donne donne anno XXII estate 2014 - € 8,00 sped. in a.p. art. 2 comma 20/c legge 662/96 Filiale di Palermo Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.09 Pagina I Anonimo, Scuola di Fontainebleau mezzocielo 144 n° trimestrale di politica cultura e ambiente pensato e realizzato da donne Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.09 Pagina II politica Regole trasparenti e condivise per un potere di molti collettivi Simone Lucido Nell’ultimo numero di Mezzocielo Simona Mafai ci chiedeva se la democrazia fosse troppo faticosa per noi tutti/e. Vorrei provare, se possibile, a radicalizzare il filo del suo ragionamento: quanta fatica possiamo sopportare prima di arrenderci condannando la democrazia a un (forse) lento, ma inesorabile, declino? Vorrei dunque provare a ribaltare la questione partendo dalla fatica. In generale, la fatica si sopporta o perché non ci sono alternative o perché permette di intravedere un futuro migliore. Oggi sempre più persone, nella crisi che attraversiamo, si trovano nella prima condizione e corrono il rischio della resa quando le forze cominciano a venir meno. Molti si arrendono, altri rilanciano: l’ultimo rapporto Caritas sulle migrazioni ha certificato che l’Italia è ritornata ad essere un paese di migranti: gli italiani che partono sono più degli stranieri che arrivano. L’ultimo rapporto Res sulla congiuntura economica ci dice che a Palermo tutti i consumi sono diminuiti tranne quelli di alcolici. Si tratta di dati che descrivono un cambiamento fondamentale perché ci dicono che il tessuto sociale è significativamente deteriorato: la scelta di migrare è infatti una soluzione individuale a un problema collettivo. La fatica della scelta (se questa è obbligata) è tutta dell’individuo che taglia il legame con la collettività. Il consumo di alcolici, oltre una certa soglia, è un efficace anestetico. Semplifico per dire che probabilmente siamo a una soglia pericolosa. L’esistenza di molti è diventata troppo faticosa e, dunque, una forma di convivenza complessa come quella democratica, che richiede una cura costante e attenta proprio perché si nutre delle sue imperfezioni, rischia di essere percepita come una malattia cronica della quale liberarsi con il primo vaccino che promette una immediata guarigione. In questo contesto, la partecipazione alla sfera pubblica – l’ambito nel quale si ge- nera la democrazia e la possibilità del cambiamento –, rischia di trovarsi stretta in una alternativa sterile fra la dimensione istituzionalizzata dei partiti politici, dominata da un eccesso di semplificazione, dove la ricerca esasperata del leader significa semplicemente sondare l’opinione pubblica per trovare qualcuno che piaccia a una fetta quanto più ampia possibile di elettori (ai quali dire quello che i sondaggisti dicono che vogliono sentirsi dire); e, dall’altra parte, il magma dei movimenti e comitati che, non sempre ma spesso, per sopravvivere al ciclo naturale della partecipazione (con i suoi picchi e le sue curve discendenti) sono avvitati in un movimento che li porta a radicalizzare le proprie visioni perdendo di vista, anche loro, la complessità della realtà. Per iniziare a sciogliere alcuni di questi nodi alcune mosse, fra le tante necessarie, mi sembrano urgenti: praticare i contesti e dargli voce senza continuare a usare categorie esauste e dormitive (come per esempio flessibilità, precarietà e stabilità); ricominciare a dire che la politica è lotta per il potere, che questa lotta deve avere delle regole trasparenti e condivise e che il potere non è di uno ma di molti e che a questi molti bisogna dare nomi collettivi, altrimenti restiamo nella semplificazione narcisistica del leaderismo al quale abbiamo assistito in questi anni. Come si vede c’è da faticare, ma qualcuno dovrà pur farlo. Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.09 Pagina 1 DonneDonne donne donne Hayez, Susanna al bagno, 1880 diecirighe Francesca Traina Per aspettarti sono andata via sorseggiando un aperitivo senza ghiaccio e sgranocchiando patatine. Per aspettarti ho contato le falene crollate ai piedi delle statue di piazza Pretoria e seguito un cane dagli occhi bigi. Non ti ho più incontrata – amica – nel meraviglioso dissesto di Palermo fino al giardino dell’anemone impazzito, fino al mare delle brezze, fino a noi dimentiche di noi. Del resto la regina dell’oblio è una farfalla spaiata, un rottame di cielo sospeso sopra corali smarrite. Del resto “un po’ per celia, un po’ per non morir” l’ago cerca sempre il filo, la tela da tessere, da bucare o da lanciare negli anditi di albe fuggite oltremare. Ma ora sono stanca e vorrei versare champagne sulla folle pace del tuo regno, magari fischiettare un motivo noncurante e sul ponte più alto rendere omaggio alla bellezza dell’assenza. 1 mezzocielo n° 144 giugno 2014 Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.09 Pagina 2 DonneDonne Crisi della democrazia. E noi che ci stiamo a fare? Simona Mafai A pochi mesi dall’insediamento del governo Renzi (con otto donne ministro) sei sono state elette al Parlamento europeo d’Italia 27 donne, su un totale di 73 deputati. A questo punto, credo proprio che non ci si possa più domandare se le donne possono e vogliono fare politica. La risposta è nelle cose. Le donne stanno facendo politica; non solo, come sempre, nell’ambito solo apparentemente minore della “politica prima” (così il pensiero femminile ha definito l’azione civile che si svolge quotidianamente nella società) –ma ormai con pienezza di titolo e dignità di ruolo anche nella “politica seconda” (istituzioni e governo della cosa pubblica ad ogni livello). Il processo era in corso da anni, ma oggi vi è stato un salto di quantità e di qualità. Incalzano però altre domande. Le donne elette fanno propria un’ottica femminile? Sentono su di loro l’onere di rappresentare una popolazione esclusa per secoli dalla direzione della cosa pubblica? Generalmente esse si sono collegate tra loro quando sono esplose tematiche (e drammi) che hanno coinvolto clamorosamente il “genere” donna. Dagli anni assai lontani in cui Nilde Jotti, comunista, e Maria Eletta Martini, democristiana, lavorarono tenacemente (e proficuamente) per stendere il nuovo diritto di famiglia, agli anni più recenti dove tutte le parlamentari, senza alcuna differenza di schieramento chiesero insieme misure efficaci per contrastare i crescenti atti di violenza contro le donne e il tragico fenomeno dei femminicidi, fino ai giorni più recenti, quando si è trattato (anche un po’ per difendere se stesse) di varare tecniche elettorali che assicurassero l’elezione delle donne – si è sempre registrata l’unità tra le elette. Ma la stessa unità non si è determinata su altri temi che pure stanno molto a cuore alle donne nella società: dai temi dei servizi, della casa, della difesa dell’ambiente, della lotta alla corruzione, ecc. Quando nelle istituzioni si affrontano questi temi, le donne elette non sanno più raccordarsi tra loro per elaborare, presentare e se possibile imporre un punto di vista femminile, e si fanno riassorbire dallo schieramento politico di cui fanno parte (e nel cui ambito sono state elette). Come donne, scompaiono. Lo stesso fenomeno si riproduce nelle regioni e nei comuni. Perciò, quando ci si domanda se le donne italiane si riconoscono nelle elette, è difficile rispondere di sì. Senza dubbio c’è l’orgoglio di vedere persone del proprio sesso, considerato per lungo tempo inferiore e inadeguato, ricoprire incarichi pubblici importanti (come il Ministero degli Esteri o quello della Difesa); c’è anche il piacere (estetico? che acquista però valore simbolico) di vedere i luoghi della politica riempirsi di giovani visi femminili ed abiti colorati, azzerando gli spaventosi blocchi di abiti neri e grigi che avevano sempre caratterizzato le foto ministeriali, ma oltre a ciò le donne non avvertono, nel cambiamento avvenuto, una loro maggiore forza, un proprio vantaggio. La presenza sempre più numerosa di donne nelle assemblee elettive e nei governi, costituisce una progressiva inclusione nella direzione della cosa pubblica di una parte di popolazione, che ne era stata tenuta sempre ai margini. Questo fatto però non ha ridotto il vallo esistente tra governanti e governati/e. Al contrario: mai come in questo periodo, mentre tante donne sono presenti nelle istituzioni, la cittadinanza si sente estranea (ed anche ostile) al ceto politico. Indubbiamente non esiste, nel registrare ciò, un rapporto causa/effetto. Una situazione complessa come quella che viviamo oggi, non può essere giudicata solo da un’ottica parziale (anche se significativa) come la nostra. Ma è paradossale che proprio oggi, mentre è così cresciuta la partecipazione femminile alle assemblee legislative ed agli esecutivi di governo, si evidenzi con tanta ruvidezza una crisi della democrazia. La questione non è di poco conto. La progressiva fine della esclusione delle donne dalla direzione della cosa pubblica, non può essere vissuta solo come una conquista giuridica di parità, ma come l’avvio di un profondo mutamento culturale e morale, che apra l’orizzonte ad una pratica comunitaria nuova, contenente i semi (almeno i semi!) di una vita collettiva più ugualitaria e giusta, in cui nessuno e nessuna sia tenuto ai margini. C’è in questa nostra attesa un elemento utopistico? Può anche essere. Certo, per molte di noi, la presenza paritaria delle donne alla guida del governo non può significare una soddisfazione morale e basta, né solo un modo più corretto e rapido di affrontare i problemi quotidiani (anche se ciò ha il suo valore, da non sottovalutare) – bensì l’inizio 2 mezzocielo n° 144 giugno 2014 Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.09 Pagina 3 DonneDonne Fotografie di Shobha, Nepal, 2014 di una rivoluzione pacifica, di un modo diverso di fare politica. L’obiettivo è la costruzione di una società migliore, l’affermazione di un punto di vista che metta in primo piano la lotta alla miseria e per l’uguaglianza, una politica estera che difenda sempre ed ovunque il principio della convivenza pacifica, il rispetto di tutte le idee e religioni, il diritto delle donne alla loro libertà. Speriamo perfino (perché siamo molto ambiziose!) che la crescente presenza femminile nella politica e nei governi, sia anche capace, in tempi ragionevoli, di modificare la visione degli uomini che fanno politica, quasi sempre basata prevalentemente su criteri di potenza e di rivalità. Ma se vogliamo essere fino in fondo sincere con noi stesse, dovremmo anche osservare che gli esempi che ci ha dato e dà la storia recente (quanto meno in Europa) relativamente a donne salite ai massimi vertici della politica, smentiscono un po’ la nostra ottimistica equivalenza tra ottica femminile e capacità di governo generosa, inclusiva e paritaria. Ricordo Margaret Thatcher. Sospendo il giudizio, che non può che essere ambivalente, su Angela Merkel. Non posso non esprimere le preoccupazioni mie e di tanti e tante nei confronti di Marine Le Pen. E allora? La nostra fiducia nelle donne è una illusione, un mito ideologico? Tento di dare una risposta. Non è la donna singola che può portare avanti le istanze solidaristiche ed egualitarie del pensiero e della tradizione femminili. Le donne impegnate in politica potranno farlo solo collegandosi alle altre donne, che vivono e soffrono nella società, che si organizzano nelle proprie associazioni, che promuovono rivendicazioni e movimenti. Sono le esperienze, i desideri e i pensieri femminili che le donne elette dovrebbero far vivere dentro le istituzioni, e così modificarle. La palla, quindi, torna alla base. Cioè all’auspicio di un collegamento, rispettoso e continuativo, tra donne elette e movimenti ed associazioni femminili; capaci, queste ultime, di dare autentica solidarietà alle donne che sono al governo (cancellando, ove vi fossero, eccessi di critica e ombre d’invidia), richiamandole contemporaneamente ai grandi obbiettivi di cambiamento per raggiungere i quali le abbiamo sostenute. Più donne al governo – più democrazia nel paese. Ed anche: più donne al governo – più vicino (con l’impegno di tutte) il disegno di una società migliore. mezzocielo giugno 2014 ottobre 2012 3 mezzocielo n°3144 persone Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.09 Pagina 4 DonneDonne Zoccoletti e gonnelline a fiori sembrarono lotta Egle Palazzolo Fra le parole che da qualche tempo pronunzio con cautela, quasi con timore, ma che resta fra quelle cui tuttora dedico cura e rispetto, una è: femminismo. E se mi chiedo perché ne trattengo ma allo stesso tempo, ne difendo l’uso, la risposta, col mio fortunato seguito di figlia e nipoti che mi fanno da manuale di consultazione, posso ormai ben darmela. Perché in buona parte la ritengo, nel bene e nel male, aggredita quando fu cronaca e tuttora con troppa superficialità, avviata nella storia. Per come questa va segnandosi nei fatti, nei mutamenti, nelle ribellioni, nelle involuzioni. Nei silenzi e nei risvegli del tempo che inesorabilmente scorre. Faccio un passo indietro e torno a quegli anni ’70 durante i quali un giornalismo attivo e un’attenzione oltre che professionale, di “genere”, mi portò a vivere a tutto tondo, un’atmosfera difficile da dimenticare. Le donne si presero la ribalta, si schierarono numerose ovunque in Italia e in Europa e come accade quando si grida forte per ingiustizie subite o diritti negati, molti, troppi, lamentarono slogan, modi di vestirsi o di parlare, frontalità ed esagerazioni, esibizionismi e persino volgarità. Cioè proprio quel tanto che vien fuori quando si rompono schemi abituali, quando si vuol portare all’esterno quanto di represso, di sofferente, esisteva nella donna capace di vivere e pensare oltre pentole e strofinacci, che pertanto continuava, se del caso a saper adoperare. Il femminismo si organizzò perché palesemente la coscienza sociale, la potenzialità professionale e politica delle donne, il loro “esserci” non più soltanto come coccolata o bistrattata costola di Adamo, venisse considerato verità comune. Le donne che dal ’46 ebbero diritto al voto, chiesero a gran voce, circa trent’anni dopo, riconoscimenti e diritti che in breve tempo riuscirono ad ottenere sia dal legislatore che da un nuovo criterio di intendere la società e i rapporti di genere. Qualcuno si chiede oggi che ne è del femminismo? Di risposte ve ne sono parecchie. Certamente possiamo dire che quello che esplose meno di cinquant’anni fa, ha compiuto la sua parte. E quello che seguì appena dopo fu un lavorio più volte sottile ma pervicace di quanti – e tra questi, forze sociali, politiche, religiose, – si adoperarono di oscurarla o equivocarla. Quasi si fosse trattato di un fenomeno di breve durata, persino nocivo addirittura per le donne stesse. Ma, come sempre accade quando una rivoluzione è fondata su istanze autentiche e legittime (per la rivoluzione francese ad esempio e assai meno purtroppo per il ’68), il percorso storico e sociale del femminismo non si è interrotto, il seme gettato ha certamente prodotto i suoi frutti: non tutti, non sempre, ma lo ha fatto. Donna con la D maiuscola, se vuole e se ne ha i meriti, la donna oggi può esserlo. E quel movimento nato da lontane e drammatiche radici, fece lotta per i diritti della “persona” senza distinzioni ed emarginazioni di sorta. Dirigevo in quegli anni il telegiornale di una tv non di Stato e quello che accadeva fra le donne e per le donne, mi trovò pronta e col microfono in mano. Ricordo l’entusiasmo di tante attiviste, il coraggio, le delusioni, certe vivaci sfrontatezze e spesso una bella e colta dialettica di confronto. Non nemica del maschio se si vuole andare alla sostanza delle cose, ma decisa ad una nuova autonomia di compagna, di madre attenta, che seppe andare sulle piazze coi figli nel marsupio. Il marsupio e il bambino lì dentro col bavaglino di scorta. Una volta mi trovai ad intervistarle, che erano tre o quattro, in diretta, per il tg delle 13. In due avevano i bimbi e uno piangeva forte. Attendemmo in qualche modo che si quietasse e, con un mezzo, dolcissimo sorriso, poco dopo fu calmo, l’altro bimbo intanto dormiva. Il servizio così ebbe inizio, ma, appena qualche minuto e, tutte noi, con l’inesorabile telecamera addosso, fummo investite da uno sgradevole olezzo: il pargolo era comodo e soddisfatto. Noi, assai meno. Mi è rimasta in archivio di memoria quella paginetta da aggiungere al modo di intendere il rapporto “madre-figlio senza tata” che sembravano in unico legame tracciare solchi per un futuro forte e significativo. Nulla è ora del tutto e definitivamente compiuto. Anzi senza rivolte, comitati o gazebi, senza schieramenti ufficiali ma con sodalizi sapienti e mirati, con intese profonde e amicali, raccogliamo le fila di quanto si può esser disperso, di quanto stravolto. Sappiamo tutti che molte donne muoiono o subiscono violenze per mano di uomini, incapaci di crescere e questo è rischio per la 4 mezzocielo n° 144 giugno 2014 Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.09 Pagina 5 DonneDonne Fotografie anni ’70 società tutta. È un brutto catalogo quello dove un certo maschio, abituato a cambiar donna, o a lasciarla senza fatica, incapace di subire, oggi, sorte inversa, annota le sue vittime. Un tempo indifesa o rassegnata o, se oltraggiata pronta alla vendetta come la contessa Bellentani (ma ce ne sono ancora, a parte la perdente protagonista di “Senso”?) la donna può sottrarsi alle lagrime, dismettere i panni della sedotta e abbandonata e accorgersi delle sue risorse. Dare comunque al suo ruolo di moglie, di madre, di figlia, di sorella, la dimensione alta che le è congeniale. E parliamo della donna la cui identità ci è cara. Ben sapendo che non tutte le donne sono eguali o egualmente da imputare o elogiare. Ed altrettanto così è per gli uomini. Quale che sia il campo in cui si misurano. Potremmo oggi non pronunziare la parola femminismo, potremmo analizzarla solo se occorre, per nostro scrupolo o esigenza didattica ma non dimentichiamo che un cammino si compie se da qualche parte ci si è mossi. Vogliamo dimenticare il punto di partenza? In ogni caso facciamo giusta attenzione alla tappa odierna. Proviamo a ricordare, a distinguere, a sommare o sottrarre. Senza indossare zoccoletti e gonnellina a fiori, alle amiche di quegli anni, impegnate nella militanza, mi sento di dovere qualcosa. Adesso tocca alle donne giovani fare la loro parte, raggiungere traguardi nuovi di maggiore e bella armonia di convivenza. Da ciò che apparì lotta potrebbe ricavarsi, solo ad essere onesti e attenti, una gran pace. mezzocielo giugno 2014 ottobre 2012 5 mezzocielo n°5144 persone Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.09 Pagina 6 DonneDonne Una suora per amica Tra i viali del sesso a pagamento e in piena guerra Silvana Fernandez Per strada, a volte, ci sorprende vedere una suora che cammina veloce contro il vento da sola, o che guida spedita una macchina. Ci stupiamo guardando un gruppo di suore che parlano fitto fra loro sorridendo. Perché questa meraviglia per atti così banali e per noi quotidiani? Penso che la nostra curiosità venga dal fatto che spesso non abbiamo contatti con le suore. Come sono le suore? Ci chiediamo (almeno io varie volte l’ho fatto) in questo inizio di secolo, dove i valori sono in picchiata, dove il permissivismo è legge, come può una suora essere riuscita a mantenersi lontana da questo mondo se non aggrappandosi alla rigidità delle sue regole, perdendo magari la sua umanità. Il primo contatto che riesco ad avere è Suor Valeria dell’ordine dei Comboniani. Molte di noi ne hanno sentito parlare perché, insieme con altre sorelle e alcune donne della Caritas, vanno alla Favorita di notte a portare tè caldo, qualche biscotto alle prostitute nigeriane. Dunque una suora (ho pensato io) per riportare le prostitute sulla retta via, un ruolo di redenzione. Mi aspetto una persona distaccata e distante dalle cose terrene. Bastano dieci minuti perché le mie idee preconcette si dissolvano davanti a suor Valeria: il viso chiaro aperto, non solo al sorriso ma anche alla risata, gli occhi dallo sguardo intenso che mi guardano con amicizia e simpatia. Mi porta a vedere la loro chiesetta senza pretendere né genuflessioni, né preghiera. Inizio a chiedere del suo lavoro con le prostitute, m’interrompe subito: “No prostitute ma prostituite, sono schiave e noi suore, non potendo far altro, vogliamo far vedere che come donne siamo solidali e vicine a loro. A Pasqua abbiamo portato a ognuno un uovo e una piccola bibbia. Erano felici”. Domando se loro suore hanno avuto minacce dai protettori ma scuote il capo “No alla Favorita tutto va bene, ma noi siamo suore, siamo donne e veniamo sempre, al contrario dei missionari, accettate in qualunque posto e da qualunque etnia. Siamo state a Khartum, paese islamico e in piena guerra, per me le porte erano sempre aperte, ho potuto aiutare le donne a partorire e anche a lenire le terribili ferite inferte non solo dalla guerra ma anche dalle violenze degli uomini” “Ma” la interrompo “le donne islamiche non diffidano di voi?”. Suor Valeria ride”: “No, no curiamo i loro bambini, spesso anche loro. Subito diventano nostre amiche” “Ma amiche in che senso?”, Suor Valeria mi guarda stupita “amiche, mi parlano dei piatti che cucinano, delle piccole liti familiari, le più giovani dei loro amoretti, rivalità…”, approfitto di questo spaccato di vita per portare avanti la mia curiosità riguardo la rigidità e il distacco che, secondo me, potrebbe dare a una suora una fede così totalitaria che indirizza la sua vita. “Fra di voi sorelle in convento, ognuno ha il proprio carattere, la propria opinione, come gestite questi sentimenti?”. Ancora una volta Suor Valeria sorride, “ma siamo umane, accettare alcuni difetti delle consorelle è pesante, ma lo scopo è comune, o il lavoro, o la preghiera, o la cura dei bambini, lavorare insieme smussa molte tensioni. Certo poi ognuna di noi ha la suora con cui è più facile la confidenza, ed il piacere di scambiarsi un’opinione in più”. Mi torna a parlare della missione in Somalia in piena guerra, delle incursioni dei guerriglieri e delle guerrigliere, della Nigeria dove spesso le soldatesse armate fino ai denti, davanti ad una suora con in braccio un bambino, si allontanavano senza né depredare né perquisire. Sono passate due ore, la nostra conversazione, non certo intervista, deve terminare. Ho capito tante cose sulla loro vita vissuta con coraggio e fede. La chiave del loro essere così vicino al mondo e alle altre donne me la dà un scorcio di racconto sempre di Suor Valeria: Abbiamo lasciato, dopo due anni, il convento di Verona, dove ci era consigliato di andare ad occhi bassi e guardare a terra, scese alla stazione di Londra, dove andavamo a continuare la preparazione per la missione, la madre professa ci disse: Professine siamo nel mondo qua! Dovete guardarvi attorno: può mettervi sotto un tram, rischiate di cadere dal marciapiede o potete perdervi per la strada”. Sono sicura che la suora questo consiglio non l’abbia mai dimenticato. 6 mezzocielo n° 144 giugno 2014 Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.09 Pagina 7 DonneDonne Rarissime testimonianze sull’omosessualità femminile nel mondo greco antico Alessandra Cilio La produzione artistica del mondo greco ha sempre conferito all’omoerotismo un posto di spicco. La quantità di immagini relative a questa tematica è incalcolabile, ed anche le fonti letterarie, da quelle in versi alla prosa, si sono spesso soffermate sull’analisi delle relazioni sessuali tra uomini, restituendoci un panorama storico, culturale e sociale assai articolato. Di contro, la storia del rapporto donna-donna pare fatta di silenzi. Se si escludono le liriche arcaiche di Saffo e Alcmane, e pochi accenni in Platone, l’omosessualità femminile rimane quasi un mistero per chi oggi voglia accostarsi ad una sua rilettura storica. Sull’argomento tacciono perfino le commedie e l’iconografia vascolare, da sempre specchio dei costumi e della società ellenica. Il motivo va ravvisato nel valore politico e rituale attribuito all’omoerotismo tra uomini, emblematicamente rappresentato dal modello pederastico, rispetto a quello tra donne. Agli occhi di un sistema patriarcale e maschilista come quello della Grecia classica, le relazioni sessuali al femminile occupavano una posizione pressoché marginale per la società, pertanto non erano oggetto d’attenzione specifica, tantomeno di rappresentazione estetica. Il fenomeno, naturalmente, esisteva ed era normale. Esistevano i tiasi, ad esempio, comunità muliebri in cui le fanciulle venivano introdotte alla vita matrimoniale da donne con maggiore esperienza. All’interno di questi spazi trovavano posto anche pulsioni e storie d’amore tra allieve e maestre o giovani coetanee, che si concludevano quando le donne lasciavano il gruppo per sposarsi: relazioni fatte di dolcezza e tenerezza, vibrazioni sottili e tormentose passioni, prive di quella rigida subalternità che caratterizzava invece la pederastia iniziatica maschile. C’è una coppa attica esposta al Museo Nazionale di Tarquinia, realizzata all’inizio del V secolo a.C. dal ceramografo Apollodoros. Protagoniste della decorazione interna, due donne. Gli abiti sono stati abbandonati su uno sgabello e i corpi nudi delle giovani amanti danno vita, nella diversità delle pose, nella naturalezza dei loro gesti, ad un equilibrio fragile e al tempo stesso perfetto. Una è seduta a terra: carezza la coscia e il sesso dell’amica che la osserva rapita stando in piedi, in mano un balsamario. La scena è una delle rarissime testimonianze di omoerotismo femminile restituita dalla cultura materiale classica e, per questo, assai preziosa. Ad arricchire la nostra conoscenza sono le fonti letterarie di età imperiale, in cui il fenomeno sembra però perdere la spontaneità dell’epoca precedente. Le relazioni sessuali tra donne cominciano ad apparire innaturali e diventano oggetto di critiche, più o meno esplicite, da parte degli autori. Nelle Metamorfosi, Ovidio canta della passione di Ifi per Iante, un amore disperato perché giudicato contro natura dalla stessa protagonista, mentre Marziale inveisce in più d’un epigramma contro la lesbica Filene, che non fellat -putat hoc parum virile, sed plane medias vorat puellas. La disapprovazione di Marziale, tuttavia, non ricade nell’orientamento sessuale della donna quanto nell’ostentazione ad ogni costo di una presunta mascolinità: mangiare e bere fino a vomitare, dedicarsi al culturismo, far godere alla maniera dei maschi undici ragazze al giorno. Siamo ben lontani dall’erotismo, da quel delicato intreccio di sentimento e fisicità che caratterizzava, diversi secoli addietro, il tiaso saffico. Ben lontani dalle dita affusolate dipinte da Apollodoros che sfiorano un pube, teneramente. mezzocielo giugno 2014 ottobre 2012 7 mezzocielo n°7144 persone Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.09 Pagina 8 DonneDonne Parole e pensieri femminili alternativi al coercitivo linguaggio mafioso Alessandra Dino Parlare di come le donne scrivono di mafia – e di come le donne scrivono delle “donne di mafia” – significa porre al centro della riflessione la prospettiva “femminile” della mafia. Significa, inevitabilmente, occuparsi del come le donne di mafia parlano, scrivono e si raccontano. Del ruolo che il linguaggio, il simbolico, i processi comunicativi rivestono nel mondo mafioso. Della eventuale specificità di un linguaggio e di una narrazione declinati al femminile. Un circolo ermeneutico da cui difficilmente si esce e che, come dentro uno specchio, lega saldamente soggetto e oggetto della ricerca, dentro la dimensione fluida dell’identità che – ricorda Julia Kristeva – è come un testo senza confini precisi: il soggetto parlante è coinvolto nella modalità del funzionamento linguistico ed impensabile separatamente da esso. Così, nella transizione biografica, nella fuoriuscita dal mondo di Cosa Nostra o di ‘Ndrangheta, Carmela Iuculano e Giuseppina Pesce riconoscono un ruolo decisivo al processo di riappropriazione del linguaggio, veicolo della loro liberazione. Una liberazione che si manifesta attraverso la sperimentazione di parole e pensieri alternativi; che lascia alle spalle l’ambiguo e coercitivo parlare dei mafiosi. «Io praticamente ho iniziato a conoscere una nuova me stessa che io non conoscevo, che ero quando sono nata» affermerà Carmela Iuculano, descrivendo il momento in cui matura in lei la rottura. Aggiungendo: «però a me mi ha fatto tanto paura anche questo, cioè cambiare totalmente vita, modo di pensare, modo di parlare, modo di agire». Analogamente, Giuseppina Pesce denuncia la forza dei pregiudizi e della violenza esercitata dalle rigide categorie culturali entro cui si muoveva nel ruolo di donna di ‘Ndrangheta, dichiarando la fatica che comporta l’abbandono del “pensare come al solito”: «tutta quella falsità, il personaggio che si era creato non mi apparteneva ma ho dovuto mandare giù anche quello, ma non perché qualcuno me lo aveva imposto ma perché ho pensato che, come nei film, c’è una scaletta da rispettare». Il racconto di sé affidato alla scrittura femminile ha bisogno di superare gli stereotipi attraverso cui una società maschilista rappresenta le donne. La presenza femminile nel mondo delle mafie, prima addomesticata e poi accettata per ragioni strumentali, mette in tensione dall’interno le dinamiche mafiose, scardinandone la struttura attraverso l’applicazione di una prospettiva differente. Il linguaggio – anche quello violento, ambiguo, allusivo della mafia, che imbriglia le soggettività familiarizzandole alla violenza – è lo strumento più efficace per ribaltare la situazione di subalternità femminile. Così, Giusy Vitale intuisce l’ambiguo potenziale della parola, denunciando la violenza simbolica di un mondo maschile che le ha temporaneamente delegato il potere ma che non vuole riconoscerle la sua identità di donna: «...per stare con loro sapevo che una donna fino ad una certa età non crea problemi, mentre poi con una donna c’è un modo di parlare diverso, e allora se loro vedevano che io ero donna significava che con loro non mi potevano più portare [...], e allora io facevo in tutti modi per far sembrare che ero maschio, invece ero femmina ma ero uguale a loro». Di una parola – scritta o parlata che sia – connotata da una specificità di genere (o forse solo libera dai legami con la falsa neutralità del linguaggio maschile), colpisce innanzitutto la forza destrutturante con la quale è possibile trasformare le logiche opprimenti in processi di autocoscienza; rompere gli automatismi della socializzazione differenziale e della subcultura sessuale dai quali è pervasa la nostra quotidianità; metterne a nudo gli effetti narcotizzanti, ben descritti da Goffman quando afferma che “è il genere e non la religione l’oppio del popoli”. Tutto procede speditamente, quasi fosse “naturale”, fino a quando l’ordine non viene messo in discussione, attraverso il confronto con la differenza. La scrittura femminile, ancor più nel caso in cui siano donne autrici e soggetti del racconto, agisce come una forma decisa di denuncia: «nel popolo delle donne esiste un nesso antico tra la sofferenza per la propria illibertà e la creazione culturale, l’amore per la memoria, la parola poetica, la scrittura». È un cammino reso insidioso dalle mille trappole culturali che possono trasformare in “un dono avvelenato” ogni forma di indulgenza che la società dimostri alle donne. Anche l’amore può celare meccanismi di dominio. Facile dire ad una donna “ti amo”, argomenta Basaglia nelle Lezioni Brasiliane. Altrettanto facile mentire: «Perché quando io sostengo una relazione di uguaglianza con la mia donna, questo stato di tensione crea una vita che non conosco, e vivere senza identità è terribile, principalmente per il maschio». 8 mezzocielo n° 144 giugno 2014 Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.09 Pagina 9 Letizia Battaglia, Gli invincibili, 2013 Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.09 Pagina 10 DonneDonne Non esiste un perché Conversazione con una studentessa palermitana di 22 anni, rappresentante di istituto, stimata, carismatica, omosessuale Adriana Palmeri Quando hai scoperto la tua omosessualità? A quindici anni, dopo una breve frequentazione con un ragazzo. Una sera ero in compagnia di amici e amiche quando, ho ancora scolpita l’immagine nella mente, è arrivata una ragazza che non avevo mai visto prima. Ho sentito immediatamente “le farfalle nello stomaco”, non era esattamente un’attrazione sessuale, bensì un’autentica seduzione. Non mi era mai capitato prima di allora. Mi piaceva tutto di lei: il suo garbo, il suo modo di parlare, il suo modo di vestire. Cos’è accaduto da allora in poi? Una gran confusione mentale e, dopo aver dichiarato la mia omosessualità, una gran solitudine. Percepivo felicità e disagio al tempo stesso. Ero sorpresa per la scoperta del mio innamoramento per una donna (a casa mi era stato insegnato che fosse naturale l’innamoramento etero), sentivo che era totale e lo avrei urlato al mondo intero ma non l’ho fatto. Non so perché. So che ho avvertito, intorno a me, un vuoto colmato solo da un amico, anch’egli omosessuale, che mi ha ascoltata e compresa. Tuttavia ho vissuto la prima storia d’amore clandestinamente, era la prima volta anche per lei. È ancora opinione diffusa che l’omosessualità sia determinata da una “causa” che potrebbe essere: biologica, psicologica, desiderio di sperimentare, tentazione di trasgredire, un sentire collettivo di tendenza all’eterofobia, difficoltà nei rapporti conflittuali con gli uomini. Tu cosa ne pensi? Quanto ha influito il fatto che sia tu che la tua prima compagna avevate già avuto esperienze eterosessuali? Di tutte queste ipotetiche “cause”, ritengo che potrebbe essere attendibile quella dell’emulazione e quel “sentire collettivo”, ma restano entrambe circoscritte a una fascia di età che va dai 15 ai 17 anni. In realtà, io penso che ogni persona debba essere libera di esplorare la propria sessualità e la propria affettività, così com’è accaduto a me, in modo spontaneo. Io ho sentito veramente “le farfalle allo stomaco” come le sentono gli etero. Purtroppo, però, i condizionamenti, le pressioni sociali e i divieti fanno scattare il bisogno di trovare a tutti i costi una “causa”. La verità è che non esiste un perché. Quando e perché hai deciso di comunicarlo ai genitori? Hai avuto ripensamenti? Consiglieresti ad un’amica di farlo? Questo è l’aspetto più doloroso, che ho pagato a caro prezzo. Ho deciso di fare outing circa sei anni fa, quando avevo 17 anni, perché avrei sofferto di più a nascondere la mia omosessualità che non a dichiararla. Prima l’ho detto alle mie cugine, poi alle amiche, e infine ai miei genitori. Sapevo bene che ogni famiglia risponde a suo modo ma non avrei mai immaginato la reazione di mia madre, donna “semplice”, tanto diversa da mio padre che, come lui stesso ha detto, lo aveva già capito. Imbarazzo a parte, è stato un susseguirsi di sofferenze reciproche. Uno dei primi rimedi è stato quello di portarmi dallo psicologo con l’intento di farmi “guarire”. Ci sono andata per circa sette mesi al termine dei quali avevo imparato che dovevo accettare io mia madre. Io ne parlavo con lei ogni giorno, quasi un metodo omeopatico, ma è stato difficile lottare contro i suoi ricatti psicologici: “Sei la mia unica figlia, ti ho avuta quasi per miracolo, perché sei così?”. Somatizzavo il mio senso di colpa, andavo sempre più incontro ad attacchi di panico e crisi depressive. Tuttavia, ero certa che mai e poi mai avrei fatto un passo indietro. Per gli anni successivi sono stata seguita da uno psicoterapeuta. Se dovessi suggerire ad un’amica di fare outing, probabilmente le consiglierei di pianificare prima un percorso migliore. Per me è stato veramente doloroso. Oggi hai una storia stabile con la tua compagna, avete subito discriminazioni per molestie? Desideri dei figli? Si, oggi va molto bene, la nostra relazione è appagante in tutti i sensi. La mia famiglia accoglie la mia compagna quasi con disinvoltura, purché si evitino effusioni amorose. Con gli amici non abbiamo nessun problema. Episodi discriminatori? Solo una volta, a scuola. Mentre mi abbracciavo con la ragazza con cui stavo e ci siamo date giusto un bacio, la bidella ha fatto sì che il Preside ci redarguisse per “atti osceni in luogo pubblico”, ma poi è rientrato tutto. Qualche volta siamo state irrise per strada, molestie mai. Sì, desidero dei figli e probabilmente farò ricorso all’adozione o all’inseminazione artificiale. 10 mezzocielo n° 144 giugno 2014 Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.09 Pagina 11 DonneDonne Ragazze che rispondono al femminismo a cura di S. F. 1. Cosa è rimasto a voi donne di vent’anni del femminismo? 2. Cosa rifiutate? 3. Cosa ritorna utile adesso? 4. Pensate che ancora sia valido? Letizia Lipari 1. Mi riesce difficile rispondere a questa domanda. Sono nata nel 1990, molto dopo quindi che si erano spenti gli echi delle grandi battaglie femministe in Italia. Sebbene sia tacitamente condiviso che le possibilità che abbiamo oggi io le mie coetanee – la possibilità di studiare, di realizzarci professionalmente al pari dei maschi – siano frutto di lotte operate da donne venute prima di noi, di queste lotte, di queste donne, si sente parlare molto poco. Ho anzi l’impressione che la parola femminismo sia oggi diventata per molti sinomimo di qualcosa di negativo, di un estremismo portato avanti da donne esaltate, frustrate, poco curate. Parlando con persone più adulte di me, in famiglia, in paese, raramente mi è stata data l’impressione che vi sia una grande rivoluzione alle nostre spalle, come i libri affermano ci sia stata. È quasi un atto di rimozione. Vengo da Alcamo, il paese di Franca Viola. Di lei ho sentito parlare per la prima volta non prima dei diciotto anni. Tanti miei compaesani giovani e istruiti ignorano del tutto chi sia. 2. Forse la tendenza di alcuni movimenti femministi a fare classe chiusa contro gli uomini. Capisco che ciò possa essere stato indispensabile in passato, ma oggi un atteggiamento del genere mi sembra controproducente. Sarebbe più utile portare avanti il femminismo, inteso come lotta contro gli stereotipi di genere, con la collaborazione di esponenti dei due sessi. 3. Si sente parlare sempre più spesso di violenza sulle donne, in gran parte dei casi avvenuta fra le mura domestiche. Penso sarebbe utile per combatterla (ri)dare evidenza ad alcuni punti su cui le femministe si sono sempre battute: la non inviolabilità della famiglia, la lotta contro il patriarcato. 4. Sì, a patto cha sappia reiventarsi e adeguarsi al presente. Penso che, almeno in Italia, non sia più tempo di cortei per le strade. Credo che esso oggi dovrebbe darsi voce tramite i nuovi media, le iniziative culturali, il cinema, e rivolgersi in primo luogo alle donne stesse, porsi come supporto e voce amica delle donne. Mi sembra che, accanto a numerose donne emancipate e realizzate, ve ne siano molte altre vittime di un forte senso di disorientamento; donne che hanno difficoltà a conciliare famiglia e lavoro, donne combattute fra le proprie aspirazioni e quelle proiettate su di loro da altri, donne che si vedono obbligate a ridimensionare la loro personalità da partner troppo oppressivi o gelosi, donne che non riescono a vivere serenamente la propria sessualità. Non aiuta certo l’immagine offerta dalla TV, che sembra proporre solo due o tre categorie di donne denaturalizzate, tutte uguali fra loro: la soubrette, l’ochetta da reality, la giornalista sexy in carriera... La sfida del nuovo femminismo dovrebbe essere quella di proporre modelli di donne vere, più vicine all’esperienza quotidiana. E soprattutto donne tutte diverse fra loro. Stefania Di Filippo 1. Dipende da cosa si intende per femminismo, se per femminismo intendiamo quello che ho percepito e recepito durante la mia infanzia, ossia un gruppo di donne che si battevano per la libertà personale e l’indipendenza dagli e degli uomini, beh, credo sia rimasto “poco”. Nel senso che, vista la libertà che, più o meno, adesso è stata raggiunta da tutte le persone (mi riferisco non solo alle donne, ma anche alle etnie minori, per esempio) c’è rimasta la forza di combattere ancora, ma questa volta penso non sia per l’indipendenza ma per l’uguaglianza. 2. Rifiuto il femminismo come totale rifiuto della figura maschile, perché come il suo estremo contrario (il maschilismo) non ha senso, le unità vivono e crescono solo se le parti complementari lavorano e si uniscono per un unico fine e il dovere imporsi a qualcuno è sempre sbagliato, in questo modo si fa quel che si è lottato per non subire. 3. Credo che adesso ritorni utile lo spirito combattivo, lo spirito ideologico, ossia la propensione a difendere qualcosa che si ritene “nostro”, in questa società tutti “condividono” ma nessuno sembra più lottare. 4. Il femminismo del “’68”, per intenderci, credo sia ormai desueto e anacronistico, penso che anche il femminismo abbia avuto un’evoluzione e che quindi oggi sia valido solo per certi versi e non per altri. n° 144 mezzocielo giugno 2014 ottobre 2012 11 mezzocielo11 persone Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.09 Pagina 12 DonneDonne Nepal, la vergine Kumari, dea bambina Testo e fotografie di Shobha 12 mezzocielo n° 144 giugno 2014 Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.10 Pagina 13 DonneDonne U nika Bajracharya, 7 anni, vive nella città di Pathan, la dea-bambina venerata dal popolo può presagire fortuna o sventura... La scala a chiocciola stretta e buia mi porta dalla piccola Unika kumari. Per entrare nel suo appartamento situato nel monastero reale di Pathan mi devo togliere le scarpe di pelle, per tradizione la pelle è impura... L’appartamento è poco illuminato, candele e lumini al burro di bufalo rendono l’atmosfera inquietante e misteriosa, il soffitto è basso, quasi lo sfioro con la mia testa. In una piccola stanza un trono dove la piccola Unika è assisa, conchiglie, ossa di animali e fiori secchi sul pavimento. Il rito del passaggio alla nuova Kumari avviene quando alla giovane Kumari arriva il mestruo, così, diventando impura, il trono passa automaticamente ad un’altra bambina la cui famiglia deve discendere dal Buddha. La scelta viene compiuta seguendo un particolare oroscopo e in base a ben 32 perfezioni, le aspiranti dee devono dormire in una stanza buia tra teste di capre e 108 bufali sacrificati alla dea Kali, con uomini mascherati da demoni che cercano di spaventarla. La bambina che resiste alla paura e dimostra serenità e calma è la nuova Dea. 32 attributi di perfezione: • piedi proporzionati • braccia lunghe • mani e piedi delicati • segni circolari sotto la pianta dei piedi • occhi e capelli neri • ciglia come quelle di una mucca • pori della pelle ben delineati • nessuna cicatrice, ferite o perdite di sangue • una bella ombra • cosce come un daino • petto come un leone • collo come una conchiglia • organo sessuale non sporgente • seni poco appariscenti • lingua piccola • guance come quelle di un leone • corpo come un albero di banano • venti denti, dentatura perfetta • pelle chiara e profumata • voce morbida e limpida. Da quel momento andrà a vivere nella residenza chiamata ‘Kumari Ghar’, isolata dal resto del mondo. 13 mezzocielo ottobre 2012 persone Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.10 Pagina 14 politica 1955. I temi dell’emancipazione della donna Nel numero di Mezzocielo di giugno – agosto 2013, ho riferito di un convegno organizzato da Mezzocielo e dall’Istituto Gramsci su Giuliana Saladino, collaboratrice della nostra rivista, scrittrice e giornalista del quotidiano L’Ora, scomparsa nel 1999. In quel convegno mi sono occupata delle sue inchieste degli anni Sessanta e Settanta sulle donne siciliane, sottolineandone l’intelligenza appassionata e il grande interesse per un universo femminile inquieto e pieno di nuove aspirazioni. Riproponiamo oggi un articolo di Giuliana Saladino, scritto nel lontanissimo 1955 per il “Quaderno dell’attivista”, una pubblicazione per i militanti comunisti, che è il precursore di quelle inchieste. Ringraziamo Linda Pantano dell’Istituto Gramsci che lo ha ritrovato, perché è uno spaccato assai interessante del clima degli anni Cinquanta e perché anche questo articolo testimonia la passione e l’anticonformismo di Giuliana, testimonia il suo essere oltre rispetto alla mentalità del suo partito, che, in quegli anni duri ma pieni di futuro, pur predicando l’emancipazione femminile, non sapeva riconoscerne i sintomi e i contorni nei casi concreti. E che, animato da moralismo e ottuso senso di sufficienza verso argomenti ritenuti da “donnicciuole”, frivoli e un po’ sconvenienti, non sapeva parlare alle donne di problemi per loro, e per una società che aveva un gran bisogno di modernizzazione, scottanti. In quegli anni le lettrici dei rotocalchi si appassionarono alla storia d’amore fra Margaret d’Inghilterra, principessa ribelle, e l’affascinante colonnello della Raf Peter Townsend, borghese e divorziato. Un amore impossibile, che fece riflettere molti sulla crudeltà e l’arretratezza di regole che sarebbero state travolte dalla rivoluzione del costume dei decenni successivi. Giuliana già sentiva il soffio di quella rivoluzione, a differenza degli uomini del vecchio Pci. Beatrice Agnello L’Unità e il “caso Margaret” Giuliana Saladino Quando, sul tema della emancipazione della donna, ci si limita alle questioni generali e di principio siamo tutti d’accordo. Ma quando si entra nel vivo di un caso umano, che alla emancipazione solo indirettamente e non visibilmente si ricollega, allora cominciano i “ma” e i “se” e i “distinguo”. Incertezza e confusione c’è nel partito sulle questioni dell’emancipazione della donna. Una polemica, che rimane tale anche se spesso rivestita di battute scherzose, è sempre aperta tra alcuni compagni e compagne, e in questi ultimi tempi è stata alimentata dalle alterne vicende della principessa Margaret. A questo proposito vogliamo subito dichiarare che non siamo stati d’accordo con “l’Unità” che proprio nei giorni in cui attorno alla Conferenza delle donne comuniste prendeva consistenza un dibattito, nelle province, – per la verità un po’ lentamente e faticosamente, perché di emancipazione si discute con polemiche magari feroci, ma nelle riunioni per amor di quieto vivere si è spesso tutti d’accordo – pubblicava in prima pagina un bilioso corsivo, che ci è sembrato un esempio tipico di schematismo e di pigrizia mentale. Ed ecco perché. Nel corsivo di Chiaretti si cedeva apertamente a quella posizione di sufficienza e di superiorità per cui se si vuol passare per intelligenti e spregiudicati bisogna avere un atteggiamento di assoluta insofferenza verso le sciocche vicende che interessano, a ragione o a torto, tutti gli altri mortali; non si teneva in alcun conto l’interesse appassionato mostrato da mi- lioni di donne, in tutto il mondo (anzi venivano prese per “zitelle morbose”); non si coglieva la differenza sostanziale tra la storia di Margaret, se non altro pulita, e le sporche storie di corruzioni, crimini e violenze su cui normalmente la stampa borghese accende le sue campagne; non si coglieva il lato affascinante, e financo per noi comunisti positivo, della storia che comunque metteva al centro una donna in lotta contro la Chiesa, la corona gli act di 3 secoli or sono, i pregiudizi ecc., e che era appoggiata largamente dall’opinione pubblica. Né il corsivo de l’Unità – e in generale tutta la nostra stampa – coglieva lo spunto per una analogia tra la lotta individuale di Margaret e la lotta di migliaia di ragazze nostre che solo in una società migliore vedono la speranza di cancellare la vergogna del matrimonio per interesse fra la lotta di Margaret e la lotta – oh quanto più importante ed appassionante! – delle ragazze nostre commesse di Standa o impiegate al Banco di Sicilia, che secondo il regolamento non possono contrarre matrimonio pena il licenziamento; né ancora l’Unità si rivolgeva alle migliaia di sue lettrici con una parola che non fosse astiosa condanna, ma istruttiva replica, per mostrare, e questo ci sembra l’elemento più importante, come nel mondo nuovo l’ultima contadina cinese, grazie ad una legge che in Cina viene giudicata importante quanto la riforma agraria, ha più libertà e diritti della prima e più celebre principessa del mondo vecchio, dominato da intrighi di chiesa, corona, finanza, ecc. 14 mezzocielo n° 144 giugno 2014 Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.10 Pagina 15 politica Questo avremmo voluto dall’Unità e non il retorico e facile pistolotto finale che aiuta a chiudere in bellezza un corsivo ma che non aiuta le compagne alla riunione di caseggiato, e che esorta milioni di sartine e impiegate ad occuparsi non di Margaret ma del Fiume Giallo. Facile a dirsi. Ma se dobbiamo tenere conto della realtà parlando con una sartina saremo costrette, se vogliamo essere ascoltate, a parlare a lungo e chiaramente di Margaret prima di arrivare al Fiume Giallo; e l’Unità è costretta se vuole essere letta, a tenere conto di queste cose. In linea con la posizione dell’Unità molti compagni all’annuncio della capitolazione di Margaret sono venuti da noi in preda ad una gioia e ad un eccitamento degni di miglior causa. Sono gli stessi compagni, alla fin dei conti, nei quali la confusione sulle questioni dell’emancipazione della donna è enorme, sono quei compagni che con maggiore difficoltà si liberano dai pregiudizi sulle donne; e noi sappiamo quanto per i compagni e le compagne siciliane sia difficile realizzare una certa coerenza tra i principi comunisti e la loro vita morale, coniugale, intima di ogni giorno. Sono compagni che ancora non sentono affatto la necessità di battersi contro il regolamento di Standa e del Banco di Sicilia, perché nel più profondo del loro animo la donna che si sposa fa meglio a lasciare il posto. Per carità, non ce la prendiamo, astiose a nostra volta, con i compagni! Non inganni il tono polemico! In Sicilia abbiamo bisogno di discutere e molto, con i compagni, sulle questioni dell’emancipazione femminile, perché qui questa questione è grossa come lo era e lo è anche oggi in Cina; in Sicilia, più che altrove in Italia, abbiamo sovrastrutture saldissime da sgretolare. Non illudiamoci che sia compito facile, è compito di tutto il partito e a questo compito si lavora proficuamente costruendo le cellule e i circoli, ma anche discutendo su argomenti come questo di Margaret. da Quaderno dell’attivista Orientamenti di lavoro e di lotta n. 21 del 5-12-1955 Diceva Togliatti: la democrazia ha bisogno delle donne e le donne hanno bisogno della democrazia Il 1955, dieci anni dopo la fine della guerra, il Pci cercava con difficoltà – dopo la grande sconfitta del 1948 – di costruire l’agognata “via italiana al socialismo”, che includeva in primo luogo l’assunzione delle rivendicazioni dei lavoratori, e la costruzione di forti lotte di classe. Contro il Pci vi era un attacco costante da parte della Chiesa e della Dc, proprio in nome della difesa della famiglia: si facevano fantasiose narrazioni sulle libere relazioni sessuali in Urss, su bambini abbandonati, ecc. Ciò spiega un indubbio limite. L’attenzione del Pci verso le donne (ricordo il bello slogan di Togliatti nel dopoguerra: “La democrazia ha bisogno delle donne, le donne hanno bisogno della democrazia”) si concentrava sui temi del salario, dei servizi, della casa – e accantonava (ignorava?) le istanze femminili di libertà, in rapporto alle relazioni tra i sessi e contro le tradizioni patriarcali. In questo clima le vicende della principessa Margaret e i suoi problemi sentimentali, non potevano che essere commentate dall’“Unità” con arroganza moralista (apparentemente “di sinistra”, ma in realtà maschilista), senza coglierne l’ansia di libertà femminile che andava ben al di là delle differenze di classe. È bello che proprio dal meridione una Giuliana Saladino giovanissima alzasse la penna e contestasse quell’articolo, rivolgendosi a tutto il Partito. Badate – dice in sostanza Giuliana – la libertà femminile è insita nell’orizzonte di progresso del socialismo e le donne, partendo dal privato (dalle vicende proprie, delle loro amiche, ed anche di Margaret!), prendono coscienza della loro oppressione, e scelgono di schierarsi per una prospettiva generale di cambiamento, che affermi anche la libertà femminile. La lezione venne appresa dal Pci (anche sotto la spinta, ovviamente, di molte altre donne e dei movimenti). Nelle campagne nazionali per scrivere e poi salvare le leggi sul divorzio e sull’aborto (con i referendum del 1974 e del 1979), il Pci assunse il punto di vista delle donne, e si impegnò allo spasimo, coinvolgendo tutta la propria base, comprese alcune zone riluttanti, con decine di migliaia di assemblee di Sezione, riunioni di strada, comizi in piazza, – in una sorta di gigantesca campagna culturale di massa, che portò milioni di lavoratori a far propri, a fianco agli obbiettivi di riscatto economico-sociale, i grandi temi della libertà personale e dei diritti della donna. S. M. n° 144 mezzocielo giugno 2014 ottobre 2012 15 mezzocielo15 Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.10 Pagina 16 arte Lo charme delle fotografe nella Berlino degli anni ’20 Rita Calabrese Nella Berlino degli anni Venti, fotografare diventa un “mestiere adatto a una donna”, grazie ad una serie di concomitanze: la diffusione del fotoreportage e delle riviste di moda, l’avvento massiccio della pubblicità in un vero e proprio delirio di immagini, la maneggevolezza della Leica e soprattutto il massiccio ingresso delle donne nel mondo del lavoro e l’affermazione del modello della New Woman di origine americana. Capelli a caschetto, gonne corte, libertà sessuale, indipendenza economica segnano un nuovo modo di stare al mondo. In quella splendida e tragica stagione della più audace modernità, la capitale tedesca, pullulante di segretarie e commesse, automobiliste e aviatrici, dive del cinema e cantanti di Kabarett tra gli audaci edifici in stile Bauhaus, diventa un centro indiscusso della fotografia che vede le donne come oggetto e soggetto privilegiato. Berlinesi di nascita, di adozione o di formazione sono Giséle Freund, Ilse Bing, Ellen Auerbach e Grete Stern, fondatrici dell’atelier ringl+pit, Lucia Moholy, la più famosa di un gruppo di artiste attive nel Bauhaus, e la più grande, Yva (Else Ernestine Neuländer). Sono ebree, eredi di una secolare tradizione di emancipazione e forte presenza culturale che fin dal Settecento ha avuto un ruolo fondamentale nella storia di Berlino. Yva porta a vette artistiche le foto di moda con l’eleganza delle inquadrature, il sapiente gioco di specchi che mette in discussione le levigate immagini delle modelle in un gioco ironico di mascheramento e svelamento, la focalizzazione di dettagli del corpo. All’avvento del Nazismo, che ricaccia le donne nel tradizionale ruolo casalingo, mettendo fine a questa magnifica fioritura di creatività femminile, finiranno in esilio, nella deportazione e nella morte. Un promettente allievo di Yva farà tesoro di quell’insegnamento, con le sue visioni di donne belle e forti, al di fuori dei clichè, le pose provocatorie attentamente studiate, i ritratti di due icone della Repubblica di Weimar, Marlene Dietrich e Leni Riefensthal, i giochi del travestitismo e della transessualità, in un continuo omaggio alla maestra, con il nome di Helmuth Newton. Giovanissime giornaliste uccise in Africa ed Afghanistan Il 14 maggio è stata uccisa, in un conflitto a fuoco nella Repubblica centroafricana, Camille Lapage, fotoreporter di 26 anni.. Si è trovata in mezzo a una battaglia tra un gruppo di cristiani e una milizia musulmana (erede di un vecchio gruppo ribelle chiamato Seleka), ed è stata ferita a morte. Poche settimane dopo, un evento forse anche più tragico. In Libia, una giornalista televisiva, Nassib Karnafa, è stata rapita – probabilmente dai Jihadisti – e ritrovata nel Sud del paese, uccisa e con la gola tagliata. Il rapimento è stato eseguito davanti alla sede della televisione, presso cui lavorava. Poche settimane prima, i primi di aprile, in Afghanistan, era stata uccisa un’altra fotoreporter: Anja Niedringhaus, colpita ad armi da fuoco mentre – con una collega – visitava un distretto periferico per un reportage. Non aveva ancora cinquant’anni; era un’artista notissima: nel 2005 aveva ricevuto il Premio Pulitzer per il fotogiornalismo di guerra. Le piangiamo tutte: belle, brave, coraggiose – donne del nuovo millennio sempre più segnato, anche nel dolore, dalla presenza attiva delle donne. 16 mezzocielo n° 144 giugno 2014 Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.10 Pagina 17 arte Fumetti di donne Elena Ciofalo Tra le donne che scrivono di donne, non bisogna dimenticare la notevole letteratura fumettistica. Portavoce di storie sociali, politiche e satiriche, non necessariamente rivolto all’infanzia, il fumetto può essere certamente considerato una modalità narrativa peculiare, con tanto di generi, stili e tematiche. Potremmo soffermarci sulle care strisce argentine della piccola Mafalda di Quino, sulle italianissime curve di Valentina di Guido Crepax o dei personaggi di Milo Manara, o sulla riscossa antimaschilista dell’americana Wonder Woman di William Moulton Marston. Ma rifletteremmo solo su donne che, sebbene fuori dagli stereotipi di genere, sono state create da uomini. Piuttosto, sono molte le autrici donne che arricchiscono il panorama fumettistico, spaziando dall’Italia all’America, passando per l’Iran e il Giappone. Quest’ultimo è culla di una cultura del fumetto (manga) tra le più vaste al mondo, con un’immensa classificazione di generi. Intanto va certamente ricordata Riyoko Ikeda e il suo androgino personaggio di Lady Oscar, creata nel 1972, e da cui negli anni ottanta è stata tratta una serie tv (anime) che ha influenzato tante ragazzine alle porte dell’adolescenza. Avvicinandoci nel tempo, le Clamp sono un gruppo di fumettiste attive dal 1989 che si occupano di fumetti di tipo mah sh jo, di ambientazione magica ed esoterica. Infine, nel 2005, Hiro Fujiwara idea Maid Sama!, dove la giovane Misaki è la presidentessa di un liceo in prevalenza maschile, impegnata a rimettere in riga i ragazzi e difendere le sue compagne. È invece iraniano, ma scritto in lingua francese, il fumetto Persepolis, Histoire d’une femme insoumise di Marjane Satrapi, che racconta l’Iran della rivoluzione islamica a partire dallo sguardo autobiografico di una giovane in crescita. In America invece, anche nel mondo Marvel, “papà” di granitici personaggi maschili come l’uomo ragno e Hulk, un’autrice si è affermata, caratterizzando un personaggio femminile. Si tratta di Lynn Varley, che insieme all’ex marito Frank Miller, ha dato vita e colore al personaggio di Elektra, “bad girl” sensuale ed assassina. Arrivate in Italia, oltre a un rapido ricordo alle sorelle Giussani e alla loro Eva Kant, presentiamo Silvia Ziche. Con una formazione nel fumetto Disney, per Topolino ha ideato Paperina di Rivondosa e molte altre storie, ma adesso sta sviluppando progetti più personali. Con Lucrezia e Alice (a quel paese), Silvia Ziche alleggerisce con autoironia e semplicità i piccoli drammi quotidiani delle donne italiane tra illusioni rassodanti e fidanzati deludenti. n° 144 mezzocielo giugno 2014 ottobre 2012 17 mezzocielo17 persone Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.10 Pagina 18 arte Architette La città delle donne non emerge Rosanna Pirajno Fotografia di Shobha, Palermo, 2014 Urbanistica e Architettura, ovvero scienza e arte della costruzione e delle trasformazioni dell’habitat umano, sono da sempre appannaggio maschile e continuano ad esserlo, sebbene donne laureate in queste discipline siano cresciute di numero e alcune anche di visibilità. Eppure, tranne poche eccezioni, il pensiero femminile sulla città, sulle modalità in cui si sviluppa o dovrebbe svilupparsi per venire incontro alle esigenze delle donne stenta ad emergere, la “questione delle abitazioni” rimanendo in carica, da quando se ne è occupato Friedrich Engels nell’800, ai grandi guru della materia. Finché, e questo è il punto, non diventa “questione di genere” e se ne prendono cura studiose come Gisella Bassanini, che insegna Storia e Cultura dell’abitare femminile, e Alessia Buratti esperta di Pianificazione urbanistica e territoriale di genere, che ne discutono pubblicamente senza però che le loro riflessioni conquistino l’attenzione, se non degli ambiti scientifici che praticano il baronaggio, almeno dei media che avrebbero il compito di amplificarle. La città delle donne, per citare la visione affettuosamente arcaica di Fellini, non emerge dai ristretti confini in cui è confinata per scelta o abitudine, chissà, ad accettare la prevalenza di un pensiero considerato universale, cioè buono per tutti, cioè in definitiva maschile. E così perfino la pratica tipicamente femminile del “rammendo” prende la via maschia e tocca al grande Renzo Piano indicare la strada della “rigenerazione urbana” virtuosa, quella che non consuma suolo vergine ma recupera l’esistente e offre servizi che giovano grandemente alle donne lavoratrici ma anche a mamme e casalinghe e single e studente(sse). Se non fosse per la fiorentina assessora a Urbanistica, pianificazione del territorio e del paesaggio Anna Marson – che è stata chiamata anche a Palermo, dall’urbanista della facoltà di Architettura Teresa Cannarozzo, ad illustrare il suo ottimo Piano paesaggistico regionale – del contributo delle donne per arginare il grande caos della città contemporanea e proteggere il paesaggio, quindi di quello che “fa bene” a tutti ma massimamente alle donne-che-amano-la-terra e di quello che pensano e fanno per virare al femminile le soluzioni possibili, si saprebbe poco o niente. Mi piace pensare che l’avvento nelle stanze del potere di parecchie giovani e avvenenti signore, manco a dirlo tacciate dalle più convenzionali platee maschili se non di pullaggine almeno di nullaggine, modifichi molte delle prospettive in uso sul governo del territorio. E non perché le visioni “gentili” sulla Madre Terra non appartengano anche ad alcuni uomini di scienza o di politica, vedi Vezio De Lucia o Carlin Petrini o Renato Soru o il citato Piano e qualche altro, ma perché la cura di città e territorio smetta di essere una questione “di genere” per diventare una questione “generale”, con attenzioni e cure e indirizzi a giovamento della società nel suo insieme. Con molte più donne, però, impegnate a diffondere il proprio pensiero su come vivere “a misura di donna e di bambino” nelle città post moderne. Nelle città quasi tutte sfibrate dai troppi interessi privati che divorano – vedi i casi Expo 2015 di Milano e Mose di Venezia – territorio bellezza prospettive finanze e speranze di intere generazioni di inermi “fruitori”, quasi mai in veste di “attori e attrici” del palcoscenico urbano. 18 mezzocielo n° 144 giugno 2014 Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.10 Pagina 19 arte Miriam Schapiro e la madre simbolica Mariella Pasinati “Dedico il mio lavoro a te Sofonisba [Anguissola], una delle artiste più raffinate e di talento del passato [Cremona 1535-Palermo 1625] … per me sei una madre.” Così scriveva nel 1975 Miriam Schapiro (Toronto 1923), l’artista canadese che ha posto al centro del suo discorso poetico il riconoscimento della madre simbolica e la relazione fra donne. Il suo percorso ha inizio a metà degli anni ’50, con una versione originale dell’Espressionismo astratto, per poi piegarsi verso una geometrizzazione della forma e la definizione di un nuovo, originale, vocabolario dominato da forme simboliche: la struttura scatolare verticale, le aperture rettangolari contenenti figure biomorfiche astratte, la forma-uovo archetipica cioè “la donna, la creatività, io stessa”, come sostiene Schapiro. La relazione madre/figlia, il corpo femminile, l’esperienza personale di donna e artista (in un mondo dell’arte in cui la presenza femminile era ancora “imprevista”) ne costituiscono il punto di partenza poetico. Con gli anni ’70 matura e trova compimento l’esigenza di dare visibilità e valore all’esperienza estetica delle donne, di affermare una tradizione. Nascono i ‘femmages’, sintesi di femme e collage, a designare una tecnica che combina con la pittura acrilica stoffe, ricami, tessuti. L’intenzione è di ridefinire la sostanza dell’arte recuperando e portando al livello della cultura “alta” quelle pratiche estetiche attuate dalle donne da sempre e da sempre confinate nell’ambito dell’artigianato e della semplice “decorazione”. A questa antica tradizione Schapiro intende, come donna e come artista, riferirsi; reinventa così inediti schemi decorativi che accompagna anche con un nuovo vocabolario di forme in un tripudio di colori vivaci e atmosfere luminose: ventagli, cuori, case, vestitures. Sfida, così, i confini che dividono l’arte dal- l’artigianato, il pubblico dal privato, il maschile dal femminile: “Sentivo che realizzando grandi tele dai magnifici colori, disegni e proporzioni e riempiendole di stoffe potevo accrescere la consapevolezza di una donna di casa”. Negli stessi anni inizia la serie delle Collaborazioni, collage in cui Schapiro inserisce riproduzioni di dipinti di artiste del passato. Si tratta, ancora una volta, di una scelta che dà significato alle esperienze estetiche delle donne, le sottrae all’invisibilità cui una storia dell’arte dominata dal maschile le aveva condannate e rende visibile la continuità genealogica, al di là dei linguaggi formali utilizzati. Alle prime serie degli anni ’70 (con Mary Cassatt e Berthe Morisot) si affiancheranno, nei decenni successivi, quelle con Frida Kahlo (le sue rielaborazioni degli autoritratti di Frida divengono acute riflessioni pittoriche sull’essere donna e artista), con Sonia Delaunay e con le artiste delle avanguardie russe. A loro è dedicato Mother Russia (1994), un ventaglio dipinto nei colori della rivoluzione russa, omaggio a quelle grandi protagoniste di una brevissima esperienza che, nei primi anni dopo la rivoluzione, le vide impegnate nella progettazione di tessuti ed abiti, costumi e scenografie teatrali per dare forma ad una nuova società e cultura. Insieme alle immagini dei loro lavori, a porzioni di tessuto e ai simboli della rivoluzione, Schapiro inserisce i ritratti fotografici delle artiste e, fra loro, una sua foto del ’74 realizzata dalle sue studenti e in cui Miriam appare abbigliata come una donna dell’800, formalizzando così una perfetta continuità genealogica femminile: “Collaboro con le donne del passato, come con quelle con cui lavoro realmente, per mettere al mondo l’esperienza femminile”. 19 mezzocielo n° 144 giugno 2014 Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.10 Pagina 20 libri La ferita di Marguerite Duras Beatrice Agnello Sandra Petrignani da sempre segue le tracce delle vite delle scrittrici, alla ricerca della loro differenza e delle loro differenze. Lo ha fatto in Le signore della scrittura, libro di interviste alle più notevoli scrittrici italiane; in La scrittrice abita qui, dove visita con attenzione amorosa le case di Virginia Woolf, Karen Blixen e altre “maestre”; negli intensi brani di Addio a Roma dedicati a Elsa Morante. Il suo ultimo libro è un romanzo su Marguerite Duras, costruito documentandosi minuziosamente sulla vita reale della protagonista e riempiendone i vuoti con l’immaginazione. L’impresa, seducente, è rischiosa, perché la vita di Duras è così affascinante che c’è sempre il pericolo di restare abbagliati dalle sue suggestioni – la nascita e l’adolescenza nel delta del Mekong, lo charme della Parigi intellettuale del ‘900, la vita sentimentale spregiudicata, gli eccessi di ogni genere, soprattutto di alcol. E perché i suoi romanzi sono così centrati sulla passione amorosa – L’amante il più noto – che si può far apparire Duras come la “Piaf della letteratura”. Ma è invece scrittrice ben più complessa e, come dice Sandra Petrignani, “mentre sembra imbandire sempre lo stesso valzer, la stessa sinuosa danza fra due amanti vagamente suicidi, esplora vertiginosi orizzonti interiori”. Il romanzo riesce a illuminare proprio questi orizzonti, il sentimento della vita e della scrittura di una personalità attraversata nel profondo dallo spirito e dalle problematiche del ’900, di quel secolo breve con cui biograficamente coincide (nacque nel 1914 e morì nel 1996). Trasferitasi a Parigi a metà degli anni ’30, dalle colonie del Sud-est asiatico dove nasce da genitori francesi, Marguerite parteciperà alla resistenza con il marito Robert Anthelme e quello che diverrà il padre di suo figlio, Dionys Mascolo (un ménage à trois che suscitò scandalo). Nel dopoguerra, nella sua casa parigina di rue Saint-Benoît, andavano e venivano, restavano a dormire, magari accampati sui divani, Edgar Morin, Calvino, Bataille, Vittorini, Dos Passos, Lacan, Semprún, Queneau, Romain Gary, Copi. Militante del Pcf, ne viene espulsa per “frequentazioni trotskiste, assiduità in locali notturni ove regna la corruzione politica, intellettuale e morale e si esibisce una nemica del popolo come Juliette Gréco”, ma soprattutto per la sua condotta sessuale (senza mezzi termini, la definiscono ninfomane). Nel ’68 Marguerite è in prima linea, forma il Comitato studenti-scrittori in un’aula dove sul muro sta scritto “Intellettuali, imparate a non esserlo”, spiega agli studenti: “La mia unica certezza è il rifiuto”. Da quell’esperienza viene fuori un testo, Distruggere, lei disse, da cui farà un film come regista. Il cinema ritorna quindi sotto un nuovo segno, dopo che nel ’59 aveva sceneggiato con Alain Resnais Hiroshima mon amour, tratto dal suo romanzo. Dopo molti libri, molti film e molti uomini, concluderà i suoi giorni assistita da Yann Andrea, un ragazzo omosessuale con cui vive la sua ultima storia d’amore. La sua intera esistenza è avvinghiata con la scrittura – fin da ragazzina la cosa per lei più importante. Una scrittura che non dà, non vuole dare, un senso agli accadimenti, ma si apre sull’abisso, inquietante tanto quanto la sua vita è stata inquieta. Come le sue eroine, Duras ha una natura tragica, proprio nel senso della tragedia greca, che viene dai riti dedicati a quel dio Dioniso che muore lacerato in mille brandelli. E per questo è figura potentemente novecentesca, di quel ’900 che si apre con la morte di Dio proclamata da Nietzsche e con lo smembramento dell’individuo analizzato da Freud, con la mancanza di punti di riferimento, di un centro che dia senso all’esistenza. Gli amori sfrenati, l’eccesso di alcol, il bisogno e i modi della scrittura sembrano avere la stessa origine in una ferita, in una mancanza irriducibile, innestata nella sua natura selvaggia, in una nativa animalità alimentata dalle acque e dalle foreste del Mekong. Alla fine del romanzo si rimane con la sensazione che il nodo profondo di tutte le lacerazioni di Marguerite sia nel rapporto originario più importante, che lega una donna a un’altra donna. Con le parole di Sandra Petrignani, “Quando ci è mancato lo sguardo innamorato della madre, non basterà nella vita alcun successo a risarcirci. Soprattutto per una figlia femmina la mancanza di quello sguardo si traduce in insicurezza profonda, irreparabile, per tutta la vita e nonostante tutto”. Sandra Petrignani, Marguerite, Neri Pozza, 2014, €16 20 mezzocielo n° 144 giugno 2014 Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.10 Pagina 21 Fotografia di Shobha, artista Monica Bonvicini, gallerista Emi Fontanà Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.10 Pagina 22 arte Eventi in giro per il mondo Notizie d’arte a cura di Laura Francesca Di Trapani EVENTI CONCLUSI EVENTI IN CORSO Colombia - 5/9 maggio “Festival Internacional de la imaginen”. In Colombia dal 1997 è uno dei festival internazionali più importanti in cui si dibatte di arte, design, scienza e tecnologia, attraverso incontri, seminari, workshop, mostre. Quest’ultima edizione, la XIII – svoltasi dal 5 al 9 maggio – ha focalizzato l’attenzione su creazione e post - conflitto e Design + mercato + Technology. http://www.festivaldelaimagen.com/en/blog festival/108-blog?layout=blog Isola di Stromboli (Messina) - 21-29 giugno 2014 “Festival del teatro ecologico”. Oltre 20 incontri live, artisti internazionali. Teatro, musica, danza, senza uso di corrente elettrica aggiunta. Una festa per gustare lo speciale sapore della performance dal vivo senza i filtri e gli abbellimenti di effetti luce e amplificazione, nell’esuberante paesaggio di un’isola vulcanica. Presciano (AR) - “MadeinFilandia” 8/15 giugno 2014 Filanda di Pieve. Come si legge nel manifesto del sito MadeinFilandia è un luogo inventato da artisti per costruire occasioni di approfondimento dell’arte e di loro stessi. Festa dell’arte che quest’edizione ha visto come protagonisti seguendo l’evoluzione del lavoro degli artisti invitati: Stefano Arienti, Bianco Valente, Sergio Breviario, Luca Caccioni, Mirko Canesi, Andrea Contin, Fabrizio Corneli, Francesco De Grandi, Giovanni De Lazzari, Giulia Di Lenarda, Elisabetta Di Maggio, Giulio Lacchini, H.H. Lim, Marco Andrea Magni, Luca Scarabelli, Adriano Nasuti Wood e con la partecipazione speciale di Adalberto Abbate, Davide Bertocchi, Canedicoda, Degal, Paola Gaggiotti, Kinkaleri, Elisa Macellari, Sonia Marcacci, Andrea Marescalchi, Concetta Modica, Francesco Oliveto, Cristiana Palandri, Luca Pancrazzi, Luigi Presicce, Luca Pucci, Giacomo Ricci, Cristina Rizzo, Dolce Vivì, un omaggio a Les Levine e la ‘Fiera del libro d’arte, improvviso e d’artista’. http://www.madeinfilandia.org/ Basilea - “Art Basel” 19/22 giugno 2014 Oltre 300 gallerie provenienti da Nord America, America Latina, Europa, Asia, Africa e rigorosamente selezionate, presentano i lavori di artisti tra i nomi più grandi del panorama moderno e contemporaneo. I lavori presentati sono pittura, scultura, fotografia, istallazione, performance e videoarte. Le giornate sono scandite da numerosi eventi, mostre, eventi, convegni, film, incontri con artisti. È la più importante e famosa fiera d’arte, definita dal New York Times le “Olimpiadi dell’arte” attiva dal 1970. Berlin - 2 Maggio – 21 Settembre 2014 “me Collectors Room” - Olbricht Foundation Auguststraße 68 Matthew Barney, Julie Becker, Glenn Brown, James Casebere, Maurizio Cattelan, Thomas Demand, Saul Fletcher, Giuseppe Gabellone, Stefania Galegati Shines, Dominique GonzalezFoerster, Douglas Gordon, Ragnar Kjartansson, Robert Kusmirowski, Sherrie Levine, Sharon Lockhart, Sarah Lucas, Esko Männikkö, Paola Pivi, Laure Prouvost, Sergey Sapozhnikov und Albert Pogorelkin, Hans Schabus, Markus Schinwald, Gregor Schneider, Cindy Sherman, Hannah Starkey, Sam Taylor Wood, Andra Ursuta, Rachel Whiteread e Andrea Zittel. La stanza come “luogo ideale di sosta”, luogo fisico e metaforico, le cui finestre si affacciano sull’orizzonte delle nostre visioni. http://www.fsrr.org/mostre/stanzerooms/ New York - fino al 24 agosto “Lygia Clark: The Abandonment of Art, 1948-1988” MOMA (Museum of ModernArt). Importante retrospettiva e prima mostra nel Nord America dedicata all’arte di Lygia Clark (Brasile 1920-1988). Quasi 300 opere realizzate tra la fine del 1940 e la sua morte nel 1988, scandiscono il percorso di mostra, attorno a tre tematiche del lavoro della Clark astrazione, neo-concretismo e abbandono. http://www.moma.org/visit/calendar/exhibitions/1462 BOOK - “Emily Dickinson: The Gorgeous Nothings” (Christine Burgin / New Directions, a cura di Marta Werner docente di poesia e dell’artista Jen Bervin). Un bellissimo volume illustrato in quadricromia che raccoglie le riproduzioni di alcune buste dove la Dickinson, quando era a corto di carta, utilizzava per scrivere poesie. http://www.christineburgin.com/projects/p p_dickinson.html 22 mezzocielo n° 144 giugno 2014 Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.10 Pagina 23 Ridere e piangere a cura di Simona Mafai Un protocollo internazionale contro gli stupri di guerra lanciato a Londra il 10 giugno Condanne pesanti per gli sfruttatori delle baby-squillo dei Parioli bok, dove il 15 aprile furono rapite oltre 200 studentesse. La Jihad continua ad attaccare le scuole, perché le scuole sono di per sé contro la Jihad. Commentando questa notizia la nostra amica psicanalista Marisa Mondello ci ha detto: “Vi è una differenza sostanziale tra i ratti praticati tra etnie differenti, antichi e moderni… L’uso del loro corpo può rimandare alla medesima pratica del ratto. Ma in questo caso vengono rapite per punire loro, le loro famiglie, le donne in generale. La pratica “blasfema” dell’istruzione occidentale impartita a donne, pratica che le colloca in un’altra cultura e le sottrae al destino per loro stabilito, attacca l’ortodossia, o più semplicemente il potere. L’attacco reale è ai padri, alle famiglie, che “disonorano” il credo condiviso”. Nel processo in corso per la triste vicenda della prostituzione minorile a Roma (coinvolte bambine di 14 e 15 anni), il Procuratore aggiunto ed il Pubblico ministero hanno chiesto una pena di 16 anni e 6 mesi di reclusione per lo sfruttatore, 6 anni per il militare che avviò la prima ragazza alla prostituzione, e 6 anni per la madre della minore, che sapeva, taceva, e prendeva soldi. La sentenza sarà pronunciata il 1 luglio. Un premio per le giovani scienziate Lo promuove da oltre dieci anni, la fondazione L’Oreal, in collaborazione con l’Unesco. Quest’anno la Giuria, presieduta da Umberto Veronesi, ha premiato cinque giovani ricercatrici italiane, cui è stata assegnata una consistente borsa di studio. Ci piace far conoscere i loro nomi: Alice Frigerio, Irene Paterniti, Maria Loredana Marcovecchio, Maria Enrica Di Pietro, Sarah Caronni. Le “direttore” dei due più importanti quotidiani del mondo destituite dall’incarico Aveva fatto molto scalpore la nomina, avvenuta a pochi anni di distanza, di due donne alla direzione del New York Times (Jill Abramson) e di Le Monde (Natalie Nougayrède). Si tratta delle due, forse più importanti, testate del giornalismo mondiale. Quasi per uno scherzo della storia (o della cronaca!) nel giro di poche settimane sono state “licenziate” tutte e due. La prima – per contrasti col vice-direttore (maschio) e per un contrasto relativo alla retribuzione – ha dichiarato, tra l’altro: “Ora so anche io cosa significa essere sconfitti e scaricati ma resto fedele a questa meravigliosa professione chiamata giornalismo”. La seconda, contestata dalla redazione, nel corso del processo di riforma dalla carta stampata al digitale. Hillary, candidata alla Presidenza USA? Così dicono le cronache politiche (e rosa) degli Stati Uniti d’America. Hillary Clinton ha presentato a metà giugno il suo nuovo libro “Scelte difficili” (600 pagine), sulle sue esperienze come Segretario di Stato (un po’ più del nostro ministro degli Esteri) degli USA. Alla presentazione (e rituale firma) del libro c’è stata, fin dall’alba, una fila interminabile di cittadine e cittadini che hanno aspettato l’apertiura della libereria che la ospitava. Molti ragazzi sfoggiavano magliette stampate con la frase: “Sono pronto per Hillary”. Altri intonavano un versetto benaugurale: “Go, Hillary. Go”. I giornalisti hanno giudicato l’evento una pre-presentazione della candidatura di Hillary Clinton alla Casa Bianca, per il Partito democratico. Un gruppo di attivisti ha formato il Pac (Comitato d’Azione Politica) ed ha già raccolto sei milioni di dollari per sostenere la prossima eventuale campagna elettorale. L’annuncio ufficiale sarà fatto nel gennaio del 2015. Le vere elezioni presidenziali? Tra più di due anni! In un incontro con i rappresentanti di oltre cento governi e quasi un migliaio di esperti, è stato firmato un ”Protocollo Internazionale” per le indagini e la raccolta di dati sulla violenza sessuale nei conflitti. L’incontro è stato promosso dal Ministro degli esteri inglese, William Hague e dall’attrice Angelina Jolie, inviata speciale dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati – con un ampio appello pubblicato da tutti i giornali europei. Altre ragazze rapite in Nigeria Il gruppo islamista Boko Haram ha rapito a giugno, nel Nord-est dell’Africa, un altro gruppo di ragazze, a poca distanza da Chi- 23 mezzocielo n° 144 giugno 2014 Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.10 Pagina 24 noi ASSOCIAZIONE NAZIONALE DONNE ELETTRICI ASSOCIAZIONE POLITICA APARTITICA e la democrazia partecipativa L’A.N.D.E. Nazionale nasce nel 1946 – sulla scia dell’esperienza americana della League of Women Voters – dalla volontà di Carlotta, figlia di Vittorio Emanuele Orlando. Lo scopo è promuovere ed incoraggiare la formazione e la partecipazione politica della donna e combattere l’assenteismo nell’elettorato, oltre a concretizzare la “democrazia partecipativa” sollecitando le Istituzioni ed il Governo ad avere sempre presente il bene del Paese. A Palermo si costituisce già nel 1948 (la stessa Orlando amava dire: “Sono romana per errore, per incidente dovuto alla svolta che la politica ha dato alla nostra famiglia... sono siciliana nel sangue e nel temperamento. Ho sempre considerato Palermo la mia pista di lancio nella vita”) e si indirizza da subito all’organizzazione di incontri aperti ai cittadini con i rappresentanti politici a tutti i livelli di governo, di convegni su temi di attualità d’interesse nazionale, a dibattiti con i candidati alle varie competizioni elettorali. Oggi l’Associazione intrattiene rapporti di fitta interlocuzione con le Istituzioni cittadine, l’Università, associazioni e movimenti impegnati sul territorio e aggregati intorno alle tematiche di cittadinanza attiva. In questa linea si segnala l’adesione ad Agenda 21 Locale, l’iscrizione all’Albo dei Portatori di interesse del Comune di Palermo, al Laboratorio Cittadino “Un nuovo modello per Palermo” promosso dal Comitato di Cittadini per il Bene Collettivo, al Centro di Azione Regionale del Consiglio Italiano del Movimento Europeo, l’appoggio alla candidatura del Percorso arabo-normanno di Palermo, Cefalù e Monreale all’iscrizione nella WHL dell’UNESCO. Importante l’impegno per la formazione civica e l’orientamento dei giovani delle Scuole Secondarie Superiori, coinvolti nel Progetto AndePalermoxlaScuola, giunto quest’anno alla sua 2° edizione, e significativo il supporto dato all’iniziativa Atelier Solidale al Foro Italico dell’Istituto di Padre Messina, rivolta a donne in disagio economico ospiti di case d’accoglienza. Ande Palermo sito web: www.andepalermo.org E-mail: [email protected] Twitter @andepalermo Quando incominciammo a fare questa rivista, e cioè 23 anni fa, uno dei nostri scopi fu quello di affermare che dovevamo entrare nelle istituzioni per stravolgerle, per portare avanti e sostenere i diritti dei più deboli, della pace, della giustizia, della terra... Oggi che siamo presenti ovunque con ruoli anche importantissimi, strategici, ci poniamo il quesito: Ma veramente siamo più brave? mezzocielo Direzione Letizia Battaglia (coordinamento), Rosanna Pirajno (direttrice responsabile) Redazione: Carla Aleo Nero, Giusi Catalfamo, Gisella Modica, Silvana Fernandez, Stefania Savoia, Egle Palazzolo. Hanno collaborato: Beatrice Agnello, Rita Calabrese, Alessandra Cilio, Elena Ciofalo, Alessanfdra Dino, Laura Francesca Di Trapani, Stefania Di Filippo, Silvana Fernandez, Letizia Lipari, Simone Lucido, Simona Mafai, Adriana Palmeri, Mariella Pasinati, Rosanna Pirajno, Shobha, Francesca Traina. Impaginazione e grafica: Letizia Battaglia, Massimiliano Martorana Editore: Associazione Mezzocielo Responsabile Editoriale: Adriana Palmeri e-mail: [email protected] Il lavoro redazionale e le collaborazioni sono forniti gratuitamente Stampa: Offset Studio - Palermo - Finito di stampare nel mese di giugno 2014 Reg. al Trib. di Palermo il 19-3-’92 Quota associativa annua: ordinaria: € 40,00 sostenitrice: € 60,00 c/cp. 13312905 Rosanna Pirajno, V.le F. Scaduto, 14 - 90144 Palermo Guardate ogni giorno sul web www.mezzocielo.it Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.10 Pagina III racconto Incontro Cinzia Collura Tornarono dal viaggio esausti. Nel tragitto dall’aeroporto a casa, lui cercò di capire cosa fosse andato storto, perché tutte quelle incomprensioni, tutto quel nervosismo. Entró nell’appartamento risoluto: adesso che erano finalmente soli avrebbe affrontato l’argomento, lui non era stupido, lui non sarebbe stato un codardo. Così prese la racchetta in mano e le impose lo scontro come fosse stata una partita di tennis. “È chiaro” disse subito chiudendo la porta dietro sè, “mi tradisci, sei stata sempre al cellulare, non hai condiviso niente con me. Sei innamorata di Mauro.” E batté un servizio aggressivo, proprio all’estremità del campo. Lei entrò dritta in camera da letto, aprì la valigia e lo guardò un po’ assente. “ Sei stato pesante” disse rispondendo all’attacco. Ma la sua fu una difesa e la palla rimbalzò con una traiettoria prevedibile. Lui rispose con un dritto capace di lasciare un solco sulla terra battuta: “credevo che Mauro fosse un tuo amico, che cazzo mi organizzi un viaggio con lui e con Eleonora? Volevi proprio umiliarmi”. Lei provò a rispondere cercando di smorzare la tensione. “Mauro è amico mio da quando sono nata” disse, “ed Eleonora non la vedevo da un secolo”. Lui si agitò da fondo campo lanciando palline potenti e tese. “Mi hai fatto fare la figura del cretino con i tuoi amici” incalzò, “che cosa ti è preso? Stavi tutto il giorno a parlare fitto fitto con loro. Niente immersioni con me, niente giro in elicottero. In una settimana hai massacrato la nostra relazione. Non é rimasto niente tra noi”. Lei pensò al viaggio appena fatto, riuscì a sentire persino il sale sulla pelle, rivide il colore del mare, il colore oro della sabbia accesa dal sole. “E poi quanti discorsi pesanti..” continuò lui lanciando un lungo linea imprendibile,” addirittura venivi a letto tardi per intrattenerti ancora con loro. Ti sei accorta che abbiamo fatto l’amore solo la prima notte, appena arrivati sull’isola?” Lei raccolse la pallina e cominciò a disfare la valigia. Non erano più in estate ed il costume poteva tornare nel cassetto basso dell’armadio. “Tu eri stanco” disse,” andavi a letto subito dopo cena. Troppo nuoto, tante immersioni, addirittura tennis a fine pomeriggio..” “Se avessimo voluto fare un viaggio impegnativo” rispose secco lui “non saremmo andati in un villaggio turistico...” “Io mi volevo rilassare” disse lei, e mandò la palla sotto rete con un movimento veloce del polso. “...E poi mi hai preso anche in giro dicendomi che Mauro fosse gay. Una vita che me lo ripeti” Disse lui rincorrendo la pallina sotto rete e spedendola in estremis dentro una parte qualsiasi del campo. “Sei stupido” disse lei, e riuscì a smorzare ancora la palla sotto rete,” non dovevi dire quelle cose a Mauro e non dovevi fare tutte quelle allusioni fuori tema” Lui pensò fosse nel giusto, chiuse la valigia di lei con un calcio e le domandò se avesse dovuto farsi tradire con stile, senza perdere la calma, accettando il tutto come si accetta una sconfitta al gioco. Lei non gli rispose. Riaprì la valigia e posò i teli da mare in un ripiano dell’armadio. “Io sono arrivata, grazie del passaggio” disse laconica, “perché non te ne torni a casa?” Lui provò una battuta rabbiosa inarcando la schiena e cacciando fuori tutta l’ira che possedeva. “Ieri non sei neanche tornata a dormire...” urlò, “credi che io sia stupido, potevi avere la decenza d’aspettare altre ventiquattrore prima di andarci a letto”. E la pallina finì fuori campo. Lei posò il vestito rosso che le piaceva tanto nell’armadio, pensò alla sera che l’aveva indossato, alla luce gialla della luna, al cielo sorprendentemente basso, quasi schiacciato sul mare. Pensò a Mauro, al suo sguardo docile e miope. Lui riprese a urlare: “ Come hai potuto farmi questo?” E la pallina schizzò da un campo all’altro. “Mi hai ferito. Mi hai fatto sentire in più, sei stata pessima. E adesso neanche riesci a giustificarti, a darmi delle spiegazioni”. Lei prese la pallina da fondo campo e batté il suo primo servizio “mi dispiace” disse, “Mauro è il mio più grande amico. Eleonora è molto di più.” Ace.* *colpo vincente su battuta nel gioco del tennis III mezzocielo ottobre 2012 persone Mezzocielo 144 Giugno 2014 16/06/14 22.10 Pagina IV C’è qualcuno che dice che queste fotografie non devono essere pubblicate? Un brutale silenzio che uccide Monica Rostagno Internet e i media (giornali, tv...) ci consentono di conoscere ciò che avviene dall’altra parte del pianeta e ci sconvolgiamo per le brutalità che gli umani perpetrano contro i loro simili... così adesso la notizia delle due ragazzine indiane stuprate, strangolate e appese all’albero ci tormenta le viscere. Solo tramite le informazioni e le recenti (ma ancora troppo scarse) denunce veniamo a conoscenza di un problema che in India (e non solo) è una tristissima realtà che dura da millenni sotto diverse forme. La donna vive in una condizione di sudditanza e di appartenenza (alla famiglia, al marito, alla tribù) e poche sono le donne che grazie alla loro educazione e status nella societa’ o grazie alla loro ribellione e lotta riescono a distinguersi. Il sistema patriarcale è ancora molto forte e le madri non sanno insegnare ai figli maschi il rispetto per la donna e il suo duro lavoro quotidiano perché spesso all’interno della famiglia stessa vengono abusate e picchiate senza potersi ribellare. Il livello di educazione è ancora troppo scarso ma tutti sanno usare uno smartphone...e che c’entra vi chiederete voi? C’entra invece. Negli ultimi cinque anni gran parte degli indiani possiede un cellulare e con esso la possibilità di connessione internet per guardare foto o film porno, senza parlare delle tv satellitari che consentono altrettante “istruttive” visioni e i film di Bollywood caratterizzati sempre da balli che rasentano l’osceno... bene, in questo contesto di “modernizzazione” dove tutto sembra divenire alla portata di chiunque abbia il coraggio di prenderselo, il desiderio di avere e provare il sesso e non solo di guardarlo sembra divenire una “naturale” conseguenza. Non si va da soli a violentare una donna...si va in gruppo, un branco galvanizzato da desideri repressi, fomentati magari dai fumi dell’alcool e dalla spavalderia di essere Uomini e dunque di avere il diritto di prendersi ciò che vogliono, con la complicità di una società che non protegge (vedi la mancanza di cooperazione della polizia) e spesso non osa parlare o accusare se sono coinvolte delle famiglie ricche o potenti... un silenzio che uccide inesorabilmente e brutalmente.
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