la ferita alla democrazia inferta dal jobs act

sInIstra lavoro
settImanale
anno II - numero 10 - 24 febbraio 2015
www.sinistralavoro.it - [email protected]
la cgil riprende la lotta
e dopo le grandi manifestazioni del 25 ottobre e dello sciopero generale del 12 dicembre, “che fare”? Questo l’interrogativo che sempre più pressante veniva fuori in
ogni discussione in casa cgil, sia che si trattasse di riunioni di organismi dirigenti,
sia che si trattasse di assemblee nei luoghi di lavoro.
di Matteo Gaddi
impensabile fingere che non fosse
successo niente; o peggio ancora
fingere che il governi renzi non
stia continuando con le sue politiche di sistematica cancellazione
dei diritti dei lavoratori.
per questo il direttivo del 18 febbraio della cgil ha discusso e definito le modalità di prosecuzione
della mobilitazione a contrasto
della legge delega sul lavoro e relativi decreti, con l’obiettivo dichiarato di dare continuità alle
iniziative sin qui intraprese. una
decisione diversa non sarebbe
stata compresa dai lavoratori.
e’ positivo, quindi, l’impianto del
documento approvato a larghissima maggioranza dal direttivo
nazionale nel quale si ribadisce il
giudizio negativo sulle politiche
del governo di attacco al lavoro e
alla democrazia e con un importante riferimento all’esito delle
elezioni in grecia che rappresentano la richiesta di un’altra politica economica e sociale.
la cgil, quindi, intende contrastare la scelta del governo di
smantellamento dei diritti dei lavoratori a partire dalla decisione
di “essere a fianco di tutti i lavoratori e le lavoratrici”, rafforzando le
tutele e contrastando gli effetti
del decreto e valutando tutte le
possibilità di ricorsi giudiziari.
ma ad emergere sono soprattutto
due aspetti di carattere generale,
attraverso i quali si conferma che,
a fianco della tutela più specifica,
si devono accompagnare strumenti di carattere “generale”.
il primo: la necessità di definire
una ipotesi di un nuovo statuto
delle lavoratrici e dei lavoratori,
da presentare come proposta di
legge, che abbia la caratteristica
di riunificare il mondo del lavoro
attraverso un processo di innovazione e di rafforzamento di diritti
e tutele. chiaramente si tratterà di
una campagna che dovrà raccogliere milioni di firme a sostegno
di questo progetto, da far vivere
in tutti i luoghi di lavoro e i territori.
il secondo: la possibilità che il
contrasto al Jobs act avvenga
anche attraverso “proposte abrogative”.
non viene detto esplicitamente
ma il senso è chiaro: non si
esclude il ricorso al referendum.
ci sono anche altri aspetti meritevoli di rilievo nel documento del
direttivo cgil: la ripresa dell’obiettivo di rimettere in discussione la legge fornero sulle
pensioni (seppur a partire da uno
strumento non pienamente soddisfacente come la piattaforma unitaria con cisl e uil del giugno
scorso); il sostegno di tutta la
struttura alla campagna per il rinnovo delle rsu nel settore pubblico, anche per sostenere il tema
della rappresentanza sindacale; la
legge di iniziativa popolare sugli
appalti per la quale è stata indetta, per il 19 marzo, una giornata nazionale di raccolta firme in
tutti i luoghi di lavoro, preceduta
da momenti di informazione e da
attivi dei delegati e dei pensionati;
1
la difesa dei ccnl e dei loro rinnovi per respingerne i tentativi di
definitivo smantellamento o di restituzione del salario contrattato,
che rappresenterebbero la fine dei
ccnl e del suo ruolo di tutela universale. su quest’ultimo punto, se
è vero che oggi appare impraticabile la definizione di un nuovo
modello contrattuale, è altrettanto
vera la necessità che la confederazione in quanto tale individui 45 punti qualificanti da porre come
“linee guida” per il rinnovo dei
ccnl delle varie categorie, svolgendo in concreto, quindi, quel
ruolo “confederale” tante volte dichiarato.
fin qui tutto bene. ma non bisogna ritenere che tutto sia stato risolto in questo documento: i suoi
contenuti vanno praticati concretamente. Questo documento,
quindi, deve risultare la guida dell’azione sindacale del prossimi
mesi, per tutte le categorie e per
tutte le camere del lavoro.
le cose scritte e votate vanno praticate davvero. anche da quei settori interni alla cgil che hanno un
po’ di “mal di pancia” nei confronti di un atteggiamento un po’
più combattivo del nostro sindacato.
i tempi sono altrettanto importanti; a fronte di un governo che
marcia a tappe forzate è importante che la risposta del mondo
del lavoro sia tempestiva.
infine la larghissima maggioranza
che ha approvato il documento,
con un ruolo importante di democrazia e lavoro, è un dato da sottolineare, soprattutto alla luce
dell’assenza di proposte alternative da parte di chi non ne ha condiviso i contenuti.
italia/economia
roberto romano
i novelli re mida
presso le istituzioni internazionali (ocse, fmi, commissione europea) c’è un virus pericolosissimo. mentre le rilevazioni statistiche su crescita, occupazione e mercato
del lavoro sono realmente tragiche, la presentazione pubblica degli stessi dati si
trasformano in oro, come faceva re mida con oggetti e persone.
lo scenario di riferimento è sempre lo stesso: la riduzione del valore dell’euro e del prezzo del
petrolio, il quantitative easing
(Qe) della bce e le riforme del
mercato del lavoro favoriscono la
crescita economica. restando alle
previsioni economiche per l’italia,
il responsabile dell’ocse, gurria,
si è spinto a sostenere che: “il
Jobs act può essere il vero motore
del cambiamento”, mentre i dati
su crescita economica e occupazione presentati dall’ocse e dall’istat sono, se possibile,
peggiori delle previsioni invernali
della commissione europea e
della legge di stabilità di padoan
e renzi. serve un psicologo, non
un economista.
lo scenario di crescita delineato è
pessimo. non solo il 2014 è andato peggio delle stime iniziali,
ma le previsioni per il 2015 sono
ancor più basse di quelle della
commissione europea. l’ocse
prevede una crescita dello 0,4%,
contro uno scenario “positivo” di
governo e commissione europea
dello 0,6%.
la statistica consegna un quadro
drammatico del paese, ciò nonostante gurria sostiene che il governo
renzi
“ha
scelto
chiaramente un team efficace…
nel 2014 si sono fatti grandi passi
in avanti sulle riforme” (gurria,
ocse). non solo. le previsioni potrebbero andare meglio, qualcuno
ci aiuti, appena le liberalizzazioni
e privatizzazioni e, ovviamente, il
Jobs act entreranno a regime.
complessivamente una crescita
aggiuntiva di 3,2 punti di pil: 2,6
dalle liberalizzazioni e 0,6 punti
dal Jobs act.
contemporaneamente l’istat presenta i dati su disagio sociale e lavoro: il 23,4% delle famiglie
italiane vive in una situazione di
disagio economico, per un totale
di 14,6 milioni di individui, men-
tre il 12,4% dei nuclei si trova in
grave difficoltà. il lavoro? in italia
lavorano meno di 6 persone su
10, cioè peggio di grecia, croazia
e spagna, con 2,5 mln di giovani
che non lavorano e non studiano.
come per il tasso di occupazione,
solo la grecia ha fatto peggio
dell’italia.
nonostante il Jobs act, l’ocse sostiene la necessità di ulteriori riforme del mercato del lavoro.
occorre domandarsi quali a questo punto. la schiavitù?
serve veramente uno psicologo da
quelle parti. prendendo i dati
dell’ocse relativi alla legislazione
a protezione del lavoro (epl), scopriamo che dal 1990 al 2013 tutti
i paesi hanno contratto le tutele a
favore del lavoro. la germania
comprime le tutele da 2,9 del
1990 a 2,0 del 2013, mentre l’italia passa da 3,8 del 1990 a 2,3 del
2013. sostanzialmente l’italia non
registra maggiore o minori livelli
di tutela del lavoro rispetto ad
altri paesi. solo la francia rafforza
la sua posizione passando da 2,7
del 1990 a 3 del 2013. inoltre,
questo indicatore è al netto del
Jobs act.
una stima di questo indice dopo
l’introduzione del Jobs act farebbe precipitare l’italia al livello
dei paesi emergenti, con tutte le
implicazioni di politica industriale. un altro e non banale
aspetto è legato alla velocità dell’italia nel ridurre le tutele del lavoro. al netto della francia che ha
alzato il livello delle proprie tutele
tra il 1990 e il 2013 dell’11,1%
(variazione 1990-2013), tutti i
paesi considerati hanno ridotto il
proprio indice, ma l’italia ha registrato un tasso di riduzione del
39,5%. solo spagna e grecia
hanno fatto peggio.
ma il dibattito giornalistico e politico nasconde queste informazioni. provate a leggere i giornali
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di oggi e osserverete che solo il
manifesto sembra fare informazione (di servizio). c’è qualcosa
che inquina la discussione politica
ed economica. spesso si discute a
sproposito della produttività del
lavoro, ma quanti sanno che la
produttività del capitale italiano
tra il 1992 e il 2012 (istat, dicembre 2013) è una frazione della
produttività del lavoro?
Qualcuno deve pur raccontare che
nel periodo considerato la produttività del capitale è stata negativa
dello 0,7 mentre quella del lavoro
è stata positiva dello 0,8. il problema non è se siamo usciti dalla
crisi “tecnica”, arresto dell’arretramento del pil, piuttosto se l’italia
è uscita dalla crisi di struttura.
l’istat ricorda che la minore crescita del 2014 è interamente attribuibile alla diminuzione del valore
aggiunto di agricoltura e industria, solo in parte compensato da
quello dei servizi. ma questo tipo
di considerazioni non possono
raccontare cosa si cela dietro la
crisi nella crisi dell’italia. riforme
o non riforme, l’italia tra il 1996 e
il 2014 è crescita meno della
media europea di ben 19 punti di
pil, con una ulteriore aggravante:
investiva in media più degli altri
paesi e, crisi dopo crisi, aumentava il gap annuale di minore crescita del pil rispetto alla media
europea. siamo passati da meno
0,5 punti del 2000 a meno 1,8
punti del 2014. se poi pensiamo
alla contrazione della produzione
di beni strumentali, la peggiore
tra i paesi europei, possiamo
comprendere come l’italia abbia
compromesso quel vasto patrimonio di conoscenze che poteva contribuire all’uscita della crisi di
struttura. forse siamo usciti dalla
recessione, ma aspettiamo ben
altri segnali. relativamente alla
crisi di struttura dobbiamo lavorare ancora molto.
al centro
il lavoro
la ferita alla deMocrazia
inferta dal jobs act
il duro colpo inferto alla democrazia è costituito dal fatto che con la legge di riforma
del mercato del lavoro n. 183 del 2014, il Jobs act, e soprattutto dello “schema di decreto
legislativo recante disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a
tutele crescenti”, viene meno il senso più profondo della parola democrazia, intesa Quale
eQuilibrio tra i poteri che hanno a garanzia un contrappeso.
di annalisa radice
equilibrio che passa dal rapporto
tra poteri pubblici e cittadini, tra
chi governa e chi è governato, e
tra questi e il potere giudiziario.
purtroppo la legge di riforma sembra invece essere dominata dalle
“universali e naturali leggi del
mercato”, che conducono a valutazioni e reazioni radicalmente diverse.
la nostra bellissima carta costituzionale ha posto proprio nel
primo articolo un’equazione tanto
semplice quanto rivoluzionaria:
“l’italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”.
le comunità umane che non si
fondano sul lavoro non possono
che fondarsi su rendite e privilegi
e quindi non possono essere democratiche.
con la legge 300 del 20 maggio
1970 in poi abbiamo conosciuto il
significato della dignità del lavoro
e del lavoratore proprio grazie ai
principi di democrazia che lo statuto dei lavoratori e la coscienza
collettiva costruita con decenni di
lotte sindacali hanno portato dentro ai luoghi di lavoro rendendo il
lavoratore un cittadino libero e
non asservito al potere esercitato
dal datore di lavoro, stabilendo i
fondamenti di una nuova “democrazia economica” arrivando a introdurre il concetto di “impresa
responsabile”.
il lavoro in sé è democrazia perché si inserisce nella società, si
impone quale principale mezzo di
affrancamento dell’uomo dalla necessità e dal bisogno. Questa condizione consente al lavoratore di
affrontare con dignità le esigenze
via via più complesse che la vita
presenta”.
tali valori sono affermati nella
carta dei diritti fondamentali
dell’unione europea (avente piena
efficacia giuridica in quanto recepita nel trattato di lisbona), che
nell’imporre solennemente in
apertura l’inviolabilità della dignità umana (art. 1), statuisce il
divieto del lavoro in condizioni di
schiavitù (art. 5), il diritto dei lavoratori all’informazione e alla
consultazione nell’ambito dell’impresa (art. 27), il diritto alla contrattazione collettiva e allo
sciopero (art. 28), il diritto alla tutela “contro ogni licenziamento ingiustificato” (art. 30) e il diritto “a
condizioni di lavoro sane, sicure e
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dignitose” (art. 31).
il nesso inscindibile democrazia e
lavoro è patrimonio acquisito
dell’ordinamento giuridico italiano da oltre quarant’anni. dal
feudale obbligo di fedeltà e ubbidienza del lavoratore al proprio
padrone prescritto di fatto dagli
artt. 2104, 2105 e 2106 c.c. si è
passati con lo statuto dei lavoratori al dovere di mutuo, reciproco
e paritario rispetto: dell’art. 7
dello statuto (con precisi limiti
all’esercizio del potere disciplinare) e dell’art. 18 (con stringenti
vincoli al potere del datore di lavoro di porre fine al rapporto licenziando, attraverso l’obbligo di
reintegra), della possibilità di dequalificare in ogni momento il lavoratore adibendolo anche a
la ferita
del jobs act
mansioni produttive inferiori si è
arrivati alla irriducibilità del patrimonio professionale del lavoratore affermato dall’art. 13, dalla
libertà totale di vigilanza sul lavoratore con apparecchi audiovisivi
si è giunti a stringenti limiti nell’utilizzo della videosorveglianza
così come prescritto dall’art. 4
dello statuto.
con il Jobs act e in particolare con
la delega in materia di lavoro indeterminato a “tutele” crescenti il
valore della democrazia fondata
sul lavoro viene meno, così come
viene meno il ruolo della magistratura impedita a esercitare quel
contrappeso nella regolazione dei
rapporti tra due cittadini: lavoratore e datore di lavoro, a totale
beneficio del secondo.
nei provvedimenti traspare in
modo evidente la sfiducia verso il
lavoratore e riconosce sulla base
delle mere esigenze dell’organizzazione produttiva il vero e proprio “diritto di licenziare” da parte
del datore di lavoro, depotenziando enormemente la possibilità da parte del lavoratore di
riacquistare il proprio lavoro
anche a fronte di licenziamenti illegittimi. infatti, la reintegra prevista dall’art. 18 dello statuto dei
lavoratori ha costituito l’elemento
deterrente consentendo il valore
della democrazia nei luoghi di lavoro, oggi tale valore è venuto
meno per i lavoratori nuovi assunti, creando una ulteriore frattura nel mondo del lavoro.
e’ venuta meno l’idea di sospendere l’art. 18 per i primi tre anni
per poi ripristinarlo successivamente. nella stessa visione si colloca anche la decisione unilaterale
del datore di lavoro di decidere il
demansionamento del lavoratore
e anche la revisione della disciplina dei controlli a distanza si
colloca nello stesso solco.
la prospettiva che si apre con
questa riforma è inquietante e indica l’eclissi del modello democratico nell’ambito economico e
produttivo, sostituito dal ritorno
di un modello autocratico e verticistico, connotato da un lato dall’irresponsabilità e dall’immunità
dell’organizzazione di impresa
garantita dallo stesso ordinamento giuridico e, dall’altro, dall’introduzione
di
elementi
talmente destabilizzanti da ingenerare, nei rapporti lavorativi, il
germe della sfiducia, della paura,
del timore, dell’obbedienza e del
bieco servilismo.
Qualche esempio? anche in caso
di licenziamento dichiarato illegittimo dall’autorità giudiziaria,
quindi di fronte a una condotta illegittima del datore di lavoro, lo
stato stanzia un voucher, attraverso l’inps, a favore dei lavoratori disoccupati involontari al fine
di conseguire una ricollocazione
lavorativa attraverso l’intervento
di specifiche agenzie per il lavoro.
siamo tornati al tipo classico
dell’organizzazione autocratica,
caratterizzata da immunità/irresponsabilità verso l’esterno e
dalla riduzione/eliminazione dei
diritti al proprio interno.
per non parlare dell’estromissione
del ruolo della magistratura nell’impossibilità di giudicare la
sproporzionalità del licenziamento rispetto al fatto contestato,
dalle difficoltà che incontrerà il lavoratore nel ricorrere in giudizio
già oggi presenti nell’ordinamento e l’esiguità del sistema risarcitorio legato all’anzianità
lavorativa, in presenza del diffuso
precariato, ben al di sotto di
quanto era precedentemente previsto. con la mistificazione dei
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provvedimenti a “tutele crescenti”
i provvedimenti del jobs act continueranno. a breve verrà presentato
un
“testo
organico
semplificato delle discipline delle
tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro” ovverosia il cosiddetto “codice del lavoro”. il
legislatore, dunque, decide di
passare dallo “statuto dei lavoratori” al “codice del lavoro”.
l’ideologia del “codice del lavoro” ha alla sua base l’idea dello
scardinamento dei vecchi statuti
lavorativi privilegiati e la realizzazione della totale e assoluta libertà
contrattuale,
che
si
sostanzierebbe nella “libertà di
scelta” da parte dello stesso lavoratore.
ma quale libertà di scelta è data al
lavoratore nell’alternativa tra il destino di una disoccupazione priva
di una vera protezione sociale (in
assenza di meccanismi di reddito
minimo garantito essendo gli
unici in europa insieme a grecia,
spagna e portogallo) e un “lavoro
povero” non più solo di salario,
ma ora anche di diritti?
e’ questa un’offensiva senza precedenti, e gli attacchi sono mirati
verso i lavoratori e verso le organizzazioni sindacali che li rappresentano. la storia ci imporrà un
risveglio delle coscienze. dovremo decidere le forme più opportune per cercare di ritornare al
diritto positivo dentro i luoghi di
lavoro. con forme organizzative
diverse dal passato, tuteleremo i
bisogni materiali che le lavoratrici
e i lavoratori ci porranno rispetto
ai licenziamenti illegittimi e quelli
mascherati da motivi economici,
all’impoverimento dei salari e dei
diritti cui saranno sottoposti. di
fronte alla giungla che si è aperta,
sarà necessario affrontare i casi
che si presenteranno ricorrendo
alla consulenza anzitutto degli uffici vertenze e legali per tutelare
al meglio i lavoratori e le lavoratrici che si confronteranno con le
nuove e differenti tra di loro condizioni del lavoro.
al centro
il lavoro
rsu del pubblico iMpieGo
democrazia, difesa dei servizi pubblici, diritti di cittadinanza.
un voto di importanza epocale.
di adriano sgrò
il 3,4 e 5 di marzo le lavoratrici ed
i lavoratori delle pubbliche amministrazioni, della scuola e delle
università e di tutte le attività che
afferiscono ai servizi pubblici saranno chiamati al rinnovo delle
proprie rappresentanze sindacali
unitarie.
in moltissimi luoghi di lavoro del
paese si terrà un grande appuntamento per la democrazia nei luoghi
di
lavoro
e
per
la
partecipazione alla vita sindacale.
il governo renzi, nonostante la
pratica degli annunci mirabolanti
riguardanti riforma e miglioramento dell’amministrazione pubblica, in realtà si è concretamente
distinto per la riproposizione del
“fannullonismo” di marca brunettiana, per un autentico smantellamento dei servizi, per una nuova
contrazione delle dotazioni organiche e per una ingiustificabile assenza su argomenti sensibili quali
corruzione e informatizzazione
delle attività in generale.
il lavoro pubblico ha la necessità
di autentici interventi che devono
però inserirsi nella necessaria correzione di errori praticati negli ultimi anni.
il blocco della contrattazione e il
mancato aumento dei salari
hanno finito per riproporsi con
una poco comprensibile accettazione delle politiche di rigore imposte al nostro paese.
nonostante da più parti si sia dimostrata l’inadeguatezza della
mole di provvedimenti abbattutasi
sulla condizione del lavoro pubblico, si continuano a percorrere
strade orientate dalla contrazione
di risorse per i nostri servizi.
non occorrono grandi dimostrazioni accademiche per evidenziare i risultati negativi di una
spending review che non ha dato
risultati sulla spesa pubblica o sul
recupero di efficienza.
tuttavia il sindacato non può esimersi, proprio in occasione di
questa importante appuntamento,
dal presentare delle proposte che
possano essere considerate appetibili da parte di chi ha cuore un
modello di stato sociale universale e solidaristico.
per queste motivazioni la prima
sfida che si proporrà riguarda l’affluenza al voto. una partecipazione in linea con la disaffezione
alla politica registratasi durante le
ultime consultazioni elettorali,
getterebbe discredito tra le fila
sindacali e aprirebbe nuove e pericolose distanze per l’azione sociale.
per il sindacato esiste un possibile
recupero della caduta degli iscritti
oramai codificata a livello generale, solo ed unicamente attraverso la ripresa di una vera
battaglia contro le privatizzazioni
e le esternalizzazione dei servizi,
con un chiaro programma di lotte
finalizzate alla ripresa di una stagione di stabilizzazione del personale precario e, inoltre, con la
denuncia senza remore dell’autentico abbandono dello stato sociale
del
paese,
oramai
attraversato da logiche clientelari,
favorevoli all’ingresso dei privati e
in evidente contrasto alla salvaguardia delle professionalità presenti nei nostri servizi.
in questi anni la fp-cgil ha ottenuto risultati lusinghieri quando è
riuscita a bloccare l’applicazione
pratica dei provvedimenti del governo berlusconi e del ministro
brunetta.
non sono stati ottenuti i rinnovi
dei contratti, tuttavia sono state
impegnate risorse notevoli nel
contrasto, anche attraverso nume5
rosi scioperi e manifestazioni,
delle politiche di smantellamento
dei servizi.
con il governo monti prima e, subito dopo, con il governo renzi,
per ragioni legate al peggioramento della condizione economia
del paese, purtroppo non si sono
ribaltate le condizioni politiche al
fine di riprendere una nuova stagione negoziale o di controllo
delle modifiche organizzative attuate nei vari livelli istituzionali.
il caso delle a province ne è una
fedele dimostrazione, con le organizzazioni sindacali costrette
ad inseguire decisioni politiche
mai calibrate su un’attenta trasformazione di questi enti e con
la conseguenza di dover subire un
processo di trasformazione che
mette a repentaglio attività sovracomunali e gli stessi posti di lavoro di decine di migliaia di
lavoratrici e lavoratori.
il ventaglio delle problematiche è
quindi molto ampio ed è salutare
che in questa nuova stagione politica e sindacale la cgil sia in
campo per un impegno confederale e generale.
le lavoratrici e i lavoratori si attendono adesso una linea sindacale che apra spazi e che
determini condizioni favorevoli
alla riapertura del confronto per il
rinnovo dei contratti e per la stabilizzazione del personale precario.
mancano pochi giorni al voto, ma
vi è tutto il tempo per rimettere in
sesto e nella giusta direzione la
barra della navigazione sindacale.
la partecipazione al voto sarà fondamentale e servirà un po’ a tutto
il mondo del lavoro.
la cgil ne è consapevole, ne sono
consapevoli lavoratrici e lavoratori.
italia/grecia
marco bertorello
se atene vale meno di una banca
il ministro del tesoro padoan, a livello europeo prima, e il presidente della banca d’italia
visco al congresso dell’assiom forex poi, hanno rilanciato il progetto di una «bad bank»
per alleviare il sistema bancario italiano. un progetto che aleggia tra le soluzioni per
contrastare la crisi Quasi dal tempo della sua esplosione.
un progetto già approvato in altri
paesi dilaniati dalle difficoltà del
credito come la spagna e l’irlanda.
si tratterebbe di inventarsi una
formula legislativa e finanziaria
digeribile dall’unione europea, da
non confondersi con i vietati aiuti
di stato, e in grado di sottrarre dai
bilanci delle banche la gran quantità di crediti deteriorati, cioè
quell’insieme di incagli, sofferenze ed esposizioni ristrutturate,
che vanno dai clienti in difficoltà
a quelli in stato di insolvenza.
il fondo monetario calcola che per
l’italia i crediti deteriorati ammontino complessivamente a 181 miliardi di euro, che il ritmo con cui
escono dai bilanci degli istituti di
credito sia molto basso (7% annuo
circa) e che il loro peso sull’ammontare dei prestiti concessi sarà
destinato ad aumentare almeno
fino al 2019.
tali numeri sono la risultante
della crisi attraversata da cittadini
e imprese. Queste ultime, in particolare, non sono indifferenti
all’esito di questa partita per due
ragioni: da un lato le imprese italiane sono tra le più indebitate dei
grandi paesi, con circa un terzo di
esse in cui il profitto lordo è inferiore agli interessi che pagano alle
banche, e dall’altro perché la crisi
sta colpendo duramente il sistema produttivo, con difficoltà
evidenti sulla capacità di sopportare i debiti contratti.
così nasce l’idea di una bad bank
detta «di sistema», per dare risposte organiche alla crisi del credito
e per favorire banche e imprese in
primo luogo. essa dovrà comprendere un pacchetto di provvedimenti
che
vanno
dalle
agevolazioni fiscali a un sistema
per garantire le attività derivanti
dalla dismissione dei crediti in
sofferenza attraverso meccanismi
di cartolarizzazioni di titoli. farli
confluire in nuovi contenitori ap-
petibili per il mercato. è evidente
che tutti gli operatori si attendono
un ruolo da protagonista della
sfera pubblica nel fornire le adeguate garanzie.
il presidente dell’associazione
delle banche italiane, antonio patuelli, chiede di non chiamarla bad
bank, poiché non vorrebbe che
fosse intesa come l’ennesimo «regalo alle banche», ma più prosaicamente gian maria gros-pietro,
di intesa san paolo, ammette al
sole 24 ore che «se c’è un obiettivo di pubblica utilità che il singolo privato non ha convenienza
6
a perseguire, allora è giusto che si
usino mezzi pubblici».
ecco la portata sistemica. non
solo si intende salvare il sistema
bancario, ma si prova anche a raddrizzare il sistema dell’impresa. il
travaso dei debiti in vario modo
inesigibili, infatti, consentirebbe
anche di alleggerire la pressione
sull’impresa,
consentendo
a
quella parte di aziende ritenute in
qualche misura ancora sane di
poter sottrarsi alla morsa dei debiti e di potersi rimettere sul mercato, magari rafforzando i propri
patrimoni con le risorse che restano a disposizione.
la giustificazione adottata da vincenzo visco per questi aiuti è data
dalla mancanza di eccessi del sistema creditizio italiano rispetto a
quello di matrice anglosassone,
per cui le sofferenze a marca tricolore sarebbero unicamente il
frutto delle dinamiche di libero
mercato, effetti collaterali di una
crisi che non ha colpevoli o responsabili.
è curioso l’adottare mezzi pubblici per soccorrere mezzi privati,
quando il comparto bancario è
stato privatizzato solo da qualche
decennio, è curioso il consentire
la ristrutturazione dei debiti privati quando al contempo si è
aperta una durissima contesa internazionale per evitare la ristrutturazione del debito pubblico
greco.
se si tratta di un’impresa in crisi
persino i manuali di managment
consigliano tra le prime operazioni di ristrutturare i propri debiti per risollevare il proprio
tessuto produttivo, ma se si tratta
di un debito sovrano, se dietro al
paese in sofferenza ci sono persone in carne e ossa, allora i provvedimenti per salvare l’intera
economia non valgono, valgono
solo le ragioni politiche dei creditori.
europa/mondo
mario agostinelli
il fraking parla anche tedesco
il governo tedesco della “grosse koalition” ha rotto gli indugi, aprendo le porte
al fracking sul proprio territorio. per chi nutrisse ancora illusioni nel considerare i potentati economici ispiratori di democrazia e di salvaguardia del pianeta
Questo è l’ennesimo colpo duro.
d’altra parte, non convive la propensione alla guerra che scuote il
pianeta con una amministrazione
delle risorse lungimirante e in armonia con la natura.
e il governo merkel, con i socialdemocratici a rimorchio, punta
tutto su una ripresa robusta della
crescita che, se anche avvenisse a
spese del lavoro, del welfare e dell’ambiente, non intacchi il dominio finanziario acquisito.
anche l’intransigenza verso la
grecia rientra in questo quadro di
disprezzo delle aspirazioni a una
giustizia sociale e climatica ormai
non più procrastinabile. e quel
che colpisce è l’indistinguibilità
nei comportamenti di destre e sinistre quando sono al governo di
paesi appena benestanti.
il progetto di legge presentato in
queste settimane ha cambiato le
carte in tavola, anticipando al
2019 il permesso per estrarre gas
da scisto, fissato in una legge precedente al 2021 e solo a condizioni di sperimentazione così
severe da renderlo praticamente
impraticabile.
il ministro dell’ambiente (spd)
barbara hendricks – naturalmente
– ha detto che saranno applicate
“le regole più severe che siano
mai esistite nel settore del fracking”. e, freudianamente, ha aggiunto che l’estrazione “sarà
consentita solo con il massimo rispetto per l’ambiente e l’acqua
potabile”. già, perché questa è la
questione irrisolta e già negativamente verificata in canada e negli
stati uniti, ma occultata dal business assicurato da banche e finanza in attesa del conto da
pagare dai pantalone di tutti i
paesi. con un sapore da umorismo noir, la ministra prevede che
il fracking sia vietato in tutte le
aree di approvvigionamento idrico
pubblico e consentito solo con criteri chiari per la gestione dell’ac-
qua del serbatoio in cui finiscono
i fluidi dell’operazione, suscitando l’allarme dell’associazione
di municipal utilities (vku), che
fornisce circa l’80% di acqua potabile ai tedeschi. naturalmente, è
stata creata la solita authority,
fatta di sei esperti e immediatamente denunciata di faziosità
dagli ambientalisti, in quanto tre
di essi si erano già pronunciati a
favore dello shale gas.
nel frattempo, anche pechino
punta ad un “boom” dello shale
gas con un obiettivo di 30 miliardi
di metri cubi all’anno, ovvero una
crescita di 23 volte rispetto ai livelli attuali (1,3 miliardi). ma il
problema che sembra ancora irrisolto sta nella carenza di risorse
idriche, indispensabili per una autentica esplosione come quella
annunciata.
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se, infine guardiamo all’intera europa, i suoi leader sono in pieno
accordo sulla necessità di rilanciare l’industria manifatturiera.
ma, avvertono, sono necessari
compromessi e una possibile “inversione di marcia”, riguardo al
clima, l’energia e le politiche ambientali, che potrebbero porre a
rischio la crescita. e così, lo shale
fa gola anche ad un’europa sul
piede di guerra, che punta al
pieno controllo dei rubinetti del
gas – russo o nordafricano che
sia.
in definitiva, gas e affari contro
acqua e clima: un confronto impari se si ragiona da governanti,
un confronto irragionevole se si
ragiona da abitanti del pianeta.
con il jobs act
e i decreti attUativi
attaccati la costitUZione
e i diritti del lavoro
L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, come prevede la nostra
Costituzione nata dalla Resistenza. Il Governo Renzi sta demolendo questo pilastro
su cui si regge tutta la Carta Costituzionale.
Anche lo Statuto dei Lavoratori, conquistato grazie ad anni di dure lotte, che stabiliva
importanti diritti dei lavoratori è stato attaccato dal Governo Renzi che è sempre più
supino al volere di Confindustria.
QUesta controriforMa
va cancellata
perché i veri obiettivi della controriforma imposta al Parlamento dal Governo Renzi
sono: la pressoché TOTALE LIBERTA’ DI LICENZIAMENTO; l’annullamento dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori; la conferma di 45 contratti PRECARI E ATIPICI;
l’indebolimento degli ammortizzatori sociali; la riduzione della democrazia nei luoghi
di lavoro, l’indebolimento degli strumenti di tutela dei lavoratori.
SINISTRA E LAVORO E’ DISPONIBILE DA SUBITO A SOSTENERE
UNA PROPOSTA DI LEGGE POPOLARE PER UNO
STATUTO DEI LAVORATORI CHE RAFFORZI DIRITTI E TUTELE
E UN REFERENDUM
CHE CANCELLI LE NORME CONTRO
LA DIGNITA’ E I DIRITTI DEL LAVORO PREVISTE DAL JOBS ACT !