N°3, 18-31 GENNAIO 2015 ISSN: 2284-1024 I www.bloglobal.net BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo Milano, 1° febbraio 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra Alessandro Tinti Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma: Weekly Report N°3/2015 (18-31 gennaio 2015), Osservatorio di Politica Internazionale (BloGlobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2015, www.bloglobal.net Photo credits: Getty Images; Bülent Kılıç/Getty Images; AFP; Reuters/al-Youm al-Saabi Newspaper; Reuters; Presidency of the Republic of Turkey; FOCUS IRAQ/SIRIA ↴ È la battaglia su Mosul, caduta in mano jihadista nel giugno 2014, a fornire una chiave di lettura del conflitto scatenato dall’insorgenza dello Stato Islamico (IS) nello scenario siro-iracheno. Nonostante l’arretramento sul Sinjar determinato dall’avanzata curda dello scorso dicembre, nelle prime settimane del 2015 i militanti islamisti hanno lanciato ripetute e cruente scorrerie nel governatorato nord-occidentale di Ninive. Il 21 gennaio i Peshmerga hanno contraccambiato con una duplice operazione: la prima nei pressi della diga di Mosul, la seconda nell’area di Kisak allo scopo di interdire le linee di comunicazione che attraverso Tal Afar congiungono Mosul alle roccaforti jihadiste in Siria. Tuttavia, la rinnovata pressione curda ha sollecitato l’inaspettata escalation della reazione militare del Califfato. Mentre i Peshmerga prendevano il villaggio di Iski Mosul, a nordest di Tal Afar, il 26 gennaio le forze jihadiste scagliavano un primo assalto nelle aree di Tal al-Rim e Sultan Ali, considerate la prima linea difensiva del Kurdistan iracheno – infliggendo pesanti danni al ponte di Sabuniya, situato sulla strada che immette verso l’ingresso occidentale nel capoluogo di Ninive. È però nella notte del 30 gennaio che i guerriglieri dell’IS hanno concretizzato quello che fonti locali descrivono come il più violento attacco dalla caduta di Mosul. L’esplosione di tre autobombe contro le postazioni curde nella periferia di Kirkuk è stata seguita da intensi e prolungati scontri a fuoco, in cui hanno perso la vita almeno ventotto Peshmerga (tra cui il Generale di Brigata Shirko Fatih, uno dei maggiori ufficiali dell’esercito curdo) e ne sono rimasti feriti oltre centosettanta. Una quarta autobomba è esplosa nel centro di Kirkuk, in prossimità di una centrale di polizia. 1 Nella mattina della stessa giornata, attentati dinamitardi avevano già colpito un mercato a Baghdad, i cui sobborghi sono stati raggiunti anche da colpi di mortaio, e alcuni posti di blocco a Samarra e Jalawla. Pur presi alla sprovvista dalla fulminea offensiva su Kirkuk, i Peshmerga sono infine riusciti a contrastarne l’urto, ma i jihadisti hanno ripiegato nel vicino giacimento petrolifero di Mula-Abdullah, a trenta chilometri dalla città curda che rappresenta un polo energetico di primo piano. Malgrado le forti perdite, l’attacco del Califfato ha avuto successo nel costringere le forze curde ad un riposizionamento difensivo a protezione delle infrastrutture petrolifere di Kirkuk e della vicina Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno dove già il 14 gennaio il Presidente Masoud Barzani aveva disposto lo schieramento di nuove unità. Il risultato strategico cui guarda la leadership islamista è infatti l’indebolimento della presenza curda nell’area di Mosul, dove le recenti manovre dei Peshmerga e i bombardamenti della coalizione internazionale sono funzionali a degradare le capacità operative dei miliziani che controllano la città in vista dell’annunciata risalita dell’esercito iracheno. Se l’aumento delle esecuzioni di massa nella provincia di Ninive è un indicatore implicito della crescente avversione della popolazione locale al giogo califfale, è tuttavia improbabile che nel breve periodo le forze di sicurezza siano in grado di pianificare un’operazione su vasta scala per la riconquista di Mosul – che la dirigenza curda e il Pentagono prevedono possa scattare soltanto nell’autunno 2015. Del resto, benché le autorità irachene abbiano paventato un attacco imminente, le truppe regolari sono prioritariamente schierate lungo le c.d. “Baghdad Belts” che circondano la capitale, oltre che a Ramadi e Diyala – tutte aree ancora sotto scacco dei terroristi di matrice islamica. È proprio nel governatorato di Diyala che l’esercito iracheno, di concerto con le forze di polizia e le milizie sciite, ha concentrato le proprie attenzioni per piegare i fortilizi dell’IS a nord di Muqdadiyah, mentre operazioni separate sono state condotte nella periferia meridionale di Falluja e lungo la strada Baghdad-Haditha. Da questo punto di vista è significativo annotare che per la prima volta dall’inizio del conflitto gruppi paramilitari sciiti sono entrati nell’Anbar sunnita su sollecitazione delle autorità locali. La milizia Katai’b Hezbollah di Abu Mahdi al-Muhandis (uno dei punti di riferimento di Teheran nel conflitto iracheno) ha accolto la richiesta di proteggere l’area di Sjariya, a est di Ramadi. Il coinvolgimento sciita nel cuore sunnita dell’Iraq è tuttavia controverso e rischia di acuire le tensioni settarie, laddove nell’ultima settimana gli esponenti di alcune tribù nella provincia di Diyala hanno accusato le milizie sciite di aver massacrato settantadue cittadini sunniti. L’episodio, sui cui le autorità governative stanno ancora indagando, testimonia gli enormi ostacoli di un processo politico di riconciliazione nazionale che il vice Presidente iracheno Iyad Allawi vede già votato al fallimento, giacché la violenza indiscriminatamente esercitata dai gruppi armati di estrazione sciita aggrava la distanza della popolazione civile dalle istituzioni centrali. Recatosi a Londra il 22 gennaio per presiedere alla conferenza internazionale che ha dato seguito all’incontro preliminare di Bruxelles in dicembre, il Primo Ministro Haider 2 al-Abadi ha nuovamente biasimato l’esiguità e la lentezza del sostegno offerto dall’alleanza multilaterale patrocinata dagli Stati Uniti, sottolineando le conseguenze disastrose del crollo nel prezzo del petrolio su un sistema produttivo totalmente dipendente dalle esportazioni energetiche. Alle parole di al-Abadi hanno fatto eco le dichiarazioni di Philip Hammond, Segretario di Stato per gli Affari Esteri britannico, il quale ha affermato senza mezzi termini che l’esercito iracheno non dispone delle risorse necessarie a rovesciare il Califfato. Sia Regno Unito che Stati Uniti hanno puntualizzato come i raid aerei abbiano decisivamente arrestato e degradato l’avanzata jihadista; tuttavia, l’imperativo di annullare la minaccia dello Stato Islamico è tuttora affidata unicamente alle fragili e impreparate forze irachene. Intanto, il Parlamento iracheno ha approvato il bilancio per l’anno 2015. A fronte dei minori proventi della vendita di greggio, il documento prevede un passivo di venti miliardi di dollari. Quantunque il passaggio del testo legislativo sia stato accolto come uno spartiacque verso il ripristino della legalità costituzionale, la bozza è stata in prima battuta aspramente criticata per la sanzione dei benefit commerciali accordati alla regione autonoma del Kurdistan nello scorso dicembre, mentre i parlamentari sunniti hanno minacciato di boicottarne la votazione in virtù del mancato finanziamento della guardia nazionale programmaticamente annunciata dal nuovo governo quale strumento principale dell’integrazione delle tribù sunnite nelle Forze Armate del Paese. Contrariamente a quanto raffigurato in Iraq dalla recente ondata di attacchi, il Califfato sembra invece denunciare delle crepe in Siria, dove i combattenti curdi hanno liberato la città di Kobane e la leadership jihadista ha stretto le misure di controllo su Raqqa. Fonti locali hanno raccontato che diversi membri dell’IS siano stati giustiziati dietro l’accusa di diserzione; nella città siriana adibita a quartier generale dell’organizzazione terroristica sono stati inoltre allestiti posti di blocco ed applicato il coprifuoco. Per quanto invece concerne la guerra civile siriana, Jahbat al-Nusra (JN) è impegnata a consolidare la supremazia nel fronte ribelle. L’arresto di diversi miliziani del Fronte Sham ha dato luogo tra il 24 e il 25 gennaio a una serie di scontri a fuoco nel centro di Aleppo. Intanto, sempre nella giornata del 24, le forze congiunte di JN, della milizia Ahrar al-Sham e di altri gruppi ricondotti all’Esercito Siriano di Liberazione hanno conquistato la base della 82° Brigata dell’esercito di Damasco nei pressi di Sheik Miskin. 3 UCRAINA ↴ L'escalation delle tensioni innescata dopo la ripresa dei combattimenti intorno all'aeroporto di Donetsk – ufficialmente sotto il controllo dei separatisti filo-russi – e l'offensiva lanciata da questi ultimi nelle zone meridionali dell'Ucraina e in particolare sulla città di Mariupol, hanno definitivamente segnato la rottura dei protocolli di tregua firmati a Minsk a settembre e timidamente riproposti alla fine del 2014. Il lancio di missili Grad e Uragan (24 gennaio) – scagliati, secondo le operazioni di monitoraggio dell'OCSE, dalle aree orientali di Oktiabr e Zaicenko, entrambe controllate dai separatisti – su un mercato della città portuale sul Mar d'Azov, provocando la morte di almeno 30 persone e il ferimento di oltre 70, ha reso vano anche l'accordo del 22 gennaio tra Kiev e filo-russi (con la mediazione di Germania e Francia) sul ritiro degli armamenti pesanti dalla linea di controllo nell'est del Paese. Il ritiro dell'artiglieria e la cessazione dei bombardamenti sono stati oggetto anche dei negoziati di Minsk del 31 gennaio, anch'essi conclusi con un nulla di fatto, mentre i combattimenti più aspri sembrano ora verificarsi intorno alle cittadine di Svitlodarsk (dove l'ospedale è stato distrutto) e di Debaltseve, nodo stradale e ferroviario strategico che mette in collegamento Donetsk e Lugansk e che compatterebbe, dunque, i due fronti di conflitto. Il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite in Ucraina, Neal Walker, ha espresso preoccupazione per il deterioramento della situazione umanitaria nell'est, richiamando le parti ad un'immediata cessazione delle ostilità per consentire i soccorsi e l'evacuazione dei civili. In linea con i timori espressi dall'Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza comune, Federica Mogherini, circa un ulteriore irrigidimento dei rapporti tra Bruxelles e Mosca, e non senza profonde diversità di vedute interne tra i Paesi membri 4 (spicca in particolare lo scetticismo del nuovo governo greco), il Consiglio Affari Esteri straordinario del 29 gennaio ha approvato l'estensione delle sanzioni economiche nei confronti della Russia fino al prossimo settembre (la scadenza era infatti prevista per marzo). I ventotto si sono inoltre accordati sul discutere nuovamente dell'argomento – nonché della nuova possibile lista di persone o enti da sanzionare – nel corso della prossima riunione dei Ministri degli Esteri fissata per il 9 febbraio (a questa seguirà il 12 febbraio l'incontro tra Capi di Stato e di governo sugli stessi temi). Oltretutto, come dichiarato dal portavoce del Dipartimento di Stato americano, Jen Psaki, gli USA avrebbero allo studio l'imposizione di nuove restrizioni nei confronti del Cremlino che riguarderebbero in particolare il trasferimento di apparecchiature idonee per l'estrazione del gas, oltre a nuove limitazioni per persone e società e all'esclusione di Mosca – il cui debito è stato fissato al livello "spazzatura" da parte dell'agenzia di rating Standard & Poor's – dal circuito internazionale di pagamenti interbancari Swift (quest'ultimo aspetto è tuttavia oggetto di discussione fin dall'approvazione del pacchetto di misure dello scorso mese di settembre). SITUAZIONE DEL CONFLITTO IN UCRAINA AL 31 GENNAIO 2015 FONTE: NATIONAL SECURITY AND DEFENSE COUNCIL OF UKRAINE 5 Il Commissario europeo per gli aiuti umanitari e la gestione delle crisi, il cipriota Christos Stylianides, ha inoltre annunciato un supplemento di 15 milioni di euro in aiuti (il sostegno umanitario complessivo ammonta a 95 milioni). Dal canto suo, il Presidente Petro Poroshenko, in un incontro con lo stesso emissario europeo, ha dichiarato che è sua intenzione fornire a Bruxelles tutte le informazioni circa lo sviluppo delle operazioni anti-terrorismo condotte dalle forze ucraine e di fare ricorso alla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra (pur essendo firmataria, Kiev non ha tuttavia ancora ratificato lo Statuto di Roma che istituisce la CPI). 6 YEMEN ↴ Il Presidente yemenita Abd Rabbu Mansour Hadi e il Primo Ministro Khaled Bahah hanno presentato le proprie dimissioni dalle rispettive cariche il 21 gennaio in seguito ad un assedio condotto per mano dei ribelli sciiti del movimento Houthi al palazzo presidenziale nella capitale Sana’a. Nella lettera di dimissioni, il Presidente Hadi ha dichiarato che non sarebbe più potuto restare in carica a causa della sfida condotta contro la sua autorità dagli Houthi. La presidenza di Hadi è stata di fatti messa in crisi allorché i militanti sciiti hanno preso sostanzialmente il controllo, il 21 settembre scorso, della capitale, arrivando a controllare in tal modo una fetta di territorio che va dalla roccaforte sciita di Sa’ada nel nord, al confine con l’Arabia Saudita, alla provincia di Thamar a sud della capitale. L’azione degli Houthi contro il governo è stata definita dal Ministro dell’Informazione, Nadia Sakkaf, un vero e proprio colpo di Stato. Il gruppo di militanza sciita-zaydita, protagonista della rivoluzione in corso, prende il nome dalla famiglia dei membri fondatori, gli Houthi, a cui appartiene l’attuale leader Abdel-Malik al-Houthi. Malik, dopo aver succeduto alla guida del movimento il fratello Hussein, ucciso nel 2004, ha aumentato le potenzialità del movimento sia dal lato politico sia da quello militare, al punto da rappresentare la migliore organizzazione attualmente esistente nello Yemen. Molti analisti ritengono tuttavia che l’ascesa degli Houthi al potere non sarebbe potuta avvenire senza un consistente supporto militare e finanziario proveniente da una potenza straniera. In questo caso potrebbe essere il potente attore sciita della regione, l’Iran, a supportare il movimento. Il governo di Teheran approfitterebbe, infatti, della situazione incerta in Yemen quale ulteriore suolo di scontro con l’Arabia Saudita, Stato con il quale l’Iran si trova in competizione per il controllo della regione. A supportare gli Houthi sarebbe inoltre l’ex Presidente yemenita, Ali Abdullah Saleh. Quest’ultimo ha governato il 7 Paese per 33 anni e gode della fedeltà di importanti capi-tribù, comandanti militari e rappresentanti del business yemenita. Saleh starebbe apertamente sostenendo l’azione degli sciiti in modo da poter beneficiare dell’uscita di scena di Hadi e tornare egli stesso al vertice dello Stato o di porvi personalità ad egli più gradite rispetto ad Hadi, dopo che quest’ultimo lo ha accusato più volte di essere la longa manus destabilizzatrice dello scenario nazionale. A complicare la questione si aggiunge la presenza nello Yemen di uno dei più potenti bracci della rete qaedista, al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP). Si tratta del gruppo terrorista che ha di recente reclamato, tramite un video, la responsabilità per gli attacchi al giornale satirico parigino Charlie Hebdo. AQAP è prevalentemente stanziato nelle province di Abyan e Shabwa dove ha creato forti alleanze con i capi-tribù locali e nonostante i numerosi attacchi condotti da droni americani, rimane una minaccia nel Paese, in competizione a sua volta con gli Houthi. PIANI DI INSTABILITÀ YEMENITA - FONTE: THE NEW YORK TIMES L’instabilità in cui versa il Paese trova le proprie origini nelle proteste di massa del 2012 che hanno portato alla destituzione del precedente Presidente Saleh e all’elezione di Hadi, con il consenso delle varie fazioni in campo, il partito d maggioranza al governo, il Congresso Generale Popolare e la coalizione di opposizione formata da Islamici, Socialisti e Nazionalisti arabi yemeniti. Insita nell’elezione di Hadi era la volontà di non sconfinare in una guerra civile tra i gruppi yemeniti. Nonostante le speranze iniziali riposte in Hadi, tuttavia, ben presto il processo di transizione politica si è dovuto scontrare con l’incapacità della nuova classe dirigente di affrontare le sfide in atto. Ciò che si sarebbe dovuto realizzare nel corso della presidenza di Hadi sarebbero dovuti essere una nuova Costituzione e un nuovo sistema politico. Il 8 motivo dello scontro in corso tra gli Houthi e il governo yemenita riguarda infatti il progetto di Costituzione presentato dal gabinetto di Hadi che prevede la creazione di sei nuove regioni federali, mentre le richieste degli sciiti vertevano sulla formazione nel Paese di soli due distretti, uno nord e uno sud. Alcune mancanze imputabili al Presidente Hadi sono state in primis l’espulsione dall’esercito di personalità chiave legate a Saleh. Una mossa questa che si è rivelata controproducente in quanto ha causato la ribellione in più occasioni da parte dell’esercito che ancora oggi in alcune unità esegue ordini del solo Saleh. La conseguenza di ciò è stata la perdita di controllo di varie parti del Paese a vantaggio degli Houthi a causa della fragilità dell’apparato militare, ivi compresa la capitale. Un’ulteriore mossa falsa si è rivelata l’ostilità nel cercare un compromesso politico tra i vari attori presenti, con la conseguente creazione di un malcontento diffuso tra i gruppi sciiti. Infine le strategie adottate da Hadi sono andate a detrimento dei rapporti esistenti con gli attori che ne hanno permesso l’elezione a Capo dello Stato. In conclusione, nella situazione che si va delineando di controllo dello Yemen da parte degli Houthi, la questione da tenere sotto monitoraggio è la resistenza dell’improbabile alleanza che si è creata tra i militanti e Saleh. Va osservato dunque se riusciranno a continuare la loro collaborazione riportando la stabilità nel Paese senza sfociare in ulteriori conflitti interni. Un elemento di ostacolo alla loro guida del Paese sarà inoltre la difficoltà nel trovare il consenso popolare necessario a tale scopo. A riprova di ciò nel fine settimana si sono susseguite diverse manifestazioni contro la presa del potere degli Houthi, con la denuncia da parte della popolazione civile delle violente misure attuate dai militanti. Un importante ruolo nella fase attuale sarà quello svolto dall’esercito stesso che dovrà scegliere a chi garantire il proprio sostegno e dunque far volgere l’ago della bilancia da una parte o all’altra. Infine appare evidente come si renderà necessario l’intervento di attori internazionali nella soluzione della crisi, allo scopo di evitare la trasformazione dello Yemen in un failed-state. 9 BREVI ARABIA SAUDITA, 23 GENNAIO ↴ Dopo settimane di voci contrastanti sulle reali condizioni di salute del sovrano saudita, il 23 gennaio 2015 la televisione di Stato ha annunciato la morte del 91enne Re Abdullah. Salito al trono nel 2005 alla morte di Fahd, Abdullah è stato per almeno tre decenni una figura centrale dell’organizzazione saudita avendo rivestito tutti i principali incarichi di riferimento della struttura di potere saudita. Abdullah è stato considerato da molti un riformatore, soprattutto per il suo coraggio nell’aver provato a modificare la chiusa società saudita con alcune riforme in senso meno illiberale e favorendo qualche opportunità anche per le donne, aprendo loro il Majlis al-Shura e concedendo il diritto di voto nelle elezioni municipali. Da tempo malato, le condizioni di salute del monarca saudita si erano aggravate in maniera irreversibile il 31 dicembre 2014 quando con un comunicato ufficiale della casa regnante si definiva Abdullah ospedalizzato ma in buone condizioni. A succedergli il chiacchierato e anch’egli malato, l’80enne fratellastro Salman, ex Ministro della Difesa. Proprio le cagionevoli condizioni di salute dell’attuale sovrano avevano spinto già nel marzo scorso Abdullah a indicare un secondo successore, il fratello più giovane Muqrin (69 anni), ex capo dell’intelligence saudita. Le origini umili di Muqrin – sua madre era una cameriera di origini yemenite – lo avevano tuttavia inviso ad una parte della famiglia aprendo di fatto una lotta intestina per il trono. Già nei mesi precedenti si era aperta appunto una faida all’interno dell’”affollata” famiglia al-Saud (sono almeno 10.000 i principi direttamente legati da un legame di parentela). Da un lato il ramo familiare legato ai cosiddette “sette Sudairi”, ossia i figli del fondatore dello Stato saudita (1932) Abdul Aziz al-Saud, sostenitori di un sostanziale status quo al fine di evitare pericolose derive moderniste che possano mettere a rischio il delicato equilibrio interno esistente tra il clero wahhabita e la famiglia reale, che si innesta con la stessa struttura intrinseca di potere e che ha garantito per decenni la sostanziale pax saudita. Dall’altro lato, le cosiddette nuove generazioni (della quale ne fanno parte paradossalmente sia l’erede al trono, il quasi 70enne Muqrin, e i cinquatenni principi Turki al-Faysal e Talal Bin Abdul Aziz) convinti sostenitrici di un maggiore riformismo, di maggiore modernità, dinamicità e democrazia intuendo il pericolo di possibili nuove proteste popolari dopo quelle del febbraio 2011. Se per il momento la questione della successione e delle sfide al cambiamento ad essa connessa sono state accantonate, il nuovo Re Salman nei suoi primi passi ufficiali ha promosso un piccolo ma significativo rimpasto di governo, sollevando dai loro incarichi due figli del defunto Abdullah (il principe Meshaal, governatore della regione della Mecca, e il principe Turki, che ha governato Riyadh). Sostituiti dai loro incarichi anche Khalid al-Saud, capo dell'inteligence, e il principe Bandar bin Sultan, già 10 Segretario Generale del Consiglio di Sicurezza Nazionale e consigliere del Re. Rimarranno invece ai loro posti i Ministri chiave come Ali al-Naimi, il principe Saud al-Faysal e Ibrahim al-Assaf, rispettivamente ai dicasteri del Petrolio, degli Esteri e delle Finanze. Infine, Salman negli incontri con i principali alleati regionali e internazionali ha ribadito la sua volontà di voler proseguire il cammino di Abdullah in politica estera, ponendo al centro la lotta al terrorismo islamista del sedicente Stato Islamico e un contenimento dell’Iran sciita nel Golfo. SUCCESSIONE DINASTICA IN ARABIA SAUDITA - FONTE: OXFORD ANALYTICA EGITTO, 25-30 GENNAIO ↴ Nel quarto anniversario della Prima rivoluzione egiziana che ha visto la caduta del Presidente Hosni Mubarak non si sono arrestate le violenze e gli scontri tra le forze sicurezza di sicurezza e i manifestanti antiregime. Il bilancio ufficiale registrato dal Ministero della Salute e da quello degli Interni recita 17 morti e una cinquantina circa i feriti. I maggiori scontri si sono verificati al Cairo, Alessandria e nelle altre città del Delta del Nilo. Nella capitale i più importanti incidenti si sono avuti a Gamaliya, Matareya e Ain Shams, tradizionali roccaforti della Fratellanza Musulmana. I manifestanti, che sono poi confluiti con diversi cortei nella “piazza della rivoluzione”, Piazza Tahrir, scandivano slogan contro 11 il Presidente al-Sisi denunciandone come le sue ultime azioni politiche in senso illiberale facciano presagire il rischio di un ritorno all’autoritarismo. Negli incidenti è stata uccisa in circostanze non del tutto chiarite Shaimaa al-Sabbag, una nota attivitsta dei diritti umani e membro del partito Alleanza Popolare Socialista. Mentre il governo ritiene legittime le manifestazioni ma rifiuta gli atti violenti, questo si trova in difficoltà nel Sinai nel condurre la sua war on terror contro i jihadisti alleati dello Stato Islamico (IS) di Ansar Bayt al-Maqdis (ABM). Dopo la loro affiliazione a IS, ABM aveva deciso di cambiare il loro nome in Stato Islamico della Provincia del Sinai, testimoniando appunto la diretta emanazione dell’organizzazione di Abu Bakr al-Baghdadi. Sebbene il governo continui le sue operazioni di counter-terrorism e abbia deciso di prolungare di altri tre mesi il coprifuoco imposto sul sanguinoso Sinai settentrionale attentato dinamitardo dopo del il 24 ottobre scorso, la situazione sul campo si dimostra ancora lontana da un possibile ritorno alla legalità. Il 29 gennaio ABM ha lanciato una serie di attacchi multipli contro checkpoint militari e palazzi del potere tra al-Arish, Sheikh Zuweid, Port Said e Suez. Il bilancio ufficioso delle vittime parla di 27 morti, sebbene da alcune fonti se ne conteggino addirittura 40, tra cui due bambini. Le maggiori novità dei recenti attacchi consistono sia nell’alta sofisticatezza e accuratezza della scelta degli obiettivi (i porti del Canale di Suez e in generale un ritorno ai target economici in nome di quella jihad economica già combattuta da AQAP in Yemen e nuovamente rilanciata dal portavoce di IS, Abu Mohammed al-Adnani), sia nelle modalità di condotta degli attacchi sempre più complessi e probabilmente orchestrati di concerto con gli emissari dell’IS nell’area. Nel frattempo una Corte del Cairo ha dichiarato fuorilegge le Brigate Ezzedine alQassam, l’ala militare del movimento islamista palestinese Hamas, ritenendo questo gruppo parte attiva nelle violenze in corso nella Penisola sinaitica. FRANCIA, 21 GENNAIO ↴ A seguito degli attentati terroristici dei primi giorni di gennaio nella capitale francese, il Premier Manuel Valls ha annunciato un nuovo piano di sicurezza nazionale. Questo prevede lo stanziamento di 425 milioni di euro per i prossimi tre anni, la creazione di 2.680 posti di lavoro nelle agenzie e nei dipartimenti di polizia ed intelligence, nonché un'altra serie di misure accessorie tra cui la realizzazione di un database per la tracciabilità delle persone condannate per terrorismo e l'acquisto di 12 nuove forniture come giubotti anti-proiettili più efficaci e armi pesanti. Ulteriori 60 milioni saranno investiti per la prevenzione della radicalizzazione giovanile anche grazie alla creazione di un sito volto a meglio informare l'opinione pubblica sull'arruolamento e sul contrasto ai fenomeni jihadisti. Valls ha allo stesso tempo promesso la presentazione per il prossimo mese di marzo di un disegno di legge sulla riforma dei servizi segreti, sull'uso delle intercettazioni e sulla rimodulazione delle attività di sicurezza all'interno delle carceri. Non si sono nel frattempo arrestate le retate anti-terrorismo, per lo più condotte nelle zone meridionali del Paese: il 20 gennaio sono stati fermati a Béziers, nel dipartimento dell'Hérault, cinque russi di origine cecena sospettati di pianificare un attentato (a Grozny, in Cecenia, regione caucasica a maggioranza musulmana, sono state peraltro numerose le manifestazioni di protesta contro le vignette di Charlie Hebdo); a Lunel, nel medesimo dipartimento e da dove almeno 20 giovani sarebbero partiti per la Siria, il 27 gennaio le forze speciali hanno scoperto e smantellato una cellula jihadista composta da cinque persone sospettate di reclutamento. Altri arresti sono stati effettuati in Belgio, nella città fiamminga di Kortrijk, anche se sono ancora da verificare i presunti collegamenti con la cellula di Verviers smantellata il 16 gennaio in un'operazione in cui sono morti due ceceni. INDIA-STATI UNITI, 25 GENNAIO ↴ In occasione della visita di Barack Obama a Nuova Delhi, i governi di Stati Uniti e India hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta che riflette l’adesione delle “due maggiori democrazie mondiali” a una lettura condivisa delle relazioni asiatiche. La Casa Bianca ha descritto il rinsaldato accordo con l’alleato indiano come l’aspetto caratterizzante il Ventunesimo secolo. Il discorso strategico aperto con il governo presieduto da Narendra Modi è tanto una delle direttrici privilegiate su cui Washington intende sviluppare l’espansione nell’arena dell’Asia-Pacifico, quanto uno strumento del bilanciamento dell’influenza cinese nella regione. Su quest’ultimo versante, il Joint Strategic Vision firmato dalle parti afferma la salvaguardia della sicurezza marittima e della libertà di navigazione, aggiungendo un riferimento esplicito al Mar Cinese Meridionale. A dare immediata concretezza al rilancio dei rapporti bilaterali è la conclusione di un accordo quadro di durata decennale nel settore della difesa che prevede il trasferimento di tecnologia bellica e la produzione congiunta di armamenti (in particolare, di aeromobili a pilotaggio remoto). È inoltre di grande importanza il raggiungimento di un’intesa sul nucleare civile che risolve la questione della responsabilità dei fornitori di tecnologie nucleari in caso d’incidente – un punto sul quale l’incompatibilità delle rispettive legislazioni ha lungamente impedito la conclusione di transazioni per la costruzione d’impianti nucleari da parte d’imprese americane. L’India ha in precedenza stretto accordi commerciali in materia 13 con Australia e Federazione Russa. L’azione diplomatica dell’amministrazione Obama riprende e sviluppa il filo-negoziale che già sotto l’esecutivo Bush aveva portato nel 2008 al riconoscimento dello status nucleare indiano, seppur al di fuori del Trattato di non proliferazione nucleare. IRAN-RUSSIA, 20 GENNAIO ↴ Il 20 gennaio il Ministro della Difesa russo Sergej Shoigu e il suo omologo iraniano Hossein Dehghan hanno firmato a Teheran un accordo intergovernativo di cooperazione militare. L’accordo prevede l’espansione della cooperazione nelle attività di controterrorismo, scambi nel personale militare con finalità di addestramento e un compromesso per permettere alle rispettive marine militari di usufruire dei reciproci porti. Viene inoltre menzionato l’impegno nel mantenimento della sicurezza e stabilità sia regionale che internazionale e la lotta contro i separatismi e gli estremismi. Durante quella che è stata la prima visita ufficiale in 15 anni di Shoigu in Iran, i due rappresentanti politici hanno confermato dunque di essere intenzionati a stringere maggiormente i rapporti militari e diplomatici tra i rispettivi Stati. Le relazioni si erano difatti raffreddati in seguito alla causa giudiziaria internazionale avviata da Teheran nei confronti di Mosca in merito al mancato rispetto da parte della Russia di un contratto stipulato nel 2007 per la vendita di missili russi terra-aria S-300 all’Iran. Il motivo che ha portato la Repubblica Islamica a ricorrere alla Corte di Conciliazione e di Arbitrato dell’OSCE è stato il blocco da parte del Cremlino della consegna delle armi. La decisione russa derivava tuttavia dall’emanazione della risoluzione delle Nazioni Unite che imponeva sanzioni sull’acquisto iraniano di armamenti moderni a causa del controverso programma nucleare di Teheran. Il motivo che negli ultimi mesi ha spinto Mosca a rivolgersi nuovamente verso l’alleato iraniano è certamente la situazione di tensione che si è venuta a creare con la NATO in seguito agli eventi in Ucraina. Come ha affermato l’iraniano Dehghan «i due stati hanno punti di vista comuni sulle questioni politiche regionali e globali». Iran e Russia vedono infatti entrambi di cattivo occhio la politica estera statunitense in Medio Oriente ritenuta di ingerenza negli affari di politica interna dei vari Stati, nonchè causa delle attuali crisi nei Paesi arabi. Entrambi i Paesi inoltre sono alleati del regime siriano di Bashar al-Assad. 14 ISRAELE-LIBANO, 28 GENNAIO ↴ Si registrano da alcuni giorni violenti scontri e incidenti fra l’esercito israeliano e il movimento sciita Hezbollah, lungo la Blu Line, la linea confinaria riconosciuta da Libano e Israele nel 2000. Alla base delle tensioni – le maggiori dalla seconda guerra tra Israele e Libano del 2006 – vi è stato un attacco lanciato dal gruppo sciita libanese contro due mezzi corazzati israeliani della Brigata Givati che ha provocato la morte di due soldati dell’IDF e il ferimento di altri e sette nella zona delle fattorie Shebaa, nei pressi della regione del Golan. In risposta Israele ha lanciato un bombardamento colpendo in particolare i villaggi di Ghajar, Majidiyeh, Abbasiyeh e Kfar Chouba, da dove sarebbero partiti i bombardamenti di Hezbollah, e ha proclamato zona militare interdetta un tratto di 20 Km lungo il confine libanese, fra il kibbutz israeliano di Dafna in Cisgiordania e il villaggio druso di Massade nel Golan. Nel primo attacco, quello rivendicato da Hezbollah attraverso la sua tv al-Manar, è morto anche un militare spagnolo inquadrato nei caschi blu della missione internazionale UNIFIL. L’attacco di Hezbollah rappresenta una ritorsione contro il raid aereo effettuato da Tel Aviv alcuni giorni prima nei pressi di Quneitra, sempre sul Golan, contro un convoglio militare di Hezbollah, nel quale sono morti 7 miliziani, tra cui due suoi comandanti: Abu Issa, responsabile delle operazioni in Siria del gruppo libanese, e Jihad Mughniyah, figlio di Imad, leader militare e responsabile della sicurezza di Hezbollah morto nel febbraio 2008. Nei raid sarebbero morti anche alcuni Pasdaran iraniani – secondo fonti ufficiose israeliane 5 o 7 unità –, tra cui il Generale Mohammed Ali Allahdadi, capo dell’intelligence e delle attività all’estero delle Forze al-Quds, ufficialmente in missione di consulenza alle forze libanesi impegnate nella guerra siriana. Gli attacchi preventivi israeliani sul Golan erano stati motivati dal pericolo di un possibile attentato alla sicurezza contro lo Stato Ebraico. LIBIA, 29 GENNAIO ↴ Si è concluso il 29 gennaio il secondo round di negoziati condotti a Ginevra in seno alle Nazioni Unite per trovare una soluzione alla crisi libica. Il Paese maghrebino si trova di fatti in presenza di due Parlamenti e due Governi che reclamano la legittimità nel controllo del Paese. In aggiunta a ciò, dalla caduta del Colonnello Gheddafi nel 2011, sono dilagati in Libia gruppi di militanza locale in continua lotta tra di loro che rendono la situazione del Paese decisamente instabile. In un comunicato stampa, rilasciato alla fine degli incontri di Ginevra, la missione delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) ha affermato che «vi è stato un accordo per continuare le sessioni di negoziati in Libia, qualora le condizioni di logistica e sicurezza 15 lo permettano». Nonostante le richieste dei delegati libici di spostare il tavolo degli incontri in Libia, esiste infatti una crescente preoccupazione in merito alla sicurezza nel Paese in seguito ad un attacco avvenuto martedì 27 gennaio in un Hotel della capitale Tripoli. Si tratta dell’Hotel Corinthia, struttura ospitante prevalentemente personale diplomatico e consolare. L’attentato, avvenuto nella mattinata, ha visto lo scoppio di un autobomba e l’irruzione di un commando di quattro militanti islamici nell’Hotel, due dei quali si sono fatti esplodere una volta circondati dalle forze di sicurezza. Le vittime sono state nove, di cui cinque stranieri. A reclamare la responsabilità dell’attentato è stato il gruppo affiliato al califfato islamico di Abu Bakr al-Baghdadi, il Califfato di Derna, gruppo jihadista sorto nel novembre scorso. Il motivo dichiarato è stata la rivendicazione per la morte di Abu Anas al-Liby, un militante deceduto il 2 gennaio ed accusato di essere responsabile di due attacchi alle ambasciate americane di Tanzania e Kenya nel 1998. Nel merito dell’attentato, l’Alto Rappresentante europeo per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Federica Mogherini, ha dichiarato che «l’attacco all’hotel Corinthia è un altro atto di terrorismo che costituisce un grave colpo agli sforzi di portare pace e stabilità in Libia. L’unione Europea esprime soliarietà alle vittime e ai loro familiari [...] e supporta fermamente gli sforzi dei negoziati che si stanno svolgendo in seno alle Nazioni Unite per trovare una soluzione politica basata sul rispetto e sul dialogo». Il 25 gennaio inoltre un altro gruppo jihadista attivo nel Paese nordafricano, Ansar al-Sharia, ha confermato l’avvenuta morte del leader Mohammed al-Zahawi. A causare il decesso sono state le ferite riportate nella battaglia per il controllo della città di Bengasi nello scorso ottobre. Ansar al-Sharia è uno dei gruppi libici inseriti nel corso del 2014 nella lista dei movimenti terroristici dalle Nazioni Unite e dagli Stati Uniti. A questo movimento è attribuita in particolare la responsabilità dell’attacco del 2012 all’Ambasciata USA di Bengasi in cui è stato ucciso l’ambasciatore J. Christofer Stevens. TURCHIA, 21-26 GENNAIO ↴ A partire dal 21 gennaio, il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha intrapreso una serie di incontri politici con i governanti dei Paesi del Corno d’Africa. Il viaggio dell’ex Primo Ministro è iniziato dall’Etiopia dove ha incontrato il Presidente etiope Mulatu Teshome e il Primo Ministro Hailemarian Desalegn. Dopo una breve interruzione del viaggio, dovuta alla morte del principe saudita Abdullah bin Abdulaziz, alle cui esequie Erdoğan ha partecipato, la serie di colloqui istituzionali è ripartita con gli incontri con il Presidente gibutino Ismail Omar Guelleh e quello somalo Hassan Sheikh Mohamud. La visita in Somalia è stata particolarmente gradita dai somali, in quanto dal 1989 Erdoğan è stato il primo leader non africano a compiere una visita in questo Paese (2011). Durante la sua visita il Presidente turco ha inoltre partecipato all’inaugurazione di un’ala del nuovo aeroporto internazionale 16 di Addis Abeba, costruito da compagnie turche, e di un nuovo ospedale, finanziato dall’Agenzia di coordinamento economico della Turchia. L’importanza del viaggio in Somalia è stata sottolineata ulteriormente dalla volontà del Presidente turco di non rinunciarvi nonostante la minaccia dei terroristi islamici di Al-Shabaab che nei giorni antecedenti la visita avevano compiuto un attentato ad un hotel di Mogadiscio, dove risiedeva la delegazione turca che stava, appunto, predisponendo la visita del proprio Presidente. Nonostante nessuno dei delegati turchi sia rimasto coinvolto, l’attentato ha causato la veemente reazione di Erdoğan che ha espresso parole dure nei confronti degli al-Shabaab, definendoli non islamici. L’interesse della Turchia per il continente nero è il frutto di una scelta politica propria di Erdoğan che da Primo Ministro ha praticamente raddoppiato il numero di Ambasciate in loco e, da Presidente, ha promesso che effettuerà almeno altre due serie di viaggi in altri Paesi dell’Africa. 17 ALTRE DAL MONDO ARGENTINA, 19 GENNAIO ↴ È stato trovato morto, nel quartiere di Puerto Madero a Buenos Aires, ucciso da un colpo di pistola alla testa, il procuratore argentino Alberto Nisman. Mentre all’inizio si era parlato di suicidio, le indagini preliminari sembrerebbero far propendere per l’omicidio. Alberto Nisman era molto conosciuto in Argentina poiché si stava occupando delle indagini relative all’attentato terroristico ai danni del centro ebraico Asociaciòn Mutual Israelita, che il 18 luglio 1994 causò la morte di 85 persone. Nisman riteneva il governo di Teheran il mandante dell’attacco e Hezbollah l’esecutore materiale e, secondo molti, avrebbe presentato prove compromettenti a carico della Presidentessa argentina Cristina Kirchner, rea di voler coprire le responsabilità iraniane per finalità economiche. FILIPPINE, 25 GENNAIO ↴ Scontri tra le forze governative e i ribelli musulmani del Fronte di Liberazione Islamica Moro (MILF) hanno provocato la morte di 44 poliziotti. Fonti dell'esercito hanno sostenuto che la polizia era entrata in una comunità musulmana dove si ritiene fossero operativi il MILF, ILF (Fronte di liberazione intellettuale) e la sua fazione rivale, Fighters Bangsamoro Islamic Freedom, per arrestare Zulkifli Bin Hir, un esperto di esplosivi e bombe malese che ha una taglia 5.000 mila dollari sulla sua testa messa dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Nonostante lo sdegno per quanto accaduto, il Presidente Benigno Aquino si è impegnato a salvaguardare l’accordo di pace siglato nel marzo 2014 con il MILF. GRECIA, 25 GENNAIO ↴ Come ampiamente previsto dai sondaggi le elezioni politiche greche si sono concluse con un’ampia vittoria di Syriza, il partito di sinistra guidato da Alexis Tsipras, che ha ottenuto oltre il 36% dei voti, seguito da Nea Demokratìa con il 27,8% e dai neonazisti di Alba Dorata che si affermano come terzo partito con poco più del 6% dei consensi. Tsipras ha ottenuto 149 seggi sui 300 disponibili, mancando per due seggi l’ottenimento della maggioranza assoluta in Parlamento. Per giungere alla maggioranza assoluta Syriza ha deciso di allearsi con ANEL, partito di destra, che condivide con Tsipras l’opposizione alle politiche di austerità imposte dalla troika. HAITI, 19 GENNAIO ↴ Il Presidente Michel Martelly ha annunciato la formazione di un nuovo governo, costituito da 18 Ministri e 16 Segretari di Stato, tra i quali vi sono molti alleati del 18 Presidente, dislocati in posizioni chiave. Il Primo Ministro designato è Evans Paul, passato sindaco della capitale Port-au-Prince, e partecipante alle elezioni presidenziali del 2006. L’annuncio della formazione del nuovo governo giunge dopo settimane di incertezza politica e di proteste della popolazione che accusava Martelly di voler creare uno stallo politico, al fine di poter governare il Paese ricorrendo allo strumento di emergenza dei decreti presidenziali. KOSOVO, 24 GENNAIO ↴ È di 37 feriti e decine gli arresti il bilancio degli scontri tra forze di polizia kosovare e manifestanti scesi in piazza tra il 24 e il 27 gennaio per protestare contro la decisione del governo Mustafa di non procedere più con la nazionalizzazione del complesso minerario di Trepča – ubicato nel Kosovo del nord e una cui parte è controllata anche dalla Serbia – a seguito delle pressioni internazionali. I manifestanti chiedevano inoltre le dimissioni del Ministro per le Comunità e i Ritorni, Aleksandar Jablanovic, di etnia serba, per alcune dichiarazioni contro i cittadini albanesi. MALI, 28 GENNAIO ↴ Un attacco sferrato a Gao da parte di un gruppo armato pro-governativo contro una postazione dei ribelli tuareg ha provocato la morte di almeno una dozzina di persone. Secondo fonti locali, i combattenti del GATIA (Tuareg Imghad and Allies Self-Defence Group), gruppo pro-governativo, accompagnati da due attentatori suicidi, avrebbero attaccato una postazione tenuta da MNLA (National Movement for the Liberation of Azawad) e HCUA (High Council for the Unity of Azawad), nei pressi della località di Tabankort. Fonti della MINUSMA, la missione della Nazioni Unite in Mali, hanno confermato il bilancio dell’attacco, aggiungendo che un terzo attentatore suicida è stato ucciso poco prima che potesse fare detonare l’esplosivo che deteneva. MOZAMBICO, 19 GENNAIO ↴ Il nuovo Presidente del Mozambico, Filipe Nyusi, ha nominato Primo Ministro Carlos Agostinho do Rosario, alla guida di un governo costituito soprattutto da lealisti tutti interni al partito. Confermando la volontà espressa di tagliare i costi della politica, il Presidente Nyusi ha ridotto il numero dei Ministeri, unendoli o eliminandoli, e di conseguenza il numero dei Ministri e dei vice-Ministri. Le elezioni hanno assunto una importanza capitale dopo la recente scoperta di grandi giacimenti offshore di gas, che potrebbero rendere il Mozambico uno dei principali esportatori di gas naturale liquefatto. 19 SOMALIA, 27 GENNAIO ↴ Il Premier Omar Abdirashid Ali Sharmarke ha annunciato la costituzione del nuovo governo, dopo una serie di consultazioni molto intense che hanno coinvolto, oltre al Presidente Hassan, anche i rappresentanti regionali e i partner internazionali. Il nuovo governo sarà costituito da 20 membri, quasi tutti nuovi ad esperienze ministeriali, e dovrà, una volta ottenuta la fiducia del Parlamento, preparare il Paese per le elezioni presidenziali del settembre 2016. Sharmarke è il terzo Premier designato in un anno, dopo che i suoi predecessori erano stati licenziati dal Presidente Hassan. STATI UNITI, 20 GENNAIO ↴ L’America raccontata dal Presidente Barack Obama nel discorso cerimoniale sullo stato dell’Unione esce con ottimismo da una stagione marchiata dalla crisi economica, dalla minaccia del terrorismo e dalle guerre combattute in Medio Oriente. Per quanto concerne il profilo di politica estera, Obama ha decantato il binomio tra la potenza militare e una diplomazia forte in grado di promuovere il coalition building quale stabile criterio dell’azione internazionale, adducendo gli esempi virtuosi della conclusione delle operazioni di combattimento in Afghanistan, il ruolo decisivo assunto contro lo Stato Islamico, l’opposizione all’aggressione russa in Ucraina, il rinnovato impegno verso la chiusura del carcere di Guantanamo, il rilancio dei negoziati con l’Iran e l’apertura verso Cuba – questioni complesse, tuttavia, che restano ancora aperte nell’agenda dell’amministrazione in carica. STATI UNITI-CUBA, 22 GENNAIO ↴ Dando seguito allo storico annuncio della normalizzazione delle relazioni diplomatiche, le delegazioni di Stati Uniti e Cuba si sono incontrate una prima volta a L’Avana. I due giorni di colloqui sono stati incentrati sul tema particolarmente spinoso delle politiche in materia d’immigrazione e hanno portato a galla posizioni distanti. Tuttavia, il confronto ha rinnovato l’intento condiviso verso lo sviluppo dei rapporti bilaterali. ZAMBIA, 20 GENNAIO ↴ La commissione elettorale dello Zambia ha dichiarato Edgar Lungu il vincitore delle elezioni presidenziali del Paese. Edgar Lungu, rappresentante del Patriotic Front e Ministro di Difesa e Giustizia nel precedente governo, ha ottenuto il 48,3% dei voti, sconfiggendo al ballottaggio lo sfidante Hakainde Hichilema dello United Party for National Development, che ha ottenuto il 46,7% dei consensi. Le elezioni, la cui durata è stata prolungata di alcuni giorni a causa delle forti piogge cha hanno impedito a molti di votare, erano state anticipate di un anno a causa della morte del Presidente in carica Michael Sata, avvenuta lo scorso ottobre. 20 ANALISI E COMMENTI L’AZERBAIJAN NELLO SCENARIO STRATEGICO MONDIALE PAOLO BALMAS ↴ Nei primi anni del Diciannovesimo secolo l’Azerbaijan era il primo esportatore mondiale di petrolio. Le guerre e l’adesione all’Unione Sovietica da un lato e la crescita delle capacità di produzione dei Paesi del Golfo Persico dall’altro, hanno fatto in modo che tale primato si ridimensionasse e addirittura si dimenticasse per lunghi anni. Evidentemente, Mosca non riuscì a sfruttarne le potenzialità perché, tra l’altro, era concentrata piuttosto sullo sviluppo delle attività petrolifere nella regione siberiana. Un secolo più tardi, in questi giorni, Baku è tornata ad essere un attore di primo piano nella produzione ed esportazione di idrocarburi e tale condizione è destinata a crescere (…) SEGUE >>> DOPO CHARLIE HEBDO, LA MAPPA DEL JIHADISMO GLOBALE. INTERVISTA AD ARTURO VARVELLI MARIA SERRA ↴ Gli attentati di Parigi e, soprattutto, le modalità con cui essi sono stati condotti, nonché la rete terroristica che sembra si stia sviluppando in tutta Europa – benché siano da verificare i legami tra le cellule finora individuate – hanno risvegliato l’attenzione dell’opinione pubblica e delle autorità nazionali sui problemi legati alla sicurezza nel nostro Continente e nelle sue più immediate periferie. In un mondo sempre più interconnesso e pacificato – almeno apparentemente limitatamente all’Occidente –, le realtà quotidiane e all’apparenza più innocue si riscoprono invece insicure e – forse – maggiormente esposte ai rischi di nuove ondate di violenze di stampo terroristico (…) SEGUE >>> ELEZIONI IN GRECIA: LA VITTORIA DI TSIPRAS ALLONTANA L’AUSTERITÀ? GIUSEPPE CONSIGLIO ↴ L’ampiamente annunciato trionfo di Alexis Tsipras si è infine palesato. Con numeri che superano di gran lunga le più rosee previsioni, Synaspismós Rizospastikís Aristerás (SYRIZA), la Coalizione della Sinistra Radicale, è diventata la prima forza politica della Grecia. Un vero terremoto in piazza Syntagma (la sede del Parlamento ellenico ad Atene). Una vittoria epocale per la sinistra radicale e carica di speranze per il popolo greco prostrato da una crisi senza fine i cui devastanti effetti sono assurti alle cronache come archetipo dei tormenti che l’austerità, il feticcio idolatrato dai teorici del rigore di Bruxelles, è in grado di arrecare ai cittadini e all’economia reale di un Paese (…) SEGUE >>> 21 LA DIMENSIONE SPAZIALE NELLE POLITICHE DI SICUREZZA E DIFESA VIOLETTA ORBAN ↴ ANALISI DISPONIBILE ANCHE COME RESEARCH PAPER: SCARICA L’incidenza della dimensione spaziale in numerosi settori di attività ha condotto a un’acquisizione di consapevolezza dell’importanza del fattore spazio per finalità di tipo politico, strategico, economico e commerciale. Le potenzialità nel campo delle telecomunicazioni, della ricerca scientifica, del monitoraggio ambientale e climatico e della difesa costituiscono rilevanti fattori di stimolo al possesso di infrastrutture e di sistemi spaziali autonomi da parte dei principali attori internazionali ai fini della proiezione del proprio ruolo sulla scena globale (…) SEGUE >>> A cura di OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE Ente di ricerca di “BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO” Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale C.F. 98099880787 www.bloglobal.net 22
© Copyright 2024 ExpyDoc