UN VOLTO, UNA STORIA III gennaio 2014 Nelson Mandela, l’impegno di un gigante La lunga lotta per edificare la fraternità tra i popoli e costruire la pace N UNA VITA SPESA PER AFFERMARE LA LIBERTÀ E L’UGUAGLIANZA N elson Mandela “Madiba” è un uo mo che non disdegnò di “combat tere la buona battaglia” per la pace e la libertà. Può sembrare fuori luo go tratteggiarne il ritratto a partire da questa connotazione, ma così non è. Egli nacque nel villaggio di Mvezo, nella Provincia del Capo Orientale, il 18 luglio del 1918. Pensiamo a quali e quanti sconvolgimenti ha vis suto il mondo e la nostra Europa in particolare da quella data fino ad oggi; la popolazione nera di quelle regioni aveva davanti a sé un’epoca in cui si sarebbe trovata ancora a vivere le conse guenze peggiori del vecchio modello coloniale occidentale. Fin dai primi anni ’40, quando era ancora studente di legge, Mandela si spese nel l’opposizione alla minoranza politica dei bianchi che col proprio regime vietavano il riconosci mento dei diritti fondamentali alla maggioranza della popolazione nera autoctona del Sudafrica. Nel 1942 si unì all’African National Congress; in seguito uno dei suoi primi ambiti d’impegno fu quello di fornire assistenza legale gratuita ai neri che si trovavano sprovvisti di una qualsiasi rap presentanza legale. Aveva senza dubbio ideali alti, Mandela, e non dobbiamo immaginarcelo solo come un mite ide alista sorridente intento a sognare la sua terra un giorno finalmente libera. Di fatto egli fu un giova ne brillante e coraggioso, un uomo conscio del fatto che occorre lottare e resistere di fronte al l’oppressione. Certo, egli fu intelligente nel com prendere che la rivendicazione violenta fine a se stessa non avrebbe portato lontano. Fu tra i pro motori della Carta della Libertà, nel 1955, gettan do le basi per un programma politico concreta mente antisegregazionista e dimostrando di aver colto nel segno lo spirito che a livello inter nazionale aveva portato, dopo il trauma del se condo conflitto mondiale, a redigere la Dichiara zione Universale dei Diritti Umani. Ma, come si è detto, Mandela fu anche uomo di lotta. Essendosi già impegnato in attività di sabotaggio contro le restrizioni delle leggi razziali, con gli anni ’60 as sunse la guida della frangia armata dell’African National Congress, con l’intento di preparare la popolazione nera a reagire di fronte al duro con trollo dell’esercito del regime. Mandela andò così incontro all’arresto che lo avrebbe costretto al carcere per quasi 30 anni. Le accuse contro di lui e le ingerenze estere nel passare informazioni sul suo conto al regime sudafricano restano una pa gina storica controversa che non è possibile ana lizzare ora. Di fronte ad alcuni capi d’accusa Man dela negò la sua colpevolezza, per altri invece am mise le proprie responsabilità, specialmente riguardo l’organizzazione di attività di sabotaggio. Ma la “buona battaglia” di Madiba era ben lungi dall’essere ingloriosamente e infruttuosamente terminata. Proprio dal carcere Mandela poté con tinuare ad essere ispiratore nella resistenza alla segregazione razziale. In cella non si può combat tere con le armi, ma con la forza delle idee si può perseverare nella lotta. Egli studiò molto, lesse tantissimo e scrisse pagine su pagine. Incitava la sua popolazione a non arrendersi di fronte a quel lo che pareva ormai un destino ineluttabile: esse re una maggioranza senza voce schiacciata da una minoranza potente mossa dall’odio e dal pre giudizio della propria superiorità culturale. Pro babilmente Mandela venne sempre più percepito come figura di leader carismatico proprio in que sta lunga fase di prigionia. Dimostrò che i neri non erano una massa di vio lenti spinti da sentimenti di odio e rivalsa verso i bianchi, ma persone in grado di elaborare un se rio progetto politico alternativo all’apartheid, uo mini e donne non solo capaci di sognare un nuo vo ideale di società, ma anche di porne le basi vi vendo con coraggio e grande capacità di accettazione le dure difficoltà. Madiba era stato condannato all’ergastolo, ma nel 1985 rifiutò la libertà condizionata pur di non rinunciare alla lot ta armata; seppe poi grazie anche all’intenso an che se non sempre facile dialogo col presidente Frederik Willem de Klerk proporre alla popo lazione sudafricana un modello vincente. Non il desiderio di vendetta verso l’oppres sore bianco, ma la volontà di costruire una società in cui l’uguaglianza fosse effetti va. Ciò non sarebbe stato possibile ne gando ai bianchi i diritti da sempre ne gati ai neri, in una logica di rivalsa. Fu così che Mandela uscì dal carcere e vinse le prime elezioni multi razziali del ‘94, che lo porta rono dalla cella alla presi denza senza alcuno spargimento di sangue. Non fomentò l’odio, ma incana lò nella de mo cra zia l’ane lito alla li bertà della sua gente. Egli rima se in carica fino al ’99, per poi continuare ad essere una figura di riferi mento sul panorama internazio nale anche dopo, quando si ritirò a vita privata nel 2004. Il Nobel per la Pace assieme a de Klerk del ’93 e le infinite onorificenze ricevu te in tutto il mondo, sono solo il si mulacro di una vita spesa per l’af fermazione della pace e della liber tà, e che ha terminato il suo percorso lo scorso 5 dicembre. Di quanti Madiba avrebbe bisogno il nostro mondo, adesso? S.M. elson Mandela è di fatto riu scito a rendere vincente, nella Repubblica del Sudafrica, un modello di convivenza pacifi ca tra le varie etnie della po polazione autoctona e la mi noranza di bianchi presenti nel Paese. Basti considerare che vi sono ben 11 nomi uffi ciali dello stato suda fricano, uno per cia scuna delle lingue ri conosciute dallo Stato. Potrebbe sem brarci una realtà troppo divisa, una terra in cui, pur di non farsi guerra reci procamente, le per sone hanno scelto di chiudersi in “sacche” impermeabili le une verso le altre. Invece dovremmo scorgere in questa realtà la concreta possibilità di un’autentica fra ternità tra uomini che si rispettano e si dan no un codice comune per vivere civilmente entro i medesimi confini. Non è una cosa da poco: in quanti territori oggi vediamo tristemente che ciò non riesce ad affermarsi? Il messaggio di Papa Francesco in occasio ne della 47esima Giornata Mondiale della Pace reca il titolo “Fraternità, fondamento e via per la pace”. Mandela, uomo di fede cristiana (apparteneva alla chiesa metodi sta), ha lottato e sofferto per portare avanti un ideale di giustizia di fronte al dramma dell’apartheid, una crudeltà che la sua co scienza di uomo e di credente certo non po teva né accettare né fingere di non vedere. Scrive il Santo Padre nel suo messaggio: “La fraternità è una dimen sione essenziale dell’uomo, il quale è un es sere relazionale. La viva consapevolezza di questa relazionalità ci porta a vedere e trat tare ogni persona come una vera sorella e un vero fratello; senza di essa diventa im possibile la costruzione di una società giu sta, di una pace solida e duratura”. Ebbene, in questo pensie ro sembra di po ter riassumere l’obiettivo che Mandela ha sem pre avuto ben chiaro di fronte a sé, e che certa mente la dura esperienza del carcere ha con tribuito a raffor zare. Egli ha agi to come spinto da un autentico imperativo mo rale: non lasciare che un uomo soccombesse di fronte ad un altro uomo. Ma non si fermò qui; Man dela desiderava anche trasmette Nelson Mandela re il valore della pacificazione in senso autentico e profondo. Non si sarebbe potuta raggiungere la stabilità in Sudafrica se avessero prevalso sentimenti di vendet ta. Restituendo il male al male non si affer ma alcuna possibilità effettiva di bene. Dobbiamo ricordare che il Sudafrica vide anche l’impegno di un altro gigante della pace, il Mahatma Gandhi. Fu in quelle terre che egli maturò la propria consapevole ade sione ad un modello di società che fosse scevro di qualsiasi prevaricazione di una parte di umanità sull’altra. Gandhi fu attivo nel Movimento dei diritti civili in Sudafrica, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, e lottò per le comu nità di indiani che in quel Paese erano og getto di pregiudizi razziali e ingiustizie di ogni tipo. Anch’egli, come Mandela, aveva studiato da avvocato. Evidentemente il Su dafrica, terra permeata di odio e razzismo, ha saputo accendere una scintilla insoppri mibile in uomini che avevano un alto senso della legge e della giustizia. Disse Mandela: “Tutti possono migliorare a dispetto delle circostanze e raggiungere il successo se si dedicano con passione a ciò che fanno”. Ben lungi dal descrivere un cieco meccanismo di scalata sociale e di ri valsa, Madiba parlava di un altro tipo di successo: quello che si ottiene quando si riesce a migliorare la vita delle persone emarginate, odiate, recluse. La storia di Mandela è stata e continua ad essere significativa per il mondo intero, e il suo operato non solo quello di militante attivo ma anche la strenua resistenza durante la prigionia hanno una portata universale. La sua è stata una vita spesa, e mai spre cata, per la fraternità e la pace, per le quali ha lottato con passione. “Odio intensamente le di scriminazioni razziali, in ogni loro manifestazione. Le ho combattute tutta la mia vita, le continuo a combattere e lo farò fino alla fine dei miei giorni… essere liberi non signifi ca semplicemente rom pere le catene ma vivere in modo tale da rispet tare e accentuare la li bertà altrui”. Simone Majocchi “Una preoccupazione di base per gli altri nella nostra vita individuale e di comunità può fare la differenza nel rendere il mondo quel posto migliore che così appassionatamente sogniamo”.
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