Dal Piemonte una proposta per la Specialistica interna pagina 9 Il burnout nei professionisti che si occupano di tossicodipendenza pagina 14 Previdenza: La nuova normativa del fondo ambulatoriali pagina 24 Anno XIII numero 6| 2013 6 Bimestrale d’informazione 2013 medicalnetwork Sped. abb. post. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Roma L A R I V I S TA D E L M E D I C O S P E C I A L I S TA A M B U L AT O R I A L E STATUTO Il perché delle nuove modifiche SOCIETÀ ITALIANA DI FORMAZIONE PERMANENTE PER LA MEDICINA SPECIALISTICA indice EDITORIALE ATTUALITÀ Il perché delle nuove modifiche di Giuseppe Nielfi Il diabete mellito: evoluzione e correlazioni nella storia di Vincenzo Ciruzzi La proposta del Sumai-Piemonte per organizzare la Specialistica ambulatoriale interna di Giorgio Visca, Renato Obrizzo, Fernando Muià Il burnout nei professionisti che si occupano di tossicodipendenza di Pescicolo R., Cardone M., Caracciolo P., Ferretti M.R., Russo F., Iovine A., Limardi A., Del Tufo S. info 3 LA RIVISTA DEL MEDICO SPECIALISTA AMBULATORIALE 4 6 9 14 SCIENZA E RICERCA A Pescara il primo corso di aggiornamento regionale Sifop 21 di Franco Longhi, Gabriele Catena Nuove prospettive assistenziali nella specialistica ambulatoriale 22 Abstract di Marco Lacerenza, Giuseppe Nielfi, Giuseppina Campisi RUBRICHE Previdenza La nuova normativa dei Fondi Ambulatoriali di Paolo Quarto medicalnetwork 24 Direttore responsabile Roberto Lala Consulenza redazionale Edizioni Health Communication Srl Via Vittore Carpaccio 18, 00147 Roma Telefono 06.594461 Fax 06.59446228 e-mail: [email protected] Coordinatore editoriale Stefano Simoni Hanno collaborato Luciano Fassari, Giuseppe Nielfi, Paolo Quarto, Stefano Simoni, Luigi Sodano Progetto grafico Giancarlo D’Orsi Impaginazione Daniele Lucia, Barbara Rizzuti Editore Sumai - Via Lamaro, 13 00173 - Roma Telefono 06.2329121 - fax 06.23219168 Pubblicità Edizioni Health Communication Srl, Roma - Telefono 06.594461 Registrazione al Tribunale di Roma n.446 del 22.10.2001 Roma Sped. abb. post. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Roma Diritto alla riservatezza: “Medical Network” garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati nel rispetto della legge 675/96 Stampa: Union Printing - Viterbo Finito di stampare nel mese di dicembre 2013 Costo copia € 2,00 2 medical network 2 | 2008 editoriale Luci e ombre di un anno appena iniziato Enpam. Fondo Specialisti ambulatoriali. Scomparso Roberto Barbetta Lo scorso 17 gennaio è venuto a mancare il collega e amico Roberto Barbetta (66 anni), Vice presidente (Veneto) del Comitato consultivo Enpam del Fondo degli specialisti ambulatoriali. Il Sumai-Assoprof tutto nell’esprimere le proprie condoglianze si stringe con vivo affetto attorno alla famiglia in un momento così doloroso ROBERTO LALA Segretario Generale Sumai ari colleghi, l’anno appena inaugurato è iniziato con alcuni timidi segnali di riapertura del dialogo a livello istituzionale per quanto riguarda la sanità e le misure che dovrebbero servire a riprendere le fila del sistema dopo anni di politiche fatte solo di tagli, senza riuscire a programmare nulla. In questo senso mi riferisco al Patto per la Salute che come annunciato da Governo e Regioni dovrebbe essere sottoscritto entro il mese di febbraio. In seconda battuta penso all’istituzione di una cabina di regia che coinvolge tutte le rappresentanze del comparto presso il Ministero della Salute e si pone l’obiettivo di essere un vero e proprio momento di confronto ed elaborazione e confronto sui temi legati al futuro del Ssn. Ma se qualcosa (sempre poco diciamocelo francamente) ha ripreso a muoversi lo stesso non si può dire per il rinnovo delle convenzioni. Senza paura di ripetermi credo che sia davvero il tempo che le Regioni si assumano senza mezzi termini le proprie responsabilità e dicano chiaramente e senza troppo giri di parole cosa intendono fare. Se la volontà è quella di costruire una sanità territoriale intergrata e che tenga conto dei nuovi bisogni di salute dei cittadini il Sumai-Assoprof è pronto da subito, ma se invece il tentativo è quello di ‘camuffare’ la riforma (che ricordo va fatta per legge) attraverso una decomposizione e ulteriore frammentazione del sistema, è chiaro che non siamo disposti a procedere. Ma a prescindere dalle grandi tematiche che avvolgono il futuro del nostro Ssn vorrei soffermarmi anche sull’annoso argomento della responsabilità professionale. Tra spot che continuano a gettare fango sul nostro Ssn e numeri, quantomeno ‘folli’, che girano sui media rispetto all’impatto reale del fenomeno stiamo veramente arrivando ad un punto di non ritorno. Sull’obbligo assicurativo (prorogato ad agosto 2014) il Tavolo sembra essersi arenato, per i professionisti è sempre più difficile trovare una polizza e tutto ciò non fa altro che alimentare tensioni tra gli operatori, senza considerare poi come in questa ‘terra di nessuno’ si sta inculcando nei cittadini sempre più diffidenza e sfiducia nei confronti del Ssn e verso chi vi lavora. Per questo, crediamo che servano provvedimenti urgenti perché un Paese serio non può proseguire a ‘traccheggiare’ in questo modo. Come sempre, vi invito quindi a tenere alta la guardia perché è proprio in questi momenti che il Sindacato tutto deve mostrare attenzione, partecipazione e capacità sempre più vigorosa nel combattere soprusi e ingiustizie che stanno condannando la nostra sanità (che a prescindere da tutto rappresenta un fiore all’occhiello del nostro Paese e una conquista di civiltà), ad un lento declino. Questo non deve accadere e il Sumai-Assoprof si batterà in ogni dove per scongiurarlo. C medical network 6 | 2013 3 STATUTO Il perché delle nuove modifiche STATUTO attualità di Giuseppe Nielfi Presidente Sumai 4 L’aggiornamento dei regolamenti avvenuto nel corso del recente Congresso di Acicastello consente di rispondere in modo efficace ai problemi, alle richieste e ai temi emergenti della specialistica ambulatoriale, della sanità e più in generale, della realtà socio-politica nazionale L’ assemblea congressuale di Acicastello ha approvato a larghissima maggioranza una serie di modifiche volte ad aggiornare il nostro Statuto. Uno statuto può essere visto come il “software” di una organizzazione, uno strumento che, per consentire all'organizzazione stessa di dare risposte adeguate ad un contesto in continuo mutamento, non può che essere sottoposto a frequente manutenzione. Le modifiche, al di là di alcune che sono strettamente tecniche, si inseriscono su due direttrici: da un lato intervenire sulla vision sindacale e dall'altro potenziare la cinghia di trasmissione fra i tre livelli di organizzazione del sindacato: provinciale, regionale, nazionale. Le modifiche alla vision costituiscono un salto di qualità per il Sumai: non solo azione di patrocinio sindacale a favore dei propri iscritti e delle aree di attività professionali esercitate, ma anche una vera azione ad ampio respiro a difesa e promozione del Ssn, con la partecipazione alle iniziative finalizzate a questo scopo. Si apre quindi la porta ad un più vigoroso intervento sul piano polimedical network 6 | 2013 tico, istituzionale, accademico e professionale per la difesa del Servizio Sanitario Nazionale, conquista democratica del nostro paese. Non è superfluo ricordare che i diritti che il nostro Ssn garantisce: equità, accessibilità, solidarietà, non sono così sicuri e scontati, ma vanno presidiati giorno per giorno. È un dato ormai consolidato come un servizio sanitario pubblico, proprio per i principi su cui è fondato, garantisca risultati più efficaci in termini di aspettativa di vita; basta confrontare i dati italiani con quelli americani, per confermare come la tecnologia medica da sola non sia sufficiente. Negli Usa l'aspettativa di vita media è inferiore a quella italiana, e si registra una notevole variabilità di questa fra le diverse classi etniche e sociali, a conferma della necessità di una funzione di riequilibrio sociale ed organizzativo che solo un servizio sanitario pubblico è in grado di fornire. Ma, ripeto, questo assunto è ogni giorno attaccato e messo in pericolo, per lo più dalle contingenze economiche (ma anche da modelli organizzativi che vedono la sanità come un merca- to e non come un servizio all’individuo ed alla collettività), e quindi costante deve essere l'intervento di tutti i soggetti interessati per difendere il nostro modello sanitario ed il Sumai si pone in prima fila in questa azione, inserendola da oggi fra gli scopi primari della propria ragion d'essere. Il secondo filone riguarda l'asse organizzativo sindacale nazionaleregionale-provinciale, dove si rafforzano i collegamenti funzionali fra regioni e province, con la partecipazione del segretario regionale alle assemblee provinciali, così da migliorare la conoscenza delle problematiche regionali e locali e testimoniare la vicinanza del sindacato regionale ai singoli iscritti. Si rafforzano anche i collegamenti amministrativi per rispondere con trasparenza alle richieste della vigente normativa fiscale, che vede le tesorerie regionali e provinciali agire per conto della tesoreria nazionale, quali sezioni di una singola unità operativa nazionale, con l'obbligo di una puntuale documentazione fiscale da conservarsi non solo nell'abituale sede provinciale o regionale, ma anche al livello superiore, regionale o nazionale. Un terzo elemento di novità riguarda l'apertura alle forze più attive e vitali della categoria e della società con la possibilità di cooptare nei consigli provinciali e regionali stakeholder di istanze significative: penso alle tematiche di genere, al ricambio generazionale, alla collaborazione con il mondo accademico e con quello della ricerca clinica. Ancora, si sono inserite una serie di modifiche per preparare l'organiz- zazione alla possibile abolizione delle Province, mediante il passaggio a strutture intercomunali che garantiscano la presenza sindacale periferica anche in caso di abolizione delle Province, presidiando altresì la fase di transizione senza alcuna caduta di presenza rispetto al livello attuale. Da ultimo ricordiamo la possibilità di mantenere lo status di eletto, in deroga ai requisiti statutari, fino al primo congresso nazionale successivo al compimento del 70° anno d’età. Se vogliamo individuare un punto d'inizio e di fine dell'anno sindacale questo è rappresentato dal congresso nazionale, con il quale sarebbe auspicabile sincronizzare i rinnovi degli organi istituzionali periferici, quindi non solo nazionale ma anche regionali e provinciali. In questo senso va la modifica della norma sulla decadenza per raggiunti limiti di età, che vuole ridurre l'impatto sulla funzionalità dell'organizzazione di un fattore esterno, quale l'età anagrafica, consentendo all’eletto di poter terminare la propria opera e al sindacato di riprendere il nuovo anno di impegno, rinnovato in occasione della propria assise congressuale. In conclusione, con l’aggiornamento dello Statuto, ritengo si sia fatto un ottimo lavoro per consentire al nostro “software” di rispondere in modo efficace ai problemi, alle richieste, ed ai temi emergenti della specialistica ambulatoriale, della sanità e più in generale, della realtà socio-politica nazionale, pronti, sempre e comunque, a correggerci e migliorarci. medical network 6 | 2013 attualità STATUTO LE MODIFICHE, AL DI LÀ DI ALCUNE CHE SONO STRETTAMENTE TECNICHE, SI INSERISCONO SU DUE DIRETTRICI: DA UN LATO INTERVENIRE SULLA VISION SINDACALE E DALL'ALTRO POTENZIARE LA CINGHIA DI TRASMISSIONE FRA I TRE LIVELLI DI ORGANIZZAZIONE DEL SINDACATO: PROVINCIALE, REGIONALE, NAZIONALE 5 STORIA DELLA MEDICINA STORIA DELLA MEDICINA attualità di Vincenzo Ciruzzi, Specialista ambulatoriale cardiologo ASL Napoli 1 Centro, ASL Napoli 2 Nord 6 Il diabete mellito: evoluzione e correlazioni nella storia* Un excursus storico-scientifico per ripercorrere le tappe più significative per questa patologia: dalla sua conoscenza, già nel 2500 a.C., fino al Nobel per la scoperta dell’insulina nel 1969 O ggi del Diabete conosciamo molto e il target delle scoperte viene sempre più spostato in avanti, ma non è peregrino conoscerne il punto di partenza. A tal proposito abbiamo due dotte affermazioni che ci confortano: il famoso cardiochirurgo Alexis Carrel disse: “Le cose si conoscono meglio se le si conoscono dall’inizio”, ed ancora il filosofo positivista Auguste Compte affermò: “Non si conosce a fondo una scienza se non si conosce il suo passato”. La storia della medicina non è una disciplina che rivolge selettivamente la propria attenzione all’evolversi dell’arte medica nel tempo e che non si dedica al semplice rapporto medico-malato, ma interessando l’uomo malato nella sua interezza fa sì che la medicina interagisca con vari campi dello scibile, quali l’antropologia, la psicologia, la bioetica ecc… Anticamente la medicina era intimamente connessa con la filosofia e da essa traeva spunti e insegnamenti per la ricerca scientifica, per lo studio ragionato, per la ricerca delle cause. Gli antichi filosofi erano anche medici e viceversa. Il Diabete è conosciuto dalla notte dei tempi: infatti, nel famoso papiro di Ebers datato 2500 a.C., tra le tante malattie e terapie enumerate si parla se pur genericamente di una Poliuria che rinsecchiva le carni e portava inesorabilmente alla morte. Il famoso medico indiano, Sushuta, descrisse una malattia caratterizzata da sete intensa e abbondantissime urine, le quali attiravano le formiche (forse perché dolci?). Ippocrate, padre della medicina, parla di poliuria e in un suo aforisma dichiara che se un uomo urina molto ciò è dovuto o al fatto che il malato beva più del consentito o perché l’organismo non è in grado di assorbire le bevande. Ma il primo vero diabetologo della storia (mi si consenta il termine) fu Areteo di Cappadocia vissuto nel I secolo d.C. che descrisse più dettagliatamente i sintomi della malattia e ne coniò il nome diabete da Dia-Baino (pas- *Pubblichiamo la relazione che il dott. Ciruzzi ha tenuto al Convegno “L’aterosclerosi e la sindrome metabolica, aspetti multidisciplinari”, tenutosi a Pozzuoli (NA) nel dicembre 2013 medical network 6 | 2013 so attraverso), ritenendo che le membra e gli organi del malato si liquefacessero e da qui l’intensa poliuria. Anche il grande Galeno nella sua immensa opera si interessò di diabete definendolo Diarrea Urinosa. Come si nota tutti gli antichi medici avevano correttamente focalizzato l’attenzione sul sintomo più eclatante: La Poliuria. Ma una più organica descrizione della malattia si deve ad Avicenna, celebre medico arabo, vissuto nel 1000 d.C., che nel suo celebre Canone comprese ed annotò i sintomi cardine della malattia: sete intensa, poliuria, astenia, dimagramento. Ma il merito maggiore di Avicenna fu quello di aver messo per la prima volta in evidenza le complicanze del diabete: i foruncoli, la facilità alle infezioni e soprattutto la cancrena delle estremità. Anche la famosa Scuola medica salernitana non poteva non occuparsi del diabete e vedremo come. Narra la leggenda che quattro medici, un Arabo, un Ebreo, un Greco e un Romano si incontrarono per caso e scoprendo di essere medici decisero di mettere a frutto le proprie esperienze, di trasmetterle agli altri e di fon- mentale nel corso dei secoli successivi. Contemporaneamente o quasi alla scuola salernitana dobbiamo ricordare quella che è considerata la prima diabetologa della storia, la benedettina Ildegarda Di Bingen, donna mistica che scrisse molti libri di medicina e dedicò molte pagine al diabete, ritenendolo una malattia dei reni e della vescica (appunto per la poliuria) e per la prima volta dichiarò che dalla dieta dovevano essere eliminati i dolci. Il Medio Evo poco altro apportò alla conoscenza e alla cura del diabete, perché la maggioranza della popolazione, soprattutto umile, aveva un’alimentazione scarsa e insufficiente a causa delle calamità naturali, delle carestie, delle tante guerre, delle malattie infettive (peste in primis) che funestarono questo periodo storico. Inoltre come curiosità ricordiamo che non vi era lo zucchero. Nel Rinascimento, epoca in cui vi fu un grande sviluppo dell’anatomia e della chirurgia, ricordiamo che per quanto riguarda il diabete ci si rifaceva a Galeno e i medici dell’epoca curavano la malattia con salassi, purganti, pietre preziose triturate e qualche erba di dubbio valore. So- lo Paracelso, strano individuo mezzo mago mezzo scienziato, considerato uno dei fondatori della iatrochimica, credette di individuare la causa del diabete in una sostanza salina contenuta nel sangue. Ma non si può parlare di diabete, di sindrome metabolica se non si parla anche di Metabolismo, a queste malattie strettamente correlato. Già gli antichi medici, seppur empiricamente e grossolanamente, avevano compreso che tutto ciò che respiriamo, che ingeriamo sia come farmaci che come alimenti viene cambiato, trasformato, per cui alcune parti di queste sostanze vengono immagazzinate dall’organismo, altre, le scorie, i rifiuti, vengono eliminati da alcuni organi: stomaco – fegato – reni. Il primo vero approccio scientifico al problema fu dato nel 1600 dal medico Santorio Santorio. Nel 1600 non ci si accontentava di capire come era fatto il corpo umano, ma si cominciò anche a considerare e a cercare di capire come funzionasse. Sono questi i primi rudimenti di quella branca della medicina che sarà La Fisiologia. Grazie anche al nuovo corso scientifico ideato e promosso da Galileo Galilei, Santorio, che gli era amico e certamente da lui influenzato, ideò e realizzò vari strumenti scientifici per misurare le variazioni normali e patologiche del corpo umano. Ricordiamo un Termometro rudimentale, il Pulsilogio con il quale misurava la frequenza cardiaca, ma soprattutto ideò e costruì una bilancia particolare con la quale misurò nel corso di molti anni e in numerosi soggetti le variazioni del peso del corpo in seguito all’ingestione di cibo e bevande e alle secrezioni visibili (feci ed urine), riuscendo anche a stabilire La Traspirazione Insensibile che distinse nettamente dalla sudorazione. Essa avviene attraverso i pori della pelle e attraverso la respirazione (gocce sullo specchio); secondo Santorio la traspirazione è maggiore di tutte le escrezioni visibili messe insieme; essa è in relazione inversa con le escrezioni visibili, cioè aumenta quanto medical network 6 | 2013 attualità STORIA DELLA MEDICINA dare così una scuola medica ove fare pratica, studiare ed insegnare. Al di là della leggenda comprendiamo bene che la scuola salernitana fu un incontro tra la varie culture mediche e filosofiche che, intersecandosi, si arricchirono reciprocamente. La scuola ebbe molta attenzione per la Dietetica intesa non solo come semplice dieta alimentare, ma anche e soprattutto come prevenzione, cioè come Stile di vita. Inoltre s’interessò, e non poco, della pratica chirurgica, della coltivazione e della raccolta delle erbe medicinali che amalgamate e distillate rappresentavano la farmacopea ufficiale dell’epoca. Un altro modello salernitano che avrà molto seguito sarà l’Uroscopia. L’ispezione delle urine aveva avuto ruolo diagnostico già in epoca ippocratica, ma la scuola di Salerno le diede nuovo impulso, facendola divenire il primo esame di laboratorio Ante litteram. Veniva osservato il colore, la densità, l’odore, il sapore, ritenendo che il liquido versato all’esterno – urine appunto – riflettesse in qualche modo il liquido, la linfa, circolante all’interno, soprattutto in condizioni patologiche. Lo studio delle urine sarà sempre fonda- 7 STORIA DELLA MEDICINA attualità 8 più queste diminuiscono e viceversa. La quantità della traspirazione varia considerevolmente in funzione di diversi fattori interni ed esterni normali e patologici, da lui accuratamente indagati. Con i suoi esperimenti Santorio diede impulso a nuove ricerche ed esperimenti, aprendo così la strada ai moderni studi sul metabolismo. Fu quindi un pioniere delle misurazioni fisiche in medicina e quindi del metodo sperimentale di cui comprese l’importanza anche in campo medico. La sua opera maggiore fu la Medicina Statica, cioè medicina fondata sulla pesatura (vedi bilancia) scritto tutto in forma di aforismi. Il successo dell’opera fu immenso e l’opera fu tradotta studiata e sperimentata in tutta Europa. Negli anni successivi gli studi, le ricerche, gli esperimenti sul diabete (come su tutte le altre branche della medicina e dello scibile) si intensificarono anche grazie a nuovi metodi di indagine e agli scambi culturali sempre più intensi. G.B. Van Helmont definisce per la prima volta il diabete come una malattia del sangue e non dei reni; successivamente il medico inglese Thomas Willis dichiara che le urine dei diabetici sono dolci come il miele da cui mellito ed inoltre fa una prima seppur sommaria distinzione del Diabete Insipido, in cui le urine sono abbondanti, ma non sono dolci. Successivamente Dobson dimostra che le urine dei diabetici sono dolci perché contengono zucchero. Nel 1869 il patologo tedesco Paul Langherans descrive le isole disseminate nel pancreas soprattutto nella coda senza però comprendere il significato funzionale. Due patologi austriaci notano che asportando il pancreas ad un cane questo sviluppa diabete ed ancora il francese Lanceraux pubblica il risultato di quattro medical network 6 | 2013 autopsie praticanon aveva potute in soggetti afto divulgarla per fetti da diabete a la guerra e la decorso molto mancanza di rapido e mortale mezzi. Nel loro e dichiara che il lavoro Banting e pancreas è pratiBest citarono camente distrutapertamente le to. Oramai si coricerche di Paumincia a capire lescu e l’efficacia che la chiave di della sua scoper“THOMAS WILLIS lettura del diabeta. Essi poi riuDICHIARA CHE LE te, del suo sviscirono a purifiURINE DEI DIABETICI luppo e forse care l’insulina e SONO DOLCI COME IL della sua cura ria renderla più MIELE DA CUI MELLITO siede nel pancreattiva. Nel 1969 ED INOLTRE FA UNA as. Le ricerche e il comitato Nobel PRIMA SE PUR gli esperimenti ha riconosciuto SOMMARIA continuano, nel la precedenza DISTINZIONE DEL 1889 si scopre della scoperta DIABETE INSIPIDO, IN ad opera dell’itadell’insulina a CUI LE URINE SONO liano Diamare Paulescu, ma ABBONDANTI, MA che il pancreas conformemente NON SONO DOLCI” ha anche una seal suo statuto ha crezione interna escluso una ripae questa è dovurazione ufficiale. ta alle isole di Langherans e che que- Nel 1941 l’ordine di Malta istituì il ste secrezioni hanno influenza sul primo centro antidiabetico; succesmetabolismo e soprattutto sul dia- sivamente negli anni cinquanta ci bete. Infine nel 1921 durante un fu una scoperta casuale – classico congresso di medicina interna nel esempio di Serendipità – il francese Connecticut un medico canadese Iarson studiando alcuni sulfamidici Banting, insieme ad un suo collabo- notò che essi abbassavano la gliceratore Best, dichiara di aver isolato mia: questa scoperta aprì le porte aldal pancreas una sostanza che egli l’uso clinico delle Sulfaniluree anchiama isletina che abbassa la gli- cor oggi usate, è di quegli anni la cemia sì da mantenere in vita un ca- commercializzazione del primo anne precedentemente privato del pan- tidiabetico orale: il Nadisan. creas. Successivamente iniettando Verranno poi le insuline sempre più questa sostanza si salva la vita a un purificate, le insuline prodotte in laragazzo di 14 anni in coma diabe- boratorio, la classificazione della tico terminale. Nel 1923 i due ricer- sindrome metabolica con le sue pecatori ricevono il Nobel e qui si apre culiarità, i microinfusori, gli inibiun piccolo giallo storico che val la tori del DPP4 ed altro. Ma questa pena di essere narrato: pare, anzi è non è più storia, bensì cronaca atcerto, che Banting e Best non fece- tuale e quindi la lasciamo alla dotro altro nei loro esperimenti che ap- ta competenza dei colleghi Diabeplicare la scoperta che era stata fat- tologi che quotidianamente si cita da Paulescu, fisiologo rumeno che mentano con tali tematiche. DALLE REGIONI Il modello sviluppa non solo una possibilità organizzativa ma anche una nuova visione della specialistica ambulatoriale territoriale, valorizzandone le capacità e le potenzialità nell’ambito di un servizio sanitario più equo, sostenibile e prossimo ai pazienti I l Rapporto Oms 2008 “Primary Health Care, Now More Than Ever”, identifica chiaramente come le Cure Primarie, a distanza di più di 30 anni da Alma Ata, non siano ancora state realmente implementate. Nella specificità del contesto nazionale italiano questo ritardo nella piena realizzazione della dimensione territoriale del nostro sistema sanitario, ed in particolare delle cure primarie, trova una sua evidenza nel mancato ruolo che ad oggi stenta ancora ad essere riconosciuto alla specialistica ambulatoriale e territoriale, ancora troppo spesso identificata come mera “erogatrice” di prestazioni e frequentemente vissuta come “esterna” ad un sistema, nonostante la sua caratteristica “interna” sia presente nel nome stesso della categoria. Tale ruolo nell’ambito delle cure primarie è stato formalmente riconosciuto e definito anche da parte del Decreto Balduzzi (decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salu- te») ed è chiaramente evidenziato nell’ACN vigente, che sottolinea all’art. 28 come lo Specialista del Territorio “concorre ad assicurare – nell’ambito delle attività distrettuali e territoriali come individuate dal Piano sanitario nazionale e dai piani sanitari regionali vigenti – “assistenza primaria unitamente agli altri operatori sanitari e svolge le attività di assistenza specialistica”. La piena realizzazione del ruolo dello specialista territoriale nelle cure primarie non può tuttavia prescindere dalla presenza di due elementi indispensabili la cui mancanza ha finora minato il pieno sviluppo della funzione territoriale specialistica ed ha connotato la frequente percezione dello specialista territoriale come prestatore d’opera esterno al sistema: a)il pieno coinvolgimento nei processi di governance clinica territoriale; b)il riferimento ad un modello organizzativo “forte” in grado di sostenere la transizione da un sistema assistenziale basato sull’erogazione di prestazioni ad uno fon- dato sulla presa in carico. Molti sono peraltro i richiami a tali elementi presenti nel nostro Accordo Nazionale la cui piena applicazione risulta rispetto a questi aspetti particolarmente carente. Il coinvolgimento nell’ambito del governo clinico territoriale è chiaramente espresso infatti dall’art. 5 dell’ACN vigente ove, fra gli obiettivi di carattere generale, viene richiamata la necessità di: •favorire la assunzione condivisa di responsabilità, da parte dei medici e dei professionisti sanitari che operano nel territorio, nelle scelte di politica sanitaria e di governo clinico; •introdurre, con la programmazione regionale e aziendale, strumenti di gestione che garantiscano una reale funzione del territorio ed una concreta responsabilità dei medici e dei professionisti sanitari nelle scelte a garanzia degli obiettivi di salute. Il richiamo ad una maggior responsabilità nei processi di government territoriale da parte degli Specialisti è ancora sottolineato dall’art. 7 (Ruolo e partecipazione OOSS): “Le medical network 6 | 2013 attualità DALLE REGIONI La proposta del Sumai-Piemonte per organizzare la Specialistica ambulatoriale interna a cura di Giorgio Visca, Direttore Centro Studi “U. De Lorenzi” Piemonte, Vicesegretario regionale SUMAIASSOPROF Piemonte Renato Obrizzo, Segretario Regionale SUMAIASSOPROF Piemonte Fernando Muià, Segretario Provinciale SUMAIASSOPROF Torino 9 DALLE REGIONI attualità Regioni e le Organizzazioni Sindacali, ferma restando la natura convenzionale del rapporto per singolo professionista, concordano che la maggiore partecipazione alle scelte di programmazione e gestione, degli specialisti e degli altri professionisti operanti nel territorio comporta un equivalente e contemporaneo aumento di responsabilità nel governo clinico, con particolare riferimento alla garanzia dei livelli di prestazione e la gestione dei budget concordati a livello di territorio” Le forme aggregative dei professionisti del territorio sono state identificati da parte della programmazione nazionale come strumenti di promozione del governo clinico dell’assistenza primaria, inteso come strategia per “costruire appropriate relazioni funzionali nelle aziende sanitarie tra le responsabilità professionali ed organizzative al fine di migliorare la qualità dell’assistenza”.1 Per la Specialistica Ambulatoriale l’Aggregazione Funzionale Territoriale è stata definita2 “un insieme organizzato la cui componente medica e professionale è composta esclusivamente da Medici Specialisti Ambulatoriali e Psicologi Convenzionati Interni, con le dotazioni strutturali e strumentali necessarie per lo svolgimento delle attività medico-specialistiche. Questa è in grado di garantire, attraverso la realizzazione di una migliore possibilità di accesso ed una maggiore semplificazione delle procedure di accettazione, in maniera integrata, organizzata, e coordinata, tutti i servizi specialistici territoriali di elezione e di primo intervento dei quali il cittadino può avvalersi in caso di bisogno sanitario di natura specialistica diventando quindi il “gruppo clinico specialistico di riferimento” per uno specifico ambito territoriale capace di dare “la risposta” ad ogni ca- so clinico di competenza specialistica che non necessiti di ricovero ospedaliero.” dei cittadini con il miglior impiego possibile delle risorse (Art 13 bis). LA PROPOSTA Sulla base di tali premesse il SUMAI Piemonte ha formulato una proposta di organizzazione dell’assistenza specialistica territoriale fondata sui seguenti criteri ispiratori: •Semplicità e riproducibilità •Riferimento ad una articolazione territoriale aziendale definita: il distretto •Riferimento ad un "fabbisogno” di specialistica ambulatoriale territoriale espresso in: - “Standard minimi quantitativi ” (numero ore per specialità “core” per abitanti) - “Standard minimi qualitativi” (requisiti strutturali e organizzativi) •Visibilità esterna ed interna al sistema •Coordinamento monodisciplinare ed interdisciplinare attraverso lavoro d’equipe. Nello specifico la proposta prevede di costruire presso agni Azienda una “Rete Specialistica Territoriale Aziendale” e di identificare per ogni Distretto delle AFT denominate “Unità Specialistiche Territoriali Distrettuali” con gli obiettivi di: •promuovere l’equità nell’accesso ai servizi sanitari, socio-sanitari e sociali nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza, anche attraverso l’individuazione di percorsi di integrazione interdisciplinare e con l’assistenza ospedaliera (art 30 bis comma 6 ACN); •assumere il governo del processo assistenziale relativo a ciascun paziente in carico tenuto conto dei compiti previsti dagli artt. 28, 29 e 29 bis ACN 2009; •di farsi parte attiva della continuità dell’assistenza per i propri assistiti; •perseguire gli obiettivi di salute ANALISI DI CONTESTO: LA REGIONE PIEMONTE Distribuzione quantitativa Nella Regione Piemonte prestano la propria opera 1023 Specialisti Ambulatoriali Territoriali per un totale di 1758 incarichi, nell’ambito di 35 differenti specializzazioni, sia mediche che chirurgiche, compresa l’odontoiatria, con un numero di ore totali annuali pari a circa 31.193 ore settimanali (1.6 milioni di ore annue circa) (anno di riferimento 2011). (Dati SUMAI Piemonte) A livello aziendale la distribuzione del numero degli specialisti, così come delle relative specializzazioni, risulta estremamente disomogenea non solo a livello delle differenti AA.SS.LL, ma anche a livello dei singoli distretti, con il risultato di un quadro estremamente disarticolato della tipologia e quantità di servizi di assistenza specialistica offerti a livello regionale. Luoghi dell’Assistenza L’Assistenza Specialistica Territoriale in Piemonte è attualmente erogata prevalentemente a livello ambulatoriale nelle relative strutture distrettuali e solo in modo marginale ed episodico nei contesti delle cure domiciliari, nelle strutture residenziali e ospedaliere. Tale contesto operativo testimonia, nonostante quanto previsto ed esplicitato da parte degli accordi e delle strategie sanitarie, la visione ancora “antica” della specialistica come prettamente ed esclusivamente ambulatoriale e quindi inevitabilimente connotata da una impronta principalmente prestazionale. Modello Organizzativo Tutta l’organizzazione dell’Assistenza Specialistica Territoriale è oggi 1 Piano sanitario 2003-2005, PSN 2006-2009 2 Segreteria Nazionale SUMAI-Assoprof. Linee Guida “L’aggregazione funzionale territoriale dei medici specialisti ambulatoriali e degli psicologi convenzionati”. Roma, Settembre 2009 10 medical network 6 | 2013 1. CRITICITÀ Le criticità di sistema riguardano principalmente il prevalente ospedalocentrismo del nostro Servizio Sanitario Regionale e la conseguente carenza di strategie e progettualità per il territorio. In particolare le principali criticità dell’assistenza specialistica territoriale risultano: •Gestione a prevalente impronta burocratico - amministrativa dell’assistenza specialistica territoriale; •Fragilità dell’attuale modello organizzativo che si fonda prevalentemente sulla semplice erogazione di prestazioni specialistiche di livello ambulatoriale a livello distrettuale; •Carenza di requisiti struttuali ed organizzativi minimi per l’assistenza specialistica territoriale; •Prevalente logica prestazionale (paradigma dell’attesa) senza logiche di presa in carico del paziente; •Carente coordinamento ed integrazione tra gli attori dei servizi Territoriali ed Ospedalieri ed in particolare carenza di coordinamento dell’attività specialistica territoriali; •Limitata possibilità di governance clinica da parte degli Specialisti Ambulatoriali Interni, spesso attualità DALLE REGIONI integralmente affidato alle competenti Strutture territoriali delle varie AA.SS.LL Nell’attuale assetto organizzativo lo Specialista Ambulatoriale Interno svolge un prevalente ruolo di “erogatore di prestazioni specialistiche” operando in maniera isolata e non coordinata con gli altri attori del sistema sanitario, secondo un modello assistenziale fondato sui principi della”medicina d’attesa”. Assolutamente limitata è l’applicazione di strategie di governo della domanda di prestazioni specialistiche, l’elaborazione di percorsi diagnostico-terapeutici e l’implementazione di logiche di presa in carico del paziente. considerati erogatori di prestazioni esterni al sistema e non attori dello stesso, con scarsa valorizzazione dell’autonomia e della capacità di gestione da parte dei professionisti convenzionati, nonostante quanto previsto dai vigenti Accordi; •Carenza o indisponibilità di dati aggiornati sia di natura epidemiologica che gestionale per l’analisi dei bisogni ed il governo dell’attività specialistica territoriale; •Mancata attivazione o implementazione dei modelli e delle articolazioni organizzative della Specialistica Ambulatoriale Interna già previste dai vigenti ACN 10.07.2010 ed in Piemonte AIR D.g.r. 18 dicembre 2006, n. 37-4929; •Parziale appropriatezza clinica per la carenza di linee guida e percorsi diagnostico terapeutici di livello specialistico dedicati alla cronicità ed al territorio; •Insufficiente appropriatezza organizzativa con frequente richiesta di prestazioni specialistiche con carente valutazione di circostanze e contesto di erogazione degli interventi. 2. LA NECESSITÀ DI RI-ORGANIZZAZIONE E DI IDENTIFICAZIONE DEL FABBISOGNO DI SPECIALISTICA AMBULATORIALE TERRITORIALE L’Assistenza Specialistica in ambito territoriale svolge una funzione cardinale all’interno di un moderno sistema sanitario e rappresenta una risposta strategica al bisogno di cure intermedie (intermediate care) nel contesto territoriale ed in particolare nelle cure domiciliari e residenziali. Da un punto di vista organizzativo medical network 6 | 2013 11 DALLE REGIONI attualità 12 le principali necessità riguardano: •la re-ingegnerizzazione della rete specialistica territoriale; •la razionalizzazione vs razionamento delle risorse territoriali specialistiche; •la trasversalità dell’azione assistenziale nei diversi setting territoriali ed ospedalieri. Il coordinamento tra i servizi e la partecipazione al governo clinico da parte degli Specialisti Ambulatoriali Interni rappresentano fabbisogni organizzativi primari dell’assistenza specialistica territoriale per garantire la continuità assistenziale e l’appropriatezza clinica ed organizzativa. La valorizzazione dell’autonomia e della capacità di gestione da parte dei professionisti convenzionati, nell’ambito del governo clinico, si configura inoltre quale elemento strategico per l’individuazione e il perseguimento di obiettivi di miglioramento, come più volte richiamato da parte del vigente Accordo Collettivo Nazionale In merito alle risorse esiste inoltre la necessità di identificare uno standard minimo di risorse di speciali- stica territoriale – sia in termini qualitativi (tipologia di specializzazioni presenti) che quantitativi (numero di ore) – da garantire presso ogni distretto, sulla base della popolazione residente e dei relativi dati epidemiologici, per le attività di assistenza specialistica territoriale a livello ambulatoriale, domiciliare e residenziale. In termini quantitativi il fabbisogno in Piemonte riguarda principalmente: 1.le prestazioni ambulatoriali nelle Specializzazioni di Oculistica, Cardiologia, Geriatria, Odontoiatria, ORL, e Psicologia; persistono criticità per l’organizzazione della Medicina Veterinaria e per i Professionisti Psicologi con particolare riferimento all’attività svolta nelle strutture penitenziarie e presso i tribunali (affidamento minori e procedure di adozione); 2.la diagnostica strumentale (ecografie, endoscopie); 3.l’assistenza specialistica nell’ambito dei programmi strutturati di cure domiciliari (ADP, ADI, ADI/UOCP); 4.l’assistenza specialistica in tutti i contesti di assistenza residenziale (Country Hospital, RAF, RSA, Hospice, ecc). IL MODELLO PROPOSTO La proposta di riorganizzazione elaborata dal SUMAI Piemonte dell’assistenza specialistica territoriale prevede: 1)Identificazione a livello regionale di requisiti strutturali ed organizzativi minimi per l’assistenza specialistica territoriale, con particolare riguardo agli standard minimi distrettuali di risorse di assistenza specialistica territoriale da garantire a livello distrettuale sia in termini quantitativi che qualitativi. Si ritiene infatti che, per rispondere ai bisogni dei pazienti affetti dalle principali malattie cronico-degenerative, debba essere sempre presente per ogni distretto, in aggiunta agli altri specialisti ambulatoriali sulla base delle necessità aziendali, un gruppo (Core Team) delle branche più coinvolte nella gestione delle patologie “killer” (Branche Essenziali Specialistiche Territoriali: cardiologi, neurologi, diabeto- Esempio di modello a matrice per la Rete Specialistica Territoriale Aziendale medical network 6 | 2013 farmacovigilanza, di sperimentazione clinica, di formazione aziendale. 3)Sviluppo delle funzioni delle Branche Specialistiche Aziendali per l’identificazione e la condivisione, a livello intra-aziendale ed inter-aziendale, di linee guida e percorsi diagnostico terapeutici con ruolo di supporto alle attività formative dedicate agli Specialisti Ambulatoriali Interni. A livello di ogni ASL, per renderne possibile l’operatività, bisognerà prevedere un congruo numero di Branche specialistiche con un adeguato numero di componenti delle stesse, evitando raggruppamenti pletorici e scarsamente produttivi. 4)Riorganizzazione strutturale e funzionale degli ambulatori distrettuali al fine di garantire un miglioramento qualitativo e quantitativo dell’offerta di prestazioni specialistiche in ambito distrettuale, in particolare prevedendo l’erogazione di prestazioni non solo di I livello (a bassa complessità clinica e tecnologica), ma anche di II livello, in precedenza erogate in ambito ospedaliero. 5)Attivazione presso i poliambulatori distrettuali di specifici programmi di Day Service e , sul modello della rete oncologica esistente in Piemonte, di Gruppi Interdisciplinari di Cure Territoriali ( GIC-T) per assicurare, nel corso di un unico accesso al poliambulatorio, più prestazioni o consulenza plurispecialistica ai pazienti multiproblematici particolarmente per le patologie croniche prevalenti, in modo da ridurre le liste d’attesa e il disagio del malato. 6)Istituzione di un’Area di Formazione Regionale per gli Speciali- sti Ambulatoriali Interni per la promozione di attività formative dedicate agli Specialisti Ambulatoriali Interni in collaborazione con le Organizzazioni e Società Scientifiche di riferimento degli stessi. CONCLUSIONI Lo sviluppo dell’assistenza sanitaria in ambito territoriale costituisce una priorità ormai ineludibile per qualsiasi sistema sanitario moderno. Molto poco è stato ancora fatto a livello politico-istituzionale nel riconoscimento da un lato del bisogno di una “specialistica di comunità” e dall’altro del conseguente ruolo e funzione che la specialistica ambulatoriale territoriale è in grado di svolgere nell’ambito di un sistema sanitario come quello italiano, tra i primi ad avere avuto a disposizione questa risorsa, senza tuttavia valorizzarne al meglio le possibilità. La valorizzazione della specialistica ambulatoriale territoriale non può tuttavia prescindere dalla disponibilità di risorse ad essa dedicate e, parallelamente, dalla presenza di modelli organizzativi forti che siano in grado di rispondere al bisogno di presa in carico e di continuità assistenziale in ambito territoriale. Il modello elaborato dal SUMAI-Piemonte tenta di proporre alla discussione non solo una possibilità organizzativa, ma anche una nuova visione della specialistica ambulatoriale territoriale che veda la stessa come un’importante parte del sistema sanitario, valorizzandone le capacità e le potenzialità nell’ambito di un servizio sanitario più equo, sostenibile e prossimo ai pazienti. medical network 6 | 2013 attualità DALLE REGIONI logi, geriatri, palliativisti, reumatologi, urologi, oculisti, ecc. ecc.) con un numero di ore proporzionato al numero di abitanti residenti in ambito distrettuale. 2)Istituzione a livello di ogni Azienda Sanitaria Locale di una Rete Specialistica Territoriale Aziendale di Specialisti Ambulatoriali Interni articolata in ambito distrettuale in Aggregazioni Funzionali Territoriali ( ex art. 30 bis ACN 2009) denominate “Unità Specialistiche Territoriali”, una per ogni Distretto dell’ASL. L’Unità Specialistica Territoriale , costituisce l’aggregazione operativa di base degli Specialisti Ambulatoriali Interni a livello di ogni singolo Distretto ed il principale riferimento esterno ed interno per le attività di assistenza specialistica territoriale, concorrendo ad assicurare: •l’assistenza specialistica unitamente agli altri operatori sanitari in tutti i setting assistenziali distrettuali (Poliambulatori, RSA, Cure Domiciliari, Centri di Assistenza Primaria, ecc); •la partecipazione alle attività di governance distrettuale (UCAD, ecc); •l’integrazione con i servizi specialistici della Aziende Sanitarie Ospedaliere o i Presidi Ospedalieri presenti nel distretto attraverso specifici protocolli di collaborazione e coordinamento; •la partecipazione alle attività di valutazione del Distretto (UVMD, UVG, ecc); •la partecipazione e collaborazione dei propri Specialisti ambulatoriali Interni alle forme complesse di assistenza primaria attivate a livello distrettuale; •la partecipazione ad attività di rilevamento epidemiologico, di 13 INDAGINE INDAGINE attualità acuradi PescicoloR. Infermiereprofessionale OspedaleLoretoMare; CarboneV.Specialista ambulatorialeSerT DSB33AslNA1centro; CardoneM Dirigentepsicologo SerTDSB33AslNA1 centro; CaraccioloP. Specialista ambulatorialeSerT DSB33AslNA1 CENTRO; FerrettiM.R. Specialista ambulatorialeSerT DSB33AslNA1centro; RussoF.Specialista ambulatorialeSerT DSB33AslNA1centro; IovineA. Infermiere professionaleSerT DSB33AslNA1centro; LimardiA.Dirigente medicoSerTDSB33 AslNA1centro; DelTufoS. ResponsabileSerT DSB33AslNA1centro 14 Il burnout nei professionisti che si occupano di tossicodipendenza Questo studio approfondisce i risvolti psicologici dell’infermiere in particolare, ma anche delle altre figure che operano nella tossicodipendenza, soffermandosi sulle emozioni, i bisogni e le difficoltà che si presentano durante la quotidiana attività lavorativa I l lavoro nel campo delle tossicodipendenze è da sempre considerato pieno di fascino e fondamentale principalmente per il ruolo dell’infermiere, che è il sanitario più a contatto con la persona bisognosa di intervento. Nel prendersi cura dello stato di salute di un paziente, bisogna tenere come orizzonte che ha sempre un ruolo determinante anche la situazione psicologica ed emotiva della persona malata ed anche l’atteggiamento di tutti coloro che con il malato hanno relazione. Questo lavoro vuole approfondire le conoscenze su un argomento che parla dell’emotività e dei risvolti psicologici dell’infermiere in particolare, ma anche degli altri operatori che operano nella tossicodipendenza, soffermandosi su quelle che sono le loro emozioni, i loro bisogni e le loro difficoltà che si presentano durante l’attività lavorativa di tutti i giorni. Lo studio è iniziato con uno scambio di informazioni, idee e sensazioni tra i colleghi del nostro SerT e di quanti operano negli altri presidi che insistono sul territorio napoletano. L’idea è partita dalla considerazione che una buona parte degli operatori dei Sert soffrono di un malessere non ben identificato, qualche volta chiamato stress, di disagi non ben specimedical network 6 | 2013 ficati e del desiderio di essere trasferiti altrove in servizi, però, diversi. L’obiettivo del lavoro è la ricerca di strumenti d’indagine che possano mettere a fuoco lo stato emozionale e i conseguenti comportamenti di resilienza definita dall’American Psichologyst association come: “un processo di buon adattamento davanti all’avversità, al trauma, alla tragedia, alla minaccia o a ogni fonte significativa di stress”. Essa significa un “miglior ritorno dalle esperienze difficili”, definizione data dall’American Psichologyst Association. Negli ultimi anni in Europa si è assistito a un progressivo aumento di studi correlati alle cause di stress e alle patologie stress-correlate nel mondo del lavoro. Molteplici sono gli stati di stress legati ai contesti lavorativi, tra questi oggi spiccano per frequenza ed importanza il mobbing e la sindrome del burnout. Con mobbing, generalmente, si indica la violenza psicologica sul posto di lavoro commessa da superiori con gravi ripercussioni psico-fisiche sul lavoratore; con il termine burnout si indica una vera e propria sindrome che si riscontra in tutte quelle professioni con implicazioni relazionali molto accentuate. Essa è caratterizzata da vere e proprie for- me di esaurimento fisico, sentimenti di impotenza e disperazione, sensazione di vuoto emotivo e da atteggiamenti negativi e, a volte, reazioni apertamente aggressive verso il lavoro, i colleghi, la vita. Di particolare interesse è la sindrome del burnout nel personale della sanità, vista la rilevanza sociale del fenomeno. Il burnout, pertanto, non si presenta come un problema personale che riguarda solamente il soggetto che ne è affetto ma costituisce una "malattia contagiosa", che si propaga dal singolo individuo all'intera organizzazione del servizio sanitario, all'intera utenza e all'intera comunità. Questo fenomeno si può riscontrare in quelle organizzazioni d’aiuto che nascono sulla spinta di una forte idealizzazione poi entrano in una routine frustrante e mettono in atto una organizzazione disfunzionale o patologica. Frequente è il presentarsi di questa eventualità nei servizi di cura per i tossicodipendenti, oggetto di analisi di questo lavoro di tesi. Le terapie attualmente impiegate nella pratica clinica per la cura del singolo soggetto non sono sufficienti a contenere le gravi conseguenze legate al fenomeno. Per tali ragioni è fondamentale intervenire con azioni preventive. Le or- pria inadeguatezza al lavoro, la caduta dell’autostima ed il sentimento di insuccesso nel proprio lavoro (cinismo). Lo stress è il risultato di un rapporto asimmetrico e quindi squilibrato fra risorse personali, ambientali, cognitive, affettive e richieste. Quando le risorse sono di molto inferiori alle richieste fatte o le richieste sono molto inferiori alle risorse, c’è uno squilibrio da cui nascono inizialmente tensioni transitorie. Se lo squilibrio perdura, parliamo di stress che quando diventa cronico, evolve in burnout. Ganster e Schaubroek (1991) definiscono il burnout una tipologia di stress, in particolare, uno schema di reazione emotiva cronica a condizioni lavorative stressanti, caratterizzate da elevate frequenze di contatti interpersonali. McGrath (1976) e Schuler (1980) forniscono una delle migliori definizioni di stress che consente di inquadrare al suo interno il concetto di burnout; per questi autori, lo stress è la condizione dinamica che si verifica quando il soggetto va incontro all’opportunità, all’obbligo o alla richiesta di essere, avere o fare ciò che desidera, ma al stesso tempo percepisce l’incertezza su come realizzare questi risultati importanti. Sotto questa prospettiva, il burnout costituisce un aspetto distintivo dello stress e, in particolare, uno schema di risposte emotive e comportamentali agli stressors lavorativi; “esaurimento emotivo, spersonalizzazione e senso di incapacità che, specificamente, nascono come effetti di richieste lavorative eccessive, soprattutto, di natura interpersonale. Le possibili manifestazioni cliniche del burnout possono essere divise in quattro gruppi (Ispel Dipartimento di Medicina del Lavoro Roma 2008): a) sintomi fisici che comprendono fatica e senso di stanchezza, frequenti mal di testa e disturbi gastrointestinali, raffreddori e influenze, cambiamenti delle abitudini alimentari, insonnia e uso di farmaci; b) sintomi psicologici, quali depressione, scarsa stima di se stesso, senso di colpa, sensazione di fallimento, rab- bia, risentimento, irritabilità, aggressività; c) reazioni comportamentali sul luogo di lavoro, quali assenze e/o ritardi frequenti, alta resistenza ad andare al lavoro quotidianamente, tendenza ad evitare contatti telefonici e a rinviare appuntamenti, scarsa creatività, isolamento, sensazione di immobilismo, sospetti e paure, rigidità di pensiero e resistenza ai cambiamenti; d) cambiamento dell'atteggiamento nei confronti dei destinatari delle sue prestazioni, che si traduce in indifferenza, negativismo, difficoltà nelle relazioni con gli altri, sia sotto l'aspetto professionale sia sotto quello personale, cinismo, atteggiamento colpevolizzante nei confronti degli assistiti e critico nei confronti dei colleghi. La descritta situazione di disagio induce, spesso, il soggetto colpito all'abuso di psicofarmaci e fumo; in alcuni casi è stato osservato anche l’abuso di alcool. (AA. VV., L’operatore cortocircuitato. Ed. CLUP 1987). In determinati settori lavorativi o in determinate attività professionali il lavoro della persona non costituisce una semplice produzione di beni/servizi come si può descrivere in particolar modo nel lavoro terapeutico, assistenziale ed educativo. Il lavoro in questi casi si presenta come un complesso di processi, di servizi, che si intrecciano necessariamente con i vissuti dolorosi del limite, dell'incertezza, e con il timore della malattia e della morte ovvero dell'inutilità della propria opera. Nel lavoro sanitario la sofferenza evoca nei pazienti istanze emotive primarie, richieste regressive, mentre negli operatori sanitari evoca desideri di "salvezza onnipotente", sentimenti di ostilità, insofferenza, angosce persecutorie ed aggressività. I professionisti dell'ausilio (medici, infermieri, assistenti sociali, insegnanti, ecc.), nonostante allo stato dispongano nella loro attività professionale di tecnologie avanzate, non possono prescindere dalla relazione tra persone, tra chi richiede e chi offre un aiuto, e devono soggiacere allo medical network 6 | 2013 attualità INDAGINE ganizzazioni lavorative in ambito sanitario dovrebbero farsi carico di fornire a tutti gli operatori sanitari la formazione e le informazioni necessarie ad approfondire il pericolo di insorgenza della sindrome del burnout e di organizzare appositi seminari formativi sull'argomento, nonché monitorare accuratamente e costantemente il proprio personale sanitario mediante la distribuzione di appositi questionari e gestendone in modo idoneo la valutazione. Questo lavoro ha lo scopo di valutare i livelli di burnout, di ansia e depressione e il grado di soddisfazione lavorativa dei professionisti della salute che si occupano di tossicodipendenza. La sindrome da burnout quindi, è strettamente legata alle professioni d'aiuto. Queste sono le professioni che si occupano di aiutare il prossimo nella sfera sociale, psicologica, etc. Si parla quindi di infermieri, medici, psicologi, psichiatri, assistenti sociali, sacerdoti, insegnanti ecc. Gli studi più approfonditi sul burnout in sanità sono stati condotti negli anni ottanta dalla psicologa americana Christine Maslach che ha evidenziato come, in questa situazione, non sia tanto lo stress ad assumere una valenza di barriera difensiva bensì la sua conversione in atteggiamenti di distacco emozionale e di meccanicità comportamentale dell'operatore (C. Maslach, 1982). Le manifestazioni psicologiche e comportamentali sono raggruppabili in tre componenti: a) l'esaurimento emotivo consiste nel sentimento di essere emotivamente svuotato e annullato dal proprio lavoro, per effetto di un inaridimento emotivo del rapporto con gli altri, calano le energie; b) la depersonalizzazione, che si presenta come un atteggiamento di allontanamento e di rifiuto nei confronti di coloro che richiedono o ricevono la prestazione professionale, il servizio o la cura, come perdita della capacità empatica e rigidità nell’imparare e applicare regole; c) la ridotta realizzazione personale, che riguarda la percezione della pro- 15 INDAGINE attualità 16 squilibrio o asimmetria che tutto questo comporta. Il burnout può verificarsi sotto l'aspetto degli ambiti operativi sia nel lavoro subordinato (es. rapporto di lavoro contrattualizzato alle dipendenze di una azienda sanitaria), sia nel lavoro parasubordinato (es. rapporto convenzionale come medico specialista con una azienda sanitaria), sia nel lavoro non retribuito (es. il variegato mondo del volontariato). Il processo di insorgenza della sindrome del burnout negli operatori sanitari si sviluppa generalmente in quattro fasi distinte: La prima, la preparatoria, è quella che nasce dall’ entusiasmo idealistico ed è caratterizzata dalle motivazioni che hanno indotto gli operatori a scegliere un lavoro di tipo assistenziale e altruistico. La seconda, quella di stagnazione, è la fase in cui il lavoro non soddisfa del tutto i bisogni dell'operatore sanitario, per cui si passa da un notevole entusiasmo iniziale ad un graduale disimpegno. Ciò determina a poco a poco nell'operatore una forma di chiusura nei confronti dell'intero ambiente di lavoro e dei colleghi; Nella terza fase, quella della frustrazione, il soggetto sente di non essere in grado di aiutare più nessuno e ciò si accompagna all’assenza di risposta alle continue richieste d’aiuto dell’utenza. Possono intervenire, a questo punto, quali fattori di frustrazione aggiuntivi: lo scarso apprezzamento da parte dei superiori, dei colleghi e degli utenti, oltre alla convinzione, del tutto personale, di una inadeguata formazione professionale per il tipo di attività svolta. Il soggetto frustrato può assumere atteggiamenti aggressivi (verso se stesso o verso gli altri) mettendo spesso in atto comportamenti di fuga, quali allontanamenti ingiustificati dal posto di lavoro, pause prolungate, frequenti assenze per malattia. Il graduale disimpegno emozionale conseguente alla frustrazione, con passaggio dall’empatia all’apatia, costituisce la quarta fase, durante la quale spesso si assiste ad una vera e promedical network 6 | 2013 pria morte professionale. Il burnout non si presenta, dunque, alla ribalta del servizio sanitario come un problema che riguarda il singolo individuo ma si estende all'intera organizzazione del servizio sanitario, all'intera utenza e all’ intera comunità. Le gravi conseguenze che ne derivano possono essere schematizzate in tre livelli di impatto (C. Maslach et Leiter, 2000): a) il livello degli operatori sanitari che pagano gli effetti del burnout sul piano personale, anche attraverso gravi somatizzazioni, ma soprattutto attraverso dispersione di risorse, frustrazioni e sottoutilizzazioni del potenziale; b) il livello dell'utenza, per cui i contatti degli utilizzatori del servizio sanitario con gli operatori affetti da burnout risulta frustrante, inefficace e dannoso; c) il livello della comunità servita in generale che vede svanire forti investimenti nei servizi del welfare. Quanto ai fattori di rischio del burnout3 la letteratura si è espressa in modo diversificato nel corso degli anni con riferimento all'approfondimento della problematica e all'evidenziazione dei possibili rimedi. I fattori potenzialmente presenti in tutti gli ambiti lavorativi possono essere ricondotti a tre grandi variabili: •variabili organizzative, che riguardano sia l'ambiente lavorativo, sia le modalità di funzionamento di una attività sanitaria. Quali possibili cause del burnout, nell’ambito delle variabili organizzative, sono state individuate ben sei discrepanze principali tra le persone e il mondo del lavoro (Maslach, op.cit.); •sovraccarico di lavoro; •mancanza di controllo; •remunerazione insufficiente rispetto al tipo e al carico di lavoro; •crollo del senso di appartenenza alla categoria professionale e/o all’organizzazione; •assenza di equità; •valori contrastanti; •variabili individuali, concernenti le caratteristiche personali di ciascu- no. Fattori, legati ai singoli soggetti, che predispongono al burnout sono: l'ansia nevrotica propria di quelle persone che si pongono grandi obiettivi che difficilmente riescono a raggiungere; uno stile di vita attivo e competitivo; una rigidità mentale che non consente la capacità di adattarsi alle richieste sempre mutevoli dell'ambiente esterno; l'introversione, ossia la tendenza a isolarsi, ad evitare il confronto diretto con gli altri, siano essi colleghi, superiori o utenti. In questo quadro, giocano infatti quali fattori negativi il basso livello di autostima, la bassa soglia di tolleranza alle frustrazioni, una elevata sensibilità e forti sentimenti di inadeguatezza; •variabili socio-culturali che si concretizzano nella disgregazione del tessuto sociale che porta ad un grave aumento delle varie forme di disagio psicosociale e quindi un aumento della domanda ai servizi. In questo contesto gli operatori si trovano a fronteggiare un maggior numero di utenti con maggiori problemi, spesso senza un proporzionale aumento delle risorse a loro disposizione. MATERIALI E METODI Allo scopo di valutare il burnout negli Operatori sanitari delle Tossicodipendenze della ASL NA1 CENTRO sono stati distribuiti circa 200 questionari, previa autorizzazione del Direttore Generale della ASL NA 1 Centro. Gli operatori a cui sono stati consegnati a mano i questionari sono impegnati nei servizi per tossicodipendenze e, nella fattispecie sono medici, infermieri, assistenti sociali e sociologi. Dei 200 operatori a cui sono stati consegnati i questionari, 95 hanno preferito non rispondere per motivi personali, 15 li hanno compilati solo in parte e, pertanto, non sono stati considerati per il nostro studio. Sono stati restituiti 90 questionari completi, autocompilati, in forma anonima. Il campione era costituito da siderio di successo nel lavorare con gli altri. 2) il General Health Questionnaire (GHQ-12) (Goldberg, 1972), nella versione italiana già validata (Piccinelli M, Bisoffi G et al 1993) con 12 domande, relative alle ultime settimane. Dalla somma dei singoli valori (si=1 no=0), ottenuti dopo dicotomizzazione delle risposte, si calcola un punteggio totale, compreso tra 0 e 12: soggetti con punteggio uguale o superiore a 4 sono considerati operativamente “casi al GHQ-12”, ossia hanno una probabilità superiore all’80% di avere disturbi psichiatrici, quali ansia e depressione. 3) un questionario sulla soddisfazione lavorativa, composto da 14 domande, modificato rispetto ad un analogo strumento, già validato (Gigantesco A., Picardi A. et al. 2003). Sono stati analizzati aspetti differenti, tra cui il giudizio su: spazi e strumenti; circolazione delle informazioni e comunicazione; esigenze formative; ruolo dei dirigenti; gestione dell’Unità Operativa (U.O.) di appartenenza. Si è chiesto, inoltre, a tutti gli intervistati di esprimere un giudizio complessivo sulla qualità di vita lavorativa, su una scala analogica, con un voto compreso tra 0 e 6. I dati, poi sono stati elaborati, tenendo presente i valori medi rilevati e classificandoli come basso (da 0 a 2), medio (3-4) e alto (5-6). Per l’identificazione delle variabili predittive di esaurimento emotivo è stata effettuata un’analisi mediante regressione logistica multipla, comprendendo i dati demografici (età, sesso, durata d’impiego, ruolo, titolo di studio, formazione specifica per le dipendenze) e l’essere o meno soddisfatto della propria qualità di vita lavorativa o presentare stress, esaurimento emotivo, depersonalizzazione, derealizzazione professionale. I risultati sono espressi sotto forma di Odds Ratio (OR) con intervalli di confidenza al 95% (IC 95%). Per l’analisi statistica nel presente studio è stato utilizzato il pacchetto STATA 12.0 (STATA Corp., College Station,TX USA). Sono state considerate differenze statisticamente significati- ve quelle con un valore di p < 0.05. La ricerca si è arricchita anche intervistando, in maniera interlocutoria, gli stessi Operatori e raccogliendo dati ed anche fatti che risultavano determinanti per questo studio. Sono stati intervistati circa 80 professionisti dei servizi delle tossicodipendenze. Le domande fatte erano per lo più le stesse del questionario somministrato. RISULTATI Sono stati inviati circa 200 questionari agli Operatori delle Tossicodipendenze (medici, infermieri, assistenti sociali, psicologi, sociologi) che lavorano nel territorio della città di Napoli. I rispondenti sono stati 90. L’età media di questi è 50,5 anni (min 34 max 63). Il 51% sono maschi, il 49% femmine, il 21% degli intervistati ha come titolo di studio un Diploma di Scuola Media Superiore, il 22,2% una Laurea triennale, il 21% una Laurea Magistrale (Laurea in Medicina e Chirurgia o Psicologia) e il 36,67% ha un titolo di specializzazione. Il 53% degli Operatori dichiara di aver concluso una formazione specifica per le tossicodipendenze. Del nostro campione il 26,7% sono Medici, il 22,2% Psicologi, il 35,56% Infermieri, l’11,1% Assistenti Sociali e il 4,5% Sociologi (tab.4.1). Il 73% degli intervistati è coniugato, il 76,4% ha figli. Gli anni lavorativi medi sono 16,7, con un minimo di 1 e un massimo di 36. Dei 90 questionari, 10 provengono dal SerT DSB32, 10 dal SerT DSB 24, 9 dal SerT DSB 31, 12 dal nostro SerT DSB 33, 8 dal SerT DSB 35, 10 dal Sert DSB 29, 10 dal SerT DSB 27, 12 dal SerT DSB 28 e 9 dal SerT DSB 30. Per quanto riguarda il burnout i risultati hanno evidenziato un EE basso nel 43% dei rispondenti, medio nel 24,44% e alto nel 32,22%. Il 21% presenta una bassa derealizzazione professionale (alto burnout), il 27% media, il 51% alta (tab.4.2). Il livello di Depersonalizzazione era basso nel 21,11% dei casi, medio nel 48,89% e alto solo per il 30% degli intervistati. IL GHQ-12 individua l’85% degli opemedical network 6 | 2013 attualità INDAGINE tutto il personale dei SerT dell’ASL NA1 CENTRO e l’indagine si è svolta nel mese di Ottobre 2012. Oltre ad una raccolta di dati demografici e lavorativi essenziali (età, sesso, durata d’impiego), il questionario presenta tre sezioni: 1) la versione italiana del questionario MBI , composto da 22 domande, che identificano tre sottoscale indipendenti: il burnout si evidenzia con il riscontro di punteggi superiori alla soglia di riferimento in una delle prime due, Esaurimento emotivo (EE) e Depersonalizzazione (DP), o di valori inferiori alla soglia nella terza sottoscala, Realizzazione Professionale (RP). Sono stati utilizzati come livelli-soglia e punteggi medi di riferimento quelli ottenuti da una popolazione di operatori sanitari (operatori servizi sociali, medici e infermieri) (Sirigatti S, Stefanile C, Firenze 1993). I livelli soglia di riferimento sono: per l’esaurimento da 0 a 14 basso, da 15 a 23 medio, da 24 o più, elevato; per la depersonalizzazione da 0 a 3 basso, da 4 a 8 medio, da 9 o più, elevato; realizzazione professionale da 37 o più basso, da 30 a 36 medio, da 0 a 29 elevato. (Maslach, op. cit.) La frequenza con cui il soggetto sottoposto al test prova le sensazioni relative a ciascuna scala è saggiata usando una modalità di risposta a 6 punti, i cui estremi sono definiti da “mai” ed “ogni giorno”. Inoltre il MBI concepisce il burnout non come una variabile dicotomica che può essere soltanto presente o assente, ma piuttosto come una variabile continua che rispecchia i diversi livelli dei sentimenti in gioco. Più precisamente. Esaurimento emotivo: •esamina la sensazione di essere inaridito emotivamente ed esaurito dal proprio lavoro. •Depersonalizzazione: •misura una risposta fredda ed impersonale nei confronti degli utenti del proprio servizio. Realizzazione personale: •valuta la sensazione relativa alla propria competenza e al proprio de- 17 INDAGINE attualità 18 ratori come non stressato, mentre solo il 15,56% degli intervistati risulta stressato (tab.4.3). Per quanto riguarda l’atteggiamento professionale e l’opinione sulla struttura in cui si lavora, risulta di medio livello nel 58,9% degli intervistati (né positivo né negativo), basso nel 20% e alto nel 21% dei casi (Tab.4.4). I risultati statisticamente significativi (p<0.05) della regressione logistica multipla evidenziano una correlazione negativa tra l’essere esauriti e trovare positivo il clima di lavoro, una correlazione positiva tra esaurimento emotivo ed essere depersonalizzato e stressato (Tab 4.5). Per quanto riguarda gli operatori del nostro SerT DSB33 ASL NA 1 CEN- TRO, l’età media è 47,5 anni, gli anni di servizio nel campo delle tossicodipendenze sono in media 13, il 50% ha un elevato grado di esaurimento emotivo, il 66,7% un elevato grado di derealizzazione, nessuno è stressato. Il livello di derealizzazione è di grado medio nel 58% dei casi. Nel SerT DSB 32, invece il 50% dei rispondenti ha un basso grado di esaurimento, ma circa il 50% manifesta elevata depersonalizzazione e derealizzazione. Dividendo invece gli intervistati per categorie, il 43% dei Medici ha un elevato esaurimento emotivo, il 40% elevata derealizzazione, il 31% elevata depersonalizzazione. Solo il 15% si dichiara stressato. Tab. 4.1 Tab. 4.2 Tab. 4.3 Tab. 4.4 medical network 6 | 2013 Il 45% degli Psicologi presenta elevato esaurimento emotivo, il 40% elevata derealizzazione e il 20% elevata depersonalizzazione. Solo il 20% si dichiara stressato. Per quanto riguarda gli Infermieri, solo il 18% presenta un elevato livello di esaurimento emotivo, ma il 56,25% sono molto derealizzati, il 31% molto depersonalizzati. Solo il 9% si dichiara stressato, mentre il clima lavorativo viene biasimato solo dal 21%.Il 28% degli Assistenti Sociali e Sociologi ha un elevato esaurimento emotivo, il 71% molto derealizzato e il 21% presenta elevata depersonalizzazione. Circa il 30% è stressato e il 28% trova pessimo il clima lavorativo (tab.4.6). to professionale e Tab. 4.6 l’opinione sulla struttura in cui si lavora è di medio-alto livello per l’80% degli intervistati. Evidentemente gli operatori dei SerT, pur nel loro inconscio, sono speranzosi di cambiare servizio, dato che la maggior parte non lo ha scelto personalmente, ma si è trovato, almeno nella nostra città a dover accettare per mancanza di alternativa; anche se derealizzati, depersonalizzati, esauriti, si rendono conto in un momento di crisi economica come quella attuale, che il solo fatto di avere un lavoro e di lavorare in una struttura pubblica, più o meno ben organizzata e con uno stipendio assicurato risulta allo stato attuale un privilegio e accettano di buon grado i disagi. Inoltre il livello di cultura e di professionalità della stragrande maggioranza degli operatori garantisce quasi sempre un buon livello delle prestazioni e un discreto gradimento da parte dei pazienti. Il dato di esaurimento e derealizzazione segnalato dagli operatori del SerT DSB33 assai superiore rispetto alla media dei 90 questionari può essere attribuito a una maggiore sincerità dei colleghi, dati i rapporti anche di amicizia nei confronti del candidato, che, magari, portano maggiore attenzione e veridicità nelle risposte, oppure può essere attribuito all’età elevata di alcuni operatori o ancora alla presenza di gruppi contrapposti di operatori che si fronteggiano fra di loro creando conflitti e malcon- Tab 4.5 clima esauri stress _cons Odds | .5175124 6.255419 6.235975 Ratio .1685299 6.917959 2.711214 depers stress cons 2.425324 12.54881 .3930171 .8429148 13.57691 .1724115 Std. Err. z -2.02 0.043 1.66 0.097 4.21 0.000 2.55 2.34 -2.13 0.011 0.019 0.033 P>|z| .273353 .7159788 2.659669 1.227261 1.505442 .1663414 attualità tento oltre ai soliti malintesi che si creano fra figure professionali diverse. Per quanto riguarda la categoria degli Infermieri, solo il 18% ha elevato esaurimento. La maggior parte di questi, che hanno frequentato ospedali così disagiati come quelli della nostra città, ben noti alla cronaca di quotidiani anche di tiratura nazionale, si rende conto di essere privilegiato rispetto ai colleghi che vi lavorano ancora, ma ciò non evita che quasi il 60% si senta derealizzato, probabilmente per motivi contrapposti ai precedenti, ovvero che ci si rende conto che il lavoro nei nosocomi o nelle strutture universitarie è più apprezzato socialmente, principalmente al sud-Italia, dove il basso livello culturale della popolazione media fa sì che i tossicodipendenti vengano considerati “pazienti” di serie b. Un’ultima notazione di colore, tra le domande sull’atteggiamento professionale e opinione sulla struttura in cui si lavora, vi era quella se lo stipendio fosse ritenuto soddisfacente: è chiaro che la risposta della stragrande maggioranza (92%) degli intervistati è risultata negativa. Il risultato del lavoro di ricerca svela quanto il tema proposto sia più o meno ac[95% Conf. Interval] cettato dagli operatori impegnati quotidia.9797557 54.65282 namente. Si è potuto 14.62114 notare, però, una cer4.792946 ta “resistenza”, nel 104.6023 collaborare allo stu.9285867 dio da parte di alcuni medical network 6 | 2013 INDAGINE CONCLUSIONI I risultati evidenziano un burnout di livello medio nella maggior parte degli intervistati, dato tutto sommato positivo se paragonato ad altri dati riguardanti le strutture SerT. Gli Operatori delle tossicodipendenze, infatti, sono tra quelli più a rischio di aggressioni da parte dei pazienti e soprattutto si trovano a contatto con pazienti il più delle volte malati cronici, con malattie infettive gravissime (HIV, HCV) e proprio per questo poco propensi a istaurare un vero rapporto di collaborazione con il terapeuta (esempio articolo de “Il Giornale di Agrigento 18 ottobre 2011). Molto spesso, dunque, gli operatori delle Tossicodipendenze, se Medici o Infermieri, interagiscono con pazienti che li considerano meri dispensatori di farmaci, se Psicologi e Assistenti Sociali, con pazienti demotivati e che frequentano il SerT principalmente per evitare problemi giudiziari o per eventuali sconti di pena. L’aumento dei pazienti alcolisti, ultimamente, ancora speranzosi di uscire dal tunnel, più seguiti dalle famiglie e più inclini ad instaurare un rapporto col Medico e lo Psicologo ha portato una ventata nuova tra gli operatori SerT, che si sentono più motivati e in un certo senso più “terapeuti”. Un alto dato da segnalare è il basso livello di stress (solo il 15%) degli intervistati. In questo caso le interpretazioni possibili sono varie, la più buonista, che i SerT non sono strutture così terribili come vengono descritte e che una buona organizzazione rende più facile il lavoro per tutti, la più cattiva, invece, che gli operatori delle strutture SerT, rendendosi conto di avere a che fare con pazienti che non si aspettano chissà quale aiuto, non si sprecano più di tanto. L’atteggiamen- 19 INDAGINE attualità 20 operatori. I livelli di potenziale burnout registrati nella parte quantitativa della ricerca (questionario “Burnout Potential Inventory”) sono tutt’altro che indifferenti e ci permettono, diversificando tra i differenti servizi, di porre in essere alcune considerazioni. L’ipotesi centrale del progetto di ricerca verte nel capire se uno strumento preventivo qual è la “formazione” possa essere importante per prevenire la sindrome di esaurimento emozionale e di depersonalizzazione propria del burnout. Col sostegno dei dati raccolti, si può affermare che dove lo strumento formativo è stato applicato attraverso semplici corsi sul tema oggetto di ricerca, i livelli di potenziale burnout sono notevolmente inferiori se confrontati a quelli rilevati dove quest’intervento non sia stato operato. In aggiunta a questa considerazione, va rilevato che a prescindere dal risultato complessivo dei questionari, il 18% degli Infermieri presenta un livello medio-alto di rischio per l’indicatore “straripamento”, ossia quanto il lavoro diventa intrusivo nella propria vita privata. Una buona parte degli Infermieri quindi “porta a casa” le emozioni, l’ansia e la tensione lavorativa, con il rischio di avere serie ripercussioni negative nelle relazioni familiari. Dalla triangolazione dei dati, cioè con le informazioni ottenute anche attraverso ricerca qualitativa (intervista), si conferma che la formazione postbase sia importante ed ha un ruolo eminente. Sono stati, infatti, intervistati dallo scrivente ben 80 Operatori Sanitari dei servizi per Tossicodipendenza e oltre il 50% di essi ha risposto in maniera inequivocabile. Si può osservare ciò, da quanto espresso dagli stessi infermieri come elemento cardine in merito alle strategie personali di coping ed è altrettanto vigorosamente proposta come soluzione preventiva. Inoltre, gli infermieri sentono la necessità di condividere con la propria équipe le emozioni provate durante gli eventi, tramite semplici colloqui o, nei casi più complicati, atmedical network 6 | 2013 traverso contesti strutturati come il “debriefing”. Da non sottovalutare, ancora, la richiesta di diversi operatori di avere la possibilità di accedere ad una figura professionale di supporto psicologico come il Counsellor, nel caso in cui gli strumenti esposti in precedenza non fossero sufficienti a far integrare l’esperienza nel vissuto personale dell’Infermiere. Uno spunto per una successiva ricerca potrebbe essere definire quanto sia conveniente per le Aziende Ospedaliere correre il rischio di burnout. A fronte d’impegni umani ed economici da mettere in campo per supportare i professionisti dell’emergenza-urgenza a prevenire o risolvere queste difficoltà professionali, occorre considerare le ricadute economiche derivanti dalle situazioni sopra descritte di disagio sul lavoro, in termini di malattie, assenze, scarsa qualità del servizio o addirittura in trasferimenti o dimissioni di persone caratterizzate da una professionalità elevata, costata tempo, fatica, ed investimenti economici pubblici. BIBLIOGRAFIA • American MedicalAssociation. Comunicare col tuo staff 2006. • AA.VV. L’operatore cortocircuitato. Clup, Milano 1987. • Brittany Landrum, et al. 2011. “The impact of organizational stress and burnout on client engagement” Institute of Behavioral Research, Texas Christian University (TCU), Fort Worth, TX 76129, USA Received 8 June 2011; received in revised form 14 September 2011; accepted 18 October • Broome K. M., Flynn, Knight P. M., D. K., & Simpson, D. D. 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Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia; Vol. 31, N. 1: A36-A44 SIFOP Meno risorse da un lato e maggiore richiesta di prestazioni dall’altro costringono il medico a scelte che devono essere clinicamente efficaci ed economicamente sostenibili. Universitari, specialisti ospedalieri e ambulatoriali insieme per confrontarsi sulle problematiche emergenti, da affrontare in chiave multisciplinare I l 5 dicembre scorso, a Pescara, si è svolto presso la Sala “F. P. Tosti” – Ex Aurum il 1° Corso regionale di aggiornamento SIFoP della Regione Abruzzo, dal titolo: “Terapia antiaggregante ed anticoagulante nella pratica clinica tra linee guida, protocolli clinici e sostenibilità economica”. Il Convegno, proposto e realizzato dalla segreteria regionale SIFoP, si è svolto durante l’intera giornata, ed ha visto la partecipazione di 50 specialisti ambulatoriali. I lavori congressuali sono stati introdotti dalle relazioni di presentazione del Segretario regionale Sumai Franco Longhi e dal Responsabile regionale Sifop Gabriele Catena. L’incontro ha fornito un aggiornamento, caratterizzato dalla contemporanea presenza di esperti di livello universitario e di specialisti ospedalieri ed ambulatoriali, al fine di consentire una visione globale e dialettica delle problematiche emergenti, affrontate in chiave multisciplinare. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una sensibile riduzione delle risorse in campo sanitario e, per contro, ad una maggiore richiesta di prestazioni da parte dei pazienti. Queste due componenti, spesso in contrasto tra loro, costringono frequentemente il medico ad operare delle scelte che siano efficaci non solo dal punto di vista dell'effetto clinico dei farmaci, ma, anche nel rispetto della sostenibilità economica e delle imposizioni di carattere ragionieristico, operate dagli Enti Regolatori. Il convegno, è stato strutturato con l’obiettivo di aprire un dialogo costruttivo tra gli specialisti delle diverse branche al fine di sviluppare una tematica di grande impatto clinico e sociale, con importanti ripercussioni nel campo della prevenzione, ma anche della spesa sanitaria, quale l'utilizzo della terapia antiaggregante e l'uso dei nuovi farmaci anticoagulanti orali. Altro aspetto di carattere pratico, sviluppato nel corso, è stato quello relativo al sovrapporsi di più patologie nello stesso paziente, ed alle possibili interazioni tra farmaci; elementi, questi ultimi, che si ritrovano poi nel mondo reale (più che nei trials di riferimento). Infine, una parte dei lavori è stata dedicata all’appropriatezza prescrittiva ed alla possibile salvaguardia delle risorse economiche, attraverso relazioni di economia sanitaria. In considerazione del riscontro ottenuto, e dalla richiesta dei colleghi, il corso (che era a numero chiuso) sarà replicato nella primavera dell’anno 2014; e sarà seguito, nel corso dell’anno, da altre iniziative di aggiornamento scientifico multidisciplinare. medical network 6 | 2013 scienza e ricerca SIFOP A Pescara il primo corso di aggiornamento regionale Sifop A cura di Franco Longhi, segretario regionale Sumai Abruzzo Gabriele Catena, responsabile regionale Sifop Abruzzo 21 SPECIALE CONGRESSO SIFOP/2 SPECIALECONGRESSOSIFOP scienza e ricerca 22 Nuove prospettive assistenziali nella specialistica ambulatoriale Pubblichiamo la seconda parte di abstract presentati dai relatori nel corso del Congresso Sifop tenutosi in Sicilia “I l XII Congresso Nazionale della SIFoP dal titolo “Nuove prospettive assistenziali nella specialistica ambulatoriale” si è tenuto ad Acicastello (CT) dal 7 al 9 ottobre 2013. Sono stati affrontati temi attuali quali quelli relativi all’assistenza ai malati terminali, alla terapia del dolore e all’aderenza al trattamento terapeutico, oltre ad un corso sulle novità in Odontoiatria ambulatoriale. Gli argomenti trattati hanno suscitato enorme interesse fra i colleghi intervenuti e, per tale motivo, pubblichiamo una breve sintesi delle relazioni. Sul sito della Società www.sifop.it sono visualizzabili tutte le slide proiettate in occasione dell’Incontro.” Neurofisiopatologia del dolore acuto e cronico L e basi anatomo-fisiologiche del dolore prendono corpo nel sistema nocicettivo, costituito dalle strutture nervose periferiche e centrali deputate alla trasduzione, trasmissione, integrazione, elaborazione e modulazione di stimoli nocicettivi o impulsi, originanti direttamente all’interno del sistema nervoso, percepiti come dolore. Il sistema nocicettivo, con le sue connessioni con altre parti del sistema nervoso, ha una funzione di protezione dell’organismo che permette di elicitare risposte fisiologiche al dolore, volte al suo allontanamento-limitazione, come i riflessi nocicettivi, sia motori (fuga e flessione dell’arto) che vegetativi (tachicardia, vasocostrizione). L’anatomia del sistema somato-sensoriale e in particolare nocicettivo, permette la localizzazione del dolore e, il più delle volte, l’individuazione della sede di lesione, qualora la sofferenza medical network 6 | 2013 Marco Lacerenza, Resp. Centro Medicina del Dolore, Casa di Cura “S.Pio X”, Milano origini nel sistema nervoso. Le caratteristiche anatomo-fisiologiche delle fibre nervose sensitive periferiche permettono di attribuire un disturbo sensitivo al selettivo coinvolgimento di una specifica tipologia di fibra nervosa. I nocicettori sono le terminazioni periferiche specializzate delle fibre afferenti primarie che veicolano il dolore. Queste fibre nervose di piccolo calibro originano da neuroni sensitivi di I ordine (Drgn) che risiedono nei gangli delle radici posteriori del midollo spinale o nei gangli dei nervi cranici: si distinguono in fibre mielinizzate di piccolo calibro o fibre Aδ e fibre amieliniche o fibre C, secondo la classificazione di Erlangen e Gasser. Il dolore si differenzia in acuto o cronico in relazione alla durata. Il dolore acuto è generato da una cascata di eventi, nocicettivi e comportamentali, innescati da un danno tissutale o dalla minaccia di tale danno. Questo fenomeno generalmente si risolve in pochi giorni o settimane e con la riparazione del danno scompare il dolore. Se le risposte endogene di soppressione del dolore non vengono attuate ci può essere l’evoluzione in dolore cronico. Si definisce cronico un dolore che ha una durata superiore ai 3-6 mesi. Il dolore neuropatico è una delle cause più frequenti di cronicizzazione del dolore e resta una delle condizioni più difficili da trattare nella pratica medica. La letteratura scientifica documenta che il dolore neuropatico periferico si riesce a curare in modo efficace (riduzione maggiore o uguale Trattamento del dolore nella specialistica ambulatoriale Giuseppe Nielfi, USC ORL Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII, Bergamo al 50%) in meno del 50% dei pazienti trattati. La recente nuova definizione di dolore neuropatico “Dolore che insorge come conseguenza diretta di una lesione o malattia che colpisce il sistema somato-sensoriale” (Treede et al. 2008) affina la possibilità di fare questa diagnosi limitando gli errori diagnostici. L’importanza di differenziare il dolore neuropatico dal nocicettivo risiede nella sostanziale differenza dei meccanismi fisiopatologici sottostanti che nella pratica clinica si esprime con una risposta terapeutica a farmaci differenti. Ad esempio i farmaci antiinfiammatori non steroidei, cosi efficaci sul dolore nocicettivo/infiammatorio, non hanno alcun effetto sul dolore neuropatico. Nell’arco degli ultimi 15 anni si è dibattuto lungamente sulla possibilità di effettuare trattamenti specifici mirati al meccanismo fisiopatologico alla base del dolore neuropatico con alterne opinioni. La ricerca clinica coniugata ai risultati ottenuti dalla sperimentazione animale sostengono questo obiettivo anche se al momento non esistono ancora chiare evidenze a supporto. Le più recenti tendenze della ricerca clinica e sperimentale suggeriscono trattamenti farmacologici combinati per cercare di aggredire i differenti meccanismi fisiopatologici del dolore sfruttando gli effetti sinergici delle differenti molecole a nostra disposizione. a legge 38/2010, una delle più avanzate al mondo in tema di gestione del dolore cronico, definisce il modello assistenziale sia ospedaliero che territoriale con la individuazione degli Hospices (per le cure palliative ai malati terminali), la creazione di centri Hub e centri Spoke (per l’assistenza ai pazienti affetti da dolore cronico) e la relativa integrazione con la medicina del territorio, introduce criteri di appropriatezza terapeutica e prescrive un percorso formativo specifico per gli operatori sanitari. Il trattamento del dolore cronico si fonda sulla terapia farmacologica, attualmente sbilanciata verso un uso eccessivo ed inappropriato dei Fans, anche nel dolore mediosevero; la Ebm promuove invece l’uso degli oppioidi deboli e forti nel dolore medio e severo. Le dimensioni del problema dolore, che investe un quarto della popolazione italiana, con alti costi indiretti sociali (assenza dal lavoro, invalidità, qualità della vita) impongono un approccio corale che coinvolga tutti gli attori della medicina del territorio. La specialistica ambulatoriale, così capillarmente diffusa, svolge un ruolo cruciale, punto di primo contatto ed accesso al Ssn da parte del malato; è evidente quindi la necessità di definire e realizzare un percorso formativo degli operatori in tema di conoscenza del modello organizzativo, dei percorsi diagnostici, dell’uso appropriato dei farmaci a disposizione, dato che ancora oggi la maggior parte degli operatori non ha una conoscenza adeguata della legge 38. Prevenzione e management delle lesioni orali e maxillo-facciali da chemio/radio-terapia, bisfosfonati o anti-angiogenetici in pazienti oncologici Prof. Giuseppina Campisi, Resp. Settore Medicina Orale “V. Margiotta”, Palermo L e cure oncologiche, dalla chemioterapia alla terapia radiante e alla somministrazione di alcuni farmaci (e.g. bisfosfonati, antiangiogenetici), sebbene siano sempre più efficaci per la cura primaria del tumore, sia nella terapia associata all’intervento chirurgico sia come trattamento palliativo per il prolungamento della sopravvivenza dei pazienti, purtroppo sono anche in grado di produrre effetti negativi e compromettere in modo rilevante la salute, il benessere, l'esito delle terapie durante la fase di cura e la qualità della vita al termine delle cure, anche una volta che il tumore sia temporaneamente o definitivamente guarito; in particolare, nel cavo orale possono dar luogo all’insor- genza di eventi avversi vari. Tra questi, i principali sono la mucosite, la disgeusia, la secchezza orale, la disfagia, le infezioni opportunistiche, l'osteonecrosi dei mascellari da radiazioni o da farmaci, le compromissioni dentali e parodontali. Questi eventi provocano in misura maggiore o minore la compromissione delle funzioni orali di deglutizione, masticazione e fonazione La prevenzione delle lesioni e il loro trattamento rappresentano uno degli obiettivi da perseguire da parte dell’odontoiatra e del medico orale che in collaborazione con l’oncologo e il radioterapista devono cooperare per migliorare la qualità di vita del paziente oncologico prima, durante e dopo le cure oncologiche. medical network 6 | 2013 scienza e ricerca SPECIALECONGRESSOSIFOP L 23 PREVIDENZA PREVIDENZA rubriche di Paolo Quarto 24 La nuova normativa del fondo ambulatoriali La pensione dei medici transitati a rapporto di dipendenza D opo aver descritto nel precedente articolo le nuove modalità di calcolo della pensione degli specialisti ambulatoriali a rapporto di convenzione, dobbiamo ora illustrare il sistema di calcolo delle prestazioni previdenziali per l’altra categoria di iscritti al Fondo, costituita dai medici ex convenzionati che a partire dal 2000 hanno scelto di passare a rapporto di dipendenza con il S.S.N. ed hanno però optato per il mantenimento della posizione contributiva presso il Fondo Ambulatoriali. Come abbiamo già visto nei precedenti articoli, per i tali medici, cosiddetti “transitati”, la contribuzione al Fondo è stata ed è attualmente versata dalle ASL in misura notevolmente superiore (32,65%) rispetto a quella degli specialisti convenzionati (24%) e degli addetti alla medicina dei servizi (24,5%). La nuova normativa in vigore dal 1° gennaio 2013 ha pertanto previsto per queste due ultime categorie di iscritti, l’innalzamento graduale, a partire dal 2015, dell’attuale aliquota di in ragione di un punto percentuale ad anno, in modo da allinearla a quella dei transitati. La misura del 32,65% raggiunta a regime, nel 2022, anche dai convenzionati, costituirà l’aliquota contributiva identica per tutti gli iscritti al Fondo. La nuova normativa ha anche stamedical network 6 | 2013 bilito che i requisiti per maturare la pensione di vecchiaia o per anticipare il pensionamento siano identici per tutte le categorie di iscritti al Fondo. Pertanto anche per i transitati valgono, dal 2013, le stesse regole che abbiamo illustrato per gli specialisti convenzionati: il pensionamento può avvenire all’età di vecchiaia pro tempore vigente (65 anni e 6 mesi nel 2013 incrementati di 6 mesi per ogni anno successivo fino ad attestarsi, a regime, nel 2018, a 68 anni) oppure anticipatamente, se si raggiungono congiuntamente l’anzianità di laurea di 30 anni, l’anzianità contributiva di almeno 35 anni e una età minima di 59 anni e 6 mesi nel 2013 (incrementata di 6 mesi per ogni anno successivo fino ad arrivare a 62 anni, a regime, nel 2018) oppure, a qualsiasi età se si completano almeno 42 anni di contribuzione e si possiede una anzianità di laurea di 30 anni LE MODALITÀ DI CALCOLO DELLA PENSIONE Diverso è invece il sistema di calcolo della pensione, basato non sulla media oraria generale al 31 dicembre 2012 (come avviene per gli specialisti convenzionati), ma sulla media di tutte le retribuzioni, opportunamente rivalutate, percepite sia negli anni di attività a rapporto di convenzione sia negli anni di ser- vizio svolti in qualità di Dirigenti medici dipendenti. L’apposita appendice al Regolamento che ha disciplinato tale materia prevede che la pensione dell’iscritto transitato sia costituita da una percentuale (proporzionale agli anni di contribuzione) di tale retribuzione media rivalutata Come si forma la percentuale? Essa è costituita dalla somma dei rendimenti annui maturati: •per gli anni di attività convenzionata (e frazioni) prima del passaggio alla dipendenza è attribuito un coefficiente del 2,50% ad anno (maggiore quindi del 2,25% riconosciuto agli iscritti rimasti convenzionati); •per gli anni di contribuzione dopo il passaggio e fino al 2015 compreso, è attribuito un coefficiente di rendimento più elevato pari al 2,9% ad anno (e frazioni) correlato al versamento di contributi con l’aliquota contributiva del 32,35%. Negli anni successivi al 2015 il valore del coefficiente 2,9%, tuttavia, subirà una proporzionale riduzione fino alla misura del 2,3%, a regime. La riduzione graduale del rendimento pensionistico annuo, nei valori riportati nel seguente prospetto, inizierà nel 2016, in correlazione al graduale aumento (un punto percentuale ogni anno) della misura dell’aliquota di finanziamento prevista dal 2015 per gli iscritti con- Tabella 1 - rubriche tribuzioni percepite ogni anno, ricavate dalle contribuzioni annue versate, sono portate al valore monetario dell’anno di pensionamento, rivalutandole anno per anno in base alle variazioni dell’indice del costo della vita registrate dall’Istituto di statistica. La rivalutazione è effettuata applicando al 100%. le variazioni intervenute A partire dal 2013, tuttavia. per gli iscritti di età superiore a 50 anni, le rivalutazio- Tabella 2 - medical network 6 | 2013 PREVIDENZA venzionati, che, come prima accennato, dovrà raggiungere nel 2022 la stessa misura (32,65%) con cui sono versati attualmente i contributi degli iscritti transitati. La percentuale maturata, costituita dalla somma dei rendimenti maturati per ogni anno di contribuzione effettiva, ricongiunta o riscattata (per gli anni di riscatto, viene attribuito il coefficiente vigente nell’anno di presentazione della domanda) è applicata alla media delle retribuzioni percepite nel corso dell’intera attività (a rapporto di convenzione e a rapporto di dipendenza). Le re- 25 PREVIDENZA rubriche ni saranno determinate applicando le variazioni al 75%. Per chiarire meglio il procedimento di calcolo della pensione ora descritto, abbiamo illustrato a pagina 25 un esempio concreto relativo ad un iscritto specialista ambulatoriale convenzionato dal 1987 al 2002, transitato alla dipendenza nel 2003, il quale andrà in pensione di vecchiaia a 68 anni nel 2022. Dai contributi versati ogni anno a partire dal 1987(col.3), dividendo la contribuzione annua per l’aliquota vigente nell’anno stesso(col..4) si ricavano le retribuzioni percepite (colonna 5). Le retribuzioni sono rivalutate in base al coefficiente ISTAT dell’anno (col.6). La somma di tutte le retribuzioni annue rivalutate (2.258.542.82 euro) divisa per il numero di anni di contribuzione (35) costituisce la media delle retribuzione rivalutate (64.529,79 euro), di cui si attribuisce in pensione la quota percentuale costituita dalla somma (col.9) dei rendimenti annui pari a 93,22%. I rendimenti pensioni- stici annui indicati nella colonna 9 sono attribuiti nella misura del 2,5% per gli anni dal 1987 al 2002 e nella misura del 2,9% per gli anni dal 2003 al 2015; dal 2016, i rendimenti sono applicati in misura gradualmente ridotta nei valori indicati nella precedente tabella. La pensione annua lorda maturata dall’iscritto è pari 60.154.67 euro lordi annui (93,22% x 64.529,79). Aggiungiamo che se fosse stato effettuato, negli anni precedenti il passaggio, il riscatto della laurea, la percentuale di pensione sarebbe aumentata di 15 punti percentuali (2,5% x 6 anni = 15%). La quota aggiuntiva di pensione derivante da tale riscatto sarebbe stata di 9.679,47 euro lordi (15% x 64.529,79) CONSULENZA PREVIDENZIALE Ricordiamo agli iscritti che presso la sede del SUMAI Nazionale, Via Vincenzo Lamaro, 13 – 00173 Roma, opera un servizio di consulenza relativa al Fondo di Previdenza (informazioni sulle prestazioni erogate dal Fondo Ambulatoriali, Fondo Generale sulle modalità dei riscatti, delle ricongiunzioni, ecc.). Il servizio di consulen- 26 medical network 6 | 2013 za, svolto dal Dr. Paolo Quarto, è offerto gratuitamente agli iscritti al SUMAI in base a prenotazioni da effettuarsi tempestivamente presso il centralino del sindacato stesso (06/2329121) o in base a richieste scritte per i medici residenti fuori Roma. In entrambi i casi (colloquio diretto o quesiti scritti) è necessario che i colleghi interessati forni- scano le seguenti indi(anche a carattere ASL dal 2008 in poi cazioni o documentaprovvisorio) ed il nudai quali rilevare le zioni: mero di ore settimaretribuzioni sogget• data di nascita, data nali svolte nei vari pete a contribuzione di laurea, tipo di speriodi, fino al 31 dicemENPAM, nonché cocializzazione relativa bre 2012; pia di un cedolino all’incarico ambula- • riscatti o ricongiunrecente dello stipentoriale, anzianità del zioni effettuati presdio rapporto a tempo inso il Fondo ambula- • fruizione e meno deldeterminato; toriale (laurea, allil’indennità di coordi• certificato storico di neamento), allegannamento e indicazioservizio, in mancando copie delle lettere ne dell’anno di inizio za, riepilogo dettaENPAM di comuni- • ogni ulteriore notizia gliato indicante la dacazione; ritenuta utile per la ta di inizio degli inca- • copia dei modelli risposta ai quesiti richi ambulatoriali CUD rilasciati dalle posti. Attenzione al Paziente Per noi il Principio attivo più efficace è il Rispetto. I nostri principi guida: rispetto del paziente, della deontologia, delle normative internazionali, le Good Clinical Practices e le Good Manufacturing Practices. Perché crediamo davvero che lavorare bene significhi mettere in pratica la qualità e la responsabilità ogni giorno: dall’inizio del ciclo di vita di un farmaco, all’intero sviluppo produttivo, fino al monitoraggio per la sicurezza del consumatore finale, offrendo alla classe medica un continuo aggiornamento scientifico certificato. WWW.ABIOGEN.IT UN’AZIENDA SANA PER UN PAESE PIÙ SANO.
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