-Gua- dalajara (Spagna), in visita «ad limina Apostolorum». Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Victor-Viorel Ponta, Primo Ministro della Romania, con la Consorte, e Seguito. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Fernando Zegers Santa Cruz, Ambasciatore di Cile, in visita di congedo. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia all’ufficio di Vescovo della Diocesi di České Budějovice (Repubblica Ceca), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Jiři Paďour, OFMCAP., in conformità al canone 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 domenica 2 marzo 2014 Nuovi disordini a Caracas La decisione del supremo tribunale federale L’Onu condanna le violenze in Venezuela Nuova sentenza in Brasile sul Mensalão CARACAS, 1. Le Nazioni Unite condannano le violenze in Venezuela. L’alto commissario per i Diritti umani, Navi Pillay, ha espresso viva preoccupazione per gli scontri che hanno causato morti e feriti e per l’uso eccessivo della forza da parte delle autorità. In un comunicato diffuso a Ginevra, Pillay ha esortato il Governo e l’opposizione al dialogo e ha chiesto indagini imparziali su «ogni caso di morte o ferimento». Pillay si è detta preoccupata anche per l’alto numero di persone arrestate e per le notizie di persone detenute in isolamento. «Le persone detenute solo per aver esercitato i propri diritti devono essere immediatamente rilasciate», ha affermato. Secondo l’esponente delle Nazioni Unite, «questa crisi sarà risolta solo se i diritti umani di tutti i Venezuelani sono rispettati; la retorica incendiaria delle parti è assolutamente inutile e rischia di accentuare le tensioni». È giunto il tempo «di andare oltre l’aggressione verbale e di approdare al dialogo» ha sottolineato il commissario delle Nazioni Unite. Sulla crisi venezuelana è intervenuto, sempre ieri, il segretario di Stato americano, John Kerry, che in un incontro con i giornalisti ha anch’egli auspicato il dialogo tra le parti coinvolte. «Devono — ha detto Kerry — tendersi la mano e avere un dialogo, riunire la gente e risolvere i loro problemi: abbiamo bisogno di dialogo, non di violenze e di arresti». Sul terreno, comunque, la situazione resta estremamente critica. Tre settimane di scontri politici in Venezuela sono costate la vita ad almeno 17 persone: il bilancio è stato fornito dalla procuratrice generale, Luisa Ortega, secondo la quale durante le proteste ci sono stati anche 261 feriti. Le dimostrazioni organizzate a Caracas e in altre città venezuelane per protestare contro l’aumento della criminalità e la crisi economica sono degenerate in violenti scontri fra gruppi di giovani e la polizia. A far salire ulteriormente la tensione è stata poi la decisione del Governo di arrestare alcuni esponenti di spicco dell’opposizione. BRASILIA, 1. È stata respinta l’accusa di associazione a delinquere a carico di otto condannati nell’ambito del processo sul Mensalão, lo scandalo delle tangenti politiche in Brasile scoppiato nel 2005. Oltre a vedersi ridurre le pene, molti degli incriminati (tra i quali l’ex braccio destro di Lula, José Dirceu) ora potranno lasciare il carcere prima del previsto. La decisione — resasi necessaria dopo l’ammissione di nuovi ricorsi — è stata annunciata ieri dal supremo tribunale federale brasiliano con una maggioranza di sei voti a cinque. Il risultato ha così capovolto una precedente sentenza dello stesso tribunale, emessa nel 2012 e in cui il capo di imputazione era invece stato accolto. Determinanti per l’assoluzione dalla nuova condanna sono stati i voti dei giudici Luís Roberto Barroso e Teori Zavascki, nominati dalla presidente Dilma Rousseff. Critico nei confronti del verdetto è stato invece il giudice Joaquim Barbosa, presidente del tribunale, secondo il quale quello del voto è stato «un giorno triste». Lo scandalo del Mensalão causò nel giugno del 2005 una grave crisi nel Governo brasiliano guidato dall’allora presidente Luiz Inácio Lula da Silva, sempre dichiratosi estraneo alla vicenda. D all’inizio delle proteste, partite il 4 febbraio dalla città di San Cristóbal, capitale dello Stato di Táchira, la polizia ha arrestato circa seicento persone. E anche ieri, nelle strade di Caracas, la tensione è stata altissima. Sono infatti registrati nuovi scontri tra qualche centinaio di manifestanti e le forze dell’ordine; segnalati lanci di pietre e di bombe molotov. I tafferugli hanno interessato soprattutto il quartiere di Chacao, nella parte est della capitale. Stando a quanto riferiscono le autorità non ci sarebbero vittime né feriti. Per cercare di riportare la calma, il presidente Maduro ha aperto due giorni fa una conferenza per il dialogo nazionale, che tuttavia è stata boicottata dall’opposizione. Nelle intenzioni di Maduro, la conferenza dovrebbe servire per arginare i disordini attraverso «il dialogo e l’azione per la difesa della Costituzione e della pace». Uno dei partiti di opposizione Voluntad Popular, il cui leader Leopoldo López è già in carcere, ha visto arrestare anche il proprio coordinatore politico, Carlos Vecchio, provvedimento duramente contestato dalle formazioni contrarie a Maduro. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt 00120 Città del Vaticano Salto nel buio per migliaia di migranti Si è dimesso il Governo di Cipro [email protected] http://www.osservatoreromano.va Nominati da Renzi 9 viceministri e 35 sottosegretari ROMA, 1. Il presidente del Consiglio dei ministri italiano, Matteo Renzi, ha completato venerdì la composizione della compagine governativa con la nomina di 35 sottosegretari e 9 viceministri. Fra le 43 nomine, figurano solo 9 donne. In totale, compresi i ministri già in carica, le esponenti di sesso femminile rappresentano il 27 per cento, quota analoga a quella del precedente Governo guidato da Enrico Letta. LONDRA, 1. L’immigrazione è sempre di più un tema cruciale nel dibattito politico britannico. Il premier David Cameron deve fare i conti con nuovi arrivi, soprattutto dall’Unione europea. E aumenta il fronte politico di coloro che chiedono maggiori controlli alla frontiera. L’ufficio nazionale di statistiche ha reso noto ieri che nel Paese si registra un aumento di arrivi provenienti soprattutto dall’Ue. In particolare da Polonia, Spagna, Portogallo e anche Italia. I dati si riferiscono al periodo settembre 2012 settembre 2013. Nel dettaglio, si cal- direttore responsabile TIPO GRAFIA VATICANA EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO Carlo Di Cicco don Sergio Pellini S.D.B. vicedirettore Gaetano Vallini segretario di redazione MADRID, 1. Si fa ogni giorno più critica la situazione a Melilla e a Ceuta — le due enclaves spagnole in Marocco — che per i migranti africani rappresentano una delle vie più tentate per entrare in Europa. I centri di accoglienza temporanea hanno un numero di persone tre volte superiore alle loro capacità e non c’è giorno in cui non vi siano tentativi di ingresso. Si stima che negli ultimi nove anni circa quarantamila persone abbiano cercato di superare la stretta sorveglianza e le reti di protezione: diverse migliaia di migranti ci sono riusciti, molti altri sono stati respinti, e alcune decine vi hanno trovato la morte cercando di entrare via mare (come è accaduto a quindici uomini annegati il 6 febbraio a largo di Ceuta). Uomini, donne e ragazzi, stremati dalla fame e dalla disperazione, si radunano vicino alle due cittadine in attesa del momento migliore per tentare l’ingresso. Come è avvenuto ieri, quando in 350 hanno cercato di passare per il varco di Beni Enzar: duecento ci sono riusciti, e sono stati trasferiti nei centri di accoglienza, o meglio nelle tende supplementari allestite dall’esercito e dalla Croce rossa. Persiste dunque in quest’area una situazione di grave emergenza in cui troppo spesso il viaggio della speranza si traduce in una realtà di ulteriore sofferenza, se non di morte. NICOSIA, 1. I ministri ciprioti hanno rassegnato ieri le dimissioni per facilitare i cambiamenti nel Governo dopo la decisione del Partito democratico (Diko, di destra, guidato da Nicolas Papadopoulos) di uscire dalla coalizione con Adunata democratica (Disy, di centrodestra, del presidente della Repubblica, Nicos Anastasiades). Diko ha lasciato l’Esecutivo per disaccordi con il capo dello Stato sulla gestione dei negoziati, di recente riavviati con la controparte turco-cipriota, per la riunificazione dell’isola. Lo riferiscono i media. Anastasiades — parlando con i giornalisti durante una conferenza stampa a Nicosia — ha detto di avere chiesto ai ministri di rimanere ai loro posti sino a quando non verrà effettuato un rimpasto di Governo, che per gli analisti potrebbe avvenire al massimo entro il prossimo 15 marzo. La decisione dei ministri di rassegnare le dimissioni è arrivata anche a poche ore dal voto con cui il Parlamento ha respinto un disegno di legge per la privatizzazione delle aziende a partecipazione statale, previsto nel memorandum firmato l’anno scorso da Nicosia con la troika (Fondo monetario internazionale, Commissione europea e Banca centrale europea) in cambio di aiuti economici per uscire dalla grave crisi finanziaria. Ieri, avevano annunciato le dimissioni entro mercoledì prossimo i quattro ministri del Diko (sugli 11 che formano il Governo): quello dell’Energia, Commercio, Industria e Turismo, Yiorgos Lakkotrypis; dell’Istruzione e della Cultura, Kyriakos Kenevezos; della Salute, Costas Petrides; e della Difesa, Photis Photiou. Aumentano gli ingressi in Gran Bretagna dai Paesi dell’Ue GIOVANNI MARIA VIAN caporedattore L’ex presidente brasiliano Lula da Silva (Reuters) Dopo le divisioni all’interno della coalizione di maggioranza Migranti scavalcano la recinzione a Melilla (LaPresse/Ap) Piero Di Domenicantonio SANTIAGO DEL CILE, 1. «Per me è un enorme onore e fonte di orgoglio». Ha commentato così Isabel Allende la nomina a presidente del Senato del Cile. Scrittrice di fama mondiale e figlia del presidente socialista morto nel golpe del 1973, Allende sarà la prima donna a ricoprire questo incarico nella storia del Paese. È stata scelta e nominata da Nueva Mayoría, la coalizione di centro sinistra uscita vincitrice dalle elezioni dello scorso dicembre, che si insedierà nel Parlamento cileno il prossimo 11 marzo. Allende ha dichiarato di sperare che il suo nuovo ruolo aiuti altre donne a entrare nel mondo della politica, esprimendo inoltre la propria soddisfazione nel ricoprire lo stesso incarico che dal 1966 al 1969 fu di suo padre. Il primo compito di Allende sarà quello di presiedere al giuramento di Michelle Bachelet, che ritorna alla presidenza del Cile, dopo un primo mandato tra il 2006 e il 2010. L’accordo di coalizione che ha portato Allende alla presidenza del Senato prevede che dopo un anno l’incarico sia affidato a Patricio Walker, senatore della Democracia cristiana, partito che negli anni Settanta si oppose a Salvador Allende, ora alleata dei socialisti nella maggioranza di Governo. Sempre più critica la situazione a Ceuta e a Melilla Promosso dalla troika il risanamento di Lisbona LISBONA, 1. I rappresentanti della troika (Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale, Unione europea) hanno promosso ieri il programma di risanamento del Portogallo. Al termine della nuova missione a Lisbona, la troika ha emesso un comunicato in cui si afferma che la ripresa economica si va rafforzando e si evidenzia che il deficit del 2013 è al 4,5 per cento, ovvero «ben al di sotto delle previsioni iniziali». Il verdetto sulla revisione del programma economico portoghese, che sbloccherà 2,5 miliardi del prestito da 78 miliardi concesso a Lisbona, è atteso ad aprile. Sempre ieri il Governo di Lisbona ha ribadito, dopo la valutazione positiva espressa dai rappresentanti della troika, che l’obiettivo resta quello di uscire a maggio dal programma di salvataggio. Intanto nel Paese hanno avuto luogo nuove proteste contro le misure di austerità approvate dal Parlamento. Nella giornata di ieri migliaia di persone hanno protestato a Lisbona e in altre città nell’ambito di manifestazioni organizzate dal maggiore sindacato portoghese, il Cgtp. La protesta è diretta in particolare contro il taglio degli stipendi pubblici e delle pensioni. Isabel Allende eletta presidente del Senato cileno direttore generale colano 212.000 nuovi arrivi rispetto ai 154.000 dello stesso periodo per l’anno precedente. Circa il settanta per cento per lavoro, il trenta per cento per studio. Il numero dei cittadini europei è aumentato a 209.000 da 149.000. Per gli italiani si registra inoltre un primato: sono oltre 44.000 quelli ai quali lo scorso anno è stato attribuito nel Regno Unito il National Insurance Number (equivalente al codice fiscale), il 66 per cento in più rispetto al 2012. Si tratta dell’aumento maggiore registrato tra i Paesi di provenienza. Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va Comunque, il dato generale diffuso dall’istituto di statistica britannico — riferiscono gli analisti — è parziale e limitato a chi appunto richiede il National Insurance Number (che nel Paese potrebbero essere giunti da molto tempo) e andrebbe combinato con il sommerso, ovvero il dato non dichiarato. Tuttavia, resta indicativo di una tendenza che sembra andare nella direzione opposta a quella auspicata dal Governo, il cui obiettivo è di limitare gli arrivi a meno di 100.000 all’anno entro il 2015. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Proteste ad Atene contro i licenziamenti ATENE, 1. Centinaia di funzionari greci hanno manifestato ieri per le strade di Atene per protestare contro i numerosi licenziamenti nell’ambito della ricostruzione del settore pubblico. Il Governo greco aveva infatti promesso ai rappresentanti della troika (Unione europa, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) di licenziare, nell’arco del 2014, 11.500 dipendenti per ridurre la spesa pubblica e per poter continuare a beneficiare dei prestiti internazionali. I manifestanti si sono radunati di fronte al ministero delle Riforme amministrative per poi essere allontanati dalla polizia in tenuta antisommossa. Successivamente i dimostranti si sono diretti verso il ministero delle Finanze, dove sono stati nuovamente respinti dalle forze dell’ordine. Tra i lavoratori scesi ieri in piazza vi sono stati anche numerosi insegnanti. Riferiscono i media locali che durante la manifestazioni sono divampati scontri con gli agenti di polizia che hanno fatto uso di gas lacrimogeni per disperdere la folla. Concessionaria di pubblicità Il Sole 24 Ore S.p.A System Comunicazione Pubblicitaria Aziende promotrici della diffusione de «L’Osservatore Romano» Intesa San Paolo Alfonso Dell’Erario, direttore generale Romano Ruosi, vicedirettore generale Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 Società Cattolica di Assicurazione [email protected] Banca Carige Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO domenica 2 marzo 2014 pagina 3 Criticato per l’incapacità di arginare le violenze il presidente nigeriano promette una rapida soluzione I manifestanti tolgono gli accampamenti a Bangkok In guerra contro i miliziani di Boko Haram La crisi thailandese resta irrisolta ABUJA, 1. Il presidente della Nigeria, Jonathan Goodluck, ha dichiarato ieri che il Paese è in guerra contro i miliziani islamisti di Boko Haram, in seguito ai numerosi, efferati attacchi che negli ultimi giorni hanno provocato decine di vittime. L’amministrazione del presidente Goodluck, ricordano le agenzie di stampa internazionali, è stata criticata per la sua presunta incapacità di fermare gli attacchi contro i civili indifesi. Dal canto suo il capo di Stato nigeriano ha definito invece «un grande successo» l’offensiva militare contro Boko Haram nel nord del Paese, aggiungendo che presto «la situazione tornerà alla normalità». Al momento, tuttavia, sembra difficile che la situazione possa essere normalizzata in tempi brevi. I miliziani infatti non danno tregua con i loro attacchi indiscriminati contro uomini, donne e bambini. Violenze che hanno di conseguenza causato distruzione e miseria in varie parti del Paese. Nei giorni scorsi un responsabile dell’amministrazione del distretto di Madagali, Mallam Maina Ularamu, ha lanciato un allarme riguardo alla situazione nella zona a confine tra gli Stati di Borno e Adamawa. A causa delle violenze, sono giunte nelle ultime settimane migliaia di persone sono giunte nella zona co- Civili nigeriani costretti ad abbandonare le proprie abitazioni (Reuters) strette ad abbandonare la località di Izge dove i miliziani avevano ucciso due donne e un uomo e poi dato alle fiamme alcune abitazioni. Si è trattato di un episodio tra i tanti che hanno indotto gran parte della po- polazione a temere sempre più per la propria incolumità. Nel maggio scorso il presidente aveva lanciato un’offensiva militare a Borno, Adamawa e nello Stato di Yobe per cercare di arginare le vio- Coprifuoco nella città libica di Sebha Netanyahu atteso a Washington S’infiamma il confine tra Gaza e Israele TEL AVIV, 1. Ancora tensione al confine tra la Striscia di Gaza e Israele. Una donna palestinese è stata uccisa, oggi, nel sud del territorio controllato da Hamas da colpi sparati dall’esercito israeliano al confine. Lo riferiscono fonti palestinesi; nessuna smentita da parte israeliana. L’episodio segue di poche ore un raid israeliano nel nord della Striscia: l’obiettivo, come riferiscono fonti militari, era una postazione per il lancio di razzi. Dopo circa un anno di calma relativa — sottolinea la France-Presse — nelle ultime settimane si è assistito a un incremento degli incidenti , con diversi lanci di razzi da parte di miliziani palestinesi e rappresaglie israeliane. Intanto, gli occhi della diplomazia internazionale guardano a Washington, dove è atteso il premier israelia- Ancora violenze in Egitto IL CAIRO, 1. Un manifestante è morto ieri durante gli scontri al Cairo tra sostenitori e oppositori dell’ex presidente Mohammed Mursi, destituito dall’esercito. Lo ha reso noto il ministero della Sanità, aggiungendo che altre sedici persone sono state ferite, nove delle quali in modo grave. Oltre quattromila sostenitori di Mursi hanno manifestato per ore nel quartiere di Ain Shams della capitale, paralizzando il traffico. Manifestazioni simili si sono svolte nelle città di Alessandria, Suez e Ismailia, oltre che nelle province di Ben Sueif e Minya. Ad Alessandria incidenti sono stati segnalati dopo che alcuni cittadini hanno cercato di zittire i manifestanti, in gran parte esponenti dei Fratelli musulmani, che intonavano slogan contro l’esercito e il Governo. Dallo scorso dicembre, i Fratelli musulmani, cui appartiene il deposto presidente, sono stati dichiarati fuorilegge. E in considerazione del progressivo deterioramento della situazione di sicurezza, Italia, Belgio, Olanda e Germania hanno sconsigliato ai propri cittadini di recarsi in Egitto, in particolare nel Sinai e a Sharm el Sheikh, per il timore di attentati. no, Benjamin Netanyahu, che dovrebbe incontrare lunedì alla Casa Bianca il presidente Barack Obama. Pochi giorni fa, il segretario di Stato americano, John Kerry, aveva annunciato che i colloqui di pace diretti tra israeliani e palestinesi, che sulla carta avrebbero dovuto durare nove mesi, si estenderanno oltre la scadenza prefissata, ovvero fino alla fine di aprile. La visita del presidente palestinese Abu Mazen a Washington è prevista per il 17 marzo. I negoziati di pace tra israeliani e palestinesi sostenuti dagli Stati Uniti, ripresi a luglio scorso dopo tre anni di stallo, sono al momento bloccati. Kerry, che nei mesi scorsi ha effettuato undici viaggi in Israele e in Cisgiordania, sta lavorando con entrambe le parti per dirimere alcune questioni chiave, come quelle degli insediamenti e dei profughi palestinesi, in vista di un accordo quadro. Il principale obiettivo della Casa Bianca è di arrivare a un’intesa generale, su tutti i punti, entro la fine dell’anno. Nonostante le difficoltà, Kerry ha sempre ribadito l’impegno di Washington per una giusta soluzione del conflitto che guardi nella direzione della formazione di due Stati autonomi e sovrani, in pace tra loro. TRIPOLI, 1. Un coprifuoco in vigore dalle 22 alle 7 nella città libica di Sebha per «bloccare le minacce alla sicurezza» e per «arginare le violenze causate da quanti intendono andare contro la pace» è stato ieri annunciato dal portavoce dell’unità responsabile delle operazioni militari nel sud, Ala Al Huwaik. Dal mese scorso la località di Sebha è teatro di scontri tra esponenti della tribù Awlad Soliman, di origine araba, e quelli di origine africana dei Tabu, che hanno provocato finora un centinaio di vittime. Oltre ad aver decretato lo stato di emergenza, le autorità libiche hanno dispiegato rinforzi militari a Sebha, bastione dell’ex colonnello Gheddafi. Le violenze hanno finito per avere ripercussioni sul voto per l’Assemblea costituente. Il presidente dell’Alta commissione elettorale nazionale, Nuri Elabbar, ha dichiarato che a causa dell’insicurezza e dei sabotaggi da parte di gruppi etnici, la seconda tornata elettorale non si è potuta tenere in numerosi seggi. Elabbar ha aggiunto che una terza tornata non sarà organizzata e sarà il Parlamento a decidere che cosa fare degli 11 seggi, su 60, vacanti. I primi 49 seggi sono stati assegnati dal 45 per cento degli aventi diritto andati alle urne il 20 febbraio. lenze scatenate dai miliziani di Boko Haram, che si battono per rovesciare il Governo federale di Abuja e imporre la legge islamica nel Paese. Ma finora la lotta non ha dato i risultati sperati. E proprio nello Stato di Yobe, nei giorni scorsi, i miliziani islamisti hanno perpetrato una strage di studenti, nell’attacco contro il collegio Buni Yadi. Nell’azione destabilizzante dei terroristi sono proprio le scuole a essere uno degli obiettivi più colpiti: molte sono state date alle fiamme, con un conseguente pesante bilancio di vittime. Proprio nella città di Yobe, nel settembre scorso, erano stati uccisi quaranta studenti durante un attacco compiuto contro un centro per la formazione agraria. Dopo questa strage, il governatore dello Stato, Ibrahim Gaida, ha rivolto critiche al Governo di Abuja perché le forze di sicurezza sarebbero giunte troppo tardi sul luogo della strage una volta interpellate d’urgenza. «Per ben cinque ore non c’erano agenti in grado di impedire quello che stava accadendo» ha affermato in un comunicato il governatore. E in questi giorni si è tenuta ad Abuja una conferenza internazionale sulla pace e la sicurezza in Africa alla quale ha preso parte anche il presidente francese, Fraçois Hollande. Emergenza siccità in Malaysia Razionata l’acqua a Kuala Lumpur re in un unico accampamento nel parco Lumphini. Tuttavia, rimarranno operativi — e gestiti da gruppi affiliati — altri tre bivacchi attorno ad alcuni palazzi istituzionali, tra cui la sede dell’Esecutivo. Nelle ultime settimane, le difficoltà logistiche ed economiche di una protesta che va avanti ormai da fine ottobre sono state comunque evidenti, con presidi semivuoti sorvegliati solo da un minaccioso servizio di sicurezza reclutato dal sud, feudo dell’opposizione. Una serie di violenze — sparatorie, attacchi esplosivi e scontri con le forze dell’ordine, che hanno provocato 21 morti e oltre settecento feriti — ha progressivamente fatto calare la partecipazione della borghesia di Bangkok, che continua comunque a sostenere compatta la lotta contro il Governo. Ma anche se le strade di Bangkok torneranno libere, la crisi politica rimane al momento irrisolvibile. Suthep, che chiede l’istituzione di un Consiglio del popolo nominato dagli ambienti monarchici, non ha mai accettato alcun compromesso. La sua offerta di un dibattito televisivo con Yingluck è stata respinta ieri dal Governo, che ribadisce la sua legittimità proveniente dal trionfo elettorale del 2011 e, probabilmente, anche del voto anticipato del 2 febbraio. Dato il boicottaggio dell’opposizione — sostenuta dall’élite tradizionale vicina alla monarchia — e l’ostruzionismo della protesta, l’esito della consultazione elettorale del mese scorso ancora non è stato ancora reso noto e Yingluck — appoggiata dalle classi medio-basse rurali — rimane precaria nella posizione di primo ministro ad interim. La crisi politico-istituzionale rischia, quindi, di trascinarsi ancora a lungo. Svolta in Cina sulla sicurezza informatica mezzo di persone. Anche nella capitale, Kuala Lumpur — dopo due mesi di siccità, accompagnata da temperature sopra la media — è previsto un razionamento del prezioso liquido. Si temono pesanti conseguenze sull’economia di quello che è il primo esportatore al mondo di gomma e il secondo produttore di olio di palma, oltre che sul pregiato export di frutta esotica e fiori. PECHINO, 1. Il presidente cinese, Xi Jinping, presiederà un gruppo di lavoro del Partito Comunista Cinese sulla sicurezza cibernetica del Paese. «Senza sicurezza su internet non c’è sicurezza nazionale» ha dichiarato il presidente, secondo i media cinesi. «Senza informatizzazione non c’è modernizzazione» ha aggiunto Xi Jinping. Il presidente ha quindi dichiarato che la Cina «deve sforzarsi di diventare una potenza cibernetica». Il gruppo di lavoro avrà due vice presidenti, il premier Li Keqiang e il membro dell’ufficio politico comunista Liu Yunshan. In Cina — come sottolineano numerose fonti di stampa — la rete internet è strettamente controllata dal Governo, che impedisce l’accesso del pubblico ai siti considerati pericolosi. Uccisi cinque talebani in Afghanistan Sangue sulle vaccinazioni in Pakistan KABUL, 1. Non si fermano le violenze in Afghanistan, mentre si acuiscono le divergenze tra l’Afghanistan da un lato e gli Stati Uniti e la Nato dall’altro, in merito al mancato accordo sulla sicurezza. Ieri cinque talebani sono morti in un raid di un drone statunitense (velivolo senza pilota) nella provincia di Kunar. Come accade anche in Pakistan, la strategia dei droni è un motivo di contenzioso anche fra Kabul e Washington, con le autorità afghane che esprimono riserve sui droni perché ritenuti una minaccia per l’incolumità della popolazione. Il Pentagono replica che, fatta salva la volontà di non nuocere ai civili, finora tale strategia ha permesso di distruggere numerosi postazioni talebane. ISLAMABAD, 1. Nuovi attacchi dei talebani in Pakistan contro la campagna antipolio. Oggi attentati dinamitardi nel distretto di Khyber hanno provocato la morte di tredici poliziotti, che stavano scortando una squadra di medici impegnati nelle vaccinazioni. Si è poi appresso che anche un bambino è rimasto vittima degli attentati. Un commando di miliziani ha lanciato alcuni ordigni in un’area dove erano radunati medici e i volontari, sopravvissuti all’attacco. Si stima che nel 2013 in Pakistan più di trenta medici, impegnati nella campagna antipolio, siano rimasti uccisi negli attacchi compiuti dai miliziani. Il Pakistan è tra l’altro l’unico Paese dove il numero di nuovi casi di polio è stato segnalato in aumento nel 2013. Un corso d’acqua quasi asciutto (Reuters) KUALA LUMPUR, 1. Molte zone della Malaysia sono state colpite dalla siccità, insuale in un Paese dove le piogge sono una costante dovuta alla vicinanza all’Equatore e alla posizione geografica. Particolarmente colpiti gli Stati di Selangor, Johor e Negeri Sembilan, dove il livello dell’acqua negli invasi per l’approvvigionamento è già sceso del 50 per cento. Emergenza per due milioni e Tra il Governo di Manila e i guerriglieri musulmani del sud dell’arcipelago Verso un accordo di pace nelle Filippine Il presidente filippino (Afp) BANGKOK, 1. Il leader della protesta monarchico-nazionalista contro il Governo thailandese, l’ex vice premier Suthep Thaugsuban, ha annunciato che da domani, domenica, il suo movimento abbandonerà tutti gli accampamenti nel centro di Bangkok, a eccezione di quello nel parco Lumphini. Ma l’epilogo della crisi politica che lacera il Paese asiatico sembra ancora molto lontano. L’ex vice premier ha parlato durante uno degli abituali comizi alla folla di manifestanti, specificando di volere comunque continuare la lotta per ottenere le dimissioni del Governo di Yingluck Shinawatra. La mossa di Suthep rappresenta in sostanza la fine dell’operazione Bangkok Shutdown (paralisi di Bangkok) lanciata lo scorso 13 gennaio, una strategia che ha portato immensi disagi ai residenti della capitale, incidendo pesantemente anche sugli arrivi turistici. «Restituiremo ogni incrocio alla popolazione di Bangkok e da lunedì non paralizzeremo più la capitale» ha annunciato Suthep. In pratica, il movimento antigovernativo abbandonerà i centralissimi presidi di Phatumwan, Ratchaprasong e Asok, situati lungo l’arteria stradale principale di Bangkok, per conflui- MANILA, 1. Il Governo delle Filippine e i leader della ribellione musulmana nel sud dell’arcipelago asiatico firmeranno entro la fine di marzo gli attesi accordi di pace. Intese che porranno fine a una delle guerriglie più lunghe e sanguinose dell’Asia. Lo ha reso noto ieri il primo ministro della Malaysia, Najib Razak, precisando che il presidente delle Filippine, Benigno Aquino III, lo ha invitato a Manila per la cerimonia della firma, «prevista — ha detto — entro la fine marzo». Un funzionario dell’ufficio presidenziale filippino ha confermato che gli accordi saranno siglati in quel periodo, ma una data precisa non è stata ancora fissata. Benigno Aquino III è attualmente in visita ufficiale in Malaysia, Paese che in diverse occasioni ha ospitato round di negoziati tra il Governo di Manila e i ribelli. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 Raccolti gli scritti di Mario Sensi su Loreto Quando i vescovi si confrontarono sul Vaticano Le scelte misteriose della madre di Dio quali riesce a scoprire l’irradiamento devozionale del santuario e le modalità con le quali questo culto viene replicato prima nella zona umbro-marchigiana, poi sempre più lontano. E la profonda conoscenza della storia devozionale della regione lo porta a trovare le origini della chiesa lauretana in un ex voto contro la peste, che prevedeva l’edificazione di un sacello sacro in una sola giornata, e quindi senza fondamenta: da qui l’attributo di miraculose fundata. Il piccolo santuario mariano sorto vicino a Recanati si trasforma però presto, da santuario per Sarebbe utile studiare uno scopo specifico a santuario sede di la fase gesuitica del santuario un culto polivalenQuella in cui esso divenne te. Che, come per altri casi vicini, nel uno dei luoghi principali periodo fra Trecena sperimentare la penitenza to e Quattrocento, in quanto santuario attenzione per le fonti con una mariano, partecipa della sacralisincera disponibilità ad ascoltare tà della Santa Casa di Nazaret. le ragioni e le pratiche della deIn questo stesso periodo, vozione popolare. In questo, fe- l’occupazione musulmana avedele allievo di don Giuseppe De va reso impossibile il pellegriLuca e soprattutto della sua naggio in Terra santa, per cui compagna di studi e di ricerca la traslazione di sacralità in terRomana Guarnieri, della quale è ritori più accessibili diventa nequi ristampato un saggio di bi- cessaria e l’idea che questa sia lancio e di commento alla prima proprio la Santa Casa originaparte della ricerca. ria si fa strada. Ma a ispirare la Sensi è attento studioso dei leggenda di una vera e propria documenti notarili, attraverso i traslazione miracolosa fu un conflitto giurisdizionale fra Recanati e Macerata, risolto dal rettore del santuario, Pietro Tolomei, con il ricorso alla leggenda: il volo magico da Nazaret a Loreto consente così alla Sede romana di assumere diretStorica contemporaneista, tamente la giurisdizione del Lucetta Scaraffia ha santuario. ricostruito la storia del Volo magico che sembrava santuario mariano nel trovare origine e al tempo stesvolume Loreto, uscito nel so conferma in una delle più 1998 con la casa editrice il antiche immagini della MadonMulino. Il libro ripercorre na di Loreto, ritratta all’interno le vicende e i significati di un tabernacolo — simbolo religiosi e sociali della dell’anàstasis che sta per la Gestoria di quel lembo di rusalemme celeste — con due Terra santa giunto angeli ai lati che sembrano somiracolosamente in volo nel cuore dell’Italia. stenere il tabernacolo ma che, a domenica 2 marzo 2014 Lettura storica e lettura teologica di LUCETTA SCARAFFIA di FRANCESCO SAVERIO VENUTO ario Sensi, grande studioso della Chiesa in epoca medievale e nella prima età moderna, ha raccolto in Loreto, una chiesa “miraculose fundata” (Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2013, pagine 469, euro 65), i suoi numerosi scritti sulla storia del santuario di Loreto. E riesce anche in questi studi, come negli altri suoi lavori, nel difficile compito di far convivere precisione filologica e rigorosa Il sinodo straordinario dei vescovi del 1985 non poté e allo stesso tempo non volle fornire un’interpretazione “ufficiale” del Vaticano II e risolverne problematiche lasciate aperte, ma cercò, lontano da steccati ideologici, di ribadire e indicare alcuni criteri di ermeneutica e lettura dei documenti conciliari. Il concilio — dichiararono i Padri sinodali — legittimamente convocato e validamente celebrato, essendo espressione autorevole del Magistero del Papa in comunione con i vescovi nell’interpretare il deposito della fede, è da promuovere e applicare integralmente. Senza dubbio — osservarono ancora i vescovi — sono attive delle resistenze nel processo recettivo come conseguenza di M In volo Quarant’anni di interpretazioni Una riproduzione devozionale della Santa Casa un osservatore meno attento, possono anche suggerire un trasporto angelico. Con Sisto V il piccolo centro raggiunge il suo apogeo: il Papa marchigiano, infatti, coronò l’operazione di traslazione di sacralità dalla Palestina all’occidente cristiano conferendo a Loreto la dignità di città vescovile, e quindi vera e propria città-santuario. La successione dei rettori, lo sviluppo del pellegrinaggio votivo, i risvolti economici della vita di questo santuario sempre più importante nella geografia dei pellegrinaggi, e divenuto tappa quasi obbligatoria nel percorso di discesa verso Roma, sono tutti aspetti approfonditi con rigore documentario e acuta analisi storica nei vari saggi raccolti nel volume. Il libro si conclude con la segnalazione di nuove piste di ricerca, necessarie per completare la storia del santuario, alle quali vorrei aggiungerne una: la necessità di studiare l’importante fase gesuitica, in cui il santuario divenne, grazie alla forte presenza della Compagnia, uno dei luoghi principali in cui si sperimentava la pratica della penitenza, e dove i religiosi elaborarono i punti essenziali della loro trattatistica sulla confessione. Molti aspetti della storia di questo santuario, quindi, sono stati chiariti, e altri almeno segnalati ai futuri storici, ma rimane aperto quello che Romana Guarnieri chiama «il mistero dei santuari». Che forse, in questo caso, è — a dirlo sempre con le sue parole — il «mistero insondabile di scelte misteriose da parte della Madre di Dio, capace di servirsi financo dei nostri poveri “falsi storici”, per confondere i “superbi nei pensieri del loro cuore”, effondendo invece grazie su grazie sui “poveri di spirito”». Pubblichiamo uno stralcio di un articolo uscito sul numero di gennaio del mensile «La rivista del clero italiano». Nel testo l’autore sintetizza quanto elaborato in maniera più diffusa nel libro La recezione del Concilio Vaticano II nel dibattito storiografico dal 1965 al 1985. Riforma o discontinuità? (Cantalupa, Effatà, 2011). Nel volume — introdotto da una prefazione del gesuita Norman Tanner e da una sezione dedicata alla premesse di metodo — l’autore ricostruisce le tappe salienti del periodo preso in esame descrivendo alcune figure come «agenti della recezione» e ripercorrendo la documentazione storiografica sul concilio alla luce della dialettica interna fra diverse posizioni. Il raggio di analisi del dibattito è principalmente limitato all’Europa occidentale e al Nord America, limitazione ragionevole data la vastità del tema trattato; corredano il testo una sezione composta da tre appendici di testi e un prezioso indice dei nomi. Il cardinale Gianfranco Ravasi e il filosofo Luc Ferry a confronto su fede e ragione Dal 4 marzo sarà in libreria Lo scandalo dell’amore (Milano, Mondadori, 2014, pagine 200, euro 18) nel quale il cardinale Gianfranco Ravasi e il filosofo Luc Ferry dialogano sulla fede, la ragione, la vita, la morte, la verità e la menzogna. Anticipiamo una parte del dibattito finale. Con gli occhi del poeta ti, la coscienza primaria della persona è simbolica, è segnata da un moto di adesione affettiva a un universo che si spalanca davanti allo sguardo. Il bambino, per esempio, ha come prima conoscenza la visione d’insieme, in seguito imparerà a distinguere secondo i canoni dell’analisi. Allo stesso modo procede il poeta, il quale non analizza i sentimenti, i volti, gli sguardi, le passioni, le vicende, ma li rappresenta in termini sintetici, a volte fulminanti, con il bagliore accecante di un lampo. LUC FERRY: Credo ut intelligam dice sant’Agostino. Vorrei ritornare con lei su quest’idea volontariamente paradossale, secondo la quale si dovrebbe prima trovare e poi cercare. Per dirla in termini più comuni, bisognerebbe cominciare dapprima con la fede e solo in un secondo tempo mobilitare la ragione. A più riprese lei dice che la vera teologia cammina su uno spartiacque, fra due abissi, due vallate, in cui È davvero possibile non bisogna cadere: da un lato, l’approccio unicamente storico, fattuale, prima credere e poi comprendere? razionale, filosofico; dall’altro un miLa fede non è una raccolta di norme sticismo irrazionalista, un «entusiasmo mistico», una Schwärmerei per ma coinvolge mente e cuore usare un termine del romanticismo Come accade fra due innamorati tedesco. Occorre dunque mantenersi sul crinale, e questo implica insieme sia la ragione e la storia fattuale, sia un approccio trascendente. L’itinerario di fede autentico è, per certi Solo in questo modo si può essere in ar- aspetti, parallelo al percorso estetico; perciò monia con l’oggetto principale della teologia, il punto di partenza è credere/amare, con un Gesù, che è a un tempo un essere storico, esordio di tipo simbolico rappresentativo. In ma anche qualcuno di cui non si può com- tale orizzonte, per usare il binomio a cui lei prendere il messaggio se non si possiede già faceva cenno, possiamo affermare: credere, e la fede. Unicamente a tale condizione ci sarà poi cominciare a comprendere. A questo punto si passa al secondo moarmonia fra il metodo teologico e l’oggetto mento, cioè all’analisi in senso stretto. Quedella teologia. Perché ha scelto questo approccio, visto sta ricerca, però, non può essere condotta atche si tratta di indirizzarsi a dei non creden- traverso un unico canale, un’unica via di coti, nel quadro del Cortile dei gentili? Che co- noscenza. Infatti, lo statuto epistemologico sa si aspetta che comprendano di preciso, da- proprio della teologia necessita di almeno to che ci vuole in primo luogo la fede per due percorsi paralleli. Il primo comprende la comprendere, e che, per definizione, noi non documentazione storica e l’analisi razionale. credenti non l’abbiamo? Che cosa ha voluto La figura di Gesù, per esempio, deve essere studiata prendendo in considerazione la verimostrare loro? fica storico-critica ma anche la dimensione GIANFRANCO RAVASI: L’amare precede il psicologica, con il contributo della psicoanacomprendere. Questo assunto può essere lisi, con i suoi criteri di indagine, oppure l’avvio per esplicitare il mio pensiero sulla ri- dell’antropologia culturale, e non soltanto flessione teologica, che si rifà a uno schema con la pur necessaria analisi razionale intesa che parte da Pascal, il quale diceva che si secondo rigidi canoni filosofici o storici. Il comprendono le cose che si amano. Tale secondo livello lo definirei, pur con qualche concezione può essere ampliata fino a lambi- precisazione, mistico, teologico in senso re i confini dell’antropologia, cioè dell’espe- stretto. Si tratta di un canone più specifico, rienza comune a ogni persona umana. Infat- che tiene conto della dimensione metarazio- II nale, che non significa semplicemente affermare dei principi o delle idee vaghe, inconsistenti, ma riconoscere che esiste un altro ordine conoscitivo con un suo statuto metodologico e una sua coerenza intrinseca. Questo modello di conoscenza, per esempio, considera la Bibbia anche come parola trascendente, che supera i rigorosi principi di un linguaggio letterario, storico-critico. Può aiutarci a entrare in questa seconda dimensione il libro di Giobbe, che vede da una parte i tre amici Zofar, Bildad ed Elifaz, ai quali si aggiunge Elihu, che intessono i loro dialoghi su una trama di razionalità pura, senza aprirsi alla trascendenza. In un primo momento Giobbe polemizza con gli amici affrontandoli sullo stesso terreno del raziocinio, ma alla fine apre un altro orizzonte conoscitivo, che gli consente di affermare, riguardo a Dio: «Io ti conoscevo per sentito dire [è la via razionale] ma ora i miei occhi ti vedono» (Giobbe, 42, 5). Con questa affermazione egli introduce il parametro della visione, la conoscenza, appunto, di tipo teologico in senso stretto, che non è vagamente sentimentale, ma possiede un suo statuto e metodo. In tale prospettiva possiamo ricordare Tommaso d’Aquino, Anselmo, Pascal, Kierkegaard e altri autori ancora, che cercano di individuare non solo la grammatica della ragione, ma pure quella della “metaragione”. Su questa scia possiamo richiamare anche alcuni grandi mistici come Giovanni della Croce e Teresa d’Avila. Per esempio, Giovanni della Croce descrive l’ascesa verso Dio per gradi, passando anche attraverso la notte dello spirito. Ora, tutto questo non è una pura emozione, ma manifesta un rigore espositivo articolato su una sintassi teologica. In questo senso possiamo dire che l’esperienza del credente e, in subordine, il lavoro del teologo nascono da un percorso per certi aspetti paragonabile al coinvolgimento totale richiesto nell’innamoramento. Infatti, l’esperienza d’amore ha certamente una dimensione razionale — i due si conoscono, discutono, sognano, progettano — ma la componente fondamentale è sintonizzata su una lunghezza d’onda diversa. Tanto che il volto della donna che ami ti appare bellissimo, unico, mentre per gli altri non è che uno dei tanti volti che scorrono sul «video» della quotidianità. Sarebbe errato pensare che l’innamoramento sia solo un’esperienza emotiva; esso, infatti, contempla anche l’aspetto razionale che, talvolta, può mettere in crisi il piano affettivo. Marc Chagall, «Giobbe in preghiera» (1960) L’innamorato fa un’“esperienza di fede” che non ha come interlocutore Dio, ma la bellezza, che è, comunque, una realtà trascendente. Questo ci dovrebbe offrire la possibilità di presentare la fede non come una raccolta di norme, ma come un’esperienza “oltre”, che coinvolge tutta la persona, mente e cuore. un’ermeneutica impostata su una lettura parziale e riduttiva dei testi conciliari, dovuta anche a una mancata attenzione da parte dell’episcopato nel vigilarne l’interpretazione e l’applicazione. Nella relazione finale, oltre a incoraggiare una più ampia e profonda conoscenza del concilio, attraverso la sua assimilazione interiore, la sua riaffermazione e la sua attuazione, il sinodo promosse alcune indicazioni di natura ermeneutica, riproponendo quasi alla lettera i criteri di lettura dell’avvenimento e dei documento conciliari, così come erano stati redatti dal teologo Walter Kasper in un suo contributo inviato in fase preparatoria alla Segreteria generale. Essi sono: lettura integrale di tutti i documenti nella loro specificità e nel loro reciproco rapporto; attenzione particolare verso le quattro Costituzioni come “chiavi interpretative” dei decreti e delle dichiarazioni; unità tra spirito e lettera conciliare; continuità del Vaticano II con la grande tradizione della Chiesa. Il documento conclusivo del sinodo rappresentò un caloroso invito a considerare il concilio Vaticano II un momento significativo della storia della Chiesa e una ulteriore fondamentale occasione di approfondimento teologico per la fede cristiana. Una lettura storica e allo stesso tempo teologica del Vaticano II avrebbe potuto contribuire a una sua più integrale comprensione, evitando così il rischio di letture aprioristiche, a scapito di una corretta ricostruzione dei fatti storici, e un’interpretazione “ateologica” e storicista, incapace di rendere ragione a una continuità e sviluppo nella storia della Chiesa. Secondo Peter Hünermann Il ponte di Ratzinger «Benedetto XVI ha gettato un ponte sul quale ora cammina Francesco»: così il teologo tedesco Peter Hünermann nel corso dell’intervista pubblicata sul blog dell’editrice Queriniana. Ratzinger, afferma, ha svolto «un ruolo molto importante nei processi di riforma della Chiesa cattolica del secolo XX e nella comprensione del Vaticano II. Nella serie dei Papi egli è l’ultimo che ha partecipato al concilio. È significativo che l’ultimo atto del suo ministero sia consistito nel presentare ancora una volta al clero romano il concilio dal suo punto di vista di testimone». La singolarità, spiega Hünermann, sta nella «concezione additiva del concilio, che potrebbe conciliare due aspetti: il vecchio e il nuovo, tradizione e riforma. Come i suoi predecessori nel ministero papale, Ratzinger ha compreso il concilio come un evento che ha segnato un passaggio. Qui sono in discussione questioni del tutto essenziali, questioni di fede e di comprensione della Chiesa. Credo che Benedetto abbia visto chiaramente questa responsabilità» sottolinea il teologo. «La nuova formulazione dell’autocomprensione ecclesiale, che si esprime nel concilio — prosegue il teologo — non fu subito patrimonio dei teologi e della prassi dei vescovi. Una parte si poneva con stupore di fronte a questo “evento mondiale”, come lo ha chiamato Karl Rahner, perché la Chiesa integrava per la prima volta il mondo nella riflessione su se stessa. L’altra parte continuava a viaggiare sui vecchi binari. E in Ratzinger lei trova entrambe le posizioni. Le decisioni di Benedetto, conclude Hünermann, sono state «pietre miliari per la Chiesa nel suo cammino in questo tempo. Pensiamo a quando ha detto “Non sono più nelle condizioni di prestare il servizio a me affidato”: è una nuova definizione, pragmatica nel senso migliore del termine, del ministero di Papa, senza che la teologia del ministero ne fosse toccata». L’OSSERVATORE ROMANO domenica 2 marzo 2014 pagina 5 Intervista a don Francesco Cereda regolatore del capitolo generale salesiano Monsignor Galantino presenta il sussidio della Cei per la quaresima e la Pasqua Testimoni della radicalità del Vangelo In Cristo la speranza di CARLO DI CICCO Mistico nello Spirito, profeta della fraternità, servo dei giovani: è questo l’ideale identikit del salesiano oggi. A tracciarne il profilo è don Francesco Cereda, regolatore dell’imminente capitolo generale 27 della congregazione salesiana. «L’Osservatore Romano» ha posto a don Cereda alcune domande per approfondire il senso di questo appuntamento che proietta la congregazione nell’anno del bicentenario del nascita di don Bosco attraverso le novità riformatrici del pontificato di Papa Francesco. «Testimoni della radicalità evangelica: lavoro e temperanza». Perché i salesiani hanno scelto questo tema per il loro capitolo generale 27? La vita consacrata è chiamata a dare testimonianza del Vangelo; questa è la sua identità. La testimonianza è fondamentale per la vita cristiana e ancor più per la vita consacrata. La testimonianza fa crescere la Chiesa; Papa Benedetto XVI ci ricordava che «la Chiesa cresce per testimonianza e non per proselitismo». La testimonianza che attrae è quella della vita vissuta secondo il vangelo. Il “lavoro” e la “temperanza” sono il distintivo del salesiano, ossia il suo modo di testimoniare la radicalità del Vangelo; con il lavoro e la temperanza egli concretizza il programma di vita di don Bosco: «dammi le anime, toglimi pure tutto il resto». Tale programma rappresenta infatti la mistica e l’ascetica del salesiano, che si esprime in modo visibile proprio con la dedizione nel lavoro apostolico e con la capacità di rinuncia. In che modo il vostro capitolo generale terrà presente il bicentenario della nascita di don Bosco e il valore simbolico di rinnovamento e riforma del pontificato di Francesco? c’è cambio culturale e sull’educazione si inserisce l’annuncio del Vangelo. Dobbiamo preparare i giovani a essere capaci di trasformare la società secondo lo spirito del Vangelo come agenti di giustizia e di pace e a vivere come protagonisti nella Chiesa. Il superamento delle situazioni di povertà richiede il cambiamento dei modelli culturali; ciò avviene con strategie di lungo termine, quali sono quelle dell’educazione: educazione ai diritti umani e alla cittadinanza attiva, formazione alla “leadership”, qualificazione professionale, proposta del Vangelo e crescita nella fede. Occorre per questo formare educatori che siano all’altezza delle persone che educano e che sappiano annunciare Cristo a una generazione che cambia; in questo campo la formazione dei laici e il loro coinvolgimento nell’educazione è una priorità carismatica per noi. Già dal documento di lavoro capitolare emergono linee operative di rinnovamento. Ci sono delle difficoltà da superare per la fattibilità di nuovi propositi? Lo “strumento di lavoro” preparato per questa assemblea capitolare è il frutto e la sintesi dei capitoli ispettoriali celebrati nelle novanta ispettorie di tutto il mondo. Esso ci invita a fare del discernimento il metodo per interrogarci sulle domande dei giovani e sulle risposte da dare loro. Tale metodo ci indica tre tappe: l’ascolto dei bisogni, desideri, difficoltà e rischi; la lettura di queste situazioni e delle loro cause; il cammino da percorrere in risposta all’ascolto e alla lettura. Il compito più impegnativo che ci si prospetta è la conversione, ossia il cambio di mentalità, il rinnovamento del cuore, la riforma di noi stessi e delle comunità; si tratta di una triplice conversione: spirituale, fraterna e pastorale. In ogni caso occorre mettersi in ascolto disponibile dello Spirito, percepirne la voce, seguirlo dove ci vuole condurre, come don Bosco che alla fine della vita diceva: «Sono sempre andato avanti come Dio mi ispirava e le circostanze mi suggerivano». L’invecchiamento, specialmente in Occidente, è uno dei problemi maggiori anche dei religiosi e quindi dei salesiani. Ma non sembra emergere negli istituti l’urgenza di porre in modo nuovo il tema delle vocazioni. I salesiani hanno maturato una strategia vocazionale? La geografia vocazionale sta cambiando; oggi le vocazioni alla vita consacrata crescono di numero in Africa e in Asia; mentre diminuiscono nei Paesi occidentali. Dio continua a chiamare i giovani anche nei contesti secolarizzati, ma in questi casi occorre maggior cura nel riconoscere le vocazioni, incoraggiarle e accompagnarle. I salesiani si impegnano a far sì che tutta la pastorale giovanile sia orientata vocazionalmente, ossia che tutte le comunità educative, i gruppi e le associazioni, gli educatori e le famiglie aiutino ogni giovane a scoprire il disegno di Dio sulla propria vita. Inoltre sono consapevoli che le vocazioni di speciale consacrazione si sviluppano a partire dalla scoperta di una vocazione apostolica; per questo coinvolgono i giovani in esperienze di servizio e gratuità nell’educazione, nel volontariato, nella missionarietà, nella catechesi e insieme in esperienze di preghiera e vita comunitaria. Infine, offrono ai giovani esperienze vocazionali specifiche, quali la partecipazione alla vita della comunità salesiana, i cammini vocazionali per fasce di età, gli esercizi spirituali, la “comunità proposta” per giovani in ricerca vocazionale, l’impegno apostolico, l’accompagnamento spirituale. Dopo il pellegrinaggio dell’urna di don Bosco e dopo il triennio di preparazione, il capitolo generale è come la “porta” che ci introduce al bicentenario della sua nascita, che sarà celebrato dal 16 agosto 2014 al 16 agosto 2015. Il capitolo intende infatti aiutarci ad assumere con più consapevolezza la nostra identità carismatica, a conoscere, comprendere, imitare, invocare maggiormente Don Bosco e quindi ad approfondire e comunicare la sua attualità spirituale ed educativa. Nello stesso tempo questo capitolo avviene durante il primo anno del servizio petrino di Papa Francesco; esso non potrà non tener conto della sua testimonianza di vita semplice e povera; del suo invito a superare la mondanità spirituale; del suo impegno di essere vicini a tutti, specialmente ai poveri e sofferenti, ai giovani e agli anziani, alle famiglie; della sua audacia ad uscire, ad andare nelle periferie, a recarsi nelle frontiere. La Evangelii gaudium diventerà certamente un riferimento imprescindibile per il nostro impegno di evangelizzazione dei giovani. I lavori saranno orientati nel chiuso di una riforma interna della congregazione o saranno spinti dall’attenzione ai segni dei tempi emersi nella Chiesa e nel mondo giovanile? La testimonianza ci proietta al di fuori; ci domanda di “uscire” e andare sulle strade, di farci ancor più vicini ai giovani e camminare con loro. Il capitolo ci chiede di far emergere il nuovo profilo del salesiano di oggi: mistico nello Spirito, profeta della fraternità e servo dei giovani. La nostra testimonianza è per gli altri, è per tutti, è specialmente per i giovani, perché il mondo creda. La testimonianza ci spinge a superare l’autoreferenzialità. Se saremo credenti, diventeremo credibili; se saremo convinti, allora potremo essere convincenti; se saremo persuasi, diventeremo persuasivi. La testimonianza attraente farà risplendere il Vangelo e attrarre vocazioni. Quale contributo pensate di dare alla soluzione della questione giovanile nei Paesi del benessere in crisi e nei Paesi più poveri? La questione del benessere e della povertà ci interpella a dare risposte soprattutto attraverso l’educazione. Là dove i giovani sono più segnati dall’esclusione, dall’emarginazione, dal disagio, là siamo e dobbiamo continuare a esserci e ad andare. Il compito educativo oggi è una missione chiave; senza l’educazione non In 220 da 58 Paesi Sarà il rettor maggiore don Pascual Chávez Villanueva, nono successore di don Bosco, ad aprire i lavori del capitolo generale 27 dei salesiani dedicato al tema «Testimoni della radicalità evangelica: lavoro e temperanza». Nella mattina di lunedì 3 marzo, presso il Salesianum di Roma, don Chávez Villanueva presiederà una messa, a cui farà seguito il discorso inaugurale. Nella mattinata, oltre ai saluti dei rappresentanti della famiglia salesiana, è previsto l’intervento del cardinale prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata e le Società di Vita apostolica, João Braz de Aviz. Ai lavori del capitolo generale — che si concluderà il 12 aprile e che ha all’ordine del giorno anche l’elezione del nuovo rettor maggiore — partecipano 220 persone tra aventi diritto, delegati e invitati. Saranno rappresentate cinquantotto nazionalità a indicare l’irradiamento mondiale del carisma di don Bosco. Il gruppo più consistente sarà quello degli italiani, con 34 membri, seguiti da indiani (31), spagnoli (20), brasiliani (13) e polacchi (dieci). I lavori veri e propri del capitolo sono stati preceduti da cinque giorni di esercizi spirituali, dalla presentazione della relazione del rettor maggiore e da un pellegrinaggio ai luoghi salesiani. A orientare la riflessione dei padri capitolari sarà lo “strumento di lavoro”, realizzato da una commissione che ha sintetizzato i contributi dei capitoli ispettoriali. ROMA, 1. «Nell’itinerario quaresimale e pasquale la liturgia ci mette a contatto con la profondità del mistero della misericordia di Dio, sempre sorprendente. Quest’anno, accogliendo l’invito di Papa Francesco, siamo chiamati a tornare al cuore del Vangelo: la volontaria donazione del Figlio di Dio, che spogliando se stesso ci arricchisce con l’amore del Padre e ci ridona speranza»: lo scrive il vescovo di Cassano all’Jonio, Nunzio Galantino, segretario generale ad interim della Conferenza episcopale italiana (Cei), nella presentazione del Sussidio per il tempo di Quaresima e di Pasqua, da ieri on line, frutto del lavoro sinergico di alcuni uffici della segreteria generale della Cei. «Svuotò se stesso (…) per questo Dio lo esaltò» (Filippesi, 2, 7-9) e «Da ricco che era, si è fatto povero per voi» (2 Corinzi, 8, 9) i brani che fanno da filo conduttore. Allo svuotamento del Figlio di Dio corrisponde il tempo di Quaresima, all’esaltazione il tempo pasquale. E Gesù non salva gli uomini nonostante la croce ma attraverso la croce, il suo farsi povero. «Una Chiesa chiamata ad annunciare l’Evangelii gaudium, una Chiesa che intende educare alla Vita Caritas italiana Il cibo è un diritto di tutti ROMA, 1. «Una sola famiglia umana, cibo per tutti: è compito nostro»: è questo il titolo della campagna nazionale di sensibilizzazione e formazione elaborata dagli organismi, dalle associazioni e dai movimenti cattolici italiani per rispondere unitariamente all’appello del Papa «a dare voce a tutte le persone che soffrono silenziosamente la fame, affinché questa voce diventi un ruggito in grado di scuotere il mondo». Un appello che Papa Francesco aveva lanciato in un videomessaggio lo scorso 9 dicembre per l’avvio della campagna mondiale sul diritto al cibo promossa da Caritas Internationalis. «L’importanza di un forte impegno di consapevolezza circa le cause e le conseguenze degli squilibri globali, nazionali e locali — si legge nel documento base della campagna — è una tematica ben presente nel magistero della Chiesa, e nell’azione degli organismi di volontariato che sulla dottrina sociale della Chiesa poggiano la propria ispirazione. Oltrepassare l’attuale crisi è possibile ricostruendo relazioni, strutture, comunità e comportamenti responsabili per il buon vivere a livello locale e globale, esplorando quelle periferie geografiche ed esistenziali di recente evocate da Papa Francesco». Aspetto centrale della campagna, nell’ambito della quale — come riferisce un comunicato di Caritas Italiana — saranno anche elaborate precise richieste alla politica a livello internazionale, europeo e italiano, è l’elemento educativo, mentre tre sono i filoni tematici in cui essa si articola: cibo giusto per tutti; finanza al servizio dell’uomo; relazioni di pace. L’iniziativa — che intende coinvolgere organismi, associazioni, gruppi e scuole nell’approfondire la conoscenza delle questioni della fame e della crisi e nel tradurla in impegno sociale e politico nei singoli territori — rappresenta un’occasione di impegno comune a livello nazionale e locale di numerosi enti e organismi di origine ecclesiale. Insegnanti, educatori e animatori sono le categorie interpellate innanzitutto dalla campagna, ma anche giovani imprenditori presenti nei diversi settori produttivi, in particolare in ambito alimentare e in grado di interpretare una dimensione economico-produttiva e finanziaria responsabile e sostenibile. buona del Vangelo, non può — afferma monsignor Galantino — fare a meno di entrare nello stesso dinamismo dell’azione di Cristo: affiancarsi a chi è fragile, a chi ha bisogno di tutela, come le giovani generazioni, che si aprono alla vita e alla speranza del futuro, o anche a chi è smarrito, senza trascurare le persone che invocano aiuto per ritrovare la pienezza della dignità umana. Chi segue fino in fondo i suoi passi si rende conto che viene infine il momento del dono totale, del “perdere la vita per causa sua”; una prospettiva che fa paura, anche se poi si sa che è solo per ritrovarla. Questa è la forma piena della vita del discepolo e della Chiesa». Perciò, continua il presule, «mentre siamo in cammino verso il convegno ecclesiale di Firenze, mentre cerchiamo di ritrovare le tracce di un autentico umanesimo, scopriamo che il contributo più grande che possiamo dare al nostro tempo è assumere pienamente in noi l’impronta di Cristo, l’uomo nuovo che emerge vittorioso dalle tenebre dell’odio, dell’ingiustizia, della morte: una vittoria non ottenuta con la violenza, ma con il dono totale di sé. In Cristo, povero che arricchisce con la forza del suo dono e del suo perdono, le famiglie cristiane trovano la speranza per continuare sulla via dell’amore reciproco; in Cristo, umiliato dagli uomini, ma esaltato da Dio, ogni fragilità e miseria trova motivi di speranza e risurrezione». Il Sussidio per il tempo di Quaresima e Pasqua contiene linee celebrative, commenti biblici alle letture domenicali, suggerimenti liturgicomusicali, schemi per Via Crucis e liturgia penitenziale, itinerari catechistici, video e testimonianze esperienziali. La via della celebrazione — spiega un comunicato della Cei — viene così a integrarsi con quella della catechesi (con suggerimenti e spunti di riflessione per vivere la Quaresima in famiglia), dell’esperienza (con la presentazione video di alcune iniziative concrete di impegno e la narrazione di testimonianze su come i giovani vivono la ricchezza del tempo quaresimale e pasquale), del futuro (dove si offrono spunti di riflessione che spaziano dall’educazione e dal mondo della scuola alle vocazioni e all’orizzonte ecumenico) e della bellezza (con una ricca sezione di immagini di opere d’arte, provenienti dal patrimonio artistico italiano). Il sussidio, scrive il segretario generale ad interim della Conferenza episcopale italiana, «intende offrire spunti a sostegno del cammino di fede per i “tempi forti” della Quaresima e della Pasqua, nella consapevolezza che, come rimarcato da Papa Francesco nella esortazione apostolica Evangelii gaudium, “l’evangelizzazione gioiosa si fa bellezza nella liturgia in mezzo all’esigenza quotidiana di far progredire il bene. La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della liturgia” (n. 23). Come Maria, restiamo nell’ascolto umile della Parola divina e nella semplice e silenziosa disponibilità a seguire ogni passo di Cristo, anche quando porta verso la croce: proprio dalla croce può ricostituirsi una comunità che testimoni la forza della risurrezione. Con l’auspicio che questo umile strumento torni utile all’azione pastorale delle nostre comunità cristiane — conclude Galantino — lo affido ai sacerdoti, ai diaconi e agli operatori pastorali, perché possano trovarvi idee e suggerimenti per un cammino fecondo e fedele alla sequela di Cristo Crocifisso Risorto, sorgente della vita e della gioia». Omelia catechetica del patriarca Bartolomeo Pentimento è cambiare sul serio ISTANBUL, 1. «L’opportunità, nel bel mezzo di una crisi finanziaria diffusa e globale, per dimostrare il nostro aiuto materiale e spirituale verso gli altri. Quando agiamo con carità e manifestiamo il nostro pentimento nella pratica, passando da un modo individualistico e farisaico di vivere a un altro comunitario e altruista, allora potremo trarre profitto dalla penitenza e dalla conversione, vivendo anche il pentimento come passaggio fondamentale dal peccato di egocentrismo e vanagloria alla virtù dell’amore, aspirando all’umiltà e all’atteggiamento del pubblicano, che ha meritato la misericordia di Dio». È uno dei passaggi più significativi dell’omelia catechetica per la Quaresima scritta dal patriarca ecumenico, Bartolomeo, arcivescovo di Costantinopoli. Con la Quaresima, «entriamo in questo periodo salvifico di purificazione del cuore e dell’anima, al fine di accogliere la Passione, la Croce, la Sepoltura e la Risurrezione di nostro Signore non solo attraverso rituali e parole ma anche nella pratica e l’esperienza. Pentitevi per diventare persone nuove — esorta Bartolomeo — rinunciando alla vecchia natura di peccatori e acquisendo novità di vita». Vigilanza, disciplina, «cura per la nostra salvezza», sincero e tangibile pentimento «per tutti i nostri peccati, misfatti e ingiustizie»: queste le richieste “quaresimali” del patriarca. «Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2 Corinzi, 6, 2). La Chiesa ortodossa raccomanda che, durante il periodo di Quaresima, «concentriamo la nostra attenzione sul pentimento sincero, il “crogiolo del peccato”, secondo san Giovanni Crisostomo». Il pentimento, infatti, è «il primo tema della predicazione di nostro Signore Gesù Cristo e la vera essenza della dottrina cristiana. È l’invito quotidiano della Chiesa a tutti noi. Nonostante ciò, molti di noi non hanno mai veramente vissuto il pentimento. A volte sentiamo che non ci riguarda personalmente», perché non si ritiene possibile l’aver commesso dei peccati. Invece — ricorda ancora l’arcivescovo ortodosso — «come ci insegna il saggio maestro di vita spirituale Isacco il Siro, e come la maggior parte dei Padri della Chiesa proclamano attraverso l’esperienza, “il pentimento è necessario anche al perfetto”. Questo perché il pentimento non è semplicemente provare rimorso per i nostri peccati, con la conseguente decisione di non ripeterli, ma implica anche un cambiamento dei nostri atteggiamenti in direzione di ciò che è meglio, così da acquisire un costante miglioramento davanti a Dio e al mondo». In tal senso, il pentimento è un «viaggio senza fine verso la perfezione divina a cui dobbiamo sempre mirare e muoverci. Infatti, dal momento che la perfezione di Dio è infinita, la nostra strada verso la sua somiglianza deve essere illimitata e infinita. C’è sempre un livello di perfezione al di là di ciò che abbiamo realizzato — sottolinea nel discorso Bartolomeo — e quindi dobbiamo cercare costantemente il progresso spirituale e la trasformazione, come sollecitato da san Paolo, che è asceso al terzo cielo e ha visto i misteri ineffabili: “E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore” (2 Corinzi, 3, 18). Quanto più il nostro mondo interno è pulito, più il nostro occhio spirituale si purifica e più chiaramente vediamo noi stessi e tutto ciò che ci circonda». Di conseguenza, conclude il patriarca ecumenico, il pentimento è il presupposto fondamentale del progresso spirituale, per essere più somiglianti a Dio. Ma per essere autentico deve essere accompagnato da «frutti adeguati», soprattutto dal perdono e dalla carità: «Dopo tutto, la via del pentimento è il riconoscimento e la confessione dei nostri peccati, è non provare più rancore verso gli altri, pregare con passione e integrità». Una via lastricata di misericordia, umiltà, amore: è la vittoria del bene sul male. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 domenica 2 marzo 2014 Il saluto del cardinale di Santa Maria in Trastevere durante la consegna della berretta e dell’anello Accanto a Papa Giovanni torale. Per l’occasione, i segretari dei partiti in lizza decisero unanimemente di eliminare manifesti e striscioni propagandistici e di sostituirli con molti teli bianchi su cui spiccava la dicitura: «Evviva il Papa buono». L’episodio rende onore e giustizia a tutti per l’esempio dato di sapersi unire nel tributare onore e affetto al padre comune. Quell’evviva non istituì paragoni e nemmeno costrinse il Pontefice dentro la ristretta cornice della bontà come che sia. Esso tradusse in qualche modo il complimento che, a nome dei colleghi del corpo diplomatico, Georges Vanier, ambasciatore del Canada a Parigi, aveva rivolto dieci anni prima al neo cardinale patriarca di Venezia nell’incontro di congedo: «Ho letto che una gran parte della rinomanza di Bergamo era un tempo dovuta principalmente a tre attività: la produzione dei vini, la lavorazione della seta, l’estrazione del ferro. I vini di Bergamo, eminenza, sono un po’ la ricchezza del vostro cuore e la vivacità del vostro spirito. La seta richiama la finezza del vostro temperamento di diplomatico, l’iridescenza del vostro senso delle sfumature. Essendo voi il prodotto di un paese della seta, non somiglierete certo a uno di quei cardinali severi alla Goya; no, voi avete la forza temprata dalla dolcezza Il cardinale decano Angelo Sodano che si trova piuttosto ha consegnato, a nome di Papa Francesco, nei quadri di Raffaella berretta e l’anello a Loris Francesco lo. Quanto al ferro di Capovilla, creato cardinale nel concistoro del Bergamo esso evoca la 22 febbraio scorso. Durante la cerimonia, solidità dei princìpi svoltasi nel pomeriggio di sabato 1° marzo, che ispirano la vostra a Sotto il Monte Giovanni XXIII, il nuovo vita e la fermezza di porporato ha rivolto il saluto che riportiamo carattere che non tranintegralmente in questa pagina. Dell’omelia sige con la verità. […] del cardinale decano pubblicheremo il testo Voi siete nel pieno vinella prossima edizione del giornale. gore, eminenza, e avete sicuramente davanti a voi numerosi anni, durante i quali potrete Sì, ad ecclesiastici e laici chiedo compiere felicemente le opere del sommessamente di benedirmi. Lo buon Pastore» (A. G. Roncalli, Souchiedo in particolare ai miei congiun- venirs d’un Nonce, 1963). Papa della bontà! Episodi diverti ed amici, lo chiedo a Venezia, Roma, Chieti-Vasto, Loreto e Bergamo, sissimi e sintomatici, dichiarazioni che mi ospita da 25 anni, e mi sento stupefacenti di qualificati rappresena tutti associato nella venerazione di tanti della cultura e della religione Giovani XXIII e dei Papi che l’hanno convincono che il passaggio di Giovanni XXIII sulla scena del mondo preceduto e son venuti dopo. Giovanni è entrato nella storia confermò il valore attraente della con l’appellativo di “Papa della bon- bontà evangelica, che «conserva pur sempre un posto d’onore nel discortà”. Di lui Walter Lippmann, uno dei più rinomati opinionisti statuni- so della montagna: beati i poveri, i tensi del secolo XX, ha scritto: «Il re- miti, i pacifici, i misericordiosi, gli gno di Papa Giovanni è stato una assetati di giustizia, i puri di cuore, i meraviglia, tanto più stupefacente tribolati, i perseguitati» (Giornale ove si pensi come egli sia riuscito ad dell’anima, § 841). Il segreto del successo di Roncalli essere così profondamente amato in mezzo alle acri inimicizie del nostro sta nella matrice tradizionale, e, ciotempo. È un miracolo moderno che nonostante, dinamica, della sua foruna persona abbia potuto superare mazione e cultura ecneltutte le barriere di classe, di casta, di clesiastica, colore, di razza per toccare i cuori di l’apparente paradosso tutti i popoli. Nulla di simile si era tra severo conservatorismo e umana ed mai avverato, almeno nell’epoca moderna. Il fatto che gli uomini abbia- evangelica apertura. Piccolo alunno del no corrisposto al suo amore, dimostra che le inimicizie e i dissensi seminario bergomense dell’umanità non costituiscono la innestò la sua sensibirealtà completa della condizione lità nel solido tronco umana. Sappiamo che il miracolo dei severi orientamenti compiuto da Papa Giovanni non tra- ecclesiastici di ispirasformerà il mondo; non diventeremo zione patristica; chieridi colpo uomini nuovi; ma l’eco uni- co appena quattordiversale suscitata da Papa Giovanni cenne iniziò a scrivere dimostra che per quanto l’uomo il suo Giornale dell’anipossa essere incline al male, perma- ma e continuò sino a ne in lui un’attitudine alla bontà. ottantuno anni, senza Per questo non dobbiamo mai dispe- mai mutare temperae costume. rare che il mondo possa diventare mento migliore. Papa Giovanni ha dichiara- Lungo tutto l’arco delto che il movimento per mettere in la sua esistenza egli rimase lo stesso prete rapporto gli insegnamenti della Chiesa con il “processo di radicale della giovinezza, con quella sua camutamento della situazione politica ratteristica e mai smentita coerenza di pensiero e di azione, che trova ed economica” si è iniziato con Leopreciso riscontro in ogni variazione ne XIII e con la Rerum novarum. Padi ministero e di ufficio, pur nei lipa Giovanni lo ha proseguito, non miti, coi difetti e le carenze di natusoltanto con le due grandi enciclira, di ambiente e di momento storiche, ma soprattutto con la proclama- co in cui dovette operare. zione del Concilio. Che cosa avverrà Egli è stato, pertanto, un prete di tutto questo è di fondamentale all’antica, abbarbicato nel terreno soimportanza non soltanto per la lido della rivelazione cristiana, che Chiesa cattolica ma per tutte le diede tono e slancio al suo servizio. Chiese e per tutti i governi. In ogni Egli volle essere il prete segnato a caso, il movimento di modernizza- fuoco dalla familiarità con Cristo, e zione — Giovanni direbbe aggiorna- di null’altro preoccupato se non del mento — potrà forse essere fermato nome, del regno e della volontà di ma non respinto per molto tempo. D io. Si diceva che egli non ce la facesse a Lo lasciò intuire in un memorabistare chiuso. Quanto Papa Giovanni le discorso al clero romano: «La perha iniziato avrà grandissime conse- sona del sacerdote è sacra [...]. La guenze e la storia del mondo sarà buona indole, gli studi severi, la prodiversa perché egli è vissuto» («New prietà della parola e del tratto sono York Herald», 7 giugno 1963). come il mantello che avvolge l’umaL’attribuzione di “Papa della bon- nità del sacerdote: ma la linfa divina tà” esplose il 7 marzo 1963, domeni- della sua applicazione ai divini mica delle Palme, nella parrocchia ro- steri e alle opere dell’apostolato, egli mana di San Tarcisio al Quarto Mi- continuerà ad attingerla dall’altare. glio, allorché il Pontefice visitò quel- Quello è il posto suo che gli conviela comunità in piena campagna elet- ne innanzi tutto. Di là egli parla ai di LORIS FRANCESCO CAPOVILLA Signor cardinale Angelo Sodano, decano del Sacro Collegio, inviato a Sotto il Monte Giovanni XXIII, latore non di una promozione, né di una onorificenza, bensì di una obbedienza, vi prego di farvi interprete presso il Santo Padre Papa Francesco dei miei sentimenti di gratitudine. Accettatene voi stesso la fioritura, che suscita consolazione ed esultanza. A tutti coloro che all’annuncio papale del 12 gennaio, mi hanno fatto oggetto di benevolenza, ho inviato quattro righe, alla buona, si direbbe al caminetto di casa, quale è la Chiesa e vuole mostrarsi al mondo. Modesto contubernale di Giovanni XXIII sto per essere aggregato al collegio cardinalizio per decisione di Papa Francesco. Conosco quanto basta la mia piccolezza e mi sento intimidito. Le amabili ed evangeliche parole dei servitori della Chiesa, dinanzi ai quali mi sento come una locusta (cfr. Numeri, 13, 33) mi incoraggiano e mi confortano. Chiedo di pregare per me. Io ricambio. Infine, flexis genuis, chiedo a tutti di benedirmi. A Sotto il Monte fedeli e nel volgersi a essi con linguaggio elaborato nella meditazione e fatto suo, egli ha da apparire come di casa nel tempio del Signore e le sacre parole del messale, del breviario, del rituale devono risuonare nell’intimità misteriosa della sua anima prima che sotto le volte del santuario» (25 gennaio 1960). Papa Giovanni, “il buono”, non suscita nostalgie, il che equivarrebbe a guardare indietro; piuttosto egli ci stimola a tentare l’avventura della testimonianza e ci invita a riaprire il Libro divino per scoprirvi l’ispirazione alla fedeltà e al rinnovamento, binomio da lui coniato come filo conduttore del concilio Vaticano II e della sua fedele attuazione. Questo Angelo Giuseppe, angelo del Signore, rinnova ora il monito del vigilare mentre incombe la notte; di prestare attenzione, di non arrendersi alle mode ricorrenti e cangianti; e lo fa con l’autorità dei carismi ricevuti, l’eloquenza dell’esempio, la forza della bontà e della santità. Benedetto Papa Giovanni! Ci ha dato l’esempio di saper toccare le anime prima ancora di aprire le labbra. Come del resto egli parlava al suo Signore con il testo mirabile dell’Imitazione di Cristo: «O Gesù, splendore di gloria eterna, conforto dell’anima pellegrina. Presso di te la mia bocca è senza voce, e ti parla il mio silenzio» (Libro III, 21, 4). Con accenti di ineffabile gratitudine saluto i Papi che più strettamente sono legati a Giovanni XXIII: San Pio X, che l’11 agosto 1904 ricevendo in Vaticano don Angelo Roncalli, dopo la celebrazione della prima messa nelle Grotte Vaticane, auspicò che il suo ministero «fosse motivo di consolazione per la Chiesa universale». Benedetto XV che nel 1920 lo volle a Roma a Propaganda Fide. Pio XI, conosciuto all’Ambrosiana di Milano nel 1905, che lo inviò suo rappresentante in Bulgaria, Turchia e Grecia. Pio XII che lo designò nunzio apostolico in Francia, lo creò cardinale, lo promosse patriarca di Venezia. Paolo VI che assunse su di sé e coronò santamente il concilio Vaticano II. Giovanni Paolo I che nel suo unico messaggio papale canonizzò il binomio fedeltà e rinnovamento. Giovanni Paolo II che ne visitò il villaggio natale e vi celebrò le virtù e i meriti delle famiglie e della tradizione locale e nel centenario della nascita anticipò con stupenda omelia la beatificazione del 3 settembre 2000. Benedetto XVI che ne apprezzò e cantò il vertice da lui raggiunto della perfezione evangelica: semplicità e prudenza. mati dalla stessa fede di Abramo, testimoni dei segni che accompagnavano le parole del Maestro. Pietro ascoltò la domanda e rispose per tutti: «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente» (Matteo, 16, 16). E lo stesso dice in un’altra occasione, nella sinagoga di Cafarnao, dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci: «Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Giovanni, 6, 69). Poco tempo mi separa dal redde rationem e io debbo ridurre tutto ai termini più semplici, sbarazzarmi di residua zavorra, patetici diari e album illustrativi, romantiche fantasie e sterili rimpianti. Devo ricondurre tutto all’essenziale e puntare la prora verso il porto. A ciò mi sollecita Giovanni XXIII in una sua riflessione del 1945, quando aveva sessantaquattro anni, oltre trenta in meno dei miei attuali: «Non debbo nascondere a me stesso la verità: sono incamminato decisamente verso la vecchiaia. Lo spirito reagisce e quasi protesta, sentendomi ancora così giovane ed alacre, agile e fresco. Ma basta un’occhiata allo specchio per confondermi. Questa è la stagione della maturità; debbo dunque produrre il più ed il meglio, riflettendo che forse il tempo concessomi a vivere è breve e che mi trovo vicino alle porte dell’eternità». Cos’è stata la mia parabola! Mi sono sentito attratto al sacerdozio sin da ragazzo, cresciuto nella provincia veneta in una famiglia priva di censo e senza storia, fondata su principi indiscutibili, custode di valori originari, cristiana quanto bastava. Invitato a lasciarmi plasmare da Cristo e a immergermi nella tradizione millenaria della Chiesa, provai a rispondere sin da principio all’interrogativo cui nessuno può sfuggire: «Chi è Gesù per me?». Dovetti dare una risposta non elusiva e la diedi: «Gesù è il figlio di Maria Vergine, il salvatore, il maestro, il fondatore della Chiesa, il risorto, il vivente». Sono prete da oltre settant’anni, vescovo da quasi cinquanta, eppure per me Gesù è lo stesso che la mamma e i miei educatori mi insegnarono ad ascoltare e ad amare; lo stesso che appresi al catechismo parrocchiale e all’Azione cattolica. È il Gesù dei preti e dei laici che mi edificarono, talora sino all’esaltazione, nel corso dei decenni. Chi è Gesù? È colui che mi ha reso partecipe della natura divina e mi aiuta a esserne consapevole e a comportarmi in modo coerente, come ancora una volta mi suggerisce Giovanni XXIII, in una sua nota del 1948: «La via più sicura per la mia santificazione personale resta lo sforzo vigilante di ridurre tutto: principi, indirizzi, posizioni, affari, al mas- Giacomo Manzù, «Maschera mortuaria di Giovanni Papa Francesco che la vox populi saluta successore del Papa della bontà. Signor cardinale decano, fratelli e Sorelle, ho percorso un lungo e accidentato tragitto prima di giungere a Camaitino, ultima casa della mia vita. Ho incontrato molte persone e ho conversato a lungo con alcune. Ho vissuto eventi più grandi di me. Sono passato accanto a esperienze che mi hanno segnato, anche ferito. Non ho gustato il paradiso della fanciullezza. Di conseguenza, una punta di malinconia, pudicamente nascosta, mi ha accompagnato giorno dopo giorno; talvolta ha turbato i rapporti col mio prossimo, tarpato le ali ai miei slanci. Adesso, nel vespro della mia giornata, come ultimo tra i suoi, amo riascoltare l’interrogativo di Gesù agli apostoli che risuona nel profondo della mia coscienza: «Voi chi dite che io sia?» (Matteo, 16, 11). Quei giovani avevano abbandonato tutto per seguirlo. Vivevano con lui in ascolto, desiderosi di assistere, di apprendere. Percorrevano con lui le strade della Palestina ani- XXIII» (1963, Sotto il Monte) simo di semplicità e di calma, con attenzione a potare sempre la mia vigna di ciò che è solo fogliame e viluppo di viticci, ed andare diritto a ciò che è verità, giustizia, carità, soprattutto carità. Ogni altro sistema di fare non è che posa e ricerca di affermazione personale che presto si tradisce e diventa ingombrante e ridicolo». L’utopia, così la chiamano gli increduli, consiste nell’arrendersi a Gesù senza condizioni, nel leggere il suo Vangelo senza glossa, nel mettere il proprio io sotto i piedi e vedere lui in ogni nostro simile, servirlo e amarlo. Era questo il sentire di Papa Giovanni: un sentire che edifica e unisce. Non sono contento di me e di sicuro non lo furono e non lo sono molti di coloro che incrociarono i loro passi con i miei. Tendo la mano e chiedo la carità come il mendicante, e nell’attesa di ricevere il pane del perdono recito il Padre nostro sulla soglia delle case, come facevano i poverelli nei tempi andati. A chi chiede dove si soffermano più sereni i miei ricordi, rispondo: in parrocchia, a Venezia, tra i ragazzi dell’Azione cattolica, a Parma, tra gli avieri, e dappertutto, nelle ore silenziose e solitarie. Del mio servizio decennale a Giovanni XXIII sono insoddisfatto, nonostante la mia dedizione e devozione. Mi punge il rimorso di non aver tratto tutto il beneficio di quella vicinanza, di non essere penetrato addentro nel segreto della sua povertà di spirito. Nell’ultimo e misterioso suo tratto di strada, egli meritava un collaboratore più degno e dotto, più preparato ed equilibrato, e anche più coraggioso. Non mi riconosco infatti nell’esortazione di Paolo al suo Timoteo, invitato a rimanere saldo sulla roccia delle Sacre Scritture, «perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona» (2 Timoteo, 3, 16). Accanto a Papa Giovanni, lo furono Alfredo Cavagna, suo confessore, e Angelo Dell’Acqua, sostituto della Segreteria di Stato, ecclesiastici superiori a ogni elogio. Adesso, in piena lucidità, vorrei sentir maturare in me la decisione espressa da Papa Giovanni nel suo testamento: «Chiedo perdono a coloro che avessi inconsciamente offeso, a quanti non avessi recato edificazione. Sento di non aver nulla da perdonare a chicchessia, perché in quanti mi conobbero, ed ebbero rapporti con me, mi avessero anche offeso o disprezzato o tenuto, giustamente del resto, in disistima, o mi fossero stati motivo di afflizione, non riconosco che dei fratelli e dei benefattori, a cui sono grato e per cui prego e pregherò sempre». Mi fa buona compagnia un pensiero, non saprei dire se amaro o realistico, di Hermann Hesse: «Quando uno è diventato vecchio e ha adempiuto la sua parte, il compito che gli spetta è di fare, in silenzio, amicizia con la morte; non ha più bisogno degli uomini, ne ha incontrati abbastanza». Il gomitolo della mia esistenza si è dipanato tra due eventi funebri: la morte di mio padre quando avevo sei anni, di mia madre quando ne avevo sessantanove. Dentro questo spazio splende il transito pentecostale di Papa Giovanni. Pertanto l’angelo della morte mi sta appresso da sempre, e non è uno scheletro con la falce in mano; è un raggio di luce che squarcia le tenebre. La mia ora non può tardare. Ci penso ogni giorno, talvolta con un pizzico di malinconia, e mi dispongo al giudizio senza presunzione e senza timore. Non sono così stolto da ritenermi un giusto. Conosco quanto basta il consuntivo finale. Ripeto sovente: «Ho terminato la corsa, ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede» (2 Timoteo, 4, 7). Nutro fiducia sulle sorti del pianeta Terra. Continuo a proporre attenuanti alle colpe dell’umanità, non per inclinazione al vituperato buonismo, ma per dovere di giustizia temperata dalla misericordia. Sul dipartirmi dal mio amato romitorio e dalle persone care, mi investe l’infiammato grido di san Francesco per tutte le creature: «Vorrei condurvi tutti in paradiso»; e mi conferma nella fede il credo di Papa Giovanni: «La mia giornata terrena finisce. Il Cristo vive e la sua Chiesa ne continua l’opera nel tempo e nello spazio». Sono consapevole che tutto è bello e nuovo nel fulgore del Risorto: tutto è grazia. Quando nel- la maschera mortuaria di Giovanni, rilevata da Giacomo Manzù, contemplo quel volto maestoso e placido, scavato dalla sofferenza; oppure quando prendo in mano uno dei suoi libri, che erano sua delizia; o i suoi epistolari o il Giornale dell’anima; meglio ancora, quando lo rivedo e gli parlo nelle ore di preghiera e di contemplazione, qualcosa si scioglie dentro di me. La malinconia (se c’è) se ne va. Le ansietà si placano. Torna il coraggio. Fiorisce la speranza. Apro la Bibbia e leggo: «La sapienza dell’uomo rende sereno il suo volto» (Siracide, 8, 1). E nasce in me il desiderio di divenire discepolo di Cristo non incerto né dubbioso, bensì deciso e costante; di imitare il santo Papa e di obbedire al suo quinto successore, in quel suo camminare a piedi nudi al seguito del divino maestro; nel rassettare le reti sulla riva del lago, nel remare nell’ora della tempesta e nell’andare «senza borsa, né pane né denaro» (Luca, 9, 3) da un villaggio all’altro, «integro e retto, timorato di Dio e lontano dal male» (Giobbe, 1, 1). Signor cardinale, fratelli e sorelle, salutiamo insieme i due Papi associati nel servizio, nella sofferenza, nella gloria. Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, perché otteniamo la grazia di entrare nella costellazione dei giusti, caricarci sulle spalle le nuove povertà, e tentare di convincere i detentori del potere economico e i manovratori dei poteri mediatici, di non impedirci di essere onesti (al punto di restituire il mal tolto o il mal amministrato) e misericordiosi senza divenire deboli, ottenerci la grazia di arrenderci alla logica del vangelo, disponibili dunque a rinunciare noi per primi alle cose, almeno a qualcosa, per far divampare nel mondo i fuochi dell’amore. Diamo infine la parola a Giovanni Battista Montini, in uno squarcio oratorio della notte di Pentecoste, 2 giugno 1963. Vale per Giovanni XXIII, per Giovanni Paolo II ed anche per lui, Paolo VI: «Benedetto questo Papa che ha dato a noi e al mondo l’immagine della bontà pastorale e si è fatto a chi nella Chiesa ha la responsabilità di governo l’esempio evangelico del buon pastore. Benedetto questo Papa che ci ha mostrato non essere la bontà debolezza e fiacchezza, non essere irenismo equivoco, non essere rinuncia ai grandi diritti della verità e ai grandi doveri dell’autorità, ma essere la virtù-principe di chi rappresenta Cristo nel mondo. Benedetto questo Papa che ci ha fatto vedere, ancora una volta, che l’autorità nella Chiesa non è ambizione di dominio, non è distanza dalla comunità dei fedeli, non è paternalismo consuetudinario ed esteriore, non è ciò che i nemici della Chiesa o i laici ad essa ostili ed estranei vorrebbero qualificare: dogmatismo retrivo e inceppante il progresso del mondo; ma è sollecitudine provvida e sapiente, ma funzione voluta da Cristo, insostituibile e degna d’ogni riverenza e fedeltà; ma servizio umile, disinteressato, faticoso e cordiale, che nella sua più chiara ed autentica manifestazione tutti possiamo grandiosamente chiamare bontà. Benedetto questo Papa che ci ha fatto godere un’ora di paternità e familiarità spirituale e che ha insegnato a noi ed al mondo che l’umanità di nessuna altra cosa ha maggior bisogno quanto di amore. E benedetta questa Pentecoste triste e soave, che nell’umana agonia di Giovanni ancora ci mostra dove sia la prima, la vera sorgente dell’amore che salva: è nella Chiesa di Pietro». L’OSSERVATORE ROMANO domenica 2 marzo 2014 pagina 7 Il discorso pronunciato da Papa Francesco durante l’udienza di venerdì alla plenaria della Pontificia commissione per l’America latina Per trasmettere fede e speranza Pubblichiamo qui di seguito la trascrizione del discorso rivolto a braccio da Papa Francesco ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Commissione per l’America latina, durante l’udienza svoltasi ieri, venerdì 28 febbraio, nella Sala Clementina. Buenos días. Agradezco al Cardenal Ouellet sus palabras y a ustedes todos el trabajo que han hecho durante estos días. Transmisión de la fe, emergencia educativa. Transmisión de la fe lo escuchamos varias veces, no nos hace tanto ruido la palabra, sabemos que es una obligación hoy día cómo se transmite la fe, que ya fue tema propuesto para el anterior Sínodo que terminó en la evangelización. Emergencia educativa es una expresión recientemente adoptada por ustedes con los que prepararon esto. Y me gusta porque esto crea un espacio antropológico, una visión antropológica de la evangelización, una base antropológica. Si hay una emergencia educativa para la transmisión de la fe, es como tratar el tema de la catequesis a la juventud desde una perspectiva diríamos de teología fundamental. Es decir, cuáles son los presupuestos antropológicos que hay hoy día en la transmisión de la fe que hacen que para la juventud de América Latina esto sea emergencia educativa. Y por eso creo que hay que ser repetitivo y volver a las grandes pautas de la educación. Y la primera pauta de la educación es que educar — lo hemos dicho, en la misma Comisión, una vez lo hemos dicho — no es solamente transmitir conocimientos, contenidos, sino que implica otras dimensiones. Transmitir contenidos, hábitos y valoraciones, los tres juntos. Para poder transmitir la fe hay que crear el hábito de una conducta, hay que crear la recepción de valores que la preparen y la hagan crecer, y hay que dar contenidos básicos. Si solamente queremos transmitir la fe con contenidos, será una cosa superficial o ideológica que no va a tener raíces. La transmisión tiene que ser de contenidos con valores, valoraciones y hábitos, hábitos de conducta. Los antiguos propósitos de nuestros confesores cuando éramos chicos: «bueno, en esta semana vos hacé esto, esto y esto...», y nos iban creando un hábito de conducta. Y no sólo el contenido sino los valores, o sea que en ese marco la transmisión de la fe tiene que moverse. Tres pilares. Otra cosa que es importante para la juventud, transmitir a la juventud, a los chicos también, pero sobre todo a la juventud, es el buen manejo de la utopía. Nosotros en América Latina hemos tenido la experiencia de un manejo no del todo equilibrado de la utopía y que en algún lugar, en algunos lugares, no en todos, en algún momento nos desbordó. Al menos en el caso de Argentina podemos decir cuántos muchachos de la Acción Católica, por una mala educación de la utopía, terminaron en la guerrilla de los años ’70. Saber manejar la utopía, saber conducir — manejar es una mala palabra —, saber conducir y ayudar a crecer la utopía de un joven es una riqueza. Un joven sin utopías es un viejo adelantado, envejeció antes de tiempo. ¿Cómo hago para que esta ilusión que tiene el chico, esta utopía, lo lleve al encuentro con Jesucristo? Es todo un paso que hay que ir haciendo. Me atrevo a sugerir, lo siguiente: una utopía en un joven crece bien si está acompañada de memoria y de discernimiento. La utopía mira al futuro, la memoria mira al pasado, y el presente se discierne. El joven tiene que recibir la memoria y plantar, arraigar su utopía en esa memoria. Discernir en el presente su utopía, los signos de los tiempos, y ahí sí la utopía va adelante pero muy arraigada en la memoria, en la historia que ha recibido; discernían el presente maestros del discernimiento — lo necesitaban para los jóvenes —, y ya proyectada para el futuro. Entonces, la emergencia educativa ya tiene un cauce allí para moverse desde lo más propio del joven que es la utopía. De ahí la insistencia – que por ahí me escuchan – del encuentro de los viejos y los jóvenes. El icono de la presentación de Jesús en el Templo. El encuentro de los jóvenes con los abuelos es clave. Me decían algunos Obispos de algunos países en crisis, donde hay una gran desocupación de jóvenes, que parte de la solución de los jóvenes está en que le dan de comer los abuelos, o sea, se vuelven a encontrar con los abuelos, los abuelos tienen la pensión, entonces salen de la casa de reposo, vuelven a la familia, pero además le traen su memoria, ese encuentro. Yo recuerdo una película que vi hace 25 años más o menos, de Kurosawa, de este japonés, este famoso director japonés; muy sencilla: una familia, dos chicos, papá, mamá. Y papá, mamá se iban a hacer una gira por los Estados Unidos, entonces le dejaron los chicos a la abuela. Chicos japoneses de Coca-Cola, hot dogs, o sea de una cultura de ese tipo. Y todo el film está en cómo esos chicos empiezan a escuchar lo que les cuenta la abuela de la memoria de su pueblo. Cuando los padres vuelven, los desubicados son los padres, fuera de la memoria, los chicos la habían recibido de la abuela. Este fenómeno del encuentro de los chicos y los jóvenes con los abuelos ha conservado la fe en los países del Este, durante toda la época comunista, porque los padres no podían ir a la iglesia. Y me decían... — me estoy confundiendo pero, en estos días no sé si estuvieron los obispos búlgaros o de Albania —, me decían que las iglesias de ellos están llenas de viejos y de jóvenes, los papás no van porque nunca se encontraron con Jesús, esto entre paréntesis. Este encuentro de los chicos y los jóvenes con los abuelos es clave para recibir la memoria de un pueblo y el discernimiento en el presente. Ser maestros de discernimiento, consejeros espirituales. Y aquí es importante para la transmisión de la fe de los jóvenes el apostolado cuerpo a cuerpo. El discernimiento en el carte, pero eso se nos mete dentro y acá caigo en lo de los jóvenes. Hoy día, como molesta a este sistema económico mundial la cantidad de jóvenes que hay que darles fuente de trabajo, ... el porcentaje alto de desocupación de los jóvenes. Estamos teniendo una generación de jóvenes que no tienen la experiencia de la dignidad. No que no comen, porque les dan de comer los abuelos, o la parroquia, o la sociedad de fomento, o el ejército de salvación, o el club del barrio. El pan lo comen, pero no la dignidad de ganarse el pan y llevarlo a casa. Hoy día los jóvenes entran en esta gama de material de descarte. Entonces, dentro de la cultura del descarte, miramos a los jóvenes que nos necesitan más que nunca, no sólo por esa utopía que tienen — porque el joven que está sin trabajo tiene anestesiada la utopía o está a punto de perderla —. No sólo por eso, sino por la urgencia de transmitir la fe a una juventud que hoy día es material de descarte también. Y dentro de este item de material de descarte, el avance de la droga sobre la juventud. No es solamente un problema de vicio. Las adicciones son muchas. Como todo cambio de época se dan fenómenos raros entre los cuales está la proliferación de adicciones, la ludopatía ha llegado a niveles sumamente altos, pero la droga es el instrumento de muerte de los jóvenes. Hay todo un armamento mundial de droga que está destruyendo esta generación de jóvenes que está destinada al descarte. Esto es lo que se me ocurrió decir y compartir. Primero, como estructura educativa transmitir contenidos, hábitos y valoraciones. Segundo, la utopía del joven relacionarla y armo- presente no se puede hacer sin un buen confesor o un buen director espiritual que se anime a aburrirse horas y horas escuchando a los jóvenes. Memoria del pasado, discernimiento del presente, utopía del futuro, en ese esquema va creciendo la fe de un joven. Tercero. Diría como emergencia educativa, en esta transmisión de la fe y también de la cultura, es el problema de la cultura del descarte. Hoy día, por la economía que se ha implantado en el mundo, donde en el centro está el dios dinero y no la persona humana, todo lo demás se ordena y lo que no cabe en ese orden se descarta. Se descartan los chicos que sobran, que molestan o que no conviene que vengan. Los obispos españoles me decían recién la cantidad de abortos, del número, yo me quedé helado. Ellos tienen allí los censos de eso. Se descartan los viejos, tienden a descartarlos. En algunos países de América Latina hay eutanasia encubierta, hay eutanasia encubierta, porque las obras sociales pagan hasta acá, nada más y los pobres viejitos... como puedan. Recuerdo haber visitado un hogar de ancianos en Buenos Aires, del Estado, donde estaban las camas llenas; y, como no había más camas, ponían colchones en el suelo y estaban los viejitos ahí. Un país ¿no puede comprar una cama? Eso indica otra cosa, ¿no? Pero son material de descarte. Sábanas sucias, con todo tipo de suciedad, sin servilletas, y los viejitos comían ahí, se limpiaban la boca con la sábana. Eso lo vi yo, no me lo contó nadie. Son material de des- nizarla con la memoria y el discernimiento. Tercero, la cultura del descarte como uno de los fenómenos más graves que está sufriendo nuestra juventud, sobre todo por el uso que de esa juventud puede hacer, y está haciendo la droga para destruir. Estamos descartando nuestros jóvenes. El futuro, ¿cuál es? Una obligación. La traditio fidei es también, traditio spei y la tenemos que dar. La pregunta final que quisiera dejarles es: cuando la utopía cae en el desencanto, ¿cuál es nuestro aporte? La utopía de un joven entusiasta, hoy día está resbalando hacia el desencanto. Jóvenes desencantados a los cuales hay que darles fe y esperanza. Les agradezco de todo corazón el trabajo de ustedes, de estos días, para salir al frente de esta emergencia educativa y sigan adelante... Necesitamos ayudarnos en esto. Las conclusiones de ustedes y todo lo que podamos hacer. Muchas gracias. Di seguito una traduzione italiana del discorso pronunciato dal Pontefice. Buongiorno! Ringrazio il Cardinale Ouellet per le sue parole e tutti voi per il lavoro che avete fatto in questi giorni. Trasmissione della fede, emergenza educativa. La trasmissione della fede la sentiamo diverse volte, non ci sorprende tanto la parola. Sappiamo che è un dovere al giorno d’oggi, come si trasmette la fede, che è già stato il tema proposto dal precedente Sinodo, che terminò nell’evangelizzazione. Emergenza educativa è un’espressione adottata recentemente da voi con coloro che hanno preparato questo lavoro. E mi piace, perché questo crea uno spazio antropologico, una visione antropologica dell’evangelizzazione, una base antropologica. Se c’è un’emergenza educativa per la trasmissione della fede, è come trattare il tema della catechesi alla gioventù da una prospettiva — diciamo — di teologia fondamentale. Vale a dire, quali sono i presupposti antropologici che ci sono oggi nella trasmissione della fede, che fanno sì che per la gioventù dell’America Latina questo sia emergenza educativa. E per questo credo che bisogna essere ripetitivi e tornare ai grandi criteri dell’educazione. E il primo criterio dell’educazione è che educare — lo abbiamo detto nella stessa Commissione, una volta lo abbiamo detto — non è soltanto trasmettere conoscenze, trasmettere contenuti, ma implica altre dimensioni: trasmettere contenuti, abitudini e senso dei valori, le tre cose insieme. Per trasmettere la fede bisogna creare l’abitudine di una condotta; bisogna creare la recezione dei valori, che la preparino e la facciano crescere; e bisogna dare anche dei contenuti di base. Se vogliamo trasmettere la fede soltanto con i contenuti, allora sarà solo una cosa superficiale o ideologica, che non avrà radici. La trasmissione dev’essere di contenuti con valori, senso dei valori e abitudini, abitudini di condotta. I vecchi propositi dei nostri confessori quando eravamo ragazzi: “Allora, questa settimana fate questo, questo e questo...”; e ci stavano creando un’abitudine di condotta; e non solo i contenuti, ma i valori. In questo quadro deve muoversi la trasmissione della fede. Tre pilastri. Un’altra cosa che è importante per la gioventù, da trasmettere alla gioventù, anche ai bambini ma soprattutto ai giovani, è la buona gestione dell’utopia. Noi, in America Latina, abbiamo avuto esperienza di una gestione non del tutto equilibrata dell’utopia e che in qualche luogo, in alcuni luoghi, non in tutti, e in qualche momento ci ha travolto. Almeno nel caso dell’Argentina possiamo dire quanti ragazzi dell’Azione Cattolica, per una cattiva educazione dell’utopia, sono finiti nella guerriglia degli anni Settanta... Saper gestire l’utopia, ossia saper guidare — “gestire” è una brutta parola — saper guidare e aiutare a far crescere l’utopia di un giovane, è una ricchezza. Un giovane senza utopia è un vecchio precoce, che è invecchiato prima del tempo. Come posso far sì che questo desiderio che ha il ragazzo, che questa utopia lo porti all’incontro con Gesù Cristo? È tutto un percorso che bisogna fare. Mi permetto di suggerire quanto segue. Un’utopia, in un giovane, cresce bene se è accompagnata da memoria e discernimento. L’utopia guarda al futuro, la memoria guarda al passato, e il presente si discerne. Il giovane deve ricevere la memoria e piantare, radicare la sua utopia in quella memoria; discernere nel presente la sua utopia — i segni dei tempi — e allora sì l’utopia va avanti, ma molto radicata nella memoria e nella storia che ha ricevuto; discernevano il presente maestri di discernimento — ne avevano bisogno per i giovani —, e già proiettata verso il futuro. Allora l’emergenza educativa ha già lì un alveo per muoversi a partire da ciò che è più proprio del giovane, che è l’utopia. Da qui l’insistenza — che mi sentono dire qua e là — sull’incontro degli anziani e dei giovani. L’icona della presentazione di Gesù al Tempio. L’incontro dei giovani con i nonni è decisivo. Mi dicevano alcuni Vescovi di alcuni Paesi in crisi, dove c’è una grande disoccupazione dei giovani, mi dicevano che parte della soluzione per i giovani sta nel fatto che li mantengono i nonni. Tornano ad incontrarsi con i nonni, i nonni hanno la pensione, allora escono dalla casa di riposo, tornano in famiglia e in più portano la loro memoria, quell’incontro. Io ricordo un film che ho visto circa 25 anni fa, di Kurosawa, quel famoso regista giapponese; molto semplice: una famiglia, due bambini, papà e mamma. E il papà e la mamma vanno a fare un viaggio negli Stati Uniti, lasciando i bambini alla nonna. Bambini giapponesi, Coca Cola, hot dog... una cultura di questo tipo. E tutto il film racconta come questi bambini cominciano, piano piano, ad ascoltare quanto racconta loro la nonna sulla memoria del suo popolo. Quando i genitori ritornano, i disorientati sono i genitori: fuori dalla memoria, che i bambini avevano ricevuto dalla nonna. Questo fenomeno dell’incontro dei ragazzi e dei giovani con i nonni ha conservato la fede nei Paesi dell’Est, durante tutta l’epoca comunista, perché i genitori non potevano andare in chiesa. Mi dicevano... — forse mi sto confondendo... in questi giorni non so se erano stati i Vescovi bulgari o quelli di Albania — mi dicevano che le Chiese da loro sono piene di anziani e di giovani: i genitori non vanno, perché non si sono mai incontrati con Gesù. Questo tra parentesi... L’incontro dei ragazzi e dei giovani con i nonni è decisivo per ricevere la memoria di un popolo e il discernimento sul presente: essere maestri del discernimento, consiglieri spirituali. E qui è importante, riguardo alla trasmissione della fede dei giovani, l’apostolato “corpo a corpo”. Il discernimento sul presente non si può fare se non con un buon confessore, un buon direttore spirituale che abbia la pazienza di stare ore e ore ad ascoltare i giovani. Memoria del passato, discernimento sul presente, utopia del futuro: in questo schema cresce la fede di un giovane. Terzo. Direi come emergenza educativa, in questa trasmissione della fede e anche della cultura, è il problema della cultura dello scarto. Al giorno d’oggi, per l’economia che si è impiantata nel mondo, dove al centro c’è il dio denaro e non la persona umana, tutto il resto si ordina, e quello che non entra in questo ordine si scarta. Si scartano i bambini che sono di troppo, che danno fastidio o che non conviene che vengano... I Vescovi spagnoli mi parlavano recentemente della quantità di aborti, il numero, sono rimasto senza parole. Loro là tengono il conto di questo... Si scartano gli anziani, si tende a scartarli, e in alcuni Paesi dell’America Latina c’è l’eutanasia nascosta, c’è l’eutanasia nascosta! Perché le opere sociali pagano fino a un certo punto, non di più, e i poveri vecchietti, si arrangino. Ricordo di aver visitato una casa di riposo di anziani in Buenos Aires, dello Stato, dove i letti erano tutti occupati, e siccome non c’erano letti mettevano dei materassi per terra, e lì stavano i vecchietti. Un Paese non può comprare un letto? Questo indica un’altra cosa, no? Sono materiali di scarto. Lenzuola sporche, con ogni tipo di sporcizia; senza tovagliolo e i poveretti mangiavano lì, si pulivano la bocca con le lenzuola... Questo l’ho visto io, non me lo ha raccontato nessuno. Sono materiali di scarto; però questo ci rimane dentro... e qui ritorno al tema dei giovani. Oggi, come dà fastidio a questo sistema mondiale la quantità di giovani ai quali è necessario dare lavoro, la percentuale così alta di disoccupazione giovanile. Stiamo avendo una generazione di giovani che non hanno l’esperienza della dignità. Non che non mangino, perché danno loro da mangiare i nonni, o la parrocchia, o l’assistenza sociale dello Stato, o l’Esercito della Salvezza, o il club del quartiere... Il pane lo mangiano, ma senza la dignità di guadagnarsi il pane e portarlo a casa! Oggi i giovani entrano in questa gamma del materiale di scarto. E allora, dentro la cultura dello scarto, vediamo i giovani che più che mai hanno bisogno di noi; non solo per quella utopia che hanno — perché il giovane che è senza lavoro ha l’utopia anestetizzata, o è sul punto di perderla —, non soltanto per questo, ma anche per l’urgenza di trasmettere la fede ad una gioventù che oggi è materiale di scarto anch’essa. E in questa voce del materiale di scarto, c’è l’avanzare della droga su questi giovani. Non è solo un problema di vizio, le dipendenze sono molte. Come in tutti i cambiamenti epocali, ci sono fenomeni strani tra cui la proliferazione delle dipendenze: la ludopatia è arrivata a livelli estremamente alti... ma la droga è lo strumento di morte dei giovani. C’è tutto un armamento mondiale di droga che sta distruggendo questa generazione di giovani che è destinata allo scarto! Questo è ciò che volevo dire e condividere. Primo, come struttura educativa, trasmettere contenuti, comportamenti e senso dei valori. Secondo, l’utopia del giovane, relazionarla e armonizzarla con la memoria e il discernimento. Terzo, la cultura dello scarto come uno dei fenomeni più gravi di cui sta soffrendo la nostra gioventù, soprattutto per l’uso che di questa gioventù può fare e sta facendo la droga per distruggere. Stiamo scartando i nostri giovani! Il futuro qual è? Un compito: la traditio fidei è anche traditio spei, e dobbiamo darla! La domanda finale che vorrei lasciarvi è: quando l’utopia cade nel disincanto, quale è il nostro apporto? L’utopia di un giovane entusiasta oggi sta scivolando fino al disincanto. Giovani disincantati, ai quali bisogna dare fede e speranza. Vi ringrazio con tutto il cuore per il vostro lavoro di questi giorni, per far fronte a questa emergenza educativa, e andate avanti! Dobbiamo aiutarci in questo. Le vostre conclusioni e tutto quello che possiamo fare. Molte grazie. Per una lieve indisposizione Il vescovo di Roma rinuncia alla visita al Seminario maggiore «Una lieve indisposizione» e «qualche linea di febbre» hanno costretto Papa Francesco a rinunciare alla visita al Pontificio Seminario Romano Maggiore, dov’era atteso venerdì sera, 28 febbraio. È stato il direttore della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, a spiegarne i motivi, aggiungendo che il medico gli ha consigliato di riposare. donne chiesa mondo Sua madre confrontava tutte queste cose nel suo cuore L’OSSERVATORE ROMANO marzo 2014 numero 21 Isabella Ducrot, «Bende sacre 5» (2011, tecnica mista su tessili tibetani) Donne e arte Incontro con l’alterità L’arte ha origine da un incontro con qualcosa di più grande e forte di noi. Che lo si chiami destino, o ispirazione. Tutte le protagoniste di questo numero dedicato a donne e arte si sono incontrate con questa alterità, che ha determinato la loro vita. Questo incontro ha suggerito loro come diventare agenti di trasmissione della bellezza per gli esseri umani sfavoriti, con il fine di alleviare la loro condizione di sofferenti, o ha ispirato la creazione di opere che — quasi misteriosamente e loro malgrado — rivelano poi la loro natura sacra. Oppure può nascere da questo consapevole incontro una vera e propria creazione architettonica e artistica finalizzata a costruire la casa di Dio, coscientemente pensata in modo da rendere la sua presenza più percepibile agli esseri umani che ne varcheranno la soglia. Anche il modo in cui comprendiamo le opere d’arte ha una storia, che può venire attraversata da improvvise rivelazioni: come quella che suggerisce una rilettura della famosissima Pietà di Michelangelo, che si trova a San Pietro, in senso simbolico-femminile. L’arte quindi è una delle vie che le donne percorrono per parlare di Dio e con Dio, una delle vie che sempre più le vede protagoniste, così importanti che non si possono dimenticare o emarginare, come si è fatto per troppo tempo. È una prova che le donne fanno parte — proprio come gli uomini — della storia d’amore di Dio verso il suo creato. Come ricorda Barbara Hallensleben nella bella riflessione teologica che pubblichiamo questo mese, «la differenza tra uomo e donna ha a che fare con l’immagine che Dio ci rivela di se stesso», e quindi ogni approfondimento di questa differenza porta sulle tracce del mistero di Dio. Proprio per questo una riflessione sul ruolo della donna nell’arte — in particolare in un’arte che si apre consapevolmente alla spiritualità — costituisce un nuovo passo nella scoperta di come questa differenza diventi spirito di creazione e di rappresentazione della realtà umana e del suo rapporto con il divino. In questo caso — come in molti altri — non si parla di aprire nuovi ruoli alle donne, ma solo di vedere e riconoscere il lungo cammino che hanno percorso. (l.s.) Beethoven chiamava il «mondo della musica». Opta per uno spossessamento dell’artista? Si tratta di dimenticare se stessi per servire la musica, piuttosto che utilizzare la musica per servire se stessi: questa è la condizione sine qua non affinché i suoni che comunicano diventino suoni creatori di comunione. La musica allora si esprime da sola, sulla punta delle dita, in un presente dove tutte le paure segrete sono superate. Allora emoziona quanti la ascoltano, creando con loro un solo cuore. Le mani dell’interprete fanno di lui un traghettatore di grazia. Egli raggiunge il tocco spirituale, in un gesto epifanico in cui le sue mani offerte rivelano l’anima della musica. La bellezza è ciò che appare quando si perde di vista se stessi, quando si va oltre se stessi. Allora la musica è dono? C’è una forma di gratuità nell’arte. La musica non può che donarsi, il che presuppone che non sia sorretta da valori commerciali. Ebbene, oggi la società consumistica tende sempre più ad associare la musica a un commercio. Il musicista professionista viene pertanto messo a dura prova: competizione, legge del mercato, redditività dei concerti, incisioni e così via. Al contrario penso che la musica debba restare un’offerta, non un ingranaggio. Nascosta sotto il pianoforte Senza giocare con le parole, è questo il motivo per cui la Pédagogie Résonnance non attribuisce premi? A colloquio con Elisabeth Sombart di SYLVIE BARNAY «Lo stupore mi assaliva quando da piccola, nascosta sotto il pianoforte, ascoltavo la musica. Avevo l’impressione di essere io stessa la musica», afferma Elisabeth Sombart parlando di com’è nata la sua vocazione. «Non si diventa musicisti, si nasce musicisti»: la pianista di fama internazionale ricorda così l’arte della musica con termini simili a quelli dei grandi artisti per i quali «l’emozione non dice “io”», come sottolinea Gilles Deleuze. Tra gli incontri determinanti della vita di Elisabeth Som- donne chiesa mondo «Sono evaso dall’alto, nel profondo del mio cuore» mi ha detto in lacrime un detenuto di Regina Coeli al termine di un mio concerto bart, quello con il direttore d’orchestra Sergiù Celibidache: Elisabeth si forma per circa dieci anni alla fenomenologia della musica che quest’ultimo insegna all’università di Magonza. Quell’insegnamento le apre la via di un’esplorazione nuova della musica vissuta «come l’immagine mobile dell’eternità immobile». Lo sviluppa e crea la Pédagogie Résonnance, costruita sul principio di base della riduzione della molteplicità dei fenomeni sonori all’unità. La pianista prosegue parallelamente una carriera internazionale in prestigiose sale da concerto: Théatre des Champs-Elysée a Parigi, Carnegie Hall a New York, Wignore Hall a Londra, Concertgebouw ad Amsterdam, Suntory Hall a Tokyo, Victoria Hall a Ginevra. Incide inoltre un’importante discografia da Bach a Bartok. Nel 1990 crea in Svizzera la Fondazione Résonnance, diffusasi poi in altri sei Paesi, al fine di portare la musica nei luoghi di solidarietà. Per Elisabeth Sombart, la musica è gioia, respiro, comunione, che trascende ogni sapere, ogni cultura e ogni appartenenza sociale e religiosa. Lo scrittore Christian Bobin ha detto ascoltandola: «A illuminarmi è il suo modo di pulire ogni nota con un piccolo pennello di silenzio». Qual è l’importanza del silenzio per lei? Solo la coincidenza dei suoni e del silenzio permette di essere al centro della musica. Ogni nota che eseguiamo testimonia un silenzio primordiale. Per questo ogni interprete, prima di tutto, deve aver fatto voto di silenzio. Tra una nota e l’altra e in ogni nota c’è il silenzio. Tra una di una forma di apostolato della consolazione attraverso la musica. C’è un legame con il Vangelo? nota e l’altra c’è lo spazio per l’interiorità. L’artista che procede con una simile consapevolezza arriva ad amare questo silenzio interiore. Va detto che tutte le opere musicali cominciano con un’espirazione. Nel corso dell’opera, la nostra respirazione si adatta di frase in frase per rivelarle e collegarle tra loro. Ogni frase musicale scaturisce allora dalla continuità interiore dove l’anima dell’interprete respira. È nel silenzio, dove nasce la respirazione, che l’interprete trova il cammino del suo cuore, quello che conduce al mondo dell’anima della musica, là dove i suoni diventano musica. Le azioni della fondazione si riallacciano al messaggio del Vangelo di san Matteo: «Perché io ho avuto fame e mi avete dato da «Perché ho avuto sete e mi avete dato da bere mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; nudo e mi avete vestito» si legge nel Vangelo ero forestiero e mi avete Nutrire gli altri con la musica ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi è diventato per me un dovere avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi» (Matteo, 25, 35-36). Nutrire gli altri in gnificherebbe eliminarne uno? Nelle scuoquesto modo è diventato un dovere per le Résonnance, come nelle nostre master class, quando un allievo esegue con natume. ralezza i suoi brani, lo portiamo a suonare In fondo, lei è anche molto vicina alla visione in uno dei nostri luoghi di solidarietà. È questa per lui la ricompensa più bella. neoplatonica del pensiero medievale che concepiva l’infinitamente piccolo come il calco Per concludere, cosa augura a quanti l’ascoldell’infinitamente grande? tano? La musica conduce dunque in un’altra dimensione spazio-tempo? Al termine di un concerto, le persone lo dicono magnificamente: «Ero in paradiso!». Questo trasporto è anche un’elevazione. San Girolamo spiega che i musicisti sono sulla terra per colmare il vuoto che gli angeli hanno lasciato in cielo partendo con Lucifero. Quando suona, il musicista in effetti entra in un’altra dimensione temporale, e con lui quanti lo ascoltano. Il tempo musicale non è il tempo della cronologia o quello degli orologi. È il tempo fuori dal tempo, un tempo che s’iscrive negli intervalli tra i suoni, dove il passato e il futuro si compenetrano nell’istante. Il verbo greco «katechein» – alla lettera far risuonare, da cui deriva la parola catechismo (insegnare, trasmettere) — è all’origine della fondazione che lei ha creato? La Fondazione Résonnance ha una duplice vocazione. Ha come fine, da una parte, di creare e di gestire le scuole di pianoforte Résonnance, i cui principi fondatori sono: gratuità, assenza di esami e di competizione, insegnamento della Pédagogie Résonnance, senza limiti di età. D all’altra, di offrire concerti negli ospedali, nelle case di riposo, nelle strutture medico-sociali, negli istituti per disabili, nei penitenziari e così via. Come reagisce questo pubblico? Un detenuto è venuto a trovarmi in lacrime al termine di un concerto che ho dato nel carcere Regina Coeli di Roma. Non aveva mai ascoltato la musica classica e mi ha detto: «Sono evaso dall’alto, nel profondo del mio cuore». Nelle lettere scritte dal campo di Westerbork nel 1942-1943, Etty Hillesum diceva della scrittura che «vorrebbe essere un balsamo versato su così tante piaghe». Anche lei parla La musica ci insegna che l’unica ricompensa è quella interiore, che i suoni diventano musica qui e ora. Quindi come paragonare un giovane musicista a un altro? Perché metterli in competizione? Non si- Secondo questo principio, ogni forma creata potrebbe essere ricondotta all’unità perfetta poiché è un modello dell’originale. Tutta la pedagogia che cerco di mettere in atto si fonda su questa relazione tra ciò che costituisce il mondo visibile e un altro che si può definire l’invisibile, e che Nata a Strasburgo, Elisabeth Sombart inizia presto a studiare pianoforte: a dieci anni vince il Premio di Pianoforte nel concorso BachAlbert-Lévêque. Lasciata la Francia, si perfeziona con Bruno Leonardo Gelber (Buenos Aires), Peter Feuchtwanger (Londra), Hilde Langer-Rühl (Vienna). Determinante sarà quindi l’incontro il direttore d’orchestra Sergiù Celibidache. Nel 1990 crea in Svizzera la Fondazione Résonnance, diffusasi poi in Italia, Spagna, Romania, Francia, Libano e Belgio, che organizza circa 500 concerti all’anno. Di trasfigurare insieme il nostro ascolto affinché traspaia la luce che illumina la vetrata della nostra anima, che non può che rischiararsi da sola, perché la nostra vita sia una creazione continua di grazia e di bellezza nel cuore di ognuno. È questa la sfida. Madre e figlia a Mogadiscio (LaPresse/Ap) donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo A sinistra, la vetrata interna della chiesa Maria Theotokos di Loppiano Sotto: l’edificio visto dall’alto Come una preghiera Il romanzo Artemisia Isabella Ducrot racconta il tema della ripetizione nelle sue “bende sacre” di CATHERINE AUBIN Lei ha viaggiato molto, in Oriente e in Estremo Oriente, e alcuni dicono che la sua arte è una forma di religione: me lo può spiegare? Lei è pittrice, con un nome francese, ma è italiana; quali sono le sue fonti d’ispirazione? Per la mia nuova mostra ho utilizzato “tessuti buddisti”; sono stoffe che i pellegrini acquistano per metterli su statue sacre, sono dunque oggetti religiosi, come una preghiera. In Tibet ci sono meno fiori che in India, per questo i tibetani offrono alle divinità una manifattura umana piuttosto che dei fiori. Questi tessuti racchiudono in sé il pensiero religioso delle persone che li offrono. Ho quindi utilizzato questa percezione delle cose collegandola a una rappresentazione che considero una preghiera, ossia la ripetizione. In effetti penso che in tutte le religioni del mondo ci sia la ripetizione: nelle litanie, nelle suppliche. Dunque, sul tessuto tibetano, che in un certo senso è sacro, ho cercato di tradurre in disegno queste ripetizioni che sono parte integrante di tutte le preghiere nel mondo. Sono italiana, ma sono soprattutto napoletana, il che fa una bella differenza. Per me significa dare grande importanza al destino. Significa anche che le cose avvengono naturalmente e non dipendono dalle proprie forze come in un programma preciso. Quindi, se devo parlare d’ispirazione, non l’ho avuta. Per me le cose sono accadute in modo naturale: non ho seguito corsi di disegno e non ho stu- In mostra a Roma «Bende sacre»: questo il titolo della mostra di Isabella Ducrot che si inaugura il 3 marzo 2014 alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea (Gnam) a Roma. Curata da Marcella Cossu e Silvana Freddo con Nora Iosia, la mostra resterà aperta fino al prossimo 18 maggio. Nel catalogo, edito da Gangemi, sono presenti scritti di Maria Vittoria Marini Clarelli, John Eskenazi, Stefano Velotti, Massimiliano Alessandro Polichetti, Luciano Trina e Marcella Cossu. diato belle arti. Non sapevo di saper disegnare. La cosa più straordinaria è che me ne sono resa conto dopo i cinquant’anni. Prima, non pensavo veramente di essere fatta per la pittura e ancor meno che qualcuno potesse apprezzare le mie opere. Era impensabile per me che un giorno avrei potuto pubblicare dei libri e soprattutto che avrei potuto esporre i miei quadri in una galleria d’arte. Tutto ciò era completamente inaudito, inatteso, incredibile! È a partire dalla ripetizione che ha scoperto la preghiera? Sì, assolutamente sì, perché l’ho associata a ciò che la preghiera è nel mondo. Di fatto molte preghiere non sono dialettiche. Ho cer- L’artista nella locandina della mostra Mai stata una brava ragazza In ascolto della compositrice russa ortodossa Sofia Gubaidulina di MARCELLO FILOTEI n Unione Sovietica, per fortuna, un compositore poteva essere minacciato di morte per lo stile utilizzato nella scrittura musicale. Nel 1936 ebbe luogo la rappresentazione dell’opera Lady Macbeth del distretto di Mtsensk di I Quali sono stati i temi dei suoi primi quadri? Cosa vuol dire lo «spirito nascosto»? sé lo spirito. Qui spirito significa qualcosa che esiste grazie al tessuto, ed è questa la differenza rispetto alla carta. La carta accetta lo spirito quando una persona scrive su di essa una poesia o qualcos’altro, mentre il tessuto trasforma la materia, la fibra, la consistenza: si può dire che il tessuto ha una sorta di anima. In Tibet ho trovato una vera preghiera: è una preghiera di ringraziamento, che proviene da una famiglia indubbiamente molto ricca perché è in seta, meravigliosa a vedersi. E lì c’era una collaborazione, un intreccio, tra la realizzazione del tessuto che per così dire “saliva” sul telaio e la preghiera che a sua volta sale. Entrambi si componevano nello stesso momento: ho visto un legame vero tra la parola e il tessuto. In un certo senso il tessuto è quel che c’è di più vicino a ciò che noi siamo come esseri umani: carne e spirito. La bellezza. Quando ero in Oriente, ho capito che quei motivi ripetitivi non erano una mera decorazione come per noi in Occidente, ma l’ho percepita come un inno sacro, come una musica che risuona. Sono stata completamente sedotta dalla ripetizione dei motivi su quei tessuti. Ed è così che ho cominciato a disegnare sfere rosse, in modo ripetitivo, e ciò mi ha procurato grande gioia, perché questa maniera di dipingere non è un discorso logico. Si può dire che la ripetizione concepita in questo modo assomiglia a una forma di preghiera. Il clic è stata semplicemente la vita. Dopo aver compiuto cinquant’anni la concomitanza di diversi eventi ha fatto sì che le cose avvenissero in modo naturale. Il fatto più straordinario è che quando ho iniziato a dipingere i miei quadri le persone li hanno apprezzati e me lo hanno detto, il che mi sembrava incredibile! Tutti noi indossiamo abiti fatti di tessuti e non pensiamo mai alla loro struttura. La stoffa stessa la nasconde. Ad esempio nel caso del velluto o del raso, o anche della seta, la struttura non si vede, ma se non esistesse non ci sarebbe neanche il tessuto. Pian piano ho quindi capito il simbolismo del tessuto, come un’opera umana, molto antica e primitiva. E ho messo insieme il simbolismo del tessuto e la vita, il pensiero, perché diventassero una cosa sola. Ho compreso tutto ciò senza volerlo, e ancora oggi ne sono sorpresa e meravigliata. Man mano che un tessuto “sale” e si realizza sul telaio trascina con sé lo spirito Qui spirito significa qualcosa che esiste grazie al tessuto È la differenza rispetto alla carta Che cosa evoca la ripetizione per la sua arte? Ricorda un episodio o un clic che potrebbe aver dato avvio al suo nuovo percorso? Ho utilizzato molto presto dei tessuti perché per anni avevo collezionato stoffe e mi appassionavano. All’inizio m’interessavano i loro colori, poi mi sono rapidamente resa conto che era la struttura dei tessuti ad affascinarmi. In effetti nel tessuto è contenuto lo «spirito nascosto». cato di riflettere e d’immaginare come gli uomini della preistoria avevano cominciato a utilizzare i loro tessuti, quale era stato il motivo principale e fondamentale per elaborare una tecnica di fabbricazione dei loro tessuti così complicata quando hanno incominciato a diventare stanziali. E mi sono detta che ciò andava al di là del semplice fatto di proteggersi e che aveva a che vedere con la religione. In effetti, man mano che un tessuto “sale” e si realizza sul telaio, si può dire che trascina con Considero la religione qualcosa che ristabilisce un legame nella vita La musica non ha compito più grave di questo Dmitrij Shostakovich. Un mese dopo, la «Pravda» stroncò il lavoro definendolo «caos anziché musica» in un articolo anonimo, da alcuni attribuito allo stesso Stalin che era presente alla rappresentazione. Non che si possa essere nostalgici di episodi del genere, ma un capo di Governo che va a un concerto oggi sarebbe già una notizia. Allora non lo era perché la musica era considerata una cosa seria. Il compositore aveva un ruolo sociale, come qualsiasi altro artista o intellettuale. E il potere, quindi, lo controllava. Questo è l’ambiente in cui nasce nel 1931 a Čistopol’, nella repubblica russa del Tatarstan, Sofia Gubaidulina. Una grande compositrice, che non è mai stata una brava ragazza. Anzi ha perseguito con determinazione l’intento di camminare sulla “cattiva strada”. Del resto il consiglio le era stato dato proprio da Shostakovich, un altro genio che magari scriveva la Quinta Sinfonia semplificando molto il linguaggio per far credere a Stalin di essere tornato ai modelli del Realismo Socialista, ma incontrando un talento come quello di Gubaidulina non si sognava nemmeno di consigliarle di limitare la propria creatività, anzi la spingeva nella direzione opposta. Per paradosso, quindi, proprio in un ambiente culturalmente angusto, che l’aveva etichettata come «irresponsabile» per le sue esplorazioni alternative, si sviluppa l’arte originale e corrosiva di una delle compositrici più innovative e rappresentative del XX secolo. «Sono una persona religiosa, russa ortodossa, e considero la religione, nel senso letterale del termine, come qualcosa che lega, che ristabilisce un legame nella vita. La musica non ha compito più grave di questo». Gubaidulina si autodefinisce così, e definisce così anche il suo percorso artistico ed esistenziale. Ma per farlo in musica bisogna scegliere dei criteri precisi, chiari per chi ascolta. Lei ha fatto leva principalmente sull’aspetto simbolico. «Cosa vuol dire simbolo? Secondo me la massima concentrazione di significati, la rappresentazione di tante idee che esistono anche fuori della nostra coscienza. Le molteplici radici che si trovano al di là della co- scienza umana si manifestano anche attraverso un solo gesto». Ma Gubaidulina fa di più e rilegge il suono stesso in chiave simbolica. Per esempio il primo movimento della sonata per violino e violoncello Gioisci è basato in gran parte sul passaggio dal suono reale al suono armonico (dalla concretezza alla leggerezza). Questo effetto si ottiene riducendo la pressione del dito sulla corda. Più il dito sale — «ascende», si fa leggero — più il suono diventa etereo, il timbro si trasfigura. Più chiaro di così. Ma ancora non basta e allora compositrice compie un ulteriore passo in avanti: poggia questo suo mondo simbolico su inusuali combinazioni strumentali, utilizzando un quartetto di sassofoni e percussioni (in Erwartung), oppure accostando il koto (strumento caratteristico della musica giapponese) all’orchestra. A volte richiama indirettamente la musica popolare russa, come nei casi in cui utilizza il bayan, una fisarmonica cromatica a bottoni che raramente prima era entrata nella produzione colta. Gubaidulina ne intuisce l’estrema forza espressiva e la usa spesso, in particolare in un brano ritenuto da molti un capolavoro: Sette Parole, del 1982, per violoncello, fisarmonica e archi. Già la scelta di evocare le ultime sette parole di Cristo sulla croce senza utilizzare un testo dà la misura del grado di astrazione simbolica di un lavoro nel quale il violoncello rappresenta la vittima, il Dio-Figlio, la fisarmonica è il Dio-Padre e gli archi lo Spirito Santo. Ma la simbologia è soprattutto nei gesti, nei suoni. A volte chiara, altre più nascosta, ma sempre presente sino al finale, dove il violoncello sposta gradualmente l’archetto verso il basso fino ad arrivare sul ponticello nel momento della morte. Qui il suono si fa violento, sgraziato, ruvido. Ma il procedimento non è ancora finito, l’arco passa al di là del ponticello, in una regione in cui le corde producono un suono acutissimo, lontano, poco intonato. È la trasfigurazione, il passaggio da uno stato all’altro. Gubaidulina è una donna che non ha avuto paura di attraversare il ponticello. Più chiaro di così. di RITANNA ARMENI mmaginate il paesaggio toscano di un dipinto del Rinascimento. Lo sfondo di un quadro di Piero della Francesca o di Leonardo da Vinci. Immaginate le colline, i cipressi, la campagna ordinata dall’uomo, le viti, i prati digradanti. E poi pensate a un manto, un grande manto, che viene calato dal cielo su uno di questi prati. Lo sfiora, quasi lo tocca, ma rimane a qualche metro da terra, qualcosa in alto pare trattenerlo e rimane sospeso fra cielo e terra, fra l’azzurro e il verde. Così si presenta al primo sguardo del visitatore la chiesa dedicata a Maria Theotokos (Madre di Dio) a Loppiano, una piccola località situata in quel luogo già magico che è la Val d'Arno. «Quel manto è grande, ma anche dolcemente digradante per raccontare — spiega il gruppo di architette, scultrici e pittrici che lo ha realizzato — una chiesa accogliente come il manto di Maria, una chiesa che collega il cielo alla terra, il Creatore alle sue creature». Sono andata a Loppiano per incontrare le donne del centro Ave Arte nato all’interno del movimento dei Focolarini. Quel centro lo ha voluto Chiara Lubich, la fondatrice del movimento, per saziare «la sete di bellezza diffusa nel mondo». Quando la chiesa è stata costruita, la comunità dei Focolarini a Loppiano c’era già da un pezzo. Le case nella campagna toscana erano state ristrutturate, l’antica fattoria era stata rimessa in funzione, c’erano le cooperative, una sede universitaria, un laboratorio di ceramica, una vita comunitaria, ma mancava qualcosa che a tutto questo desse un senso più alto, che mandasse il segnale inequivocabile di una missione e di una presenza. Ed ecco la decisione di affidare all’architetta Ave Cerquetti la costruzione della chiesa «come suggello, come punto culmine della cittadella». Erika Ivacson scultrice di origine ungherese, Elena Di Taranto, architetta, Dina Figuerido, pittrice di origine portoghese, Patrizia Taranto, architetta e Vita Zanolini, coordinatrice del gruppo, sono le cinque donne che hanno eseguito il progetto. Ora mi mostrano il loro lavoro compiuto in tempo di record, solo quattro anni dal 2004 al 2008. Uno sforzo eccezionale e pienamente riuscito. Il manto di Maria è lì, sfiora il prato e sotto il manto c’è la chiesa, circolare, moderna, in cui le linee curve si inseguono e si incontrano. «Ave mi ha chiamata una mattina per spiegarmi la sua idea, aveva già tutto nella sua testa e in un pezzo di carta: la forma circolare, il tabernacolo, le vetrate. Voleva un progetto che esprimesse Maria, la comunità e I Solo donne Tra le architette, scultrici e pittrici che hanno fatto la chiesa Maria Theotokos di Loppiano l’apertura al mondo», racconta Elena Di Taranto. C’è una rottura in questa chiesa dedicata a Maria, Madre di Dio, rispetto alla tradizione dell’arte sacra. Ed è nella linea curva che le architette, le scultrici, le pittrici hanno scelto come elemento architettonico caratterizzante. Nulla in quell’edificio, che oltre la chiesa contiene sale di incontro, centri per convegni, è diritto, squadrato, rigido. All’opposto tutto è curvo, arcuato. È circolare la chiesa, sono circolari i banchi di legno chiaro, si curvano le grandi finestre colorate, avanza dall’alto in basso il tetto bianco diviso da tra- Per un gruppo di uomini scegliere di usare le modalità morbide, luminose e accoglienti scelte da cinque donne sarebbe stato improbabile vi che si inarcano. Non c’è bisogno che me lo spieghino, è del tutto evidente: la linea curva è il mezzo architettonico che riesce a realizzare meglio l’idea dell’accoglienza. In quella circolarità dei banchi attorno all’altare si celebra una comunione e una comunicazione immediata fra i fedeli e i sacerdoti. Consente, mi spiegano, «una particolare presenza corale attorno all’altare». In quel soffitto che si inclina si esprime un’idea di protezione, di accettazione di chiunque voglia entrare nella casa di Dio. E le vetrate enormi e colorate «creano un dialogo continuo tra interno ed esterno, fra vita che si vive e si celebra». Non ci sono fiori, non ci sono piante, rarissime e discrete le immagini sacre. La scelta delle architette, delle scultrici e delle pittrici del centro Ave è quello della semplicità disadorna, del vuoto che diventa bellezza. Non si rinuncia alla grandezza, alla magnificenza del sacro, ma non lo si esprime in modo tradizionale. È la fede, non altro, evidentemente, che deve riempire quello spazio, la fede portata dagli uomini e dalle donne che si rifugiano sotto quel manto. L’edificio è fatto per accoglierla. Colpiscono le grandi vetrate colorate opera di Dina Figuerido. «La luce — mi spiega — scivola, è preponderante rispetto alle figure che appena si intravedono. Da una parte la passione di Cristo, dall’altra la vita di Maria». E, ancora una volta, quella luce è accogliente, come è accogliente, più di qualunque marmo ricco, ornato e decorato, quella grande enorme pietra di Trani bianca, rettangolare, appena incisa, che Erika Ivacson ha scelto come altare. «L’ho voluto così, disadorno, bianco, grezzo, semplice perché tutti potessero riconoscerlo come loro, potessero vedere in esso il sacrificio di Cristo per l’umanità». Dietro l’altare un’altra vetrata e, dietro questa, il tabernacolo, posto alla base del campanile, con due enormi trasparenti fessure che vanno verso l’alto. Ancora una volta l’interno e l’esterno si fondono, il verde dei prati, della campagna lavorata dagli uomini entrano nella casa di Dio. Sono tutte donne coloro che hanno lavorato a quest’opera, è femminile il gruppo che ha progettato e ha creato la chiesa di Loppiano anche se hanno collaborato, naturalmente, molti uomini. Un gruppo che poi ha proseguito il suo lavoro in molti altri luoghi sacri. «Crediamo in un’arte in cui ci sia la presenza di Gesù» mi spiega Vita Zanolini, la coordinatrice del gruppo delle architette. Il gruppo Ave è di sole donne solo per caso (e anche per tradizione visto che il movimento dei Focolarini è sempre stato diretto da una donna), ma in questi anni di lavoro si è accorto che esiste un’arte sacra, un modo di costruire luoghi per la fede che solo le donne riescono a creare. Si è reso conto di avere un compito educativo e di quanto sia importante che un’arte sacra femminile entri in contatto con un sacerdozio maschile. Sarebbe stato immaginabile un gruppo di uomini così attento a rendere attraverso la curva, la circolarità, gli spazi aperti, le trasparenze, la potenza e la imprescindibilità dell’incontro fra l’umanità e Dio? Non posso fare a meno di chiederlo anche se loro, quando mi hanno mostrato e illustrato la loro opera, non hanno mai fatto accenno al femminile. Sorridono e ammettono che sarebbe stato abbastanza improbabile per un gruppo di uomini scegliere di usare quelle modalità morbide, luminose e accoglienti. Avrebbe preferito probabilmente una chiesa più diritta, squadrata. Avrebbe suggerito un’idea di- versa del rapporto fra Dio e l’umanità. Forse, addirittura un’idea diversa della fede. Aggiungono che, con loro grande stupore, il sovrintendente alle Belle arti di Firenze quando era venuto a visitare la chiesa di Loppiano — lui uomo — aveva detto che in quell’opera era evidente la presenza di una capacità artistica tutta femminile. Mi raccontano di aver scoperto in questi anni che, in effetti, il loro modo di lavorare è diverso da quello di altre équipe. «Siamo davvero un gruppo, lavoriamo d’intesa, ci correggiamo. In questi anni ho capito che le idee dell’altra non mi escludono, non mi schiacciano, se mai mi contengono» dice Erika Ivacson. E Patrizia Taranto racconta: «Andiamo sempre nei luoghi che dobbiamo costruire o ristrutturare, non riusciamo a progettare asetticamente, a tavolino. Dobbiamo conoscere chi ci dà una commissione, dobbiamo capire che cosa vuole veramente da noi». Loro — di questo sono davvero, senza presunzione, convinte — hanno molto da insegnare ai loro committenti che sono sacerdoti, vescovi, comunità e movimenti cattolici in cui la componente maschile è preponderante e che, spesso, non sanno che cosa fare. Di fronte a stupendi monasteri, chiostri, chiese, conventi non riescono a immaginare spazi diversi, a rispettare quel che deve essere salvato, a comprendere come si può innovare un luogo sacro. «Un monastero — spiegano — oggi non può essere quello di cinquecento Quel manto è grande ma anche dolcemente digradante per raccontare una chiesa accogliente che collega cielo e terra Creatore e creatura anni fa, va salvato nella bellezza che possiede, ma va fa riprogettato per i nuovi compiti e per le nuove comunità. C’è nelle chiese, nelle diocesi, nei monasteri un modo di vivere, da soli o con gli altri che deve essere innovato anche negli spazi». Loro ne sono convinte. E lavorano, fiduciose nella loro creatività, nella loro capacità di contribuire a cambiare l’ambiente di vita di una comunità di fede, di introdurre una modernità accogliente quanto la tradizione. Oggi sono un gruppo molto richiesto, che ha cancellato, quando ci sono stati, anche antichi muri verso un’équipe tutta femminile. «Sai quando nel committente cadono le diffidenze?» mi racconta alla fine sorridendo Vita Zanolini: «Quando vedono che ascoltiamo e prendiamo appunti. A quanto pare non tutti lo fanno». «Giochiamo a rincorrerci, Artemisia ed io. E a fermarci, non senza trabocchetti, dai più materiali e scoperti, ai più nascosti»: era il 1947 quando la scrittrice italiana Anna Banti dava alle stampe il suo secondo romanzo, Artemisia, in cui racconta la storia della pittrice italiana vissuta nella prima metà del Seicento. Scritto tra verità e fantasia ricorrendo a documenti di archivio e, soprattutto, ai quadri di Artemisia Gentileschi, il romanzo è un suggestivo dialogo a distanza tra due donne accomunate dall’arte, e dalla difficoltà di emergere in un mondo maschile. La prosa colta, sofferta e poetica dell’Anna Banti del secondo dopoguerra, incontra la pittura vibrante, sofferta e coraggiosa dell’Artemisia Gentileschi del XVII secolo: chi legge si trova avvinto tra due donne e due secoli che, pur diversi, si intrecciano. Banti si assume il compito di ridare vita e voce a quella donna che, superando l’ostilità del suo tempo e attraversando anche un umiliante processo per stupro (quelli in cui la vittima finisce per essere considerata colpevole), è comunque riuscita a entrare nella storia dell’arte. Una biografia capace di farsi autobiografia che molto dice sull’arte. E sulle donne. (@GiuliGaleotti) Il saggio L’umanità dietro le mura Ci sono patrie che restano assolutamente uniche, nella loro rarità. È il caso di quelle poche decine di persone nate nella Città del Vaticano, lo Stato sorto nel 1929 i cui cittadini sono per lo più di passaggio dai rispettivi Paesi di origine. Ebbene, una donna, Matilde Gaddi, nata all’interno delle mura vaticane nel 1943, ha raccontato la sua “singolarissima” storia nel volume L’umanità dietro le mura (La Caravella, 2013): tra aneddoti e curiosità, colpisce la prospettiva, del tutto inedita. Quinta figlia di un gendarme, Matilde è nata e vissuta per 23 anni — i suoi primi 23 anni — in Vaticano con la famiglia. Gli episodi della «guerra non dichiarata tra gendarmi e bambini, che fatalmente finiva quasi sempre senza prigionieri», sono deliziosi. Se gioco e gusto del proibito, spensieratezza e incoscienza, segnano l’infanzia di tutti, quando si muovono tra le mura vaticane degli anni Cinquanta, acquistano un sapore molto divertente. Come le regole imposte alle donne che, ad esempio, se proprio volevano usare la bicicletta, dovevano rigorosamente spingerla a mano. (@GiuliGaleotti) La serie tv Madre, aiutami! Madre, aiutami! è il titolo di una serie televisiva italiana che, dopo tanti filmati che hanno avuto come protagonisti dei sacerdoti, ha finalmente scelto di dare a una suora questo ruolo. Un intreccio che prevedeva suspence e pericoli, affrontati da Virna Lisi, che interpretava madre Germana, con grande compostezza e insieme forte coinvolgimento emotivo. Madre Germana combatte contro tutti per difendere la bambina africana che è stata accolta in convento, e che è in pericolo, e soprattutto la consorella Maria che, nella missione in Congo, è stata violentata dai ribelli e poi rapita. Scoprendo a poco a poco un traffico di armi che coinvolge perfino il Vaticano. Anche fra le suore alligna l’invidia e l’indisciplina, ma chi fa la figura peggiore è comunque la gerarchia ecclesiastica che tradisce costantemente diffidenza verso le donne, incredulità e indifferenza verso la violenza sessuale, e che alla fine è costretta alle scuse. Ben rappresentati il coraggio femminile e la dura vita nelle missioni africane. (@lucescaraffia) women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne chiesa mondo women LA SIGNORA ANZIANA E L’AUTOBUS DI LINEA «Il simbolo del fallimento della città»: con queste parole un lettore ha inviato al «Corriere della Sera» la sequenza di fotografie che pubblichiamo qui accanto. Roma è sconquassata dalla pioggia, il traffico bloccato, una signora anziana aspetta per quaranta minuti l’autobus che dovrebbe riportarla a casa, dopo aver fatto la fila per pagare una bolletta. Finalmente il mezzo arriva: gli aspiranti passeggeri — ha raccontato Ester Palma sull’edizione romana del quotidiano del 2 febbraio scorso — chiudono gli ombrelli per salire a bordo. È quello che fa anche l’anziana signora, ma i suoi movimenti sono rallentati dall’età. Una passante si avvicina per aiutarla, un passeggero già a bordo chiede all’autista di attenderla, ma quando la donna sta per farcela, il conducente sbuffa e riparte, lasciando l’anziana sul marciapiede. L’Atac ha avviato un’inchiesta interna. Ma restano, indelebili, questi tre fotogrammi a dimostrare l’inumanità quotidiana a cui ci stiamo abituando. D ONNA CAPO DEL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE «Essere una voce profetica è un compito vitale per l’ecumenismo del XXI secolo e per la Chiesa nel mondo di oggi»: così Agnes Abuom, anglicana del Kenya (madre protestante e padre cattolico, e madre a sua volta di due figli), ha commentato la sua elezione a moderatore del Consiglio ecumenico delle Chiese, ovvero la figura che affianca il segretario generale (attualmente il luterano norvegese Olav Fykse Tveit) nella guida del Consiglio. È la prima volta che l’organo principale che riunisce le diverse confessioni cristiane del mondo — 345 in rappresentanza di circa 560 milioni di fedeli — elegge una donna. La votazione è avvenuta a Busan, in Corea, nel corso della decima assemblea del Consiglio che, ancora per la prima volta, ha scelto di mettere al centro la questione della responsabilità dei cristiani nella costruzione della pace. Sebbene la Chiesa cattolica non faccia parte del Consiglio, essa ha partecipato ai lavori con una propria delegazione guidata dal cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. IL SEGNO DI STELLA KIM SUL GHIACCIO C’è una pattinatrice sudcoreana (vincitrice dell’argento a Sochi) che, dalle Olimpiadi invernali di Vancouver (2010) in poi, prima di scendere in gara si fa silenziosamente il segno della croce: è così che Stella Kim Yu-na è divenuta, senza volerlo, un simbolo della Chiesa cattolica sudcoreana. Nata nel 1990, ha iniziato a pattinare a 5 anni, quasi per scherzo. Dopo aver vinto a 12 anni i campionati sudcoreani di pattinaggio artistico, ha debuttato sul palcoscenico internazionale, classificandosi firmato e rinnovato ormai per il quinto anno consecutivo da suor Ignazia Mercede Miscali, responsabile della congregazione delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, e dal comandante della legione sarda dei carabinieri, generale Luigi Robusto. Dopo la firma del patto, siglato nella caserma Zuddas e inviato a tutti i presidi dell’Arma che conta 277 stazioni nell’isola, suor Ignazia ha espresso piena soddisfazione per il concreto lavoro svolto insieme fin qui. seconda in diverse competizioni mondiali. Nel 2005, la duplice svolta: seri problemi a ginocchia e piedi prima, e alla schiena poi, la tengono forzosamente lontana dal ghiaccio per lunghissimi mesi, al punto che la sua carriera sembra irrimediabilmente compromessa. Ma proprio allora, attraverso Cho, un cattolico che guida la clinica privata a Seoul dove è seguita, Yu-na entra in contatto con alcune suore, iniziando — con la madre — il suo cammino di conversione. Nel 2007 finalmente le cure sembrano funzionare, e la ragazza torna sul ghiaccio: arriva al terzo posto nazionale. Attaccata alla divisa c’è la medaglia benedetta della Madonna donatale dalle suore. Per questo la giovane ha voluto come nome di battesimo Stella, per onorare la Vergine, Stella mattutina. Al dito porta un anello con i grani del Rosario. Stella ha raccontato che la fede le ha donato una nuova pace: «Al momento del battesimo ho sentito un’enorme consolazione nel mio cuore. Ho capito che era l’amore di Dio e gli ho promesso che avrei continuato sempre a pregarlo». PROTO COLLO TRA SUORE E CARABINIERI IN BIMBE SARDEGNA Aiutare le vittime dei reati di riduzione in schiavitù, tratta e commercio di schiavi extracomunitari ed europei; dare speranza a quanti vogliono sottrarsi alle condizioni di sfruttamento: questi gli obiettivi del protocollo d’intesa L’OSSERVATORE ROMANO marzo 2014 numero 21 Inserto mensile a cura di RITANNA ARMENI e LUCETTA SCARAFFIA, in redazione GIULIA GALEOTTI www.osservatoreromano.va - per abbonamenti: [email protected] E D ONNE ACCUSATE DI STREGONERIA IN INDIA In diverse zone dell’India, soprattutto nei villaggi rurali isolati in cui si vive senza possibilità di accedere ai servizi di base, ricevere un’istruzione o integrarsi nella società, la povertà spinge molte persone ad affidarsi alla superstizione e a santoni e guaritori che praticano riti legati alle tradizioni tribali e alla magia nera. Il tutto con conseguenze talvolta mostruose. È il caso dei sacrifici umani, ancora praticati come suprema forma di offerta alla divinità. A farne le spese sono sempre le persone più deboli: bambine e donne. Secondo quanto riferito dalla Fondazione Fratelli Dimenticati onlus, una bimba di 4 anni è stata sacrificata dai suoi stessi genitori, mentre una piccola di 7 è stata uccisa da due contadini che le hanno asportato il fegato per effettuare riti propiziatori. Del resto, cadaveri di bambini sono stati ritrovati sepolti vicino agli altari di qualche stregone, circondati da oggetti sacri. Le donne, considerate inferiori rispetto all’uomo, in alcuni villaggi vengono accusate di stregoneria e, per questo, punite anche con la morte: secondo alcune ong indiane, sarebbero circa duecento le donne uccise ogni anno perché ritenute streghe. Una credenza frutto di quell’ignoranza contro cui si batte la Fondazione Fratelli Dimenticati onlus: grazie alle loro iniziative tanti bambini possono studiare per diventare domani adulti responsabili. La fondazione è oggi presente, oltre che in India, in Nepal, Messico, Guatemala e Nicaragua. SETTIMANA DELLE SUORE CATTOLICHE STATUNITENSI Si svolge dall’8 al 14 marzo 2014 la prima settimana nazionale delle suore cattoliche presso l’università cattolica femminile St. Catherine a St. Paul in Minnesota. Inserito all’interno del mese dedicato alla storia delle donne, l’appuntamento intende ricordare le suore delle più diverse congregazioni che hanno segnato la storia del Paese. La settimana di incontri vuole però, al contempo, indicare vie per possibili cammini futuri, riflettendo sul significato e le prospettive della vita religiosa. L’università si appresta ad avviare un sito internet che raccolga materiale proveniente dalle congregazioni femminili di tutti gli Stati Uniti. donne chiesa mondo women church world mujeres iglesia mundo femmes église monde donne Guardare con occhi nuovi la Pietà di Michelangelo Simbolo per il nostro mondo di LUC TEMPLIER a Pietà di Michelangelo non ha ancora svelato tutti i suoi misteri. Tutt’altro. I capolavori ne sono ricchi e li si può interrogare all’infinito. È proprio la loro natura. Un giorno mi è apparso un dettaglio che ha cambiato la mia visione dell’opera. È lì, nei dettagli, che l’essenziale sopravvive sempre. Al momento sto spiegando in un libro questa scoperta, e qui ve ne offro un assaggio. Siamo nel 1499, alla vigilia del passaggio a un nuovo secolo; periodo di transizione, teso, propizio alle urgenze e alle folgorazioni. In meno di un anno, un giovane ventiquattrenne, in un solo blocco di marmo bianco di Carrara scolpisce un capolavoro immortale. Ciò basterà, in effetti, a convincerci del carattere eccezionale di una simile impresa, chiaramente ispirata alle mani dello scultore abbandonato all’estasi creatrice. È in questa specie di ebbrezza, necessaria, che Michelangelo scolpisce. Vi si butta e si accontenta, dice lui, di liberare dal blocco la meraviglia che vi ha visto. Una Pietà. Il tema è noto. È stato già trattato molte volte: la Vergine, Maria, tiene tra le braccia Cristo morto, deposto dalla Croce. Notiamo che la scultura s’iscrive in un triangolo, simbolo dell’elevazione, della perfezione e della stabilità; uno sgabello a tre piedi non è sempre stabile? La prima cosa a sorprenderci è l’età di Maria. È giovane, troppo giovane, addirittura più giovane di Cristo. Il suo viso è di un’impenetrabile perfezione; i suoi tratti sono magnificati, angelici. Nessuna emozione turba quel viso giovanile, liscio e inespressivo, esaltato dal contrasto con l’esuberanza dei drappeggi. Nient’altro qui che la bellezza ideale di una giovane donna, archetipo della femminilità. A prevalere è l’accoglienza, necessariamente silenziosa: impressione accentuata dal gesto della mano sinistra, aperta, che sembra dire: «Così è». Cristo è abbandonato. Sembra più vecchio di Maria, più piccolo della madre, della donna, della sposa, nelle cui braccia sci- L Nel 1964 quando l’opera è in mostra a New York Hupka le scatta oltre duemila foto da singolari angolature Per farlo pratica anche un foro nel soffitto per cogliere il volto di Cristo, da sempre nascosto vola e si lascia scivolare. Di fatto quel corpo giovane e bello non mostra alcun segno di rigidità. Al contrario, a forma di S, è flessuoso, sensuale, languido. Le sue dita accarezzano il tessuto, il piede è in equilibrio su una pietra, nel braccio e nel collo le vene irrorate di sangue pulsano al ritmo lento dell’incanto. Nel 1964 la Pietà parte per New York. Primo e ultimo esilio. Robert Hupka, un fotografo, la segue nel viaggio. Scatta più di duemila foto dell’opera, da angolature impossibili, nascoste allo sguardo da secoli, in un allestimento a contrasto — su sfondo nero — ben diverso da quello di San Pietro. È a partire da quelle foto eccezionali che vi invito a cambiare visione. Di fatto non vediamo più solo la Vergine e Cristo morto, ma una giovane donna e un giovane uomo volontariamente offerto alle sue braccia. Una coppia insomma. E i due sono vivi. Ma quale immagine potrebbe provare ciò che ho appena detto? A New York Robert Hupka pratica un foro sul soffitto per cogliere il volto di Cristo, sempre celato al nostro sguardo, e che solo l’artista, prima di lui, aveva contemplato. È sorprendente! Perché il viso è vivo; di una straordinaria serenità. Sorride, fiducioso, beata beatitudine. Mai un volto umano era nato dal mistero divino dell’Arte con tanta forza consolatrice. Allora, oltre a una Pietà, capiamo ciò che Michelangelo ha suggerito in questa sublime parabola: la capitolazione consenziente del maschile al principio femminile. Giusta esaltazione dei valori femminili a lungo calpestati, eppur vicini anche ai valori dei Vangeli. Magnifico simbolo per il nostro mondo, governato da una maschile trionfante, orgoglioso, che lancia e rilancia continuamente i suoi profitti, le sue competizioni, i suoi eserciti. Sublime messaggio per la nostra umanità, che ci invita a privilegiare, e ad affidarci, ai valori di accoglienza, apertura, accettazione, che il principio femminile rappresenta qui. La Pietà, in questa prospettiva, potrebbe trovare posto su qualsiasi altare del mondo. Nel silenzio dell’accoglienza, la frenesia si ritrova sospesa. Ma perché, mi direte, questa allegoria non era mai stata commentata? Perché le rivelazioni importanti, sacre, non possono mai essere fatte subito. Esse sono sempre velate: nella poesia, nelle favole, nelle parabole. Nel marmo. Là aspettano, a volte per lungo tempo, che qualche traghettatore (o passante) o qualche risvegliatore le colga. Perché senza una distanza, un velo, l’essenziale suona come una sciocchezza. Libera di essere quella che ero La santa del mese raccontata da Francesca Romana de’ Angelis oma, 9 marzo 1440. La notte scende lentissima, questa sera. Seduta accanto alla finestra guardo l’ultima luce di questo giorno dolce che porta con sé la promessa di una primavera vicina. Una tela tessuta di fili d’oro mi mostrò il mio angelo custode. Da allora non ho tenuto il conto del tempo, ma questa mattina ho capito che la mia tela è compiuta. Dopo aver trascorso qualche giorno accanto a mio figlio malato mi preparavo a far ritorno a Tor de’ Specchi, la piccola comunità religiosa che ho fondato e dove vivo ormai da qualche anno, quando padre Giovanni, la mia preziosa guida spirituale, mi ha detto: siete stanca, fermatevi qui. Ho accolto il suo invito e sono rimasta perché le sue parole mi sono suonate come un segno. In questa casa di Trastevere, la mia casa coniugale, ho trascorso gran parte della vita e forse è giusto che l’ultimo nodo si sciolga proprio tra queste mura. Non ho paura della fine perché spero di raggiungere la pienezza di quel bene che ho avuto il dono di vedere nelle mie estasi: un mare d’infinita luce, gli angeli come fiocchi di neve in cielo, Maria che mi proteggeva con il suo mantello e poneva il Bambino tra le mie braccia. Non ho paura, ma il distacco è comunque difficile. Oltre al figlio che portai in grembo ne lascio tanti altri, perché ho sentito figli tutti quelli che ho amato. Non poterli soccorrere quando avranno bisogno di conforto, è solo questo pensiero a darmi malinconia. In alto, tra le stelle, porterò qualche rimpianto — le parole non dette, i gesti non fatti, il molto che era troppo poco — e tanti ricordi. Il rosa del cielo di Roma con il verde dei pini; la voce di mia madre che mi leggeva i Vangeli e la Divina Commedia; il cuore generoso di mio marito Lorenzo; le risate di allegria dei miei tre figli bambini; il profumo della mentuccia che fiorisce tra pietra e pietra lungo la via Sacra che percorrevo fino a Santa Maria Nova, la mia chiesa prediletta; l’asinello che carico di viveri e di legna mi è stato fedele compagno per le strade della città. Di tutte le parole del mondo ne porterò una sola, mitezza, perché è di quelle che ne contengono infinite altre: amore, consolazione, tenerezza. Come la parola fame, che non è solo fame, ma sofferenza, umiliazione, solitudine, paura. Ho vissuto in tempi tristissimi. Papi, antipapi, Roma invasa da stranieri o in balia di famiglie potenti decise a conquistare il potere. E lutti, violenze, carestie, l’ombra maligna della peste. Ho vissuto anche molti dolori. Su tutti la perdita di due figli, Giovanni e Agnese, una ferita crudele di quelle che niente al mondo riesce a guarire. Eppure se penso alla mia vita vedo il dono di tanta grazia. I miei primi anni furono un tempo felice e protetto, uno scrigno prezioso di forze intatte a cui attingere quando la vita rischiava di portarsi via la limpidezza dei sogni. Ancora non avevo lasciato l’infanzia e già immaginavo un futuro di solitudine e preghiera, quando il mio destino prese un’altra strada. Troppo bella per essere monaca, disse mio padre. Provai a protestare, ma inutilmente. Infine dissi sì, solo per amore filiale. Fu durante il corteo nuziale verso palazzo Ponziani che qualcosa cambiò per sempre nella mia vita. Ricordo che passato ponte Santa Maria — ho sempre amato i ponti, quelle strisce sospese di terra che uniscono riva a riva e gli uomini agli uomini — pensai che quella che attraversavo era una Roma che non conoscevo, una città desolata e poverissima che aveva consumato tanto passato e tanta bellezza. Monumenti in rovina, misere casupole, strade strette e fangose, bambini laceri e poche dimore nobili, chiuse e protette come fortezze. Qualche mese dopo, guarita da una malattia che forse era solo lo smarrimento di una sposa adolescente, quel modo nuovo di guardare il mondo divenne un’idea. Qualcosa dovevo fare. E qualcosa riuscii a fare grazie al cuore amorevole di mia cognata Vannozza, all’infaticabile ancella Clara, ma soprattutto a Lorenzo. Dopo le perplessità dei primi tempi mio marito comprese e mi lasciò libera di essere quello che ero. Tutti quelli che bussavano alla nostra porta erano i benvenuti al mio cuore. Cominciai a distribuire farina, olio, vino, denari e la divina provvidenza tornava sempre a riempire quello che io svuotavo. Granai colmi e botti piene perché altre bocche venissero sfamate. Col tempo vendetti i gioielli e gli abiti scoprendo la gioia di trasformare il superfluo in necessario: pietre e stoffe preziose diventavano cibo, panni, medicamenti. Imparai che si può pregare impastando il pane, raccogliendo frutta e verdura nell’orto, tagliando legna da ardere nelle vigne fuori le mura, inventando unguenti che curano i mali del corpo, e parole e gesti che curano quelli dell’anima. E imparai anche che non basta dare. Accogliere, proteggere, amare, cer- R Orazio Gentileschi, «Visione di santa Francesca Romana» (1615) Francesca Romana de’ Angelis è nata a Roma, dove vive e lavora. Dopo la laurea in lettere, ha insegnato in un liceo classico. Studiosa di letteratura italiana del Cinquecento, ha pubblicato saggi ed edizioni di testi. Per anni ha collaborato a programmi culturali e scritto sceneggiature per la Rai. Tra le sue opere, ricordiamo la splendida biografia di Torquato Tasso, Solo per vedere il mare (2005, Premio Massarosa), Storie del Premio Viareggio (2008), Con amorosa voce (2008). Per noi, ha scritto la storia di santa Martina (gennaio 2013). cando di portare gioia dove gioia non c’è. Perché il cuore degli uomini — aveva ragione il poeta che ho amato fin dall’infanzia — è come quei piccoli fiori che, chinati e chiusi dal notturno gelo, ritrovano vita solo al tepore del sole. Ormai anche l’ultima luce è andata via. Dalla finestra accostata arriva il brusio dei tanti che sono venuti a salutarmi. Raccogliere il coraggio dove si può. Quello che ho ripetuto agli altri infinite volte, questa sera lo dico a me stessa. Tenuisti manum dexteram meam recita il Salmo. La mano destra stretta nella tua, Signore, sarà più facile congedarmi da chi ho amato. Francesco Pinna «Pala di sant’Orsola» (XVI secolo, particolare) di BARBARA HALLENSLEBEN M OLTE QUESTIONI Pasquale Cati, «Il Concilio di Trento» (1588, particolare) donne chiesa mondo marzo 2014 Un programma di vita modo nel dubbio e nell’angoscia» (n. 12). Conosciamo bene, forse addirittura nel nostro cuore, i due estremi qui citati. Si esprimono attraverso l’apatia o l’aggressione, che si trasformano facilmente l’una nell’altra, e che a loro volta minacciano l’umanità stessa e indeboliscono la speranza nella pace e nella giustizia. Il messaggio antropologico centrale del concilio si ricollega all’affermazione biblica della creazione dell’uomo a immagine di Dio e ha un centro cristologico: «Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione», ovvero che «è “l’immagine dell’invisibile Iddio” (Colossesi, 1, 15) è l’uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato. Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime. Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo» (n. 22). Nessun’altra affermazione del concilio è stata citata tanto spesso e ha avuto effetti di così vasta portata sulla comprensione della dignità umana nei dibattiti attuali sui diritti dell’uomo in generale e la libertà di religione in particolare. Una teologia della donna ha il suo posto all’interno di un’antropologia teologica. L’uomo è immagine di Dio «maschio e femmina» (Genesi, 1, 27). Va notato che finora nei progetti sull’antropologia teologica questo aspetto ha ricevuto poca attenzione. Forse l’essenziale è già stato detto quando definiamo l’umanità in quanto tale come figura secondo l’immagine di Dio? Il riferimento dell’immagine e somiglianza di Dio al rispettivo genere non conduce ad aporie? Quando Gesù ci rivela l’immagine di Dio non solo come uomo, ma come maschio, le donne sono forse escluse dall’immagine e somiglianza di Dio o addirittura dalla redenzione, o magari sono incluse solo indirettamente? Se però siamo stati creati come «maschio e femmina» a immagine di Dio, che si è manifestata in Gesù Cristo, allora perché anche le donne non dovrebbero essere chiamate alla repraesentatio Christi attraverso l’ordinazione sacramentale? Per evitare queste aporie e non ricadere in cliché patriarcali manca l’approfondimento della questione teologica. In questo spazio vuoto si sono inserite con successo altre interpretazioni del doppio genere delle persone: le teologie femministe, che vogliono promuovere un’emancipazione della donna in ambito sia ecclesiale sia sociale; i gender studies, che nella forma socioculturale del genere come gender, a differenza del genere biologico come sesso, vedono un costrutto basato su influenze esterne, e allo stesso tempo analizzano le trasformazione della sessualità così intesa nel contesto della cultura e della società; il riferimento all’equiparazione giuridica dei sessi o il diritto umano della non- Nata a Braunschweig (1957), ha studiato teologia, filosofia e storia all’università di Münster. Collaboratrice pastorale nella diocesi di Hildesheim (1984-1988), dal 1988 al 1989 ha lavorato nel segretariato della Commissione ecumenica europea Giustizia e pace a Basilea. Conseguita l’abilitazione nella facoltà di Teologia cattolica di Tubinga (1992), dal 1994 è professoressa di dogmatica e di ecumenismo alla facoltà teologica dell’università di Friburgo, di cui (dal 2004 al 2006) è stata decano. Fa parte della Commissione teologica internazionale. l’autrice teologiche, ma anche relative al dialogo intercristiano e interreligioso — e non ultimo etiche ed etico-sociali — si decidono a partire dall’immagine dell’uomo: l’uomo è sin dall’inizio un animale sociale o vengono prima i suoi interessi individuali? La natura dell’uomo è corrotta radicalmente dal peccato originale o conserva la sua apertura alla grazia di Dio? L’uomo ha un posto speciale nell’universo o è un animale evoluto che con la sua intelligenza tende ad agire in modo distruttivo? L’orientamento al bene e alla felicità fa parte della sua vocazione o è una forma di alienazione attraverso la manipolazione sociale? L’apertura religiosa dell’uomo è segno di una promessa trascendente o non è altro che un epifenomeno di determinate funzioni cerebrali? L’antropologia teologica non riesce a tenere il passo con il rapido aumento delle domande. È una disciplina relativamente giovane, che ancora non ha trovato il proprio posto: non appartiene ai trattati dogmatici classici, né ha uno spazio preciso nella teologia morale e nell’etica sociale. Un impulso decisivo l’antropologia teologica l’ha ricevuto dalla costituzione Gaudium et spes del Vaticano II, che non si vuole pronunciare solo sulla «Chiesa nel mondo contemporaneo», ma anche sull’uomo nel mistero di Dio: «Che cos’è l’uomo? Molte opinioni egli ha espresso ed esprime sul proprio conto, opinioni varie e anche contrarie, secondo le quali spesso o si esalta così da fare di sé una regola assoluta, o si abbassa fino alla disperazione, finendo in tal discriminazione. Nell’ambito della teologia si aggiunge una strettoia specifica: la questione teologica della donna è stata largamente limitata alla questione delle possibilità di lavoro e di influenza delle donne nel servizio alla Chiesa. In questo caso, però, ancora una volta non si guarda alla donna come donna, bensì alla donna quale detentrice di funzioni. Dinanzi a ciò, già Giovanni Paolo II ha orientato lo sguardo sulla vocazione stessa della donna. Nella sua Lettera alle donne (1985), dopo un omaggio alle diverse sfere di competenza della donna e un esame di coscienza autocritico per la mancanza di rispetto dinanzi al ruolo delle donne nella storia della salvezza, si legge: «Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna!». È questo il compito principale di una teologia della donna: occorre mostrare che cosa la teologia sa affermare sulla donna come donna e non sulla donna nei suoi diversi ruoli. La domanda fondamentale non può essere altro che quella già citata: la differenziazione sessuale delle persone, e quindi l’essere donna, fa parte dell’immagine e somiglianza di Dio della persona? La domanda non deve necessariamente condurre ad aporie, ma può essere posta anche in modo teologicamente molto fecondo. L’affermazione circa l’immagine e somiglianza di Dio dell’uomo non è in primo luogo una definizione contenutistica positiva, ma esprime un’indisponibilità: l’uomo partecipa del mistero di Dio. Non si esaurisce nell’insieme di tutte le definizioni concettuali che possiamo dare di lui. L’antropologia teologica è una teologia apofatica. Da essa non si può dedurre un’attribuzione di caratteristiche e di modelli di ruolo. Questa intuizione fondamentale non è affatto vuota e priva di conseguenze. Porta a un altro tipo di intuizione, guidata dall’attenzione della fede e dalla fiducia: la differenza tra uomo e donna ha a che fare con l’immagine che Dio ci rivela di se stesso. Pertanto, non va interpretata come conflitto e lotta tra i sessi, bensì come ordinamento reciproco nell’unità dell’umanità e nella speranza della redenzione e del compimento. Questa fiducia dà avvio alla ricerca delle tracce del mistero di Dio nell’uomo e nella donna. Per tale compito abbiamo a disposizione l’intero tesoro della storia della salvezza: Maria, che come «colei che ha partorito Dio» ha già il più alto titolo onorifico che si possa attribuire a una persona; le figure femminili dell’Antico e del Nuovo Testamento, le sante della storia della Chiesa, martiri e confessori, mogli, madri, nubili e religiose, di ogni epoca, lingua e cultura, nelle loro testimonianze orali e scritte, nelle rappresentazioni artistiche, nelle comunità e nelle istituzioni alle quali hanno dato vita, nei molteplici frutti della loro fede. Questa ricerca di tracce è inesauribile. Comprende il mondo nel quale viviamo e le nostre esperienze di vita, che cerchiamo di interpretare riflesse nella storia della salvezza. Porta alla scoperta di cose nuove e inaspettate. La fenomenologia teologica, che occorre sviluppare, non nasce da una distanza osservatrice. Si dischiude nella sintonia tra «persona – comunità – dono» che Giovanni Paolo II ha elaborato in modo tanto straordinario nella sua lettera apostolica Mulieris dignitatem (1988). «L’essere persona significa: tendere alla realizzazione di sé (il testo conciliare parla del “ritrovarsi”), che non può compiersi se non “mediante un dono sincero di sé” (Gaudium et spes, n. 24). Modello di una tale interpretazione della persona è Dio stesso come Trinità, come comunione di Persone. Dire che l’uomo è creato a immagine e somiglianza di questo Dio vuol dire anche che l’uomo è chiamato a esistere “per” gli altri, a diventare un dono» (n. 7). La dinamica del dono qui non è affatto limitata alla donna, ma viene concessa all’uomo e alla donna. Nella sua Lettera alle donne il Papa vede proprio qui la forza motrice della storia della salvezza: «A questa “unità dei due” è affidata da Dio non soltanto l’opera della procreazione e la vita della famiglia, ma la costruzione stessa della storia» (n. 8). Alla luce del dono di sé di Dio al creato per amore, anche la teologia antropologica non può essere sviluppata a partire dalla logica dell’identità e della delimitazione, bensì dal rapporto sempre sorprendente con l’altro nella sua diversità. Occorre il coraggio della fede per accettare questa differenza, perché è qui che sperimentiamo la bellezza più grande, ma anche le ferite più profonde. La teologia della donna non è in primo luogo una teoria, bensì un programma di vita. Possiede inevitabilmente un’apertura storica: «Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera» (Giovanni, 16, 13). È comunque possibile formulare una supposizione per il lavoro teologico futuro: la Chiesa testimonia sin dall’inizio l’autorivelazione di Dio, Padre, in due persone, il Figlio e lo Spirito Santo. Dio agisce nella storia con due mani, dice Ireneo di Lione, il quale ha anche sviluppato le tipologie Eva-Maria e Adamo-Cristo. Sarà più facile riconoscere come significativo per la storia della salvezza il genere maschile di Gesù se riconosciamo la discesa dello Spirito su Maria (Luca, 1, 35) come modo in cui Dio ha reso possibile la missione storica del redentore. Maria non è l’«incarnazione» dello Spirito, ma in lei lo Spirito di Dio rende la persona capace di partorire Dio. Così negli Atti degli apostoli viene promesso all’intera comunità della Chiesa: «Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi» (1, 8). Nel mondo delle immagini e del linguaggio della Bibbia, accanto alla «vita in Cristo» c’è il prendere forma della «sposa di Cristo» che, con lui e per mezzo di lui, partecipa all’opera salvifica del Padre. La scarsa attenzione per il significato soteriologico dello Spirito sembra andare di pari passo con la mancanza di una teologia della donna. Non dobbiamo lamentarci delle mancanze, ma possiamo partecipare, in ciò che è possibile qui e oggi, Michelangelo Naccherino, «Adamo ed Eva» (1616, particolare) alla storia di amore di Dio verso il suo creato. Infatti, Dio «dà lo Spirito senza misura» (Giovanni, 3, 34). Le donne sono tra quei laici che non possono sfuggire al loro destino di laici. Ciò non è inteso in modo cinico, ma come compito, che proprio oggi sarà decisivo perché la recezione del concilio abbia successo: se le donne scoprono e vivono la loro vocazione a partecipare alla missione regale, sacerdotale e profetica di Gesù come donne, e non come titolari di un ruolo al servizio della Chiesa, contribuiranno a modellare la vita della Chiesa come partecipi di questa missione sacerdotale, regale e profetica. Si creeranno così nuove tracce della vocazione di tutto il popolo di Dio alla missione per la salvezza dell’intero creato, che dischiuderanno il futuro e porteranno con sé nuove intuizioni e possibilità. L’integrazione della differenza dei generi nel mondo dei simboli della Chiesa attraverso l’ordinazione sacramentale dei soli uomini è un disordine benefico, che mantiene aperta per la Chiesa e per l’intera umanità una domanda sul valore indisponibile del rapporto tra uomo e donna. Se questa apertura viene fraintesa come risposta statica, nega la dinamica della storia della salvezza come storia d’amore, che giunge fino al compimento: «Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”. E chi ascolta ripeta: “Vieni!”» (Apocalisse, 22, 17).
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