la pressione atmosferica: cicloni e anticloni

Gianni Bassi
CLIMA 1: CICLONI E ANTICLONI, gli scherzi della pressione atmosferica
maggio 2014
Da molti mesi ormai (siamo a fine maggio del 2014) il tempo
fa le bizze in modo incontrollato, sferzando l’Europa con una
sequenza interminabile di perturbazioni, che si susseguono
con una media di una ogni tre o quattro giorni.
E si ha un bel dire che le vaste aree di alta pressione, che si
presentano fra una perturbazione e l’altra, dovrebbero stabilizzare il tempo o, quanto meno, frenare l’avanzata del maltempo verso le nostre regioni: rapidamente come si sono formate, quelle aree di stabilità si dissolvono vigliaccamente
senza opporre resistenza.
A fronte di tale situazione, viene spontaneo il raffronto col
clima straordinariamente mite e asciutto dell’autunno-inverno
e della primavera di qualche anno fa, quando, per dare un po’
di speranza al mondo dell’agricoltura in grande allarme per il
persistere della siccità invernale e primaverile, i meteorologi mostravano le grandi perturbazioni atlantiche
che si avventavano sull’Europa cariche di promesse di pioggia per le nostre regioni, le quali però, giunte in
vista delle coste mediterranee, viravano sgommando a Nord-Est respinte da una vasta area di alta pressione
saldamente ancorata sul mar Tirreno.
E viene spontaneo anche il ricordo della storica e interminabile calura del 2003, la quale oppresse le nostre
regioni con temperature insopportabili ed una siccità senza fine provocata da una vasta e robustissima “bolla” di alta pressione che, ancorata sul Tirreno, dominava sul Mediterraneo.
Ma allora, si dirà, per quale motivo quest’anno l’alta pressione non riesce a bloccare il maltempo per restituirci un clima più equilibrato?
Benché non se ne senta mai parlare, la risposta a tale legittima domanda non è difficile ma richiede un po’ di
attenzione, poiché si basa su una classificazione delle aree di alta pressione riferita alle diverse modalità che
portano alla formazione di dette aree, modalità che determinano la loro resistenza o la loro vulnerabilità rispetto alle perturbazioni.
Contrariamente a quanto affermano i sostenitori della teoria sull’effetto serra, alla base di tutto il meccanismo del clima c’è la temperatura del suolo (cioè della superfice del pianeta, sia essa di terraferma o di mare)
temperatura che, se è elevata, provoca il riscaldamento dell’aria soprastante determinandone la dilatazione
con conseguente spinta verso l’alto1: tale meccanismo, infatti, dà origine tanto ai semplici mulinelli d’aria
quanto ai più terrificanti uragani2.
In determinati casi, però, quando le condizioni di temperatura
sono “ancorate” ad una determinata area geografica, il fenomeno dà origine ad una depressione non violentissima ma molto
estesa che, con un’immagine colorata, potremmo definire “depressione madre”, perché dà origine ad una serie continua di
vortici ciclonici, i quali si dirigono poi ad est andando ad investire i territori continentali, sui quali scaricano a ritmo incalzante la loro energia sotto forma di tempeste di vento e di precipitazioni copiose, proprio come avviene da mesi in Europa ad opera della Depressione d’Islanda3.
Si noti l’immane vortice che interessa tutto il Nord Atlantico: il fatto
che sia stabilmente “ancorato” lungo il corso della Corrente del Golfo in un’area poco a sud dell’Islanda ci attesta che si tratta di una
“depressione madre”.
Al contrario, se la superfice al suolo è fredda, anche l’aria soprastante si raffredda, cosicché essa si addensa e, divenendo pesante, si abbassa verso il suolo dilagando poi lateralmente.
1
Per comprendere l’influenza della temperatura del suolo sull’ambiente, osserviamo diversità di calura ambientale prodotta contemporaneamente dal Sole su un piazzale asfaltato e su un prato.
2
Oltre all’innesco iniziale del vortice prodotto dal calore ricevuto al suolo, a determinare l’ingrossamento del vortice
stesso fino alle grandi dimensioni è l’energia termica rilasciata nell’aria dall’umidità in essa contenuta, umidità che
condensa cedendo calore a causa della progressiva diminuzione della pressione atmosferica dovuta alla risalita in quota.
Ed è appunto tale capacità di autoalimentarsi, che consente agli uragani di muoversi poi in modo indipendente dalle
condizioni di temperatura al suolo.
3
L’attuale alta frequenza e la violenza di tali “figli” è dovuta all’insolita forza della Depressione d’Islanda, forza generata dal contrasto fra la bassa temperatura che caratterizza le acque del Nordatlantico (spece nei periodi tardo-autunnale,
invernale e primaverile) e la straordinaria carica termica trasportata dalla Corrente del Golfo dovuta probabilmente ad
un inconsueto aumento della sua portata idrica.
1
Di conseguenza, la discesa di tale massa d’aria risucchia verso il basso l’aria soprastante, dando così origine
ad un ampio movimento discendente caratterizzato da una rotazione in senso orario4, che possiamo immaginare come un enorme gorgo atmosferico5, gorgo definito dai tecnici “vortice anticiclonico” perché, essendo
formato da aria asciutta6, è in grado di fagocitare o di respingere le perturbazioni.
Ebbene, l’efficacia di tale gorgo anticiclonico è dovuta al fatto che esso è ancorato alla superfice “fredda”
che lo ha originato, la quale è in grado di mantenerlo attivo a tempo indeterminato, consentendogli, appunto,
di esercitare la sua azione stabilizzatrice anticiclonica per tutto il tempo in cui essa rimane “fredda” (come
avviene nel caso dell’Anticiclone delle Azzorre).
Con l’aumento della pressione atmosferica e col conseguente riscaldamento (fenomeni dovuti entrambi alla
compressione che avviene nel corso della discesa nel gorgo) l’aria secca proveniente dalle alte quote assume
una crescente capacità di assorbire umidità, capacità che le consente di fagocitare le perturbazioni che le si
avvicinano sottraendo loro l’umidità delle nubi così da mantenere il sereno; oppure, addirittura, quando il
gorgo anticiclonico è veramente potente, la spinta dilagante delle sue masse d’aria asciutta riesce a respingere l’avanzata delle perturbazioni costringendole a cambiare la direzione della loro corsa, esattamente come
avveniva nei lunghi periodi siccitosi descritti all’inizio.
Foto da satellite del 22 agosto 2011: si noti la vasta area priva di nubi che interessa tutto il bacino
del Mediterraneo mentre le perturbazioni di origine atlantica sono costrette a scorrere a Nord
delle Alpi, e si noti il vortice situato sul Golfo di
Biscaglia, la cui “coda”, penetrata nel Mediterraneo occidentale (la leggera fila di nubi orientata N-S) si sta dissolvendo assorbita dal “gorgo”
anticiclonico ancorato sul mar Tirreno, la cui azione stabilizzante si estende ad Oriente grazie ai
venti dominanti.
Ebbene, si dirà, perché non avviene così anche
ai nostri giorni? Cosa rende tanto deboli e fugaci i cosidetti “promontori di alta pressione”
che si alternano con l’interminabile sequenza
delle perturbazioni che ci affliggono da mesi?
Quella Cosa è il fatto che i “promontori di alta pressione” non sono “ancorati al suolo” come i gorghi anticiclonici generati dalla bassa temperatura superficiale di determinate aree geografiche, ma sono generati
dall’espansione dell’aria asciutta dilagante dai margini di un ampio anticlone e risucchiata ad opera dei vortici ciclonici attivi nelle vicinanze: ciò è tanto vero, che essi non si producono mai come fenomeni autonomi
ma (come suggerisce il nome promontorio) costituiscono sempre una propaggine di un gorgo vero e proprio
situato nelle vicinanze; inoltre, la pressione atmosferica al loro interno non è mai molto elevata o, comunque,
non raggiunge mai livelli paragonabili a quelli che si possono verificare nel cuore del gorgo che li alimenta:
dunque, benché portino condizioni di bel tempo, non essendo ancorati all’area geografica in cui si trovano, i
promontori di alta pressione vengono trascinati in qua o in là dal risucchio generato dagli spostamenti dei
vortici ciclonici.
Dunque, l’azione stabilizzatrice sul clima da parte delle aree anticloniche è condizionata dalla loro genesi,
cosicché si ha:
- alta efficacia e lunga persistenza da parte dei gorghi anticlonici ancorati all’area geografica che, con le basse temperature al suolo, li genera e li mantiene attivi7.
- scarsa efficacia, breve durata e mobilità dei promontori di alta pressione (costituiti da aria asciutta proveniente da lontano) attirati dal risucchio prodotto da potenti vortici ciclonici in movimento.
A questo punto, qualcuno si chiederà da cosa dipenda il “raffreddamento al suolo” delle aree geografiche in
cui si formano i gorghi anticiclonici più potenti e persistenti.
Ebbene, poiché la risposta a tale quesito richiede un lungo discorso, invito il Lettore a leggere gli articoli che
seguono, a partire da quello che porta il titolo Alle origini dei fenomeni climatici.
4
Sia la rotazione in senso antiorario dei vortici ciclonici che la rotazione in senso orario dei gorghi anticiclonici sono
caratteristiche dell’Emisfero Nord, mentre nell’Emisfero Sud i sensi di rotazione si inverrtono.
5
Al pari dei gorghi che si formano nell’acqua, questo tipo di vortice anticiclonico presenta un’area centrale ben definita, all’interno della quale la pressione atmosferica è massima, e una vasta area marginale grossomodo circolare, nel cui
ambito la pressione diminuisce gradualmente fin sulle fasce di confine con le aree depressionarie, alle quali fornisce
l’aria che quelle attraggono.
6
Poiché l’umidità dell’aria è direttamente proporzionale alla temperatura ed alla pressione dell’aria stessa, alle quote
elevate, dove la pressione atmosferica e la temperatura sono molto basse, l’umidità dell’aria è minima.
7
E questo spiega perché, in assenza di tali condizioni, le perturbazioni atlantiche possano entrare tanto facilmente nel
Bacino Mediterraneo e flagellare con così inusitata frequenza le nostre regioni.
2
Gianni Bassi
CLIMA 2: ALLE ORIGINI DEI FENOMENI CLIMATICI
(sintesi di alcuni articoli pubblicati sul Giornale di Vicenza nel 1990)
Nell’articolo precedente (CLIMA 1: Cicloni e anticicloni, gli scherzi della pressione atmosferica) abbiamo
visto quanto siano determinanti le temperature al suolo sui fenomeni meteorologici e sul clima in generale:
allora, forse è in caso di conoscere meglio le cause che influiscono sulle temperature al suolo e, di conseguenza, conoscere meglio i meccanismi attraverso i quali dette temperature condizionano il clima.
Ebbene, innanzitutto occorre ricordare che… Solo il 15%... Questa è la quota di energia solare assorbita
dall’atmosfera rispetto a tutta quella che il Sole invia sulla Terra!
Il rimanente dell’energia solare viene assorbito dalla superfice del pianeta (il 43%) o viene riflesso e rispedito nello spazio (il 42%)8.
grafico della condotta dell’energia solare
Di fronte a tali cifre, se si considera l’immensità del volume della (da Il Tempo: come da nota 7)
atmosfera rispetto all’esiguità dello spessore della superfice terrestre interessata dall’azione del Sole (solo una quarantina di cm
sulla terraferma e solo qualche decina di metri nell’acqua) si deve convenire che l’energia solare trattenuta dall’aria è ben poca
cosa!9 Ed è appunto questo fatto, che rende gli strati inferiori
dell’atmosfera così sensibili, direi anzi vulnerabili, rispetto
all’influenza termica della superfice del pianeta.
Poiché l’aria è un fluido al pari dell’acqua, cosicché entrambi gli
elementi soggiacciono alle medesime leggi, per meglio capire il
discorso si immagini di riscaldare una pentola d’acqua a mezzo
di una potente resistenza elettrica posta presso la superfice: il calore della resistenza interesserà maggiormente le acque superficiali e meno quelle profonde, per cui si avrà acqua più calda e
quindi espansa e leggera in alto, e più fredda, densa e pesante in
basso, in una situazione di perfetto stallo.
A sinistra: l’energia solare che
riscalda la superfice dei mari è
paragonabile alla resistenza di
un ferro da stiro posato a pelo
d’acqua che non riesce a scaldare in profondità, cosicché
non possono formarsi movimenti verticali.
Se, al contrario, ponessimo la
pentola d’acqua sopra una sorgente di calore, pur se questa fosse debole
come la fiamma di una candela (vedi figura a sinistra), l’energia termica prodotta da questa avvierebbe nell’acqua una corrente ascendente calda che, giunta in superfice, dilagherebbe lateralmente con moto orizzontale sovrapponendosi all’acqua fredda e pesante, la quale verrebbe così risucchiata verso il fondo dando l’avvio ad un rimescolamento in senso verticale10.
Ebbene, poiché, come abbiamo visto, anche l’aria della nostra atmosfera
è soggetta alle leggi che regolano il movimento dei fluidi, a contatto con
una superfice del suolo fredda che le sottrae calore essa diventa più densa e pesante: ciò la induce a dilagare lateralmente a spese di altra aria, la
quale, situata invece a contatto con una superfice calda, risulta più leggera per il calore che la fa espandere, cosicché viene facilmente scalzata
dalla sua posizione e costretta a salire verso l’alto, dando così origine ad
una corrente ascensionale11.
8
9
Dati tratti da Il Tempo di E. Lehr, R. Willi Burnett ed Herbert S. Zim.
Per comprendere meglio i termini del confronto, occorre tenere ben presente che quel 15% di energia catturata
dall’aria va diviso fra l’enormità del volume dell’atmosfera, mentre il 43% si concentra tutto nel sottile spessore superficiale del pianeta. Quanto sia forte il divario fra la temperatura del suolo e quella dell’aria soprastante è eloquentemente
illustrato dalle temperature che si possono rilevare nel deserto del Karakum, in Turkmenistan: in pieno giorno, la sabbia
può raggiungere i 64 gradi mentre l’aria, pur se riscaldata dal riverbero del suolo, già ad un metro e mezzo di altezza
raggiunge solo i 34 gradi.
10
Tali spostamenti verticali delle masse dei fluidi (siano essi aria od acqua) sono detti moti convettivi.
11
Il fenomeno è facilmente verificabile soprattutto d’estate in riva al mare: poiché sotto il Sole cocente il terreno si riscalda più velocemente dell’acqua del mare e più velocemente di questa si raffredda dopo il tramonto del Sole, anche
l’aria soprastante ne subisce le conseguenze; così, a giorno inoltrato l’aria riscaldata sulla terraferma si espande e, divenendo più leggera, si lascia facilmente scalzare dalla fresca brezza proveniente dal mare; a partire dalla tarda serata, avviene il contrario: la terra si è raffreddata appesantendo così l’aria soprastante e questa cala dall’alto e si espande formando la brezza di terra che va a scalzare l’aria rimasta meno densa stazionando sulla tiepida superfice del mare.
3
Dunque, come ormai sappiamo, per individuare e comprendere le cause fondamentali dei movimenti delle
masse d’aria che determinano la variabilità dei fenomeni meteorologici e le mutazioni climatiche, non è
all’atmosfera che bisogna guardare ma alla superfice della Terra.
Detta superfice viene riscaldata dal Sole secondo due modalità ben diverse: in modo regolarmente decrescente secondo la latitudine12, come avviene prevalentemente nei mari e negli oceani13, e in modo estremamente
irregolare, pur se a parità di latitudine, in funzione della natura del suolo e degli elementi che lo ricoprono,
come avviene di regola sulla terraferma.
I vari tipi di terreno, infatti (siano essi scoperti o innevati, terrosi o rocciosi, di colore chiaro o scuro), i diversi tipi di vegetazione (rada o fitta, alberata, di prateria o semidesertica con le relative colorazioni più o meno
intense), l’esposizione dei versanti delle montagne e i vari tipi di acqua (dolce, salmastra, salata, limpida o
torbida) assorbono l’energia solare in modo estremamente vario, e in modo altrettanto vario la restituiscono all’ambiente sotto forma di calore14.
Come appare dalla figura qui a lato, è facilmente intuibile l’importanza del “colore
dei terreni” nella capacità di assorbimento dell’energia solare da parte della superfice
del nostro pianeta.
L’irregolare distribuzione geografica di queste svariatissime condizioni termiche
al suolo determina una enorme variabilità negli scambi energetici fra la superfice del pianeta e la soprastante atmosfera, variabilità a sua volta decisiva nella
determinazione dell’intensità e della durata dei fenomeni atmosferici: di tali caratteristiche poi, l’intensità dipende dal più o meno accentuato divario termico
fra zone contigue di superfice (cosa che si nota maggiormente sulla terraferma
anche fra luoghi situati a brevissima distanza
l’uno dall’altro, come risulta dalla foto a destra,
dove appare la scia di un aereo avviluppata nelle
spire di una corrente ascensionale di formazione locale), mentre, come sappiamo, la durata dipende dalla persistenza delle condizioni termiche al suolo su
vasta scala, come avviene normalmente sui mari e sugli oceani, grazie alla
scorta energetica accumulata dalle acque a causa della maggiore profondità
(oltre 40 metri) a cui può giungere la radiazione solare rispetto alla scarsissima profondità (solo una quarantina di centimetri) della penetrazione solare
nella terraferma.
Mentre però, l’influenza delle caratteristiche generali del suolo di terraferma
sul clima è in certo qual modo prevedibile grazie alla loro relativa persistenza nel tempo15 (persistenza che
consente l’accumulo di dati, i quali portano alla possibilità di elaborare modelli sempre più affidabili anche
in presenza di alterazioni rapide delle condizioni ambientali in quanto le loro conseguenze climatiche sono
facilmente immaginabili16), l’influenza sul clima delle caratteristiche termiche delle superfici marine ed oceaniche è alterata dall’incostante andamento delle grandi correnti oceaniche, le quali, come vedremo, costituiscono il sistema di termoregolazione del nostro pianeta, correnti la cui portata idrica e termica non è immutabile ma segue imprevedibili modalità e durate avulse in apparenza da ogni regola (talvolta i tempi sono
lunghissimi e talaltra anche molto rapidi).
Dunque, per comprendere i capricci del clima non resta che rivolgere la nostra attenzione al sistema di termoregolazione del nostro pianeta costituito dalle Correnti Oceaniche, e ciò per comprenderne il funzionamento e possibilmente anche l’origine.
Contrariamente a quanto si crede comunemente, infatti, il Sole non è l’unica fonte di calore per gli oceani: se
così fosse, infatti, non esisterebbero le correnti oceaniche, poiché, come vedremo in un prossimo articolo,
queste sono provocate dal rimescolamento verticale delle acque, rimescolamento che, come abbiamo visto, il
calore del Sole impedirebbe rendendo meno dense (e quindi inaffondabili) le acque superficiali.
E tuttavia, le correnti oceaniche esistono17 e giocano un ruolo determinante nell’ambito delle condizioni termiche della superfice del pianeta, dunque, per ottenere una concreta possibilità di prevedere con largo antici12
La forza del Sole è più concentrata e più forte nella regione equatoriale, dove essa picchia a perpendicolo, e progressivamente sempre meno intensa alle latitudini più elevate dove, a causa della crescente inclinazione della superfice, i
raggi si disperdono su superfici sempre più vaste, e dunque diminuisce la loro capacità di riscaldare l’ambiente.
13
Ciò a causa della quasi totale uniformità delle caratteristiche fisiche delle superfici marine.
14
Tanto per fare un esempio, in Israele è da molti decenni in uso un sistema estremamente economico per riscaldare
l’acqua del bagno: sul tetto della casa viene collocato un grosso serbatoio metallico dipinto di nero (e si sa, il metallo è
un ottimo conduttore di calore mentre il nero è il colore che più di tutti cattura l’energia solare) e riempito d’acqua salata (ed è noto che l’acqua salata assorbe più calore di quella dolce e lo disperde più lentamente) al cui interno scorre la
serpentina del tubo che porta l’acqua da bagno, la quale così si riscalda senza l’uso di combustibili.
15
Benché la vegetazione al suolo (sia essa di foresta, savana, prateria o campagna diligentemente lavorata) sia in continua evoluzione, in condizioni normali i suoi cambiamenti non avvengono mai da un giorno all’altro. Un esempio significativo di tale cambiamento nel tempo è dato dalla costruzione della grande diga sul Nilo, che richiese vari anni per riempire l’invaso che forma il grande bacino del Lago Nasser, la cui benefica influenza sul clima regionale è ben nota.
16
È questo il caso degli incendi di estensione continentale, che mutano in pochi giorni il tipo di copertura del suolo ed il
relativo colore, sulla cui interazione termica suolo-atmosfera è tuttavia possibile fare previsioni attendibili.
17
Che su certi percorsi oceanici esistessero dei fenomeni, che abbreviavano i tempi di navigazione in un senso e li allungavano sensibilmente nel senso contrario, come se la navigazione avvenisse col favore della corrente o contro di es-
4
po e con elevata attendibilità l’andamento del clima, occorre riuscire a prevedere con altrettanto largo anticipo la loro portata idrica e termica.
A questo proposito, in un mio articolo dal titolo “L’andamento climatico si può prevedere” pubblicato il 31
agosto 1990 sul Giornale di Vicenza, scrivevo: “… se si installasse su tutti gli oceani una catena di stazioni
di rilevamento fisse tanto in superfice che in profondità, sarebbe possibile raccogliere i dati statistici necessari a costituire la «memoria» di un nuovo sistema di previsione del tempo che avrebbe caratteristiche
di elevatissima precisione sia a breve che a lunga scadenza. … Data la portata delle prospettive, dare
un’occhiata al sistema di termoregolazione del nostro pianeta per verificare la fondatezza di queste mie
teorie è il minimo che si dovrebbe fare!”
Ebbene, dopo avere inviato il mio materiale a quanti Studiosi riuscivo a conoscere (persino al Servizio Meteo
dell’Aeronautica di Vicenza ed alla Pontificia Accademia delle Scienze, che accoglie Studiosi da tutto il
mondo), ben otto anni dopo la mia pubblicazione giunse finalmente la conferma della mia teoria: il 17 maggio 1998, infatti, nella pagina della Scienza del Corriere della Sera brillava il titolo “Previsioni meteo fino a
sei mesi, i primi tentativi funzionano”.
In quello storico (per me) articolo a firma di Guido Visconti, l’autore raccontava come il “Centro europeo
per le previsioni a medio termine (ECMWF)” con sede a Reading, in Gran Bretagna, avesse “elaborato per
la prima volta una previsione che va oltre la settimana, spingendosi addirittura fino a sei mesi” e ciò basandosi, oltre che sulle prevedibili condizioni continentali, sopratutto su un “modello dell’oceano messo a punto
dall’Istituto di meteorologia Max Planck di Amburgo” a partire dal 1991 (dunque un anno dopo le mie pubblicazioni). “Tali progressi – spiegava l’autore dell’articolo – sono dovuti in larga misura all’installazione
nell’oceano tropicale di una rete di misura che è in grado di fornire dati di temperatura dalla superfice
dell’oceano fino ad una profondità di 500 metri. Inoltre, molti satelliti sono oggi capaci di misurare con
continuità dati oceanici anche nelle regioni più difficilmente accessibili”.
Purtroppo, nelle sue elaborazioni, l’ECMWF sembra non tener conto dei processi geologici che portano alla
nascita delle correnti oceaniche (processi che pure ho pubblicato nel 1990), e ciò preclude la possibilità di
allungare i tempi delle previsioni meteo di quel tanto che agevolerebbe la lotta contro la fame nel mondo: la
conoscenza di quei processi, infatti, potrebbe consentire di guadagnare qualche altro mese nelle previsioni,
tanto da permettere la programmazione di buona parte delle colture agricole stagionali e forse anche di parte
di quelle annuali.
Al dilà, dunque, delle contraddittorie e indimostrabili teorie tuttora in corso sull’origine delle correnti oceaniche, nei due prossimi articoli (La scienza nel cassetto e Risolto l’enigma delle correnti oceaniche) andremo ad
indagare sui “reali” fenomeni che danno origine di questi fondamentali “fattori del clima”, dall’andamento
dei quali dipende il futuro climatico del nostro pianeta.
sa come sui fiumi, era cosa nota da tempo, tanto che nel Nordatlantico, sulle linee tra Regno Unito e Nordamerica, nella
navigazione verso Ovest i mercantili seguivano una rotta notevolmente più meridionale rispetto a quella di ritorno verso Est, rotte la cui conoscenza consentì a Benjamin Franklin di tracciare la prima mappa di una corrente oceanica: la
Corrente del Golfo, che tanta benefica influenza esercita sul clima delle regioni nordoccidentali dell’Europa.
5
Gianni Bassi
CLIMA 3: LA SIENZA NEL CASSETTO
(sintesi di un articolo pubblicato sul Giornale di Vicenza nel 1990)
In certe fasce degli oceani, lungo le linee dei paralleli, si notano dei fenomeni particolari, che finora la Scienza ha potuto solo registrare senza riuscire a darne una spiegazione soddisfacente o a ricavarne qualcosa di
utile.
Ad esempio, nel Pacifico meridionale si nota una notevole diversità fra la temperatura superficiale nella zona
occidentale, calda, e quella orientale molto più fresca18.
Il fenomeno si potrebbe spiegare col movimento di correnti superficiali provenienti dalle latitudini più fredde
se ciò non fosse contraddetto dal fatto che, nella zona fresca, l’acqua è ricchissima di sostanze minerali provenienti sicuramente dal fondo dell’oceano. Si presenta quindi un primo paradosso: un enorme flusso di acqua “fresca” (quindi densa e pesante) e carica di sostanze minerali (che la rendono ancora più pesante) sale
alla superfice sovvertendo le più elementari leggi della Fisica, e sposta l’acqua calda e leggera che vi staziona da lunghi mesi sotto il cocente Sole dei tropici!
Anche in Atlantico avviene
qualcosa di simile: in questo caso, però, disponiamo di una documentazione maggiore e di più
antica data rispetto al Pacifico.
A lato: mappa delle anomalie termiche superficiali degli oceani (da
F. Vercelli: Il mare, i laghi, i
ghiacciai)
Nella fascia subtropicale del nostro oceano, intorno ai 15 gradi
di latitudine, si nota che ad Occidente, presso la costa brasiliana, la temperatura media superficiale dell’acqua è di circa 25
gradi (fatto normale per quelle
latitudini) mentre, in certe aree
al largo della costa africana, la temperatura media superficiale dell’acqua raggiunge a mala pena i 16 gradi!
Le stranezze, però, non finiscono qui: alla stessa latitudine, infatti, scendendo in profondità le cose si invertono... Così, al largo della costa brasiliana, a mille metri di profondità, l’acqua presenta una temperatura di 2
gradi (fatto normale per quella quota a tutte le latitudini) mentre, al largo della costa africana, alla stessa profondità di mille metri la temperatura dell’acqua è di ben 8 gradi!19
La sconcertante situazione, che non costituisce un caso unico negli oceani, non ha ricevuto finora alcuna
spiegazione da parte della Scienza, la quale si è limitata a prenderne nota e a metterla nel cassetto, forse in
attesa di tempi migliori.
Unica spiegazione a questi sconcertanti fenomeni
è, a mio avviso, la presenza, sul fondo degli oceani, di enormi sorgenti di calore capaci di azionare
immani correnti ascensionali, le quali sconvolgono il normale assetto termico delle acque profonde
così come di quelle superficiali, dando origine alle
Correnti Oceaniche. A prima vista, tale spiegazione potrebbe sembrare fantasiosa, e tuttavia, a differenza delle altre teorie scientifiche che si rivelano indimostrabili, essa è sostenuta da fatti ben
precisi, arcinoti alla Scienza e documentati al dilà
di ogni possibile dubbio, e questo benché fin’ora
nessuno li abbia mai collegati con le anomalie
termiche testé descritte e con altri fenomeni che
vedremo in seguito20.
Come sanno bene i Geologi, sul fondo degli oceani esistono vastissime aree interessate da una intensa attività magmatica, che si manifesta con emissioni laviche e sopratutto con estesa attività idrotermale: tali aree, caratterizzate da imponenti rilievi sot18
19
Per certe fasce, la differenza può essere anche di nove gradi!
Da Il Mare, i Laghi, i Ghiacciai, di Francesco Vercelli.
20
Sembra incredibile la chiusura che esiste fra le diverse branche della Scienza: in questo caso, ad esempio, ho sperimentato a mie spese quanto poco interessino ai Geologi i problemi inerenti al clima e, di contro, l’assoluta indifferenza dei Climatologi nei confronti della Geologia.
6
tomarini di origine vulcanica spaccati da enormi fenditure longitudinali, prendono il nome di “Dorsali Oceaniche” le cui spaccature, larghe anche alcuni chilometri, costituiscono una immensa21 ragnatela di cicatrici
aperte nella crosta terrestre, i cui bordi si allontanano fra di loro di due o tre ma anche di sei o sette centimetri all’anno!22
All’interno di tali immani crepacci, pur se ricoperto di detriti ribolle il magma incandescente, il quale cede
direttamente alle acque soprastanti una incalcolabile quantità di energia termica ed enormi quantità di vapori
saturi di minerali.23
A tale cessione diretta di calore e di vapori, si aggiungono le enormi quantità di vapori incandescenti24 carichi di minerali ceduti dai sistemi idrotermali attivi sui fianchi delle dorsali, e l’altrettanto imponente cessione
di vapori incandescenti e di minerali da parte degli apparati idrotermali attivi in determinate aree sottomarine
caratterizzate dalla presenza di grandi raggruppamenti di vulcani25.
Iniettati a forza nelle acque abissali, quei vapori incandescenti cedono rapidamente calore alle acque profonde, le quali, riscaldate in tal modo ed arricchite di minerali, schizzano a loro volta verso l’alto mescolandosi
gradualmente per via con masse crescenti di altre acque, le quali vengono così coinvolte nella risalita fino a
formare delle enormi correnti ascensionali che, per la carica di minerali che trascinano con sé, ritengo appropriato definire Risorgive fertili26.
Un pennacchio di acqua caldissima, carica di minerali, sgorga
da una “bocca sorgente calda” (detta anche “fumatore nero”)
fotografato sul Rialzo del Pacifico Orientale.
(da D.B. Foster, Woods Hole Oceanographic Institution)
Immagine ottenuta col rilevamento radar del fondale oceanico del Pacifico meridionale: si noti la
fitta frammentazione della crosta oceanica costituita dalle faglie trasformi (parallele fra di loro e
trasversali rispetto alla dorsale oceanica costituita
da un immenso “vulcano lineare”.
La cessione di energia termica a masse crescenti d’acqua, però, provoca l’abbassamento della temperatura
nella corrente ascensionale (abbiamo visto che gli iniziali 400 gradi diventano solo 8 a mille metri di profondità) 27 tanto che, a contatto con lo strato superficiale dell’oceano riscaldato dal Sole con una media di 25
gradi, la spinta di galleggiamento della parte sommitale della corrente ascensionale viene a cessare.
Continuando però negli abissi l’attività idrotermale che alimenta detta corrente, la risalita di altra acqua è incessante ed inarrestabile cosicché, non potendo emergere in superfice per l’insufficente temperatura residua,
essa è costretta a dilagare sotto la calda coltre superficiale.
«E va bene!... – si dirà – ma, pur espandendosi orizzontalmente, come può la corrente ascensionale trasformarsi in una delle grandi correnti che solcano gli oceani?»
La risposta è semplice, basta prestare un po’ di attenzione all’articolo seguente: Risolto l’enigma delle correnti
oceaniche.
Gianni Bassi
21
Mi è stato rimproverato il troppo frequente uso di aggettivi quali immenso, enorme, immane, i quali esprimono sì
l’idea di qualcosa di veramente grande ma non esprimono la reale entità dei valori: ebbene, poiché finora l’entità di tali
valori è stata espressa dalla Scienza solo con cifre ipotetiche frutto di calcoli rispettabilissimi ma non ancora scientificamente accertati, ritengo lecito (e più sbrigativo) rivolgermi al Lettore con gli aggettivi in oggetto.
22
Da I vulcani Sottomarini di Roger Hekinian in Le Scienze n 39.
23
Da Le sorgenti calde sul fondo degli oceani, di John Edmon e Karen Von Damm, in Le Scienze, Quaderni n. 39. È stato
calcolato che la quantità di calore disperso negli abissi dall’attività magmatica di tutte le Dorsali Oceaniche sia di un
numero annuo di calorie pari circa a 5 x 10 elevato alla diciannovesima potenza, numero enorme, che risulta però pari a
solo un decimo del flusso totale di calore proveniente dall’interno della Terra. Tuttavia, se si confronta la superfice totale del pianeta con l’effettiva superfice occupata dalle crepe delle Dorsali in cui si verifica attività magmatica, il rapporto si inverte in modo clamoroso: infatti, risulta che le Dorsali Oceaniche emettano una quantità di calore, per unità di
superfice, superiore di centinaia di volte a quello rilasciato, sempre per unità di superfice, dal resto della crosta terrestre.
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Quei vapori sprizzano sul fondo del mare con temperature altissime, spesso superiori ai 400 gradi.
25
Sul fondo del mar Tirreno, ad esempio, esiste un raggruppamento di oltre cento vulcani attivi.
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“Risorgive” perché la loro salita verso la superfice ricorda il percorso compiuto dalle acque che alimentano i “fiumi
di risorgiva” e “fertili” per l’esplosione di vita garantita dalla carica minerale che le caratterizza.
27
Come avviene per tutti i beni, la loro condivisione con masse crescenti di fruitori determina la diminuzione della quota spettante a ciascuno.
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CLIMA 4: RISOLTO L’ENIGMA DELLE CORRENTI OCEANICHE
(sintesi di un articolo pubblicato sul Giornale di Vicenza nel 1990)
Quanti, fra i nostri Lettori, hanno visto qualche volta delle competizioni di atletica leggera, hanno certamente
notato che nelle gare di velocità gli atleti partono da postazioni situate in posizione scalare; le più interne alle
curve risultano gradualmente arretrate rispetto a quelle disposte verso i margini dell’area sportiva, e ciò
perché, se i blocchi di partenza fossero tutti appaiati su una medesima linea, gli atleti delle corsie esterne si
troverebbero svantaggiati nelle curve a causa della maggiore lunghezza delle loro corsie di marcia.
Ebbene, nella risalita dal fondo degli oceani alla superfice, alle acque delle correnti ascensionali capita un
po’ la medesima cosa; girando attorno all’asse terrestre ad una profondità di tot chilometri, nelle ventiquattr’ore esse si trovano a compiere una circonferenza minore rispetto a quelle che dovranno percorrere nello stesso intervallo di tempo nel corso della risalita, poiché questa le allontana dall’asse terrestre allungando
il raggio e di conseguenza l’estensione delle circonferenze da percorrere alle diverse quote.
Diagramma esemplificativo dell’attardamento, alle diverse profondità, delle acque
in risalita dal fondale oceanico: trovandosi a percorrere circonferenze sempre maggiori durante la risalita, a causa della minore velocità iniziale di rotazione attorno
all’asse terrestre esse si attardano progressivamente, giungendo in prossimità
della superfice in una posizione notevolmente scostata ad occidente rispet-to a
quella perpendicolare al punto di partenza.
Dunque, risalendo verso la superfice, le
acque di provenienza profonda e cariche di sostanze minerali si troverebbero a percorrere circonferenze di
lunghezza via via crescente, cosicché,
mantenendo per inerzia la velocità di
rotazione iniziale, esse si attarderebbero sensibilmente rispetto all’ambiente
circostante.
In realtà, però, l’attardamento sarebbe minore di quelle che potrebbe risultare dai calcoli, poiché, pur se dotate di una superiore inerzia dovuta al carico di minerali in esse disciolti, le acque in risalita subirebbero inevitabilmente un certo trascinamento da parte delle acque stazionanti alle diverse quote. Il ritardo, tuttavia, sarebbe ugualmente sensibile, cosicché una persona, che si trovasse su un’imbarcazione immobile sulle acque
in attardamento rispetto alla normale velocità di rotazione della superfice oceanica a quella latitudine, vedendo delle terre lontane che la sopravanzano verso Est, avrebbe la netta impressione di navigare su una corrente
diretta ad Ovest28.
C’è sempre una grande fonte di calore attiva sul
fondo dell’oceano all’origine delle cosidette “correnti oceaniche”, le quali in realtà non sono delle
“correnti”, cioè non sono delle masse d’acqua in
movimento verso Ovest, ma ruotano anch’esse verso Est attorno all’asse terrestre, attardandosi però a
causa della loro velocità iniziale, che è inferiore rispetto a quella delle acque superficiali.
«E va bene… - si dirà ancora - ma, se l’acqua
risalita dal fondale oceanico non riesce a raggiungere la superfice perché la sua temperatura
residua è insufficiente a darle la spinta finale,
come si spiega che, nella zona di risalita, la
temperatura superficiale dell’oceano è notevolmente più bassa rispetto a quella che dovrebbe
avere a quella latitudine e che si riscontra invece all’estremità occidentale della stessa fascia
oceanica? »
Anche in questo caso la risposta è semplice: attardandosi ad Ovest, le acque “fresche” risalite dal fondo strisciano sotto lo strato delle calde acque superficiali mescolandosi ad esse per attrito, cosicché ne risulta un
28
Per comprendere meglio la falsa impressione, che nell’esempio avrebbe il navigante immobile sull’oceano, ricordiamo la sensazione che suscita in noi l’osservazione dell’acqua di un fiume che passa vorticosa sotto il ponte su cui troviamo: la corsa della corrente, infatti, ci dà l’impressione di essere noi in movimento e non l’acqua.
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miscuglio che presenta una temperatura nettamente inferiore a quella che sarebbe propria a quella latitudine,
ma nettamente superiore a quella residua delle acque risalite dal fondo dell’oceano.
Ovviamente, fino a che continua il flusso dalle profondità oceaniche, allo stesso modo continua anche
l’attardamento verso Ovest della “cosidetta corrente”, la quale continuerà a diffondere nell’oceano le sue acque rese fertili dalla carica di elementi minerali sottratti agli apparati vulcanici sottomarini.
Acque fertili, dunque, che favoriscono un’esplosiva proliferazione del fitoplancton, il quale, oltre a produrre
la massima parte dell’ossigeno atmosferico, costituisce la base della catena alimentare dell’oceano, dallo zooplancton al krill ed alle balene che di questo si nutrono, dagli invertebrati più primitivi ai pesci di tutte le
dimensioni, dai pinguini e dalle foche agli squali ed alle orche voraci.
Quando però si attenua o addirittura si spegne una delle centrali termiche del sistema di termoregolazione29
del nostro pianeta, avviene la catastrofe: quella, che era conosciuta come una corrente portatrice di vita per la
fertilità delle sue fresche acque, si arresta30 e in breve la superfice oceanica si riscalda sotto i raggi del Sole
adeguandosi alla temperatura normale per quella latitudine, perdendo però la sua rigogliosa vitalità.
Questo, ad esempio, è ciò che avviene quando si verifica l’evento detto “el Niño”, evento che si crede sia una
“corrente calda” che porta la morte della pesca ma che, in realtà, costituisce il ripristino delle condizioni ambientali che sarebbero “normali” a quella latitudine, condizioni che invece sono abitualmente alterate dalla
frescura portata dalla cosidetta “Niña”, l’area resa fertile e ricca di vita dall’attardamento verso Ovest delle
acque risalite dagli abissi oceanici grazie all’attività idrotermale presente al largo della costa peruviana.
In questa mappa del Servizio meteo degli Usa, è ben evidenziata in rosso l’area colpita dal fenomeno detto El Niño,
fenomeno che in realtà non è una “corrente calda” come si crede, ma che consiste nel ripristino della normale temperatura della superfice oceanica in seguito alla scomparsa della Niña, la fresca e fertile “corrente” emersa dal fondale oceanico al largo delle coste peruviane, la quale, per la pescosità delle sue acque, garantisce benessere a tutte le
popolazioni della zona.
Come abbiamo visto, dunque, tanto nell’area del Sudpacifico quanto in tutti gli altri oceani e mari della terra,
ciascuna fase di sviluppo di queste benefiche “pseudo correnti” dipende dall’attività idrotermale che avviene
sul fondo degli abissi31.
Tale attività tuttavia, al pari di quanto avviene nelle aree vulcaniche sulle terre emerse, può avere una durata
estremamente varia, che potrebbe essere di solo qualche giorno (come avviene nel caso dell’Etna) o di qual29
Le attività effusiva ed idrotermale sottomarine non formano un impianto di termoregolazione unico ma, costituendo
la via attraverso la quale si scarica all’esterno l’energia termica prodotta in eccesso nelle viscere del pianeta, ciascun
apparato funziona in maniera pressoché indipendente dagli altri, cosicché esso può aumentare o diminuire la propria attività senza influire in modo apprezzabile sul funzionamento degli altri. Come vedremo, però, esistono alcuni di tali apparati, situati in zone geografiche particolari, il cui funzionamento più o meno attivo influisce più degli altri
sull’andamento complessivo del clima terrestre.
30
Per non dovere ripetere continuamente l’ingombrante definizione di “cosidetta corrente” o di “acqua risalita dal fondale oceanico” od ancora “acque in attardamento rispetto alla normale velocità di rotazione della superfice del pianete
a quella latitudine”, per comodità da qui in avanti accettiamo di usare il più sbrigativo termine convenzionale di “corrente” anche se non è corretto, così come è puramente convenzionale la voce “si arresta”, perché in realtà, cessato il
flusso di acque in attardamento, l’oceano si ricompone in una piatta uniformità termica.
31
Ho detto “attività che avviene sul fondo degli abissi” a ragion veduta: quando, infatti, l’attività idrotermale sottomarina avviene in prossimità della superfice, data l’insignificante differenza di velocità di rotazione attorno all’asse terrestre
fra le due quote, non avviene quasi attardamento, tanto più che, data la sua lieve entità, questo viene facilmente annullato dal trascinamento operato dall’inerzia delle acque circostanti, cosicché praticamente non si forma alcuna corrente.
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che mese, ma può anche durare addirittura millenni (come nel caso delle eruzioni del Trappo Siberiano e
dell’altopiano del Deccan), ed è per questo motivo che sarebbe importante monitorare gli apparati idrotermali che generano le correnti: il rilevamento di ogni loro cambiamento di regime potrebbe consentire di
stimare con maggiore anticipo la portata idrica della corrente che da essi prende origine, e ciò consentirebbe di allungare considerevolmente i tempi delle previsioni di massima a favore dell’Agricoltura
«Bene!... – dirà qualcuno – Ma qui si parla solo di correnti oceaniche generate dall’attardamento verso Ovest delle acque in risalita dai fondali… Come si spiegano, allora, le correnti che si muovono in tutt’altra
direzione, come la Corrente del Golfo, ad esempio, che attraversa l’Atlantico in direzione SO-NE, e la Corrente Circumantartica, che si muove addirittura verso Est sopravanzando la rotazione terrestre?»
Dare una risposta a questa domanda non è difficile, ma richiede un certo spazio: invitiamo pertanto il Lettore
a seguirci nell’articolo che segue, dal titolo: Le correnti oceaniche “secondarie”.
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Gianni Bassi
CLIMA 5: LE CORRENTI OCEANICHE “SECONDARIE”
(sintesi di alcuni articoli pubblicati sul Giornale di Vicenza nel 1990)
Difronte alla costa atlantica dell’Africa equatoriale, è attivo un raggruppamento di vulcani sottomarini corredati di notevoli apparati idrotermali, la cui attività dà vita ad una vasta risalita di acque abissali che, col loro
attardamento, danno a loro volta origine alla cosidetta Corrente Equatoriale Atlantica, la quale costituisce il
tipico modello di quella, che definirei “Corrente Primaria” od anche “Corrente Madre”, poiché da essa prendono poi origine due “Correnti Figlie” o “Secondarie”.
Non ostante la sua vastità32 e non ostante la carica di sali minerali che rendono fertili le sue acque, nel primo
tratto del suo percorso verso Ovest questa Corrente non appare granché particolare, tuttavia, durante la traversata del medio Atlantico, essa naviga a lungo sopra il tratto equatoriale della Dorsale Medio Atlantica33,
dalle cui emissioni riceve un apporto idrico e termico di un’imponenza straordinaria.
A sin.- mappa delle correnti oceaniche
nell’Atlantico: si noti la vasta Corrente
Equatoriale che, da fredda nel Golfo di
Guinea, diventa calda al largo del Brasile, a nord del quale si dirige la sua diramazione più larga. (da World Atlas
dell’Enciclopedia britannica).
A dx.- rilevamento radar del fondale
atlantico, dal quale si nota il tratto della
Dorsale che corre quasi esattamente
lungo la linea dell’Equatore, aumentando in tal modo la portata idrica e termica della Corrente Equatoriale. (da Atlante geografico Rizzoli-Zanichelli).
Giunta a ridosso della piattaforma continentale sudamericana e cozzando
contro il Nordest del Brasile, questa colossale massa d’acqua in apparente
moto verso Ovest si divide in due possenti “rami”, che da questo punto, sotto
la spinta continua di altra acqua, sono costretti ad abbandonare la rotta materna ed a muoversi seguendo due opposte direzioni.
Il “ramo” meridionale, infatti, viene deviato verso Sud e, muovendosi ora non più per attardamento ma con
moto proprio (derivante però dalla spinta prodotta dall’inarrestabile sopraggiungere di altra acqua portata
dalla “Corrente madre”), segue per lunghissimo tratto la costa del Sudamerica prendendo il nome di Corrente
Brasiliana (corrente che gioca un ruolo fondamentale sul clima di quel continente34) per volgere poi direttamente verso Est dando luogo, con le acque della sua fascia destra, alla Corrente Circumantartica mentre, incontrando la punta dell’Africa, quelle della fascia sinistra deviano verso Nord travolgendo per via le risorgive fertili attive al largo della Namibia e tornando, infine, in seno alla Corrente Equatoriale, di cui vanno ad incrementare la portata iniziale.
Pur deviando lievemente a Nord rispetto alla rotta “materna”, l’altro “figlio” della Corrente Equatoriale, il “ramo” più robusto, continua col suo
“moto apparente per attardamento” verso Ovest35, assumendo dapprima il
nome di Corrente della Guiana e poi quello di Corrente dei Caraibi, e con
tale nome esso si inoltra nel Golfo del Messico, dove termina la sua corsa
poiché la lieve barriera montuosa, che costituisce l’ossatura dell’America
Centrale, non solo gli impedisce di proseguire verso Ovest, ma gli imprime
pure la velocità di rotazione attorno all’asse terrestre propria di quella latitudine.
Si noti la grande profondità a cui giungono le acque calde trasportate dalla corrente del Golfo, la cui portata raggiunge i 4 Kilometri cubi al minuto ed una velocità, nello stretto fra Cuba e la Florida, di ben 8 Km orari.
Da questo momento quindi, non muovendosi più per attardamento rispetto
alla rotazione terrestre, anche questo ramo della Corrente Equatoriale At32
La vastità di queste Correnti supera in larghezza quella degli agglomerati vulcanici che le hanno generate, e questo a
causa dell’attrito con le acque circostanti che, seguendo più velocemente la rotazione terrestre, oppongono loro resistenza provocando l’allargamento del loro fronte sotto la spinta incessante del sopraggiungere di altre acque.
33
Quel tratto della Dorsale Atlantica si estende per qualche migliaio di chilometri in direzione quasi parallela
all’Equatore, ed il suo immenso apparato idrotermale produce una quantità inimmaginabile di acqua caldissima ricca di
minerali in sospensione, la quale, risalendo verso la superfice, va ad incrementare in modo straordinario la portata idrica
e termica della Corrente Equatoriale Atlantica.
34
Lasciamo per il momento questa corrente secondaria per parlare della sua “gemella”, riservandoci però di tornare ad
interessarci di essa più taldi per il ruolo che essa gioca nei movimenti delle acque dell’Emisfero Sud.
35
Continuando nel moto apparente per attardamento, questo ramo della Corrente Equatoriale Atlantica mantiene per il
momento la caratteristica delle Correnti primarie.
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lantica cessa la sua esistenza come Corrente Primaria e, sotto la spinta della pressione prodotta all’interno del
Golfo del Messicco dall’inarrestabile afflusso di acqua portato dalla Corrente dei Caraibi, trova una via
d’uscita attraverso lo stretto fra la Florida e l’isola di Cuba.
Nasce così la nuova Corrente nota col nome di Corrente del Golfo, che tanta importanza riveste per il clima
dell’intero Comprensorio Nordatlantico e in particolare per l’Europa Nordoccidentale.
Mossa dunque dalla spinta della pressione idrostatica permanente nel Golfo del Messico, spinta che fa di essa
una Corrente Secondaria, la Corrente del Golfo si muove dapprima costeggiando la piattaforma continentale
del Nord America, poi, man mano che, col crescere della latitudine, si trova a percorrere circonferenze sempre più brevi attorno all’asse del globo, grazie alla sua maggiore velocità iniziale devia gradualmente verso
Oriente fino a che, cozzando contro la piattaforma delle isole britanniche, si divide in due rami: di questi,
uno si mantiene sull’Atlantico e, pur continuando la sua marcia verso Est, va ad aggredire con la sua carica
termica la calotta artica,36 mentre l’altro si divide a sua volta in due diramazioni, la maggiore delle quali si infila nel Canale della Manica per
mitigare il clima del Nordeuropa, mentre l’altra vira a Sud attirata
dall’immane circuito mosso dalle risorgive fertili attivate dal vasto bacino vulcanico delle Azzorre e delle Canarie.
Come appare chiaramente dall’immagine, non è il presunto riscaldamento
dell’aria ai poli che aggredisce i ghiacci: che li scioglie è il calore dell’acqua
in cui essi sono immersi.
Tornando alla Corrente Circumantartica, il discorso è più complesso di
quanto potrebbe apparire dalle semplicistiche raffigurazioni, che di solito si trovano negli atlanti.
Come suggerisce la presenza di vari apparati vulcanici lungo la fascia perimetrale della sua piattaforma continentale, attorno all’Antartide esistono sicuramente le condizioni per la formazione di una o più Correnti
Primarie per attardamento, la cui indubbia esistenza è testimoniata dalla fertilità delle acque dell’intera area;
tuttavia, a causa dell’elevata latitudine e, di conseguenza, a causa della forte inclinazione della superfice
dell’area stessa rispetto all’asse terrestre, la differenza fra la velocità di rotazione della superfice e quella del
fondo del mare è minima, cosicché la tendenza all’attardamento per inerzia delle acque in risalita è molto
debole…
A sin.- Mappa del Continente antartico sulla quale
si notano varie aree vulcaniche (triangolini rossi) che
danno origine a numerose
ma deboli Correnti in attardamento (frecce sotto costa
puntate in senso antiorario)
le quali vengono subito catturate dalla Corrente Circumantartica che scorre più
al largo (frecce puntate in
senso orario). (dal Novissimo Atlante geografico mondiale del Touring Club Italiano)
A dx.- Schema grafico che
mostra la progressiva riduzione del divario di velocità di rotazione attorno all’asse terrestre fra superfice e fondo oceanico: le linee rosse disposte a raggera indicano il dislivello superato dalle acque fertili in risalita; le linee brune
orizzontali indicano l’effettivo allontanamento (alle diverse latitudini) delle masse d’acqua in risalita dal livello di rotazione iniziale sul fondo, livello rappresentato dalle sottili linee verticali nere parallele all’asse di rotazione.
Ed è appunto tale debolezza che impedisce loro di vincere l’impeto della calda Corrente Brasiliana, la quale,
giunta in prossimità dell’Antartide, ha orientato la propria rotta decisamente verso Est, cosicché, avvantaggiata dalla elevata velocità di rotazione attorno all’asse terrestre37 grazie alla minore circonferenza da percorrere alle latitudini elevate, la cospicua massa delle sue acque ha buon gioco nel travolgere e trascinare con
sé le deboli risorgive fertili presenti in zona, dando luogo alla Corrente Circumantartica famosa per la sua
pescosità.
Al pari della Corrente del Golfo, anche questa corrente è potenzialmente pericolosa per i ghiacci polari, tuttavia, dato che questi sono in gran parte situati al sicuro sulla terraferma, e dato che la temperatura delle sue
acque è mitigata dal rimescolamento con quelle fredde delle Risorgive Fertili, la sua azione demolitrice verso
la copertura glaciale del Polo Sud è meno incisiva.
Riguardo, infine, allo straordinario andirivieni delle correnti oceaniche nell’area tropicale del Pacifico, osservando la mappa di dette correnti notiamo che, all’estremità orientale tanto della corsia Nord quanto di
36
Ed è appunto questo fatto che provoca lo scioglimento dei ghiacci polari, mentre, come vedremo in altro articolo, il
riscaldamento globale è semmai una conseguenza della riduzione delle superfici glaciali che riflettono l’energia solare,
37
Ricordiamo che la velocità di rotazione di questa corrente attorno all’asse terrestre è ancora quella impostale dall’orto
con la costa brasiliana da cui essa ha avuto origine, velocità, dunque, adeguata alle latitudini tropicali e molto superiore
a quella necessaria per compiere la stessa rotazione giornaliera nell’area circumantartica.
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quella Sud38, esistono due vaste aree di risorgiva fertile, le cui acque fresche formano a Nord la Corrente
(primaria) della California (famoso vivaio per le balene, che qui, per la fertilità delle acque, trovano abbondanza di nutrimento) la quale assume poi il nome di Corrente Nord-equaroriale, e a Sud la Corrente (primaria) Sudequatoriale meglio nota come La Niña (anche questa famosa per la pescosità delle sue acque, finché
non si arresta di tanto in tanto per dare luogo a El Niño portatore di carestia).
Durante la lunghissima traversata oceanica sotto i raggi cocenti del Sole dei Tropici, le acque di entrambe le
correnti si riscaldano fino a raggiungere la temperatura normale per quella latitudine e, una volta giunte a ridosso degli arcipelaghi che formano l’immenso Arco Vulcanico ad Est dell’Asia e dell’Australia, pur subendo un forte rallentamento riescono in parte ad intrufolarsi nei numerosi varchi fra le isole e a passare oltre,
verso l’oceano Indiano, incrementando con le proprie, la carica termica e la portata delle numerose risorgive
fertili generate dagli innumerevoli apparati idrotermali attivi nell’ambito di detto arco vulcanico.
A destra: Il settore occidentale delle correnti oceaniche del Pacifico
(dal Grande Atlante di Selezione dal Reader’s Digest)
A causa, però, dell’ingorgo prodotto della barriera di isole che ne ostacola il
deflusso verso Ovest, e pressate dalla spinta incessante delle Correnti Madri,
gran parte delle acque della Corsia Nord deviano verso Settentrione dando vita
alla Corrente Secondaria detta Curo Shio (Corrente Nera) la cui carica termica
va a contribuire così all’aggressione della Calotta Artica, mentre le acque più
esterne della Corsia Sud, ostacolate dalla piattaforma che regge le innumerevoli isole del Pacifico meridionale, già da tempo hanno cominciato a disperdersi verso Sud.
Ma non è tutto: le due Correnti Primarie testé descritte scorrono39 ben discoste
l’una dall’altra, cosicché tra di loro c’è spazio sufficiente per il riflusso
dell’acqua in esubero sul fronte della Corrente Sudequatoriale, acqua che, costretta a tornare verso Est, dà origine alla Corrente Secondaria detta Controcorrente Equatoriale, il cui percorso coincide dunque con quello che, con termine
di carattere stradale, potremmo definire “lo spartitraffico” fra le corsie Nord e Sud.
Chiarito il problema costituito delle origini delle Correnti Oceaniche, appare ovvio che ci si debba ora occupare dell’influenza, che tali Correnti esercitano sul clima delle diverse aree che attraversano, aree che, quando sono sufficentemente vaste e in certo qual modo autonome rispetto al resto del globo40, in questo studio
saranno per semplicità definite Comprensori Climatici.
38
Mi si perdoni l’uso di termini “stradali”, ma la fascia tropicale del Pacifico ricorda proprio un’autostrada a più corsie
con sensi di marcia opposti, cosicché i termini di uso stradale risultano di più immediata comprensione.
39
Ricordiamo che il verbo “scorrere” è usato qui solo in senso figurato, poiché in realtà entrambe le Correnti sono solo
in attardamento rispetto alle acque stanziate a quella latitudine in accordo con la velocità di rotazione terrestre.
40
In realtà, sulla superfice della Terra non esistono aree climatiche autonome, poiché ognuna di esse è soggetta
all’influenza “a catena” di ciò che avviene in tutte le altre, tuttavia, grazie all’esistenza di barriere fisiche (come le
grandi catene montuose) alcune di esse godono di una certa autonomia, che rende il loro clima particolare.
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Gianni Bassi
CLIMA 6: I COMPRENSORI CLIMATICI
(sintesi di alcuni articoli pubblicati sul Giornale di Vicenza nel 1990)
Come abbiamo visto negli articoli precedenti, se non ci fossero le correnti oceaniche a portare in giro per il
globo il calore accumulato sotto il Sole dei Tropici, la temperatura terrestre dovuta all’irraggiamento solare
sarebbe distribuita in modo decrescente dall’Equatore ai poli; quindi, ricevendo calore prevalentemente dal
contatto con la superfice del pianeta (sia questa di terraferma od oceanica) l’atmosfera si scalderebbe maggiormente nelle zone tropicali, dove le masse d’aria, divenute meno dense (e dunque più leggere) si innalzerebbero richiamando incessantemente ai tropici aria fresca (e perciò più densa e pesante) dalle zone temperate e da quelle fredde.
Si formerebbero in questa maniera due grandi sistemi di correnti atmosferiche: uno, costituito da aria calda,
viaggerebbe ad alta quota perdendo via via calore e si dirigerebbe verso i poli seguendo un percorso sempre
più obliquo verso Oriente41, mentre l’altro, costituito da aria fredda, viaggerebbe a bassa quota scendendo
dalle latitudini elevate con direzione obliqua verso Occidente42 e stenderebbe su gran parte della Terra una
coltre gelida e asciutta, che manterrebbe il nostro pianeta nella morsa di una tremenda glaciazione43.
Fortunatamente per noi, anche se a volte uno spiffero settentrionale riesce a guastarci qualche giorno delle
vacanze estive, il clima terrestre non è così regolarmente ed eternamente rigido, e ciò perché, grazie alla presenza delle superfici marine (che fungono da locali accumulatori di energia termica) e sopratutto grazie
all’esistenza delle correnti oceaniche calde, che si spingono fino alle latitudini circumpolari con , le masse
atmosferiche possono ricevere calore non solo nelle zone tropicali ma anche in altre aree del globo.
Dunque, la diversificazione e l’irregolare dislocazione delle fonti di energia termica garantite dalle correnti
oceaniche rimescolano le carte delle correnti atmosferiche, rendendo il clima vario e, per la gioia dei meteorologi, imprevedibile!
Benché l’atmosfera costituisca uno strato gassoso unico attorno all’intero pianeta, esistono poi dei fattori
ambientali che in qualche modo ne incrinano l’unità: innanzitutto, ci sono le masse continentali che, con la
loro estensione in un senso o nell’altro e con gli arcipelaghi ad esse collegati, frazionano la superfice acquea
in vari oceani più o meno vasti e in numerosissimi bacini di dimensioni minori costituiti dai mari e dai laghi… E noi sappiamo quanto diversa sia l’interazione con l’atmosfera da parte delle superfici emerse rispetto
quelle oceaniche o marine…
E poi ci sono le catene montane, le quali, formando delle barriere fisiche più o meno elevate ed estese, minano alla base l’unitarietà dell’atmosfera, e noi sappiamo che l’ambiente aereo in cui viviamo, la Biosfera, ha
uno spessore assai sottile (meno di una decina di kilometri) che si rivela pertanto molto sensibile agli ostacoli.
Ebbene, tutti questi fattori contribuiscono a determinare le caratteristiche climatiche delle diverse aree del
nostro pianeta, aree che chiameremo “Comprensori climatici” perché, pur essendo inevitabilmente collegati
per reciproche influenze ai climi di altre aree, se ne distinguono tuttavia per determinate peculiarità e per una
certa quale autonomia.
Non potendo ovviamente affrontare in questa sede i fattori ambientali che determinano le caratteristiche di
tutte le aree della Terra, ci limiteremo qui ad appuntare la nostra attenzione sul Comprensorio Climatico
Nordatlantico.
Già dal nome si comprende che esso è delimitato ad Est dall’Europa (soprattutto quella centro-occidentale) e
dal Nordafrica; ad Ovest dalla fascia caraibica del Sudamerica, dall’America Centrale e dalla fascia centrorientale del Nordamerica; a Nord dall’Artide e a Sud dall’Equatore.
Ovviamente, il protagonista principale del nostro studio è l’Atlantico centro-settentrionale, nel cui ambito,
altre alla già nota attività termoregolatrice attuata a livello locale dalla Corrente del Golfo e dalle sue Derivate, esistono due grandi poli di influenza climatica: la vasta Depressione d’Islanda e l’immenso spazio interessato dal cosidetto Anticiclone delle Azzorre.
Oltre ai “primi attori” però, è bene ricordare l’esistenza di altri fattori che, pur non avendo un ruolo primario,
non sono tuttavia neppure delle semplici “comparse”: parlo dei mari interni, quali il Mediterraneo con i suoi
41
Ricordiamo che, allontanandosi dall’Equatore mantenendo la velocità di rotazione attorno all’asse terrestre propria
dei tropici, man mano che si spostano verso le latitudini elevate, le masse d’aria in quota si trovano a correre per inerzia
ad una velocità superiore a quella della sottostante superfice del pianeta, sulla corsa della quale, perciò, si avvantaggiano, tanto che, giunte nella zona delle latitudini medie, la loro direzione di marcia è orientata decisamente ad Est dando
origine alle cosidette “Correnti a getto”.
42
Ovviamente, la circonferenza dei paralleli aumenta man mano che ci si allontana dai poli cosicché, per un fenomeno
analogo ma inverso rispetto a quello descritto nella nota precedente, partendo con una velocità di rotazione bassa per la
vicinanza all’asse terrestre, le masse d’aria fredda dirette verso i tropici si attarderebbero per inerzia sempre più verso
Ovest rispetto alla rotazione della sottostante superfice del pianeta, dando così origine ai venti Alisei.
43
In realtà, per i motivi descritti alle note precedenti, il movimento delle due opposte correnti subisce un’interruzione a
metà strada: qui infatti, nel suo moto circolare da Ovest ad Est, la calda corrente in quota perde progressivamente calore
e si appesantisce scendendo fino a tornare al suolo dove subisce il risucchio verso Sud prodotto dal calore dei Tropici.
Dalle medesime latitudini intermedie poi, a causa del forte divario fra la temperatura del suolo in quell’area rispetto alle
zone polari, il gioco si ripete con correnti di aria mite che si innalzano di quota muovendo verso i poli in avvantaggiamento verso Oriente, e correnti fredde che scendono dai poli in attardamento verso Occidente.
Pur con quella interruzione intermedia, però, l’effetto glaciale sul clima terrestre non cambierebbe.
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vari bacini, il Mar Nero ed il Mar Rosso, e parlo delle montagne: la lunga catena dell’Atlante in Nordafrica
disposta di traverso rispetto ai venti dominanti, l’Arco Alpino che i venti dominanti tende a fenderli, gli Appennini disposti un po’ di traverso, e tutte le altre catene montuose del continente europeo.
Il “motore” del clima del nostro Comprensorio è certamente la Depressione d’Islanda, la quale, quando si
trova con le batterie al massimo come in questi primi mesi del 2014, è in grado di produrre ondate di maltempo a raffica, con cadenze di pochissimi giorni l’una dall’altra.
Questa Depressione è generata dall’intrusione, nelle fredde acque del Nordatlantico, dell’immenso fiume
caldo costituito dalla Corrente del Golfo, le cui acque, scontrandosi con gli estesi basamenti sottomarini
dell’Islanda e delle Isole Britanniche, sono costrette a risalire in massa verso la superfice, allargando così
enormemente la loro area di contatto con la soprastante atmosfera.
Ed è attraverso tale contatto che avviene la straordinaria cessione di energia alla porzione di atmosfera stazionante in zona: riscaldata alla base, e divenendo perciò più espansa e leggera, l’immane massa d’aria si innalza sotto la spinta della pesante aria fredda circostante, la quale però si riscalda a sua volta alimentando così all’infinito il risucchio di aria da zone circostanti sempre più vaste… e qui entra in gioco la diversa velocità di rotazione attorno all’asse terrestre delle masse d’aria provenienti dalle diverse latitudini, diversità che
determina il senso di rotazione antiorario del vortice depressionario44.
Si notino le piattaforme dell’Islanda e delle isole
britanniche, che si alzano dal fondale oceanico
riducendo notevolmente la profondità delle acque.
Ed è lì che si forma la Depressione d’Islanda.
Quando detto vortice è ben cresciuto in spessore e in altezza, viene catturato dai venti dominanti da Ovest e
spinto con forza contro il Continente Europeo dove, continuando a risucchiare aria da ogni parte, la sua azione è anticipata nella corsa dal braccio meridionale che costituisce il fronte caldo, il quale, oltre all’aumento
della temperatura ambientale, provoca le vaste coperture nuvolose che danno piogge copiose e persistenti.
Proseguendo la corsa del vortice verso Est, sopraggiunge un po’ in ritardo il braccio settentrionale delle spirali, il quale, oltre a rinfrescare repentinamente l’ambiente, con la sua aria fredda, pesante e poco umida (o
addirittura asciutta) si insinua sotto l’aria carica di umidità lasciata dal fronte caldo e la solleva: all’inizio,
tale azione dà origine a violente manifestazioni temporalesche ma, passate queste, avendo il sollevamento in
quota spremuto l’umidità dell’aria45, ritorna il sereno.
Ovviamente, persistendo il pesante scambio energetico oceano-atmosfera a Sud dell’Islanda, la Depressione
che da tale isola prende il nome continua la sua potente attività di attrazione e ciò, oltre alle conseguenze
climatiche che abbiamo visto sul suo versante orientale, agisce a volte molto pesantemente anche sul versante occidentale dell’Atlantico: quando, infatti, il fronte freddo del vortice sia abbatte sulle coste orientali del
Canada e degli USA sommandosi all’azione refrigerante portata sulle medesime coste dalla fredda Corrente
del Labrador, le regioni nordorientali del continente americano vengono avvolte da un tremendo sudario di
gelo; quando invece, sulle medesime regioni si abbatte il fronte caldo della Depressione, scorrendo in quota
sopra lo strato gelido al suolo, d’inverno detto fronte si accanisce sulla terraferma con copiosissime precipitazioni nevose mentre, d’estate, le precipitazioni sono costituite da piogge abbondanti.
Questa è la sequenza evolutiva di tutti i vortici perturbati generati dalla Depressione d’Islanda, il cui fronte di
avanzata verso Est, a seconda della loro intensità, può spaziare dal Nordafrica al Nordeuropa, sempre se non
intervengono fattori di disturbo.
E questo è esattamente quanto vedremo nel prossimo articolo dal titolo I fattori di disturbo.
44
Dotata di una velocità di rotazione minima, la fredda aria proveniente dalle latitudini settentrionali tende ad attardarsi
ad Ovest rispetto al centro depressionario che la risucchia, poi si mischia con la tiepida aria proveniente dalle zone occidentali (che ha la stessa velocità del centro depressionario) dando corpo al braccio della spirale detto fronte freddo.
Dal canto suo, l’aria calda e umida proveniente dalle latitudini meridionali è dotata di una velocità di rotazione maggiore, per cui tende ad avvantaggiarsi verso Est rispetto al centro depressionario, poi, mischiandosi con l’aria tiepida proveniente dalle zone orientali, va a formare il braccio della spirale detto fronte caldo, il quale, analogamente a quello
freddo, si precipita con foga verso il centro della depressione incrementando l’energia termica che alimenta l’immane
vortice.
45
È noto che la quota di umidità in sospensione nell’aria è direttamente proporzionale alla temperatura ed alla pressione
dell’aria stessa, pertanto, quando questa viene spinta in alto, la sua pressione diminuisce e con questa anche la temperatura, e ciò fa condensare e precipitare l’umidità tanto più rapidamente e violentemente quanto rapida è la risalita, dopo
di che, esaurita la disponibilità di vapore acqueo, torna il sereno.
15
Gianni Bassi
CLIMA 7: I FATTORI DI DISTURBO SUL CLIMA
(sintesi di alcuni articoli pubblicati sul Giornale di Vicenza negli anni novanta)
«Se non intervengono fattori di disturbo» abbiamo detto nell’ultimo articolo, ed è proprio così.
Come certo ricorderanno i nostri Lettori, ci sono stati in passato dei periodi in cui le perturbazioni atlantiche
percorrevano uno stretto corridoio, che investiva in modo esasperante le sole regioni centro-settentrionali
dell’Europa e lasciava completamente all’asciutto i Paesi mediterranei.
«Fosse ancora così!» diranno gli operatori turistici esasperati dal forte calo delle presenze negli alberghi.
«Beh! speriamo di no!» replicheranno gli allevatori di bestiame, che con la piovosità attuale vedono crescere
in modo straordinario l’erba da foraggio sui prati.
Ebbene, pur se basate sul tornaconto economico, queste due contrastanti posizioni si riferiscono inconsciamente all’attività più o meno energica di un fattore di disturbo presente da sempre sul vicino Atlantico:
l’Anticiclone delle Azzorre.
Generata dal contatto dell’atmosfera con la frescura portata in superfice dalle risorgive fertili attive sul vastissimo comprensorio vulcanico sottomarino (i cui picchi più elevati formano appunto gli arcipelaghi delle
Azzorre e delle Canarie) la robustezza di questa area di alta pressione può variare nel tempo a seconda
dell’intensità e dell’estensione dell’attività idrotermale connessa con detto comprensorio vulcanico: minore è
l’attività idrotermale sul fondo dell’oceano e minore è il raffreddamento della superfice da parte delle risorgive fertili, con la conseguenza che l’Anticiclone delle Azzorre si presenta debole e non in grado di arginare
lo strapotere delle grandi perturbazioni atlantiche, proprio come avviene in questi primi mesi del 2014.
Al contrario, maggiore è l’energia degli apparati idrotermali sottomarini e maggiore è la quantità di acqua
fresca, che sale in superfice ed riduce per contatto la temperatura dell’atmosfera soprastante rendendola densa, pesante ed asciutta, la quale in tal modo dà luogo ad una corrente discendente, un vero e proprio gorgo,
che ingoia aria fresca e asciutta dalle alte quote e la spande con forza sulla superfice dell’oceano, diffondendo intorno a sè condizioni di tempo sereno e respingendo verso Nord le perturbazioni atlantiche.
Conseguenza di quest’ultima condizione, come vedremo, è la minaccia di desertificazione dei Paesi del Mediterraneo e la desertificazione effettiva del Nordafrica centrale.
Come questo avvenga è presto detto: alle alte
quote, dovendosi percorrere nelle 24 ore una
circonferenza maggiore rispetto a quella al
suolo, la velocità di rotazione dell’aria attorno
all’asse terrestre è notevolmente maggiore di
quella del superfice dell’oceano, cosicché, calando di quota all’interno del gorgo anticiclonico, la massa d’aria discendente si avvantaggia verso Est portanto sul continente la sua calura (acquistata per compressione durante la
discesa) e la sua aridità, calura e aridità che
caratterizzano le brezze torride che sottraggono la vita alla vegetazione favorendo
l’avanzata del deserto
Nella figura, la spirale discendente rappresenta
l’aria che si surriscalda per compressione e porta
la desolazione sulla terraferma, mentre nel mare
la vita prospera ad ovest delle risorgive fertili e
langue nelle acque non fertilizzate.
Fortunatamente, per i Paesi che si affacciano da Nord sul Mediterraneo, la situazione non è così tragica, perché di solito, per quanto poco, l’evaporazione che avviene sulla superfice marina attenua con qualche pioggia
l’arsura estiva.
Ho detto «di solito» perché talvolta sul Tirreno si presenta un secondo fattore di disturbo: un “mostro” che
porta la desolazione nelle campagne. Generato dall’inconsueto rigurgito dell’attività idrotermale legata al
centinaio di vulcani sparsi sul fondo del Tirreno, il mostro altri non è che un robusto anticiclone, il quale, con
le fresche risorgive fertili che lo alimentano non solo ha favorito il ritorno delle Balene nel Mediterraneo, ma
può generare l’insorgere di una robusta barriera che, come è avvenuto in anni recenti, allontana per lunghi
mesi le piogge dalle nostre regioni.
Ebbene, l’attuale insolito afflusso di forti perturbazioni atlantiche sul Bacino del Mediterraneo è dovuto alla
concomitanza di due circostanze precise dovute ai due Fattori di Disturbo elencati, circostanze che, concomitanti con un forte incremento della portata termica della Corrente del Golfo (che alimenta il super lavoro della Depressione d’Islanda) sono: un temporaneo affievolimento dell’Anticlone delle Azzorre (che non impedisce l’espansione a Sud delle perturbazioni atlantiche) e la forte attenuazione dell’Anticlone del Tirreno
(che in tal modo lascia il campo aperto alle medesime perturbazioni).
16
Gianni Bassi
CLIMA 8: LA GENESI DI DESERTI E URAGANI
(assemblaggio del materiale di alcuni articoli pubblicati negli anni ‘90)
Tornando ad esaminare le cause del clima in generale, diamo ora un’occhiata a delle circostanze particolari
legate alla presenza delle Correnti Oceaniche in determinate zone della Terra, circostanze che condizionano
la formazione dei deserti e degli uragani.
Osservando le mappe climatiche dell’intero pianeta, si può
notare che le aree desertiche sono sempre situate ad Oriente delle zone interessate dalle Risorgive Fertili: così il Sahara si trova ad Est del comprensorio vulcanico sottomarino delle Azzorre e delle Canarie, il deserto della Namibia è
ad Est delle risorgive al largo del Sudafrica, il deserto di
Atacama è ad Est delle risorgive che danno origine alla
Corrente Sudequatoriale del Pacifico, il deserto della California è ad Est delle sorgenti della Corrente omonima.
Come abbiamo visto nell’articolo precedente, perché questo avvenga è presto detto: la velocità di rotazione della superfice oceanica attorno all’asse terrestre è notevol-mente
inferiore rispetto a quella dell’aria alle alte quote, poiché
questa nelle 24 ore deve percorrere una circonfe-renza
maggiore; calando quindi di quota all’interno di un gorgo
anticiclonico, la massa d’aria in discesa si avvan-taggia
verso Est portando sul vicino continente la sua calura (acquisita per compressione durante la discesa) e la sua aridità, calura e aridità che caratterizzano le brezze torride che
succhia-no la vita
alla
vege-tazione
favorendo la progressiva avanza-ta
del deserto.
A sin: panoramica sul Sahara; a dx: arbusto di tamerici usato per tentare
di fermare l’avanzata del deserto; sotto: uragano visto dal satellite.
Da tale sequenza, sembrerebbero discostarsi i deserti del Medio Oriente e dell’Arabia, il deserto australiano ed il deserto della Mongolia: in realtà, però, anche quei deserti rientrano nella norma: i deserti
del Medio Oriente, infatti, si trovano ad Est dell’estesa area idrotermale sottomarina collegata ai vulcani dell’Egeo, il Deserto Arabico è
ad Est delle risorgive fertili del Mar Rosso, i cui 33° d’estate e 26° d’inverno sono ben poca cosa a confronto
con le temperature infernali che affliggono l’interno dell’Arabia e dell’Egitto, ed è appunto tale divario che
produce la discesa di aria asciutta dalle alte quote, la quale, giunta al suolo ed espandendosi, produce le micidiali brezze torride che portano alla desertificazione quella parte del pianeta.
Quanto al deserto australiano, esso si trova a Sud-Est del vasto bacino
idrotermale a Meridione di Giava e immediatamente ad Est della fredda Corrente Australiana Occidentale, la cui temperatura superfi-ciale
genera l’anticiclone che desertifica l’Australia.
Infine, il vastissimo deserto della Mongolia, che comprende importanti
porzioni della Cina e della Siberia meridionale, deve invece il suo clima arido all’enorme distanza che lo separa dall’umidità esalata dai mari occidentali (Mediterraneo, M. Nero e M. Caspio), allo sbarramento
delle correnti monsoniche operato dalla Catena Imalajana ed alla vicinanza con la sede dell’Anticiclone (continentale) Siberiano.
Per quanto riguarda l’origine degli Uragani (detti anche Tifoni e Cicloni), pur essendo note le aree in cui essi si formano, non risulta che siano mai state individuate le cause che determinano la loro formazione.
Ebbene, analizzando le mappe climatiche, notiamo che quegli spaventosi fenomeni nascono sempre ad Ovest dei bacini oceanici lungo
l’asse terminale delle Correnti calde: il fenomeno si spiega con
l’allargamento del corso di dette correnti in prossimità degli ostacoli
che ne frenano o bloccano la corsa, ostacoli come catene di isole o coste continentali, a causa delle quali avviene l’allargamento del fronte
della Corrente, il quale aumenta enormemente la superfice di contatto
con l’aria soprastante alla quale la Corrente cede calore.
17
Per aggravare la situazione, poi, fondamentali sono il sopraggiungere di sempre nuova acqua calda in sostituzione di quella raffreddata dall’evaporazione, e l’enorme spessore delle correnti stesse, spessore che garantisce una scorta energetica inesauribile.
Così, nell’Atlantico gli uragani si formano lungo il corso della calda Corrente della Guiana, che diventa poi
Corrente dei Caraibi allargandosi nell’intrico delle isole; nel Pacifico i tifoni si formano sulle scie finali delle
calde Correnti Nordequatoriale (con obiettivo il Giappone) e Sudequatoriale (con obiettivo le Filippine,
l’Indonesia e la Cina) e sulla scia della calda Corrente Australiana Orientale (che colpisce duramente soprattutto il Nord-Est del Paese).
Autonome rispetto alle condizioni termiche delle superfici oceaniche sono invece le meno spettacolari Trombe d’aria, che in determinate condizioni danno luogo ai paurosi vortici noti anche col nome di Tornado, tutti
fenomeni pericolosi e spesso letali, i quali si manifestano per lo più sulla terreferma, dove prendono origine
da concentrazioni di calore in zone limitate immerse in aree più fresche ma ricche di umidità nell’aria, umidità portata dalle correnti d’aria di provenienza marina, la quale costituisce il carburante di cui il tornado si
nutre fino all’esaurimento.
Abbiamo dunque compreso il ruolo fondamentale sostenuto dalle correnti oceaniche e marine in relazione
all’andamento del clima, e questo, come raccomandavo in un mio articolo del 31 agosto 1990, ha consentito
di produrre previsioni meteo soddisfacenti, pur se di massima, su tutto il globo a sei mesi. Tele spazio temporale, tuttavia, non basta ancora per la programmazione su vasta scala delle colture agricole al fine di fronteggiare con successo la fame nel mondo, occorre aumentare ancora di qualche mese l’anticipo delle previsioni,
ma come?
Ebbene, anche se sembra che, come di consueto, Climatologi
e Geologi non siano interessarsi a scambiarsi informazioni,
visto che già esistevano le mappe degli assembramenti vulcanici sottomarini (vedi figura a lato), ancora nel 1990 proponevo di estendere il monitoraggio a detti assembra-menti
ed ai loro apparati idrotermali, cosa non impossibile con i
moderni mezzi di rilevamento subacqueo già dispo-nibili allora: in tal modo, sarebbe possibile monitorare l’andamento
dei fenomeni sottomarini e collegarlo col successivo andamento del clima al fine di costituire l’indi-spensabile archivio dati necessario per dedurre il futuro del clima in base alla situazione subacquea in corso: ciò renderebbe
possibile prolungare ancora di qualche mese il tempo delle
previsioni meteo di massima, in modo da consentire agli agronomi di attuare una programmazione mirata delle colture
agricole, programmazione che, dap-prima ovviamente, avverrebbe in via sperimentale e poi, costituito il relativo archivio dati per i raffronti, potrebbe avvenire su scala sempre
maggiore a vantaggio di tutta l’Umanità.
Utopie? Mah!... Anche la mia proposta sul controllo delle
Correnti Oceaniche in superfice ed in profondità sembrava
un’utopia, e invece, qualcuno poi ne ha colto la fondatezza
ed i risultati, pur se ancora con un anticipo di soli sei mesi,
Esplorazione di una paurosa faglia tettonica
sono arrivati!... Perché non tentare anche con le “radici più
sottomarina a mezzo di un batiscafo
profonde” del clima?
A questo punto, visto che l’Uomo dispone di conoscenze adeguate sulla fisiologia della Terra46 e di mezzi
tecnici e finanziari sufficenti, viene da chiedersi se sia mai possibile intervenire sull’ambiente per dominare
in qualche modo gli eccessi del clima47 e la risposta è «Sì» e il “come” sarà l’oggetto dei prossimi due articoli, perché riguarderà “I disastri del clima: ciò che sarebbe possibile fare subito” e “Controllo del clima: ciò
che richiederebbe tempi lunghi, studi approfonditi, progetti faraonici e volontà politica a livello globale”.
46
Parlo di fisiologia della Terra perché sembra proprio che il nostro pianeta costituisca un organismo vivente e si comporti come tale, un organismo in cui tutte le parti sono legate da una interazione intima e indissolubile.
47
Questa domanda mi è stata rivolta spesso nel corso delle mie conferenze sul clima, e la risposta è positiva.
18
Gianni Bassi
CLIMA 9: I DISASTRI DEL CLIMA: ciò che si potrebbe fare subito
(assemblaggio ed aggiornamento del materiale di alcuni articoli pubblicati negli anni ‘90)
Sarà che non se ne aveva notizia perché, presi da altre priorità (guerra fredda, politica interna, cronaca nera e
pettegolezzi mondani) fino a qualche decennio fa gli Organi d’informazione ignoravano i problemi legati al
clima benché forse quelli esistessero già, sta di fatto però, che negli ultimi decenni sembra che quei problemi
siano aumentati a dismisura.
« Oppure - obietterà qualcuno – forse siamo noi, con la nostra condotta dissennata, che abbiamo portato
all’onore delle cronache problemi, che un tempo non producevano tanti guai!»
È vero, la presenza umana sul globo è cresciuta a dismisura e con essa sono cresciuti i comportamenti irresponsabili e spesso dissennati da parte tanto dei singoli quanto delle comunità, ed anche da parte delle istituzioni sia locali che statali… e addirittura anche da parte di quelle sovranazionali.
Pensiamo, a questo proposito, alla deforestazione in atto negli ultimi polmoni verdi del pianeta, deforestazione che avanza sotto gli occhi distratti delle Istituzioni internazionali e che altera profondamente i parametri
di assorbimento e di restituzione all’ambiente dell’energia solare; esattamente come sta avvenendo nei mari e
negli oceani, sempre più aggrediti dal malaffare dei rifiuti, la cui superfice viene sempre più contaminata da
sostanze che ne alterano la capacità di scambio energetico con l’atmosfera, e la cui flora batterica, le microalghe principali produttrici di gran parte dell’ossigeno atmosferico, soffre in modo crescente per l’inquinamento delle acque e addirittura per l’aggressione da parte delle grandi industrie, che da essa ricavano quantità allarmanti di materiali organici per una miriade di impieghi non sempre di prima necessità.
La soluzione di tutti questi problemi potrebbe avvenire a breve termine, ma quel potrebbe sottintende la volontà seria, da parte dei Governi e delle Istituzioni internazionali, di estirpare dalle politiche delle singole
Nazioni l’egoistica mentalità del tornaconto immediato a tutti i costi, cosa di assai difficile attuazione se non
in seguito ad una grave catastrofe planetaria chiaramente e sicuramente riconducibile alle conseguenze prodotte dai problemi su elencati, dunque, per il momento siamo all’utopia.
Ciò non toglie che se ne possa parlare, magari nel prossimo articolo, con la speranza di lanciare qualche
spunto di riflessione per le prossime generazioni. E chissà che qualcuno di tali spunti non vada a turbare i
sonni anche di qualche politico illuminato dei nostri giorni!
Non utopistiche potrebbero essere, invece, le soluzioni a molti dei problemi che interessano quasi giornalmente le cronache, problemi causati dalle straordinarie precipitazioni che hanno flagellato, e continuano a
flagellare, il nostro pianeta negli ultimi anni, provocando alluvioni non sempre apocalittiche, le quali però,
per la condotta insensata di Enti e Istituzioni locali, appesantiscono le cronache con lutti infiniti.
Innanzitutto, sappiamo che le grandi precipitazioni non sono una novità dei nostri giorni, ma sono avvenute
sempre, spece in periodi particolari caratterizzati dalla fine delle glaciazioni, grandi o piccole che fossero.
La fine dell’ultima grande glaciazione, ad esempio, fine avvenuta nell’arco di tempo compreso fra i dieci e i
settemila anni fa, fu caratterizzata da precipitazioni estreme, che vennero aggravate dal rapido scioglimento
di nevi perenni e di ghiacciai, tanto che i detriti da esse strappati alle montagne riempirono l’estremità settentrionale dell’Adriatico dando origine alle Pianure Padana e Veneta48.
Quel tremendo periodo, dunque, imperversò per circa tre mila anni: ebbene, dopo l’ultima grande glaciazione (che ebbe una durata di alcune decine di migliaia di anni) a vari intervalli l’Europa fu interessata da altre
glaciazioni, molto più brevi, la cui conclusione, tuttavia, fu ugualmente interessata da lunghi periodi postglaciali caratterizzati da fenomeni climatici imponenti.
Ebbene, l’ultima di quelle Piccole Glaciazioni si è conclusa
appena un secolo e mezzo fa: non c’è da stupirsi, quindi, del
progressivo aumento della temperatura globale e dell’abbondanza delle precipitazioni.
Dunque, per non venire a nostra volta sepolti dai detriti alluvionali, basterebbe seguire strategie che, consentendoci di
vivere secondo gli standard moderni, non interferiscano
troppo col naturale decorso del clima.
Si noti, sullo sfondo, l’alta arcata del ponte di S.Michele, a Vicenza: costruito ai tempi della Serenissima, esso non ostacola
assolutamente il deflusso delle piene, a differenza di ponte di
S.Paolo, in primo piano, costruito solo un secolo fa.
Una di tali “interferenze” è costituita dagli argini dei fiumi,
con i quali cerchiamo di proteggere quello che consideriamo
il nostro territorio, sottratto però al libero movimento dei
48
È noto che, a causa della scarsa evaporazione dei mari e degli oceani dovuta al grande freddo, in regime di glaciazione le precipitazioni sono generalmente scarse, tanto che, ad esempio, nell’ultima grande glaciazione la copertura nevosa
non giunse mai a precludere la possibilità di pascolo ai grandi erbivori quali i mammut e i rinoceronti lanosi: furono invece le grandi precipitazioni della fase di deglaciazione che li condannarono alla morte per fame.
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fiumi, guadagnando sempre nuovi spazi per i nostri insediamenti urbani e industriali e per l’agricoltura; spazi, tuttavia, che poi sprechiamo con la frequente costruzione di nuove strade non sempre essenziali per la nostra esistenza!
Quelle strade, però, hanno bisogno di scavalcare i corsi d’acqua, e qui sorgono spesso le difficoltà: un tempo,
in età romana e persino nel medio evo, i ponti erano costruiti con ampie arcate, che non riducevano la sezione dell’alveo dei fiumi ma la superavano in ampiezza per garantire sempre il deflusso delle acque di piena e
dei detriti galleggianti (alberi ed altro) da esse trasportati.
E noi cosa facciamo invece? Noi costruiamo robusti (?) ponti in cemento armato, le cui campate sono piazzate ad un livello più basso del ciglio degli argini per consentire alle strade di mantenersi piane, a livello
campagna, per evitare ai veicoli la fatica delle rampe alle due estremità del ponte49.
A sinistra: la struttura del ponte corre al disopra del livello degli argini, cosicché non riduce la sezione utile
dell’alveo. A destra, invece, la struttura del ponte è realizzata all’interno della sezione dell’alveo, riducendone in tal
modo l’area utile ed ostacolando il libero deflusso delle acque di piena
Il massimo della furbizia dei costruttori (e dell’Ente che a suo tempo ha rilasciato la licenza edilizia) è stato
raggiunto in una cittadina dell’alto Tirreno, dove le sponde di un canale interno all’abitato sono state sopraelevate con robuste murature che assicuravano la tenuta anche in occasione di piene straordinarie ma, sopra lo
stesso canale, è stato costruito un edificio che si affaccia sulla strada parallela al canale, edificio sostenuto in
pratica da un ponte, le cui strutture portanti poggiano ad un livello nettamente inferiore al piano stradale, annullando in tal modo
il margine di sicurezza dovuto alla sopraelevazione dei muri di
sponda ed ostruendo addirittura una buona porzione dell’alveo
originale del canale!
Conseguenze?... Un’alluvione straordinaria, che fino a quel punto era stata contenuta agevolmente dal rialzo degli argini, trovandosi ostacolata dall’insormontabile struttura edilizia, ha riversato gran parte delle sue acque limacciose sulla strada, provocando ingenti danni e addirittura la morte di alcune persone.
Ma ancora non basta, perché l’inesauribile astuzia umana ha trovato il modo di ridurre i costi di costruzione dei ponti anche
piazzandone le spallette ben addentro alla sezione dell’alveo,
proprio come è avvenuto in un’altra Regione tirrenica dove, per
raccordare le spallette del ponte alla terraferma, sono stati costruiti dei robusti muri longitudinali per
contenere materiali inerti usati come riempimento
del vano fra le spallette e le rive, materiali sui quali
è stata poi gettata la banchina in cemento armato
che supportava il manto stradale: ebbene, col tempo, l’acqua ha scavato la terra dell’argine a monte
di uno dei quei muri di contenimento, è entrata nel
vano fra la spalletta e l’argine aprendosi la strada
nel materiale di riempimento e poi ha scavato ancora nel terreno dell’argine a valle, dopo di che è uscita all’aperto portandosi via il materiale di riempimento.
49
Qualcuno certo ricorderà quanti furono i moderni ponti in cemento armato divelti dalle storiche alluvioni del 1966:
ponti di recentissima concezione, costituiti da travature in c.a. precompresso semplicemente appoggiate negli appositi
alloggiamenti ricavati nelle spallette, travature però, collocate ad un livello inferiore a quello del ciglio degli argini in
modo da mantenere il piano stradale a livello campagna, cosicché l’impeto della piena ebbe buon gioco nel travolgerle.
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Risultato?... In seguito all’ennesima piena, trovandosi senza terreno di appoggio, la banchina in c.a. è
precipitata col soprastante manto stradale… e con un’automobile che stava transitando con due persone a
bordo… le quali hanno trovato così la morte!
Anche nel Nordest ci sono casi curiosi: a Vicenza, ad esempio, esiste un vecchio ponte detto di Pusterla, il
quale presenta due grandi arcate che sostengono un piano stradale caratterizzato da due rampe piuttosto pronunciate, tanto che per secoli le piene sono passate sotto di esso senza procurare danni…
Questo fino a qualche anno fa, quando la spinta prodotta da una piena straordinaria sembra che abbia recato
qualche dissesto nella struttura del manufatto minacciandone la stabilità.
Ebbene, certo su consiglio dei propri tecnici, l’Amministrazione comunale è corsa subito ai ripari facendo
eseguire una poderosa opera di rafforzamento della sede stradale tesa ad irrigidire l’intera struttura al fine di
rafforzarne la resistenza alla spinta delle piene, e questo senza chiedersi il perché del pericoloso evento!
Se qualcuno si fosse rivolto quella domanda, forse avrebbe ottenuto come risposta: «Le piene straordinarie
non hanno un perché: càpitano e basta! »
Risposta errata!... Le piene straordinarie càpitano
quando càpitano ma fanno danni solo quando l’alveo
del fiume non è in grado di contenerle… E questo è
proprio il caso del ponte di Pusterla.
Premesso che le piene eccezionali sono dovute a
precipitazioni eccezionali (e queste aumentano di
intensità col riscaldamento del clima), ricordiamo
che quando, forse un secolo fa, l’alveo del Bacchiglione50 fu alterato dalla costruzione di due ampie
briglie (una a monte ed una a valle del ponte per
convogliare l’acqua verso le ruote dei mulini attivi
un tempo sulle due sponde), evidentemente il clima
non era ancora giunto ai livelli estremi attuali, tuttavia, le piene, che si sono susseguite a ritmo crescente negli ultimi anni, avrebbero dovuto allertare le auAll’ex mulino che si vede sullo sfondo corrisponde,
torità e indurle a chiedersi se non fosse il caso di esulla riva opposta, la presa d’acqua e la ruota di un
liminare almeno la parte centrale della briglia a valle
altro ex mulino, entrambi funzionanti un tempo grazie
ormai in disuso da molti decenni, per consentire di
alla grande briglia visibile nella foto, esattamente come
avviene poco a monte del ponte. La briglia in foto rialabbassare forse di due metri l’alveo sotto le arcate
za il piano di scorrimento delle acque di almeno 2 m.
del ponte riportandolo ai livelli originari, cosa che,
visto l’andamento del clima, sarebbe consigliabile
fare anche se l’emergenza sembra ormai passata.
A proposito di sezione utile51 degli alvei dei fiumi, quando qualche fiume straripa inondando abitati e campagne e seminando rovine, subito l’opinione pubblica si indigna contro le autorità e queste, per calmarla, parlano invariabilmente di maggiore impegno nella manutenzione e magari nell’innalzamento degli argini.
Ultimamente poi, le Autorità hanno cominciato ad usare una parola magica: per calmare le proteste, infatti,
hanno cominciato a promettere la realizzazione di “bacini di laminazione”52.
Quante parole al vento!... Quanta campagna rovinata!...
E quanto danaro pubblico sperperato!
Prima che l’Uomo cominciasse ad imbrigliare i fiumi,
quando questi erano in piena dilatavano tranquillamente
il loro corso sul territorio circostante senza fare grossi
danni ed anzi innalzandone progressivamente il livello
coi loro detriti alluvionali.
Un rimedio potrebbe essere quello di tornare alle opere di
bonifica praticate dai Benedettini nel medioevo: innalzare il
livello delle campagne utilizzando i detriti delle piene (detriti
allora non inquinanti come quelli attuali). Ma accetterebbero gli abitanti della Bassa Padana di sottoporre per decenni il loro pregiato territorio a un simile trattamento?
50
Il Bacchiglione è un fiume di risorgiva che, attraversando la città di Vicenza, scorre appunto sotto il ponte di Pusterla.
Per sezione utile di un fiume intendo l’ampiezza trasversale dell’alveo sufficiente a contenere la piena massima.
Per bacino di laminazione si intende un’ampia porzione di territorio situato a ridosso degli argini di un fiume, territorio che, munito a sua volta di argini, viene usato quale serbatoio di scarico per alleggerire le piene pericolose. Detto
spazio, dunque, costituito da terreni agricoli, è destinato ad accogliere le acque melmose e a volte inquinanti delle piene,
con quali vantaggi per la coltivabilità del suolo è facile immaginare. A tale proposito poi, ricordando lo strato di detriti
depositato da ogni piena nei terreni alluvionati (a volte anche più di 20 cm) quei bacini avrebbero gli anni contati, perché il loro fondo si innalzerebbe ad ogni piena, cosicché la loro capacità diminuirebbe fino a diventare insufficente quale sfogo delle piene, e ciò è proprio il fatto su cui contavano i Benedettini con le loro imponenti opere di bonifica.
51
52
21
Oggi invece, eretti per bilanciare il graduale riempimento
degli alvei dei fiumi, argini sempre più possenti innalzano
spesso le acque di piena a parecchi metri sopra il livello di
campagna, cosicché, quando un argine cede, la piena si riversa dalla falla investendo la sottostante campagna e gli abitati della zona con la violenza di un grande ed impetuoso
torrente di montagna, che trascina con sé alberi divelti,
ghiaie e detriti di ogni genere e provenienza.
E più alti sono gli argini, maggiore è il danno!
Un’alternativa alle dolorose conseguenze prospettate dalle
due strategie testé enunciate ci sarebbe, sempre che gli ambientalisti siano d’accordo.
Nel corso delle mie conferenze, infatti, quanto sto per dire
ha suscitato più di una volta le ire di qualche ambientalista
convinto che l’ambiente naturale non debba essere manomesso per nessun motivo e a nessun costo.
Ebbene, premesso che gli argini dei nostri fiumi non costituiscono assolutamente degli elementi naturali, e
ciò quanto meno perché essi sono opera dell’Uomo, non della Natura, e più sono alti e magari rivestiti di pietrame o, peggio, di calcestruzzo, più ostacolano la naturale simbiosi fra la vita del fiume e quella del territorio circostante, l’alternativa sarebbe semplicemente quella di tenere basso e pulito il fondale dei fiumi, ma
non come fu fatto qualche anno fa in una famosa cittadina del nordovest Vicentino, dove un lungo tratto del
greto di un torrente ricco di erbe acquatiche, di pesci e di uccelli, fu letteralmente spianato ed il suo bioma
distrutto per consentire ai possenti autocarri da cava di percorrerlo per asportare
i materiali ghiaiosi in eccesso… Risultato di quell’operazione?
Da quel tratto di fiume, la vita è scomparsa quasi completamente, tanto che, degli oltre cento germani reali che vivevano in quel ricco ambiente, ne sono rimasti sì e no una quindicina… e ciò, mentre nel giro di qualche anno, le piene stagionali hanno depositato al centro del greto un nuovo accumulo di ghiaia, la
quale costringe le acque a scorrere sotto riva minacciando la stabilità dei rivestimenti delle sponde.
No!... L’abbassamento del fondo dei fiumi dovrebbe essere realizzato innanzitutto mediante un’assidua pulizia dalle immondizie di ogni genere gettate da
persone che non meritano il nome di “cittadini”, e poi scavando al centro del
greto una trincea di dimensioni proporzionate all’ampiezza dello stesso, in modo da non distruggere completamente il bioma acquatico.
In tal modo, in poco tempo le sponde della trincea collasserebbero portando con sé la vegetazione, consentendo in breve la ricolonizzazione dell’intero alveo ed il mantenimento dello stesso ad una profondità ragionevole, e mantenendo, nel contempo, il flusso maggiore delle acque lontano dalle vulnerabili sponde.
«E i detriti provenienti dallo scavo della trincea?» chiederà qualcuno.
Ebbene, quei detriti potrebbero servire ad innalzare di volta in volta il livello di determinate aree prossime al
mare, che così potrebbero giungere in brevissimo tempo a godere degli stessi benefici garantiti dalle bonifiche benedettine opponendosi nel contempo alle sempre più frequenti escursioni marine, oppure potrebbero
essere deposti a ridosso degli argini per irrobustirli53.
«E… per il riscaldamento del clima?» si dirà… Ci arriviamo subito!
Chi ha avuto modo di camminare a piedi nudi sull’asfalto sotto il Sole estivo, ha sicuramente provato a proprie spese quanta energia termica questo tipo di pavimentazione all’aperto sia in grado di riverberare
nell’aria soprastante, spece quando la sua estensione è pari alla superfice coperta da tutte le strade e le autostrade, i piazzali, i parcheggi e le piste degli aeroporti di tutto il pianeta: una enormità.
Un tempo, quando i veicoli viaggiavano a bassa velocità, di regola le vie di comunicazione erano fiancheggiate da interminabili filari di alberi dalla folta chioma (soprattutto tigli, olmi, aceri e platani54) i quali,
d’estate, trasformavano le strade in fresche gallerie protette dal verde. Più tardi però, in seguito all’aumento
della velocità dei veicoli a motore, la cui tenuta di strada era resa precaria dalla scarsa qualità della pavimentazione stradale, la presenza dei filari di alberi divennero causa di pericolo mortale, cosicché furono gradualmente eliminati.
Ebbene, l’attuale qualità delle pavimentazioni stradali garantisce oggi ai veicoli una tenuta di strada eccellente, la quale, insieme con l’attuale ampiezza delle carreggiate, potrebbe consentire andature ben più elevate di
quelle concesse dai rigorosi limiti di velocità imposti dalla legge, e questo fatto, unito alla presenza delle
moderne protezioni stradali, renderebbero pressoché innocua la presenza delle alberature, cosicché, se que53
Dal momento che gli argini esistono, non è proprio il caso di distruggerli.
Sarebbero da escludere le essenze a fibra breve, che rende fragili i rami (come nel caso dei platani e dei pioppi) mentre sarebbero consigliabili quelle a fibra lunga, che rende i rami elastici e resistenti (come ad es. il frassino). Inoltre, alle
latitudini in cui gli inverni sono nevosi, sono sconsigliate le piante sempreverdi per evitare gli accumuli di neve, che
schiantano i rami, e per evitare il persistere delle condizioni di gelo al suolo, che ritarda lo scioglimento della neve.
54
22
ste venissero per quanto possibile ripristinate, nei periodi di canicola potrebbero garantire migliori condizioni di guida, condizioni che gioverebbero certamente alla sicurezza stradale55.
E ciò senza contare gli indubbi vantaggi che ne deriverebbero per l’ambiente in generale, come, ad esempio,
la riduzione della formazione di ozono in prossimità del suolo e la maggiore produzione di ossigeno atmosferico da parte delle piante.
Del resto, la velocità spericolata, a cui corrono certi veicoli guidati da fuorilegge, rende potenzialmente mortale qualsiasi incidente, anche quando questo avviene in luoghi privi di alberi ai lati delle strade.
Le alberature, inoltre, sarebbero utili anche nei piazzali dei parcheggi e nelle immense superfici asfaltate delle zone industriali, zone note per la calura insopportabile che le caratterizza nei periodi estivi, calura che si
riverbera nell’atmosfera inquinata rendendola soffocante.
Poi, sarebbe bene ripristinare per legge le siepi arboree ai margini dei campi, le quali hanno il potere di
bloccare l’azione disidratante dei suoli da parte delle
brezze torride, disidratazione a cui gli Agricoltori
sopperiscono con l’irrigazione artifi-ciale, la quale, è
bene ricordarlo, costituisce la maggiore causa di
consumo (e di spreco) di acqua dolce nel mondo56.
Infine, per quanto possibile dovrebbe essere imposto
per legge il rimboschimento di tutte le aree montane,
collinari e di pianura abbandonate dall’agricoltura e
tutte le aree marginali degli abitati.
Ci sarebbe poi dell’altro che si potrebbe fare per difendere il nostro ambiente dagli eccessi del clima,
ma si tratta di cose che richiederebbero tempi lunghi
ed un notevole cambio di mentalità a livello globale, cose di cui parleremo nel prossimo articolo dal titolo “Il
controllo del clima: un’utopia?
55
Pensiamo ai gravi disagi dovuti agli ingorghi del traffico (spece durante gli esodi per le vacanze estive) ed agli innumerevoli incidenti causati dalle pessime condizioni di guida sotto il solleone.
56
È stato calcolato che in Italia, nel solo 2010, per produrre 14 milioni di derrate agricole, mai raccolte poi per ragioni di mercato, sono stati sprecati con le irrigazioni artificiali ben 12,8 miliardi di metri cubi di acqua dolce! E ciò
mentre le siepi arboree ai bordi dei campi sono in via di rapida eliminazione per agevolare i movimenti delle sempre più
mastodontiche macchine operatrici e per sfruttare ogni centimetro del terreno agricolo. I risultati di questa condotta dissennata sono chiaramente visibili anche ai profani, i quali possono notare agevolmente la maggiore frescura che caratterizza le campagne dove esistono ancora le siepi arboree (come in vaste aree della Regione Veneta) dove, per dipiù, le
alberature offrono rifugio ad una miriade di uccelletti insettivori utilissimi all’agricoltura, e ciò rispetto alla calura che
caratterizza le campagne disalberate di altre Regioni, le quali, invece, sono frequentate da dannosi volatili onnivori quali
i corvi e i gabbiani. Inoltre, la crescente pratica dell’irrigazione artificiale, resa necessaria dall’arsura portata dalle brezze torride, rende sempre più onerosa la gestione dei terreni agricoli: l’acqua inquinata prelevata dai fiumi, infatti, avvelena i campi e dilava i terreni, rendendoli sempre più sabbiosi e incoerenti a causa dell’asportazione della componente
colloidale indispensabile a dare loro consistenza, più poveri a causa dell’asportazione della componente organica naturale che mantiene viva la terra e meno produttivi per l’asportazione di parte dei fertilizzanti che poi vanno a finire in
mare inquinandone l’ambiente.
23
Gianni Bassi
CLIMA 10: Il controllo del clima: un’utopia? Forse no.
(sintesi di alcuni articoli pubblicati sul Giornale di Vicenza nel 1990)
Abbiamo terminato l’articolo precedente parlando di alberatura di quante più possibili superfici in grado di
riverberare il calore del Sole sull’aria soprastante. Sappiamo però che anche i deserti contribuiscono allo
stesso modo al riscaldamento globale, e non solo col calore riverberato nell’atmosfera dalla loro superfice
infuocata, ma anche a mezzo della polvere sollevata ad alta quota dal vento, la quale agisce esattamente come la nuda sabbia al suolo trasformando l’energia solare che la colpisce in energia termica, che subito viene
ceduta all’atmosfera aumentandone la temperatura e dunque fornendo ulteriore forza ai fenomeni atmosferici
in atto: ma come rimediare a tali enormi inconvenienti?
Ebbene, anche in questo campo si potrebbe fare qualcosa di utile, ma occorreranno volontà politica a livello
globale, studi approfonditi e, purtroppo, tempi lunghi: già da decenni, infatti, in certe regioni del globo,
l’Uomo impiega risorse ed energie nel tentativo di arginare l’avanzata dei deserti, ma senza successo…
Il fatto è, che risulta facilissimo desertificare un territorio ma è estremamente difficile poi invertire la tendenza57, tuttavia, come nel caso del Sahara, se in passato il territorio era ricoperto dalla savana, la situazione forse non è del tutto disperata: oltre alle cause ambientali che abbiamo affrontato in CLIMA 7, infatti, dietro alla
desertificazione dei un territorio c’è spesso la cattiva condotta dell’Uomo, condotta che bisognerà modificare
per renderla compatibile con le esigenze dell’ambiente58.
A lato: pittura rupestre che attesta come, nel periodo Neolitico, il Sahara fosse
ricoperto dalla savana, nella quale, oltre agli innumerevoli animali tipici di
quell’ambiente, trovavano ampio spazio anche gli uomini coi loro armenti.
Da subito, dunque, sarebbe auspicabile incrementare le opere di bonifica dei
deserti partendo dalle aree incolte lungo le coste, dove i terreni possono godere dell’umidità portata dalle brezze marine, e dove tuttavia, andrebbero
usate essenze vegetali sgradite agli erbivori per scoraggiare la pastorizia59.
Un ottimo esempio di tali essenze è dato dall’ Ailanto (Ailanthus altissima), una pianta legnosa a
rapida crescita, le cui foglie (foto a lato), triturate
(masticate) sono talmente maleodoranti (e disgustose) da scoraggiare gli erbivori dal cibarsene60;
ebbene, oltre ad una notevole capa-cità di fissare
il terreno grazie alla sua attitudine a diffondersi rapidamente per propaggine61, tale
pianta presenta una elevata resistenza alla siccità grazie alle risorse idriche che riesce ad accumulare in rigonfiamenti simili a tuberi diffusi nell’apparato radicale.
Partendo dunque dalle zone più favorevoli ed associandola ai
vegetali già in uso, la copertura boschiva ad Ailanto (o ad essenze simili) porterebbe verso il deserto la frescura e l’umidità
utili alla diffusione di erbe ed arbusti colonizzatori i quali, se
difesi dalla distruttiva voracità degli erbivori domestici, coi loro
cascami consentirebbero la formazione dello strato di humus indispensabile all’esistenza
di vegetali utili alla rigenerazione del territorio.
Ovviamente, per non ripetere gli errori del passato, il territorio così bonificato non dovrà
mai, in nessun caso, tornare nelle disponibilità dei pastori nomadi ma, qualora se ne verificasse la ripristinata fertilità, dovrebbe semmai essere destinato solo ed esclusi-vamente
all’agricoltura, come avveniva ai tempi dell’antica Roma, la quale in Nordafrica aveva il
Granaio dell’Impero come attestano le fonti storiche e come testimonia la statuina della
foto a lato denominata Abundantia Africana.
Lasciamo ora l’aridità dei deserti e volgiamo l’attenzione ai grandi fiumi, fonti di insostituibili risorse ittiche ma anche di enormi calamità e di indirette interferenze nell’andamento del clima 62.
57
Quando un terreno è denudato, le intemperie hanno buon gioco nel dilavarne le componenti a grana sottile ricche di
nutrienti minerali ed organici che gli danno consistenza e fertilità, cosicché, quando è reso sabbioso, esso non offre più
l’ambiente idoneo all’attecchimento dei semi. Se a ciò si aggiunge il calore eccessivo dell’ambiente e la scarsità di acqua, il problema diventa estremamente duro da risolvere.
58
Mi riferisco in modo particolare alla pastorizia praticata in modo intensivo, a sostegno del prestigio individuale legato
al numero degli animali posseduti, anche se questi sono ridotti a pelle e ossa dall’incipiente desertificazione.
59
In Nordafrica, le capre domestiche sono lasciate libere di arrampicarsi persino sugli alberi per nutrirsi delle loro foglie: ovviamente, tale pratica è quanto di più dannoso si possa fare per la salute del territorio.
60
Disseminata dagli uccelli nell’isola di Montecristo abitata da una folta colonia di capre selvatiche che si nutrono di
tutto ciò che trovano, grazie al suo sapore sgradito questa pianta, rifiutata dagli erbivori, è diventata la spece vegetale
dominante sull’isola (la foto è tratta da “Riconoscere gli alberi” di Roger Phillips).
61
Importato nell’800 dalla Cina come pianta ornamentale, l’Ailanto si comporta come una pianta infestante, capace di
colonizzare qualsiasi terreno, anche quello che, per l’aridità, sembra negato ad altre infestanti quali la Robinia.
24
Nell’articolo precedente, a proposito dello scavo di
una trincea sul fondo dei fiumi per mantenerne basso il
corso rispetto al livello di campagna al fine di prevenire le alluvioni, alla domanda su cosa si dovesse fare
poi dei detriti prodotti dallo scavo, si proponeva di utilizzare quei detriti per innalzare il livello dei terreni
rivieraschi più depressi ed esposti alle sempre più frequenti escursioni marine.
Naturalmente, il graduale abbassamento del letto dei
fiumi non dovrebbe mai (e ripeto mai) scendere ad un
Conoide del
livello inferiore a quello raggiunto dalla superfice dei
Gange e del
Bramaputra
mari con l’alta marea, e questo per non consentire
all’acqua salata di penetrare a fondo nella terraferma
inquinando le falde e sterilizzando i terreni.
A questo punto, però, si presenterebbe il problema costituito dalla necessità di consentire il deflusso in mare delle piene dei fiumi: ebbene, non considerando le
zone in cui il livello del territorio è sensibilmente più
alto di quello dell’oceano, per cui il problema è già risolto dalla Natura con gli Estuari (come ad esempio,
quello della Loira), il problema si pone là, dove il livello della fascia litoranea è vicino alla quota massima della marea: ebbene, anche qui la Natura ha provveduto a modo suo e lo ha fatto ampliando a dismisura
gli alvei alla foce fino a formare dei grandi Delta, coRilevamento radar da satellite del fondale del Golfo
me nel caso del Po, la cui foce compensa la poca prodel Bengala; si noti l’immensa conoide di detriti alfondità con la vastità degli sbocchi in mare.
luvionali che si allunga fino al cuore dell’oceano InIn questo caso, però, non sempre la vastità del delta
diano (dal Novissimo Atlante mondiale del Touring
riesce a garantire il completo deflusso della portata
Club Italiano).
massima dei fiumi, così, per evitare che la Natura
provveda alla bisogna allargando ulteriormente l’ampiezza del delta a scapito dei territori antropizzati, è giocaforza ricorrere alla costruzione degli argini: questi però, per non doversi innalzare troppo rispetto al livello
di campagna (ricordiamo che più gli argini sono alti, più aumentano i rischi di un loro cedimento e, di conseguenza, più gravi sono gli effetti dell’alluvione) dovrebbero correre ad una buona distanza dal corso d’acqua
per lasciare più spazio possibile alle acque di piena, così da risparmiare al territorio circostante le onerose
servitù derivanti dalla formazione dei cosidetti bacini di laminazione.
Ebbene, oltre a limitare i pericoli derivanti da straripamenti catastrofici, se praticato a livello globale specialmente sui grandi fiumi, il recupero dei detriti alluvionali potrebbe consentire di ottenere, in tempi relativamente brevi, il materiale per innalzare il livello dei litorali dei Paesi più minacciati dalla trasgressione marina (Paesi come il Bangladesh, per intenderci, il cui livello sul mare sta progressivamente diminuendo ed i
cui fragili litorali sono oggetto di crescente erosione). Inoltre, fatto non ultimo per importanza, il recupero
dei detriti alluvionali dei fiumi potrebbe contribuire a limitare l’innalzamento del livello degli oceani, innalzamento che, bisogna dirlo, è causato non solo dalla dilatazione termica delle acque dovuta al cosidetto riscaldamento globale63, ma è provocato anche dalla immissione nei mari e negli oceani di incalcolabili quantità di detriti64.
Quanto ciò possa essere vero è dimostrato dalle immense conoidi di deiezione presenti negli oceani davanti
alle foci dei grandi fiumi della Terra, come la conoide formata dal Gange e dal Brahmaputra, ad esempio, la
quale sta progressivamente interrando il Golfo del Bengala.
Riuscire a limitare la trasgressione marina su vastissime aree litoranee del pianeta significherebbe contenere
l’aumento in atto dell’evaporazione delle acque65, influendo in tal modo positivamente sul rapporto di scambio energetico tra la superfice del pianeta e l’atmosfera.
62
Detta interferenza indiretta deriva dall’incessante opera di riempimento dei bacini oceanici con detriti alluvionali da
parte dei fiumi, riempimento che sta provocando l’innalzamento di livello e quindi l’estensione di mari ed oceani a scapito delle superfici emerse.
63
Al dilà di quanto riferiscono gli allarmismi, detta dilatazione si limita alle basse latitudini e solo al lieve strato superficiale dei mari e degli oceani, perché l’energia solare non penetra nelle acque per più qualche decina di metri.
64
Il processo è lo stesso che avverrebbe versando della terra all’interno di un recipiente pieno d’acqua: riducendo la capacità del recipiente, infatti, l’immissione di terra fa tracimare l’acqua… Del resto, il fenomeno si è già verificato nel
passato, soprattutto nel lungo periodo Cretaceo, quando l’erosione ha demolito in gran parte le montagne, i cui detriti,
trasportati dai fiumi in mare, ne hanno innalzato il livello causando l’allagamento di enormi distese continentali, le quali
furono trasformate in mari epicontinentali di modestissima profondità che, come vedremo, hanno contribuito al riscaldamento del clima e i cui sedimenti hanno dato poi origine ai calcari compatti tipici, appunto, del Cretaceo.
65
La scarsa profondità delle acque consente all’energia solare di raggiungere il fondale, dove si trasforma in energia
termica che favorisce l’evaporazione dell’acqua molto più che nei mari profondi e negli oceani. Ed è la forte evaporazione che alimenta poi le grandi precipitazioni atmosferiche.
25
Ebbene, questi provvedimenti costituiscono per ora tutto ciò che potremmo fare per difenderci dalle conseguenze della degenerazione del clima; non è moltissimo, tuttavia potrebbe servire a ritardare l’Apocalisse
(così è stato definito da valenti studiosi il prossimo futuro del nostro pianeta a causo dell’eccessivo riscaldamento del clima), quando centinaia di milioni di persone, non più disposte a morire di fame nel deserto, si
muoveranno alla disperata ricerca di cibo e di risorse, rinnovando le devastanti migrazioni, che nei passati
millenni hanno distrutto imperi potenti e civiltà raffinate.
A queste terrificanti prospettive però, forse c’è rimedio, sempre che l’Umanità conceda a sé stessa il tempo
necessario: dato che il clima terrestre è in gran parte determinato dal gioco delle correnti, ebbene, mettiamo
mano a queste correnti!
Con calma, però!... Ché non facciamo la fine dell’apprendista stregone!... E, soprattutto, dobbiamo studiare
interventi reversibili!
Dire quali potranno essere questi interventi in teoria non è difficile, essi però dovranno essere verificati preventivamente con studi seri su modelli matematici e fisici, per la cui realizzazione bisognerà raccogliere
montagne di dati.
Comunque, la soluzione dei problemi climatici della Terra potrebbe essere questa: aprire dei vasti canali di
comunicazione fra gli oceani66 e dotarli di chiuse regolabili, in modo da consentire l’assoluto controllo del
flusso e la reversibilità della funzione.
Ad esempio, portando la larghezza del Canale di Suez ad almeno 20
km e la sua profondità ad almeno 50 m, grazie alla spinta della Corrente dei Monsoni (Oceano Indiano) nel Mediterraneo orientale si dovrebbe verificare una discreta immissione di acque calde dal Mar Rosso (come da figura a destra): se consideriamo che le acque superficiali
di questo mare hanno una temperatura minima invernale di 21 gradi
(contro i 16-17 del Mediterraneo orientale) ed una massima estiva di
33 gradi (contro i 25 – 27 del Mediterraneo orientale) l’immissione nel
Mare Nostrum di tali acque dovrebbe garantire in tutte le stagioni, ma
soprattutto in quella fredda, un innalzamento della temperatura superficiale sufficiente al rafforzamento della naturale vocazione ciclonica
del nostro mare, vocazione contrastata oggi dalle fresche risorgive fertili generate dalle vaste aree vulcaniche
sottomarine presenti nel Mediterraneo orientale e nel Tirreno.
È chiaro che l’intervento prospettato per l’Istmo di Suez non garantirebbe al cento per cento il controllo sul
clima nel Bacino Mediterraneo, tuttavia, potrebbe portare benefici effetti su un’area vastissima: nella stagione invernale, ad esempio, potrebbe produrre una consistente area depressionaria che, disaggregando la fascia
sudoccidentale dell’Anticiclone Russo, consentirebbe alle perturbazioni atlantiche di riportare con regolare
frequenza la neve sulle Alpi e la pioggia sul Meridione dell’Europa e sul Nordafrica67.
Il procedimento prospettato potrebbe produrre benefici effetti anche nella stagione calda, poiché la Depressione Mediterranea (che verrebbe così a formarsi) si frapporrebbe tra l’Anticiclone del Mar Rosso e quello
delle Azzorre interrompendone la micidiale continuità, e produrrebbe quella instabilità atta a favorire la formazione in loco, o l’arrivo dall’Atlantico, di perturbazioni che, riportando le piogge estive, potrebbe forse
consentire il ritorno della Savana nel Sahara; proprio come avveniva, secondo le pitture rupestri del Tassili,
fino a 4,500 anni fa.
«Ottimo! - si dirà – ma… il resto del mondo?»
Per il resto del mondo il discorso è simile, solo che si tratterebbe di intervenire sulla portata della Corrente
del Golfo… «Una bazzecola!» si dirà…. È vero, a prima vista la faccenda sembra complicata… ma in realtà
sarebbe fattibile, sempre che i Grandi della Terra ne comprendano l’utilità.
Come abbiamo visto in CLIMA 2, 4 e 5, la fascia centrale dell’Atlantico è percorsa da Est ad Ovest dalla possente Corrente Equatoriale Atlantica, la quale, urtando contro la piattaforma continentale del Nordest del
Brasile, si divide in due rami: di questi, uno si dirige a Sud formando la Corrente Brasiliana mentre l’altro si
infila nel Mare dei Caraibi, puntando sul Golfo del Messico dove le sue acque fanno il pieno di energia termica sotto il Sole dei Tropici, energia che poi la Corrente del Golfo porta nel Nordatlantico per alimentare la
Depressione d’Islanda, per mitigare il clima del Nordeuropa e per aggredire la Calotta artica.
Ebbene, come abbiamo detto, al momento della sua uscita dal Golfo del Messico, passando per lo stretto della Florida tale Corrente ha una portata di ben quattro kilometri cubi d’acqua al minuto ed una velocità di otto
Kilometri all’ora: da dove le giunge tutta quell’acqua e quella velocità di marcia?
La risposta è data dalla pressione prodotta dalla spinta esercitata dal ramo Nord della Corrente Equatoriale al
momento del suo ingresso nel Golfo del Messico, spinta incontenibile, che produce una pressione capace di
imprimere poi una accelerazione da zero a otto Km/ora alla immane massa d’acqua in uscita dallo Stretto
della Florida.
66
In realtà, già nel passato (si parla di parecchie migliaia di anni fa) gli oceani sono stati a lungo collegati fra di loro,
quando le sottili barriere che oggi li separano erano sommerse, sconvolgendo le rotte delle correnti oceaniche.
67
Ed è appunto questo che avveniva in passato, quando l’istmo di Suez era sommerso consentendo alle acque del Mar
Rosso di riscaldare la superfice del Mediterraneo orientale, così da richiamare le perturbazioni dal Nordatlantico, che
con le loro piogge consentivano la presenza della Savana nell’attuale Sahara e la ricca produzione agricola nei Paesi del
Meridione mediterraneo che costituivano il Granaio dell’Impero Romano.
26
Dunque, per mettere sotto controllo la portata della Corrente del Golfo, portata cresciuta negli anni tanto da
influire pesantemente sul clima del Comprensorio Nordatlantico e sullo scioglimento della Calotta Artica (si
riveda CLIMA 6) occorrerebbe allargare il Canale di Panama in modo analogo a quello previsto per il Canale
di Suez, compreso il grande ponte munito di chiuse regolabili.
In tal modo, attraverso il nuovo canale sarebbe possibile lasciar defluire verso il Pacifico la portata in eccesso della Corrente del Golfo (come da figura qui sotto) per mantenere l’influenza climatica di questa ad un
livello accettabile.
E qui sorgerebbero le complicazioni: accetterebbero, gli Stati del Nordeuropa, di rinunciare ai benefici sul
loro clima derivanti dall’aumentata portata termica in atto da parte della Corrente del Golfo?
D’altra parte però, l’acqua calda in eccesso fatta defluire verso il Pacifico potrebbe mitigare la fresca temperatura diffusa sulla superfice dell’oceano dalle risorgive fertili attive in zona, influendo così positivamente
sul clima arido che affligge le coste di quell’area (soprattutto le coste del Perù) senza tuttavia compromettere la pescosità di quelle acque, poiché anche le Correnti Atlantiche sono fertili.
Qualche Paese (soprattutto il Giappone, le Filippine e in certa misura anche l’Australia) potrebbe temere un certo rafforzamento delle
correnti calde che innescano i temibili Tifoni che affliggono il Pacifico occidentale, tuttavia, forse i vantaggi derivanti all’intero pianeta
dall’operazione potrebbero alleviare quei timori: l’alleggerimento
della pressione idrostatica all’interno del Golfo del Messico, infatti,
potrebbe favorire un rafforzamento della Corrente dei Caraibi a spese di quella Brasiliana, la quale, così dimagrita, alleggerirebbe il suo
apporto termico nella Corrente Circumantartica, a tutto vantaggio
della conservazione della Calotta glaciale del Continente Antartico e
dei ghiacciai montani dell’Emisfero Sud.
Nel frattempo, con l’alleggerimento della Corrente del Golfo, nell’Emisfero Nord si potrebbe ottenere un ritorno delle condizioni climatiche ai livelli ritenuti ottimali di inizi ‘novecento: ciò favorirebbe il ritorno dei
ghiacciai sulle montagne ed il ritorno in salute della Calotta Polare Artica, col vantaggio di aumentare le superfici riflettenti l’energia solare e di diminuire di conseguenza le superfici che trasmettono calore
all’atmosfera.
Inoltre, trattenendo sulla terraferma masse crescenti d’acqua con lo sviluppo dei ghiacciai continentali, il livello dei mari e degli oceani cesserebbe di aumentare per finire poi col diminuire, salvando così dal pericolo
della sommersione aree del globo vastissime e fittamente popolate. Ma non solo, il ritiro delle acque ridurrebbe la superfice di evaporazione di mari ed oceani, togliendo in tal modo carburante alle grandi perturbazioni che attualmente affliggono vastissime aree del pianeta…
Infine, il riequilibrio climatico potrebbe ridurre i pericoli per la Pace paventati in un mio articolo pubblicato
l’11 dicembre 1977 sul Giornale di Vicenza in seguito ai malumori emersi dallo storico Convegno Internazionale sul Clima tenutosi in quei giorni a Kioto, articolo che portava lo stesso titolo di quello che andiamo a
pubblicare in Clima 11: Effetto Serra farà rima con guerra?
27
Gianni Bassi
CLIMA 11: Effetto Serra farà rima con guerra?
Alla fine di due delle mie conferenze sulle Cause reali delle mutazioni
climatiche, ho subìto la dura contestazione di alcuni Ambientalisti “duri e puri”, i quali, dichiarando ad alta voce il loro asserito dottorato in
varie discipline68 come per dirmi «e Lei “Cosa” è?» non volevano sentire ragioni riguardo alle mie argomentazioni sul fatto che la teoria
sull’Effetto Serra, oltre ad essere inconcludente69, ha condotto la Ricerca Scientifica in un vicolo cieco, dal quale non riesce a districarsi70.
E a nulla serviva dimostrare, documenti alla mano, che già nel 1998, la
Teoria basata sullo studio delle Correnti Oceaniche aveva consentito
alla Commissione Europea per la Meteorologia a Medio Termine di
formulare “previsioni di massima soddisfacenti su tutto il globo a sei
mesi” (si riveda l’articolo su Clima 2).
Ed è un peccato, perché tanta sincera dedizione all’ideale ambientalista potrebbe essere di enorme giovamento al progresso “reale” della
Climatologia anziché rimanere impantanata in un vicolo cieco, alla fine
del quale, come vedremo nell’articolo che segue, potrebbe esserci il baratro di una guerra totale, disperata, senza vinti né vincitori.
Esplosione atomica (foto da I Propilei vol 10)
Effetto Serra fa rima con guerra? (mio articolo pubblicato sul Giornale di Vicenza l’11 dicembre 1997)
«Mentre le flotte occidentali sono impegnate a trasferire in Australia le popolazioni delle isole del Pacifico, in Bangladesh milioni di profughi incalzati dall’avanzata del mare migrano verso le alture boscose dell’Assam e
della Birmania. Situazioni analoghe si stanno verificando ovunque nel
mondo: lungo le coste dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, intere
popolazioni abbandonano città e villaggi minacciati dal mare e si dirigono
verso l’interno fra episodi di selvaggia violenza e disperazione.
A sin.: Folla di Esuli (foto da Salviamo la Terra, di J. Porritt, G. Mondadori Ed.)
Anche i Paesi Occidentali sono duramente colpiti dalla “trasgressione marina”ma riescono ancora a governare l’emergenza con una certa pacatezza.
Meno dotati di mezzi atti a fronteggiare l’immane catastrofe, i Paesi del
Terzo Mondo tempestano da tempo le Nazioni Unite affinché puniscano
l’Occidente, reo per sua stessa ammissione, di aver provocato l’Effetto Serra, il fenomeno a cui è universalmente attribuito il riscaldamento abnorme
del clima, lo scioglimento delle calotte polari e il travolgente innalzamento
del livello degli oceani… Se l’Onu non provvederà con la propria autorità
e, se necessario, con la forza a bloccare
l’apparato industriale dell’Occidente,
saranno loro, i Paesi del Terzo Mondo,
a prendere l’iniziativa per salvare il
pianeta dalla catastrofe: essi possiedono un tal numero di uomini, che l’Occidente, pur con la sua immane potenza tecnologica e nucleare, ne verrà som-merso e annientato!
A dex.:Anche a Oriente del Mondo Occidentale si inquina alla grande!
Dal canto loro, l’Europa e l’America ribattono che le loro industrie perseguono da molti anni una severa politica di riduzione delle emissioni
inquinanti e che l’aumento dell’Effetto Serra è dovuto semmai al crescente inquinamento atmosferico prodotto senza alcun freno dai Paesi
emergenti, fra i quali primeggiano la Cina e l’India, i due Stati che, con
la distruzione degli apparati produttivi occidentali, mirano a diventare
le potenze industriali egemoni del pianeta…
Tuttavia, se i Paesi del Terzo Mondo vorranno proprio la guerra, ebbene, guerra sia!... e che muoia Sansone con tutti i Filistei!»
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Discipline poi, che nulla avevano a che fare con la Climatologia, per cui quegli stessi Contestatori non erano persone
qualificate ma erano dei semplici Dilettanti o, se preferite, degli Appassionati).
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La teoria sull’Effetto Serra infatti, non ha mai consentito di elaborare previsioni meteo né a breve né a lungo termine.
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A questo punto, comincio a pensare che i Sostenitori di tale teoria si sentano come gli Adepti di una Setta tenuti solo
a “credere e obbedire”
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Questa potrebbe essere la cronaca dell’inizio della fine della nostra epoca, a cui seguirebbero l’annientamento della nostra civiltà e quel Medioevo postmoderno tanto caro alla letteratura ed al cinema di fantasia.
È forse questo che vogliono i fautori dell’Effetto Serra? Sacrificare la nostra Civiltà e la Pace sull’altare di
una teoria scientifica tutta da dimostrare?... Perché è proprio a questo che sta portando l’integralismo ambientalista: esso infatti, col suo martellante allarmismo sull’Effetto Serra, dà modo al Terzo Mondo (i cui Paesi emergenti, quanto a inquinamento, non sono certo da meno) di mettere sotto accusa i Paesi industrializzati dell’Occidente, sui quali trova comodo scaricare le proprie tensioni interne, tanto che è palpabile l’ostilità
contro di loro che aleggia nell’atmosfera del Convegno internazionale sul clima che si tiene in questi giorni a
Kyoto71.
E tutto ciò perché non si vuole riconoscere onestamente che i fenomeni climatici, balzati all’onore delle cronache negli ultimi anni, sono del tutto simili a quelli che periodicamente hanno interessato la storia della Terra fin dalle epoche più remote; fenomeni che sono la naturale conseguenza della normale fisiologia del nostro pianeta.
Come abbiamo più volte ripetuto su queste pagine72, l’atmosfera segue inesorabilmente le leggi della dinamica dei fluidi e pertanto ribolle solo se viene riscaldata dal basso, non dall’alto!
E questo è proprio quanto avviene ad opera della superfice del pianeta, la quale è a sua volta riscaldata dal
Sole in modo decrescente dall’Equatore ai Poli. La gradualità di questo riscaldamento, però, è profondamente alterata dalle Correnti oceaniche, tant’è vero che da questa estate73 le cronache ci bombardano coi disastri
climatici e ambientali causati dal Niño, il fenomeno termico74 che sta interessando una vastissima superfice
del Pacifico equatoriale.
Ebbene, poiché pure l’acqua è un fluido, anche le Correnti oceaniche sono prodotte da sorgenti termiche situate alla base delle masse d’acqua: si tratta di sorgenti termiche abissali di potenza spaventosa, costituite
dalle spaccature colme di magma delle Dorsali oceaniche e dall’attività vulcanica dei cosidetti Punti Caldi.
Tanto per fare un esempio, la Corrente Equatoriale Atlantica, che dividendosi forma la Corrente del Golfo e
la Corrente Brasiliana, è generata dalla concentrazione di ben tre punti caldi situati sul fondo del Golfo di
Guinea ed è alimentata poi dalle emissioni termiche del settore equatoriale della Dorsale Atlantica.
Ebbene, oltre che dalla preoccupante rapidità con cui le sue diramazioni stanno sciogliendo le calotte polari,
la sua attuale fase di virulenza è provata dalla vistosa accentuazione dell’anomalia termica che caratterizza il
suo corso attraverso l’Atlantico.
Analoga origine hanno anche tutte le atre correnti oceaniche, le quali, con la loro carica termica, condizionano in modo determinante i fenomeni atmosferici nelle rispettive aree di pertinenza. Dunque, anche se il clima
della Terra continuerà a riscaldarsi producendo i tremendi guasti prospettati dagli Esperti, tali guasti non saranno da addebitare solo all’Uomo, ma in massima parte saranno dovuti alla Natura.
Tuttavia, dopo la martellante campagna che da molti anni l’integralismo ecologista conduce all’insegna
dell’Effetto Serra, Chi potrà convincere le Popolazioni sinistrate che l’Occidente industrializzato non ha colpa delle loro disgrazie in quanto l’Effetto Serra è una teoria avulsa dalla realtà?...
E Chi potrà distogliere tali Popolazioni dalla crescente ostilità verso di noi, quando tale ostilità già ora aleggia palpabile nell’atmosfera del Convegno di Kyoto?
Prima però che la situazione climatica ci porti alla catastrofe, e sempre che ce ne conceda il tempo, il mezzo
per fare chiarezza e calmare gli animi forse esiste: fare informazione corretta sulla storia climatica del nostro
pianeta, per far comprendere che l’attuale andamento del clima rientra nella consuetudine fisiologica del nostro pianeta, per cui l’Uomo non ne è responsabile che in minima parte.
E questo è esattamente ciò che noi faremo riprendendo un mio articolo del 1990 dal titolo: Il clima e l’uomo.
71
Ricordo che l’articolo è stato scritto proprio nel dicembre 1997, in concomitanza col Convegno di Kyoto e pochi mesi
prima che il Centro Europeo per la Meteorologia a Medio Termine annunciasse il suo successo nelle previsioni meteo
basate sullo studio delle Correnti Oceaniche, alle quali attribuisce la capacità di influire sul clima.
72
Ricordo che l’articolo si riferisce alle pagine del Giornale di Vicenza.
73
Ricordo ancora che l’articolo è stato pubblicato nel dicembre 1997.
74
Faccio notare che già allora io non parlavo di Corrente calda del Niño, e questo perché, contrariamente a quello che
si va dicendo da decenni, el Niño non è una Corrente calda ma è il ristabilimento, sulla superfice dell’oceano, della temperatura calda propria di quella latitudine a causa della cessazione della Niña, la corrente fresca generata dalle risorgive
fertili attive al largo della costa peruviana (si riveda, a questo proposito, quanto detto in CLIMA 4).
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Gianni Bassi
CLIMA 12: IL CLIMA E L’UOMO: ciò che i libri di Storia non dicono
(da un mio articolo pubblicato su Il Giornale di Vicenza del 31 agosto 1990 col titolo Effetto Serra? Ma in passato è
andata peggio!)
“Piuttosto che niente è meglio piuttosto” dice un proverbio traboccante buonsenso.
È questa, forse, la ragione dell’insistenza con cui i grandi mezzi di comunicazione (sia pubblici che privati)
parlano ancora del cosidetto “Effetto Serra”.
Hanno un bel dire gli scienziati più avveduti, che le anomalie climatiche di questi tempi non sono da attribuire a tale “effetto”: la Gente non si accontenta di sapere come “non”stanno le cose ma vuole spiegazioni, qualunque esse siano e, possibilmente, che scarichino la responsabilità della situazione su qualcuno!
Stando così le cose, la teoria sull’Effetto Serra risponde egregiamente alle aspettative della Gente, in quanto
fornisce una spiegazione ingegnosa e a prima vista credibile e, sopratutto, fornisce un “colpevole” il quale,
per di più, è molto di moda: l’inquinamento atmosferico!
Io sono con tutto il cuore dalla parte di coloro che denunciano l’inquinamento, di qualsiasi natura esso sia, e
sopratutto sono vicino a coloro che cercano onestamente di prevenire l’inquinamento senza limitarsi furbescamente a trasferirne le fonti in casa d’altri; tuttavia, devo dichiarare il mio perfetto accordo con i Meteorologi più avveduti: pur essendo un fenomeno da tenere costantemente sotto controllo, l’Effetto Serra ha un
ruolo solo marginale nell’attuale situazione climatica.75
Se osserviamo, infatti, i diagrammi delle temperature della Terra o, meglio, di alcune aree del pianeta (ché le
medie globali sono assai poco significative) vediamo che nei dodici millenni dell’Olocene (il periodo geologico in cui viviamo) il termometro avrebbe registrato degli sbalzi, di fronte ai quali le lievi modifiche attuali
sono cose trascurabili.
Se, ad esempio, osserviamo il grafico delle temperature della Val Camonica, vediamo che la linea A-B indica
la temperatura media esistente agli inizi del ventesimo secolo (temperatura che prendiamo come fase di riferimento per il suo clima equilibrato) la quale ci dà la chiara idea dell’estremo rigore delle temperature ambientali di 12 mila anni fa, quando per convenzione si conclude l’ultima Grande Glaciazione e con essa il periodo storico detto Paleolitico.
A
B
Fg. 1: Sopra: grafico dell’andamento termico verificatosi in Europa centro-meridionale negli ultimi
12.000 anni (da un’opera di E. Anati) e, sotto, grafico della piovosità negli ultimi 10.000 anni evidenziato
dalle variazioni di livello del lago di Ginevra (da Leone Fasani in Il Veneto nell’antichità).
Mille anni più tardi, dopo alcuni secoli di clima via via meno rigido, la temperatura ritornò a scendere vertiginosamente fino a riportarsi ai livelli iniziali intorno al 9mila a.C... E fu solo dopo altri duemila anni
(intorno al 7mila a.C.) che la temperatura raggiunse i valori di inizi ‘novecento.
Nel millennio seguente, ci fu un clima notevolmente più caldo dell’attuale subito seguito da 500 anni di
freddo intenso; poi, il termometro tornò a salire di prepotenza e fu proprio in questo periodo che nella nostra
Penisola fiorì l’agricoltura dando inizio alla fase storica fondamentale detta “Periodo Neolitico”.
75
N.d.r: Quest’ultima affermazione ha suscitato le ire di alcuni fra i più accesi Ambientalisti o, meglio, di alcuni cosidetti “Ambientalisti” (diciamo “cosidetti” perché ai “veri” Ambientalisti interessa la ricerca della Verità, non il sostegno
per partito preso ad una “teoria-ideologia”, e questo è quanto interessa anche al nostro Autore).
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In breve, però, il caldo si fece torrido, le piogge diminuirono fortemente come mostra il grafico della piovosità (fg. 1 in basso), che scorre ad un livello notevolmente al disotto dell’attuale, e le terre si inaridirono danneggiando enormemente le colture agricole76.
Fg 2: Nella foto: due grandi giraffe
(in azzurro) ed un elefante (in rosso) incisi sulle rocce della regione
sahariana del Fezzan (da Fiumi di
pietra, di Angelo e Alfredo Castiglioni e Giancarlo Negro). A lato:
riproduzione grafica della stessa incisione (da Antiche Civiltà del Sahara, di Massimo Baistrocchi).
Non ostante ciò, tuttavia, le spece
animali tipiche degli ambienti circumpolari, come gli orsi bianchi ed i
pinguini dei quali si paventa la prossima estinzione a causa del riscaldamento globale, non scomparvero, e questo ci rassicura sul loro
avvenire.
Il culmine del caldo fu raggiunto intorno al 4mila a.C. 77, quindi la
temperatura cominciò a diminuire con esasperante lentezza fino a
tornare sui nostri valori intorno al 2mila a.C.
Questa “normalizzazione” del clima, pur se provvidenziale per il
Sudeuropa, dovette costituire una catastrofe per le attività agricole della parte centrale e nord-orientale del
continente dove, grazie al precedente lunghissimo periodo caldo (ma temperato dalla latitudine elevata) la
popolazione umana era cresciuta in modo non ancora ben precisabile ma certo assai notevole, cosicché, continuando il raffreddamento del clima che portava le temperature al di sotto dei livelli attuali, di fronte alla
drammatica diminuzione delle risorse agricole, si mise in moto una impressionante sequenza di migrazioni,
le quali portarono i Nordeuropei ad invadere con successive ondate migratorie le immense pianure sudorientali del Vecchio Continente, l’Altopiano Iranico, l’Afghanistan, il Pakistan e l’India nord-occidentale,
travolgendo popoli e culture che costituivano la punta di diamante della civiltà78.
Poi, mentre altre ondate migratorie invadevano la Siberia meridionale e, attraversando l’attuale Mongolia,
raggiungevano addirittura le isole più settentrionali dell’Arcipelago Giapponese, ulteriori andate volgevano a
Sud e poi ad Ovest, ponendo le basi alle cosidette Civiltà Ittita in Anatolia e Micenea nel meridione della Penisola Balcanica, e portando definitivamente il resto dell’Europa dalla tarda Età della Pietra a quella del
Bronzo.
Poi, verso la metà del secondo millennio a.C., la temperatura tornò a crescere sopra i livelli attuali per un paio di secoli, tornando poi a precipitare per mettere nuovamente in crisi l’agricoltura dei paesi a clima continentale e causando le tremende carestie ricordate negli annali egizi ed anatolici, e ciò diede il via a nuove
devastanti migrazioni, che produssero la dissoluzione dell’Impero Ittita in Anatolia e della Civiltà Micenea in
Grecia, mentre nell’Europa centro-meridionale si stanziavano popolazioni portatrici della Cultura dei Campi
di Urne e di una civiltà proto urbana, che qualche secolo più tardi entrò in crisi per un ulteriore incrudimento
del clima fattosi gelido e arido, incrudimento che, mettendo ancor più in difficoltà l’agricoltura, costrinse
gran parte della gente ad abbandonare i centri abitati per tornare alla pratica della pastorizia seminomade.
Anche in Siberia gli sconvolgimenti climatici di fine secondo millennio provocarono disastrose migrazioni:
cresciute di numero durante i circa due precedenti secoli a temperatura mite e messe in crisi dal rapido ritorno del freddo, le popolazioni mongolidi del Settentrione calarono a Sud ricacciando progressivamente verso
Ovest le popolazioni europidi che vi si erano stanziate mille anni prima.
Queste ultime, note ai Greci col nome collettivo di Sciti e amalgamate in un groviglio etnico che presto assunse le caratteristiche di una travolgente ondata migratoria, nei primi secoli del primo millennio a.C. dilagarono ad Occidente degli Urali, invadendo gli immensi territori ad Est e a Nord del Mar Nero dai quali scacciarono le progredite popolazioni ivi stanziate, popolazioni che i Greci chiamavano Cimmeri.
76
Di questo terribile periodo, durato ben 2mila anni, abbiamo le testimonianze archeologiche nella Puglia settentrionale, dove i villaggi neolitici sorti numerosi nella fase umida iniziale furono abbandonati a favore di insediamenti sparsi di
breve durata dovuta all’impoverimento dei suoli. Anche nel Veneto la siccità si fece sentire fortemente, tanto che nel
Lago di Fimon (piccolo bacino di sbarramento situato presso il margine orientale dei Colli Berici, in provincia di Vicenza) il livello delle acque scese ad altre due metri sotto quello attuale, consentendo lo stanziamento di alcune capanne
sorte direttamente sulle melme bianche del fondo essiccate dal Sole.
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Quel periodo climaticamente felice è testimoniato dalle meravigliose raffigurazioni di animali della Savana incise
sulle rocce del Sahara, le quali mostrano come in quella lontana epoca il Nord-Africa fosse “verde”.
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Ed è a questo periodo, caratterizzato dal deciso ritorno delle perturbazioni atlantiche, che risale la forte sequenza nevosa che coprì il corpo del cosidetto Uomo del Similaun preservandolo dalla corruzione fino ai nostri giorni.
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Divisi in due tronconi dall’invasione giunta da Oriente, per sottrarsi all’incontenibile avanzata delle orde scitiche i Cimmeri fuggirono in parte verso Sud, riparando nell’Anatolia centrale, e in parte, la più numerosa,
migrando a loro volta verso Occidente sino alle foci del Danubio.
Da qui, sempre perseguitati dal maltempo che da freddo arido stava volgendo al fresco umido, mentre una
parte dei fuggitivi puntava sulla Grecia dando vita a quella che gli Storici chiamano Invasione Dorica, il
grosso dell’orda fuggiasca, definita dagli Studiosi d’oltralpe Orda Cimmera o dei Cavalieri Nomadi, risaliva
con foga disperata il corso balcanico del Danubio travolgendo ogni ostacolo che si opponeva alla sua avanzata.
Giunte infine sulla Pianura Pannonica, le diverse componenti dell’Orda Cimmera si smembrarono marciando
in tutte le direzioni e, grazie alle rivoluzionarie tecniche di combattimento basate sull’uso sapiente della cavalleria e sulla superiorità delle armi, si imposero su gran parte dell’Europa, dove diffusero la pratica della
Siderurgia dando così inizio all’Età del Ferro.
Frattanto, dopo un profondo picco di freddo intenso e asciutto che aveva interessato i primi secoli del primo
millennio a.C., pur mantenendosi piuttosto umido il clima tornò lentamente ad addolcirsi, fino a raggiungere
il livello attuale agli inizi dell’era cristiana, per poi superarlo nei secoli successivi favorendo in tal modo
l’espansione dell’Impero Romano; quindi, già a partire dal terzo secolo, prese l’avvio una nuova piccola glaciazione, non freddissima ma molto umida, la quale rimise in moto i popoli del Nord e dell’Oriente, innescando così la terribile sequenza delle cosidette “invasioni barbariche” che portarono alla dissoluzione
dell’Impero Romano....
Poi, a partire dal nono secolo, la temperatura tornò a salire portandosi ai livelli attuali intorno all’anno mille
e superandoli nell’Età Comunale e del primo Rinascimento, periodi il cui sviluppo fu indubbiamente favorito
dalla dolcezza del clima.
È interessante notare le forti variazioni del livello dei mari
determinato dai cambiamenti climatici: quando i ghiacciai
continentali si sciolgono, il livello delle acque aumenta invadendo le terre basse lungo le coste (figura a sinistra); al contrario, quando i ghiacciai continentali aumentano, i mari si
ritirano lasciando scoperti vasti territori (fg. a destra).
A questa fase temperata seguì un altro raffreddamento,
una breve ma intensa glaciazione certo non estranea alle
guerre che per lunghi decenni travagliarono il panorama
europeo, come le sanguinose campagne di conquista
condotte dalla Svezia sul continente.
In questo breve periodo glaciale magistralmente illustrato dai pittori fiamminghi, l’avanzata dei ghiacciai alpini
fu così pronunciata da raggiungere numerose borgate
montane vecchie di secoli e provocarne la distruzione.
Infine, dai primi decenni dell’ottocento il clima cominciò ad addolcirsi (qualcuno direbbe “riscaldarsi”) con
progressione decisa fino all’optimum climatico di inizi novecento, e ancora oggi la temperatura continua a
salire seguendo la netta tendenza del diagramma termico della figura 1.
Durerà così ancora a lungo?
Oggi è impossibile dirlo, quindi, se non saremo capaci di mettere mano ad un sistema che ci consenta di influire sui fattori del clima, dovremo armarci di pazienza e prepararci ad affrontare l’incertezza di un clima
forse non peggiore di tanti altri che lo hanno preceduto, incertezza, tuttavia, che certo non sarà superata aderendo ideologicamente ad una teoria che non porta da nessuna parte.
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