Contro gli insulti sessisti. Donne liberal per sempre di Nicla Vassallo • 03-Mar-14 Va recuperata la tradizione di John Stuart Mill che difende la libertà di espressione di ogni essere umano e la parità sessuale tra uomini e donne Provando a praticare una qualche empietà, che a volte serve, da un punto di vista strettamente civile e filosofico, non si comprende bene quando, come, perché le donne abbiano iniziato a pretendere equità ed eguaglianza, e, se questa rivendicazione oggi valga ancora, oppure se le donne "bianche" vi abbiano rinunciato, cedendo alle fatalità della cosiddetta società multietnica (che tale poi non si rivela, almeno sul piano degli equilibri), per adempiere a un preciso ruolo egemonico (chi lo nega aderisce al perbenismo conformistico più spregiudicato), prediligendo, in alcuni casi e di fatto, uomini "inferiori", sempre che loro siano eterosessuali. Insomma, non mi è chiaro cosa di liberal risieda in ciò. In effetti, l'otto marzo riguarda le donne che hanno optato, optano, opteranno per l'eterosessualità. Perché il problema rimane, alla faccia della filosofia della differenza, che ormai solo qui da noi impera, quello dell'equità ed eguaglianza nei rapporti tra donne e uomini, a partire dai rapporti sessuali: se in questi non si instaura davvero parità, come potrebbe darsi qualche seria parità su altri piani, per esempio, nelle professioni? E che a questa domanda occorra purtroppo rispondere che la parità non si dà viene testimoniato dal fatto che, quando una qualsiasi donna si ritrova in una posizione professionale, più o meno celebre, la si insulta nei e con i termini che conosciamo, e che qui, per amor di clemenza e soprattutto di decenza, non replichiamo, a favore di educazione, civiltà, umanità. La si insulta in tal modo perché? Già: insulti, ormai di gran moda, contro le donne, insulti sessisti. Ma non dimentichiamo che la pratica dell'insulto non è cosa recente. Forse Aristotele non si immaginava di insultare le donne definendole passive; altrettanto non avrebbe pensato di venire, a sua volta, insultato pesantemente, in virtù del suo bel politeismo, con una franca ferocia, sia da Al-Gazali, sia da Lutero: e oggi ne avvertiamo le oscure "ragioni". Uomini che insultano altri uomini, per questione mistiche o teologiche. E donne che insultano uomini, con fare sottile, elegante, senza apparenti concessioni al sessismo, come la grande e sconosciuta a più (perché mai?) Elizabeth Bowen che su Aldous Huxley, conosciuto ai più, si esprime così: «The stupid person's idea of a clever person». A William Irvine non sfugge l'episodio, nel suo recente A Slap in the Face. Why Insults Hurt - And Why They Shouldn't (Oxford University Press). E a lui non sfugge neanche la preminenza e la permanenza nella nostra società del ruolo che gli insulti svolgono nel cementare relazioni: per esempio, sempre nelle relazioni eterosessuali, si possono manifestare in una donna briosa, o detestabile, che si prende gioco del proprio compagno, e viceversa. Però, a incidere è che degli insulti poco dovrebbe importarci, che gli insulti non dovrebbero ferirci, anzi sugli insulti dovremmo ridere, infischiandocene, e altrettanto comportarci con l'insultatore di turno, che spicca sempre e solo per banalità, ignoranza, tracotanza. Questa situazione, nella sue varie sfaccettature, suggerisce l'esigenza di una traduzione contemporanea di una tradizione liberal che rintraccia un esponente esemplare (l'esemplare per eccezione?) in John Stuart Mill, nella sua filosofia teoretica, etica, politica, nel suo anticipare e criticare i discorsi sull'appartenenza sessuale e di genere, nella sua difesa della libertà d'espressione di ogni essere umano, quindi di donne e uomini, nella sua vocazione antipaternalistica, nella sua difesa dell'eguaglianza sessuale. In tutto ciò, come ben attesa David Brink (Mill's Progressive Principles, Clarendon Press), a contare e a prevalere nelle esistenze equilibrate rimane la felicità individuale e collettiva, felicità in stretta relazione con le proprie competenze o incompetenze deliberative – e allora occorre domandarsi se, oggi come oggi, le medesime competenze o incompetenze vengano elogiate e criticate in donne e uomini, in egual misura e proporzione, applicando a tutti/e loro i medesimi diritti e doveri. Temi e problemi che appartengono a una bella e sana filosofia che non si ripiega su se stessa, né si arrocca in pratiche astruse. Così (ri)leggere A Vindication of The Rights of Woman di Mary Wollstonecraft Godwin (anche attraverso la precisa ottica di Sandrine Bergès, nella sua The Routledge Guidebook to) ci conduce a comprendere quanto una certa e precisa vocazione liberal ci appartenga, e debba esercitare la propria influenza sulle nostre menti, in particolare, sulle menti di donne che si ritrovano a proteggere certi pregiudizi maschilisti, magari in nome di un multiculturalismo paternalistico, con esiti sempre pericolosamente relativistici sul piano dei diritti umani e civili, o, comunque, a compiacere un certo tipo di maschio, accettandone esaurimenti, inciviltà, insensibilità, intemperanze, inettitudini, fondamentalismi. E, quando a questo "tipo", da donna o da uomo, domandi di insulti, di John Stuart Mill, di Mary Wollstonecraft, e lui ti guarda in cagnesco o con occhi da pesce bollito, comprendi, una volta di più, perché tu devi essere liberal, per sempre. Il Sole Domenica 2.3.14
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