Vademecum_Povertalombardia_2014

i VADEMECUM di
LombardiaSociale.it
La povertà
in Lombardia
Dalla ricostruzione
del fenomeno all’analisi
di politiche e interventi
a cura di Cecilia Guidetti
prefazione di Cristiano Gori
2014
Indice
Prefazione di Cristiano Gori
Introduzione
2
3
Il fenomeno della povertà in Lombardia
Consumi delle famiglie e povertà in RL
6
Il reddito disponibile delle famiglie in Lombardia: una ripresa ancora lontana
12
Dov’è la povertà in Lombardia
16
Politiche e interventi di contrasto
Lotta alla povertà e Regioni: una mappatura delle politiche
23
Gli interventi a sostegno delle famiglie in difficoltà: il caso del Comune di Legnano
31
Il welfare abitativo in Lombardia
39
Gli immigrati in Regione Lombardia: un’accoglienza che non fa rima con integrazione 45
Segnalazioni
53
Prefazione
di Cristiano Gori
Care Lettrici e Cari Lettori, tutti noi di Lombardiasociale.it - direzione, redazione e
collaboratori - siamo lieti di avviare il quarto anno di attività del nostro sito di
monitoraggio e discussione sul welfare sociale lombardo.
I nostri risultati, per numero di accessi e circolazione dei materiali proposti nei territori,
continuano ad essere positivi e a registrare una costante crescita. Ciò è per noi motivo
di soddisfazione così come fattore di stimolo intervenire sulle nostre aree di
miglioramento.
Gli obiettivi di Lombardiasociale.it sono quelli di sempre: costruire occasioni di
confronto sul welfare lombardo e di discussione delle scelte di policy, e fornire
strumenti concreti per l’attività di chi coordina e gestisce i servizi nel territorio.
Come lo scorso anno, apriamo la nuova stagione proponendo i Vademecum 2014,
dossier tematici che raccolgono vari articoli pubblicati sinora nel sito e riguardanti
alcuni tra i temi di maggiore rilievo per il welfare sociale lombardo. Ogni Vademecum
colloca pezzi usciti in momenti diversi all’interno di un quadro comune e si propone,
così, come un sintetico stato dell’arte del tema esaminato. Uno stato dell’arte che
vuole fornire un insieme di spunti, dati ed idee utili all’operatività e alla discussione.
I nuovi vademecum proposti raccolgono articoli usciti tra settembre 2013 e luglio 2014
e coprono nove temi di particolare rilievo per il welfare sociale della nostra regione. Si
tratta di: “le misure per minori e famiglie”, “programmazione e governance del welfare
sociale lombardo”, “la presa in carico nella disabilità”, “politiche e servizi per le
dipendenze”, “gli interventi contro la povertà”, “il finanziamento e la spesa” e “le
politiche per gli anziani non autosufficienti”.
Speriamo che i Vademecum possano servire a chi è – a qualunque titolo – impegnato
nel welfare sociale lombardo e interessato al suo futuro. Come sempre, i commenti e
le critiche ci saranno particolarmente utili.
Milano, settembre 2014
2
Introduzione
di Cecilia Guidetti
Con questo Vademecum riproponiamo gli articoli più rilevanti, pubblicati sul sito
nell’ultimo anno, sul tema della povertà in Lombardia.
L’argomento è trattato da due diversi punti di vista: da una parte sono analizzati i
principali studi realizzati sul fenomeno della povertà e del crescente impoverimento
delle famiglie con particolare attenzione al contesto lombardo e dall’altra si propone
una panoramica delle principali misure e interventi sul tema, guardando sia al livello
regionale sia al livello locale.
Il fenomeno della povertà in Lombardia
Per definire un quadro chiaro dell’attuale rilevanza del fenomeno della povertà in
Lombardia proponiamo qui tre contributi.
Il primo presenta i dati Istat relativi al 2012 sui consumi delle famiglie e povertà
relativa e assoluta, che evidenziano in modo molto chiaro, sia a livello nazionale che
lombardo, una contrazione della spesa media per i consumi e una crescita delle
famiglie in condizioni di povertà, mostrando per la prima volta un’inversione di
tendenza rispetto alle precedenti rilevazioni.
I dati sono confermati dall’indagine Istat – sempre relativa all’anno 2012 - sul reddito
disponibile delle famiglie italiane, analizzata nel secondo articolo. Qui, attraverso un
focus specifico sulla Lombardia e la presentazione di diversi dati – si ricostruisce
l’andamento del reddito disponibile delle famiglie negli ultimi anni collocando il
contesto lombardo in relazione alle altre regioni italiane.
Il terzo contributo Dov’è la povertà in Lombardia? analizza, infine, un’indagine
specifica sulla Lombardia realizzata da Éupolis, che si propone di esaminare le
principali configurazioni territoriali assunte dalla povertà nella nostra regione
attraverso una categorizzazione dei Comuni secondo la loro ampiezza demografica e la
loro collocazione come aree centrali o periferiche. L’articolo si conclude con una breve
disanima delle politiche di contrasto alla marginalità sperimentate in Lombardia in
questi anni.
3
Politiche e interventi di contrasto
La seconda sezione è dedicata a esaminare le principali misure messe in atto per
contrastare il fenomeno della povertà e della marginalità in Lombardia, sia a livello
regionale sia da parte degli Enti Locali attraverso il caso di un Comune dell’hinterland
milanese.
L’articolo Lotta alla povertà e Regioni presenta un confronto tra le misure
implementate da Regione Lombardia e quanto realizzato nelle altre regioni italiane.
L’analisi è articolata intorno ai tre principali assi di intervento regionale nel contrasto
alla povertà. Per ognuno di questi viene proposta una panoramica di quanto realizzato
dalle diverse regioni e un focus specifico sulla Lombardia.
Il contributo successivo propone, invece, un’intervista all’assessore di un Comune del
milanese che racconta – attraverso dati dettagliati – i processi e gli interventi messi in
atto dai servizi comunali per rispondere alla crescente domanda di sostegno –
economico e non solo – da parte di cittadini e famiglie.
Il compendio si conclude con due approfondimenti che allargano lo sguardo dalle
misure prettamente dedicate al contrasto alla povertà a due aree strettamente
contigue: quella del welfare abitativo e quella dell’integrazione sociale dei cittadini
stranieri.
In merito alle misure di welfare abitativo vengono presentati i principali interventi
realizzati da Regione Lombardia a cavallo tra la IX e la X legislatura per sostenere la
locazione e l’acquisto della prima casa, le risorse dedicate e le principali linee di
tendenza di queste misure.
Nell’ultimo articolo si esplora, invece, il tema dell’integrazione dei cittadini stranieri,
collocando il contesto lombardo a partire dalle principali evidenze che emergono da
recenti studi sul tema dell’immigrazione. A partire dai dati segue poi una disanima dei
principali interventi dedicati a questo tema in Lombardia.
4
Il fenomeno della povertà
in Lombardia
5
Dati e ricerche
Consumi delle famiglie e povertà
in Regione Lombardia
Un commento agli ultimi dati Istat
di Carla Dessi
29 ottobre 2013
Temi > Povertà
I dati Istat relativi al 2012 sui consumi delle famiglie e povertà relativa ed
assoluta ci mostrano un quadro per la prima volta in evidente
contraddizione con le precedenti rilevazioni: assistiamo, infatti, a livello
nazionale ad una contrazione della spesa media per consumi e anche per il
Nord, Lombardia compresa, si registra una crescita delle famiglie in
condizione di povertà.
I consumi delle famiglie
Il dato a livello nazionale vede per il 2012 una spesa media mensile pari, in valori
correnti, a € 2.419, spesa che, tenuto conto dell’errore campionario e della dinamica
inflazionistica è diminuita anche in termini reali (-2,8%) rispetto all’anno precedente.
La Lombardia perde il primato di regione con la spesa media mensile più elevata, per il
2012 attribuito al Trentino Alto Adige, ma come si può vedere in Tabella 1 si colloca
comunque al secondo posto con € 2.866 mensili.
Tabella 1. La spesa media mensile delle famiglie per regione – Anni 2011 – 2012 – Fonte dati: Istat – “I
consumi delle famiglie”
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-Alto Adige
- Bolzano
- Trento
Veneto
Friuli-Venezia Giulia
2011
€ 2.705
€ 2.573
€ 3.033
€ 2.855
€ 2.941
€ 2.776
€ 2.903
€ 2.594
2012
€ 2.632
€ 2.604
€ 2.866
€ 2.919
€ 3.119
€ 2.736
€ 2.835
€ 2.461
Variazione 2011-2012
- 2,7
+ 1,2
- 5,5
+ 2,2
+ 6,1
- 1,4
- 2,3
- 5,1
6
€ 2.371
€ 2.770
€ 2.673
€ 2.443
€ 2.615
€ 2.522
€ 2.348
€ 2.201
€ 1.944
€ 1.958
€ 1.898
€ 1.904
€ 1.637
€ 1.921
€ 2.488
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
ITALIA
€ 2.267
€ 2.834
€ 2.591
€ 2.450
€ 2.509
€ 2.468
€ 2.237
€ 2.200
€ 1.896
€ 1.898
€ 1.908
€ 1.762
€ 1.628
€ 1.879
€ 2.419
- 4,4
+ 2,3
- 3,1
+ 0,3
- 4,1
- 2,1
- 4,7
- 0,04
- 2,5
- 3,1
+ 0,5
- 7,5
- 0,5
- 2,2
- 2,8
Elaborazioni IRS su dati Istat Indagine sui consumi – Anni 2011-2012
È, tuttavia, una spesa che registra una variazione in termini negativi senza precedenti: 5,5% rispetto al 2011 e che porta la Lombardia ai livelli di spesa più bassi degli ultimi 6
anni (vedi Tabella 2).
Tabella 2. La spesa media mensile familiare in Regione Lombardia – Anni 2007 – 2012 – Fonte dati:
Istat – “I consumi delle famiglie”
Lombardia
∆
Nord – Ovest
Nord – Est
Centro
Sud
Isole
ITALIA
2007
2.896,20
+0,3%
2.763,28
2.844,51
2.539,09
2.039,64
1.829,79
2.480,07
2008
2.929,00
+1,1%
2.770,16
2.866,93
2.557,71
2.011,67
1.826,94
2.480,64
2009
2.917,69
-0,4%
2.763,92
2.772,97
2.552,54
1.967,91
1.760,89
2.441,77
2010
2.896,00
-0,7%
2.796,00*
2011
3.033,00
+4,8%
2012
2.866,00
-5,5%
2.539,00
1.898,00**
2.843,00
2.577,00
1.894,00
2.761,00
2.511,00
1.844,00
2.453,00
2.488,00
2.419,00
* A partire dal 2010 il dato disponibile comprende tutto il Nord Italia.
** A partire dal 2010 il dato disponibile non riporta la suddivisione tra Sud e Isole.
Se ritorniamo alla Tabella 1 riportante le variazioni nella spesa media mensile nel
biennio 2011-2012, dal confronto con le altre regioni italiane, la Lombardia subisce la
contrazione maggiore per il Nord Italia e a livello nazionale è in seconda posizione
dietro alla Calabria (con un -7,5%), dato dal quale si mette in evidenza “il cambio di
rotta” che vede protagoniste le famiglie lombarde.
7
Entrando invece nel merito della composizione della spesa, possiamo notare a livello
nazionale una crescita delle quote destinate ai combustibili e all’energia (dal 5,2% al
5,6%) e, parallelamente, la contrazione della spesa destinata all’abbigliamento e alle
calzature e all’acquisto di arredamenti, elettrodomestici e servizi per la casa.
Analizzando le voci dei capitoli di spesa per la Lombardia riportate in Tabella 3
troviamo conferma di questo trend, seppur vadano messi in evidenza per le famiglie
lombarde un incremento delle spese legate all’abitazione ed una diminuzione delle
spese per trasporti, quest’ultimo dato da imputarsi con molta probabilità alla spesa per
la benzina, in diminuzione a seguito della riduzione della percentuale di famiglie che
l’acquistano. Ad integrazione di questo quadro è interessante segnalare come rimanga
pressoché stabile la voce di spesa per le “Comunicazioni”, ciò ad avvalorare quanto
messo in evidenza peraltro anche nell’ultimo rapporto Éupolis[1] per cui se le famiglie
povere a differenza delle non povere devono dare priorità a spese quali i combustibili e
l’energia, non rinunciano comunque alle spese per le comunicazioni laddove l’utilizzo
del telefono cellulare rappresenta una importante opportunità di relazione.
Tabella 3. La spesa media mensile familiare in Regione Lombardia per capitolo di spesa – Anni 2007 –
2012 – Fonte dati: Istat - “I consumi delle famiglie”
Alimentari
bevande
Tabacchi
e
Abbigliamento
/calzature
Abitazione
Combustibili ed
energia
Mobili/elett./
servizi per la
casa
Sanità
Trasporti
Comunicazioni
Istruzione
Tempo
libero/cultura/
giochi
Altri beni e
servizi
SPESA MEDIA
MENSILE
2007
v.a.
462,9
%
16
2008
v.a.
483,4
%
16,5
2009
v.a.
469,1
%
16,1
2010
v.a.
474,9
21,7
0,8
22,3
0,8
19,2
0,7
20,3
%
16,
4
0,7
166,5
5,7
174,3
6,0
151,8
5,2
144,8
822,4
28,4
818,0
27,9
826,5
28,3
857,2
122,2
4,2
146,5
5,0
153,1
5,2
166,5
5,8
158,8
5,4
164,9
134,1
455,8
4,6
15, 7
109,4
426,0
3,7
14,5
52,6
28,8
128,2
1,8
1,0
4,4
54,6
32,9
132,0
334,4
11,5
2.896
100
2011
v.a.
491,3
21,2
%
16,
2
0,7
5,0
154,7
891,7
141,9
29,
6
4,9
5,7
156,4
98,5
437,0
3,4
15,0
104,3
440,2
1,9
1,1
4,5
53,7
28,5
128,5
1,8
1,0
4,4
55,0
28,9
139,0
371,3
12,7
386,7
13,3
333,0
2.929
100,0
2.917
100
2.896,
2012
v.a.
472,9
22,9
%
16,
5
0,8
5,1
134,7
4,7
877,0
148,6
29,
4
4,9
146,2
30,
6
5,1
5,4
157,7
5,2
140,4
4,9
3,6
15,
2
1,9
1,0
4,8
106,2
497,4
100,3
424,2
51,6
33,4
145,6
3,5
16,
4
1,7
1,1
4,8
3,5
14,
8
1,8
1,3
4,6
11,
5
100
339,7
0
3.033
11,
2
100
329,6
51,6
37,3
131,9
2.866,
11,
5
100
Elaborazioni IRS su dati Istat Indagine sui consumi – Anni 2007-2012
8
I dati sulla povertà relativa
Il dato a livello nazionale diffuso dall’Istat mette in evidenza per il 2012 come il 12,7%
delle famiglie sia relativamente povero (ovvero oltre 9 milioni di persone) e il 6,8% lo
sia in termini assoluti (oltre i 4 milioni)[2]. E’ un dato che, coerentemente con quanto
registrato dall’indagine sui consumi, interrompe bruscamente la sostanziale stabilità
registrata nel corso dell’ultimo quinquennio e che per la Regione Lombardia registra
un aumento di 1,8 punti percentuali rispetto al 2011. L’incidenza sia della povertà
relativa che della povertà assoluta aumenta tra il 2011 e il 2012 pressoché in tutte e
tre le ripartizioni territoriali (vedi Tabella 4 e Tabella 5).
Tabella 4. Incidenza di povertà relativa – Dato % Regione Lombardia e Italia Anni 2007 – 2012 – Fonte
dati: Istat – “La povertà in Italia”
Lombardia
Nord
Centro
Mezzogiorno
ITALIA
2007
4,8
5,5
6,4
22,5
11,1
2008
4,4
4,9
6,7
23,8
11,3
2009
4,4
4,9
5,9
22,7
10,8
2010
4,0
4,9
6,3
23,0
11,0
2011
4,2
4,9
6,4
23,3
11,1
2012
6,0
6,2
6,1
24,8
12,7
Tabella 5. Incidenza di povertà assoluta per ripartizione geografica – Anni 2009 – 2012, valori % –
Fonte dati: Istat – “La povertà in Italia”
Nord
Centro
Mezzogiorno
ITALIA
2009
3,6
2,7
7,7
4,7
2010
3,6
3,8
6,7
4,6
2011
3,7
4,1
8,0
5,2
2012
5,5
5,1
9,8
6,8
È interessante a questo punto richiamare quanto si evince in Figura 1 osservando
l’evoluzione nell’incidenza della povertà assoluta nell’ultimo triennio. Se per il Centro
l’incremento delle famiglie in condizione di povertà assoluta era ben visibile già negli
anni precedenti, visto che la variazione maggiore (+40,7%) si osserva nel biennio 20092010, nel Mezzogiorno e al Nord la massima crescita dell’incidenza di povertà si
osserva nell’ultimo biennio. In particolare il Nord, che presentava una variazione di
solo +2,8% nel 2010-2011, conosce un picco del +48,6% nel 2011-2012.
9
Figura 1. Variazioni nell’incidenza della povertà assoluta per ripartizione geografica – Anni 2009-2012,
valori % – Fonte dati: Istat – “La povertà in Italia”
Elaborazioni IRS su dati Istat – Anni 2009-2012
L’Istat precisa in questo senso come la povertà sia aumentata per molti sottogruppi di
popolazione toccando anche quelli che tradizionalmente presentavano una diffusione
del fenomeno più “contenuta”. Entrando nel merito delle tipologie familiari che
versano maggiormente in condizione di fragilità, il dato nazionale mette in evidenza
come l’incidenza della povertà assoluta sia aumentata in particolar modo tra le
famiglie composte da coppie con tre o più figli (con una crescita dal 10,4% al 16,2%),
specialmente in caso di presenza di figli minori (in questo caso l’incremento sale dal
10,9% al 17,1%).
I peggioramenti più marcati si osservano per le realtà familiari con problemi di accesso
al mercato del lavoro: la quota di famiglie povere tra quelle con a capo una persona in
cerca di occupazione cresce nel biennio 2011-2012 dal 27,8% al 35,6%.
Il Nord Italia, come sopra richiamato, è colpito duramente da questo peggioramento
complessivo: le condizioni di vita delle famiglie settentrionali si sono aggravate
soprattutto se a capo della famiglia vi è una persona in cerca di lavoro, la variazione
registrata vede un’incidenza della povertà raddoppiata dall’11,7% del 2011 al 22,3%
del 2012. Ciò che tuttavia l’Istat sottolinea nel rimarcare la gravità della situazione è
che “un livello di istruzione medio alto e un lavoro, anche di elevato livello
professionale, non garantiscono più dal rischio di cadere in povertà assoluta,
10
soprattutto quando altri membri della famiglia perdono la propria posizione
professionale”[3].
In conclusione di questo scenario la Regione Lombardia con il 6,0% vede in una
condizione di povertà oltre 264.000 famiglie, pari a circa 585.000 persone, con una
crescita in termini assoluti rispetto al 2011 di 200.000 persone[4]. Dato quest’ultimo
che conferma quanto già si segnalava sempre all’interno del rapporto Éupolis per cui
“la mobilità in uscita dalla povertà si è ridotta piuttosto che ampliata”[5] e che,
parallelamente, rappresenta un importante indicatore di una cronicizzazione delle
situazioni di fragilità delle famiglie che si auspica abbia la giusta attenzione
nell’agenda politica regionale dei prossimi mesi.
1. [1] Vedi L. Cavedo “Povertà assoluta in Lombardia” in“L’esclusione sociale in Lombardia.
Quarto Rapporto – 2011”, Éupolis Lombardia, Febbraio 2013.
2. [2] Per la precisione la soglia di povertà relativa per il 2012, per una famiglia di due
componenti, è pari a € 990,88, circa € 20 in meno di quella stabilita nel 2011, i dati diffusi
calcolano 9.563.000 persone povere in termini relativi e 4.814.000 povere in termini
assoluti. Ricordiamo che l’Istat calcola l’incidenza della povertà assoluta sulla base di una
soglia di povertà corrispondente alla spesa mensile minima necessaria per acquisire il
paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una determinata famiglia, è
considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile (cfr.
www.istat.it/dati/catalogo/200900422_00).
3. [3] Vedi Istat, La povertà in Italia – Anno 2012, p. 9.
4. [4] Dato calcolato dall’annuario statistico regionale (www.asr-lombardia.it) da cui risultano
nel 2012 in Lombardia 4.409.655 famiglie e una popolazione residente di 9.732.063
persone, per un numero medio di componenti per famiglia pari a 2,21.
5. [5] Vedi G. Rovati “Povertà temporanea e povertà persistente: indicazioni di policy dal
network ORES” in“L’esclusione sociale in Lombardia. Quarto Rapporto – 2011”.
11
Dati e ricerche
Il reddito disponibile delle
famiglie in Lombardia: una
“ripresa” ancora lontana
A cura di Carla Dessi
16 febbraio 2014
Temi > Povertà
Proponiamo in questo contributo una sintesi del quadro diffuso dall’Istat
per l’anno 2012 sul reddito disponibile delle famiglie italiane ampliando lo
sguardo all’ultimo decennio.
Una “discesa” che sembra inarrestabile
Se i dati Istat sull’evoluzione del reddito disponibile delle famiglie per gli anni 20082011 lasciavano presagire dei piccoli segnali di ripresa, il quadro recentemente diffuso
va in tutt’altra direzione mettendo in evidenza per la Lombardia, così come per il resto
delle regioni italiane, una situazione che permane di forte criticità. Nel 2012, infatti, il
reddito disponibile delle famiglie, espresso in valori correnti, rispetto al 2011, registra
ovunque una variazione con segno negativo che va da un minimo di – 0,8% in Basilicata
a un massimo di - 2,8% in Liguria e Valle d’Aosta.
Osservando più da vicino il posizionamento della Regione Lombardia nello scenario
tratteggiato dall’Istat possiamo vedere che:
Il reddito disponibile per abitante per l’anno 2012 è pari in Regione Lombardia a €
20.666, dato superiore alla media nazionale di € 17.563 e che colloca la nostra regione,
coerentemente con le precedenti rilevazioni, al 4° posto, dopo la Provincia di Bolzano,
la Valle d’Aosta e l’Emilia-Romagna (vedi Figura 1);
Il dato sulla variazione del reddito delle famiglie nel biennio 2012-2011 vede in
Regione Lombardia una contrazione del – 1,9%, in linea con il quadro emerso a livello
nazionale ed in particolare per il Nord-ovest e il Centro (vedi Figura 2);
Il reddito da lavoro dipendente si conferma la componente più rilevante nella
formazione del reddito disponibile delle famiglie e registra per la Regione Lombardia
un 68,3% (vedi Figura 3). Se si va ad osservare il tasso di variazione di questa
12
importante componente del reddito rispetto al 2011, la Lombardia registra un “timido”
+ 0,2 in un quadro che a livello nazionale evidenzia una vera e propria “crescita 0” (vedi
Figura 4).
Se entriamo maggiormente nel dettaglio dei dati messi a disposizione dall’Istat
ampliando lo sguardo all’ultimo decennio e concentriamo l’attenzione sulle variazioni
registrate annualmente, il biennio 2012-2011 sembra evocare, seppur con percentuali
più contenute, la situazione drammaticamente esplosa a partire dal 2009. Quei
“segnali di ripresa” che parevano accennarsi a partire dal 2011 paiono ancora lontani.
Possiamo, infatti, constatare che:
Il reddito disponibile delle famiglie per abitante registra nuovamente in
Lombardia e in Italia una variazione di segno negativo come non accadeva dal biennio
2009-2008 (vedi Figura 5 in allegato);
Le variazioni nei redditi da lavoro dipendente registrate nell’ultimo biennio sono
ben lontane dai valori che si registravano nei primi anni Duemila, che si sono
mantenuti solo fino al 2008 (vedi Figura 6 in allegato).
I possibili segnali di ripresa che l’Istat legava nel 2011 al tasso di crescita
sensibilmente positivo (in Italia, +2,1% e in Lombardia +3,6%) per il reddito misto,
reddito che rappresenta “il risultato dell’attività imprenditoriale svolta dalle famiglie
nella loro veste di produttori”, vengono disconfermati. Nel 2012 in Regione Lombardia
la variazione negativa registra un – 4,6%, di poco inferiore al dato nazionale del – 5,1%
e vicino al – 4,0% del 2009 (vedi Figura 7 in allegato).
13
14
15
Dati e ricerche
Dov’è la povertà in Lombardia?
Un’analisi delle aree a maggiore presenza di povertà, a partire dalla ricerca Eupolis Aree
periferiche in Lombardia: specificità e prospettive
di Marcella Sala
14 marzo 2014
Temi > Povertà
I comuni svantaggiati sono oggi i luoghi dove la povertà si concentra
maggiormente? Il rapporto di ricerca Eupolis “Aree periferiche in
Lombardia: specificità e prospettive” sintetizzato in questo articolo apre
riflessioni inedite riguardo alle principali configurazioni territoriali della
povertà in Lombardia, che hanno a che fare con le nozioni di “centro” e
“periferia”. L’articolo propone,inoltre, una breve disamina delle politiche
di contrasto alla marginalità sperimentate in Lombardia in questi anni, e del
loro possibile sviluppo futuro.
Nel 2004 la Lombardia si dotava, attraverso la legge regionale 11/2004[1], di uno
strumento con il quale identificare i piccoli comuni cosiddetti “svantaggiati”, vale a dire
i nuclei abitativi con non più di 2.000 abitanti per i quali si riscontri una situazione di
svantaggio o di marginalità, sulla base di fattori quali la composizione demografica, il
livello di benessere e l’orientamento turistico. A titolo d’esempio, un comune può
essere considerato svantaggiato se il numero di anziani residenti è di molto superiore
rispetto agli adulti giovani, se i redditi della popolazione sono mediamente bassi e se
esso occupa una posizione marginale rispetto alle destinazioni turistiche più vicine. La
legge si inseriva all’interno di un più ampio disegno di coesione territoriale, basato sul
sostegno dei comuni in condizione di svantaggio per ridurre le ineguaglianze fra aree.
A dieci anni dall’introduzione della legge, l’istituto Eupolis[2] pubblica il rapporto di
ricerca “Aree periferiche in Lombardia: specificità e prospettive”, nel quale indaga, fra
il resto, una questione interessante: i comuni svantaggiati sono oggi i luoghi dove la
povertà si concentra maggiormente?Come vedremo, la risposta a questa domanda è
tutt’altro che scontata, e apre riflessioni inedite che hanno a che fare con le nozioni di
“centro” e “periferia”. L’articolo propone, da ultimo, una breve disamina delle politiche
di contrasto alla marginalità sperimentate in Lombardia in questi anni, aprendo a
possibili sviluppi futuri.
16
Povertà in città e povertà nei piccoli comuni
La ricerca Eupolis muove dai dati dell’osservatorio regionale sull’esclusione sociale
(ORES)[3], secondo i quali su 12 capoluoghi di provincia lombardi ben 9 presentano un
tasso di povertà materiale, calcolato sulla base del numero di persone che si rivolgono
a enti assistenziali, superiore al 5%. Prima in classifica è Varese (10,9%), seguita da
Milano (10,3%), Cremona e Pavia (rispettivamente 9,3% e 9,1%).
Per quanto riguarda i piccoli comuni, invece, la povertà estrema risiede nel 64% dei
casi in comuni non definiti svantaggiati, mentre solo nel 12% dei casi nei comuni con
svantaggio “elevato” e nel 17% dei casi in comuni con svantaggio “medio”. Si tratta di
comuni localizzati soprattutto nella piattaforma alpina, nell’asse padano e lungo l’asse
del Sempione.
Non sembra dunque riconoscersi un parallelismo fra svantaggio locale e povertà,
mentre sembra emergere un’associazione fra povertà e ampiezza demografica del
comune, come si evince anche osservando i dati contenuti in Tabella 1.
Contrariamente alle aspettative i comuni svantaggiati, situati spesso in aree montane e
comunque lontane dai centri economici e di potere, non sono oggi i luoghi dove
povertà e marginalità sociale si concentrano maggiormente. In molti casi, invece, una
maggiore presenza di povertà si trova nei capoluoghi di provincia, che sono
solitamente città di medie o grandi dimensioni.
Tabella 1 – Distribuzione dei comuni primari rispetto alla classe di ampiezza demografica e al tasso
d’incidenza della povertà materiale. Lombardia, 1.1.2010
Classi di ampiezza demografica
<=5000
5.000 – 20.000
20.000 – 50.000
50.000 – 100.000
Capoluogo
Totale
Tasso di incidenza della povertà materiale
<=1% 1% – 2%
2% – 3%
3% – 5%
69
46
26
33
90
60
35
32
9
13
12
9
0
1
2
2
0
0
0
3
168
120
75
79
>5%
17
16
4
2
9
48
Totale
191
233
47
7
12
490
Fonte: ORES (2011)
In Lombardia la maggiore concentrazione di povertà estrema si trova principalmente
nell’area metropolitana di Milano, nell’alta Valtellina (Bormio, Livigno), ma anche nelle
province di Bergamo-Brescia, Pavia e Varese (si veda Figura 1). Il risultato della ricerca
Eupolis sembra essere coerente con l’analisi proposta in un precedente contributo[4],
secondo cui la maggiore crescita di povertà si è osservata recentemente nelle zone più
ricche d’Italia, che coincidono con le aree metropolitane o ad alta vocazione
turistica.[5]
17
Figura 1 – Distribuzione territoriale dei tassi di povertà materiale secondo la stima media*.
Lombardia, 2010
Fonte: ORES (2011)
Una povertà “urbanizzata”
L’evidenza empirica mostra una tendenza all’ “urbanizzazione” delle nuove forme di
marginalità ed esclusione sociale, che colpiscono un ceto medio prevalentemente
cittadino caratterizzato da crescente vulnerabilità e insicurezza sociale, più che gli
abitanti di aree tradizionalmente periferiche e lontane dai centri economici e
decisionali. Anche all’interno delle città, inoltre, le nuove situazioni di impoverimento
ed esclusione non interessano necessariamente le zone periferiche, ma sempre più
anche i quartieri centrali. Nello sviluppo delle città molto spesso sono proprio i centri
storici a diventare periferie, per lo spopolamento, l’anzianità dei cittadini, l’arrivo dei
migranti e l’allontanamento delle attività commerciali. I concetti di “centro” e
“periferia” sembrano allora non valere più come tradizionalmente intesi, ma
mescolarsi fra loro assumendo connotati differenti rispetto a quelli che siamo soliti
definire. Questo ci obbliga a ripensare le categorie con cui siamo soliti leggere la realtà
e con cui, di conseguenza, agiamo.
18
Povertà “diverse”
Oltre a manifestarsi in modo più acuto, nelle città la povertà è in parte diversa
rispetto a quella che si osserva nei piccoli comuni. Se in questi ultimi, con le dovute
semplificazioni, si osserva prevalentemente una marginalità intesa come
“deprivazione”, vale a dire povertà economica, nelle aree urbane prevale una
marginalità di tipo “sociale”, che assume connotati sensibilmente differenti. Mentre
nel primo caso prevale una condizione di mancanza di mezzi, nel secondo si fa
riferimento a una posizione di sradicamento sociale e di status incerto, causata dalla
transizione da un’appartenenza all’altra, o dall’emergere di nuove forme di esclusione
sociale.
Secondo il rapporto Eupolis la marginalità nel senso di deprivazione è localizzata
soprattutto nelle aree montane e nelle aree rurali dell’asse padano, quindi nei piccoli
comuni periferici, mentre la marginalità in senso sociale si concentra principalmente
nell’area metropolitana della città di Milano e nei piccoli comuni della cosiddetta
“città infinita”, in corrispondenza della pedemontana lombarda che va da Varese a
Brescia. E’ quest’ultima fascia di territorio che vede, infatti, un ampliamento dei rischi
sociali per la classe intermedia della società, esposta come mai in precedenza alla
possibilità di perdere il suo status e di scivolare verso l’impoverimento al verificarsi di
eventi accidentali relativi alla condizione lavorativa, alla salute e alle relazioni familiari.
Per queste persone prevale così un senso di marginalità che riguarda, in modo
particolare, la propria posizione all’interno della società.
Gli interventi di contrasto alla marginalità
In Lombardia gli interventi di contrasto alla marginalità hanno mostrato, in questi anni,
una certa disomogeneità territoriale. Nelle aree periferiche, ad esempio, la diffusione
dei servizi è meno sviluppata. Le aree metropolitane vedono invece una massiccia
presenza di servizi, con un impegno particolare del terzo settore. Nonostante ciò,
secondo l’analisi dell’ORES anche nelle città si avverte una sempre maggiore
insufficienza di offerta nei confronti di una domanda crescente.
In sintesi, gli interventi di contrasto alla marginalità presenti a livello territoriale in
Lombardia sono:
azioni di sistema, legate alla programmazione zonale e all’organizzazione
generale degli interventi e dei servizi, compresa la messa in rete di soggetti del terzo
settore con le relative procedure di accreditamento
19
interventi per l’inclusione sociale, che hanno lo scopo di rafforzare le capacità e i
potenziali delle persone fragili (es. sostegno all’affitto, inserimento lavorativo,
microcredito,…)
rafforzamento della convivenza, per ridurre situazioni di marginalità presenti in
contesti ad elevata presenza di etnie diverse (ad es. il bando sulla coesione sociale
promosso da Regione Lombardia)
governo del territorio, per rigenerare la vita urbana di determinate aree
attraverso il recupero di aree dismesse, housing sociale, servizi di prossimità (si pensi ai
custodi sociali).
Quali politiche in un sistema locale di welfare in cambiamento
Il rapporto Eupolis si conclude con alcune indicazioni di policy. Il fenomeno povertà, in
particolare nelle sue nuove manifestazioni che, come visto, interessano soprattutto i
contesti urbani, necessita sempre più di modalità innovative di risposta. Una certa
enfasi è posta, in particolare, sui servizi di prossimità, che secondo l’istituto regionale
dovrebbero occupare progressivamente una posizione centrale all’interno del
sistema di welfare. Tali interventi si caratterizzano per la loro dimensione “micro”, sia
nelle attività che realizzano sia nel contesto territoriale nel quale agiscono. Rivolti
prioritariamente a persone anziane e disabili, normalmente vengono svolti attraverso
apposite convenzioni con associazioni di volontariato e imprese sociali locali. La novità
dei servizi di prossimità consiste nel creare una nuova struttura di collaborazione fra
servizi e progetti, che essendo più vicino agli utenti hanno più capacità di apprendere e
rispondere ai bisogni e sono sensibili al mutare dei fenomeni sociali.
Il sistema di welfare locale nei prossimi anni sarà con ogni probabilità chiamato a
profondi cambiamenti. La nuova ridefinizione dei livelli di governo in comuni, province
e aree metropolitane disegnerà nuove geografie e linee di intervento dove i concetti di
“centro” e “periferia” assumeranno un’importanza cruciale. Comprendere la
distribuzione dei bisogni sui territori, individuando dove essa è più concentrata o al
contrario rarefatta, sarà un passo fondamentale per predisporre sistemi di governance
e di organizzazione dei servizi efficaci.
1. [1] Legge regionale 5 maggio 2004, n. 11 “Misure di sostegno a favore dei piccoli comuni
della Lombardia”.
2. [2] L’Istituto superiore per la ricerca, la statistica e la formazione di Regione Lombardia.
20
3. [3] ORES (2011), L’esclusione sociale in Lombardia. Terzo Rapporto, Guerini e Associati,
Milano.
4. [4] Marcella Sala, Povertà e costo della vita, Newsletter n°I – 17 gennaio 2014.
21
Politiche e interventi di contrasto
22
Dati e ricerche
Lotta alla povertà e Regioni: una
mappatura delle politiche
La Lombardia a confronto con le altre regioni italiane
di Marcella Sala
14 novembre 2013
Temi > Povertà
In questo contributo abbiamo ricostruito lo stato delle politiche di contrasto
all’esclusione sociale dal livello regionale, come si sono orientate le diverse
regioni e il posizionamento lombardo.
Complessivamente sono diciassette le regioni italiane che hanno in vigore almeno un
provvedimento legislativo in materia di contrasto alla povertà.[1] Oltre alle politiche
espressamente rivolte a combattere situazioni di disagio ed esclusione sociale, vi è poi
una vasta gamma di interventi destinati di fatto prioritariamente alla fascia di
popolazione povera o fortemente vulnerabile. In questo articolo si cerca di districare la
complicata matassa delle politiche regionali su questi temi, individuando le linee
comuni che hanno indirizzato i governi regionali negli ultimi anni.
In materia di povertà e disagio sociale gli atti normativi regionali afferiscono
sostanzialmente a tre macro-aree[2]:
− sostegno economico alle famiglie povere di tipo continuativo;
− sostegno economico alle famiglie povere una tantum;
− sostegno finanziario a progetti del terzo settore rivolti alle marginalità estreme.
Il sostegno economico continuativo alle famiglie povere
All’interno del sostegno economico continuativo rientrano i contributi monetari
erogati a cadenza regolare lungo un certo periodo di tempo, data la permanenza della
condizione di bisogno. Possiamo ulteriormente distinguere fra misure di sostegno
“attivo”, vale a dire quelle misure che si accompagnano a programmi e percorsi di
inserimento sociale o lavorativo, e misure di sostegno “passivo”, che prevedono la sola
erogazione monetaria.
23
Fra gli interventi di sostegno “attivo” si possono identificare quelli assimilabili al
reddito minimo, così come si caratterizza a livello nazionale nella quasi totalità dei
Paesi europei (ad oggi solo Italia e Grecia non hanno attivato una simile misura di
protezione sociale di ultima istanza). Interventi di questo tipo si contraddistinguono
per due caratteristiche essenziali: la presa in carico dei beneficiari attraverso
programmi di inserimento sociale o lavorativo, personalizzati ed esplicitamente
pattuiti, e la loro attitudine a rivolgersi all’intera platea di soggetti al di sotto di una
determinata soglia di reddito e/o patrimonio, indipendentemente dall’appartenenza a
specifiche categorie (il cosiddetto “universalismo”).
Sperimentazioni regionali di reddito minimo: c’è chi abbandona
Alcune regioni italiane sono state antesignane della misura, introducendola già qualche
anno prima della sperimentazione nazionale del Reddito Minimo d’Inserimento (RMI)
condotta tra il 1999 e il 2003. E’ questo il caso delle Province Autonome di Trento e
Bolzano e della Valle d’Aosta, che la istituirono con legge regionale rispettivamente nel
1991 e nel 1994. Altre regioni hanno invece introdotto misure paragonabili al reddito
minimo proprio sulla spinta della sperimentazione nazionale: è il caso della Basilicata,
della Campagna, del Friuli Venezia Giulia e del Lazio. Sono poi parzialmente assimilabili
al reddito minimo anche le esperienze della Sicilia, con i suoi lavori socialmente utili
(“cantieri di servizi”) avviati nei 40 Comuni della sperimentazione nazionale, e il Veneto
con la continuazione della sperimentazione del RMI nel Comune di Rovigo. Non tutte le
esperienze citate hanno in realtà dato prova di efficacia nel contrasto alla povertà, [3]
e alcune si sono concluse dopo poco tempo, talvolta per motivi politici o per mancanza
di risorse. Attualmente il reddito minimo è ancora in vigore soltanto in Basilicata, nelle
Province Autonome di Trento e Bolzano e in Valle d’Aosta, e continua anche
l’esperienza dei cantieri di servizio siciliani.[4]
Altre proposte per un sostegno “attivo” al reddito…
Negli anni le regioni hanno introdotto altre misure di sostegno “attivo” al reddito, che
da un lato presentano elementi comuni al reddito minimo, nella previsione di progetti
personalizzati per i beneficiari, dall’altro se ne distanziano in quanto fortemente
categoriali nella selezione di questi ultimi. Un esempio è rappresentato dai programmi
di reinserimento lavorativo per disoccupati accompagnati da un’indennità di
partecipazione, come quelli previsti dalla Regione Piemonte nell’ambito del POR-FSE
2007/2013. Si noti come in questo caso la selezione dei beneficiari non si basi sulla
valutazione di un’insufficienza reddituale del nucleo familiare, ma sulla semplice
constatazione dello stato di disoccupazione. Sebbene non specificamente finalizzata al
24
contrasto della povertà, tuttavia, è evidente come la misura intervenga a favore di
soggetti con reddito nullo e in condizioni di vulnerabilità sociale, e sia perciò inclusa a
pieno titolo fra le politiche qui considerate.
… o per un sostegno “passivo”
Vi sono infine misure di sostegno continuativo ai redditi di tipo “passivo”, finanziate da
alcune regioni per lo più sottoforma di “minimo vitale”. Fra gli esempi più recenti vi è
lo stanziamento di fondi da parte della Regione Sardegna per la concessione di sussidi
mensili a famiglie in condizioni di povertà, finalizzate all’abbattimento dei costi dei
servizi essenziali (DGR 14/21/2010). Si tratta in ogni caso di una linea di policy
marginale all’interno del quadro complessivo.
E la Lombardia?
Nell’ultimo triennio la Lombardia ha istituito alcune forme di sostegno “attivo” al
reddito, privilegiando di volta in volta categorie specifiche di soggetti. In particolare
l’attenzione della Regione sembra rivolgersi alle famiglie con figli e al sostegno alla
natalità. Si pensi ad esempio ai Fondi Nasko e Cresco, che garantiscono un contributo
mensile alle madri in condizioni di indigenza a fronte di un progetto personalizzato
messo in atto dai consultori familiari. Come spesso accade, peraltro, misure come
quelle descritte risultano a scavalco fra due branche delle politiche sociali: quelle a
sostegno della famiglia e quelle di contrasto alla povertà.
Principali contenuti
Regioni (esempi significativi)
Misure “attive” di sostegno al reddito, assimilabili al Pre-RMI: Valle d’Aosta; Provincia Autonoma di
reddito minimo (universalità + percorsi di attivazione Bolzano; Provincia Autonoma di Trento.Post-RMI:
dei beneficiari)
Basilicata; Campania (Reddito di Cittadinanza); FriuliVenezia Giulia (Reddito di Base per la Cittadinanza e
F.do per il contrasto ai fenomeni di povertà e disagio
sociale); Lazio (Reddito Minimo garantito; Sicilia
(Cantieri Servizi); Veneto (Reddito di Ultima Istanza).
Altre misure “attive” di sostegno al reddito rivolte a Lombardia (F.do Nasko e F.do Cresco); Piemonte,…
specifiche categorie di beneficiari
Misure “passive” di sostegno al reddito
Calabria (“minimo vitale”); Molise (“minimo vitale”);
Sardegna (contributi per servizi essenziali),…
25
Il sostegno economico una tantum alle famiglie povere
Proprio per il loro carattere occasionale i contributi economici una tantum destinati
alle famiglie in condizioni di povertà non prevedono generalmente progetti
individualizzati per i beneficiari. Si tratta di misure volte principalmente a tamponare
momentanee situazioni di bisogno o a offrire un sollievo in termini economici alle
famiglie a rischio povertà.
All’interno di questo gruppo si può ulteriormente distinguere fra gli interventi di
sostegno diretto al reddito familiare, vale a dire i contributi che integrano i redditi
giudicati insufficienti a soddisfare le esigenze della famiglia, e quelli di sostegno
indiretto al reddito, ovvero i contributi destinati a coprire specifici bisogni, quali il
pagamento della rata del mutuo, le spese scolastiche, i voucher formativi in caso di
perdita del lavoro, ecc.
I “pacchetti anti-crisi”: gli esempi di Toscana e Calabria
Fra gli interventi di sostegno diretto al reddito troviamo alcuni recenti “pacchetti” di
misure regionali volti a fronteggiare l’emergenza povertà, ormai ufficializzata dagli
ultimi dati Istat relativi all’anno 2012 (povertà assoluta pari al 6,8% delle famiglie
italiane e all’8% della popolazione, per un totale di 4 milioni 814 mila individui[5]).
Con la legge 45/2013 la regione Toscana, ad esempio, istituisce per il triennio 20132015 una serie di misure sperimentali[6] a favore delle famiglie povere con figli nuovi
nati, con quattro o più figli o con figli disabili. Si tratta di un contributo economico una
tantum erogato ai nuclei che presentano un Isee inferiore a 24.000 euro. Come si vede
la soglia di accesso è piuttosto alta e sembra che il target non sia limitato alle famiglie
che versano in condizioni di povertà, convenzionalmente identificate da un livello Isee
non superiore a 15.000 euro. La stessa legge istituisce anche forme di microcredito a
sostegno dei lavoratori in difficoltà. Si tratta quindi di un insieme di misure che intende
offrire un aiuto economico occasionale privilegiando alcune tipologie di persone e
famiglie.
Un intervento “anti-crisi” simile a quello toscano è il contributo concesso dalla Regione
Calabria alle famiglie in situazione di povertà nel cui ambito vivono persone non
autosufficienti. In questo caso tuttavia la soglia di Isee massimo per accedere alla
misura è di gran lunga inferiore (7.500 euro) e si richiede che la famiglia non possieda
beni patrimoniali al di fuori della casa di abitazione: il target è decisamente focalizzato
sulle famiglie in povertà estrema.
26
Il boom dei sostegni indiretti
Gli interventi di sostegno al reddito di tipo indiretto sono riconducibili a una gamma
piuttosto variegata di politiche, anche apparentemente distanti dal contrasto alla
povertà in senso stretto. Negli ultimi anni si è assistito ad un proliferare di tali misure a
seguito dell’esplosione di bisogni legati ad ambiti specifici, primo fra tutti quello delle
spese abitative. Le famiglie che perdono il lavoro, infatti, si trovano a tagliare dapprima
i pagamenti delle utenze domestiche, poi gli affitti e le rate del mutuo, esponendosi
inevitabilmente al rischio di sfratto esecutivo. Sono nati così, o sono stati potenziati, i
fondi regionali destinati al sostegno delle spese di locazione o i fondi per la
concessione di riduzioni nel pagamento delle utenze domestiche (si veda il beneficio
regionale per l’energia elettrica del Friuli Venezia Giulia). Esempi di misure similari
sono il sostegno economico per l’accesso alle prestazioni sanitarie destinato ai
lavoratori colpiti dalla crisi (Emilia Romagna) o gli assegni di studio per il trasporto
scolastico o i libri di testo (Friuli, Lazio).
E la Lombardia?
La Lombardia è fra le maggiori seguaci del sostegno indiretto al reddito familiare, visto
il proliferare di fondi istituiti per far fronte a specifiche emergenze. Si pensi al Fondo
Sostegno Affitto, recentemente rivisto e modificato nel Fondo per le famiglie con
disagio economico acuto, o ancora il Fondo rivolto a persone che hanno subito uno
sfratto o un licenziamento. La Regione inoltre ha privilegiato negli anni un sistema di
sostegno fortemente basato su doti e voucher sociali, strumenti pensati per
accompagnare i cittadini nel proprio percorso scolastico, formativo, lavorativo e che si
collocano a pieno titolo fra gli interventi di sostegno indiretto al reddito. E’ bene
sottolineare che non si tratta in realtà di vere e proprie misure di contrasto alla
povertà, essendo rivolte principalmente ad un “ceto medio”.[7]
Principali contenuti
Regioni (esempi significativi)
Misure di sostegno diretto al reddito (contributi Toscana; Calabria,…
economici a integrazione del reddito familiare)
Misure di sostegno indiretto al reddito (contributo Emilia Romagna (sostegno per prestazioni sanitarie);
affitto, copertura spese sanitarie, indennità di Friuli Venezia Giulia (beneficio regionale per l’energia
partecipazione a programmi di inserimento elettrica; assegni per trasporto scolastico e libri di
lavorativo,…)
testo); Lazio (F.do per il diritto allo studio scolastico);
Lombardia (Fondo Sostegno Affitto e successive
modifiche; Dote Scuola; Dote Lavoro; voucher per le
cure sanitarie),…
27
Il sostegno al terzo settore
Vi sono infine gli interventi afferenti al sostegno – prevalentemente finanziario – ai
progetti del terzo settore rivolti alle povertà estreme. Tale sostegno può essere
ricondotto a due ambiti principali.
Il recupero e la distribuzione delle eccedenze alimentari
Il sostegno economico alle iniziative di recupero e redistribuzione dei beni alimentari è
ormai pratica diffusa nelle regioni italiane, che prevedono appositi stanziamenti di
risorse nelle leggi finanziarie annuali. Diverse regioni hanno inoltre disciplinato la
materia attraverso apposite leggi, ad esempio l’Emilia Romagna (l.r. 12/2007 ) e più
recentemente il Veneto (l.r. 11/2011) e le Marche (l.r. 39/2012).
L’inserimento sociale e lavorativo dei soggetti svantaggiati e i servizi per i senza fissa
dimora
Pressoché tutte delle regioni prevedono o hanno previsto in passato la destinazione di
risorse al terzo settore per gli interventi di recupero e per i servizi dedicati ai senza
fissa dimora, quali mense, dormitori, centri diurni, sportelli per l’inserimento
lavorativo, ecc. Di solito le regioni prevedono bandi regionali annuali rivolti alle
associazioni di volontariato e alle cooperative del privato sociale.
E la Lombardia?
Con la l.r. 25/2006 la Lombardia ha stabilito i criteri di accreditamento per le attività di
recupero e di redistribuzione delle eccedenze alimentari, e nel 2011 ha sottoscritto
una convenzione con la Fondazione Banco Alimentare ONLUS, confermando il
sostegno regionale in questo campo. La Regione si caratterizza anche per una
particolare attenzione alla valorizzazione del Terzo settore, quale soggetto
intermediario nell’intercettazione delle famiglie in difficoltà e nell’erogazione di
interventi loro indirizzati. Ogni due anni è istituito così l’apposito Bando per il
volontariato e l’associazionismo e per il sostegno delle attività con finalità di utilità e
solidarietà sociale.
28
Principali contenuti
Regioni (esempi significativi)
Recupero e distribuzione delle eccedenze alimentari Stanziamento di risorse: Abruzzo; Sicilia,…Disciplina
della materia: Emilia-Romagna; Lombardia; Marche;
Veneto,…
Inserimento sociale e lavorativo di soggetti Pressoché tutte le regioni prevedono o hanno
svantaggiati e potenziamento dei servizi per i senza previsto stanziamenti in questo senso.
fissa dimora
In conclusione
All’interno del quadro finora descritto l’elemento di maggiore omogeneità nelle
politiche regionali italiane sembra essere il riconoscimento del ruolo essenziale svolto
dal terzo settore in materia di povertà estrema e grave emarginazione. Meno
omogeneo sembra invece l’atteggiamento nei confronti delle fasce di povertà
“moderata”, specie per quanto riguarda l’attivazione di progetti di empowerment
nonché valorizzazione delle potenzialità dei beneficiari. Inoltre, sembra che si tenda
sempre più verso interventi rivolti a categorie specifiche di poveri, in primis le famiglie
con figli a carico, o a problemi contingenti, perdendo di vista la trasversalità del
fenomeno povertà e l’opportunità di affrontarlo “a tutto tondo”. Si noti come questa
impostazione generi inevitabilmente degli sconfinamenti fra obiettivi di politica
sostanzialmente differenti. In particolare emerge la commistione fra politiche di
contrasto alla povertà e politiche del lavoro, vista l’importanza crescente che queste
ultime rivestono all’interno delle programmazioni regionali.
Da ultimo, vale la pena ricordare che, al di là del tentativo di categorizzazione proposto
in questo articolo, vi è una gamma più ampia di politiche sociali regionali che pur
rivolte a tutte le famiglie, povere e non povere, generano conseguenze talvolta
“cruciali” sulla condizione dei nuclei più vulnerabili. Si pensi alle politiche di
conciliazione fra lavoro e carichi di cura, che facilitano la partecipazione delle madri al
mercato del lavoro riducendo il rischio di povertà, alle politiche sanitarie che
determinano il livello di compartecipazione alle spese per la salute, o ancora alle
politiche di social housing. Anche l’architettura di tali politiche può contribuire a
decretare o meno la caduta in povertà delle famiglie a rischio, specie in periodi di crisi
economica. Si apre però un campo esteso ed eterogeneo, non esauribile in una breve
trattazione. Varrebbe la pena in futuro considerare l’effetto combinato di queste
ultime politiche con quelle qui discusse.
29
1. [1] Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e Commissione di Indagine sull’Esclusione
Sociale (2012), Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale, Anni 2011
– 2012.
2. [2] Mesini D. e Dessi C. (2011), Le politiche e gli interventi di contrasto alla povertà, in Gori
C. (a cura di), Come cambia il welfare Lombardo. Una valutazione delle politiche regionali,
Maggioli, 2010 – disponibile su www.lombardiasociale.it .
3. [3] Si veda Spano P., Trivellato U. e Zanini N. (2013). Le esperienze italiane di misure di
contrasto della povertà: che cosa possiamo imparare?, Paper tecnico n. 1/2013, disponibile
su www.redditoinclusione.it.
4. [4] Con la recente delibera 202/2013 la Regione Sicilia dichiara peraltro di apprezzare la
proposta di espandere la sperimentazione dei cantieri di servizio a tutti i comuni dell’isola
quale piano straordinario per combattere la disoccupazione e il disagio sociale.
5. [5] Si veda anche il contributo di Dessi C. del 29 ottobre 2013: Consumi delle famiglie e
povertà in Regione Lombardia, un commento agli ultimi dati Istat.
6. [6] Dopo il primo e il secondo anno saranno sottoposte a verifica per essere eventualmente
riformulate.
7. [7] Gori C. (a cura di), Come cambia il welfare lombardo, Maggioli Editore, 2010.
30
Nel territorio
Gli interventi a sostegno delle
famiglie in difficoltà – Il caso del
Comune di Legnano
Intervista a Gian Piero Colombo, Assessore alle Politiche sociali e alla coesione sociale
del Comune di Legnano
A cura di Carla Dessi
18 dicembre 2013
Temi > Povertà
Abbiamo visto come gli ultimi dati Istat richiamino l’attenzione anche per
la Lombardia e il Nord Italia a una crescita delle famiglie in condizione di
povertà.
Quanto questa crescita impatta sulla domanda intercettata dai servizi
territoriali ed in particolar modo dai servizi sociali comunali? Quali scelte
stanno adottando i Comuni per farvi fronte? LombardiaSociale.it raccoglie
la “voce del territorio” attraverso il contributo di Gian Piero Colombo,
Assessore alle Politiche sociali e alla coesione sociale del Comune di
Legnano.
I dati disponibili dalle fonti ufficiali
In preparazione dell’incontro con l’Assessore abbiamo voluto esplorare i dati della
spesa sociale del Comune di Legnano secondo i dati raccolti attraverso la ricostruzione
annuale, che, in linea con le richieste Istat, propone una classificazione dei servizi
secondo le seguenti aree di intervento: anziani, disabili, minori e famiglie,
immigrazione, emarginazione e povertà, dipendenza, salute mentale. Alla luce di questi
dati, negli anni 2008-2012, se guardiamo esclusivamente all’interno dell’area
“Emarginazione e povertà”:
–
risulta una diminuzione in valori assoluti delle persone in carico ai servizi: da
432 a 299 utenti (- 30,8%);
31
–
si registra un aumento della spesa riconducibile alla voce “strutture” (+ €
144.500 nel quinquennio), coerentemente con quanto emerge nelle rilevazioni
Istat a livello regionale e nazionale;
–
cresce in modo importante (+ 317,1%) la spesa del Comune a fronte di una
notevole riduzione degli altri canali di finanziamento, sia in termini di € investiti
(-23,2%) che di numero di fonti disponibili, peraltro discontinue.
Come possiamo interpretare questo quadro?
Se estendiamo la nostra analisi della spesa sociale anche alle altre aree di intervento
utilizzate nell’ambito della rilevazione, possiamo notare un incremento dell’utenza
rientrante all’interno dell’area “minori e famiglie” (+ 6,2%), ciò sembrerebbe
avvalorare l’ipotesi che si fa sempre più fatica a identificare in modo “univoco” quale
categoria di utenza rientra all’interno dell’area “emarginazione” in senso stretto.
Se, infatti, esploriamo meglio le voci di spesa per l’utenza intercettata nell’area “minori
e famiglie”, notiamo una crescita importante (+136,7%) della quota riservata ai
contributi economici.
Se entriamo poi nel merito dell’aumento della spesa nell’area “emarginazione e
povertà” riconducibile alla voce “strutture”, notiamo come sia attribuibile a una
crescita della quota di interventi di “housing sociale”.
Utilizziamo questi dati e queste prime considerazioni trasversali per approfondire con il
Dott. Colombo una serie di aspetti riconducibili ai seguenti interrogativi:
Quanto e come è cambiata in questi ultimi anni la domanda delle famiglie
intercettate dai servizi sociali?
Da quali dati è supportato questo cambiamento? Come si sono attrezzati i servizi
sociali per far fronte alle richieste delle famiglie? Quanto e come si sono trovate delle
connessioni con altri “filoni di politiche”? Quali strategie sono possibili di fronte alla
evidente riduzione delle risorse economiche “tradizionalmente” disponibili?
Prima di dar voce alle parole dell’Assessore relativamente alla situazione del Comune
di Legnano, ci sembra interessante anticipare alcune questioni dirimenti che sono
emerse in occasione del nostro incontro, ovvero:
− l’importanza per una precisa ricostruzione della domanda delle famiglie
dell’incrocio tra più fonti informative. Risulta esserci un limite evidente
nell’utilizzo di una rigida classificazione dell’utenza secondo categorie precostituite. I servizi si trovano sempre più di fronte a situazioni “ibride” di
famiglie, in molti casi intercettate per la prima volta, che si fa fatica ad
32
“etichettare” come povere, sebbene esprimano un disagio che richieda una
risposta quanto mai tempestiva, come ad esempio nelle situazioni di sfratto
esecutivo;
− la necessità sempre più contingente di affrontare le situazioni di disagio
associando una risposta più di tipo “assistenziale”, come ad esempio
l’erogazione economica, a interventi finalizzati all’attivazione delle persone,
come ad esempio i percorsi di riqualificazione professionale e la valorizzazione
delle opportunità di inserimento lavorativo;
− l’adozione in contemporanea di strategie di intervento che agiscano su livelli
diversi, ovvero cercando l’attivazione e l’integrazione con i diversi soggetti della
rete disponibili, muovendosi nella direzione dell’intercettazione di altre
possibili fonti di finanziamento che contribuiscano a sgravare le casse comunali;
− è possibile non diminuire l’investimento sui servizi e mantenere gli standard
quanti – qualitativi raggiunti, anche se ciò può essere il risultato dell’adozione
di una linea impopolare. È una questione di scelte.
Ripercorriamo ora la discussione nei passaggi che seguono.
Qual è la vostra visione sul cambiamento della domanda delle famiglie? Vi ritrovate
con la lettura offerta dall’analisi della spesa sociale? Ci sono altri dati a supporto?
Possiamo dire che si è modificata la domanda delle famiglie, si è estesa la fascia di
popolazione che si è trovata in difficoltà per far fronte alle spese di prima necessità,
affitto o mutuo. Si è aggravata la crisi occupazionale per cui sempre più famiglie
chiedono aiuto, coinvolte in questa spirale negativa della “morosità incolpevole” che le
porta allo sfratto esecutivo.
La domanda vede sempre più famiglie che prima non accedevano ai servizi. Sia
qualitativamente che quantitativamente, chiedono contributi economici, lavoro e casa.
Ciò vuol dire che ai servizi arriva un aumento delle richieste di assistenza economica e
in secondo luogo di interventi per far fronte all’emergenza occupazionale attraverso
l’offerta di nuove opportunità di lavoro e interventi per gestire l’emergenza abitativa.
Questo sembrerebbe andare in contro-tendenza rispetto ai dati della spesa sociale che
però bisognerebbe verificare bene come sono stati classificati.
Se integriamo, infatti, questi dati attingendo al report di indicatori generali sulle
diverse tipologie di intervento erogate raccolto annualmente dal Comune, il quadro
finora dettagliato assume una forma diversa.
33
Gli indicatori di risultato per i “Benefici economici e di altra natura” registrati dal
servizio sociale professionale per gli anni 2006-2012 mettono, infatti, in evidenza che:
i contributi economici erogati sono passati dai 912 del 2006 ai 1.902 del 2012 con
un incremento del 108,5%;
le famiglie fruitrici dei contributi sono passate dalle 206 del 2006 alle 458 del
2012 con un incremento del 122,3%.
Un ulteriore indicatore che ben mette in evidenza il carico di lavoro che hanno
assorbito come servizio sociale riguarda le “Decisioni assunte a fronte di richieste
dell’utenza” ovvero le decisioni che sono state prese complessivamente dagli
operatori, sia di diniego che di accettazione: c’è stato un incremento esponenziale
passato dalle 671 “pratiche” del 2006 alle 2.126 del 2012 (+ 216,8%).
Come si è cercato di affrontare questa vera e propria emergenza?
Principalmente abbiamo incrementato il fondo anti-crisi a disposizione, raddoppiato da
€ 100.000 a € 200.000 attraverso una manovra di bilancio quando siamo entrati in
carica nel 2012. Ciò ha consentito di non diminuire l’investimento sui servizi, lo
standard quanti – qualitativo è rimasto.
In che cosa è consistita la manovra di bilancio?
Quando siamo entrati in carica ci siamo trovati di fronte ad uno sbilancio tra spesa
corrente ed entrate correnti, sbilancio che negli anni precedenti era stato riequilibrato
attraverso misure “una tantum” quali l’alienazione di beni o il prelievo degli utili da
società partecipate, senza andare a incidere sulla leva fiscale. Ci siamo però resi conto
che questa procedura non poteva andare avanti ancora per molto, inoltre era già
previsto dalla Giunta precedente che dal 2012 si sarebbe introdotta l’addizionale Irpef.
Si è così deciso di proseguire in questa direzione e, parallelamente, di ritoccare le
aliquote Imu.
Questa manovra, seppur dolorosa e impopolare, ha consentito però di non tagliare i
servizi e addirittura di fare delle piccole ulteriori manovre che andassero a
“rimpolpare” e potenziare l’offerta a favore di famiglie in situazione di povertà.
L’incremento del fondo anti-crisi è un esempio, per cui rispetto al 2011 abbiamo
potuto aumentare del 61% il totale delle famiglie beneficiarie e del 23% l’importo del
contributo medio erogato, pari a € 673.
34
Parliamo del sostegno agli inserimenti lavorativi….
Nel 2012, in collaborazione con Afol sono stati finanziati percorsi di formazione per
persone inoccupati o disoccupate per cui, invece del contributo economico, si sono
finanziati percorsi di formazione. Questa è stata una decisione importante per non
limitare alle erogazioni monetarie gli interventi di contrasto alla povertà.
Questo progetto sperimentale per il 2013 si è deciso di ulteriormente rafforzarlo
attraverso lo strumento del “Voucher per prestazioni di lavoro accessorio” per il quale
abbiamo stanziato
€ 90.000 nel bilancio 2013, utilizzando anche una quota del
fondo di riserva. Trattasi di prestazioni di lavoro occasionale erogate a cittadini in
condizioni di fragilità economica, principalmente cassaintegrati, titolari di indennità di
disoccupazione, lavoratori in mobilità.
L’idea è di equilibrare un intervento di natura monetaria con dei percorsi di
riqualificazione anche per offrire opportunità di lavoro, lo strumento più semplice è
quello del voucher.
Visti i ritardi nell’approvazione del bilancio, tuttavia, sarà una misura operativa solo dal
2014. Tra le attività e gli ambiti di applicazione previsti possiamo citare, a titolo
esemplificativo:
a)
lavori di piccola manutenzione
b)
lavori di sgombero neve
c)
trasporti sociali
d)
sorveglianza presso il centro di accoglienza temporanea emergenza freddo
e)
sorveglianza presso i plessi scolastici.
Per l’attivazione delle forme di lavoro accessorio e/o occasionali previste
l’amministrazione comunale ha approvato una proposta progettuale presentata dalla
Casa del Volontariato e Eurolavoro – Afol Ovest Milano, destinando alle due
organizzazioni € 60.000 della quota complessivamente stanziata.
A proposito di strategie che esulano dalla tradizionale assistenza economica cosa
sta avvenendo in merito al tema casa?
La grossa emergenza abitativa la stiamo affrontando su più livelli cercando
l’integrazione con diversi soggetti, nello specifico:
− cercando di ottimizzare il patrimonio ERP mettendo in gioco delle sinergie con
Aler;
35
− agendo da garanti sul mercato privato attraverso l’interazione con le agenzie
immobiliari;
− potenziando le risposte di “housing sociale” offerte dal Terzo settore.
Stiamo cercando di accelerare l’assegnazione di alloggi ERP disponibili, circa 30 alloggi
all’anno. Abbiamo adottato la scelta dell’assegnazione di alloggi allo “stato di fatto”
visto che ci sono delle difficoltà nel fare lavori di ristrutturazione. Vista l’assenza di
fondi abbiamo proposto ad alcuni nuclei di avere gli alloggi allo “stato di fatto” con
l’impegno che l’assegnatario esegua i lavori indispensabili per rendere vivibile
l’abitazione, con l’accordo che poi quella spesa venga scalata dal canone di locazione.
Parallelamente abbiamo avviato con Aler un confronto per accelerare i tempi di
ristrutturazione.
Abbiamo riscontrato che ci sono parecchi alloggi sfitti, circa 150, alcuni in attesa di
essere ristrutturati, altri che rientrano nel piano vendite di Aler. Visto che il mercato è
fermo, abbiamo chiesto di poter trasformare la “vendita” di alcuni alloggi in “locazione
con patto di futura vendita” per cercare di venire incontro alle famiglie che ora non si
possono permettere di acquistare un alloggio ma possono pagarsi l’affitto in previsione
di un futuro acquisto.
Con il 2014 ripartiremo con un tavolo di confronto con Aler.
Un’ulteriore strada intrapresa relativamente agli alloggi ERP è stata quella di chiedere
alla Regione di poter incrementare dal 25% al 50% la quota di assegnazione di alloggi in
“deroga alla graduatoria” ma abbiamo avuto risposta negativa.
In contemporanea abbiamo attivato un confronto con le agenzie immobiliari per capire
come si potesse facilitare l’incontro tra domanda e offerta nel mercato privato.
Abbiamo previsto un protocollo di intesa e qualche situazione di sfratto siamo riusciti a
risolverla: mettiamo a disposizione una sorta di fondo garanzia che copre sei mesi di
canone di locazione, il proprietario ha la garanzia pertanto che sei mesi sono
comunque coperti. Ciò è stato possibile attraverso i soldi riservati all’”housing sociale”
e a quelli stanziati per il sostegno all’affitto.
Abbiamo quindi i buoni per l’”housing sociale” previsti dal Piano di zona per un
ammontare di circa € 40.000 da utilizzare per accedere a nuovi contratti di locazione.
Complessivamente ci sembra di poter dire che questi strumenti funzionano quando ci
sono nuclei familiari che hanno un minimo di reddito, nel caso, infatti, di persone
totalmente prive di reddito si fa fatica a trovare dei proprietari che diano la
disponibilità della propria abitazione. Qualche caso siamo riusciti a risolverlo anche se
speravamo in risultati maggiori.
36
Nei casi in cui nessuna di queste soluzioni è possibile e/o applicabile, in caso di sfratto
si opta per l’accoglienza temporanea presso strutture messe a disposizione dalle
associazioni presenti nel territori. Lavoriamo in particolare con l’Associazione Cielo e
Terra che mette a disposizione una casa di accoglienza solo per uomini, ma anche
alloggi in coabitazione tra più famiglie, affinché sia chiaro il messaggio di “soluzione
temporanea”.
Negli ultimi mesi abbiamo messo a disposizione per l’”housing sociale” ulteriori €
40.000 per cui abbiamo emesso un avviso pubblico per accogliere manifestazioni di
interesse da parte dell’associazionismo che opera in questo specifico settore di
interventi. Esito del bando di gara è stato la messa a disposizione dall’Associazione
Cielo e Terra di ulteriori 5 appartamenti.
Il rischio che stiamo intravedendo in altri contesti che abbiamo intercettato nel
nostro lavoro è che la crisi economica porti i servizi a rispondere solo
all’emergenza e che si perda tutta la “partita” legata all’attivazione delle persone
piuttosto che alla parte di prevenzione…
Diciamo che se abbiamo tagliato da qualche parte è stato esclusivamente verso quelle
attività a carattere ludico-ricreativo che facciamo nei centri sociali e nei centri di
aggregazione nei quartieri della città. Siamo comunque riusciti a mantenere l’educativa
di strada così come i Centri di aggregazione giovanile.
È stata una scelta impopolare quella di agire sulla leva fiscale per cercare di
riequilibrare i conti del bilancio ma ciò ha consentito complessivamente di mantenere i
livelli quantitativi e qualitativi dei servizi.
Nonostante i tagli dei trasferimenti a livello nazionale e regionale abbiamo potuto
avviare qualche piccolo intervento che non andava solo nella direzione dell’assistenza
e delle prestazioni monetarie ma che cercava anche di favorire percorsi di inclusione
sociale.
Infine, a proposito di risorse economiche disponibili, siete riusciti a intercettare
qualche altro canale di finanziamento?
In collaborazione con il Terzo settore abbiamo partecipato ad alcuni bandi emessi da
Fondazioni e siamo riusciti così a intercettare dei finanziamenti aggiuntivi. Abbiamo
ottenuto dalla Fondazione Cariplo € 140.000 nell’ambito del Bando coesione sociale
per un progetto triennale nel Quartiere Canazza, grazie alla Fondazione Ticino Olona
abbiamo ottenuto il finanziamento del Progetto “Il Ponte”, progetto che prevede
l’attivazione di uno sportello di consulenza legale.
37
Inoltre, a proposito di fondi di solidarietà, è stata fatta richiesta alla Banca di Legnano,
ora Banca Popolare di Milano, di istituire un fondo su cui chiunque può fare delle
donazioni e devolvere delle risorse. Il fondo è gestito dalla Casa del volontariato,
associazione che raggruppa quasi tutti gli organismi di volontariato locale e verrà
utilizzato per erogare contributi a favore di famiglie bisognose che accedono ai vari
Centri di ascolto della Caritas per spese di prima necessità, sostegno all’affitto,
pagamento bollette, ecc.
Abbiamo e stiamo lavorando molto sul versante delle integrazioni, cercando di mettere
in rete gli interventi esistenti ed evitando inutili sovrapposizioni.
38
Dati e ricerche
Il welfare abitativo in Lombardia,
fra riduzioni di fondi pubblici e
apertura al privato (profit)
di Marcella Sala
29 maggio 2014
Temi > politiche dell'abitare, Povertà, Regione
Un commento ai principali interventi regionali a sostegno dell’affitto e
dell’acquisto della prima casa, a cavallo fra la IX e la X Legislatura: quante
le risorse stanziate e quali le linee di tendenza delle politiche?
La difficoltà di accesso al bene “casa” da parte dei cittadini italiani è in crescita. Non fa
eccezione la Lombardia: uno studio di Eupolis[1] rileva un crescente numero di Comuni
lombardi con elevato “fabbisogno abitativo”, ovvero con una difficoltà di accesso
all’abitazione principale da parte della popolazione potenzialmente elevata.[2]
In tema di politiche abitative la strategia della Giunta Maroni, delineata nel
Programma Regionale di Sviluppo[3], si pone in sostanziale continuità con quella
della giunta precedente, confermando la più parte delle misure allora adottate.
Sebbene dunque non si possa parlare di cambio di rotta rispetto al passato, è possibile
riconoscere alcune nuove tendenze nelle politiche, che cercano di sperimentare
nuove vie essendo venuti meno i presupposti degli interventi tradizionali, ed essendosi
al contempo fortemente aggravata la situazione di bisogno.
In tema abitativo le politiche possono agire da due fronti:
1. a sostegno della domanda di abitazioni, introducendo misure di welfare abitativo
(tipicamente il contributo per l’affitto, ma anche il sostegno all’acquisto dell’abitazione),
oppure
2. a sostegno dell’offerta di abitazioni, realizzando interventi di recupero urbano e di
costruzione di nuove abitazioni, o incentivi ad affittare per i proprietari di casa.
In questo articolo si riportano i principali interventi regionali a sostegno della
domanda abitativa (primo punto) attivati fra la IX e la X Legislatura, mettendo in luce
in particolare l’andamento delle risorse messe in campo, nonché le nuove soluzioni
individuate per rispondere ai bisogni con budget sempre più risica
39
Il sostegno all’affitto
Sul fronte del sostegno all’affitto fino al 2011 la Regione è intervenuta principalmente
attraverso il Fondo Sostegno Affitto (FSA), un’erogazione monetaria una tantum
destinata alle famiglie lombarde in affitto presso alloggi di edilizia libera al di sotto di
una certa soglia reddituale. Per dare un ordine di grandezza, il Bando FSA ha erogato
50 milioni di euro a sostegno di 68.000 famiglie nel 2010, e poco più di 40 milioni di
euro a sostegno di 62.000 famiglie nel 2011.[4]
Dal 2012, con l’azzeramento sostanziale dei fondi statali, il Fondo Sostegno Affitto è
stato sostituito dal Fondo a sostegno delle famiglie con disagio economico acuto
(FSDA), che ha sostenuto il canone di locazione di circa 11.000 famiglie, con fondi quasi
interamente regionali (integrati con risorse dei Comuni) pari a 12 milioni nel 2012.[5]
Dalle cifre emerge un evidente calo di risorse complessivamente investite per il
sostegno all’affitto e quindi una riduzione delle famiglie beneficiarie, che ora
corrispondono al 15%-20% del totale dei nuclei familiari che potevano
precedentemente contare sul sostegno pubblico. Se infatti prima del 2012 potevano
beneficiare del contributo famiglie con ISEE fino a 13.000, si è reso successivamente
necessario restringere l’accesso ai nuclei familiari con ISEE inferiore a 4.100 euro.
In risposta alla costante riduzione dei finanziamenti statali, inoltre, dal 2011 sono state
introdotte misure “tamponatorie” con lo scopo di arginare almeno le situazioni di
maggiore emergenza. In quell’anno[6] è stato introdotto il Fondo rivolto a licenziati o
persone in mobilità o famiglie con sfratto esecutivo. Nel 2012 la misura ha visto
l’erogazione di contributi regionali per 8,7 milioni di euro a 5.500 beneficiari.[7] Il
bando, previsto fino a esaurimento risorse, è stato poi chiuso nel luglio 2013.
Nello stesso anno[8] la Regione ha approvato il Fondo finalizzato all’integrazione del
canone di locazione ai nuclei familiari in situazione di grave disagio economico e al
sostegno delle morosità incolpevoli. Quest’ultimo fenomeno, in aumento, si riferisce a
situazioni dove la morosità è dovuta a cause accidentali e contingenti legate all’acuirsi
della crisi economica, prime fra tutte la perdita del lavoro. Ancora una volta, tuttavia,
le risorse stanziate (in tutto 13 milioni di euro) permettono di concedere il sostegno
alla fascia sociale più debole, con ISEE-FSA[9] fino a 4.100 euro.
Il grafico di seguito riporta i valori approssimativi delle risorse complessivamente
stanziate dalla Regione per il sostegno all’affitto negli ultimi anni.
40
La costante riduzione di risorse a disposizione negli ultimi anni espone una fascia di
popolazione precedentemente coperta dalla misure ad un rischio concreto di
aggravamento della situazione abitativa. Si tratta in particolare di quelle famiglie con
ISEE-FSA compreso fra 4.100 a 13.000 euro, che non hanno più potuto beneficiare di
alcun ausilio negli anni successivi al 2011. Tali situazioni, traducendosi in morosità e
quindi in rischio di sfratto, producono anche un impatto distorcente sulle ordinarie
procedure di assegnazione di alloggi ERP a cura dei Comuni agli aventi diritto secondo
graduatoria.
Nel tentativo di arginare il problema la Regione è nuovamente intervenuta, lo scorso
dicembre, deliberando l’attivazione di misure sperimentali per il sostegno dei
cittadini nel mantenimento dell’abitazione in locazione,[10] finanziate da un fondo ad
hoc istituito presso Finlombarda S.p.A per un totale di 8,6 milioni di euro. L’iniziativa
riguarda le Amministrazioni comunali “ad alta tensione abitativa”, ovvero quei Comuni
dove si concentra il 90% degli sfratti[11], che si sono impegnati a cofinanziare
l’intervento regionale e ad attivare iniziative sperimentali affiancando le famiglie nel
percorso di risalita dal disagio economico. I progetti dovranno rivolgersi in particolare a
quella fascia di popolazione lasciata indietro dai tagli al vecchio FSA. I beneficiari
dovranno poi soddisfare requisiti aggiuntivi relativi, ad esempio, alla perdita del lavoro
e ad una condizione di morosità perdurante non ancora sfociata, però, in sfratto
esecutivo. I Comuni hanno già presentato iniziative finalizzate a introdurre fondi di
41
garanzia, in un’ottica di rotatività delle risorse e di subentro all’affittuario moroso con
un eventuale recupero del debito maturato e la definizione di un programma di
microcredito (generalmente limitato a un anno). L’obiettivo è poi ottenere la garanzia
che il proprietario non solo non proceda allo sfratto, ma si impegni a rinnovare il
contratto.
Gli strumenti che la Regione intende sperimentare, tramite “test” comunali, vanno
verso il superamento del tradizionale contributo a fondo perduto e promuovono la
rotatività delle risorse nonché la responsabilizzazione dei beneficiari. Si prevede che
le iniziative sperimentali, già al vaglio della Regione, prendano avvio entro il mese di
maggio 2014. Sarà interessante monitorare sviluppi ed esiti di queste esperienze.
Il sostegno all’acquisto della prima casa
Per il sostegno all’acquisto della prima casa, altro fronte importante del welfare
abitativo, nel 2012 la Lombardia ha introdotto, tramite un accordo con l’Associazione
Banche Italiane (ABI), il Mutuo Giovani Coppie, che prevede agevolazioni sul tasso
del mutuo per giovani coppie che si sono sposate in un certo periodo e che
presentano ISEE inferiore a una certa soglia. In realtà, nel primo anno le aspettative
rispetto alla numerosità delle domande sono state disattese, e solo mezzo milione dei
5 stanziati sono stati assorbiti dalla misura. Per ovviare a questo inconveniente la
Giunta Maroni, nel riconfermare l’intervento per il 2013, ha previsto un allentamento
dei requisiti di accesso, con un innalzamento delle soglie sia di età sia di reddito. Così,
se prima la misura si rivolgeva ad under 36 e ISEE inferiori a 36.000 euro, ora si rivolge
a persone con meno di 40 anni e ISEE compreso fra 9.000 e 40.000 euro. Si tratta
dunque di un target non necessariamente povero ma appartenente a un “ceto medio”.
Una recente delibera[12] ha previsto ulteriori risorse per il 2014 (3,5 milioni), a
integrazione di quelle residue dagli anni precedenti (3,6 milioni). La misura sarà
prioritariamente rivolta alle giovani coppie (con ulteriori allentamenti nei requisiti di
accesso) fino a esaurimento delle risorse residue, dopodiché anche altre categorie di
nuclei familiari potranno parimenti concorrere alla misura (madri sole, genitore solo
con uno o più figli minori a carico e famiglie con almeno tre figli).
Si nota come in questi anni la misura sia stata costantemente ritarata, nel tentativo
di farla decollare come strumento a sostegno dell’acquisto della casa per almeno una
parte di quella “fascia grigia” non intercettata dalle altre politiche abitative. Il
protocollo d’intesa 2014 con ABI sembra anche porre le basi per la promozione di
ulteriori forme di sostegno abitativo fondate sulla collaborazione fra banche,
imprese e Regione, quali ad esempio strumenti di garanzia per l’acquisto ma anche
per la locazione della casa.
42
Un’iniziativa che, sebbene antecedente, è in linea con il protocollo citato, è il Fondo
Salva Mutui, nato dall’accordo stilato nel 2012 fra Regione Lombardia e due istituti
bancari, Unicredit e Intesa San Paolo, che prevede forme di agevolazione per chi fatica
a sostenere il mutuo.[13]
Sul fronte del sostegno all’acquisto della prima casa la Regione sta dunque puntando
fortemente sulla collaborazione con le banche, proponendo soluzioni che mettono in
moto un sistema più ampio rispetto al tradizionale binomio cittadini-istituzioni
pubbliche, in grado di stimolare positivamente anche il mercato privato.
Per concludere, la drastica riduzione dei fondi statali destinati al welfare abitativo negli
ultimi anni ha reso necessario un ripensamento radicale delle politiche lombarde, già
avviato nella scorsa legislatura. Da un lato le poche risorse a disposizione per i
contributi a fondo perduto vengono sempre più indirizzate alle famiglie in grave o
gravissimo disagio economico, dall’altro si cerca di sostenere famiglie non povere,
ma nemmeno ricche, attraverso misure che implichino un “investimento” non solo
dell’amministrazione pubblica ma anche dei beneficiari stessi. E’ il caso dei fondi di
rotazione e del microcredito, così come delle agevolazioni sui mutui. Non da ultimo, le
misure sperimentali per il sostegno all’affitto che prenderanno avvio nei prossimi mesi
vedono un deciso impegno, anche finanziario, da parte dei Comuni.
Rimane in dubbio quanto queste nuove politiche riusciranno a rispondere davvero al
bisogno abitativo. Come si è visto, ad esempio, la misura del Mutuo Giovani Coppie ha
finora incontrato uno scarso riscontro presso la popolazione target, facendo crescere il
sospetto che il vero bisogno risieda altrove o che l’intervento non sia sufficientemente
ben architettato. E in un contesto di risorse scarse saper individuare il bisogno nonché
politiche che vi rispondano puntualmente diventa cruciale.
1.
[1]
2.
[2]
Eupolis Lombardia (2013). Articolazione territoriale del fabbisogno abitativo – Rapporto
finale.
Per i dettagli sull’indice di “fabbisogno abitativo” si rimanda al rapporto.
3. [3] D.g.r. 78/2013, Programma regionale di sviluppo della X Legislatura.
4.
[4]
5.
[5]
Regione Lombardia, Relazione di fine legislatura – Area sociale.
D.g.r. 3699/2012, Fondo regionale finalizzato all’integrazione del canone di locazione ai
nuclei familiari con disagio economico acuto.
6. [6] D.g.r. 994/2010, Contributo affitto per i cittadini sottoposti a sfratto esecutivo per
morosità a seguito di riduzione del reddito familiare.
43
7. [7] Regione Lombardia, Relazione di fine legislatura – Area sociale.
8. [8] D.g.r. 365/2013, Fondo sostegno grave disagio economico e morosità incolpevole.
9. [9] Indicatore Situazione Economica Equivalente per il fondo sostegno all’affitto.
10. [10]D.g.r. 1032/2013, Istituzione del fondo “sostegno ai cittadini per il mantenimento
dell’abitazione in locazione”, per l’attivazione di iniziative sperimentali da parte dei comuni
ad alta tensione abitativa.
11. [11] I Comuni “ad alta tensione abitativa”, individuati dal Programma Regionale per
l’Edilizia Residenziale Pubblica (PRERP) 2007–2009, sono Brescia, Bergamo, Bresso, Cesano
Boscone, Cinisello Balsamo, Cologno Monzese, Como, Corsico, Cremona, Cusano Milanino,
Lecco, Lodi, Mantova, Milano, Monza, Pavia, Sesto San Giovanni, Sondrio, Varese.
12. [12] D.g.r. 1771/2014, Protocollo d’intesa con l’associazione bancaria italiana (ABI) –
Commissione regionale della Lombardia e avviso per l’erogazione di contributi per
l’acquisto dell’abitazione principale.
13. [13] Le condizioni cambiano a seconda dell’istituto: Unicredit prevede che il nucleo familiare
in difficoltà venda l’alloggio a una società immobiliare e con i proventi della vendita saldi il
debito residuo; potrà stipulare contestualmente un contratto di locazione, con possibilità
di successivo riacquisto dell’abitazione trascorso il periodo di disagio economico. Intesa,
invece, prevede una sospensione di 12 mesi del pagamento delle rate e una rimodulazione
della durata dei finanziamenti.
44
Dati e ricerche
Gli immigrati in Regione
Lombardia: un’accoglienza che
non fa rima con integrazione
A cura di Carla Dessi e Marcella Sala
16 aprile 2014
Temi > Immigrazione, lavoro, Povertà
L’articolo propone alcuni spunti a partire da recenti studi sul tema
immigrazione (rapporto CNEL, Dossier statistico UNAR, Rapporto Ismu e
Orim), proponendo un’analisi interpretativa delle principali evidenze che
emergono e analizzando la specifica posizione lombarda.
Coloro che sono interessati ad osservare e studiare l’evoluzione del fenomeno
migratorio in Italia possono contare annualmente su una serie di appuntamenti “fissi”
dati dalle più note pubblicazioni sul tema, nello specifico: il Rapporto CNEL sugli Indici
di integrazione degli immigrati in Italia, il Dossier Statistico Immigrazione dell’UNAR –
Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, il Rapporto sulle migrazioni della
Fondazione Ismu e, per la Regione Lombardia, il Rapporto dell’ORIM – Osservatorio
Regionale per l’Integrazione e la Multietnicità.
Rimandando alla lettura di questi contributi per informazioni più puntuali sul tema, ci
sembra utile proporre in questo articolo una lettura “guidata” e un’analisi
interpretativa delle principali evidenze emerse.
Un’integrazione in “caduta libera”
Il Rapporto CNEL sugli Indici di integrazione degli immigrati in Italia si propone di
misurare sia il grado di attrattività[1] che le province e regioni italiane esercitano sulla
popolazione straniera presente in Italia, sia il “potenziale di integrazione” che
contraddistingue ciascun contesto territoriale. All’interno di questo “potenziale”
vengono collocati una serie di fattori “oggettivi” che riguardano l’inserimento sociale e
occupazionale degli immigrati e che pertanto sono in grado di condizionare, in positivo
45
o in negativo, l’avvio e lo svolgimento dei processi di integrazione all’interno di ogni
contesto locale[2].
Nell’ultima analisi condotta, la Lombardia si conferma la Regione con il grado
maggiore di attrattività per la popolazione immigrata, con un indice di ben 91,9 su
scala da 1 a 100 (era di 86,2 nel 2009). La Lombardia supera di gran lunga i contesti che
seguono immediatamente: l’Emilia Romagna (che con un indice di 80,2 è l’unica
regione a condividere, con la Lombardia, un grado di attrattività massimo), il Veneto
(77,0) e, con un indice superiore a 60, ancora il Lazio (67,8), il Piemonte (64,2) e la
Liguria (60,1).
A dispetto di un’attrattività in crescita, un altro dato osservabile nel Rapporto CNEL, a
conferma di quanto già commentato in precedenti contributi[3], è che con l’acuirsi
della crisi economico-occupazionale sono andate progressivamente peggiorando in
Italia le condizioni di inserimento sociale e lavorativo degli immigrati, e quindi il
“potenziale di integrazione” citato prima. A prescindere, infatti, dall’avvicendamento
dei territori nelle rispettive posizioni in graduatoria rispetto all’indice, i valori massimi
raggiunti sono sensibilmente inferiori rispetto a quelli rilevati nelle posizioni
riscontrate nel precedente Rapporto[4].
La Regione Lombardia in termini di “Indice del potenziale di integrazione” si colloca
all’undicesimo posto, perdendo due posizioni rispetto al nono posto
precedentemente registrato. Posizionamento attuale che è connesso, come mostra la
Figura 1, dal basso valore registrato nell’Indice di inserimento sociale che vede la
Regione “fanalino di coda” insieme a Campania, Lazio e Calabria. In particolare,
l’indicatore che più di ogni altro contribuisce ad abbassare il livello complessivo di
inserimento sociale degli immigrati in tutte le province lombarde è quello
dell’istruzione liceale: la Lombardia è, infatti, la penultima regione in Italia per tasso di
istruzione liceale dei figli degli immigrati.
46
Se osserviamo, invece, il posizionamento delle province lombarde per quanto riguarda
il potenziale di integrazione (vedi Figura 2), notiamo che è Mantova la provincia che
registra i punteggi più elevati, collocandosi al secondo posto a livello nazionale, mentre
Milano, a dispetto di un valore elevato di inserimento occupazionale (64,4), sconta un
valore molto basso di inserimento sociale (34,1), che la fa scivolare all’87esimo posto
su 103 province italiane, perdendo ben 43 posizioni rispetto alla rilevazione CNEL del
2009.
47
Nel Dossier Statistico Immigrazione dell’UNAR il posizionamento di Milano, insieme ad
altri capoluoghi metropolitani, nelle parti più basse della graduatoria nazionale in
termini di potenziale di integrazione, conferma che l’inserimento sociale degli
stranieri trova condizioni migliori in contesti socio-urbanistici e amministrativi di
ridotta estensione.
Altro indicatore che penalizza drasticamente la Provincia di Milano condizionando
l’indice di inserimento sociale della regione nel suo complesso è quello
dell’accessibilità al mercato immobiliare da parte degli immigrati, che rimanda al
problema generale dei proibitivi costi della casa dei grandi centri urbani e
metropolitani.
A supporto di questo quadro può essere utile richiamare ulteriori dati emersi dalle
altre pubblicazioni sopra citate. Nello specifico il Rapporto ORIM sottolinea che:
il reddito familiare mediano mensile degli immigrati stranieri in Lombardia è
nuovamente diminuito nel 2013, attestandosi a 1.300 Euro a fronte dei 1.400 Euro del
2012 e dei 1.500 del biennio precedente (2010-2011);
in un quadro di redditività ridotta continuano a contrarsi, rispetto agli anni
passati, le rimesse verso i paesi d’origine;
la quota di disoccupaK sul totale della popolazione ultra14enne proveniente da
paesi a forte pressione migratoria è salita nel 2013 al nuovo massimo storico del
48
15,1%, valore più alto se assieme vengono conteggiate casalinghe e lavoratori “in
nero”. Nello specifico, è l’occupazione maschile che è andata ad alimentare le fila dei
disoccupa\ (una quota che è salita al 19,6%) mentre le donne hanno maggiormente
ceduto alle difficoltà occupazionali rifugiandosi nella condizione di “ina^vità” (nel
28,8% dei casi). Quest’ultima condizione, come sottolinea lo studio ORIM, sta “sempre
più assumendo per le donne straniere i contorni di un “imprigionamento”, attraendo
verso la propria sfera di influenza anche le disoccupate scoraggiate, e lasciando quale
unica alternativa in diversi casi soltanto le occupazioni di tipo irregolare”;
trova conferma l’inversione di tendenza nella quota di stranieri che vivono in
abitazioni di proprietà. I proprietari di abitazione sono passati nel complesso dall’8,5%
del totale degli stranieri nel 2001 al 23,2% nel 2010, per poi scendere
progressivamente fino ad assestarsi al 21,4% nel 2013. Nel corso del biennio 20112012 le rilevazioni ORIM hanno mostrato le difficoltà incontrate nel mercato abitativo
dagli immigrati, i più esposti alle contingenze della recessione: “siamo di fronte a una
fase entro la quale i meccanismi di integrazione, di welfare e di chance socioeconomiche connesse con l’abitare, nelle sue molteplici forme, sono anch’essi logorati e
non sostituiti da innovazioni sul piano delle politiche pubbliche”.
Quali progettualità ed interventi a favore dell’integrazione?
A fronte di uno scenario in cui l’impatto della crisi sta progressivamente mettendo in
difficoltà la permanenza degli immigrati nel territorio lombardo, quali informazioni
abbiamo relativamente a progettualità ed interventi attivati?
I dati ORIM relativi al 2012 confermano quanto già si metteva in evidenza negli anni
precedenti, ovvero una progressiva riduzione di progetti ed interventi rivolti
all’integrazione degli immigrati, sia considerando i progetti L. n. 40[5] che altri
sovvenzionati da fondi alternativi.
Relativamente ai progetti locali realizzati con la L. n. 40, i dati ORIM segnalano come
questi abbiano incontrato notevoli difficoltà di sedimentazione, non riuscendo ad
entrare in modo stabile nel sistema delle politiche locali e nel sistema dei servizi.
A supporto e integrazione di questi dati può essere utile richiamare anche quanto
emerge dal quadro dei dati ISTAT sulla spesa sociale dei Comuni per quanto concerne
l’area “Immigrati e nomadi”.
Come ben visibile in Figura 3, in termini percentuali sul totale della spesa per i servizi
sociali comunali, l’immigrazione si conferma un’area marginale, in Lombardia come nel
resto d’Italia: i valori non superano il 3%, trend che non mostra forti variazioni tra
Lombardia, Nord-Ovest e Italia.
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La spesa pro-capite comunale per gli interventi e i servizi nell’area “Immigrazione e
nomadi” si è ridotta, a partire dal 2007, un po’ ovunque (vedi Figura 4). Confrontando
Italia, Nord-Ovest e Lombardia, il trend negativo appare sostanzialmente equivalente,
con percentuali di riduzione che tuttavia non superano l’1%. Si nota, in ogni caso, che
la Lombardia mostrava e mostra anche oggi un valore di spesa pro-capite inferiore
rispetto sia al resto d’Italia sia alla macro-area del Nord-Ovest (Liguria, Lombardia,
Piemonte, Valle d’Aosta).
Tirando le fila…
In sintesi, se da un lato la Lombardia si conferma, insieme all’Emilia-Romagna, la
Regione maggiormente attrattiva per la popolazione immigrata, lo stesso successo non
si riscontra sul fronte dell’inserimento sociale e lavorativo, nel quale la Regione si
colloca nelle ultime posizioni della graduatoria nazionale stilata dal CNEL. Queste
considerazioni, unite alla constatazione di un peggioramento progressivo della
condizione reddituale e occupazionale degli immigrati, portano a concludere che il
polo attrattivo rappresentato dalla nostra Regione non sia più giustificato da una
elevata possibilità di miglioramento delle proprie condizioni di vita. Non sembra
peraltro che l’integrazione degli immigrati sia una priorità lombarda, visti i dati di spesa
pro-capite che rimangono a livelli inferiori rispetto alla media italiana e del Nord-Ovest.
Ciò detto, la Regione continua a costituire una meta ambita, forte della sua
tradizionale fama di vocazione al lavoro che evidentemente basta a chi viene da
condizioni peggiori.
In questo scenario ci sembra utile, tuttavia, accogliere e rilanciare lo spunto proposto
all’interno del Rapporto ORIM, ovvero di riconsiderare il ruolo e le responsabilità del
settore pubblico ai vari livelli “se si vuole evitare che i processi di integrazione degli
immigrati siano lasciati alla “spontaneità” dei processi sociali, o alle sole iniziative della
società civile, o agli arbitri del localismo amministrativo”.
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1. [1] L’Indice di attrattività territoriale è l’indice che misura la capacità, propria di ogni
territorio, di attirare e trattenere stabilmente al proprio interno quanta più popolazione
immigrata presente a livello nazionale, proponendosi (o meno) come un “polo di
attrazione” delle presenze straniere in Italia.
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2. [2] Vengono considerati in particolare all’interno del calcolo:
l’Indice di inserimento sociale: indice che misura il livello di accesso degli immigrati ad alcuni
beni e servizi fondamentali di welfare (come la casa e l’istruzione superiore) e il grado di
radicamento nel tessuto sociale attraverso un’adeguata conoscenza linguistica dell’italiano e il
raggiungimento di determinati status giuridici che garantiscono e/o sanciscono un solido e
maturo inserimento nella società di accoglienza (come la continuità dello stato di regolarità
per gli stranieri che intendono insediarsi stabilmente in Italia; l’acquisizione della cittadinanza
per naturalizzazione; la ricomposizione in loco del proprio nucleo familiare);
l’Indice di inserimento occupazionale: misura il grado e la qualità della partecipazione degli
immigrati al mercato occupazionale locale, prendendo in considerazione fattori sia
strettamente quantitativi (incidenza su tutti gli occupati, saldo occupazionale, tasso di
imprenditorialità) sia indicativi del tipo di coinvolgimento e di impiego che si riserva agli
immigrati nel mondo del lavoro (tempo di occupazione, durata dei contratti, tenuta dello stato
di regolarità legata al lavoro).
Per approfondimenti sugli indici si rimanda al rapporto disponibile al sito
http://www.cnel.it/29?shadow_ultimi_aggiornamenti=3484.
3. [3] Vedi:
http://www.lombardiasociale.it/2013/04/23/l%e2%80%99immigrazione-straniera-inlombardia-%e2%80%93-i-principali-risultati-della-dodicesima-indagine-regionale/
http://www.lombardiasociale.it/2012/12/20/immigrati-e-crisi-in-lombardial%e2%80%99altro-volto-dell%e2%80%99integrazione/.
4. [4] Vedi http://www.integrazionemigranti.gov.it/archiviodocumenti/indici-diintegrazione/Pagine/VIII-Rapporto-sugli-indici-di-integrazione.aspx.
5. [5] La legge n. 40 del 6 marzo 1998, nota come Legge Turco-Napolitano (dai nomi
dell’allora ministro della solidarietà sociale Livia Turco e dell’allora ministro degli
interni Giorgio Napolitano), si propone di regolare organicamente l’intera materia
dell’immigrazione dall’estero, con un’attenzione particolare all’integrazione (viene
costituita in questa sede, fra il resto, la Commissione Nazionale sull’integrazione).
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Segnalazioni
Dagli autori e dall’esperienza di ricerca e analisi di LombardiaSociale.it un nuovo strumento per
conoscere e approfondire la situazione attuale del welfare sociale in Italia.
Cristiano Gori, Valentina Ghetti, Giselda Rusmini, Rosemarie Tidoli
IL WELFARE SOCIALE IN ITALIA
Realtà e prospettive
Carocci, 2014
Qual è l’attuale situazione del welfare sociale in Italia? Quali ipotesi si
prospettano per il suo futuro? Il libro affronta queste domande
cruciali riguardanti la realtà e le prospettive degli interventi rivolti
perlopiù ad anziani non autosufficienti, persone con disabilità,
famiglie in povertà e prima infanzia. La Parte prima presenta i
principali tratti che contraddistinguono oggi il welfare sociale nel
nostro Paese per poi esaminare gli interventi (tanto quelli realizzati
quanto le azioni mancate) che hanno contribuito a determinarli.
La Parte seconda, invece, mette a fuoco le diverse strade che il
welfare sociale italiano potrebbe intraprendere nei prossimi anni,
nella direzione di un arretramento oppure in quella dello sviluppo, e
discute le opzioni che determineranno quale verrà effettivamente
scelta.
INDICE
Introduzione
Parte prima La realtà attuale
1. Fotografie. Il welfare sociale in Italia
2. Così uguali e così diverse. Le aree del Paese a confronto
3. L’innovazione difficile. Le politiche regionali
4. Riformismi incompiuti. Le politiche nazionali
5. Le ragioni di uno sviluppo carente. Perché non abbiamo investito nel welfare sociale
Parte seconda Le prospettive future
6. La mappa dei rischi per la prima infanzia
7. La mappa dei rischi per le famiglie con anziani non autosufficienti
8. La mappa dei rischi per le persone povere e a rischio di emarginazione
9. Una visione d’insieme. I rischi per il sistema di welfare sociale
10. Le scelte possibili. Il finanziamento
11. Le scelte possibili. Le politiche e gli interventi
Bibliografia
Gli autori
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