Architettura

1454
24 Dalla Rivoluzione industriale alla Rivoluzione francese
iLa natura come fondamento dell’architettura i Antologia 189 i Laugier
iParola d’ordine: funzione i Antologia 190 i Memmo
24.3.7 Architetture neoclassiche
Il linguaggio della tradizione
greco-romana
24.160
Proporzioni del
corpo umano. Da
Dell’architettura di Marco
Vitruvio Pollione Libri
dieci, pubblicati da Carlo
Amati, I, Milano 1829,
Tav. V.
24.161
Templi Rotondi. Da
Dell’architettura di Marco
Vitruvio Pollione Libri
dieci, pubblicati da Carlo
Amati, I, Milano 1829,
Tav. XXII.
Nel 1786, in pieno Neoclassicismo, il nobile Andrea Memmo
(1729-1793), seguace e ammiratore di padre Carlo Lòdoli (Venezia, 1690-Padova, 1761) dette alle stampe il primo volume
degli Elementi d’architettura lodoliana, un insieme delle teorie
propugnate dall’ecclesiastico veneziano, legato alla cultura illuminista e che non lasciò alcuno scritto.
Il Lodoli fu il primo a rifiutare gli eccessi dell’ornamentazione barocca, spesso fine a se stessa, e a ritenere che l’architettura dovesse essere intesa come espressione della sua funzione. La bellezza di un manufatto edilizio, infatti, stava nella
corrispondenza fra strutture, distribuzione planimetrica degli
ambienti e loro funzione specifica. La pubblicazione di Andrea Memmo contribuì notevolmente alla diffusione di queste idee, per allora assolutamente rivoluzionarie.
Al Lodoli fa riferimento anche il massimo teorico dell’architettura neoclassica, il pugliese Francesco Milizia (Oria,
Brindisi, 1725-Roma, 1798), il quale afferma che in architettura «tutto ciò che è in rappresentazione dev’essere in funzione», cioè tutto quello che viene progettato deve assolvere a
una precisa funzione.
Autore, nel 1768, delle Vite de’ più celebri architetti – seguendo lo schema delle Vite vasariane – egli tese a dare giudizi molto
negativi anche di artisti del calibro di un Michelangelo e di un
Borromini. Nel 1781 pubblicò anche un trattato di architettura,
Principi di architettura civile, in cui si attribuiva molta importanza ai materiali impiegati in edilizia.
Il Milizia ritenne che la massima espressione dell’architettura fosse stata quella greca di cui ammirava lo stile «semplice
e grande». Tuttavia il suo forte senso critico lo portò anche
a severi giudizi nei riguardi del De architectura di Vitruvio,
nonostante egli riconoscesse l’antico architetto-scrittore quale principe dell’arte edificatoria e lo lodasse quale unica fonte
dei giusti princìpi architettonici.
È da sottolineare che proprio agli inizi dell’Ottocento, tra
il 1829 e il 1830, il sacro testo vitruviano – studiato per secoli da intere generazioni di architetti e che aveva già avuto
numerose edizioni e traduzioni nelle maggiori lingue europee – venne stampato di nuovo dall’architetto Carlo Amati
(Monza, 1776-Milano, 1852) con abbondanza di illustrazioni caratterizzate dal segno distintivo della grafica neoclassica, quello della semplice e armoniosa linea di contorno [Figg.
24.160 e 24.161].
È, quindi, al mondo greco-romano che guarda anche l’architettura neoclassica.
Robert Adam (1728-1792)
Il maggiore degli architetti d’Oltralpe fu senza dubbio lo
scozzese Robert Adam (Kirkcaldy, 1728-Londra, 1792) che
in Italia ebbe modo di studiare le antichità di Roma e della Campania. I suoi viaggi lo condussero in seguito anche in
Dalmazia, dove studiò e rilevò il Palazzo di Diocleziano [Fig.
24.162]. Ovunque andasse misurava e disegnava tutto quel che
Cricco, Di Teodoro ITINERARIO NELL’ARTE - Versione Gialla © Zanichelli 2012 Terza edizione
iSeguire la ragione, non le autorità i Antologia 191 i Milizia
24.162
24.163
Robert Adam, Veduta dell’entrata
al Tempio di Giove, 1764. Incisione.
Da R. Adam, Ruins of the Palace of
the Emperor Diocletian at Spalato in
Dalmatia, 1764, Tav. XXVIII.
Robert Adam, Disegno per la volta
della sala della prima colazione di
Kedleston Hall, ca 1768. Disegno
acquerellato.
24.3
Il Neoclassicismo
vedeva. Fu così che si creò un vasto repertorio di immagini
(rilievi architettonici, elementi strutturali e decorativi, arredi) che impiegò per i suoi progetti una volta tornato in patria.
In Inghilterra l’affermazione di Robert Adam fu agevolata
dalla diffusione del Palladianesimo, cioè di quella cultura architettonica che vedeva nello stile dell’architetto rinascimentale Andrea Palladio l’espressione della regolarità delle forme e, in definitiva, le proporzioni e l’aspetto più adeguati per
ogni tipo di edificio.
Caratteristica fondamentale delle costruzioni dell’architetto scozzese fu lo stretto legame fra architettura, decorazione e
arredo. Ogni sua creazione, infatti, veniva studiata fin nei minimi particolari, dalla struttura agli oggetti del mobilio [Fig.
24.163].
Cricco, Di Teodoro ITINERARIO NELL’ARTE - Versione Gialla © Zanichelli 2012 Terza edizione
1455
1456
24 Dalla Rivoluzione industriale alla Rivoluzione francese
24.164
Robert Adam,
Kedleston Hall,
Derbyshire, 17651770. Fronte nord.
24.165
Robert Adam,
Kedleston Hall,
Derbyshire, 17651770. Fronte sud.
24.166
Pianta di Kedleston
Hall.
Cucina
Lavanderia
Sala da pranzo
Great Hall
(grande atrio)
5. Salone
6. Camera da letto
7. Anticamera
8. Sala da musica
9. Salotto
10. Biblioteca
11. Ala privata
12. Ali non costruite
1.
2.
3.
4.
Kedleston Hall Mentre il fronte nord di Kedleston Hall
(1765-1770) [Fig. 24.164], una residenza nel Derbyshire iniziata attorno al 1758 da Matthew Brettingham (1699-1769), si
presenta come un edificio palladiano, nella parte centrale del
fronte sud Adam ripropone lo schema dell’arco trionfale romano esemplato sull’Arco di Costantino [Fig. 24.165]. Lo spazio
dei fornici è qui occupato da una porta vetrata affiancata da
semicolonne sormontate da un classico frontone, nonché da
due ampie nicchie. Alla celebre costruzione onoraria romana
Adam si rifà anche per i bassorilievi inseriti nei tondi sopra le
nicchie, per le possenti colonne libere che fronteggiano delle
lesene e sostengono una porzione di trabeazione in aggetto,
infine per l’ampio attico con le statue che lo fronteggiano.
La Great Hall (grande atrio) di Kedleston [Figg. 24.166, 4,
24.167 e 24.168] propone ancora un’architettura romana con
l’impiego di materiali dai toni caldi. Sedici colonne e quattro
semicolonne corinzie di alabastro venato (per i fusti) e bianco
(per i capitelli) circondano il grande atrio d’ingresso e sorreggono una trabeazione, dal fregio verde a figure bianche,
sovrastata da una volta a schifo ]. Le aperture della volta, dalle
quali entra una gran quantità di luce, suggeriscono un atrio a
cielo aperto, proprio come quello delle tipiche domus romane.
La volta è ornata di stucchi sul genere di quelli che Adam aveva avuto occasione di vedere negli antichi edifici di Roma, mentre le pareti sono scavate da nicchie che accolgono calchi di sta-
2
1
11
3
8
4
9
6
7
12
5
10
12
tue classiche ed ellenistiche. Al di sopra delle nicchie corrono dei
pannelli a grisaille con soggetti ripresi dai grandi poemi omerici.
L’atrio immette in un vasto salone circolare [Figg. 24.166, 5
e 24.169] da cui, tramite la scalinata a forcipe del fronte sud, si
accede al parco. Sormontato da una cupola ispirata al Pantheon, il salone è arricchito da nicchie i cui catini con lacunari a
losanga rinviano al Tempio di Venere e Roma, mentre il cassettonato della cupola, dove si alternano ottagoni e quadrati,
ha la sua fonte nella Basilica di Massenzio [Fig. 24.170].
Cricco, Di Teodoro ITINERARIO NELL’ARTE - Versione Gialla © Zanichelli 2012 Terza edizione
24.3
]
Volta a schifo
Dal germanico skif. È ottenuta tagliando con un piano orizzontale la parte
superiore di una volta a padiglione
o di una volta a botte con testate di
padiglione. Quest’ultimo tipo di volta
1457
Il Neoclassicismo
24.167
24.169
Robert Adam, Kedleston
Hall. Veduta della Great
Hall.
Robert Adam, Kedleston
Hall. Veduta del salone
cupolato.
24.168
24.170
Great Hall di Kedleston
Hall. Particolare.
Volte del salone cupolato
di Kedleston Hall.
Particolare.
composta (cioè formata da più volte
semplici) è costituita da una volta a
botte alla quale sono state innestate
due falde di padiglione in corrispondenza dei lati brevi dell’ambiente da
coprire.
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1458
24 Dalla Rivoluzione industriale alla Rivoluzione francese
24.171
Robert Adam,
Osterley Park,
Middlesex, 17611777. Veduta della
biblioteca.
1
0
Nella biblioteca di Osterley Park, nel
Middlesex, l’arredo fisso ] (gli scaffali architettonici della libreria con lesene, capitelli ionici, trabeazione
e frontoni) è stato studiato assieme alla decorazione delle pareti (piccoli dipinti incastonati entro cornici in stucco) e a quella
del soffitto recante stucchi bianchi o colorati [Fig. 24.171]. Tutto,
perciò, converge verso i fini prestabiliti dall’artista: l’uniformità
stilistica e la fusione fra struttura, funzione e decorazione.
Biblioteca
di Osterley Park
Leo von Klenze (1784-1864)
Tra il 1830 e il 1842 Leo von Klenze (Bockenem, 1784-Monaco,
1864) costruisce il Walhalla dei Tedeschi presso Regensburg (Ratisbona), città situata al centro della Baviera, alla confluenza del
fiume Regen con il Danubio [Figg. 24.172 e 24.173]. Nella mitologia germanica il Walhalla è il luogo (un’immensa sala) in cui le
mitiche Valchìrie – vergini guerriere al servizio del dio Odìno ] –
accolgono e servono le anime degli eroi morti in battaglia. L’idea
di costruire un tempio che richiamasse questo luogo mitologico
venne al principe Ludovico di Baviera dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia nel 1813. Così come l’Atene di Pericle aveva costruito il grandioso Partenone, allo stesso modo nella Germania
sud-orientale si volle realizzare un grande tempio octastilo, periptero di ordine dorico a imitazione di quello ateniese.
Anche il Walhalla, proprio come il Partenone – che lo stesso
]
Arredo fisso
Odìno
Tutto ciò che, pur facendo parte
dell’arredamento di un immobile, non
è tuttavia movibile.
In tedesco Wuotan o Wodan, divinità
germanica che, secondo la leggenda,
possiede una lancia miracolosa che dopo ogni lancio ritorna sempre nelle sue
mani. È anche dio della guerra.
Klenze avrebbe raffigurato in una veduta ideale dell’Acropoli
[Fig. 24.174] –, ha otto colonne nel fronte principale e diciassette nei lati lunghi, ma supera considerevolmente le dimensioni
del simbolo della libertà della Grecia misurando 32×92 metri
contro 30,88×69,51 metri.
I due frontoni recano altorilievi che celebrano l’uno la sconfitta di Napoleone, l’altro quella subita dalle legioni romane nel
9 d.C. nella foresta di Teutoburgo da parte delle tribù germaniche coalizzatesi. Il sentimento nazionalistico, quindi, è molto
forte e ben espresso dalla forza dell’ordine dorico.
Il Walhalla sorge isolato sulle sponde del Danubio sopra
un’incombente muraglia dalla geometria tagliente giocata
sulle orizzontali e sulle diagonali. La crudezza e la freddezza
dell’ordine dorico, qui non mitigato dalle sculture metopali, invece della serena grandezza espressa dal Partenone danno piuttosto l’impressione di un gelido e cupo baluardo della
cultura germanica nei riguardi di quella mediterranea grecoromana, della quale vengono adottate solo le forme esteriori.
Giuseppe Piermarini (1734-1808)
Forse il maggiore degli architetti neoclassici operanti in Italia
fu Giuseppe Piermarìni (Foligno, 1734-1808). Giunto a Milano al seguito di Vanvitelli, di cui era stato allievo e aiuto nella
realizzazione della Reggia di Caserta, divenne presto l’architetto più apprezzato della città lombarda che dal 1748 era dominio diretto degli Asburgo d’Austria. Nel 1779 Piermarini fu
nominato Imperial Regio Architetto, mentre già dal 1776 era
titolare della cattedra di Architettura presso l’Accademia di
Brera, da cui diffondeva il gusto neoclassico.
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24.3
Il Neoclassicismo
1
1
24.172
Leo von Klenze, Walhalla
dei Tedeschi, presso
Ratisbona, 1830-1842.
24.173
Veduta aerea del Walhalla
dei Tedeschi.
24.174
Leo von Klenze, Veduta
idealizzata dell’Acropoli
e dell’Areopago di
Atene, 1846. Olio su
tela, 102,8×147,7 cm.
Monaco, Bayerische
Staatsgemäldesammlungen.
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1459
1460
24 Dalla Rivoluzione industriale alla Rivoluzione francese
24.178
Giacomo Quarenghi,
Rovine del Tempio
di Nerva a Roma,
1776-1779. Penna
e inchiostro nero,
acquerello, 53×39 cm.
Bergamo, Collezione
privata.
24.179
Giacomo Quarenghi,
Interno della Basilica di
San Pietro, 1770-1780.
Penna e inchiostro nero,
acquerello, 45×31 cm.
Bergamo, Collezione
privata.
24.180
Giacomo Quarenghi,
Accademia delle
Scienze, San
Pietroburgo, 17831789.
24.175
Giuseppe Piermarini,
Teatro alla Scala,
1776-1778, Milano.
Veduta frontale.
24.176
Disegno preparatorio
per l’incisione della
pianta del piano
terreno del Teatro alla
Scala, 1789.
24.177
Angelo Inganni, La
facciata del Teatro
alla Scala, 1852. Olio
su tela, 80×100 cm.
Milano, Museo Teatrale
alla Scala.
Teatro alla Scala A Piermarini si deve il Teatro alla Scala
a Milano [Figg. 24.175 e 24.176], realizzato fra il 1776 e il 1778.
La facciata si compone di tre corpi aggettanti i cui elementari volumi geometrici sono leggibili in tutta la loro chiarezza
solo se si guarda l’edificio dalla strada. È infatti questo il punto di vista privilegiato, lo stesso che ricorre anche nella tela
dipinta da Angelo Inganni nel 1852 [Fig. 24.177], e non quello
dalla piazza sulla quale attualmente esso prospetta, ma che
non esisteva ai tempi della sua costruzione.
L’avancorpo centrale è costituito da un portico bugnato sovrastato da una terrazza su cui affacciano tre ampie aperture
del corpo retrostante. Questo è a sua volta scandito da tre re-
gistri orizzontali interrotti dal frontone centrale – della stessa
lunghezza del portico – e da semicolonne binate (nella porzione centrale) nonché da lesene. Il piano di fondo ripete la scansione ritmica delle due ali del corpo di fabbrica che lo precede.
Un coronamento di balaustre lega sulla sommità l’edificio in
un tutt’uno. La grammatica del Piermarini è quindi quella della simmetria e degli ordini architettonici desunti dall’antichità.
Giacomo Quarenghi (1744-1817)
Nel 1779 Giacomo Quarenghi (Valle Imagna, Bergamo, 1744San Pietroburgo, 1817) venne chiamato in Russia dalla zarina
Caterina II, in qualità di architetto di corte.
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24.3
Quarenghi portava con sé l’esperienza derivante dal lungo
studio delle architetture dei maggiori artefici del Rinascimento e l’aggiornamento relativo alle teorie e alle esperienze dei
contemporanei, fra i quali soprattutto Boullée e Adam.
Giacomo Quarenghi si era formato, come ogni architetto
neoclassico, con lo studio delle antichità romane, conosciute
sia attraverso le stampe, sia direttamente: egli, infatti, stette a
Roma per diversi anni, a cominciare dal 1761. È probabilmente una copia dal vero la veduta con Rovine del Tempio di Nerva
a Roma [Fig. 24.178], un disegno a penna acquerellato, databile
fra il 1776 e il 1779, comunque eseguito prima della partenza
per la Russia. Allo stesso periodo risale anche l’Interno della
Il Neoclassicismo
1461
Basilica di San Pietro, uno studio puntuale in veduta trasversale dell’edificio sacro [Fig. 24.179].
Accademia A San Pietroburgo Quarenghi progettò
delle Scienze numerosi edifici, tra questi l’imponente
palazzo dell’Accademia delle Scienze [Fig. 24.180].
Il sobrio edificio si compone di una lunga facciata a due
piani prospiciente il fiume Neva, limitata, alle due estremità,
da corpi lievemente aggettanti. Un monumentale porticato in
aggetto, ispirato agli schemi compositivi palladiani, riproduce il fronte di un tempio octastilo di ordine ionico alle cui colonne esterne corrispondono delle paraste che scandiscono la
superficie parietale interna.
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24 Dalla Rivoluzione industriale alla Rivoluzione francese
24.181
24.182
Giacomo Quarenghi, Padiglione
al termine di una serra, ca 1780.
Penna e inchiostro di china,
acquerello su carta bianca,
21,4×31,4 cm. Bergamo,
Biblioteca Civica (Album G24).
Giacomo Quarenghi, Monastero
della Resurrezione sull’Istra,
o della Nuova Gerusalemme,
ca 1797. Penna e inchiostro nero,
acquerello, 43,4×57,5 cm.
San Pietroburgo, Ermitage
(Sezione Disegni, 11718).
L’architetto bergamasco si esercitò in ogni
aspetto dell’ampia attività progettuale interessandosi anche dei giardini. Ne è un esempio il disegno di un
Padiglione al termine di una serra [Fig. 24.181], interpretato come un
tempietto circolare monoptero, una parte del quale penetra all’interno del muro di testa dell’edificio preesistente. Nel prospetto, la
veduta frontale in proiezione ortogonale non permette di vedere le
semicolonne retrostanti incassate nella muratura e separate da
quattro nicchie con statue (due sole delle quali sono visibili).
Antichità romana La straordinaria maestrìa disegnativa di
e tradizione russa Quarenghi, il ricordo costante dell’insegnamento romano e l’adesione viva al Neoclassicismo dettero
anche frutti particolarmente suggestivi a contatto con l’ambiente tradizionale russo.
Infatti, fra le vedute che egli disegnò a corredo di uno studio sulle antichità di Mosca realizzato dall’architetto L’vov in
occasione dell’incoronazione dello zar Paolo I, ve n’è una dal
fascino quasi magnetico, la veduta del Monastero della Resurrezione sull’Istra, o della Nuova Gerusalemme [Fig. 24.182].
Si tratta di un tipico complesso monastico russo – realizzato
nel 1685 – fatto di tante cupole a cipolla, croci, campanili e cappelle, incorniciato da un inatteso, possente arco romano cassettonato e da rovine. I toni caldi impiegati per l’arco e per l’amPadiglione
per giardino
pio muro che lo contiene contrastano con i grigi della chiesa
monastica suggerendo una visione grandiosa e quasi fiabesca.
Due culture architettoniche, quella dell’Oriente mistico e
quella della lontana classicità romana, sono messe a confronto, ed è la seconda a conferire monumentalità e “antichità”
alla prima: il monastero moscovita, infatti, era appena al suo
primo centenario quando Quarenghi lo raffigurò.
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