Nigeria, il suo futuro e quello dell`intera Africa

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Nigeria, il suo futuro e quello
dell'intera Africa
Dal sito dell'ISPI (Istituto per gli Stodi di Politica Internazionale)
traiamo questo articolo del professor Gian Paolo Calchi Novati, tra i
più insigni studiosi della storia e delle istituzioni del continente
18 febbraio 2015
di GIAN PAOLO CALCHI NOVATI
ROMA - Il prossimo voto - se e
quando avverrà - in Nigeria per
scegliere il presidente della
Repubblica è più di una elezione,
non assomiglia alle consultazioni
elettorali che si sono succedute
ogni quattro anni dopo la
restaurazione di un sistema
democratico basato sul
multipartitismo. Per la prima volta
non c'è un candidato pressoché
sicuro di vincere prima che gli
Il professor Gian Paolo Calchi Novati elettori vadano alle urne. E questo
può essere il segno della maturità raggiunta dalle istituzioni politiche. L'altra
novità - non propriamente di buon auspicio - è che di uno dei candidati maggiori,
che è anche il presidente uscente, si contesta lo stesso diritto di "correre". Quell'accordo sull'alternanza cristiani-musulmani. Goodluck Jonathan è
stato presidente per un mezzo termine come vice di un presidente morto durante
il suo primo mandato, è stato eletto quattro anni fa e si presenta per quello che si
potrebbe configurare come un terzo mandato (che sarebbe vietato dalla
Costituzione). Come se non bastasse, Jonathan è un cristiano del Sud e un
accordo sull'onore fra le due maggiori comunità religiose, di cui esistono peraltro
anche delle versioni scritte, contempla il principio dell'alternanza fra un cristiano
del Sud e un musulmano del Nord, con la facoltà di restare al potere per due
mandati e non di più. Mentre Jonathan argomenta che i suoi primi anni come
presidente appartengono ad una consultazione in cui a imporsi fu un musulmano,
gli avversari, di fatto la componente musulmana della popolazione e delle forze in
campo, ritengono che il capo dello Stato stia infrangendo il tabù del terzo
mandato. Il caso non ha precedenti e non esistono pronunce o interpretazioni
capaci di fare testo. Un'ulteriore frattura nei rapporti: possibili esiti gravi. Un'ulteriore incrinatura
della fiducia fra cristiani e musulmani, già messa a dura prova da una diversa
percezione dei risultati della politica in generale, potrebbe avere effetti
gravissimi in tutto il Paese. L'insorgenza islamista che fa capo a Boko Haram è
solo un aspetto, di per sé drammatico e calamitoso, dell'ardua convivenza in
Nigeria fra Nord e Sud e fra musulmani e cristiani. Il quadro d'insieme può
sembrare contraddittorio. Dal Nord sono venuti molti dirigenti del governo
centrale (quasi tutti i capi dello Stato o delle giunte militari fino all'era Obasanjo).
Il governo e l'esercito federale hanno soffocato la secessione tentata nel 1967
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dalla regione sud-orientale con il nome di Biafra e capitale Enugu: è trascorso
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quasi mezzo secolo, ma la memoria della guerra è ancora viva e il sentimento
delle popolazioni del Delta è di aver subito un sopruso. Data pubblicazione: 18/02/2015
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Il monaco
21:10 - 23:00
Nel Nord i centri del sapere islamico, a Sud gli affari. Nel Nord sono situate
le città che hanno fatto la storia degli hausa-fulani e le università sedi del sapere
islamico. Ma sono nel Sud i centri del commercio con il mondo esterno e le
fondamenta dell'economia, si tratta dall'oil (olio di palma) all'oil (petrolio). Si è
formato nel Sud, fra gli yoruba e gli igbo (due etnie, rispettivamente del Sud
Ovest e del Sud Est, n.d.r.) il pensiero e il movimento nazionale che si è fatto
tramite dei modelli venuti dall'Europa. Secondo la storiografia nigeriana, fondata
da J. F. A. Ajayi (storico nigeriano n.d.r.) il dominio europeo ha interrotto ed
espropriato un processo di centralizzazione e, in ultima analisi, di
modernizzazione ispirato dall'esperienza islamica, che culminò all'inizio
dell'Ottocento nell'impero di Sokoto. Con l'avvento del colonialismo, il fulcro della
statualità e del progresso si è spostato verso le regioni meridionali, aprendo un
contenzioso che ha avvelenato le vicende della Nigeria indipendente. Anche oggi
la "modernità" viene declinata piuttosto sui metri della società del Sud, che è
quella più segnata anche esteriormente dall'influenza del mondo colonialeoccidentale. Solo per amore - Stagione
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Un presidente delegittimato. Una delegittimazione di Goodluck Jonathan - con
il disconoscimento del suo eventuale successo da parte del rivale più
accreditato, Muhammadu Buhari, che si presenta alla testa dell'All Progressive
Congress come il portavoce dei musulmani, o per l'impossibilità di votare in tutta
sicurezza in certe zone del Nord-Est, malgrado il rinvio dal 14 febbraio al 28
marzo - finirebbe per riproporre quell'insieme di fatti storici e narrative deformanti
che costituisce la "questione settentrionale". Jonathan è pur sempre il candidato
del People's Democratic Party, che è considerato il partito maggioritario e ha
espresso tutti i presidenti da Olusegun Obasanjo (1999-2007) in poi (compreso
il musulmano Umar Yar'Adua, che si affermò nel 2007 alla testa del ticket che
comprendeva anche Jonathan). Il contraccolpo negativo non peserebbe solo
sulle sorti della stabilità interna. La Nigeria è il "gigante" dell'Africa e le
conseguenze non si fermerebbero alla Nigeria.
I più ricchi, ma con enormi sacche di povertà. Da quando un diversa
misurazione l'ha elevata al primo posto nella graduatoria dei paesi africani per
volume dell'economia, detronizzando il Sud Africa, con cui è in lizza per
l'egemonia nel continente, la Nigeria ha responsabilità che riguardano appunto
tutta l'Africa (e non solo perché i combattimenti, di e contro Boko Haram, si
stanno estendendo verso il Ciad e il Camerun). L'emergenza indotta dal
jihadismo si concilia poco con le ambizioni di leadership. Non per niente è il Sud
Africa e non la Nigeria a rappresentare l'Africa nei Brics e nel G20. La Nigeria
rischia di essere essa stessa un "buco nero". Molti dati del profilo socioeconomico della Nigeria, del resto, sono ancora da Paese molto sotto la soglia
dello sviluppo e lontano da un'eguaglianza almeno accettabile. La grandezza
della Nigeria appare tanto più rilevante perché essa si trova in una regione,
l'Africa occidentale, molto spezzettata. La "balcanizzazione" paventata da
Léopold Sédar Senghor (politico e poeta senegalese n.d.r.) non trovò rimedio al
momento della decolonizzazione in funzione dei residui disegni di egemonia
nutriti dalla Francia e il nazionalismo territoriale ha fatto il resto. Lo "sganbetto" e le mire dei francesi. In Africa occidentale la Nigeria detiene
quasi naturalmente una posizione di preminenza. È con tutta evidenza la potenza
leader dell'organizzazione regionale per l'Africa occidentale, l'Ecowas, ed ha
spesso forzato l'agenda di un'associazione eminentemente economa
utilizzandola in operazioni di peace-enforcing in Liberia e Sierra Leone. Non è
scontato che una simile sovraesposizione della Nigeria, che capitanò sia l'una
che l'altra forza d'intervento, si sarebbe potuta verificare e potrebbe ripetersi in
un paese francofono. Al tempo della guerra innescata dall'auto-proclamazione
dell'indipendenza del Biafra, la Nigeria subì, se mai, una specie di offensiva
francese o francofila. Se nel 2013 il governo di Hollande anticipò i tempi
dell'operazione in Mali senza aspettare la formazione di un esercito africano,
come prescrivevano le decisioni dell'Onu, fu anche perché di quell'esercito la
Nigeria sarebbe stata ovviamente il perno. La discrasia Nord-Sud sfruttata da Boko Haram. Il governo nigeriano non
condivide la preconcetta ostilità del Sud Africa per la gestione extrafricana delle
crisi africane. Per la sua posizione geopolitica e per la virulenza dell'attacco di
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Boko Haram, la Nigeria è più esposta alle crisi in cui compaia la minaccia
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jihadista e si rifugia sotto l'ombrello della war on terror. Passata la prima
sorpresa, anche nella vicenda del Mali ha finito per offrire collaborazione alla
Francia mettendo da parte i risentimenti. Per far fronte a Boko Haram, la Nigeria
partecipa a progetti multinazionali che hanno coinvolto, oltre ad altri paesi
dell'area saheliana, anche Parigi: se una simile coalizione può conferire qualche
vantaggio sul piano militare (ma finora i risultati sono stati scarsi), essa rischia
di avere effetti controproducenti sulla compattezza nazionale toccando
sensibilità di sovranità e identità molto delicate. Boko Haram, benché
incompatibili con lo stragismo, i rapimenti e la costrizione di donne e bambini,
sbandiera insegne come il patriottismo e il buon governo sfruttando
spietatamente la discrasia fra Nord e Sud per reclutare adepti e allargare il
consenso. Gli islamisti fanno dimenticare gli altri problemi. Sul modo di condurre la
repressione il dibattito è aperto ai vari livelli della società nigeriana. I due partiti
maggiori si accusano a vicenda di speculare sulla ribellione a fini elettorali. Non
tutti accettano gli eccessi di "militarizzazione" anche sul versante della risposta
dello Stato all'attacco di Boko Haram. Un quinto del bilancio dello Stato serve a
finanziare difesa e forze armate. Nei comandi dell'esercito sarebbe in atto una
faida fra i fautori del Security First e gli ufficiali che credono di più in una
strategia politica. Il fanatismo dei miliziani di Abubakar Shekau fa dimenticare i
problemi socio-economici e religiosi. Un dialogo per la concordia nazionale è
stato sollecitato anche da un consesso con la partecipazione delle massime
autorità di tutte le fedi religiose.
* Gian Paolo Calchi Novati, insegna storia e istituzioni dei paesi afro-asiatici
all'università di Pavia e collabora con l'Ispi, Istituto di studi di politica
internazionale
nigeria boko haram Goodluck Jonathan Abubakar Shekau spi,
Istituto di studi di politica internazionale Islamisti Léopold Sédar Senghor
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