La lezione esistenzialista: Fabro e Kierkegaard

Kasparhauser ■ Philosophical culture quarterly
ISSN 2282-1031
La lezione esistenzialista: Fabro
e Kierkegaard
di Marco Strona
L‘aspetto principale di Kierkegaard su cui Fabro
intende soffermarsi riguarda il paradosso del mistero dell‘Incarnazione, per il quale è stato reso possibile l‘incontro tra il tempo e l‘eternità mediante il
salto della fede espresso nel momento, nell‘attimo
della temporalità: questo Eterno è l‘Eterno-neltempo; non è possibile incontrarlo al di fuori del
tempo, e per avere accesso ad una relazione con
l‘Eterno, l‘esistente, cioè l‘uomo, deve mettergli a
disposizione ―tutto il proprio tempo, tutta la propria
esistenza, istante per istante, rifuggendo non solo da
ogni mito o ideologia, ma anche da ogni interiorizzazione che implichi l‘astrarre dal proprio tempo‖.1
Tutto questo ha delle conseguenze anche sul
piano antropologico.
L‘incontro tra il tempo e l‘Eternità, tra l‘uomo e
Dio, ha implicazioni che riguardano l‘identità stessa
dell‘uomo, che deve sempre di più conformarsi al
suo Modello: la vera identità dell‘uomo, allora, è
una costruzione sempre in fieri, e consiste in una
1
U. Regina, Kierkegaard. L’arte di esistere, Morcelliana, Brescia 2005, p. 131.
1
Marco Strona - La lezione esistenzialista
relazione dialogica tra l‘uomo e Dio, tra l‘esistente e
il Trascendente.
L‘asse principale su cui ruota tutta la riflessione
di Kierkegaard, e che Fabro intende proporre ai
suoi contemporanei e al dibattito stesso filosoficoteologico, è perciò la figura di Cristo inteso come
Modello e come dono: la nostra contemporaneità
con Cristo consiste nell‘assumerlo come Modello; è
infatti nella tensione di Cristo come Modello che
risiede la dialettica principale del «divenire cristiani».
La contemporaneità, quindi, può essere
l‘occasione per il discepolo, di ricevere da parte di
Dio la fede e di vedere la magnificenza della creazione intera: la trascendenza di Dio, dunque, non
resta sospesa e tanto meno eliminata nel dramma
dell‘abbassamento di Cristo (tema centrale
dell‘Esercizio del Cristianesimo), ne costituisce anzi
lo sfondo di sostegno e di illuminazione, e rappresenta ―la garanzia assoluta di Dio per la promessa
della salvezza in Cristo con la grazia della sua Passione, ossia della sintesi salvifica di imitazione e grazia‖.2
Da qui emerge l‘importanza, anzi la necessità,
delle opere intese come atti d‘amore: nella sua lettura Fabro ama particolarmente evidenziare, in
Kierkegaard, l‘aspetto esistenziale della fede; ―per
2
S. Kierkegaard, Briciole di filosofia, in Opere, a cura di C.
Fabro, Sansoni, Firenze 1993 p. 236.
2
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avere la fede‖, egli afferma, ―occorre anzitutto
un‘esistenza, una determinazione esistenziale‖.3
La caratteristica dell‘esistenza, infatti, risulta essere quello dell‘―implicazione della verità in una situazione‖4: l‘unica forma valida di comunicare la verità è quella di «esserci dentro», ovvero, di «presentarsi in carattere», secondo la nota formula kierkegaardiana.
In quanto l‘esistenza è movimento, come appunto rileva Kierkegaard, ―vale il principio che c‘è una
continuità la quale unifica il movimento, altrimenti
non c‘è effettivamente nessun movimento. Come
dire che tutto è vero significa che niente è vero, così
il dire che tutto è movimento significa che non c‘è
movimento. L‘immobile appartiene al movimento
come termine del movimento, nel senso sia di telós
come di mètron; altrimenti il principio che tutto è in
movimento, se si vuole anche eliminare il tempo e
dire che tutto è sempre movimento, è eo ipso
l‘affermazione dell‘immobilità. Aristotele, che in
tanti modi mette in risalto il movimento, dice perciò
che Dio rimanendo immobile muove tutte le cose,
mentre ora il pensiero puro sopprime senz‘altro
ogni movimento, oppure lo introduce in modo as3
C. Fabro, “Cristologia kierkegaardiana”, L’ Osservatore Romano, 16 settembre 1971; ristampato in Divinitas, XVI, 1,
1972, p. 143.
4
C. Fabro, “La “comunicazione della verità nel pensiero di
Kierkegaard”, in Id., Dall’essere all’esistente, Marietti, Genova-Milano 2004, p. 233.
3
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surdo nella logica: la difficoltà per l‘esistente è di
dare all‘esistenza la continuità, senza la quale tutto
svanisce completamente‖.5
La continuità del momento, prosegue Kierkegaard, è la passione, ―la quale nello stesso tempo
trattiene ed è l‘impulso del movimento. L‘eterno è
la continuità del movimento, ma un‘eternità astratta
è fuori del movimento e un‘eternità concreta
nell‘esistente è il maximum della passione. Ogni
passione idealizzante è infatti l‘anticipazione
dell‘eterno nell‘esistenza per un esistente che deve
esistere‖.6
Questa attuazione dell‘ideale rappresenta per
Fabro ―il richiamo dell‘eternità nel tempo, così che
la vita nel tempo è una «prova», un esame nella disciplina che è il diventare e l‘essere cristiano‖7.
Nel realismo cristiano di Kierkegaard, Fabro fa
notare in quale modo Dio si faccia presente
all‘umanità in una Persona singola e in un certo
momento della storia.
L‘uomo, infatti, riceva la verità da un Altro, dal
Maestro ―che deve dare al discepolo un nuovo (po-
5
S. Kierkegaard, Postilla Conclusiva non scientifica, in Opere, p. 430. Corsivi miei.
6
Ibidem.
7
C. Fabro, “Introduzione”, in S. Kierkegaard, Esercizio del
Cristianesimo, Studium, Roma 1971, p. 41.
4
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sitivo) rapporto alla verità‖8: l‘Apostolo, perciò, ―diventa apostolo per tutta l‘eternità‖.9
Ogni insegnamento umano presuppone la presenza di questa condizione per cui la presenza del
maestri diviene per il discepolo decisiva, e il «momento», l‘istante, assume un‘importanza infinita,
perché rappresenta il momento in cui Dio si comunica all‘uomo, il momento d‘incontro del tempo e
dell‘eternità e, quindi, ―il punto di partenza per una
coscienza eterna‖10: Dio si fa così presente
all‘umanità in una Persona Singola, che è l‘UomoDio, e l‘uomo si salva in Cristo come Singolo, ―in
quanto cioè ciascuno di noi fa la propria scelta davanti a Dio di conformarsi a Cristo mediante la fede
e la grazia‖.11
La «verità esistenziale», perciò, si fonda
sull‘Assoluto ― inteso non come Dio dei filosofi,
ma come il Dio cristiano, di Abramo, di Isacco e di
Giacobbe ― ed esprime la tensione infinita per
l‘Infinito: testimoniare questo deve essere il compito quotidiano dell‘uomo, il suo compito inesauribile, perché, come amava ripetere Fabro, ciò è un se8
C. Fabro, “Introduzione”, in S. Kierkegaard, Briciole di filosofia, Zanichelli, Bologna 1962, p. 16.
9
C. Fabro, “Introduzione”, in S. Kierkegaard, Atti dell’Amore,
Bompiani, Milano 2003, p. 55.
10
C. Fabro, “Introduzione”, in S. Kierkegaard, Briciole, cit., p.
16.
11
C. Fabro, “Introduzione”, in S. Kierkegaard, Scritti sulla
comunicazione, Logos, Roma 1982, p. 11.
5
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gno della pienezza di esigenza nel trascendimento
verso l‘Amore e il Bene.12
L‘intento di Fabro, attraverso la sua lettura di
Kierkegaard, è quello di contribuire a realizzare
l‘aspirazione dell‘uomo essenziale di incontrare
l‘Infinito nel finito, l‘eternità nel tempo, mediante la
contemporaneità e la partecipazione dell‘uomo con
la Verità eterna apparsa nel tempo: questo varco è
indicato nel momento, che diviene il kairós, il tempo opportuno, la porta che consente l‘incontro decisivo del tempo con l‘eternità; il ―momento nel
tempo‖, come afferma Kierkegaard nelle Briciole di
filosofia, ―deve avere un‘importanza decisiva, in
modo che in nessun momento del tempo o
dell‘eternità io possa dimenticarlo, perché l‘eternità,
che prima non era, avrebbe cominciato ad essere in
questo momento‖.13
12
Gli esempi di questa comunicazione sono, secondo Fabro,
Socrate e Cristo: Socrate per quanto riguarda la verità naturale, cioè all’infuori della rivelazione, Cristo per ciò che concerne la verità soprannaturale. L’antitesi che si oppone a questi
modelli è, da una parte, la filosofia cosiddetta astratta che dissolve l’esistenza nell’essenza “e ignora il Singolo «davanti a
Dio»” (C. Fabro, “La «comunicazione della verità» nel pensiero di Kierkegaard”, in Id., Dall’essere all’esistente, Marietti,
Genova-Milano 2004, p. 234), e dall’altra “il predicatore della
cristianità che si limita a fare il suo sermone domenicale senza
impegnarsi per suo conto nella realtà cristiana e senza impegnare in esso il suo uditorio, suscitando l’ammirazione di sé
invece di spingere all’Imitazione di Cristo”(Ibidem)..
13
S. Kierkegaard, Briciole di filosofia, cit., p. 206.
6
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Il problema di fondo della contemporaneità, che
è strettamente legato a quello della comunicazione
della verità, in particolar modo della verità cristiana, è quello della conformazione al messaggio che si
annuncia, e non semplicemente quello del suo annuncio: il Cristianesimo, secondo l‘espressione del
filosofo danese, non ha bisogno di professori ma di
confessori, cioè di testimoni e di martiri.
È proprio questo che a parere di Fabro sembra
costituire il nucleo attorno al quale si raccoglie tutta
l‘opera di Kierkegaard e che si esprime con il principio che la soggettività è la verità: la verità esistenziale è tale, quando essa è ―«verità in me» ed io sono
conformato ad essa‖.14
Possiamo esplicare questo passaggio di Fabro
mediante le parole della Postilla in cui Kierkegaard
afferma che ―l‘esistente che sceglie il cammino
dell‘oggettività si sprofonda in tutta quella riflessione
d‘approssimazione che vuole esporre oggettivamente Dio, il quale in tutta l‘eternità non può essere
raggiunto, perché Dio è soggetto e quindi esiste solo
per la soggettività nell‘interiorità‖.15
Si tratta, perciò, dell‘incontro con la Verità che
ogni uomo ha l‘occasione di sperimentare, mediante la libertà, in tutte le circostanza dell‘esistenza:
14
15
Ibidem.
S. Kierkegaard, Postilla, cit., p. 366.
7
Marco Strona - La lezione esistenzialista
quel che Johannes Climacus16 ha di mira, osserva
Fabro, è ―l‘equivoco della mistificazione dell‘uomo
da parte del pensiero moderno per aver volatizzato
l‘esistenza nell‘essenza, il Singolo nell‘universale, la
serietà della decisione nella mediazione od anche
per aver assorbito «dialetticamente» la qualità nella
quantità‖17: l‘istante, perciò, viene a rappresentare il
limite e insieme il punto di contatto del tempo e
dell‘eternità; esso, afferma Fabro, come la tangente
della storia, ―è l‘unico assoluto di chiarificazione
dell‘essere in quanto l‘eternità non è a noi direttamente accessibile‖18; è, per dirla con Rigobello, ―la
gioia del sì situata temporalmente in quello squarcio
di a-temporalità‖19 racchiuso nell‘attimo.
16
Lo pseudonimo utilizzato da Kierkegaard ricorda, come fa
notare Fabro, il mistico Giovanni Climaco, che nella sua opera, la Scala Paradisi, descrive “i gradini necessari per salire al
Cielo”. Kierkegaard utilizza questo nome in opposizione a
Hegel che ha preteso con il suo metodo estremamente razionale, “di scalare la vetta dell’Assoluto”.
17
C. Fabro, “Introduzione”, in S. Kierkegaard, Briciole, cit., p.
6.
18
C. Fabro, L’Assoluto nell’esistenzialismo, Miano, Catania
1953, p. 38.
19
A. Rigobello, Prossimità e ulteriorità. Una ricerca ontologica per una filosofia prima, Rubettino, Soveria-Mannelli 2009,
p. 90. Come afferma lo stesso Kierkegaard nell’Esercizio del
Cristianesimo: “In rapporto all’Assoluto non c’è infatti che un
solo tempo: il presente; per colui che non è contemporaneo
con l’Assoluto, l’Assoluto non esiste affatto. E poiché Cristo è
l’Assoluto, è facile vedere che rispetto a lui è possibile solo
una situazione: quella della contemporaneità”. S. Kierkegaard,
Esercizio del Cristianesimo, cit., p. 724-725.
8
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Possiamo quindi concludere che il tema
dell‘autenticità e inautenticità della condizione
umana risieda proprio nella decisione che l‘uomo
stesso prende ogni volta davanti a Dio; anzi possiamo dire che l‘istante è l‘occasione che Dio ci dona
per manifestare la Sua misericordia e che attende
una nostra risposta: grazie a questo momento, il discepolo diviene un uomo nuovo, un uomo con una
qualità nuova si è convertito perché ―gli è stato conferito da Dio un movimento nuovo, non di fuggire
dalla verità, ma di andarle incontro e riceverla‖20.
Questi costituiscono, a mio avviso, gli elementi
che ci consentono di delineare il percorso capace di
poter dare un nuovo senso di umanesimo che, a
partire dalla questione antropologica, sappia tradursi anche in impegno per l‘edificazione del Bene
Comune: un umanesimo come impegno cui ―ogni
uomo, in una misura o in un‘altra, in un modo o in
un altro, in quanto uomo, non può sottrarsi senza
diminuire o perdere il senso del proprio essere
uomo‖.21
Se, come detto, l‘esistenza infatti caratterizza in
maniera autentica grazie al peculiare rapporto
dell‘uomo con Dio, essa, in particolare, si attesta in
un giudizio di fatto che consiste in ―un quid sempli-
20
C. Fabro, “Introduzione”, in S. Kierkegaard, Briciole, cit., p.
6.
21
G. Lazzati, La città dell’uomo, Ave, Roma 1984, p. 15.
9
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ce e indivisibile, come l‘affermazione e la negazione
di realtà‖.22
Pensare l‘esistenza in abstracto e sub specie aeterni equivale a sopprimerla nella sua essenza:
l‘esistenza, quindi, ―non può essere pensata senza
movimento, e il movimento non può essere pensato
sub specie aeterni‖23; non esige perciò un lungo dimostrare ma si impone in un «piccolo Momento»‖.24
Questa è perciò la vera dialettica kierkegaardiana, la dialettica «qualitativa»: essa consiste
nell‘essere antitetica alla dialettica hegeliana nel
cammino che l‘esistenza deve percorrere per elevarsi a Dio; indica, cioè, ―l‘attuarsi in elevazione
all‘Assoluto della libertà nel ritorno al suo fondamento e scopo o tèlos supremo, che in senso cristiano è il salvarsi dalla perditio saeculi mediante la
remissione dei peccati e la conformità con Cristo‖.25
Nel suo momento speculativo, in particolare,
questa dialettica si contrappone a quella hegeliana,
definita da Fabro come «quantitativa», rivendicando
―l‘opposizione-distinzione di essere e pensiero sul
piano metafisico e quella di pensare e volere sul
22
C. Fabro, “Le prove dell’esistenza di Dio in Kierkegaard”,
in Humanitas, XVII, 1962, p. 106.
23
C. Fabro, Il problema della fede, La Scuola, Brescia 1978,
p. 119.
24
C. Fabro, “Le prove dell’esistenza di Dio in Kierkegaard”,
cit., p. 107.
25
C. Fabro, “La dialettica qualitativa della libertà in S. Kierkegaard”, in Id., Riflessioni sulla libertà, Maggioli, Rimini
1983, p. 231.
10
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piano esistenziale‖26: la dialettica «qualitativa» intende quindi contrapporsi alla dialettica «quantitativa»
della storia idealistica, concepita, come vedremo tra
poco, come il Tutto, come ―lo sviluppo necessario
della Idea e pertanto come tessuto di rapporti necessari e realizzazione di istituzioni che si articolano
e si saldano nell‘unità del sistema‖27.
La dialettica qualitativa, dunque, rappresenta il
cammino che occorre compiere all‘uomo per diventare veramente se stesso, in conformità con la
novità del Nuovo Testamento: essa, come attesta lo
stesso Fabro, ha perciò il significato di una ―rivendicazione della responsabilità della libertà‖.28
La tematica di un umanismo rinnovato, di un
nuovo umanesimo, è molto cara a Cornelio Fabro,
soprattutto per mostrare quale sia la vera natura
dell‘uomo, e quindi quanto profonda sia l‘essenza
della sua stessa libertà. Tutto ciò, ovviamente, ha
delle conseguenza anche sul piano etico-sociale che
però non affronteremo direttamente in questo lavoro, ma su cui sarebbe utile poter riflettere.
Giunti a questo punto possiamo osservare come
la filosofia di Kierkegaard esprima per Cornelio Fabro un orientamento spirituale rigoroso e radicale:
un orizzonte teoretico che situa al centro
26
Ibidem.
Ivi, pp. 231-232.
28
Ivi, p. 232.
27
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l‘irriducibilità dell‘esistenza, un fondamento teoretico che pone in relazione dialettica essere e libertà.
Questa libertà l‘uomo la può sperimentare e vivere pienamente solo all‘interno dell‘esistenza: sono
le tante piccole scelte che è chiamato a compiere
che ci fanno comprendere come anche l‘etica non
può essere una sfera autonoma, ma rimanda sempre all‘Assoluto, a Dio, e che si ottiene con un «salto».
Non vi è dubbio, pertanto, che il momento etico
costituisce per Fabro il nodo e la chiave
dell‘esplorazione della struttura dell‘esistenza nella
riflessione di Kierkegaard, che continuamente cerca
di opporre alla dialettica formale e astratta della
mediazione, la dialettica «doppia» o reduplicazione
(Fordoblelse) che consiste nell‘appropriazione della
verità nell‘esistenza ovvero l‘esistere del Singolo in
ciò che pensa o decide davanti a Dio e a Cristo : è
la dialettica della libertà che ―si fa storia di se stessa
e può tanto liberare che legare se stessa‖29.
La soggettività costitutiva dell‘Io, osserva ancora
Fabro, non è quella del conoscere, ma quella
dell‘agire: nel conoscere, infatti, ―l‘uomo resta nel
campo oggettivo delle essenze, ossia delle possibilità
(Mulighed, secondo la terminologia kierkegaardia-
29
C. Fabro, “La dialettica della situazione nell’etica di S.
Kierkegaard”, in Riflessioni sulla libertà, cit., p. 162.
12
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na), mentre con l‘agire essa si trova cioè «passa» nel
campo della «realtà».‖30
Quest‘ultima è perciò ―l effettiva soggettività‖,
che non può passare ed esaurirsi nell‘oggettività
formale, cioè universale, ma, osserva Fabro, ―si
sprofonda sempre più in se stessa, ossia
nell‘attuazione della propria libertà che ha per soggetto non il pensiero puro, non la Sostanza unica,
non la Ragione assoluta o lo Spirito assoluto che
sfociano nel panteismo, ma il Singolo, che è ogni
singolo in quanto soggetto di responsabilità della
propria libertà‖.31
È la realtà dell‘esistere che rappresenta il supremo interesse per il soggetto esistente; l‘esistenza,
infatti, ha sempre un fine, un tèlos. Ma il pensiero
puro, prosegue Fabro, ―senza alcun rapporto con
un soggetto esistente‖32, intende spiegare tutta la
realtà ―all‘interno di se stesso e ciò rende impossibile ogni spiegazione di ciò di cui in realtà si tratta‖.33
Nella sfera del «pensiero puro», astratto, non c‘è
possibilità di fare esperienza della libertà da parte
del soggetto: anzi, il pensiero puro spiega l‘esistenza
all‘interno di se stesso ―e così confonde ogni cosa
perché l‘esistenza, lo scoglio contro cui il pensiero
puro deve fare naufragio, essendo stata volatilizzata,
30
C. Fabro, “La libertà umana e l’eternità dell’inferno in
Sören Kierkegaard”, in Ecclesia Mater, IX, 3, 1971, p. 311.
31
Ibidem.
32
C. Fabro, Il problema della fede, cit., p. 121.
33
Ibidem.
13
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si trova assorbita all‘interno del pensiero puro e così
tutto ciò che si potrebbe dire dell‘esistenza è bell‘e
spacciato‖.34
Il passaggio, quindi, dalla possibilità alla realtà è
un movimento che non è possibile esprimere né
comprendere
all‘interno
del
linguaggio
dell‘astrazione, ―poiché questa precisamente non
può dare al movimento né spazio né tempo che
presuppongono il movimento‖35: c‘è allora un «salto» da compiere.
Il tema dell‘esistenza è stato, possiamo dire, il
leitmotiv di molte correnti della storia del pensiero
del ‗900: in particolare dell‘esistenzialismo, o meglio
della filosofia dell‘esistenza, la cui paternità sembra
essere attribuita proprio a Kierkegaard.
L‘incontro di Cornelio Fabro con questa corrente di pensiero, e quindi con la filosofia di Kierkegaard, avviene nell‘arco di tempo che va dagli
1940 agli anni ‘60 circa36. Tale evento – che per alcuni, soprattutto neo-tomisti, poteva apparire scan34
Ibidem.
S. Kierkegaard, Postilla conclusiva non scientifica, cit., p.
290.
36
Si veda, tra i numerosi saggi dedicati all’argomento, in particolare C. Fabro, “La filosofia dell’esistenza”, «Divus Thomas» n. 45, Piacenza (1942), 452-454; Id. “Rassegna
sull’esistenzialismo italiano”, «Divus Thomas» n. 46, (1943);
Id., “Esistenzialismo e Realismo”, «Acta Pont. Acad. S. Thomae Aquinatis», IX (1944), 242-26; Id., Introduzione
all’esistenzialismo, Vita e Pensiero, Milano 1943; Id., Problemi dell’esistenzialismo, AVE, Roma 1945.
35
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daloso ― è stato in realtà molto proficuo: in particolare ha permesso a Fabro, e quindi al cattolicesimo, l‘incontro e la possibilità della valorizzazione di
alcuni aspetti fondamentali della modernità, come
ad esempio il tema della libertà.
Nei testi dedicati all‘Esistenzialismo Fabro si impegna in un confronto aperto, senza pregiudizi, tra
la scuola tomista e la nuova corrente di pensiero
che, a partire dagli anni ʾ20 e ʾ30 si era imposta in
Germania e in Francia. I problemi esistenziali, sottolinea Fabro, ―hanno un senso ben definito che si
riferisce direttamente allo sviluppo della filosofia
moderna di cui ha rappresentato la fase più critica
ed acuta: essi riguardano direttamente il movimento
della libertà come contenuto dell‘essere dell‘uomo,
e le categorie esistenziali sono gli atteggiamenti
dell‘essere come libertà‖.37
L‘Esistenzialismo, in particolare, si interessa di
quello che può dirsi il ―dinamismo dello spirito‖38
ed ha sentito a più riprese e lo ha espresso con efficacia, ―il bisogno di «toccare» l‘essere, di stringerlo,
di muoverlo e di muoversi in esso senza mai uscirne, di realizzarlo ― od almeno di tentare di realizzarlo ― come «pienezza» compiuta e beatificante‖39:
37
C. Fabro, “Cronache dell’Esistenzialismo”, in E. Fontana (a
cura di), Fabro e l’Esistenzialismo, Edivi, Segni 2010, p. 69.
38
Ibidem.
39
C. Fabro, Introduzione all’esistenzialismo, Edivi, Segni
2009 (prima ed. Milano 1943), p. 10. La difficoltà consiste nel
fatto che fino a questo momento, specialmente con
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l‘essere di cui si occupa l‘Esistenzialismo, a differenza della metafisica classica, è ―l‘essere di secondo
grado, l‘essere in quanto è mosso dallo spirito e
s‘intreccia con lo sviluppo dello spirito‖.40
L‘Esistenzialismo, perciò, viene ad aprire, per il
filosofo friulano, un campo nuovo che rappresenta
il momento critico della modernità, cioè il momento in cui l‘essere si manifesta come libertà.
Fabro porterà avanti per il resto della sua vita
questo tema, dell‘essere come libertà, proprio perché
riconosce
la
profonda
novità
dell‘Esistenzialismo, una novità non riducibile alla
lezione della Scolastica che richiede, per essere
compresa, una differenziazione tra ontologia prima
e ontologia seconda.
La lezione esistenzialista, ovvero la concezione
per cui l‘essere è libertà, provoca Fabro ―ad un ripensamento dell‘ontologia tomista in una forma
che, senza minimamente incrinare il quadro tradizionale, permette, però, di valorizzarne l‘apporto
originale‖41. Il valore dell‘Esistenzialismo, e quindi
anche della filosofia di Kierkegaard, consiste
l’Idealismo, l’essere veniva subordinato al pensiero: in questo
modo, però , non era mai possibile cogliere l’essere in quanto
essere, ma qualche altra cosa, al massimo un “pensiero
dell’essere”.
40
C. Fabro, Cronache dell’Esistenzialismo, cit., p. 69.
41
M. Borghesi, Esistenza e libertà in Fabro, in A. Acerbi (a
cura di), Crisi e destino della filosofia, Studi su Cornelio Fabro, EDUSC, Roma 2011, p. 107.
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nell‘opporsi all‘Idealismo, in quanto quest‘ultimo
rappresenta ―la conclusione del processo di disumanizzazione del Razionalismo moderno, di
quell‘ipertrofia della ragione che ha soffocato e ucciso la libertà dell‘uomo, e prima nelle teorie filosofiche che nella prassi politica degli Stati totalitari‖.42
È proprio questo ritorno all‘originario che pone
in crisi ―il quadro del razionalismo moderno unilateralmente determinato prima del cogito‖.43
Il problema del cominciamento indica questa
esigenza ―della riduzione fondamentale al momento
indivisibile costitutivo dell‘incontro della coscienza
con l‘essere‖44: l‘esistenza, cioè, assume un carattere
pre-riflessivo perché rinvia all‘immediatezza di
quanto è dato nell‘esperienza, nella sua apertura
all‘essere.
L‘Esistenzialismo viene letto perciò da Fabro,
soprattutto mediante l‘opera di Kierkegaard, come
il momento critico dell‘intero pensiero moderno
dimentico dell‘equazione tra essere e libertà: Fabro,
quindi, rilegge questa nuova corrente di pensiero
―non solo come paziente della crisi del razionalismo
moderno ma, altresì, come momento di riscoperta
essenziale, negata dal razionalismo medesimo e dimenticata, in buona misura, anche dalla tradizione
42
C. Fabro, “Significato dell’Esistenzialismo” (1947), in E.
Fontana (a cura di), Fabro e l’Esistenzialismo, p. 120.
43
M. Borghesi, Esistenza e libertà in Fabro, cit.. p. 109.
44
C. Fabro, Breve discorso sull’essere, in ID. Tomismo e pensiero moderno, P.U.L., Roma 1969, p. 365.
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del pensiero cristiano, cioè quella dell‘identità tra
essere e libertà‖45.
Per questo motivo tale filosofia intende, innanzitutto, opporsi alla ragione assoluta dell‘Idealismo e
considerare l‘esistente sempre come ―un singolo
che attua nel tempo la sua libertà‖46:
l‘Esistenzialismo, prosegue, ―rivendica un inizio
nuovo irriducibile ai sistemi precedenti ed è precisamente l‘esistenza come libertà, ed un metodo
nuovo cioè la dialettica di questa libertà finita nel
tempo‖.47
Esso intende chiarificare l‘essere come tale, ―ma
a differenza del realismo cosmico dei Greci e del
realismo teologico della scolastica, ripiega su un realismo dello spirito finito nella sua situazione del suo
essere nel mondo e di comunione fra i molti singoli‖.48
L‘Esistenzialismo quindi, al posto della formula
«moderna» cogito ergo sum, sostituisce quella del
sum ergo cogito: ―il fondamento è l‘essere e il cogitare, come il velle, amare e tutte le altre funzioni del
soggetto singolo, scaturiscono e rimandano
45
A. Borghesi, Esistenza e libertà in Fabro, cit. p. 110.
C. Fabro, “L’Assoluto nel Tomismo e nell’Esistenzialismo”
(1951), in E. Fontana (a cura di), Fabro e l’Esistenzialismo,
cit., p. 138.
47
Ibidem.
48
Ibidem.
46
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all‘essere‖.49 Con questo non si vuole negare le essenze delle cose e dell‘uomo, ma affermare che
―l‘essere e il divenire dell‘essere non si possono
senz‘altro derivare dal contenuto di una definizione
quando l‘essere in questione è l‘essere dell‘uomo il
cui divenire è progetto e atto di libertà che sfugge a
ogni anticipazione o deduzione astratta‖.50
Tali conclusioni sono state ispirate da Fabro
mediante la lettura dell‘opera di Kierkegaard che, in
questo senso, è stato un vero maestro per lui in
questo.
L‘aspetto che più interessa a Fabro, a proposito
dell‘opera kierkegaardiana, riguarda il fatto che
l‘essere del singolo che non può venire ricondotto
ad un predicato comune e indifferente, ―ma è originariamente qualificato come «essere dell‘uomo»,
inderivabile a parte ante, insolubile a parte post‖.51
Con Kierkegaard, Cornelio Fabro rilegge per la
prima volta la lezione esistenzialista, non come la
corrente alternativa al moderno, ma come
―l‘intuizione più profonda che sta dietro la stessa
affermazione moderna‖52: come attesta lo stesso filosofo italiano, ―l‘incontro fra l‘atto tomistico dell‘esse
49
C. Fabro, “L’Assoluto nel Tomismo e nell’Esistenzialismo”,
cit., p. 139.
50
Ibidem.
51
C. Fabro, Introduzione all’Esistenzialismo, cit., p. 16.
52
A. Borghesi, Esistenza e libertà in Fabro, cit., p. 113.
19
Marco Strona - La lezione esistenzialista
e l‘atto moderno dell‘autocoscienza, è il preciso
compito di un tomismo consapevole‖.53
L‘esistente, rispetto all‘esse, appare qualcosa di
fondato: il pensiero, dunque, è rivolto sempre verso
l‘Altro, è ―appetenza dell‘Altro‖54; il pensiero, cioè, è
orientato all‘essere ―come l‘occhio alla luce‖.55 Per
comprendere pienamente l‘esistente occorre quindi
prima intendere l‘esse, ―il Sein dell‘esistente‖56: il
punto di partenza di questo nuovo tipo di filosofare
risiede perciò nella ―problematicità radicale di tutto
l‘esistente rispetto all‘essere‖57; si tratta, in definitiva,
di stabilire con esattezza i rapporti tra l‘essere e
l‘esistente, il singolo. La conoscenza dell‘essere,
specifica Fabro, è legata alla concretezza dei singoli
caratteri individuali e, al contempo, ―in ogni pensiero di oggetti particolari è implicito il concetto confuso dell‘ente in generale‖.58
53
C. Fabro, S. Tommaso e il pensiero moderno, in Id., Tomismo e pensiero moderno, Roma 1969, p. 433.
54
C. Fabro, Introduzione all’esistenzialismo, cit., p. 101.
55
Ibidem.
56
C. Fabro, Introduzione all’esistenzialismo, cit., p. 17, p. 17.
57
Ibidem.
58
C. Fabro, Introduzione all’esistenzialismo, cit., p. 101. Tali
formule esprimono in un certo senso un paradosso: il concetto
di ente, cioè, che si presenta come il più astratto tra i vari concetti, “è l’unico che «nel significare» si riferisca all’esercizio
dell’essere; e siccome l’essere in esercizio non si ha che
nell’individuo reale, così è a questo immediatamente che termina il riferimento intenzionale del concetto di ente”.
Nell’aristotelismo tomista, ci ricorda Fabro, sono considerati
enti reali o sostanza “solo gli individui, per cui la conoscenza
dell’individuo ed il contatto con l’individuo è indispensabile
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Ed è proprio il Singolo, l‘individuo concreto «in
carne ed ossa» che è al centro della riflessione fabriana e kierkegaardiana: il Singolo però non inteso
come una monade isolata, ma in costante riferimento a Dio. Questo, come vedremo meglio, è il cuore
e l‘anima della libertà.
L‘essere, quindi, non può mai concepirsi senza il
riferimento immediato al concreto esistente,
all‘esistenza dell‘uomo, e in questo senso Cornelio
Fabro è stato uno dei pochi, insieme a Gilson, ad
essere riusciti a mostrare l‘originalità della metafisica
di Tommaso nel suo nucleo fondamentale quale
l‘actus essendi.59
L‘essentia e l‘actus essendi, in Fabro, non hanno
significati indipendenti e perfettamente separabili:
non si può, quindi, comprendere un‘essenza se non
in relazione all‘esistenza, o come possibile se
l‘essenza è considerata in astratto, o come reale se
l‘essenza è considerata come realizzata di fatto in
natura. Rileva Fabro che: ―l‘essere puro per sé susalla conoscenza ed al contatto con l’ente com’è in sé, come
«veramente è»”. Ivi, p. 103.
59
Per un confronto tra Fabro e Gilson sul concetto di actus
essendi si rimanda in particolare ai seguenti testi: A. Robiglio,
“Gilson e Fabro: appunti per un confronto”, «Divus Thomas»
1997; M. Paolini Paoletti, “Conoscere l’essere. Fabro, Gilson
e la conoscenza dell’actus essendi”, in A. Acerbi (a cura di),
Crisi e destino della filosofia. Studi su Cornelio Fabro,
EDUSC, Roma, 2012; L. Romera, Pensar el ser. Anàlisis del
conocimiento del Actus Essendi segùn C. Fabro, Peter Lang,
Bern, Berlin, Frankfurt, New York, Paris, Wien 1994.
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Marco Strona - La lezione esistenzialista
sistente, non è per noi oggetto di semplice apprehensio o intuizione, ma è una conclusione alla quale
arriviamo dopo laboriosi ragionamenti, checchè abbiano voluto dire gli ontologi, e questo per le condizioni particolari del nostro modo di conoscere che è
finito e legato alla sensibilità‖.60
L‘insistenza e la chiarificazione di questo concetto serve a Fabro per rispondere alla domanda
intorno all‘essere: l‘essere, afferma, ―è l‘atto che
fugge ogni concetto; è trascendentalizzante rispetto
all‘ente […] è l‘atto di presenza dell‘ente per cui
s‘illumina nella coscienza la verità dell‘ente e dei
suoi contenuti e concetti‖.61
L‘essere risiede perciò nel fondo stesso della
realtà dell‘ente e al fondo della possibilità del conoscere: questo per diversi motivi.
Innanzitutto, dichiara Fabro, ―perché l‘ente è
concepito come il soggetto portatore dell‘essere e
soprattutto perché l‘essenza del conoscere è quella
di illuminare l‘ente nell‘essere, riportando l‘ente
all‘essere‖.62 È soltanto in questo ―ritorno‖ o ―processo regressivo‖ che si può avere l‘esperienza metafisica dell‘essere: non si tratta, quindi, ―di
60
C. Fabro, La nozione metafisica di Partecipazione secondo
San Tommaso d’Aquino, Edivi, Segni 2005, 188. Si rimanda
anche al testo di C. Fabro, Partecipazione e Causalità, Edivi,
Segni 2010.
61
C. Fabro, Dall’essere all’esistente, Marietti, Genova-Milano
2004, p. 64.
62
Ivi, p. 56.
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un‘esperienza privilegiata che si appella ad un contenuto o atto particolare, a un cogito, a un volo, a un
existo […] L‘essere – prosegue Fabro – mentre fonda e attesta la realtà dell‘ente, ne denunzia il limite e
pone la negatività del limite. Così l‘essere, attestandosi nella sua trascendentalità, pone la trascendenza‖.63
Ciò che intende comunicare Fabro è che
l‘esperienza dell‘essere attesta sempre ―il suo trascendere rispetto all‘ente, la sua inesauribilità che
nientifica ogni particolarità dell‘ente: l‘esperienza
dell‘essere si risolve quindi nella esperienza
dell‘apertura illimitata dello spirito‖.64
Ecco il motivo per cui la filosofia dell‘esistenza,
come Fabro stesso afferma, può dirsi benissimo
―l‘ultima «forma» del pensiero occidentale‖65. E usa
dichiaratamente il termine forma, e non quello di
sistema proprio perché l‘esistenzialismo ―è sorto in
opposizione aperta al sistema‖66: il sistema, infatti, si
ritiene essere onnicomprensivo, ―vuol spiegare tutto
e non conosce residui, assimila, schematizza le cose
più disparate, subordina il reale all‘ideale, la vita alla
contemplazione‖67. Il sistema, cioè, non tocca la vita,
non condivide le sorti precarie della realtà, non spe63
Ibidem.
Ibidem.
65
C. Fabro, Problemi dell’esistenzialismo, Edivi, Segni 2009,
p. 7.
66
Ibidem.
67
Ibidem.
64
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Marco Strona - La lezione esistenzialista
rimenta l‘angoscia, il dolore e nemmeno la speranza; la realtà che si sperimenta nella vita è molto più
complessa, ―è rottura, eccezione, si fa strada per urti
ed opposizioni‖.68
L‘esistenzialismo, in opposizione all‘idealismo,
intende essere una filosofia che s‘ immedesima con
le vicende stesse della vita.
L‘esperienza
dell‘essere
mostra,
infatti,
―l‘insufficienza dell‘ente e muove lo spirito finito a
trascenderlo: è proprio in questo andare «all‘essere
senza predicati» che tanto la metafisica come la mistica hanno posto il compimento della vita‖.69
Cornelio Fabro insiste particolarmente su questo
punto, e lo fa mediante la ripresa di un passaggio
della Postilla di Kierkegaard che egli traduce in questo modo: ―Che un pensatore astratto dimostri la
sua esistenza per via del pensiero, è una strana contraddizione, poiché nella misura in cui egli pensa
astrattamente, egli fa astrazione precisamente dal
fatto che esiste. Più si sviluppa, più il pensiero tende
a diminuire la sfera dell‘esistenza. Se il pensiero riuscisse a realizzarsi completamente, l‘esistenza del
pensatore sarebbe assorbita in esso ed egli cesserebbe di esistere‖.70
68
Ibidem.
C. Fabro, Dall’essere all’esistente, cit., p. 56.
70
S. Kierkegaard, Postilla conclusiva non scientifica, cit., p.
260.
69
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In questo senso, l‘unica esperienza forte è quella
dell‘essere, da intendere come ―l‘apertura positiva
dell‘esistente finito, che è l‘uomo, verso l‘Assoluto:
l‘esperienza di tale apertura orientata verso
l‘Assoluto è il vertice più alto in cui la coscienza finita può prospettare e invocare la presenza
dell‘Essere senza predicati‖.71
Per l‘esistenzialismo ―
contrariamente
all‘Idealismo che risolveva il singolo nella ―nella sostanza indifferente del Tutto‖72 ― il centro di ogni
riflessione è e deve essere l‘uomo, l‘uomo concreto
in «carne ed ossa», il Singolo, a partire da cui ha inizio ogni riflessione sulla realtà.
La prima «realtà reale», infatti, è per Kierkegaard
l‘individuo; e se il Singolo, a volte, può presentare
aspetti contraddittori, significa che la contraddizione
e il paradosso sono la struttura stessa della realtà:
ecco allora che per Fabro l‘esistenza non si definisce, ―non si trova né si comunica per concetti‖73;
l‘esistenza è ciò che il singolo trova ―e prova vivendo nella «sfera di essere» che gli compete‖74.
A questo proposito è significativo per Fabro riprendere quello che Kierkegaard scrive nel suo
Diario: ―Che la «realtà» non si lasci comprendere,
l‘ha già dimostrato esattamente Jo. Climacus in un
71
C. Fabro, Dall’essere all’esistente, p. 56.
C. Fabro, Problemi dell’esistenzialismo, cit., p. 8
73
Ivi, p. 9.
74
Ibidem.
72
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Marco Strona - La lezione esistenzialista
modo molto semplice. Comprendere è risolvere la
realtà in possibilità: ma allora è impossibile comprenderla, perché comprenderla è trasformarla in
possibilità, quindi non mantenerla come realtà. Rispetto alla realtà, il comprendere è un regresso, è un
passo indietro, non un progresso. Non però nel
senso che la «realtà» sia senza concetto: il concetto
che si trova quando la si comprende, risolvendola in
possibilità, è anche nella realtà. Ma nella realtà vi è
un di più ― cioè il fatto che esso concetto è realtà.
Il passaggio dalla possibilità alla realtà è un progresso (eccetto per quel che riguarda il male): quello
dalla realtà alla possibilità un regresso. Ma questa
sciagurata filosofia moderna ha fatto entrare la «realtà» nella Logica; e poi, per distrazione, si dimentica
che la «realtà» nella Logica non è che «realtà pensata», cioè possibilità‖.75 E ancora: ―Ciò che confonde
tutta la dottrina sulla «essenza» nella logica (riferimento a Hegel), è il non badare che si opera sempre con il «concetto» di esistenza. Ma il concetto di
esistenza è un‘idealità, e la difficoltà sta appunto nel
vedere se l‘esistenza si risolva in concetti. Se fosse
così, allora Spinoza potrebbe avere ragione nel suo:
«essentia involvit existentiam», cioè il concetto di
esistenza, vale a dire l‘esistenza ideale. Ma d‘altra
parte anche Kant ha ragione quando afferma che
dal concetto di esistenza non scaturisce nessuna
75
S. Kierkegaard, Diario, a cura di C. Fabro, Morcelliana,
Brescia 1948-1950, n°2802, vol. VII.
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nuova determinazione di contenuto. Kant, è chiaro,
pensa onestamente all‘esistenza come non coincidente col concetto, cioè pensa ad un‘esistenza empirica. Soprattutto nell‘ambito dell‘ideale vale il
principio che l‘essenza è l‘esistenza ― se è permesso di usare qui il concetto di esistenza. La tesi leibniziana: Se Dio è possibile, è necessario ― è giustissima. Ad un concetto non si aggiunge nulla in più,
sia che esso abbia o non abbia l‘esistenza: nulla importa al concetto di questo; perché esso ha ben
l‘esistenza, cioè esistenza di concetto, esistenza ideale. Ma l‘esistenza corrisponde alla realtà singolare, al
singolo (ciò che già insegnò Aristotele): essa resta
fuori, ed in ogni modo non coincide con il concetto.
Per un singolo animale, una singola pianta, un singolo uomo, l‘esistenza (l‘essere o non essere) è
qualcosa di molto decisivo; un uomo Singolo non
ha certo un‘esistenza concettuale. Il modo col quale
la filosofia moderna parla dell‘esistenza, mostra
ch‘essa non crede all‘immortalità personale; la filosofia in generale non crede, essa comprende solo
l‘eternità dei «concetti»‖.76
Ecco come, allora, l‘oggetto di questo filosofare
concreto sia proprio ―l‘essere dell‘esistente‖77, cioè
l‘uomo stesso con i suoi talenti ed i suoi limiti, con
le sue paure e le sue speranza: la filosofia
dell‘esistenza, volgendosi all‘essere dell‘esistente in76
77
S. Kierkegaard, Diario, n. 2729, vol. VII.
C. Fabro, Problemi dell’esistenzialismo, cit., p. 9.
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Marco Strona - La lezione esistenzialista
teso come «possibilità» e non alla sua idea astratta, si
propone di comprendere l‘uomo stesso inserito ―
e questa è la novità metafisica di Fabro ― in un
contesto ontologico partecipativo.
La concezione dell‘essere che Fabro riprende da
Kierkegaard si qualifica precisamente nell‘esistenza
stessa dell‘uomo: è il soggetto, che, in quanto esistente, si trova nella verità, ―e la verità è in funzione
della «scelta» che l‘uomo fa, se sceglie l‘Infinito o
resta nel finito‖.78
Ogni conoscere essenziale, quindi, concerne
l‘esistenza; anzi solo il conoscere che si rapporta
esistenzialmente all‘esistenza è conoscere essenziale.
Il conoscere che secondo la riflessione
dell‘interiorità interiorizzantesi non concerne
l‘esistenza ― è essenzialmente un conoscere accidentale, il suo grado e ambito è essenzialmente indifferente [..] Soltanto la conoscenza etico-religiosa è
perciò conoscenza essenziale. Ma ogni conoscenza
etico-religiosa si rapporta essenzialmente a questo
che l‘esistente esiste‖.79
Il significato dell‘essere, la sua verità, costituisce
l‘unico fondamento della metafisica: Kierkegaard e
Heidegger, in questo senso, hanno rivendicato
l‘originalità costitutiva dell‘essere per la coscienza
perché è solo in virtù dell‘essere ―che l‘uomo tra78
C. Fabro, L’Assoluto nell’Esistenzialismo, Edivi, Segni
2010, p. 100.
79
S. Kierkegaard, Postilla, cit., p. 254.
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scende nell‘infinito essere‖, secondo l‘insegnamento
di Kierkegaard. Questo, come vedremo, sarà compito anche della libertà umana. Per Kierkegaard
«essere spirito» significa ―essere se stessi di fronte a
Dio in quanto si è impegnati in una decisione con
passione infinita. «Essere se stessi» è venire in contrasto col «numero» e con la temporalità. «Decidere» è dare testimonianza della propria individualità
spirituale. La «passione infinita» indica la trascendenza propria della libertà‖.80
La categoria della libertà è quella che definisce
lo statuto ontologico dell‘esistenza, perlomeno
dell‘esistenza in quanto espressione della condizione dell‘uomo relativa al suo essere nel mondo. In
Kierkegaard il primato dell‘esistenza assume su di
sé la responsabilità della scelta etica e del salto della
fede. La soggettività è infatti per Kierkegaard, che
per questo non può in nessun modo essere ricondotto a nessuna delle varie forme del soggettivismo
moderno, sempre connessa alla questione della oggettività della verità.
Il problema principale, da quanto emerso finora,
riguarda perciò la rivendicazione della consistenza
del Singolo: al primato della totalità e del Concetto,
sviluppato in particolar modo da Hegel e Marx ―
con tutte le conseguenze che questo implica sul piano etico e politico ― Fabro, mediante la lettura di
80
C. Fabro, L’Assoluto nell’Esistenzialismo, cit., p. 109.
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Marco Strona - La lezione esistenzialista
Kierkegaard,
oppone
e
propone
quello
dell‘esistenza individuale.
Il pensiero dunque non può mai astrarre dalla
vita, dalla realtà, dall‘Io perché ogni singolo è una
―individualità spirituale, sintesi di finito e Infinito
che non si rapporta all‘Infinito «mediante» la natura
fisica che è fuori di lui, né mediante la storia universale del genere umano, ma si può volgere a Dio per
se stesso‖81: Iddio, anzi, ―deve entrare in ogni pensiero, anche il più nascosto, in ogni sentimento anche il più segreto, in ogni movimento anche il più
intimo‖.
La caratteristica dell‘esistenza risulta quindi essere quello dell‘ implicazione della verità «in situazione», all‘interno cioè della stessa esperienza quotidiana: l‘unica forma valida di comunicare la verità è
proprio quella di ―esserci dentro, ovvero, di presentarsi in carattere‖82, secondo la nota formula kierkegaardiana. Il significato di questa affermazione ― la
soggettività è la verità ― sta però agli antipodi del
soggettivismo gnoseologico del pensiero moderno:
è, anzi, un soggettivismo inteso come ―consapevolezza dell‘attuarsi (scelta) della libertà della perso-
81
C. Fabro, Il problema della fede, La Scuola, Brescia 1978,
tav. XXIV.
82
C. Fabro, “La «comunicazione della verità» nel pensiero di
Kierkegaard”, in Dall’essere all’esistente, Marietti, GenovaMilano 2004, p. 233.
30
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na‖83; indica, perciò, la soggettività come impegno
supremo della libertà.
Risulta chiaro quello che Fabro vuole trasmetterci, mediante le parole di Kierkegaard: ―la via della riflessione oggettiva ―trasforma il soggetto in qualcosa di accidentale, e quindi riduce l‘esistenza a
qualcosa di indifferente, di evanescente: allontanandosi dalla soggetto, si finisce nella verità oggettiva e
mentre il soggetto e la soggettività diventano indifferenti, lo diventa anche la verità, ed è questa precisamente la sua validità oggettiva, perché l‘interesse si
trova, come la decisione, nella soggettività‖.84
L‘ontologia moderna ha preteso di ―introdurre il
movimento nella logica‖85 e di legger la vita con gli
occhiali della logica senza accorgersi, come fa notare Fabro, che la logica astrae dall‘esistenza perché
l‘essenza dei rapporti logici ―è l‘«inclusione» necessaria del predicato nel soggetto e la «continuità» necessaria fra i momenti del processo logico‖.86
Riassumendo brevemente quanto detto finora,
occorre sottolineare il notevole interesse di Fabro
per l‘antropologia kierkegaardiana, la quale delinea
una concezione dell‘uomo nel suo costante rapporto a Dio: partendo dalla questione del paradosso —
in particolare del paradosso assoluto ― Fabro trac83
C. Fabro, “Introduzione” a S. Kierkegaard, Opere, cit., tav.
XLIV.
84
Ivi, 362-363.
85
Ibidem.
86
Ibidem.
31
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cia una linea di sviluppo dell‘antropologia che riesce
a far incontrare e dialogare il Cristianesimo e la
modernità.
32