N NE EW WS SL LE ET TT TE ER R0 06 6--2 20 01 15 5 Iscriviti QUI alla Newsletter Biologico…e non solo! …ora ci puoi visitare in Facebook!! del ___________________________________________ NOTIZIE DALL’EUROPA E DAL MONDO Amici! Avete gia firmato l'iniziativa europea contro il TTIP?? L'Italia non ha ancora raggiunto il quorum: mancano ancora 44.000 firme circa... da trovare entro ottobre 2015. CONTRO TTIP E CETA FIRMA QUI L'INIZIATIVA Invitiamo le istituzioni dell’Unione Europea e dei suoi stati membri ad interrompere le negoziazioni con gli Stati Uniti sul Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership - TTIP) e a non stipulare l’accordo economico e commerciale globale (Comprehensive Economic and Trade Agreement - CETA) con il Canada. Obiettivi principali: Desideriamo non vengano stipulati il TTIP e il CETA perché comportano diversi problemi fondamentali, quali la composizione delle controversie tra stato e investitori privati nonché le regole inerenti la cooperazione in campo normativo, che costituiscono una minaccia per la democrazia e lo stato di diritto. Vogliamo evitare una riduzione degli standard sociali, ambientali e inerenti il lavoro, la protezione dei dati personali e dei diritti dei consumatori, e una deregolamentazione delle risorse culturali e dei servizi pubblici (come l’acqua) in trattative non trasparenti. L’ICE (Iniziativa dei Cittadini Europei) promuove una politica alternativa di commercio e investimento nell’UE. L'UE si appresta a firmare due accordi commerciali di vasta portata: una con Canada (accordo CETA = globale economico e commerciale) e uno con gli Stati Uniti (TTIP = Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti). La linea ufficiale è che questo creerà posti di lavoro e aumenterà la crescita economica. Tuttavia, i beneficiari di questi accordi saranno le grandi aziende, non i cittadini: il regolamento che disciplina i rapporti tra stato e investitori (ISDS) delle aziende canadesi e statunitensi darebbe loro il diritto di citare in giudizio le aziende europee per danni, se ritengono di avere perdite subite a causa di decisioni governative (ad esempio, nuove leggi per la tutela dell'ambiente o dei diritti dei consumatori). Migliorare o anche mantenere i nostri standard per i prodotti alimentari, i diritti dei lavoratori, la tutela dell'ambiente e dei diritti dei consumatori diventerà molto più difficile. La liberalizzazione e la privatizzazione diventerebbero di fatto irreversibili. L'UE ei suoi Stati membri subirebbero pressioni per consentire tecnologie a rischio, come l’uso della fratturazione idraulica per le attività estrattive nel sottosuolo o l’uso degli organismi geneticamente modificati. Il CETA e il TTIP aumenterebbero il potere delle multinazionali a scapito della democrazia e di tutte le persone. Non dobbiamo permettere che questo accada! Sottoscrivi la nostra “Iniziativa dei Cittadini Europei”! (segnalato da GAS Il Ciclo Corto/Altragricoltura Nord Est – febbraio 2015) INTOLLERANZA Povero Islam! Dai vertici della civiltà in arte, scienza, medicina, filosofia, ordine sociale ed economia, in circa mille anni, è arretrato alla condizione tribale antica, molto simile ad una struttura mafiosa. Per noi occidentali, l’intricata confusione, tra ordine sociale laico e credo religioso non è difficile da comprendere oggi. Noi ne siamo emersi dopo un lungo percorso che ha coinvolto tutti per centinaia di anni di storia, travolgendo religione, nobiltà, ricchi e poveri, ideologia e scienza. Se ci fosse una parte di mondo che considera il comportamento di una famiglia mafiosa come un comportamento tipico di cristiani cattolici, credo susciterebbe scandalo e offesa da riparare in tribunale. Dobbiamo però dimenticare che tre o quattro secoli fa così era regolato il governo della Chiesa Cattolica, nonostante i fasti della ricchezza e dell’abbondanza che identificavano il potere della nobiltà tradizionale con la nobiltà religiosa, in un rimando generazionale per cui la dote di nascita superava il merito personale, e tale potere era aggressivo e violento. Se ora noi occidentali possiamo fingere di essere orgogliosi di questa superiorità, che ci permette d’essere tolleranti e distinguere le cose, contemporaneamente dobbiamo negare e perseguire l’anima nera della violenza ideologica e dell’odio razziale che comunque persistono, più o meno coperti, dall’ordine sociale. I recenti avvenimenti francesi mostrano, oltre ogni ragionevole dubbio, come la violenta intolleranza assassina nuoccia alla causa islamica più di mille o diecimila giornalini come Charlie Hebdo, tra l’altro bruttino e volgare, trasformato improvvisamente in baluardo e simbolo mondiale di tolleranza e libertà. Quelli che possiamo definire “utili idioti” ci sono un po’ ovunque, non solo nell’ambito del variegato mondo islamico, e in genere sono utili a dimostrare le tesi dell’avversario. Chi nell’ambito dell’Occidente degli affari sporchi di petrolio e armi vuole esaltare un nemico che giustifichi la propria visione violenta, trova nell’ambito opposto una notevole quantità di idioti, che gratuitamente dimostrano che hanno ragione. Così l’accusa che vorrebbe dar credito all’intolleranza razzistica delle popolazioni europee trova europei organizzati che le danno ragione, manifestando intolleranza e odio razziale con fastidiosi anacronismi, tipici di chi non riesce a vedere oltre il proprio naso, ma si esalta ripetendo ossessivamente stilemi e frasi come l’ubriaco in osteria. Dobbiamo rendere merito all’Islam per la norma che proibisce l’uso di alcolici, ma evidentemente altre sostanze avvelenano il metabolismo di interi gruppi che si rifanno a Ismaele e quindi sono funzionali alla potenza economica e militare dell’occidente. Se come mille anni fa l’Islam tornasse tollerante e integrasse tutte le componenti che oggi lo rendono disgregato, diverrebbe una potenza mondiale che da una ispirazione superiore, spirituale, informa una economia non speculativa, libera i popoli oppressi dall’ingiustizia e dal malgoverno. Utopia certamente, ma chi muove contro perché una tale utopia non possa mai realizzarsi? (Editoriale di Filippo Zaccaria su Biolcalenda di La Biolca – febbraio 2015) Una terra, la Palestina, bellissima ma tormentata. L'associazione Agronomi e Forestali senza Frontiere organizza un viaggio di conoscenza della Palestina Rurale dal 2 al 12 aprile 2015. Un viaggio per capire una realtà di cui i media parlano molto ma di cui si sa poco. Un viaggio di incontro con le persone del luogo da cui ci faremo accompagnare nella conoscenza dei posti e della storia, soprattutto recente, del paese, focalizzandoci in maniera prevalente, ma non esclusiva, sul mondo rurale. Incontreremo i pastori camminando nelle colline a Sud di Hebron, al limite del deserto, passeggeremo fra gli olivi nella campagna di Betlemme, dormiremo nel campo profughi di Dehisha ospitati da una famiglia del posto, visiteremo il centro storico di Hebron assieme all' Hebron Rehabilitation Committee, l'organizzazione che si sta occupando di restaurare e ripopolare le antiche case della casbah. Visiteremo i progetti agricoli di cui ASF é partner, nella valle del Giordano e nell'area di Jenin; incontreremo le realtà del commercio equo e solidale palestinese. Avremo occasione di incontrare rappresentanti del variegato mondo pacifista israeliano, parlare con soldati ed ex soldati, e con qualche colono. Ascolteremo diversi punti di vista su una stessa situazione e ci sarà il tempo ed il modo di discuterne assieme. A Gerusalemme dormiremo in un ostello della Città Vecchia, a Betlemme nel campo profughi, ed alcune notti le passeremo ospiti delle famiglie palestinesi. Anche per i pasti, avremo modo di visitare qualche ristorante, di sperimentare l'ospitalità delle famiglie locali, palestinesi ed israeliane. Ci muoveremo utilizzando taxi e autobus, le modalità di trasporto pubbliche usuali in Palestina. Costo stimato del viaggio attorno ai 1000 euro (700 euro più il volo). (Iscrizioni entro il 1° marzo – scarica QUI il volantino) Il viaggio si rivolge a tutte le persone interessate a conoscere la realtà palestinese in Cisgiordania, in particolare quella rurale; non sono necessarie particolari competenze tecniche, ma spirito di adattamento e la disponibilità ad ascoltare le storie di chi da decenni vive realtà di oppressione e forte limitazione della libertà e lotta per la propria dignità e per avere accesso a risorse come la terra, l'acqua e la libertà di muoversi. (da Agronomi Senza Frontiere – febbraio 2015) ETICHETTATURA ALIMENTI: A PASSO DI GAMBERO Che ci piaccia o meno, sarà l’anno del cibo: l’enormità dell’occasione di Expo 2015 a Milano renderà difficile non parlare di alimentazione, di cibi e di gusto anche ai più diffidenti nei confronti della grande manifestazione fieristica. Occuparsi di alimenti, infatti, significa occuparsi anche della tutela del consumatore, di controllo della filiera produttiva, di buona informazione sulla loro composizione e caratteristiche. Significa occuparsi della loro provenienza e, quindi, sostenibilità. Occorre informarsi, o meglio, essere correttamente informati per nutrirsi tenendo in considerazione salute, etica e ambiente: non è da sottovalutare perciò il potere di una buona (o ingannevole) etichetta. Ma cosa sia una “buona etichetta” è il frutto del lavoro di contrattazione tra consumatori, associazioni di categoria, produttori e istituzioni politiche e, soprattutto, può variare anche molto nel tempo. Il regolamento in vigore da dicembre viene spiegato e commentato sul sito del Ministero della Salute, ma per i più avventurosi esiste anche l’apposita sezione sul portale della Commissione Europea – Salute e Consumatori/Alimenti. Senz’altro sono sempre di più le informazioni sui cibi che consumiamo: dettaglio degli ingredienti, inclusa, ad esempio, la qualità degli oli vegetali utilizzati; provenienza, obbligatoria per un numero sempre maggiore di categorie di alimenti; dichiarazioni nutrizionali che siano realmente informative e non semplici inviti all’acquisto. Eppure molto è ancora il lavoro che si può fare secondo il parere dell’esperto di diritto alimentare Dario Dongo che, proprio sul magazine di Expo2015, auspica un’ulteriore uniformità tra i Paesi dell’UE; una sempre maggiore facilità a raggiungere le informazioni rilevanti, ad esempio sugli allergeni, anche nella ristorazione; un quadro legislativo nazionale unificato e coerente. Ma la questione fondamentale sembra quella dell’indicazione dello stabilimento di produzione dei prodotti a marchio italiano (ma non necessariamente Made in Italy): “Se non viene modificato l’attuale regolamento risulta impossibile identificare l’origine territoriale degli alimenti confezionati dalle catene di supermercati” denuncia Il fatto alimentare che, insieme a Great Italian Food Trade e Io leggo l’etichetta chiede con insistenza un intervento del Ministero dello sviluppo economico. Ma il valore, anche economico, di ciò che viene prodotto in Italia è talmente chiaro anche ai produttori che le stesse catene di supermercati sembrano inclini a collaborare, al di là degli obblighi di legge. E’ spontaneo chiedersi cosa possa fare il singolo cittadino per influire su argomenti di così vasta scala. Coldiretti, ad esempio, ha raccomandato di prendere parte alla consultazione popolare indetta dal Ministero per le politiche agricole, alimentari e forestali, nell’ambito del programma Campolibero. Così il segretario generale Vincenzo Gismundo presenta l’iniziativa: “La normativa comunitaria offre agli stati membri la possibilità di introdurre disposizioni sull’etichettatura dell’origine degli alimenti assegnando un ruolo fondamentale alle valutazioni dei consumatori circa l’importanza di queste informazioni e il valore aggiunto attribuito ai prodotti in relazione al territorio di provenienza. Il questionario, che è rivolto a consumatori, produttori e operatori, si compone di 11 domande ed è di agevole compilazione, con l’indicazione per ogni domanda di un’opzione di risposta tra quelle individuate”. Ecco qui il link. Sono stati circa 21 mila i questionari compilati, a testimonianza che questo è un tema molto sentito, e che vale la pena di essere approfondito. Annalisa Scarpa – Redazione Ecopolis (da Ecopolis Newsletter di Legambiente Padova – febbraio 2015) LA VITA SOCIALE SEGRETA DELLE PIANTE: IL DOCUMENTARIO DELLA BBC Le piante comunicano tra loro, inviano segnali sia sopra che sotto il suolo per avvisarsi a vicenda dei pericoli esterni, come per esempio i pesticidi. Riescono a mettersi “in rete” fra loro e a rispondere agli stimoli. Un mondo ancora in gran parte sconosciuto che merita di essere scoperto. Ormai sono innumerevoli gli studi che attestano la capacità delle piante di relazionarsi tra loro attraverso un vero e proprio linguaggio organizzato. A questo proposito, illuminante e rivelatore è il documentario diffuso qualche giorno fa dalla BBC dal titolo “Come le piante pensano e comunicano” (clicca sul titolo per visualizzarlo). Semplice e immediato è il cortometraggio, animato da Minute Earth, che spiega come la piante riescano a comunicare tra loro, inviarsi segnali sia sotto che sopra il suolo e anche riconoscere fattori esterni pericolosi, come i pesticidi. E’ affascinante pensare che l’odore dell’erba tagliata di fresco ci possa riportare alla nostra infanzia, ma a una pianta fa un effetto differente. Di generazione in generazione, le piante hanno imparato a interpretare i composti complessi nell’aria e a reagire ad essi comunicando specifiche paure e reagendo anche all’unisono. Come spiega il cortometraggio, alcune piante come il mais o il cotone possono aiutare gli insetti quando sono in difficoltà. La pianta di pomodoro riesce ad avvertire che la pianta vicina sta male e inizierà a produrre anticorpi in risposta. Le piante comunicano da tempo immemorabile tra loro in una fitta e complessa rete. Gli scienziati lo confermano: Sulla rivista scientifica Trends in Plant Science è stato anche spiegato che le piante non solo riescono a rispondere ai suoni, ma producono esse stesse suoni che i ricercatori dell’università dell’Australia occidentale sono stati in grado di ascoltare. I ricercatori della Bristol University hanno anche osservato che quando le radici vengono messe in sospensione nell’acqua e viene prodotto un suono continuo a 220Hz, frequenza simile a quella delle piante, le piante crescono dirigendosi verso la fonte sonora. Oltre ovviamente ad utilizzare la luce, le piante utilizzano anche le sostanze volatili per comunicare tra loro per esempio quando si avvicina un erbivoro, quindi un pericolo. Addirittura ci sono piante che sprigionano determinati gas quando si trovano in specifiche situazioni in modo da riuscire ad avvertire i vegetali che sono vicini. Guarda anche: La vita sociale segreta delle piante e Piante: esseri intelligenti? Scoprilo su “Di cosa parlano le piante” (** TUTTI I VIDEO DI QUESTO ARTICOLO SONO IN LINGUA INGLESE**) (da Il Cambiamento – febbraio 2015) L'APPELLO: "EXPO, NON SIA BARILLA A DETTARE LE REGOLE" Lettera aperta a Matteo Renzi da un gruppo di intellettuali e cittadini milanesi: “Non appoggi un protocollo del cibo per l’Expo preparato dalla Barilla”. A sottoscrivere la lettera aperta al premier Matteo Renzi sono stati Moni Ovadia, Vittorio Agnoletto, Mario Agostinelli, Piero Basso, Franco Calamida, Massimo Gatti, Antonio Lareno, Antonio Lupo, Emilio Molinari, Silvano Piccardi, Paolo Pinardi, Basilio Rizzo, Erica Rodari, Anita Sonego e Guglielmo Spettante. Vi riportiamo il testo integrale, pubblicato anche su Il Manifesto del 22 gennaio. Signor presidente del Consiglio, i giornali ci informano che lei sarà a Milano il 7 febbraio per lanciare un Protocollo mondiale sul Cibo, in occasione dell’avvicinarsi di Expo. Ci risulta che la regia di tale protocollo, al quale lei ha già aderito, sia stata affidata alla Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition. Una multinazionale molto ben inserita nei mercati e nella finanza globale, ma che nulla ha da spartire con le politiche di sovranità alimentare essenziali per poter sfamare con cibo sano tutto il pianeta. Expo ha siglato una partnership con Nestlé, attraverso la sua controllata S. Pellegrino, per diffondere 150 milioni di bottiglie di acqua con la sigla Expo in tutto il mondo. Il Presidente di Nestlé Worldwide già da qualche anno sostiene l’istituzione di una borsa per l’acqua così come avviene per il petrolio. L’acqua, senza la quale non potrebbe esserci vita nel nostro pianeta, dovrebbe quindi essere trasformata in una merce sui mercati internazionali a disposizione solo di chi ha le risorse per acquistarla. Questi sono solo due esempi di quanto sta avvenendo in preparazione dell’Expo. Scriveva Vandana Shiva: «Expo avrà un senso solo se parteciperà chi si impegna per la democrazia del cibo, per la tutela della biodiversità, per la difesa degli interessi degli agricoltori e delle loro famiglie e di chi il cibo lo mette in tavola. Solo allora Expo avrà un senso che vada oltre a quello di grande vetrina dello spreco o, peggio ancora, occasione per vicende di corruzione e di cementificazione del territorio». «Nutrire il Pianeta, Energia per la vita», recita il logo di Expo. Ma Expo è diventata una delle tante vetrine per nutrire le multinazionali, non certo il pianeta. Come si può pensare infatti di garantire cibo e acqua a sette miliardi di persone affidandosi a coloro che del cibo e dell’acqua hanno fatto la ragione del loro profitto senza prestare la minima attenzione ai bisogni primari di milioni di persone. Expo si presenta come la passerella delle multinazionali agroalimentari, proprio quelle che detengono il controllo dell’alimentazione di tutto il mondo, che producono quel cibo globalizzato o spazzatura, che determina contemporaneamente un miliardo di affamati e un miliardo di obesi. Due facce dello stesso problema che abitano questo nostro tempo: la povertà, in aumento non solo nel Sud del mondo ma anche nelle nostre periferie sempre più degradate. Expo non parla di tutto ciò. Non parla di diritto all’acqua potabile e di acqua per l’agricoltura familiare. Non parla di diritto alla terra e all’autodeterminazione a coltivarla. Non si rivolge e non coinvolge i poveri elle megalopoli di tutto il mondo, non si interroga su cosa mangiano, non parla ai contadini privati della terra e dell’acqua, scacciati attraverso il land e water grabbing, (la cessione di grandi estensioni di terreno e di risorse idriche a un paese straniero o a una multinazionale), espulsi dalle grandi dighe, dallo sviluppo dell’industria estrattiva ed energetica, dalla perdita di sovranità sui semi per via degli OGM e costretti quindi a diventare profughi e migranti. E non cambia certo la situazione qualche invito a singoli personaggi della cultura provenienti da ogni angolo della terra e impegnati nella lotta per la giustizia sociale. Al massimo serve per creare qualche diversivo. In Expo a fianco della passerella delle multinazionali si dispiega la passerella del cibo di «eccellenza». Expo parla solo alle fasce di popolazione ricca dell’occidente, e questo ne fa oggettivamente la vetrina dell’ingiustizia alimentare del mondo, nella quale la povertà si misurerà nel cibo: in quello spazzatura per le grandi masse e in quello delle eccedenze e degli scarti per i poveri.……… (continua QUI la lettura dell’articolo). (da Terra Nuova – gennaio 2015) RASSEGNA LA TAVOLA DEL TEMPO 19 FEBBRAIO: LA SAGGEZZA DEL BROCCOLO Il prossimo appuntamento della rassegna in collaborazione con El Tamiso sarà giovedì 19 febbraio e sarà dedicata al broccolo. Alla serata parteciperanno Elisa Nicolè, della Cooperativa Polis Nova, e Franco Zecchinato, presidente della Cooperativa El Tamiso, che ci spiegheranno come si sta sviluppando il Progetto Ecotipi, un progetto di studio, di recupero, rivalutazione e moltiplicazione di alcune varietà di sementi antiche e locali. Ecco il menu della serata: antipasto: millefoglie di pane carasau con broccolo padovano, formaggio fresco e nocciole; primo: ribollita toscana con cavolo nero e verza; secondo: bis di polpettone di patate con broccolo e scamorza affumicata e involtino di verza con riso, tempeh e verdure, accompagnato da insalatina di cappuccio verde e rosso, carote e semini; assaggi di dolce (niente broccoli e cavoli nel dolce, garantito!). Il costo delle serate è di € 25, con acqua e vino della casa inclusi, e la cena è prevista per le ore 20,00. Per informazioni e prenotazioni, scriveteci a: [email protected] oppure telefonateci allo 049-616899. (da Osteria di Fuori Porta – febbraio 2015) STANNO UCCIDENDO IL LAVORO O IL LAVORO STA UCCIDENDO NOI? Stanno uccidendo il lavoro o il lavoro sta uccidendo noi? In un momento come questo di grande difficoltà economica e a fronte di dati significativi sulla disoccupazione, la riflessione di Alexandra Bradbury può apparire profondamente provocatoria. Ma ha un senso compiuto, per comprendere il quale occorre cambiare paradigma. Alexandra Bradbury è un’attivista per i diritti civili e ha esperienza nel Servizio per l’Impiego degli Stati Uniti. Fa parte di Labor Notes, un movimento che si batte per il lavoro in una maniera del tutto nuova. «Per il bene nostro e del pianeta – dice Alexandra – è tempo di costituire un movimento per il lavoro per si batta per lavorare meno, non di più. Dobbiamo smetterla di sostenere o invocare tutto ciò che porta più lavoro pagato». Il ragionamento è lineare, sebbene, appunto, provocatorio: liberando milioni di ore di lavoro con la liberalizzazione selvaggia dello sfruttamento dei lavoratori e con la loro esasperata precarizzazione, li si rende ancora più dipendenti dal lavoro stesso, che accetteranno senza riserve, senza obiezioni, a qualsiasi condizione, rinunciando a vivere e sopravvivendo solo per lavorare. Quindi “liberare” il lavoro potrebbe voler dire permettergli di ucciderci. Ci sono persone che non vivono, bensì sopravvivono dilaniate tra un lavoro e l’altro per poter raggranellare soldi; c’è chi accetta di fare turni su turni fino a quando, spossato, mette magari a rischio la propria vita. «Ma questo non vuol forse dire che il lavoro non è distribuito equamente tra tutti coloro che lo vogliono?» è quanto si chiede Alexandra. Abbiamo dunque un lavoro da sessanta ore a settimana, anziché due da trenta ore ciascuno, e la disoccupazione è altissima. Inoltre, «lavorare meno non è solo un obiettivo umano e umanizzante, ma anche una necessità del pianeta». Data dunque una evidente iniqua distribuzione del lavoro cui andrebbe posto rimedio, possiamo ulteriormente individuare due strade per lavorare meno: aumentare gli stipendi oppure abbassare il costo della vita e questo non dovrebbe suonare come una utopia. In un recente numero della rivista Jacobin, Daniel Aldana Cohen raccontava la storia della Francia del 1936, quando i lavoratori si batterono e ottennero due settimana di vacanza per ciascuno. Quell’estate il governo decise di scontare del 40% il costo dei viaggi in treno e centinaia di migliaia di persone ne usufruirono. Molti visitarono le spiagge per la prima volta, altri si recarono a far visita a parenti o si impegnarono in campi e attività in giro per il paese. «Provate a immaginare cosa significherebbe – spiega Alexandra – per la nostra salute e per il pianeta, è tempo di muoversi in questa direzione». (da Il Cambiamento – febbraio 2015) NELLE SCUOLE EUROPEE I BAMBINI NON RESPIRANO ARIA BUONA In Italia poca ventilazione e pulizia. Serve l'infermiere scolastico. Nelle scuole italiane ed europee non si respira una buona aria: Complici i doppi vetri, uniti all'assenza di ventilazione, aule densamente popolate, la vicinanza a strade trafficate e problemi di pulizia, i bimbi di asili e elementari sono a contatto con micropolveri sottili (Pm 2.5), radon, ma anche benzene, anidride carbonica e formaldeide. A scattare la fotografia della qualità dell'aria in 114 scuole frequentate da 5.175 bambini (264 dell'asilo) e 1.223 insegnanti in 54 città di 23 Paesi europei sono i risultati di Sinphonie, una ricerca finanziata dall'Ue. In Italia lo studio ha interessato sei istituti: due in Sicilia (Palermo), due in Toscana (Pisa) e due in Lombardia (Milano). Lo studio ha rilevato che l'85% degli scolari europei è esposto a micropolveri sottili in concentrazioni superiori a 10 microgrammi per metro cubo, valore guida medio annuo raccomandato dall'Oms, la metà è esposto a quantità eccessive di radon e un quarto a troppo benzene, sempre facendo riferimento ai parametri Ue e Oms. A questo va aggiunto che oltre il 60% dei bambini è esposto a valori elevati di formaldeide, senza contare una presenza significativa di anidride carbonica. Respirare troppi inquinanti significa un maggiore rischio di soffrire di sintomi legati a malattie respiratorie e di certo non aiuta chi un problema lo ha già: l'8% degli scolari soffre di asma, il 9% di allergie nasali e il 17% di eczema. E il 3,6% dei bambini, poi, ha avuto un attacco di asma a scuola. Secondo Piersante Sestini, docente di malattie respiratorie all'Università di Siena e fra gli autori della ricerca "i problemi sono diversi a seconda dei Paesi, dell'età e tipologia degli edifici, della posizione della scuola e anche delle abitudini, ad esempio se i bimbi rimangono tutto il giorno nella stessa classe o se si spostano". "Da noi, come in Francia racconta l'esperto - il problema principale è quello della ventilazione: abbiamo privilegiato il risparmio energetico creando degli ambienti stagni", dove quindi gli inquinanti si accumulano, che sia il benzene che arriva dalla strada o la semplice anidride carbonica, la polvere o il gesso. "La scuola è uno degli ambienti a maggiore densità di persone, va considerato a metà fra un carcere e un aereo di linea" spiega Sestini, che avverte: "Il punto non è che la scuola provochi l'asma, quanto il fatto che debba essere attrezzata a ricevere un bimbo asmatico, e le scuole italiane non lo sono". A fare la differenza, oltre all'introduzione di un sistema di ventilazione, sarebbe la presenza di un infermiere scolastico (una figura presente nel Nord Europa), per l'assistenza sanitaria quotidiana, ma anche il controllo del servizio pulizie, "che buona parte delle scuole in Italia non hanno, perché è gestito dal proprietario dell'edificio, in genere comune o provincia" conclude Sestini. (da Ansa.it–Ambiente&Energia – febbraio 2015) LA REGIONE DIMENTICA TRENI E AUTOBUS: COSÌ SOFFOCHIAMO NEL PM10 Dal 2010 a oggi in Italia ci sono stati complessivamente tagli pari al 6,5% nel servizio ferroviario regionale con punte di 1 treno ogni 5. E’ la fotografia fatta da Legambiente in occasione della campagna “Pendolaria” che censisce le peggiori linee ferroviarie d’Italia, selezionate sulla base di dati oggettivi e proteste da parte dei pendolari. Lo abbiamo pubblicato 2 mesi fa: fra le 10 peggiori d’Italia anche una linea veneta, la Portogruaro-Venezia di 62 km, segnalata da tantissimi pendolari poiché ha visto un continuo e notevole calo dell’offerta, in particolare negli orari serali. La responsabilità? nel mancato finanziamento regionale. In generale, da un anno il servizio ferroviario va a letto “come le galline”, muoversi in treno dopocena è difficoltoso, ancora di più se ci si volesse spostare dopo le 22. Eppure, secondo la stima della Fondazione Pellicani, fatta con i dati di marzo 2012 della Direzione Mobilità della Regione Veneto, sono 9.000 gli utenti in Veneto che da dicembre 2013 si sono trovati senza più treni tra le 22 e le 06 del mattino (5.000 soltanto tra le provincie di Venezia, Treviso e Padova). La situazione è ancor più problematica per i residenti dei centri minori (non toccati dalle corse chiamate “Regionali Veloci”) e per le linee “secondarie” (Treviso-Portogruaro, Mantova-Monselice, Vicenza-Schio, le linee della Valbelluna e del Cadore, solo per citarne qualcuna): ci sono realtà pesantemente isolate. Perché tutto questo? Perché sono mancati gli investimenti: solo 0.13% del bilancio regionale 2014 del Veneto è destinato ai trasporti ferroviari. “Occorre urgentemente rilanciare una nuova stagione per il trasporto pubblico e per i treni dei lavoratori – dichiarava a dicembre Andrea Ragona, responsabile mobilità di Legambiente Veneto -, ce n’è assoluto bisogno dopo quattordici anni di dominio di Renato Chisso”. L’attenzione dell’ex assessore, oggi agli arresti per corruzione, è stata solo a favore di strade e cemento e non del trasporto pubblico. “La neo assessore Elena Donazzan ha il compito di recuperare i danni perpetrati e ritardi accumulati”- abbiamo scritto a dicembre. Fin qui parole al vento. Infatti nel bilancio di previsione 2015 in fase di approvazione per quanto riguarda la spesa corrente (Fondo Regionale Trasporto Pubblico Locale e Viabilità) la Regione Veneto si limita a iscrivere a bilancio la quota del Fondo Nazionale Trasporti senza alcuna integrazione di risorse regionali, come invece fanno altre regioni. Nell’audizione della Commissione Bilancio del Consiglio del 27 gennaio scorso, la Filt CGIL Veneto ha argomentato di una situazione drammatica, portando due richieste precise di finanziamento per la mobilità in Veneto: 268 milioni di € per il TPL pari ai livelli del 2011 e almeno 165 milioni di € per il ferroviario. “E’ un incremento di 27 milioni di euro rispetto al FNT – ricorda Ilario Simonaggio Segretario Filt Veneto – ma non vediamo alternative dignitose considerato le difficoltà di numerose aziende del TPL e l’avvilente situazione del trasporto ferroviario”. Per quanto riguarda gli investimenti (conto capitale) la Filt ha chiesto il completamento della prima fase del SFMR entro il 2015 e il finanziamento della seconda fase entro la prossima legislatura. Ha chiesto l’ammodernamento di bus e vaporetti come vincolo annuo e un investimento ventennale, tramite mutuo, almeno triplo della cifra attualmente messa a bilancio dalla Regione (12.9 milioni di €) per garantire una pianificazione continua di sostituzione e mantenimento del materiale rotabile che eviti i disservizi dovuti a guasti tecnici e una migliore qualità dei viaggi in treno per i pendolari. Siamo nella morsa dell’inquinamento da Pm10 (scarica il Dossier Mal’Aria). Ci si ammala, si muore e si spendono soldi della Sanità Pubblica: per questo è inaccettabile che per tutto il TPL la spesa in conto capitale si fermi a nemmeno 1/10 di quanto messo a disposizione per la viabilità automobilistica! Oggi (6 febbraio) le Organizzazioni Sindacali hanno incontrato l’assessore Donazzan, portandole questi numeri. Nei prossimi giorni conosceremo le risposte. (da Ecopolis Newsletter di Legambiente Padova – febbraio 2015) STOP TTIP!! POLLO AL CLORO? NO, GRAZIE! GRANO E MAIS OGM? NO, GRAZIE! ACQUA PRIVATIZZATA? NO, GRAZIE! CARNE AGLI ORMONI? NO, GRAZIE! SANITÀ SOLO PRIVATA? NO, GRAZIE! Il TTIP è un processo di privatizzazione di tutto ciò che è pubblico, di tutto ciò che è bene comune, per questo VA FERMATO! SABATO 7 FEBBRAIO alle ore 20,45 presso l'Auditorium dell'Assunta, in Via Palù 2 a Rubano (PD), con ingresso libero (evento organizzato dal Gruppo M5S di Rubano: www.rubano5stelle.it) Relatori: • Elena Mazzoni Coordinatrice Campagna Nazionale Stop TTIP • Filippo Zaccaria Educatore Alimentare, Associazione La Biolca • Silvia Benedetti parlamentare M5S XIII. Commissione Agricoltura • Franco Zecchinato, Associazione Italiana per l'Agricoltura Biologica • Silvia Ferro, Tecnico di campo- esperta in agricoltura biodinamica • • • • • • • • Mangeresti un pollo trattato con il cloro? E una bistecca agli ormoni? E che ne dici del pane o della polenta prodotti con grano o mais geneticamente modificati? E se in violazione dell'esito referendario, ti trovassi ad avere l'acqua privatizzata con un costo differenziato in base al suo utilizzo? Vorresti un servizio sanitario attivabile solo con carta di credito anzichè con la tessera sanitaria del cittadino? Accetteresti che la tutela della tua salute, dei beni comuni e della Costituzione, venisse posta in secondo piano rispetto agli interessi delle multinazionali? Il trattato di libero scambio commerciale tra UE e USA (TTIP) comporterà tutte queste possibilità. Il profitto sarà sopra ogni cosa: le Persone, la Natura, la Dignità. PER LA CAMPAGNA “STOP TTIP ITALIA”: COSA PUOI FARE TU?: lnformarti sul TTIP ed informare le persone che conosci; Unirti al Comitato Cittadino Stop TTIP per organizzare eventi nel tuo quartiere, nel tuo condominio, ecc.; • Proporre iniziative per fermare questo trattato PER INFO - ADESIONI e CONTATTI: Email: [email protected] • Tel. 3281312595 Web: www.stop-ttip-italia.net - (scarica QUI il volantino completo) • • (da Osteria di Fuori Porta – gennaio 2015) IL MAGICO MONDO DEI LEGUMI Se si visita il sito della Fondazione Slow Food per la Biodiversità si può accedere a un ricchissimo catalogo diviso fra i prodotti dell’Arca del Gusto e quelli dei Presìdi Slow Food, con le descrizioni, i contatti degli agricoltori, la stagionalità dei prodotti. Si tratta di un inventario unico di alimenti strappati all’estinzione con tenacia, creatività e con la collaborazione di una rete capillare, in cui i produttori si uniscono virtualmente ai cittadini in maniera proficua per entrambi. Nei due elenchi – Arca e Presìdi –, se si fa una ricerca per categoria merceologica ci si rende immediatamente conto del “peso” numerico che hanno le varietà di legumi: significa da un lato che la biodiversità di questi prodotti è ancora molto ricca, dall’altro che è anche tra le più in pericolo. Riflettete un momento su quali sono i vostri consumi abituali di legumi: è molto probabile che vi accorgerete di trascurarli nella vostra dieta quotidiana e del resto siete in linea con una tendenza che li vede storicamente sacrificati in favore della carne. Fagioli di ogni foggia e colore, ma soprattutto fave, ceci, lenticchie, particolari tipi di piselli, cose curiose come la cicerchia: le possibilità sono quasi infinite e il fatto che, una volta essiccati, i legumi sono ideali per lunghe conservazioni li rende nel complesso un vastissimo bagaglio di gusti e profumi a cui attingere per mangiare bene e convenientemente nei mesi freddi. Sono nutrienti e la loro produzione è più sostenibile rispetto a tutte le fonti di proteine animali: sono un modo per far del bene a se stessi, all’ambiente e in molti casi anche al portafogli. I legumi più rari dei Presìdi Slow Food costano di più della media, nei casi estremi anche molto di più, ma è un prezzo pienamente giustificato dallo sforzo agricolo e di risorse umane che si fa per tenerli in vita, nonché dalla loro particolare qualità, eccellente, viste le loro caratteristiche organolettiche speciali. Ripensiamo ai legumi e a consumarne di più, soprattutto in questa stagione che ha meno da offrire rispetto a primavera ed estate in tema di cibo locale. Riscopriamo i legumi d’Italia partendo da quelli che si coltivano più vicino a casa nostra, senza disdegnare un vero e proprio tour gastronomico virtuale che possiamo fare ordinando direttamente dai contadini o dai consorzi che li stanno strappando dall’oblio in quasi ogni Regione. (da Slow Food – febbraio 2015) queste le ultime proposte di lettura per la settimana: • Fare agricoltura da Biolcalenda di La Biolca –febbraio 2015 • Cerimonia con delinquente - Noi onesti stranieri in patria da Il Fatto Quotidiano – febbraio 2015 • I cambiamenti climatici e la biodiversità: un futuro in pericolo. e • «Sfidiamo la precarietà con il chilometro zero» e • Una manciata di gruppi privati possiede la maggior parte della terra in Europa da Il Cambiamento – febbraio 2015 • In Sicilia i semi antichi per combattere l’agri-business da Italia che cambia – febbraio 2015 ^^^^ ....gli ultimi giorni ci hanno portato freddo, vento, neve, pioggia…si sta bene in casa e c’è bisogno di riscaldarsi….la nostra proposta per cena è quindi: Zucca, salsiccia e orzo (ricetta suggerita da Slow Food) ….e Buon Appetito!!
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