METAMORPHOSEON - Aracne editrice

METAMORPHOSEON
COLLANA DI STORIA DELLA SCIENZA E DELLE TECNICHE

Direttore
Paolo Aldo R
Storia della scienza e delle tecniche
Università di Genova
Comitato scientifico
Evandro A
Adolfo F
Universidad Autónoma Metropolitana de México
Presidente dell’Académie Internationale de Philosophie
des Sciences (AIPS)
Professore emerito dell’Università di Genova
Neurologia
Criminologia e difesa sociale
Università dell’Insubria
Davide A
Storia della scienza e delle tecniche
Università di Genova
Valeria Paola B
Ivan I
Direttore del Dipartimento di Bioetica e Diritti Umani della
Lubelska Szkoła Wy˙zsza di Ryki
Ida L V
Storia della scienza e delle tecniche
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
Storia del pensiero medico e biologico
Università di Genova
Liceo Artistico Statale “Paul Klee” di Genova
Sonia Maura B
Carlo M
Filologia romanza
Università di Genova
Storia della scienza e delle tecniche
Università di Genova
Luisella B
Valerio M
Filosofia morale
Università di Genova
Direttore dell’Istituto Italiano di Bioetica
Filosofia teoretica
Università di Bari “Aldo Moro”
Patrizia C
Iconografia e iconologia
Università di Ferrara
Dino C
Storia del pensiero politico
Università di Genova
Mauro F
Matematica
Università di Torino
Oscar M
Estetica
Università di Genova
Roberta P
Storia della scienza e delle tecniche
Universtià di Milano-Bicocca
Lourdes V G
Bioetica
Universidad Anáhuac de México Norte
Universidad Pontificia de México
METAMORPHOSEON
COLLANA DI STORIA DELLA SCIENZA E DELLE TECNICHE
L’aver riconosciuto che il divenire del mondo rappresenta l’estrema minaccia in quanto in esso abitano le metamorfosi, le nascite e le morti, l’uscire dal Nulla e il rientrare nel Nulla, ha portato di necessità l’Occidente a percorrere la strada dell’episteme,
della scienza che tende a costruire una conoscenza incontrovertibile, ossia un sapere che “sta fermo” (episteme) nella verità.
L’iridescenza proteiforme del cosmo indifferenziato, i fenomeni cangianti, le apparizioni e le sparizioni, le metamorfosi degli
oggetti provocano nell’uomo che li vive lo stupore ammirato:
il thaumazein. Il farsi altro dall’apeiron è percorrere i sentieri della metamorfosi, le strade dell’apparire e dello scomparire, del
nascere e del morire (l’origine da – l’annullarsi in). In definitiva
è l’ingresso nella storia e il sottomettersi al destino.
In “Metamorphoseon” sono pubblicate opere di alto livello scientifico, anche in lingua straniera per facilitarne la diffusione internazionale. I direttori approvano le opere e le sottopongono
a referaggio con il sistema del “doppio cieco” (double blind peer review process) nel rispetto dell’anonimato sia dell’autore, sia dei due revisori che scelgono: l’uno da un elenco deliberato
dal comitato di direzione, l’altro dallo stesso comitato in funzione di revisore interno. I revisori rivestono o devono aver rivestito la qualifica di professore universitario di prima fascia
nelle università italiane o una qualifica equivalente nelle università straniere. Ciascun revisore formulerà una delle seguenti valutazioni: a) pubblicabile senza modifiche; b) pubblicabile
previo apporto di modifiche; c) da rivedere in maniera sostanziale; d) da rigettare; tenendo
conto della: a) significatività del tema nell’ambito disciplinare prescelto e originalità dell’opera; b) rilevanza scientifica nel panorama nazionale e internazionale; c) attenzione adeguata alla
dottrina e all’apparato critico; d) adeguato aggiornamento normativo e giurisprudenziale; e)
rigore metodologico; f ) proprietà di linguaggio e fluidità del testo; g) uniformità dei criteri
redazionali.
Nel caso di giudizio discordante fra i due revisori, la decisione finale sarà assunta da uno
dei direttori, salvo casi particolari in cui i direttori provvederanno a nominare tempestivamente un terzo revisore a cui rimettere la valutazione dell’elaborato. Il termine per la valutazione
non deve superare i venti giorni, decorsi i quali i direttori della collana, in assenza di osservazioni negative, ritengono approvata la proposta. Sono escluse dalla valutazione gli atti di
convegno, le opere dei membri del comitato e le opere collettive di provenienza accademica. I direttori, su loro responsabilità, possono decidere di non assoggettare a revisione scritti
pubblicati su invito o comunque di autori di particolare prestigio.
Potere negato
Approcci di genere al tema delle diseguaglianze
a cura di
Luisella Battaglia
Contributi di
Emanuela Abbatecola
Luisella Battaglia
Francesca Brezzi
Valentina Chechi
Natasha Cola
Liana M. Daher
Margarete Durst
Alessandra Fabbri
Marisa Forcina
Marianna Gensabella Furnari
Valeria Maione
Franco Manti
Federica Pennino
Antonella Primi
Rita Ristagno
Lina Severino
Camilla Spadavecchia
Luisa Stagi
Nicoletta Varani
Chiara Zamboni
Volume pubblicato con un cofinanziamento fondi PRIN 
Copyright © MMXIV
ARACNE editrice S.r.l.
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 Roma
() 
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I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: agosto 
Indice
VII
Introduzione
Luisella Battaglia
1
I movimenti delle donne tra femminismo e
neofemminismo
Lina Severino
25
Dalle leggi alle pratiche. Antinomie degli effetti del
movimentismo femminile sulla bioetica
Liana M. Daher
45
Femminismo, Neofemminismo, e studi di genere
senza superumanismo
Margarete Durst
61
Disuguaglianze allo specchio: le altre, le estranee, le
straniere
Francesca Brezzi
79
Donne e “spazi” di potere in Africa sub-sahariana
Nicoletta Varani, Camilla Spadavecchia, Valentina
Chechi
109
Empowerment femminile e tecnologie
dell’informazione e della comunicazione in Africa
Antonella Primi
139
Autorità e potere nel pensiero femminile del Novecento
Marisa Forcina
153
Il pensiero politico femminista alla luce della
concezione di azione processuale nella filosofia taoista
cinese
Chiara Zamboni
169
Stereotipi di genere e scuola d’infanzia: intersezioni,
riproduzioni, resistenze.
Emanuela Abbatecola, Luisa Stagi
187
Benché sia femmina. Il ruolo del genere nel ricambio
generazionale delle PMI
Valeria Maione
215
Emozioni e differenze di genere: la prospettiva della
neuroetica
Rita Ristagno
227
Premessa di Federica Pennino e
Lectio Magistralis di Joan C. Tronto - Sintesi
235
Il mercato e la cura
Franco Manti
267
L’etica della cura e la presenza femminile nel Sistema
Sanitario Nazionale
Natasha Cola
283
Donne disabili. Dentro e oltre le diversità, quale
possibilità di scelta?
Alessandra Fabbri
295
Etica della cura e dolore della differenza
Marianna Gensabella Furnari
315
Etica e politica della cura.
Per una nuova idea della cittadinanza.
Luisella Battaglia
Introduzione
LUISELLA BATTAGLIA
“Potere negato”: già il titolo segnala la difficoltà, da parte
delle donne, di un approccio alla politica che sia coerente con
l’attuazione piena della democrazia e, quindi, con l’effettiva
realizzazione di quell’eguaglianza di genere che, pure, è
solennemente proclamata nelle legislazioni nazionali e
internazionali. Il femminismo, fin dalle sue origini, ha generato
un’immensa speranza di cambiamento, a partire dalla denuncia
delle regole politiche patriarcali e delle promesse tradite della
democrazia rappresentativa, e tuttavia, se il punto di partenza è
stato l’esclusione delle donne dal potere, l’obiettivo finale non
ha riguardato semplicemente la loro inclusione nella sfera
pubblica.
Sottomesse per secoli al potere maschile, definite dalla
propria funzione invece che dalla propria coscienza, le donne
hanno combattuto per ottenere indipendenza economica,
eguaglianza giuridica e libertà sessuale ma la formazione della
loro identità ha avuto luogo attraverso un percorso che le ha
progressivamente liberate dalle regole coercitive della
comunità, della tradizione e degli apparati di potere. La posta in
gioco, in altri termini, non è stata solo di ordine politico ma
simbolico: ne è derivato il tentativo di trasformare i concetti
stessi del politico per renderli idonei a tener conto del ruolo
delle donne nella società, attraverso una messa in questione
dell’idea stessa di cittadinanza. Da qui la domanda: che cosa
resta di tali aspirazioni al cambiamento a cui il sistema
democratico avrebbe dovuto adattarsi?
Oggi che sembra disegnarsi, nel nostro paese, la mappa di un
nuovo potere femminile – contrassegnato dalla crescita del
numero di ministre, di deputate e di senatrici, oltre che delle
VII
VIII
Introduzione
manager nominate ai vertici di importanti società –
occorrerebbe chiedersi se tale mappa documenti una vera svolta
e rappresenti una risposta efficace al gender gap. Si è più volte
segnalato il rischio di un’omologazione strisciante rispetto a chi
ha detenuto il potere per secoli, assorbendo quindi i difetti dei
vertici tradizionali o uniformandosi alla preesistente classe
dirigente, anziché rompere gli schemi organizzativi, cambiare il
linguaggio, introdurre un’identità e un’energia proprie. È il
paradosso di un potere maschile che si rigenera grazie al cambio
di genere… Ma occorre ricordare anche il rischio di una
polarizzazione che vede, da un lato, nella fascia alta, donne che
conquistano posizioni apicali tradizionalmente maschili e, nella
fascia media, un complessivo peggioramento delle condizioni
della vita quotidiana, a partire proprio da quei diritti che
sembravano acquisiti, dai congedi per maternità alla parità
salariale. Insomma, uomini e donne sembrano vivere ancora in
mondi diversi l’accesso ai quali è mediato da ben diverse
opportunità.
È venuto ormai il tempo di riflettere per capire se – e in
quale misura – tale mutamento, risultato di una fortissima
pressione del mondo femminile, compresa l’onda d’urto delle
quote rosa, possa aprire un effettivo percorso di eguaglianza,
attraverso un’analisi che esamini criticamente da una pluralità
di prospettive – storica, sociologica, filosofica, giuridica,
pedagogica – il nesso cruciale politica / potere, a partire da
alcune domande essenziali. Come i movimenti delle donne
hanno trasformato il dibattito politico? Il loro rapporto al potere
consiste nella sua contestazione o nelle forme di contropotere
che sono riusciti ad attivare? Qual è il loro ruolo nello sviluppo
della democrazia?
Il dibattito è apertissimo, come mostrano i contributi qui
raccolti – che traggono spunto da un Convegno tenutosi il 25
Ottobre 2013 presso il Dipartimento di Scienze della
Formazione dell’Università degli Studi di Genova – nel loro
mettere a confronto linee di pensiero, indirizzi di ricerca e
orientamenti normativi che hanno caratterizzato il pensiero
delle donne negli ultimi decenni. L’esplorazione di taluni nodi
Luisella Battaglia
IX
tematici della riflessione femminile e femminista – dalla
differenza di genere al rapporto tra potere e autorità, dalla
questione delle pari opportunità all’etica della cura – è diventata
occasione per una rilettura del pensiero filosofico novecentesco
e per un ripensamento complessivo delle sue categorie
attraverso percorsi teorici che, nella loro diversità, restituiscono
la ricchezza e la libertà di un “pensiero non abituato”, per
riprendere una felice espressione di Francoise Collin.
In questo quadro, ai fini di un’indispensabile ricostruzione
storica, Lina Severino traccia una storia dei movimenti delle
donne, a partire dal secondo dopoguerra, vedendo in essi
l’elemento caratterizzante del cambiamento dei costumi della
società contemporanea. È possibile distinguere differenti
periodi: innanzitutto la fase della rivendicazione dei diritti civili
e politici, dall’immediato dopoguerra fino agli anni ’60, che
riprende idealmente le prime lotte emancipazioniste; il
movimento delle donne negli anni ’70 collegato alla stagione
dei movimenti studenteschi e operai e dissociato sia dai partiti
politici tradizionali sia dalle associazioni femminili
emancipazioniste: al centro della ricerca teorica dei collettivi
femministi è la riappropriazione del corpo in tutti i suoi aspetti,
biologico, psichico e le lotte connesse per il diritto alla salute; le
riflessioni teoriche delle donne a partire dai primi anni ’80
divise tra due correnti, l’una egualitaria orientata al gender e
tesa a storicizzare le differenze sessuali e mostrare come le
distinzioni dei ruoli maschili e femminili sia imputabile non alla
natura ma alla società e alla politica, e l’altra differenzialista,
fortemente impegnata nella rivendicazione della differenza
femminile contro ogni omologazione al maschile e
nell’affermazione della donna come ‘altro’rispetto all’uomo. La
stagione odierna, caratterizzata da una nuova ondata che
contesta i traguardi raggiunti dalle femministe storiche e
sottolinea l’arretramento delle posizioni faticosamente
conquistate, va alla ricerca di nuovi obiettivi specie in
considerazione della grave crisi economica che colpisce
soprattutto le donne. Oggi i temi fondamentali riguardano il
lavoro e il welfare, la partecipazione politica e la democrazia
X
Introduzione
paritaria e appunto intorno a tali obiettivi sembra emergere una
nuova stagione di mobilitazione femminile che sta riprendendo
vigore nel mondo occidentale e sta muovendo i primi passi nel
mondo islamico.
Liana M.Daher introduce una riflessione sul passaggio dalle
leggi alle pratiche con le contraddizioni prodotte dalle
rappresentazioni e dalle azioni del movimentismo femminile e
femminista sui grandi temi della bioetica connessi, in
particolare, al dibattito sui diritti riproduttivi. Le donne si sono
mosse per difendere il proprio diritto di emancipazione, in
maniera più drastica e rivoluzionaria coloro che hanno
partecipato alle lotte femministe, in modo molto più
tradizionalista e legato ad una cultura familiare le donne
cattoliche costituitesi in associazioni. Guardando alle
conseguenze dei discorsi femministi e femminili sui diritti
riproduttivi emergono una serie di interrogativi sul potere delle
donne e sulla possibilità di una “cittadinanza di genere” che
aprono ad una riflessione sui risultati delle azioni collettive del
movimento femminista e femminile, dalle lotte per la legge
sull’aborto ai giorni nostri. Un primo quesito relativo al potere
si chiede se la supremazia delle donne sul proprio corpo sia
davvero tanto aumentata da consentire loro di scegliere
liberamente o, ancora, se il concetto di cittadinanza tenga oggi
conto delle pari opportunità di genere, soprattutto relativamente
alla salute psicofisica delle donne. Guardando poi alle
implicazioni tra ideologia e diritto, ci si chiede quanto le varie
ideologie/credenze condizionino e abbiano nel passato
condizionato la costruzione delle leggi e quanto, invece, tale
costruzione sia ispirata a concreti bisogni delle persone a cui le
leggi sono rivolte. L’analisi, concentrata su due delle leggi più
significative sui diritti riproduttivi – la legge 194 del 1978 e la
legge 40 del 2004 – e sul conflitto tra posizioni laiche e
cattoliche, riflesse nell’articolazione dei discorsi femminili e
femministi, introduce il tema delle unanticipated consequences,
evidenziando come alcuni degli obiettivi dei movimenti sociali
usualmente rivolti a trasformare specifici ambiti della vita
sociale a breve termine, possano produrre effetti a lungo
Luisella Battaglia
XI
termine diversi da quelli sperati e voluti e quindi condurre a
risultati parzialmente non voluti e non previsti da entrambe le
parti. Ne risulta, secondo Daher, che le risposte ai quesiti
relativi ai diritti riproduttivi e alla loro considerazione attraverso
una lente bioetica centrata sulla cura, che tenga conto della
salute psicofisica delle donne, sembrano ancora difficili da
fornire e una cittadinanza di genere ardua da realizzarsi.
Margarete Durst affronta due tematiche diverse – i
femminismi e il genere, da un lato, e il rispetto del mondo
naturale e degli esseri viventi, dall’altro – mostrandone tuttavia
la stretta correlazione. In effetti, i guasti prodotti sull’uno e
sull’altro fronte possono essere fatti risalire ad una medesima
concezione “superumanistica”, storicamente di segno maschile,
che pretende di dominare il creato, di disconoscere le differenze
trasformandole in gerarchie ed esercitando il potere a danno dei
più deboli. Da qui il legame tra femminismi e teorie del
postumano. Il dibattito femminista sul genere, ormai esteso a
livello mondiale, vede un crescendo di conflitti dovuti ad una
lettura che mette in discussione il principio tradizionale di
stampo liberale della gender neutrality, cioè di indifferenza alla
differenza, in coerenza col più generale principio
dell’eguaglianza di fronte alla legge previsto pure dalla nostra
Costituzione, un’opzione che tende di fatto a produrre effetti
nocivi e perversi per le donne. Si pone pertanto un’alternativa
tra una concezione che si potrebbe definire dei diritti
“disincarnati” ed una dei diritti “incarnati”. Tale problematica,
sviluppatasi dagli anni ’80 sull’altra sponda dell’Atlantico, ha
messo in campo l’ipotesi di un diritto sessuato che riconosca,
con l’esistenza originaria dei due sessi, le caratteristiche
specifiche ascrivibili al genere femminile, laddove prima esso
era declinato solo al maschile. Se questo ha permesso, in
generale, una più equa distribuzione delle attività di cura, in
Italia esiste ancora un vistoso scarto tra i due sessi, uno scarto
che si ripercuote sulle carriere occupazionali e professionali e
che, a causa della debolezza del nostro sistema di welfare,
genera un sovraccarico dei compiti di cura gravanti sulla
famiglia e quindi sulle donne. A parere di Durst, l’eguaglianza
XII
Introduzione
non può essere concepita in termini solo formali ma sostanziali
e la differenza, a sua volta, non deve essere concepita in termini
radicalmente separatisti perché ciò rischierebbe di oscurare
l’area di base dei diritti umani universali: libertà, partecipazione
politica, well being, etc. Una linea di pensiero, questa, che
potrebbe consentire di superare il circolo vizioso rappresentato
dall’aut–aut “eguaglianza o differenza” che si ripercuote
negativamente in particolare sulla condizione delle donne che
lavorano: svantaggiate perché trattate, in alcuni casi, in maniera
diversa dagli uomini, pur essendo nella stessa situazione, e in
altri casi perché trattate in maniera eguale agli uomini, pur
essendo in una situazione diversa.
Il problema dell’identità affrontato dalla riflessione
occidentale non può comunque non specchiarsi e confrontarsi
con il pensiero e il vissuto delle “altre”, le straniere, le migranti,
quelle figure di confine che portano l’altrove nel luogo in cui
giungono. È questo il tema approfondito da Francesca Brezzi
che suggerisce un itinerario intorno all’identità nomade – da
Luce Irigaray a Rosi Braidotti, da Donna Haraway a Judith
Butler – che mostra il superamento di varie frontiere, alcune
facili da attraversare, molte naturali, cioè determinate dalla
geografia, altre create dalla storia. Infiniti sono i confini tra
mondo femminile e mondo maschile, tra giovani e vecchi…
Quale il cammino delle donne di fronte alle frontiere, talora
muri invalicabili? Innanzitutto, si è attuato il viaggio verso la
parità che ha visto lo stretto intreccio tra il faticoso cammino di
emancipazione delle donne e la lenta evoluzione democratica
del paese, in Italia e non solo, e poi il sorgere del primo
femminismo emancipazionista, impegnato nel superamento
delle diseguaglianze, seguito dal secondo femminismo, attento
alla valorizzazione delle differenze. Importanti per guardare in
maniera più appropriata queste ‘immagini allo specchio’ sono i
risultati dei postcolonial studies che evidenziano la necessità di
abbandonare un’ottica eurocentrica e disegnano il cammino di
una “cittadinanza non indifferente”. Tale è, appunto, la
cittadinanza femminile da intendersi come possibile – ma
diversa – inclusione di chi per secoli è stato straniero e
Luisella Battaglia
XIII
periferico. In riferimento alla migrazione, il percorso etico –
teoretico dai margini del mondo all’Europa si caratterizza, in
primo luogo, per la riformulazione, da parte del pensiero delle
donne, dell’ideale universale dei diritti umani, il cui
ampliamento ha portato all’adozione di nuovi strumenti per il
miglioramento dello status delle donne e, in secondo luogo, per
il profondo mutamento dei flussi migratori femminili che –
nella trasformazione da emigranti a migranti – esprimono una
doppia presenza o doppia lotta, stabilendo, da un lato, legami
col paese ospitante e insieme, mantenendo un rapporto con la
terra d’origine. Si tratta – rileva Brezzi – di donne sospese tra
più culture, che cercano nuovi cammini, partecipano a reti
associative che sono anche un luogo di confronto e
negoziazione con enti pubblici e istituzioni e si impegnano,
spesso in prima persona, organizzando gruppi e movimenti per
la pace, lo sviluppo, la cooperazione. Le donne immigrate
possono allora rappresentare un “genere di frontiera” che
dischiude un modo nuovo di concepire la cittadinanza, una
cittadinanza – si è detto – “non indifferente” che non si limiti al
superamento delle discriminazioni sociali e politiche ma che
affermi il valore del meticciato e ci consenta di ripensare in
maniera meno autoreferenziale ed eurocentrica la storia e la
cultura in un mondo sempre più interdipendente perché
globalizzato. In tal modo sembra possibile formulare l’ideale di
un “universalismo concreto interattivo”, in cui ciascuno può
conoscere l’identità altrui e prospettare la propria, ponendosi in
una condizione di ascolto partecipativo e partecipante.
Nell’ambito della geografia di genere si colloca il contributo
di Nicoletta Varani, Camilla Spadavecchia e Valentina Chechi
che si concentra su un importante aspetto della condizione della
donna
nell’Africa
sub–sahariana,
quello
relativo
all’empowerment. Le donne sono ancora fortemente
discriminate a tutti i livelli e hanno limitate possibilità di
accesso all’istruzione, all’informazione, alle risorse e ai servizi,
pur se le loro sono quelle “mani invisibili” che silenziosamente,
da sempre, costruiscono e strutturano la società africana.
Fondamentale è dunque il ruolo femminile, al di là delle diverse
XIV
Introduzione
tradizioni culturali, politiche e religiose: in Africa non esiste
donna che non lavori e la sua è una forza doppiamente
produttiva, come donna madre nutrice e come donna
produttrice. Nonostante le numerose conferenze internazionali
volte a promuovere la partecipazione femminile alla sfera
politica ed economica africana, l’area sub–sahariana registra la
maggiore disparità di genere nel mondo nel campo
dell’istruzione
che
costituisce
il
primo
veicolo
dell’empowerment femminile. Da qui la necessità di politiche
locali forti, centrate sull’accesso all’istruzione da parte di
bambine e ragazze, così come di politiche lavorative che
sostengano le famiglie nella vita quotidiana e facilitino
l’accesso scolastico senza distinzioni di genere. Una felice
eccezione, tuttavia, è rappresentata dal Ruanda dove le donne
sono divenute protagoniste assolute della ricostruzione
materiale e morale oltre che dello sviluppo socio – economico
del Paese. A seguito, infatti, della decimazione della
popolazione maschile durante il genocidio del 1994, il Ruanda
ha dovuto contare quasi unicamente sulle donne e oggi detiene
il primato mondiale di parlamentari donne, oltre ad avere uno
dei sistemi di welfare migliori del Continente. Sebbene il
Ruanda rappresenti l’eccellenza, anche altri paesi della regione,
a partire dagli anni ’70, hanno avuto figure femminili con posti
di rilievo sulla scena politica. Sembra dunque inaugurarsi un
nuovo ciclo politico che rischia però di rimanere sterile se resta
appannaggio di pochi stati lungimiranti. Risulta quindi
indispensabile che i governi, sia nazionali che locali, abbiano
gli strumenti per promuovere una piena partecipazione politica,
economica e giuridica delle donne, al fine di creare un reale
sviluppo nell’Africa sub–sahariana.
È ancora la questione dell’empowerment femminile in
Africa, questa volta in relazione alle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione (TIC), al centro
dell’intervento di Antonella Primi. È opinione consolidata e
ormai ampiamente condivisa che tali tecnologie costituiscano
un supporto per migliorare la parità di genere per il loro grande
potenziale di andare incontro alle necessità delle donne che
Luisella Battaglia
XV
vivono nelle aree rurali al fine di facilitarne lo sviluppo,
apportare cambiamenti sociali ed economici, potenziare la loro
partecipazione alle decisioni della comunità e favorire lo
scambio di idee con altri paesi. L’alfabetizzazione digitale delle
donne appare dunque fondamentale per incoraggiare la loro
piena partecipazione alla società dell’informazione affinché
possano beneficiare delle opportunità e delle risorse in essa
generate. A tale riguardo non sono mancate le Conferenze e le
Dichiarazioni internazionali che hanno adottato precise
raccomandazioni per la promozione dei diritti delle donne e per
sostenere una loro maggiore partecipazione nei settori della
scienza, dell’innovazione e della tecnologia. In alcuni stati
africani si rintracciano esempi di politiche e strategie
economiche volte a richiamare l’attenzione sul rapporto tra
donne e TIC ma non sempre queste iniziative hanno portato a
risultati positivi. Diverse ricerche hanno infatti sottolineato la
difficoltà che le donne africane incontrano nell’accesso a tali
tecnologie a causa principalmente della insufficienza di
infrastrutture sia per l’elettricità che per le telecomunicazioni,
della mancanza di tempo, istruzione e lavoro e, soprattutto,
delle barriere socio – culturali legate a tradizioni sessiste. Si può
parlare, pertanto, di un divario digitale di genere, riferito al gap
tecnologico tra donne e uomini nell’accesso e nell’uso delle
TIC e che presenta molteplici dimensioni: barriere sociali,
culturali, economiche e di istruzione; disparità di genere nelle
occupazioni legate alle tecnologie e nella partecipazione
femminile alle politiche e alla governance delle TIC; diversità
tra uomini e donne nei modelli di comunicazione, etc. Sembra
tuttavia di poter registrare taluni segnali positivi: negli ultimi
anni si sono elaborati alcuni indici per cercare di valutare il
divario di genere e le diverse dimensioni che contribuiscono a
definirlo (tra cui l’indice di sviluppo umano, l’indice di
diseguaglianza di genere e l’indice globale di gap di genere) e
soprattutto si sono incrementate le iniziative internazionali per
favorire lo sviluppo sociale, politico ed economico femminile
attraverso le TIC.
XVI
Introduzione
La riflessione sull’empowerment femminile introduce
all’analisi del rapporto cruciale tra autorità e potere. C’è una
radicale differenza tra i due termini? Come si articola la loro
relazione? A queste importanti domande è dedicato il contributo
di Marisa Forcina. Che possa esserci un’autorità completamente
separata e differente rispetto al potere è tesi sostenuta da alcune
filosofe del Novecento in contrapposizione con le analisi
tradizionali delle dottrine politiche. Questo pensiero femminista
– sottolinea Forcina – muove da un attento esame della realtà e
si radica su un sentire elaborato sulla base di una propria
autonoma esperienza del mondo. Non si intende qui
contrapporre un’autorità femminile a un potere di stampo
maschile, bensì evidenziare un’autorità in grado di aprire
percorsi nuovi e consensi che non si fondano sul potere ma
sull’ordine simbolico nel quale si orientano e agiscono. Nel
pensiero politico delle filosofe del Novecento, e in particolare
nel pensiero femminile radicale, l’articolazione tra autorità e
potere si chiarisce in maniera netta: si tratta di campi indagati
come ambiti separati. Se la politica è vista come eccedente lo
spazio del potere, l’autorità è vissuta e definita come rivelazione
di una grande forza politica in grado di orientare la vita della
comunità. Per questo il femminismo radicale non ha mai lottato
per una maggiore condivisione del potere da parte delle donne,
dal momento che l’autorità femminile non è fatta coincidere con
il posto delle donne nella vita pubblica. Vi sono infatti azioni
politiche nel quotidiano e nel contesto che trasformano il
mondo ma che non appartengono alla gestione del potere. Il
pensiero femminile, da Simone Weil a Hannah Arendt a Luisa
Muraro, ha sottolineato più volte che dove c’è potere non c’è
libertà, nemmeno per chi esercita quel potere. Se il potere è
arrogante, l’autorità è di natura simbolica, implica fiducia –
come la madre – e rispetta la realtà, a differenza del potere che
la manipola. In effetti, quando riconosciamo leggi e usanze
come autorevoli e non come vessatorie, ci sottraiamo a puri
rapporti di forza: ne è esempio l’autorità materna, la relazione
di cura nelle prime fasi di vita di un bambino, un’autorità che
incoraggia e dà energia per un autonomo passo. Tra autorità e
Luisella Battaglia
XVII
potere, secondo la lettura proposta, non c’è quindi uno scarto,
né un superamento dialettico o una contrapposizione. L’autorità
apre su un piano fenomenologico esistenziale dove vi sono
soggetti in relazione e si pone essa stessa come una forma di
relazione, non di tipo materiale ma fortemente simbolica. Non
si tratta tuttavia di assolutizzare l’autorità o di enfatizzarla, dal
momento che il rischio è connesso al suo abuso. Il pensiero
della differenza sessuale, secondo Forcina, si pone
preliminarmente al riparo da questa deriva perché non coltiva lo
spirito di sistema e, rispetto al pensiero politico tradizionale –
che per compensare il carico negativo dell’autorità richiede un
maggior carico di eguaglianza, col rischio di pervenire ad una
società uniformata – stempera quel carico negativo nella
semplice accettazione della condizione umana, nella sua
fragilità e pluralità.
Un lavoro ermeneutico su alcuni percorsi della cultura
espressa dalle donne, a partire dal femminismo degli anni ’70, è
proposto da Chiara Zamboni che muove dalla lettura di un testo
chiave del pensiero taoista classico, il Tao tè ching . Si tratta di
un testo considerato ad impronta femminile, pur se scritto da un
uomo, il maestro Lao–Tze, che valorizza gli elementi femminili
dell’esistenza, con esplicito riferimento alla figura della madre e
della donna, come indici simbolici di una visione metafisica. Se
la figura della madre ci aiuta a pensare il mondo nel suo
divenire e nel suo aspetto di continua generazione, la figura del
lattante, nel suo slancio di apertura alla vita, porta con sé tutto il
potenziale di azione di cui è capace. In questa chiave di lettura
ermeneutica, è possibile rintracciare nel Tao una lente per
vedere sotto nuovi aspetti alcuni punti fondamentali del
pensiero femminista tra cui, in particolare, il concetto di autorità
femminile di matrice materna, un concetto che una parte del
movimento delle donne ha ritenuto necessario in un momento di
fine del patriarcato e che è stato indicato come una condizione
da scoprire e da inventare nelle relazioni storico–politiche. Ed è
proprio – secondo Zamboni – la figura del lattante a far pensare
in modo nuovo il concetto di autorità femminile. Il lattante ha
virtù, nel senso di potenzialità sorgiva, l’esperienza che si ha di
XVIII
Introduzione
chi autorità è che chi è autorevole crea un senso di
potenziamento negli altri che ne sono attratti e orientati. È
chiaro che la forza dell’autorità di questo genere è di una qualità
molto diversa dalla forza del potere nelle sue varie forme. Ma
c’è un’altra figura che getta luce su un concetto base espresso
dai movimenti femministi: è la figura del Tao che viene tradotto
con via, processo. I movimenti femministi hanno valorizzato
una politica interpretata come processo, percorso che lascia
fluido il diramarsi delle pratiche nel tempo. Centrale è infatti il
concetto di ‘pratica’: nei movimenti femministi le rivoluzioni
sono avvenute principalmente attraverso pratiche, cioè azioni
contestuali che si sono propagate a macchia d’olio con diversa
fortuna. Non esiste, comunque, un modello prefissato di pratica
che è, in quanto tale, un processo vivente che dura il tempo
della sua spinta vitale e, in caso contrario, diventa pura
ripetizione vuota. A parere di Zamboni, il movimento politico
delle donne, specie in Italia, è attraversato da un conflitto
profondo, quello della convenienza o meno di portare nelle
varie istituzioni la forza politica guadagnata dal movimento. La
lettura del Tao potrebbe portare una luce a tale conflitto per il
suo dirci qualcosa di attuale, nel disegnare una contraddizione
tra azione libera e formalizzazione normativa dell’agire. Molte
donne che hanno fatto la scelta politica di farsi eleggere nei
governi delle istituzioni, per apportare il meglio della loro
esperienza nei movimenti, hanno ammesso, dopo anni, la
difficoltà di tale tentativo. Le strutture istituzionali si fondano
infatti sulla rigidità di regolamenti, leggi, normative e tale
meccanismo inevitabilmente snatura le pratiche viventi. Ciò
dovrebbe condurre a un ripensamento profondo dei criteri di
efficacia dell’agire. L’efficacia delle pratiche della politica
femminista – che si diffondono per contagio nel tempo e che
provocano modificazioni negli stili di vita a lungo termine –
non è riscontrabile in termini brevi e non è neppure
oggettivabile. In quanto processo di trasformazione si
caratterizza non tanto per le realizzazioni finite quanto per le
connessioni che crea e che si riportano a quell’atto di fiducia