Percorso regionale di formazione Rete Licei Scienze Umane “opzione Economico- Sociale” Assetto economico e finanziario europeo Francesco Prota Dipartimento di Scienze Economiche e Metodi Matematici Università di Bari “Aldo Moro” Bari, 11 febbraio 2014 L’Unione Europea UNIONE DOGANALE (dal 1957): area di libero scambio di beni e servizi e adozione di una tariffa commerciale comune verso i paesi terzi UNIONE ECONOMICA (dal 1993): libertà di circolazione dei fattori produttivi (capitale e lavoro) UNIONE MONETARIA (dal 1999): abbandono delle monete (e politiche monetarie) nazionali, e adozione dell’euro, sotto la politica monetaria comune della BCE I Tre Elementi Fondamentali dell’UEM A. La stabilità dei prezzi è l’obiettivo principale della politica monetaria B.La Banca centrale europea è pienamente indipendente C.Il carattere costituzionale dello statuto della Banca centrale e della moneta Perché una moneta unica? Unione Europea inizio anni ’90: Le fluttuazioni del tasso di cambio hanno una serie di conseguenze macroeconomiche: sia le esportazioni che le importazioni sono influenzate dal tasso di cambio nominale. Instabilità del cambio può provocare: - ampie fluttuazioni della domanda aggregata e quindi della produzione/reddito - effetti sull’inflazione importata (se la domanda di importazioni è rigida: vedi petrolio) - effetti sull’occupazione (per settori export-oriented; vedi apprezzamento dell’euro) - incertezza per investimenti Questi effetti erano amplificati all’interno dell’UE all’inizio degli anni 90, a causa della: - forte integrazione commerciale (caratteristica dell’Unione Doganale) - libertà di movimento di capitale (caratteristica dell’Unione Economica) L’INSTABILITA’ STRUTTURALE DEI TASSI DI CAMBIO FINIVA PER METTERE IN DUBBIO I BENEFICI DEL MERCATO UNICO, LA CUI COSTRUZIONE AVEVA RICHIESTO DECENNI DI INTEGRAZIONE EUROPEA. MA DI COSA C’E’ BISOGNO PER POTER USARE TUTTI LA STESSA MONETA? OCCORRE LA CONVERGENZA DI ALCUNE VARIABILI MACROECONOMICHE. NASCONO I PARAMETRI DI MAASTRICHT. Gli Indicatori di Convergenza di Maastricht (1) Gli Stati membri debbano rispettare i seguenti parametri per partecipare all’UEM Tasso di inflazione non superiore dell’1,5% (che corrisponde alla media dei tre paesi meno inflazionistici) Disavanzo pubblico non superiore al 3% del PIL Gli Indicatori di Convergenza di Maastricht (2) Debito pubblico non superiore al 60% del PIL Tassi di interesse nominali a lungo termine non superiori al 2% (che corrisponde alla media dei tre paesi coni tassi più bassi) Rispetto per almeno due anni della banda stretta di fluttuazione per il tasso di cambio delle monete Regole fiscali per costruire l’euro: i parametri di Maastricht Per poter essere ammesso nell’euro, un paese doveva (e deve) rispettare i seguenti criteri di convergenza: 1) Tasso di cambio stabile negli ultimi due anni Tasso di inflazione simile a quello dei paesi membri Tasso di interesse simile a quello dei paesi membri 2) 3) Perché questi tre criteri? Perché sono i tre “prezzi” della moneta: a cosa rinuncio per averla in tasca? Al rendimento che otterrei investendola nei mercati finanziari. Tasso di interesse: prezzo della moneta nei confronti di se stessa 2) A poter comprarci qualcosa di reale. Tasso di inflazione: prezzo della moneta nei confronti dei beni e servizi 3) Ad avere un’altra valuta in tasca. Tasso di cambio: prezzo della moneta nei confronti di quelle estere 1) sono tutte facce di una stessa medaglia: regolarne una implica la regolazione delle altre due. Il quarto parametro di Maastricht: convergenza di deficit e debito Rapporto deficit/Pil = 3% Rapporto debito/Pil = 60% Ora ci chiediamo: 1) Che c’entrano le regole fiscali per poter costruire la moneta unica? 2) Perché sono stati scelti quei particolari numeri e non altri? Perché servono? Sul debito: Eccessivo debito pubblico provoca pressioni al rialzo su: a) Tasso di interesse: il governo deve prendere a prestito per finanziare il suo debito e spinge verso l’alto i tassi di interesse. b) Tasso di inflazione: un governo molto indebitato ha incentivo a NON combattere l’inflazione, perché essa diminuisce il valore reale dei debiti, favorendo chi è indebitato. Perché servono? Sul deficit: a) Perché, l’unico modo concreto per controllare il debito è mettere un freno al deficit b) Di per sé, un aumento del deficit crea pressioni al rialzo su tasso di interesse e tasso di inflazione. Benefici dell'adesione (il “dividendo di Maastricht”) L'adozione della moneta unica annulla il rischio di cambio. Il differenziale fra i tassi di interesse italiani e quelli tedeschi si riduce (non ha più motivo di esistere, apparentemente … vedi Grecia 2010…). I tassi si riducono molto in Italia: questo aiuta moltissimo finanza pubblica e riduce debito. Con l’euro l’Italia scambia: autonomia (perde la politica monetaria, deve rigidamente controllare l'inflazione, ha vincoli per la politica fiscale) . . . con stabilità (ha cambio fisso con partner europei, assenza di rischi di cambio, tassi di interesse molto bassi). È cambiamento epocale. - si rinuncia a svalutazioni competitive verso i partner euro; - si ha cambio molto più forte (rispetto alla lira) verso i partner non-euro (dollaro in primis); - si deve rigidamente controllare l'inflazione. Il Sistema delle Banche Centrali Una moneta, un cambio, un tasso di interesse, => una sola Banca Centrale. Le Banche degli Stati Membri non vengono fuse, ma federate come negli Stati Uniti in un Sistema di Banche Centrali Che significa “stabilità dei prezzi”? Per BCE è un aumento annuale del 2%, nel medio periodo. Indicazione imprecisa ma chiara. Gli strumenti sono quelli delle Banche Centrali: BCE governa tassi di interesse a breve e quindi offerta di moneta. BCE è rigorosamente indipendente (art. 107) dal potere politico; fa una relazione al Parlamento Europeo. L’adesione all’unione monetaria comporta sempre dei benefici sotto il profilo dell’efficienza, ma può comportare anche dei costi, che derivano dal fatto che il paese rinuncia ad uno strumento di politica economica: il tasso di cambio I Benefici dell’Integrazione Monetaria Facoltà di Scienze Politiche - Università di Bari Guadagni che derivano dall’eliminazione di costi di transazione: eliminazione delle spese di cambio delle valute: stimato essere pari negli anni novanta a circa lo 0,5% del Pil minori opportunità per le imprese di segmentazione dei mercati e di discriminazione dei prezzi: il cambio, insieme ad altre barriere, aiuta le imprese a stabilire prezzi diversi sui vari mercati dell’UE I guadagni che derivano dall’eliminazione dell’incertezza del cambio: Facoltà di Scienze Politiche - Università di Bari gli individui preferiscono operare in un clima di certezza sui prezzi dei beni stranieri; maggiore certezza comporta maggior benessere degli individui gli imprenditori in condizioni di incertezza produrranno di meno, con una perdita di benessere per la società in un ambiente incerto gli operatori possono formarsi aspettative sbagliate sul livello dei cambi → maggiori rischi associati ai profitti attesi → aumenta il rischio degli investimenti → maggiori tassi di interesse e minore crescita economica I guadagni che derivano dalla stabilità e dal contenimento della crescita dei Facoltà di Scienze Politiche - Università di Bari prezzi: aderire ad un’area monetaria in cui ci sono prezzi stabili (e c’e’ un’autorità monetaria determinata a combattere l’inflazione) aiuta il paese aderente a contenere l’inflazione tanto minore è l’inflazione, tanto minori sono le perdite di efficienza nell’economia: in presenza di elevata inflazione il sistema dei prezzi diventa meno affidabile nel dare i giusti segnali agli operatori, che possono più facilmente compiere scelte non ottimali Facoltà di Scienze Politiche - Università di Bari Infine, una valuta comune consente un aumento del potere di mercato della valuta comune nei mercati finanziari internazionali Facoltà di Scienze Politiche - Università di Bari I benefici dell’integrazione monetaria sono tanto maggiori quanto maggiore è il grado di apertura commerciale dei paesi che formano l’unione monetaria I costi di adesione ad un’unione monetaria Facoltà di Scienze Politiche - Università di Bari i costi derivano dal fatto che aderendo all’unione monetaria un paese perde la possibilità di usare un importante strumento di politica economica: il tasso di cambio ciò comporta la rinuncia ad usare uno strumento di politica economica utile per stabilizzare l’occupazione e la produzione a seguito di shock esterni Perché un tasso di cambio flessibile consente di stabilizzare l’economia quando Facoltà di Scienze Politiche - Università di Bari ci sono degli shock esterni? Un esempio Due paesi, Francia e Germania: nella situazione di partenza, piena occupazione delle risorse in entrambi i paesi; uno shock esterno (ad esempio: una modifica delle preferenze dei consumatori) fa ridurre la domanda aggregata di beni francesi ed aumentare la domanda aggregata di beni tedeschi. È uno shock asimmetrico, che cioè colpisce un paese e non l’altro Due possibili meccanismi di aggiustamento automatico delle economie: Facoltà di Scienze Politiche - Università di Bari flessibilità del salario: se in Francia il salario è flessibile, esso scenderà (eccesso di offerta di lavoro) e in Germania aumenterà (eccesso di domanda di lavoro); i costi di produzione si riducono in Francia e aumentano in Germania, e ciò comporta un aumento della competitività dei prodotti francesi rispetto a quelli tedeschi se i lavoratori sono liberi di spostarsi da un Facoltà di Scienze Politiche - Università di Bari paese all’altro, allora la disoccupazione in Francia spinge i lavoratori francesi ad emigrare in Germania i salari si riequilibrano e, di conseguenza, anche i prezzi se i salari sono flessibili, o il lavoro è mobile, allora gli effetti di uno shock asimmetrico saranno assorbiti attraverso un aggiustamento automatico delle due economie Ma se il salari sono rigidi e il lavoro non è mobile tra Facoltà di Scienze Politiche - Università di Bari i paesi, non si hanno aggiustamenti automatici e, in assenza di interventi di politica economica, i paesi sono condannati a rimanere in una situazione di instabilità: la Francia con disoccupazione e la Germania con inflazione. Le politiche Facoltà di Scienze Politiche - Università di Bari del tasso di cambio servono a ripristinare l’equilibrio in questi casi. La Francia svaluta la sua moneta rispetto a quella della Germania e recupera competitività all’export Facoltà di Scienze Politiche - Università di Bari Se i salari sono rigidi e il lavoro non è mobile, i paesi che entrano in una unione monetaria sostengono dei costi molto elevati realizzando un’unione monetaria, perché rinunciare a politiche del tasso di cambio significa rischiare di perdere la stabilità economica. Il Bilancio Comunitario La dimensione del Bilancio Comunitario è molto contenuta; infinitamente più piccola del bilancio federale americano o del bilancio pubblico degli Stati Uniti. Il bilancio dell’Unione Europea ammonta complessivamente, nel 2008, a 129,1 miliardi di euro di “stanziamenti d’impegno”, ossia l’1,03 % dell’PIL dell’UE. Esiste un massimale di spesa. Il «massimale delle risorse proprie» è fissato attualmente all’1,24 % del reddito nazionale lordo (RNL) dell’Unione per i pagamenti effettuati a partire dal bilancio UE. Evoluzione del Bilancio UE (in % del RNL) Agriculture Structural Funds Internal Policies External Actions Pre-accession aid Administration 1,4% 1,2% 1,0% 0,8% 0,6% 0,4% 0,2% 0,0% 1962 1967 1972 1977 1982 1987 1992 1997 2002 2006 L’Unione europea dispone di «risorse proprie» per finanziare la sua spesa. Giuridicamente appartengono queste all’Unione e risorse gli Stati membri le riscuotono a suo nome e le trasferiscono al bilancio comunitario. Le risorse proprie sono di tre tipi: 1.Risorse proprie tradizionali (RPT), consistenti principalmente in dazi doganali percepiti sulle importazioni di prodotti provenienti dai paesi terzi. 2.La risorsa basata sull’imposta sul valore aggiunto (IVA), che è un tasso percentuale uniforme applicato alla base imponibile IVA armonizzata in ciascuno Stato membro. 3.La risorsa basata sul reddito nazionale lordo (RNL), che è un tasso percentuale uniforme (0,73%) applicato al RNL di La risorsa basata sul RNL è ormai largamente prevalente. Questo fa sì che i principali contribuenti del bilancio comunitario siano i paesi più grandi e ricchi dell’Unione. Nel 2007 la Germania ha versato circa 22 miliardi; la Francia 17; l’Italia 14 (terzo contribuente); il Regno Unito 13,4. Le spese dell’Unione, organizzate per politiche, ricadono all’interno del territorio dei diversi Stati membri, che così sono “beneficiari” delle politiche comunitarie. Mentre, in base alle regole viste prima, le risorse dell’Unione provengono dagli Stati membri secondo regole fissate “ex-ante”, le spese non sono allocate geograficamente. Ma, sulla base delle spese effettivamente realizzate, è possibile verificare chi sono i I principale beneficiari, in valore assoluto, nel 2008 sono stati Francia, Spagna, Germania e Italia; cioè i paesi più grandi. Sono importanti beneficiari, però, anche paesi come Grecia e Polonia, relativamente grandi e meno avanzati. In termini relativi (rispetto al PIL di ciascun paese) i principali beneficiari sono i paesi meno avanzati e relativamente piccoli. Per la Grecia le spese dell’UE valgono circa il 3,5% del PIL; per la Bulgaria il 3% circa; per il Contributi e spese sono del tutto indipendenti. Ma viene calcolato informalmente un “saldo netto” per ciascun paese. Vi sono così “contribuenti netti” e “beneficiari netti”. I primi sono i paesi più ricchi dell’Unione, i secondi i più poveri, ma il rapporto fra reddito pro-capite e contributo/beneficio non è lineare. Per capita relative real balances vs. relative real income per capita in 2006 Negli anni ‘80 il Regno Unito è riuscito ad ottenere uno “sconto” particolare (UK rebate) ai propri contributi all’Unione proprio perché beneficia poco delle politiche. Tale valore è divenuto materia di trattativa nel corso dei negoziati successivi; purtroppo non solo non si è riusciti ad eliminarlo, ma nel 2007-13 sono stati contabilizzati anche altri “sconti” per altri paesi contribuenti netti. Il “saldo netto” è un assurdo economico, dato che il beneficio che ciascun paese riceve dall’UE non è Il processo di definizione del bilancio dell’Unione (Prospettive Finanziarie Settennali) è lungo e complesso. Inizia diversi anni prima del periodo cui si riferisce. E’ una complessa trattativa fra gli Stati membri ma, con i nuovi trattati, anche il Parlamento Europeo ha un importante potere di co-decisione. La Commissione, il Parlamento e il Consiglio dei ministri concludono un accordo vincolante per assicurare la programmazione disciplina a di lungo bilancio termine e e la per rafforzare la cooperazione nell’ambito dei bilanci annuali. Questo «accordo interistituzionale» comprende un «quadro finanziario pluriennale» che fissa i limiti superiori annui (noti come «massimali») La responsabilità ultima dell’esecuzione del bilancio è della Commissione europea. In pratica però la parte prevalente del bilancio UE (76 % circa) è eseguita nell’ambito della cosiddetta «gestione condivisa». In base a tale modalità, le spese sono gestite dalle autorità degli Stati membri piuttosto che dai servizi della Commissione. Soggetti responsabili della gestione del bilancio UE La Convergenza Economica (1) Uno dei temi più rilevanti nell’ambito della letteratura sulla crescita economica è quello dell’analisi dei processi di convergenza/divergenza fra unità geografiche differenti. Il concetto di convergenza si riferisce ad un processo nel quale le economie meno avanzate mostrano tassi di crescita economica (riferiti, generalmente, a variabili quali il PIL pro capite o la produttività) più elevati rispetto a quelli delle economie più avanzate. La Convergenza Economica (2) Al contrario, il concetto di divergenza indica l’esistenza di forze che contribuiscono ad aumentare, nel corso del tempo, le disparità fra le diverse regioni (nazioni). La Convergenza nella Teoria Economica (1) Sui processi di convergenza la teoria economica fornisce spiegazioni diverse. Per semplicità possiamo distinguere due scuole di pensiero. La prima è rappresentata dalle teorie neoclassiche (Solow 1956 e sue estensioni successive) che ipotizzano meccanismi di crescita automatici che portano alla convergenza del reddito pro capite nel lungo periodo, cioè tassi di crescita più alti per le economie più povere. La Convergenza nella Teoria Economica (2) Le ipotesi chiave alla base dei modelli neoclassici sono: economie di scala costanti; produttività marginale del capitale decrescente; progresso tecnico determinato esogenamente; sostituibilità fra capitale e lavoro. La Convergenza nella Teoria Economica (3) La seconda è rappresentata dalle teorie che ipotizzano l’esistenza di forze economiche che possono produrre, attraverso un imperfetto funzionamento dei mercati e l’azione di economie di scala di diversa natura, divergenza: modelli di crescita endogena (Romer 1986; 1990; Grossman e Helpman 1991; 1994) e new economic geography (Krugman 1991; Krugman e Venables 1995; Fujita, Krugman e Venables 1999). La Convergenza nella Teoria Economica (4) Tali modelli superano le ipotesi neoclassiche dei rendimenti decrescenti e del progresso tecnologico esogeno; centrale è, invece, l’esistenza di esternalità positive che generano rendimenti crescenti ed economie di agglomerazione. La Convergenza nella Teoria Economica (5) Teorie neoclassiche della crescita (Solow 1956 e sue estensioni) Convergenza La Convergenza nella Teoria Economica (6) Teorie della crescita endogenza (Romer 1986, 1990; Grossman e Helpman 1991, 1994) Divergenza New economic geography (Krugman 1991; Krugman e Helpman 1991, 1994) DIVERGENZA E POI CONVERGENZA Le due ipotesi possono essere sequenziali nel tempo. Con lo sviluppo economico di lungo periodo si può avere prima una fase di divergenza, collegata al take-off dei paesi, e poi una fase di convergenza (Williamson 1965). La Convergenza nella Teoria Economica (7) Le differenze nei paradigmi teorici appena richiamati sono rilevanti anche alla luce delle diverse implicazioni in termini di politica economica che da queste scaturiscono. Nei modelli neoclassici la politica regionale appare poco utile, giacché non può influire sul tasso di crescita di lungo periodo. Sono le forze di mercato a garantire il pieno utilizzo delle risorse all’interno di ciascuna regione e di conseguenza la crescita. La Convergenza nella Teoria Economica (8) Quello che occorre è, quindi, semplicemente garantire il perfetto funzionamento dei mercati; la politica regionale può risultare perfino dannosa se rappresenta una distorsione nel loro funzionamento. La Convergenza nella Teoria Economica (9) Al contrario, negli altri modelli, un’attiva politica regionale può giocare un ruolo significativo: incentivando l’accumulazione di capitale sia fisico che umano e promuovendo l’innovazione e la diffusione tecnologica può influire positivamente sul tasso di crescita di lungo periodo. Che cosa è successo in Europa nella seconda metà del XX secolo? a) persistenza nel lungo periodo delle distanze di sviluppo fra le regioni all’interno dei paesi (ma non fra paesi): distanze fra regioni più tenaci di distanze fra nazioni; b) rigidità nelle graduatorie regionali: pochi casi, in positivo e in negativo, di regioni che mutano la propria posizione relativa rispetto alle altre; nessuna regione “relativamente debole” negli anni ‘50 supera a distanza di mezzo secolo regioni “relativamente forti”. Unica eccezione: Belgio (Vallonia, Fiandre); c) si alternano periodi di convergenza/stazionarietà/divergenza senza un chiaro pattern temporale (fenomeno definibile “effetto fisarmonica”); d) il primo trentennio (fino agli shocks petroliferi) mostra maggiore convergenza; il trentennio successivo lieve divergenza o stazionarietà; e) nel periodo più recente (1995-2010) stazionarietà o aumento delle disparità. Non pare esservi una sola causa dei fenomeni di convergenza/ divergenza; ma nel tempo e nello spazio essi sembrano determinati da cause diverse e di diversa intensità: fenomeni di industrializzazione localizzata; integrazione internazionale; movimenti della popolazione; estensione dello stato sociale; shock di natura settoriale. Alcune hanno effetti univoci; altre, ambigui. Una storia stilizzata: Periodo 1 Limitate disparità prima dell’industrializzazione (Regno Unito inizio XIX secolo; Italia e Spagna fine XIX secolo). C’era una volta una nazione agricola e artigiana; la localizzazione delle produzioni (e quindi il reddito delle regioni) era influenzata dalle diverse dotazioni regionali di fattori produttivi (suolo, acqua, clima, lavoro) e dalle limitate possibilità di commercio (porti, prime ferrovie) prevalentemente nazionale o trans-frontaliero, in un periodo di elevati costi di trasporto (mercati regionali relativamente autonomi). I limitati divari nell’Italia e nella Spagna pre-moderne Spagna 1860 Graduatoria Indice di regionale del specializzazione Pil pc di Krugman Italia 1891 Graduatoria regionale del Pil pc Madrid Andalucia Catalonia Valencia Navarra Baleari Murcia Aragona Castilla L.M. Paesi Baschi Rioja Castilla Leon Cantabria Canarie Estremadura Asturia Galizia Liguria Umbria Campania Lombardia Emilia-Romagna Lazio Piemonte Toscana Sicilia Sardegna Puglia Marche Veneto Basilicata Abruzzo Calabria 0,692 0,162 0,270 0,183 0,197 0,164 0,161 0,167 0,165 0,170 0,156 0,147 0,152 0,177 0,164 0,321 0,307 Indice Italia=100 119,6 116 110 108,0 104,9 104,6 101,4 100,5 98,2 97,3 94,8 91,1 84,6 80,7 74 71,5 Fonte: Martinez-Gallarraga et al (2009) per la Spagna, Daniele e Malanima (2007) per l’Italia Una storia stilizzata: Periodo 2 Aumentano fortemente le disparità fra regioni (Regno Unito nel XIX e inizio XX secolo; Italia 1870-1950; Spagna 1920-60). Arriva l’industrializzazione. Le imprese nascono/si localizzano dove c’è convenienza: esistenza di risorse energetiche (acqua/carbone), potenziale geografico di mercato di consumo sufficientemente ampio. Interventi diretti dei governi accompagnano questo processo. In un modello in cui geografia e dotazioni fattoriali sono omogenee (Losch, Christaller), sviluppo dell’industria è “ordinato”. Ma nel mondo reale non è così. Alcune regioni si industrializzano, altre no. Alcune diventano “centri”, altre “periferie”. La progressiva riduzione dei costi di trasporto favorisce commercio interregionale. Il commercio interregionale di beni industriali favorisce lo sviluppo dei centri e le periferie diventano mercati di consumo. Diversa geografia di risorse naturali, reti di trasporto e mercati di consumo provocano diverse intensità nelle disparità (fine XIX secolo-metà XX secolo, a seconda dei paesi): - maggiori: Italia, Spagna, Finlandia, Grecia, Yugoslavia; - minori: Francia, Regno Unito, Svezia, Germania. Livelli di industrializzazione, circa 1950 (attivi nell'industria in % della popolazione 15-64) Italia meridionale Italia settentrionale Galizia (E) Catalogna (E) Sud-Ovest (F) Nord-Est (F) Schleswig-Holstein (D) Baden-Wuttemberg (D) Scozia (UK) Midland (UK) Fonte: Fonte: UN-ECE 1954, tab. 73 130 248 73 305 139 268 212 337 317 442 Una storia stilizzata: Periodo 3 Significativa riduzione delle disparità (Regno Unito fino a anni ’70; Italia 1955-75; Spagna 1960-80). “L’età dell’oro”. Lo sviluppo economico si diffonde nello spazio a partire dai centri lungo direttrici di contiguità geografica (in Germania Ovest dal Nordovest al Sudest; in Spagna dal Nordest verso Ovest e Sud; in Italia dal Nordovest verso Est e Sudest). Crescita del reddito, sviluppo del settore pubblico, aumento delle migrazioni (interne e internazionali) e politiche regionali influenzano le disparità. Gli anni della convergenza (coefficiente di variazione del Pil pro capite) Italia Spagna Grecia Francia Germania Ovest Regno Unito Inizio anni '50 0,367 0,356 0,295 0,215 0,205 0,156 1977 0,262 0,194 0,187 0,156 0,201 0,093 Fonte: elaborazioni degli autori su Williamson (1965) per inizio anni ’50 e su Crenos per il 1977 Una storia stilizzata: Periodo 4 Termina il periodo di convergenza. Si alternano periodi di (moderata) divergenza e periodi di stabilità dei divari. Paesi europei dagli anni ’80 ad oggi. Con la fine degli anni ’70 mutano molte condizioni del periodo precedente: rallenta lo sviluppo delle economie; si assesta la dimensione dello stato sociale; si riducono flussi migratori. . Il caso della Germania Est 1989-95: crollo immediato del reddito delle regioni orientali per collasso immediato strutture produttive, seguito da rimbalzo dovuto principalmente alla diffusione del sistema di welfare occidentale, con forte aumento del reddito medio nonostante la riduzione dell'occupazione; 1995-2007: sostanziale stazionarietà disparità. Fortissime migrazioni est-ovest con flussi di investimento (pubblico e privato, con forti incentivi) ovest-est. La Germania Est: un caso di successo? (Pil pro capite in % sul valore della Germania occidentale) 75 70 65 60 55 50 45 40 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 PIL pro capite Fonte: Statistisches Bundesamt, Arbeitskreis VGL der Länder, Erwerbstätigenrechnung der Länder, Bundesagentur für Arbeit (tavola 1 in Burda 2008) Il periodo più recente (dal 1995) Aumentano le disparità regionali all’interno di tutti i paesi europei e di tutti i paesi OCSE, salvo alcuni casi di stazionarietà. Paesi convergono ma regioni, nei paesi, non convergono. Qualche miglioramento della convergenza in alcuni paesi UE-15 dopo il 2000 (Spagna; più limitatamente Germania e Italia), ma non in altri (Portogallo, Grecia) L’Europa contemporanea (prima della crisi…). Convergenza fra paesi, non fra regioni nei paesi. Divari nel PIL pro capite tra regioni e tra paesi europei (coefficiente di variazione del PIL pro capite a PPA) Fonte: DPS (2009) su dati Eurostat. Dispersione del PIL pro capite fra regioni all'interno di alcuni paesi europei Italia Germania Spagna Grecia Portogallo Polonia Ungheria Repubblica Ceca 1995 2000 4,1 2,7 2,3 3,0 2,4 1,4 4,0 2,5 4,0 2,7 2,6 2,4 2,9 2,5 6,4 4,5 2006 3,8 2,4 2,0 4,2 2,9 3,1 8,5 5,3 Fonte: Applica-Ismeri (2010) su dati Eurostat Le disparità regionali nei paesi OCSE, 1995-2005 (coefficiente di variazione ponderato del Pil pro capite fra regioni TL3) Messico Polonia Ungheria Turchia Francia Regno Unito Portogallo Slovacchia Austria Belgio Norvegia Giappone Italia Germania R. Ceca Danimarca Irlanda Spagna Corea Grecia Svezia USA Canada Olanda Australia 1995 0,58 0,50 (2000) 0,48 n.d. 0,48 0,47 0,44 0,42 0,39 0,38 0,35 0,31 0,30 0,29 0,27 0,24 0,24 0,23 0,20 0,17 0,17 0,15 (1997) 0,14 0,13 0,07 2005 0,60 0,53 0,67 0,58 0,51 0,58 0,45 0,51 0,36 0,38 0,40 0,35 0,31 0,29 0,43 0,27 0,32 0,23 0,26 0,39 0,26 0,20 0,21 0,16 0,10 (2004) (2001) diffe re nza 0,02 0,03 0,19 n.d. 0,03 0,11 0,01 0,09 -0,03 0,05 0,04 0,01 0,16 0,03 0,08 0,06 0,22 0,09 0,05 0,07 0,03 0,03 Fonte: OECD, Regions at a glance, 2009, tab. 15.8
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