METAMORPHOSEON COLLANA DI STORIA DELLA SCIENZA E DELLE TECNICHE Direttore Paolo Aldo R Storia della scienza e delle tecniche Università di Genova Comitato scientifico Evandro A Adolfo F Universidad Autónoma Metropolitana de México Presidente dell’Académie Internationale de Philosophie des Sciences (AIPS) Professore emerito dell’Università di Genova Neurologia Criminologia e difesa sociale Università dell’Insubria Davide A Storia della scienza e delle tecniche Università di Genova Valeria Paola B Ivan I Direttore del Dipartimento di Bioetica e Diritti Umani della Lubelska Szkoła Wy˙zsza di Ryki Ida L V Storia della scienza e delle tecniche Alma Mater Studiorum – Università di Bologna Storia del pensiero medico e biologico Università di Genova Liceo Artistico Statale “Paul Klee” di Genova Sonia Maura B Carlo M Filologia romanza Università di Genova Storia della scienza e delle tecniche Università di Genova Luisella B Valerio M Filosofia morale Università di Genova Direttore dell’Istituto Italiano di Bioetica Filosofia teoretica Università di Bari “Aldo Moro” Patrizia C Iconografia e iconologia Università di Ferrara Dino C Storia del pensiero politico Università di Genova Mauro F Matematica Università di Torino Oscar M Estetica Università di Genova Roberta P Storia della scienza e delle tecniche Universtià di Milano-Bicocca Lourdes V G Bioetica Universidad Anáhuac de México Norte Universidad Pontificia de México METAMORPHOSEON COLLANA DI STORIA DELLA SCIENZA E DELLE TECNICHE L’aver riconosciuto che il divenire del mondo rappresenta l’estrema minaccia in quanto in esso abitano le metamorfosi, le nascite e le morti, l’uscire dal Nulla e il rientrare nel Nulla, ha portato di necessità l’Occidente a percorrere la strada dell’episteme, della scienza che tende a costruire una conoscenza incontrovertibile, ossia un sapere che “sta fermo” (episteme) nella verità. L’iridescenza proteiforme del cosmo indifferenziato, i fenomeni cangianti, le apparizioni e le sparizioni, le metamorfosi degli oggetti provocano nell’uomo che li vive lo stupore ammirato: il thaumazein. Il farsi altro dall’apeiron è percorrere i sentieri della metamorfosi, le strade dell’apparire e dello scomparire, del nascere e del morire (l’origine da – l’annullarsi in). In definitiva è l’ingresso nella storia e il sottomettersi al destino. In “Metamorphoseon” sono pubblicate opere di alto livello scientifico, anche in lingua straniera per facilitarne la diffusione internazionale. I direttori approvano le opere e le sottopongono a referaggio con il sistema del “doppio cieco” (double blind peer review process) nel rispetto dell’anonimato sia dell’autore, sia dei due revisori che scelgono: l’uno da un elenco deliberato dal comitato di direzione, l’altro dallo stesso comitato in funzione di revisore interno. I revisori rivestono o devono aver rivestito la qualifica di professore universitario di prima fascia nelle università italiane o una qualifica equivalente nelle università straniere. Ciascun revisore formulerà una delle seguenti valutazioni: a) pubblicabile senza modifiche; b) pubblicabile previo apporto di modifiche; c) da rivedere in maniera sostanziale; d) da rigettare; tenendo conto della: a) significatività del tema nell’ambito disciplinare prescelto e originalità dell’opera; b) rilevanza scientifica nel panorama nazionale e internazionale; c) attenzione adeguata alla dottrina e all’apparato critico; d) adeguato aggiornamento normativo e giurisprudenziale; e) rigore metodologico; f ) proprietà di linguaggio e fluidità del testo; g) uniformità dei criteri redazionali. Nel caso di giudizio discordante fra i due revisori, la decisione finale sarà assunta da uno dei direttori, salvo casi particolari in cui i direttori provvederanno a nominare tempestivamente un terzo revisore a cui rimettere la valutazione dell’elaborato. Il termine per la valutazione non deve superare i venti giorni, decorsi i quali i direttori della collana, in assenza di osservazioni negative, ritengono approvata la proposta. Sono escluse dalla valutazione gli atti di convegno, le opere dei membri del comitato e le opere collettive di provenienza accademica. I direttori, su loro responsabilità, possono decidere di non assoggettare a revisione scritti pubblicati su invito o comunque di autori di particolare prestigio. Potere negato Approcci di genere al tema delle diseguaglianze a cura di Luisella Battaglia Contributi di Emanuela Abbatecola Luisella Battaglia Francesca Brezzi Valentina Chechi Natasha Cola Liana M. Daher Margarete Durst Alessandra Fabbri Marisa Forcina Marianna Gensabella Furnari Valeria Maione Franco Manti Federica Pennino Antonella Primi Rita Ristagno Lina Severino Camilla Spadavecchia Luisa Stagi Nicoletta Varani Chiara Zamboni Volume pubblicato con un cofinanziamento fondi PRIN Copyright © MMXIV ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, /A–B Roma () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: agosto Indice VII Introduzione Luisella Battaglia 1 I movimenti delle donne tra femminismo e neofemminismo Lina Severino 25 Dalle leggi alle pratiche. Antinomie degli effetti del movimentismo femminile sulla bioetica Liana M. Daher 45 Femminismo, Neofemminismo, e studi di genere senza superumanismo Margarete Durst 61 Disuguaglianze allo specchio: le altre, le estranee, le straniere Francesca Brezzi 79 Donne e “spazi” di potere in Africa sub-sahariana Nicoletta Varani, Camilla Spadavecchia, Valentina Chechi 109 Empowerment femminile e tecnologie dell’informazione e della comunicazione in Africa Antonella Primi 139 Autorità e potere nel pensiero femminile del Novecento Marisa Forcina 153 Il pensiero politico femminista alla luce della concezione di azione processuale nella filosofia taoista cinese Chiara Zamboni 169 Stereotipi di genere e scuola d’infanzia: intersezioni, riproduzioni, resistenze. Emanuela Abbatecola, Luisa Stagi 187 Benché sia femmina. Il ruolo del genere nel ricambio generazionale delle PMI Valeria Maione 215 Emozioni e differenze di genere: la prospettiva della neuroetica Rita Ristagno 227 Premessa di Federica Pennino e Lectio Magistralis di Joan C. Tronto - Sintesi 235 Il mercato e la cura Franco Manti 267 L’etica della cura e la presenza femminile nel Sistema Sanitario Nazionale Natasha Cola 283 Donne disabili. Dentro e oltre le diversità, quale possibilità di scelta? Alessandra Fabbri 295 Etica della cura e dolore della differenza Marianna Gensabella Furnari 315 Etica e politica della cura. Per una nuova idea della cittadinanza. Luisella Battaglia Introduzione LUISELLA BATTAGLIA “Potere negato”: già il titolo segnala la difficoltà, da parte delle donne, di un approccio alla politica che sia coerente con l’attuazione piena della democrazia e, quindi, con l’effettiva realizzazione di quell’eguaglianza di genere che, pure, è solennemente proclamata nelle legislazioni nazionali e internazionali. Il femminismo, fin dalle sue origini, ha generato un’immensa speranza di cambiamento, a partire dalla denuncia delle regole politiche patriarcali e delle promesse tradite della democrazia rappresentativa, e tuttavia, se il punto di partenza è stato l’esclusione delle donne dal potere, l’obiettivo finale non ha riguardato semplicemente la loro inclusione nella sfera pubblica. Sottomesse per secoli al potere maschile, definite dalla propria funzione invece che dalla propria coscienza, le donne hanno combattuto per ottenere indipendenza economica, eguaglianza giuridica e libertà sessuale ma la formazione della loro identità ha avuto luogo attraverso un percorso che le ha progressivamente liberate dalle regole coercitive della comunità, della tradizione e degli apparati di potere. La posta in gioco, in altri termini, non è stata solo di ordine politico ma simbolico: ne è derivato il tentativo di trasformare i concetti stessi del politico per renderli idonei a tener conto del ruolo delle donne nella società, attraverso una messa in questione dell’idea stessa di cittadinanza. Da qui la domanda: che cosa resta di tali aspirazioni al cambiamento a cui il sistema democratico avrebbe dovuto adattarsi? Oggi che sembra disegnarsi, nel nostro paese, la mappa di un nuovo potere femminile – contrassegnato dalla crescita del numero di ministre, di deputate e di senatrici, oltre che delle VII VIII Introduzione manager nominate ai vertici di importanti società – occorrerebbe chiedersi se tale mappa documenti una vera svolta e rappresenti una risposta efficace al gender gap. Si è più volte segnalato il rischio di un’omologazione strisciante rispetto a chi ha detenuto il potere per secoli, assorbendo quindi i difetti dei vertici tradizionali o uniformandosi alla preesistente classe dirigente, anziché rompere gli schemi organizzativi, cambiare il linguaggio, introdurre un’identità e un’energia proprie. È il paradosso di un potere maschile che si rigenera grazie al cambio di genere… Ma occorre ricordare anche il rischio di una polarizzazione che vede, da un lato, nella fascia alta, donne che conquistano posizioni apicali tradizionalmente maschili e, nella fascia media, un complessivo peggioramento delle condizioni della vita quotidiana, a partire proprio da quei diritti che sembravano acquisiti, dai congedi per maternità alla parità salariale. Insomma, uomini e donne sembrano vivere ancora in mondi diversi l’accesso ai quali è mediato da ben diverse opportunità. È venuto ormai il tempo di riflettere per capire se – e in quale misura – tale mutamento, risultato di una fortissima pressione del mondo femminile, compresa l’onda d’urto delle quote rosa, possa aprire un effettivo percorso di eguaglianza, attraverso un’analisi che esamini criticamente da una pluralità di prospettive – storica, sociologica, filosofica, giuridica, pedagogica – il nesso cruciale politica / potere, a partire da alcune domande essenziali. Come i movimenti delle donne hanno trasformato il dibattito politico? Il loro rapporto al potere consiste nella sua contestazione o nelle forme di contropotere che sono riusciti ad attivare? Qual è il loro ruolo nello sviluppo della democrazia? Il dibattito è apertissimo, come mostrano i contributi qui raccolti – che traggono spunto da un Convegno tenutosi il 25 Ottobre 2013 presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Genova – nel loro mettere a confronto linee di pensiero, indirizzi di ricerca e orientamenti normativi che hanno caratterizzato il pensiero delle donne negli ultimi decenni. L’esplorazione di taluni nodi Luisella Battaglia IX tematici della riflessione femminile e femminista – dalla differenza di genere al rapporto tra potere e autorità, dalla questione delle pari opportunità all’etica della cura – è diventata occasione per una rilettura del pensiero filosofico novecentesco e per un ripensamento complessivo delle sue categorie attraverso percorsi teorici che, nella loro diversità, restituiscono la ricchezza e la libertà di un “pensiero non abituato”, per riprendere una felice espressione di Francoise Collin. In questo quadro, ai fini di un’indispensabile ricostruzione storica, Lina Severino traccia una storia dei movimenti delle donne, a partire dal secondo dopoguerra, vedendo in essi l’elemento caratterizzante del cambiamento dei costumi della società contemporanea. È possibile distinguere differenti periodi: innanzitutto la fase della rivendicazione dei diritti civili e politici, dall’immediato dopoguerra fino agli anni ’60, che riprende idealmente le prime lotte emancipazioniste; il movimento delle donne negli anni ’70 collegato alla stagione dei movimenti studenteschi e operai e dissociato sia dai partiti politici tradizionali sia dalle associazioni femminili emancipazioniste: al centro della ricerca teorica dei collettivi femministi è la riappropriazione del corpo in tutti i suoi aspetti, biologico, psichico e le lotte connesse per il diritto alla salute; le riflessioni teoriche delle donne a partire dai primi anni ’80 divise tra due correnti, l’una egualitaria orientata al gender e tesa a storicizzare le differenze sessuali e mostrare come le distinzioni dei ruoli maschili e femminili sia imputabile non alla natura ma alla società e alla politica, e l’altra differenzialista, fortemente impegnata nella rivendicazione della differenza femminile contro ogni omologazione al maschile e nell’affermazione della donna come ‘altro’rispetto all’uomo. La stagione odierna, caratterizzata da una nuova ondata che contesta i traguardi raggiunti dalle femministe storiche e sottolinea l’arretramento delle posizioni faticosamente conquistate, va alla ricerca di nuovi obiettivi specie in considerazione della grave crisi economica che colpisce soprattutto le donne. Oggi i temi fondamentali riguardano il lavoro e il welfare, la partecipazione politica e la democrazia X Introduzione paritaria e appunto intorno a tali obiettivi sembra emergere una nuova stagione di mobilitazione femminile che sta riprendendo vigore nel mondo occidentale e sta muovendo i primi passi nel mondo islamico. Liana M.Daher introduce una riflessione sul passaggio dalle leggi alle pratiche con le contraddizioni prodotte dalle rappresentazioni e dalle azioni del movimentismo femminile e femminista sui grandi temi della bioetica connessi, in particolare, al dibattito sui diritti riproduttivi. Le donne si sono mosse per difendere il proprio diritto di emancipazione, in maniera più drastica e rivoluzionaria coloro che hanno partecipato alle lotte femministe, in modo molto più tradizionalista e legato ad una cultura familiare le donne cattoliche costituitesi in associazioni. Guardando alle conseguenze dei discorsi femministi e femminili sui diritti riproduttivi emergono una serie di interrogativi sul potere delle donne e sulla possibilità di una “cittadinanza di genere” che aprono ad una riflessione sui risultati delle azioni collettive del movimento femminista e femminile, dalle lotte per la legge sull’aborto ai giorni nostri. Un primo quesito relativo al potere si chiede se la supremazia delle donne sul proprio corpo sia davvero tanto aumentata da consentire loro di scegliere liberamente o, ancora, se il concetto di cittadinanza tenga oggi conto delle pari opportunità di genere, soprattutto relativamente alla salute psicofisica delle donne. Guardando poi alle implicazioni tra ideologia e diritto, ci si chiede quanto le varie ideologie/credenze condizionino e abbiano nel passato condizionato la costruzione delle leggi e quanto, invece, tale costruzione sia ispirata a concreti bisogni delle persone a cui le leggi sono rivolte. L’analisi, concentrata su due delle leggi più significative sui diritti riproduttivi – la legge 194 del 1978 e la legge 40 del 2004 – e sul conflitto tra posizioni laiche e cattoliche, riflesse nell’articolazione dei discorsi femminili e femministi, introduce il tema delle unanticipated consequences, evidenziando come alcuni degli obiettivi dei movimenti sociali usualmente rivolti a trasformare specifici ambiti della vita sociale a breve termine, possano produrre effetti a lungo Luisella Battaglia XI termine diversi da quelli sperati e voluti e quindi condurre a risultati parzialmente non voluti e non previsti da entrambe le parti. Ne risulta, secondo Daher, che le risposte ai quesiti relativi ai diritti riproduttivi e alla loro considerazione attraverso una lente bioetica centrata sulla cura, che tenga conto della salute psicofisica delle donne, sembrano ancora difficili da fornire e una cittadinanza di genere ardua da realizzarsi. Margarete Durst affronta due tematiche diverse – i femminismi e il genere, da un lato, e il rispetto del mondo naturale e degli esseri viventi, dall’altro – mostrandone tuttavia la stretta correlazione. In effetti, i guasti prodotti sull’uno e sull’altro fronte possono essere fatti risalire ad una medesima concezione “superumanistica”, storicamente di segno maschile, che pretende di dominare il creato, di disconoscere le differenze trasformandole in gerarchie ed esercitando il potere a danno dei più deboli. Da qui il legame tra femminismi e teorie del postumano. Il dibattito femminista sul genere, ormai esteso a livello mondiale, vede un crescendo di conflitti dovuti ad una lettura che mette in discussione il principio tradizionale di stampo liberale della gender neutrality, cioè di indifferenza alla differenza, in coerenza col più generale principio dell’eguaglianza di fronte alla legge previsto pure dalla nostra Costituzione, un’opzione che tende di fatto a produrre effetti nocivi e perversi per le donne. Si pone pertanto un’alternativa tra una concezione che si potrebbe definire dei diritti “disincarnati” ed una dei diritti “incarnati”. Tale problematica, sviluppatasi dagli anni ’80 sull’altra sponda dell’Atlantico, ha messo in campo l’ipotesi di un diritto sessuato che riconosca, con l’esistenza originaria dei due sessi, le caratteristiche specifiche ascrivibili al genere femminile, laddove prima esso era declinato solo al maschile. Se questo ha permesso, in generale, una più equa distribuzione delle attività di cura, in Italia esiste ancora un vistoso scarto tra i due sessi, uno scarto che si ripercuote sulle carriere occupazionali e professionali e che, a causa della debolezza del nostro sistema di welfare, genera un sovraccarico dei compiti di cura gravanti sulla famiglia e quindi sulle donne. A parere di Durst, l’eguaglianza XII Introduzione non può essere concepita in termini solo formali ma sostanziali e la differenza, a sua volta, non deve essere concepita in termini radicalmente separatisti perché ciò rischierebbe di oscurare l’area di base dei diritti umani universali: libertà, partecipazione politica, well being, etc. Una linea di pensiero, questa, che potrebbe consentire di superare il circolo vizioso rappresentato dall’aut–aut “eguaglianza o differenza” che si ripercuote negativamente in particolare sulla condizione delle donne che lavorano: svantaggiate perché trattate, in alcuni casi, in maniera diversa dagli uomini, pur essendo nella stessa situazione, e in altri casi perché trattate in maniera eguale agli uomini, pur essendo in una situazione diversa. Il problema dell’identità affrontato dalla riflessione occidentale non può comunque non specchiarsi e confrontarsi con il pensiero e il vissuto delle “altre”, le straniere, le migranti, quelle figure di confine che portano l’altrove nel luogo in cui giungono. È questo il tema approfondito da Francesca Brezzi che suggerisce un itinerario intorno all’identità nomade – da Luce Irigaray a Rosi Braidotti, da Donna Haraway a Judith Butler – che mostra il superamento di varie frontiere, alcune facili da attraversare, molte naturali, cioè determinate dalla geografia, altre create dalla storia. Infiniti sono i confini tra mondo femminile e mondo maschile, tra giovani e vecchi… Quale il cammino delle donne di fronte alle frontiere, talora muri invalicabili? Innanzitutto, si è attuato il viaggio verso la parità che ha visto lo stretto intreccio tra il faticoso cammino di emancipazione delle donne e la lenta evoluzione democratica del paese, in Italia e non solo, e poi il sorgere del primo femminismo emancipazionista, impegnato nel superamento delle diseguaglianze, seguito dal secondo femminismo, attento alla valorizzazione delle differenze. Importanti per guardare in maniera più appropriata queste ‘immagini allo specchio’ sono i risultati dei postcolonial studies che evidenziano la necessità di abbandonare un’ottica eurocentrica e disegnano il cammino di una “cittadinanza non indifferente”. Tale è, appunto, la cittadinanza femminile da intendersi come possibile – ma diversa – inclusione di chi per secoli è stato straniero e Luisella Battaglia XIII periferico. In riferimento alla migrazione, il percorso etico – teoretico dai margini del mondo all’Europa si caratterizza, in primo luogo, per la riformulazione, da parte del pensiero delle donne, dell’ideale universale dei diritti umani, il cui ampliamento ha portato all’adozione di nuovi strumenti per il miglioramento dello status delle donne e, in secondo luogo, per il profondo mutamento dei flussi migratori femminili che – nella trasformazione da emigranti a migranti – esprimono una doppia presenza o doppia lotta, stabilendo, da un lato, legami col paese ospitante e insieme, mantenendo un rapporto con la terra d’origine. Si tratta – rileva Brezzi – di donne sospese tra più culture, che cercano nuovi cammini, partecipano a reti associative che sono anche un luogo di confronto e negoziazione con enti pubblici e istituzioni e si impegnano, spesso in prima persona, organizzando gruppi e movimenti per la pace, lo sviluppo, la cooperazione. Le donne immigrate possono allora rappresentare un “genere di frontiera” che dischiude un modo nuovo di concepire la cittadinanza, una cittadinanza – si è detto – “non indifferente” che non si limiti al superamento delle discriminazioni sociali e politiche ma che affermi il valore del meticciato e ci consenta di ripensare in maniera meno autoreferenziale ed eurocentrica la storia e la cultura in un mondo sempre più interdipendente perché globalizzato. In tal modo sembra possibile formulare l’ideale di un “universalismo concreto interattivo”, in cui ciascuno può conoscere l’identità altrui e prospettare la propria, ponendosi in una condizione di ascolto partecipativo e partecipante. Nell’ambito della geografia di genere si colloca il contributo di Nicoletta Varani, Camilla Spadavecchia e Valentina Chechi che si concentra su un importante aspetto della condizione della donna nell’Africa sub–sahariana, quello relativo all’empowerment. Le donne sono ancora fortemente discriminate a tutti i livelli e hanno limitate possibilità di accesso all’istruzione, all’informazione, alle risorse e ai servizi, pur se le loro sono quelle “mani invisibili” che silenziosamente, da sempre, costruiscono e strutturano la società africana. Fondamentale è dunque il ruolo femminile, al di là delle diverse XIV Introduzione tradizioni culturali, politiche e religiose: in Africa non esiste donna che non lavori e la sua è una forza doppiamente produttiva, come donna madre nutrice e come donna produttrice. Nonostante le numerose conferenze internazionali volte a promuovere la partecipazione femminile alla sfera politica ed economica africana, l’area sub–sahariana registra la maggiore disparità di genere nel mondo nel campo dell’istruzione che costituisce il primo veicolo dell’empowerment femminile. Da qui la necessità di politiche locali forti, centrate sull’accesso all’istruzione da parte di bambine e ragazze, così come di politiche lavorative che sostengano le famiglie nella vita quotidiana e facilitino l’accesso scolastico senza distinzioni di genere. Una felice eccezione, tuttavia, è rappresentata dal Ruanda dove le donne sono divenute protagoniste assolute della ricostruzione materiale e morale oltre che dello sviluppo socio – economico del Paese. A seguito, infatti, della decimazione della popolazione maschile durante il genocidio del 1994, il Ruanda ha dovuto contare quasi unicamente sulle donne e oggi detiene il primato mondiale di parlamentari donne, oltre ad avere uno dei sistemi di welfare migliori del Continente. Sebbene il Ruanda rappresenti l’eccellenza, anche altri paesi della regione, a partire dagli anni ’70, hanno avuto figure femminili con posti di rilievo sulla scena politica. Sembra dunque inaugurarsi un nuovo ciclo politico che rischia però di rimanere sterile se resta appannaggio di pochi stati lungimiranti. Risulta quindi indispensabile che i governi, sia nazionali che locali, abbiano gli strumenti per promuovere una piena partecipazione politica, economica e giuridica delle donne, al fine di creare un reale sviluppo nell’Africa sub–sahariana. È ancora la questione dell’empowerment femminile in Africa, questa volta in relazione alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), al centro dell’intervento di Antonella Primi. È opinione consolidata e ormai ampiamente condivisa che tali tecnologie costituiscano un supporto per migliorare la parità di genere per il loro grande potenziale di andare incontro alle necessità delle donne che Luisella Battaglia XV vivono nelle aree rurali al fine di facilitarne lo sviluppo, apportare cambiamenti sociali ed economici, potenziare la loro partecipazione alle decisioni della comunità e favorire lo scambio di idee con altri paesi. L’alfabetizzazione digitale delle donne appare dunque fondamentale per incoraggiare la loro piena partecipazione alla società dell’informazione affinché possano beneficiare delle opportunità e delle risorse in essa generate. A tale riguardo non sono mancate le Conferenze e le Dichiarazioni internazionali che hanno adottato precise raccomandazioni per la promozione dei diritti delle donne e per sostenere una loro maggiore partecipazione nei settori della scienza, dell’innovazione e della tecnologia. In alcuni stati africani si rintracciano esempi di politiche e strategie economiche volte a richiamare l’attenzione sul rapporto tra donne e TIC ma non sempre queste iniziative hanno portato a risultati positivi. Diverse ricerche hanno infatti sottolineato la difficoltà che le donne africane incontrano nell’accesso a tali tecnologie a causa principalmente della insufficienza di infrastrutture sia per l’elettricità che per le telecomunicazioni, della mancanza di tempo, istruzione e lavoro e, soprattutto, delle barriere socio – culturali legate a tradizioni sessiste. Si può parlare, pertanto, di un divario digitale di genere, riferito al gap tecnologico tra donne e uomini nell’accesso e nell’uso delle TIC e che presenta molteplici dimensioni: barriere sociali, culturali, economiche e di istruzione; disparità di genere nelle occupazioni legate alle tecnologie e nella partecipazione femminile alle politiche e alla governance delle TIC; diversità tra uomini e donne nei modelli di comunicazione, etc. Sembra tuttavia di poter registrare taluni segnali positivi: negli ultimi anni si sono elaborati alcuni indici per cercare di valutare il divario di genere e le diverse dimensioni che contribuiscono a definirlo (tra cui l’indice di sviluppo umano, l’indice di diseguaglianza di genere e l’indice globale di gap di genere) e soprattutto si sono incrementate le iniziative internazionali per favorire lo sviluppo sociale, politico ed economico femminile attraverso le TIC. XVI Introduzione La riflessione sull’empowerment femminile introduce all’analisi del rapporto cruciale tra autorità e potere. C’è una radicale differenza tra i due termini? Come si articola la loro relazione? A queste importanti domande è dedicato il contributo di Marisa Forcina. Che possa esserci un’autorità completamente separata e differente rispetto al potere è tesi sostenuta da alcune filosofe del Novecento in contrapposizione con le analisi tradizionali delle dottrine politiche. Questo pensiero femminista – sottolinea Forcina – muove da un attento esame della realtà e si radica su un sentire elaborato sulla base di una propria autonoma esperienza del mondo. Non si intende qui contrapporre un’autorità femminile a un potere di stampo maschile, bensì evidenziare un’autorità in grado di aprire percorsi nuovi e consensi che non si fondano sul potere ma sull’ordine simbolico nel quale si orientano e agiscono. Nel pensiero politico delle filosofe del Novecento, e in particolare nel pensiero femminile radicale, l’articolazione tra autorità e potere si chiarisce in maniera netta: si tratta di campi indagati come ambiti separati. Se la politica è vista come eccedente lo spazio del potere, l’autorità è vissuta e definita come rivelazione di una grande forza politica in grado di orientare la vita della comunità. Per questo il femminismo radicale non ha mai lottato per una maggiore condivisione del potere da parte delle donne, dal momento che l’autorità femminile non è fatta coincidere con il posto delle donne nella vita pubblica. Vi sono infatti azioni politiche nel quotidiano e nel contesto che trasformano il mondo ma che non appartengono alla gestione del potere. Il pensiero femminile, da Simone Weil a Hannah Arendt a Luisa Muraro, ha sottolineato più volte che dove c’è potere non c’è libertà, nemmeno per chi esercita quel potere. Se il potere è arrogante, l’autorità è di natura simbolica, implica fiducia – come la madre – e rispetta la realtà, a differenza del potere che la manipola. In effetti, quando riconosciamo leggi e usanze come autorevoli e non come vessatorie, ci sottraiamo a puri rapporti di forza: ne è esempio l’autorità materna, la relazione di cura nelle prime fasi di vita di un bambino, un’autorità che incoraggia e dà energia per un autonomo passo. Tra autorità e Luisella Battaglia XVII potere, secondo la lettura proposta, non c’è quindi uno scarto, né un superamento dialettico o una contrapposizione. L’autorità apre su un piano fenomenologico esistenziale dove vi sono soggetti in relazione e si pone essa stessa come una forma di relazione, non di tipo materiale ma fortemente simbolica. Non si tratta tuttavia di assolutizzare l’autorità o di enfatizzarla, dal momento che il rischio è connesso al suo abuso. Il pensiero della differenza sessuale, secondo Forcina, si pone preliminarmente al riparo da questa deriva perché non coltiva lo spirito di sistema e, rispetto al pensiero politico tradizionale – che per compensare il carico negativo dell’autorità richiede un maggior carico di eguaglianza, col rischio di pervenire ad una società uniformata – stempera quel carico negativo nella semplice accettazione della condizione umana, nella sua fragilità e pluralità. Un lavoro ermeneutico su alcuni percorsi della cultura espressa dalle donne, a partire dal femminismo degli anni ’70, è proposto da Chiara Zamboni che muove dalla lettura di un testo chiave del pensiero taoista classico, il Tao tè ching . Si tratta di un testo considerato ad impronta femminile, pur se scritto da un uomo, il maestro Lao–Tze, che valorizza gli elementi femminili dell’esistenza, con esplicito riferimento alla figura della madre e della donna, come indici simbolici di una visione metafisica. Se la figura della madre ci aiuta a pensare il mondo nel suo divenire e nel suo aspetto di continua generazione, la figura del lattante, nel suo slancio di apertura alla vita, porta con sé tutto il potenziale di azione di cui è capace. In questa chiave di lettura ermeneutica, è possibile rintracciare nel Tao una lente per vedere sotto nuovi aspetti alcuni punti fondamentali del pensiero femminista tra cui, in particolare, il concetto di autorità femminile di matrice materna, un concetto che una parte del movimento delle donne ha ritenuto necessario in un momento di fine del patriarcato e che è stato indicato come una condizione da scoprire e da inventare nelle relazioni storico–politiche. Ed è proprio – secondo Zamboni – la figura del lattante a far pensare in modo nuovo il concetto di autorità femminile. Il lattante ha virtù, nel senso di potenzialità sorgiva, l’esperienza che si ha di XVIII Introduzione chi autorità è che chi è autorevole crea un senso di potenziamento negli altri che ne sono attratti e orientati. È chiaro che la forza dell’autorità di questo genere è di una qualità molto diversa dalla forza del potere nelle sue varie forme. Ma c’è un’altra figura che getta luce su un concetto base espresso dai movimenti femministi: è la figura del Tao che viene tradotto con via, processo. I movimenti femministi hanno valorizzato una politica interpretata come processo, percorso che lascia fluido il diramarsi delle pratiche nel tempo. Centrale è infatti il concetto di ‘pratica’: nei movimenti femministi le rivoluzioni sono avvenute principalmente attraverso pratiche, cioè azioni contestuali che si sono propagate a macchia d’olio con diversa fortuna. Non esiste, comunque, un modello prefissato di pratica che è, in quanto tale, un processo vivente che dura il tempo della sua spinta vitale e, in caso contrario, diventa pura ripetizione vuota. A parere di Zamboni, il movimento politico delle donne, specie in Italia, è attraversato da un conflitto profondo, quello della convenienza o meno di portare nelle varie istituzioni la forza politica guadagnata dal movimento. La lettura del Tao potrebbe portare una luce a tale conflitto per il suo dirci qualcosa di attuale, nel disegnare una contraddizione tra azione libera e formalizzazione normativa dell’agire. Molte donne che hanno fatto la scelta politica di farsi eleggere nei governi delle istituzioni, per apportare il meglio della loro esperienza nei movimenti, hanno ammesso, dopo anni, la difficoltà di tale tentativo. Le strutture istituzionali si fondano infatti sulla rigidità di regolamenti, leggi, normative e tale meccanismo inevitabilmente snatura le pratiche viventi. Ciò dovrebbe condurre a un ripensamento profondo dei criteri di efficacia dell’agire. L’efficacia delle pratiche della politica femminista – che si diffondono per contagio nel tempo e che provocano modificazioni negli stili di vita a lungo termine – non è riscontrabile in termini brevi e non è neppure oggettivabile. In quanto processo di trasformazione si caratterizza non tanto per le realizzazioni finite quanto per le connessioni che crea e che si riportano a quell’atto di fiducia
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