sInIstra lavoro settImanale anno II - numero 10 - 24 febbraio 2015 www.sinistralavoro.it - [email protected] la cgil riprende la lotta e dopo le grandi manifestazioni del 25 ottobre e dello sciopero generale del 12 dicembre, “che fare”? Questo l’interrogativo che sempre più pressante veniva fuori in ogni discussione in casa cgil, sia che si trattasse di riunioni di organismi dirigenti, sia che si trattasse di assemblee nei luoghi di lavoro. di Matteo Gaddi impensabile fingere che non fosse successo niente; o peggio ancora fingere che il governi renzi non stia continuando con le sue politiche di sistematica cancellazione dei diritti dei lavoratori. per questo il direttivo del 18 febbraio della cgil ha discusso e definito le modalità di prosecuzione della mobilitazione a contrasto della legge delega sul lavoro e relativi decreti, con l’obiettivo dichiarato di dare continuità alle iniziative sin qui intraprese. una decisione diversa non sarebbe stata compresa dai lavoratori. e’ positivo, quindi, l’impianto del documento approvato a larghissima maggioranza dal direttivo nazionale nel quale si ribadisce il giudizio negativo sulle politiche del governo di attacco al lavoro e alla democrazia e con un importante riferimento all’esito delle elezioni in grecia che rappresentano la richiesta di un’altra politica economica e sociale. la cgil, quindi, intende contrastare la scelta del governo di smantellamento dei diritti dei lavoratori a partire dalla decisione di “essere a fianco di tutti i lavoratori e le lavoratrici”, rafforzando le tutele e contrastando gli effetti del decreto e valutando tutte le possibilità di ricorsi giudiziari. ma ad emergere sono soprattutto due aspetti di carattere generale, attraverso i quali si conferma che, a fianco della tutela più specifica, si devono accompagnare strumenti di carattere “generale”. il primo: la necessità di definire una ipotesi di un nuovo statuto delle lavoratrici e dei lavoratori, da presentare come proposta di legge, che abbia la caratteristica di riunificare il mondo del lavoro attraverso un processo di innovazione e di rafforzamento di diritti e tutele. chiaramente si tratterà di una campagna che dovrà raccogliere milioni di firme a sostegno di questo progetto, da far vivere in tutti i luoghi di lavoro e i territori. il secondo: la possibilità che il contrasto al Jobs act avvenga anche attraverso “proposte abrogative”. non viene detto esplicitamente ma il senso è chiaro: non si esclude il ricorso al referendum. ci sono anche altri aspetti meritevoli di rilievo nel documento del direttivo cgil: la ripresa dell’obiettivo di rimettere in discussione la legge fornero sulle pensioni (seppur a partire da uno strumento non pienamente soddisfacente come la piattaforma unitaria con cisl e uil del giugno scorso); il sostegno di tutta la struttura alla campagna per il rinnovo delle rsu nel settore pubblico, anche per sostenere il tema della rappresentanza sindacale; la legge di iniziativa popolare sugli appalti per la quale è stata indetta, per il 19 marzo, una giornata nazionale di raccolta firme in tutti i luoghi di lavoro, preceduta da momenti di informazione e da attivi dei delegati e dei pensionati; 1 la difesa dei ccnl e dei loro rinnovi per respingerne i tentativi di definitivo smantellamento o di restituzione del salario contrattato, che rappresenterebbero la fine dei ccnl e del suo ruolo di tutela universale. su quest’ultimo punto, se è vero che oggi appare impraticabile la definizione di un nuovo modello contrattuale, è altrettanto vera la necessità che la confederazione in quanto tale individui 45 punti qualificanti da porre come “linee guida” per il rinnovo dei ccnl delle varie categorie, svolgendo in concreto, quindi, quel ruolo “confederale” tante volte dichiarato. fin qui tutto bene. ma non bisogna ritenere che tutto sia stato risolto in questo documento: i suoi contenuti vanno praticati concretamente. Questo documento, quindi, deve risultare la guida dell’azione sindacale del prossimi mesi, per tutte le categorie e per tutte le camere del lavoro. le cose scritte e votate vanno praticate davvero. anche da quei settori interni alla cgil che hanno un po’ di “mal di pancia” nei confronti di un atteggiamento un po’ più combattivo del nostro sindacato. i tempi sono altrettanto importanti; a fronte di un governo che marcia a tappe forzate è importante che la risposta del mondo del lavoro sia tempestiva. infine la larghissima maggioranza che ha approvato il documento, con un ruolo importante di democrazia e lavoro, è un dato da sottolineare, soprattutto alla luce dell’assenza di proposte alternative da parte di chi non ne ha condiviso i contenuti. italia/economia roberto romano i novelli re mida presso le istituzioni internazionali (ocse, fmi, commissione europea) c’è un virus pericolosissimo. mentre le rilevazioni statistiche su crescita, occupazione e mercato del lavoro sono realmente tragiche, la presentazione pubblica degli stessi dati si trasformano in oro, come faceva re mida con oggetti e persone. lo scenario di riferimento è sempre lo stesso: la riduzione del valore dell’euro e del prezzo del petrolio, il quantitative easing (Qe) della bce e le riforme del mercato del lavoro favoriscono la crescita economica. restando alle previsioni economiche per l’italia, il responsabile dell’ocse, gurria, si è spinto a sostenere che: “il Jobs act può essere il vero motore del cambiamento”, mentre i dati su crescita economica e occupazione presentati dall’ocse e dall’istat sono, se possibile, peggiori delle previsioni invernali della commissione europea e della legge di stabilità di padoan e renzi. serve un psicologo, non un economista. lo scenario di crescita delineato è pessimo. non solo il 2014 è andato peggio delle stime iniziali, ma le previsioni per il 2015 sono ancor più basse di quelle della commissione europea. l’ocse prevede una crescita dello 0,4%, contro uno scenario “positivo” di governo e commissione europea dello 0,6%. la statistica consegna un quadro drammatico del paese, ciò nonostante gurria sostiene che il governo renzi “ha scelto chiaramente un team efficace… nel 2014 si sono fatti grandi passi in avanti sulle riforme” (gurria, ocse). non solo. le previsioni potrebbero andare meglio, qualcuno ci aiuti, appena le liberalizzazioni e privatizzazioni e, ovviamente, il Jobs act entreranno a regime. complessivamente una crescita aggiuntiva di 3,2 punti di pil: 2,6 dalle liberalizzazioni e 0,6 punti dal Jobs act. contemporaneamente l’istat presenta i dati su disagio sociale e lavoro: il 23,4% delle famiglie italiane vive in una situazione di disagio economico, per un totale di 14,6 milioni di individui, men- tre il 12,4% dei nuclei si trova in grave difficoltà. il lavoro? in italia lavorano meno di 6 persone su 10, cioè peggio di grecia, croazia e spagna, con 2,5 mln di giovani che non lavorano e non studiano. come per il tasso di occupazione, solo la grecia ha fatto peggio dell’italia. nonostante il Jobs act, l’ocse sostiene la necessità di ulteriori riforme del mercato del lavoro. occorre domandarsi quali a questo punto. la schiavitù? serve veramente uno psicologo da quelle parti. prendendo i dati dell’ocse relativi alla legislazione a protezione del lavoro (epl), scopriamo che dal 1990 al 2013 tutti i paesi hanno contratto le tutele a favore del lavoro. la germania comprime le tutele da 2,9 del 1990 a 2,0 del 2013, mentre l’italia passa da 3,8 del 1990 a 2,3 del 2013. sostanzialmente l’italia non registra maggiore o minori livelli di tutela del lavoro rispetto ad altri paesi. solo la francia rafforza la sua posizione passando da 2,7 del 1990 a 3 del 2013. inoltre, questo indicatore è al netto del Jobs act. una stima di questo indice dopo l’introduzione del Jobs act farebbe precipitare l’italia al livello dei paesi emergenti, con tutte le implicazioni di politica industriale. un altro e non banale aspetto è legato alla velocità dell’italia nel ridurre le tutele del lavoro. al netto della francia che ha alzato il livello delle proprie tutele tra il 1990 e il 2013 dell’11,1% (variazione 1990-2013), tutti i paesi considerati hanno ridotto il proprio indice, ma l’italia ha registrato un tasso di riduzione del 39,5%. solo spagna e grecia hanno fatto peggio. ma il dibattito giornalistico e politico nasconde queste informazioni. provate a leggere i giornali 2 di oggi e osserverete che solo il manifesto sembra fare informazione (di servizio). c’è qualcosa che inquina la discussione politica ed economica. spesso si discute a sproposito della produttività del lavoro, ma quanti sanno che la produttività del capitale italiano tra il 1992 e il 2012 (istat, dicembre 2013) è una frazione della produttività del lavoro? Qualcuno deve pur raccontare che nel periodo considerato la produttività del capitale è stata negativa dello 0,7 mentre quella del lavoro è stata positiva dello 0,8. il problema non è se siamo usciti dalla crisi “tecnica”, arresto dell’arretramento del pil, piuttosto se l’italia è uscita dalla crisi di struttura. l’istat ricorda che la minore crescita del 2014 è interamente attribuibile alla diminuzione del valore aggiunto di agricoltura e industria, solo in parte compensato da quello dei servizi. ma questo tipo di considerazioni non possono raccontare cosa si cela dietro la crisi nella crisi dell’italia. riforme o non riforme, l’italia tra il 1996 e il 2014 è crescita meno della media europea di ben 19 punti di pil, con una ulteriore aggravante: investiva in media più degli altri paesi e, crisi dopo crisi, aumentava il gap annuale di minore crescita del pil rispetto alla media europea. siamo passati da meno 0,5 punti del 2000 a meno 1,8 punti del 2014. se poi pensiamo alla contrazione della produzione di beni strumentali, la peggiore tra i paesi europei, possiamo comprendere come l’italia abbia compromesso quel vasto patrimonio di conoscenze che poteva contribuire all’uscita della crisi di struttura. forse siamo usciti dalla recessione, ma aspettiamo ben altri segnali. relativamente alla crisi di struttura dobbiamo lavorare ancora molto. al centro il lavoro la ferita alla deMocrazia inferta dal jobs act il duro colpo inferto alla democrazia è costituito dal fatto che con la legge di riforma del mercato del lavoro n. 183 del 2014, il Jobs act, e soprattutto dello “schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti”, viene meno il senso più profondo della parola democrazia, intesa Quale eQuilibrio tra i poteri che hanno a garanzia un contrappeso. di annalisa radice equilibrio che passa dal rapporto tra poteri pubblici e cittadini, tra chi governa e chi è governato, e tra questi e il potere giudiziario. purtroppo la legge di riforma sembra invece essere dominata dalle “universali e naturali leggi del mercato”, che conducono a valutazioni e reazioni radicalmente diverse. la nostra bellissima carta costituzionale ha posto proprio nel primo articolo un’equazione tanto semplice quanto rivoluzionaria: “l’italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. le comunità umane che non si fondano sul lavoro non possono che fondarsi su rendite e privilegi e quindi non possono essere democratiche. con la legge 300 del 20 maggio 1970 in poi abbiamo conosciuto il significato della dignità del lavoro e del lavoratore proprio grazie ai principi di democrazia che lo statuto dei lavoratori e la coscienza collettiva costruita con decenni di lotte sindacali hanno portato dentro ai luoghi di lavoro rendendo il lavoratore un cittadino libero e non asservito al potere esercitato dal datore di lavoro, stabilendo i fondamenti di una nuova “democrazia economica” arrivando a introdurre il concetto di “impresa responsabile”. il lavoro in sé è democrazia perché si inserisce nella società, si impone quale principale mezzo di affrancamento dell’uomo dalla necessità e dal bisogno. Questa condizione consente al lavoratore di affrontare con dignità le esigenze via via più complesse che la vita presenta”. tali valori sono affermati nella carta dei diritti fondamentali dell’unione europea (avente piena efficacia giuridica in quanto recepita nel trattato di lisbona), che nell’imporre solennemente in apertura l’inviolabilità della dignità umana (art. 1), statuisce il divieto del lavoro in condizioni di schiavitù (art. 5), il diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione nell’ambito dell’impresa (art. 27), il diritto alla contrattazione collettiva e allo sciopero (art. 28), il diritto alla tutela “contro ogni licenziamento ingiustificato” (art. 30) e il diritto “a condizioni di lavoro sane, sicure e 3 dignitose” (art. 31). il nesso inscindibile democrazia e lavoro è patrimonio acquisito dell’ordinamento giuridico italiano da oltre quarant’anni. dal feudale obbligo di fedeltà e ubbidienza del lavoratore al proprio padrone prescritto di fatto dagli artt. 2104, 2105 e 2106 c.c. si è passati con lo statuto dei lavoratori al dovere di mutuo, reciproco e paritario rispetto: dell’art. 7 dello statuto (con precisi limiti all’esercizio del potere disciplinare) e dell’art. 18 (con stringenti vincoli al potere del datore di lavoro di porre fine al rapporto licenziando, attraverso l’obbligo di reintegra), della possibilità di dequalificare in ogni momento il lavoratore adibendolo anche a la ferita del jobs act mansioni produttive inferiori si è arrivati alla irriducibilità del patrimonio professionale del lavoratore affermato dall’art. 13, dalla libertà totale di vigilanza sul lavoratore con apparecchi audiovisivi si è giunti a stringenti limiti nell’utilizzo della videosorveglianza così come prescritto dall’art. 4 dello statuto. con il Jobs act e in particolare con la delega in materia di lavoro indeterminato a “tutele” crescenti il valore della democrazia fondata sul lavoro viene meno, così come viene meno il ruolo della magistratura impedita a esercitare quel contrappeso nella regolazione dei rapporti tra due cittadini: lavoratore e datore di lavoro, a totale beneficio del secondo. nei provvedimenti traspare in modo evidente la sfiducia verso il lavoratore e riconosce sulla base delle mere esigenze dell’organizzazione produttiva il vero e proprio “diritto di licenziare” da parte del datore di lavoro, depotenziando enormemente la possibilità da parte del lavoratore di riacquistare il proprio lavoro anche a fronte di licenziamenti illegittimi. infatti, la reintegra prevista dall’art. 18 dello statuto dei lavoratori ha costituito l’elemento deterrente consentendo il valore della democrazia nei luoghi di lavoro, oggi tale valore è venuto meno per i lavoratori nuovi assunti, creando una ulteriore frattura nel mondo del lavoro. e’ venuta meno l’idea di sospendere l’art. 18 per i primi tre anni per poi ripristinarlo successivamente. nella stessa visione si colloca anche la decisione unilaterale del datore di lavoro di decidere il demansionamento del lavoratore e anche la revisione della disciplina dei controlli a distanza si colloca nello stesso solco. la prospettiva che si apre con questa riforma è inquietante e indica l’eclissi del modello democratico nell’ambito economico e produttivo, sostituito dal ritorno di un modello autocratico e verticistico, connotato da un lato dall’irresponsabilità e dall’immunità dell’organizzazione di impresa garantita dallo stesso ordinamento giuridico e, dall’altro, dall’introduzione di elementi talmente destabilizzanti da ingenerare, nei rapporti lavorativi, il germe della sfiducia, della paura, del timore, dell’obbedienza e del bieco servilismo. Qualche esempio? anche in caso di licenziamento dichiarato illegittimo dall’autorità giudiziaria, quindi di fronte a una condotta illegittima del datore di lavoro, lo stato stanzia un voucher, attraverso l’inps, a favore dei lavoratori disoccupati involontari al fine di conseguire una ricollocazione lavorativa attraverso l’intervento di specifiche agenzie per il lavoro. siamo tornati al tipo classico dell’organizzazione autocratica, caratterizzata da immunità/irresponsabilità verso l’esterno e dalla riduzione/eliminazione dei diritti al proprio interno. per non parlare dell’estromissione del ruolo della magistratura nell’impossibilità di giudicare la sproporzionalità del licenziamento rispetto al fatto contestato, dalle difficoltà che incontrerà il lavoratore nel ricorrere in giudizio già oggi presenti nell’ordinamento e l’esiguità del sistema risarcitorio legato all’anzianità lavorativa, in presenza del diffuso precariato, ben al di sotto di quanto era precedentemente previsto. con la mistificazione dei 4 provvedimenti a “tutele crescenti” i provvedimenti del jobs act continueranno. a breve verrà presentato un “testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro” ovverosia il cosiddetto “codice del lavoro”. il legislatore, dunque, decide di passare dallo “statuto dei lavoratori” al “codice del lavoro”. l’ideologia del “codice del lavoro” ha alla sua base l’idea dello scardinamento dei vecchi statuti lavorativi privilegiati e la realizzazione della totale e assoluta libertà contrattuale, che si sostanzierebbe nella “libertà di scelta” da parte dello stesso lavoratore. ma quale libertà di scelta è data al lavoratore nell’alternativa tra il destino di una disoccupazione priva di una vera protezione sociale (in assenza di meccanismi di reddito minimo garantito essendo gli unici in europa insieme a grecia, spagna e portogallo) e un “lavoro povero” non più solo di salario, ma ora anche di diritti? e’ questa un’offensiva senza precedenti, e gli attacchi sono mirati verso i lavoratori e verso le organizzazioni sindacali che li rappresentano. la storia ci imporrà un risveglio delle coscienze. dovremo decidere le forme più opportune per cercare di ritornare al diritto positivo dentro i luoghi di lavoro. con forme organizzative diverse dal passato, tuteleremo i bisogni materiali che le lavoratrici e i lavoratori ci porranno rispetto ai licenziamenti illegittimi e quelli mascherati da motivi economici, all’impoverimento dei salari e dei diritti cui saranno sottoposti. di fronte alla giungla che si è aperta, sarà necessario affrontare i casi che si presenteranno ricorrendo alla consulenza anzitutto degli uffici vertenze e legali per tutelare al meglio i lavoratori e le lavoratrici che si confronteranno con le nuove e differenti tra di loro condizioni del lavoro. al centro il lavoro rsu del pubblico iMpieGo democrazia, difesa dei servizi pubblici, diritti di cittadinanza. un voto di importanza epocale. di adriano sgrò il 3,4 e 5 di marzo le lavoratrici ed i lavoratori delle pubbliche amministrazioni, della scuola e delle università e di tutte le attività che afferiscono ai servizi pubblici saranno chiamati al rinnovo delle proprie rappresentanze sindacali unitarie. in moltissimi luoghi di lavoro del paese si terrà un grande appuntamento per la democrazia nei luoghi di lavoro e per la partecipazione alla vita sindacale. il governo renzi, nonostante la pratica degli annunci mirabolanti riguardanti riforma e miglioramento dell’amministrazione pubblica, in realtà si è concretamente distinto per la riproposizione del “fannullonismo” di marca brunettiana, per un autentico smantellamento dei servizi, per una nuova contrazione delle dotazioni organiche e per una ingiustificabile assenza su argomenti sensibili quali corruzione e informatizzazione delle attività in generale. il lavoro pubblico ha la necessità di autentici interventi che devono però inserirsi nella necessaria correzione di errori praticati negli ultimi anni. il blocco della contrattazione e il mancato aumento dei salari hanno finito per riproporsi con una poco comprensibile accettazione delle politiche di rigore imposte al nostro paese. nonostante da più parti si sia dimostrata l’inadeguatezza della mole di provvedimenti abbattutasi sulla condizione del lavoro pubblico, si continuano a percorrere strade orientate dalla contrazione di risorse per i nostri servizi. non occorrono grandi dimostrazioni accademiche per evidenziare i risultati negativi di una spending review che non ha dato risultati sulla spesa pubblica o sul recupero di efficienza. tuttavia il sindacato non può esimersi, proprio in occasione di questa importante appuntamento, dal presentare delle proposte che possano essere considerate appetibili da parte di chi ha cuore un modello di stato sociale universale e solidaristico. per queste motivazioni la prima sfida che si proporrà riguarda l’affluenza al voto. una partecipazione in linea con la disaffezione alla politica registratasi durante le ultime consultazioni elettorali, getterebbe discredito tra le fila sindacali e aprirebbe nuove e pericolose distanze per l’azione sociale. per il sindacato esiste un possibile recupero della caduta degli iscritti oramai codificata a livello generale, solo ed unicamente attraverso la ripresa di una vera battaglia contro le privatizzazioni e le esternalizzazione dei servizi, con un chiaro programma di lotte finalizzate alla ripresa di una stagione di stabilizzazione del personale precario e, inoltre, con la denuncia senza remore dell’autentico abbandono dello stato sociale del paese, oramai attraversato da logiche clientelari, favorevoli all’ingresso dei privati e in evidente contrasto alla salvaguardia delle professionalità presenti nei nostri servizi. in questi anni la fp-cgil ha ottenuto risultati lusinghieri quando è riuscita a bloccare l’applicazione pratica dei provvedimenti del governo berlusconi e del ministro brunetta. non sono stati ottenuti i rinnovi dei contratti, tuttavia sono state impegnate risorse notevoli nel contrasto, anche attraverso nume5 rosi scioperi e manifestazioni, delle politiche di smantellamento dei servizi. con il governo monti prima e, subito dopo, con il governo renzi, per ragioni legate al peggioramento della condizione economia del paese, purtroppo non si sono ribaltate le condizioni politiche al fine di riprendere una nuova stagione negoziale o di controllo delle modifiche organizzative attuate nei vari livelli istituzionali. il caso delle a province ne è una fedele dimostrazione, con le organizzazioni sindacali costrette ad inseguire decisioni politiche mai calibrate su un’attenta trasformazione di questi enti e con la conseguenza di dover subire un processo di trasformazione che mette a repentaglio attività sovracomunali e gli stessi posti di lavoro di decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori. il ventaglio delle problematiche è quindi molto ampio ed è salutare che in questa nuova stagione politica e sindacale la cgil sia in campo per un impegno confederale e generale. le lavoratrici e i lavoratori si attendono adesso una linea sindacale che apra spazi e che determini condizioni favorevoli alla riapertura del confronto per il rinnovo dei contratti e per la stabilizzazione del personale precario. mancano pochi giorni al voto, ma vi è tutto il tempo per rimettere in sesto e nella giusta direzione la barra della navigazione sindacale. la partecipazione al voto sarà fondamentale e servirà un po’ a tutto il mondo del lavoro. la cgil ne è consapevole, ne sono consapevoli lavoratrici e lavoratori. italia/grecia marco bertorello se atene vale meno di una banca il ministro del tesoro padoan, a livello europeo prima, e il presidente della banca d’italia visco al congresso dell’assiom forex poi, hanno rilanciato il progetto di una «bad bank» per alleviare il sistema bancario italiano. un progetto che aleggia tra le soluzioni per contrastare la crisi Quasi dal tempo della sua esplosione. un progetto già approvato in altri paesi dilaniati dalle difficoltà del credito come la spagna e l’irlanda. si tratterebbe di inventarsi una formula legislativa e finanziaria digeribile dall’unione europea, da non confondersi con i vietati aiuti di stato, e in grado di sottrarre dai bilanci delle banche la gran quantità di crediti deteriorati, cioè quell’insieme di incagli, sofferenze ed esposizioni ristrutturate, che vanno dai clienti in difficoltà a quelli in stato di insolvenza. il fondo monetario calcola che per l’italia i crediti deteriorati ammontino complessivamente a 181 miliardi di euro, che il ritmo con cui escono dai bilanci degli istituti di credito sia molto basso (7% annuo circa) e che il loro peso sull’ammontare dei prestiti concessi sarà destinato ad aumentare almeno fino al 2019. tali numeri sono la risultante della crisi attraversata da cittadini e imprese. Queste ultime, in particolare, non sono indifferenti all’esito di questa partita per due ragioni: da un lato le imprese italiane sono tra le più indebitate dei grandi paesi, con circa un terzo di esse in cui il profitto lordo è inferiore agli interessi che pagano alle banche, e dall’altro perché la crisi sta colpendo duramente il sistema produttivo, con difficoltà evidenti sulla capacità di sopportare i debiti contratti. così nasce l’idea di una bad bank detta «di sistema», per dare risposte organiche alla crisi del credito e per favorire banche e imprese in primo luogo. essa dovrà comprendere un pacchetto di provvedimenti che vanno dalle agevolazioni fiscali a un sistema per garantire le attività derivanti dalla dismissione dei crediti in sofferenza attraverso meccanismi di cartolarizzazioni di titoli. farli confluire in nuovi contenitori ap- petibili per il mercato. è evidente che tutti gli operatori si attendono un ruolo da protagonista della sfera pubblica nel fornire le adeguate garanzie. il presidente dell’associazione delle banche italiane, antonio patuelli, chiede di non chiamarla bad bank, poiché non vorrebbe che fosse intesa come l’ennesimo «regalo alle banche», ma più prosaicamente gian maria gros-pietro, di intesa san paolo, ammette al sole 24 ore che «se c’è un obiettivo di pubblica utilità che il singolo privato non ha convenienza 6 a perseguire, allora è giusto che si usino mezzi pubblici». ecco la portata sistemica. non solo si intende salvare il sistema bancario, ma si prova anche a raddrizzare il sistema dell’impresa. il travaso dei debiti in vario modo inesigibili, infatti, consentirebbe anche di alleggerire la pressione sull’impresa, consentendo a quella parte di aziende ritenute in qualche misura ancora sane di poter sottrarsi alla morsa dei debiti e di potersi rimettere sul mercato, magari rafforzando i propri patrimoni con le risorse che restano a disposizione. la giustificazione adottata da vincenzo visco per questi aiuti è data dalla mancanza di eccessi del sistema creditizio italiano rispetto a quello di matrice anglosassone, per cui le sofferenze a marca tricolore sarebbero unicamente il frutto delle dinamiche di libero mercato, effetti collaterali di una crisi che non ha colpevoli o responsabili. è curioso l’adottare mezzi pubblici per soccorrere mezzi privati, quando il comparto bancario è stato privatizzato solo da qualche decennio, è curioso il consentire la ristrutturazione dei debiti privati quando al contempo si è aperta una durissima contesa internazionale per evitare la ristrutturazione del debito pubblico greco. se si tratta di un’impresa in crisi persino i manuali di managment consigliano tra le prime operazioni di ristrutturare i propri debiti per risollevare il proprio tessuto produttivo, ma se si tratta di un debito sovrano, se dietro al paese in sofferenza ci sono persone in carne e ossa, allora i provvedimenti per salvare l’intera economia non valgono, valgono solo le ragioni politiche dei creditori. europa/mondo mario agostinelli il fraking parla anche tedesco il governo tedesco della “grosse koalition” ha rotto gli indugi, aprendo le porte al fracking sul proprio territorio. per chi nutrisse ancora illusioni nel considerare i potentati economici ispiratori di democrazia e di salvaguardia del pianeta Questo è l’ennesimo colpo duro. d’altra parte, non convive la propensione alla guerra che scuote il pianeta con una amministrazione delle risorse lungimirante e in armonia con la natura. e il governo merkel, con i socialdemocratici a rimorchio, punta tutto su una ripresa robusta della crescita che, se anche avvenisse a spese del lavoro, del welfare e dell’ambiente, non intacchi il dominio finanziario acquisito. anche l’intransigenza verso la grecia rientra in questo quadro di disprezzo delle aspirazioni a una giustizia sociale e climatica ormai non più procrastinabile. e quel che colpisce è l’indistinguibilità nei comportamenti di destre e sinistre quando sono al governo di paesi appena benestanti. il progetto di legge presentato in queste settimane ha cambiato le carte in tavola, anticipando al 2019 il permesso per estrarre gas da scisto, fissato in una legge precedente al 2021 e solo a condizioni di sperimentazione così severe da renderlo praticamente impraticabile. il ministro dell’ambiente (spd) barbara hendricks – naturalmente – ha detto che saranno applicate “le regole più severe che siano mai esistite nel settore del fracking”. e, freudianamente, ha aggiunto che l’estrazione “sarà consentita solo con il massimo rispetto per l’ambiente e l’acqua potabile”. già, perché questa è la questione irrisolta e già negativamente verificata in canada e negli stati uniti, ma occultata dal business assicurato da banche e finanza in attesa del conto da pagare dai pantalone di tutti i paesi. con un sapore da umorismo noir, la ministra prevede che il fracking sia vietato in tutte le aree di approvvigionamento idrico pubblico e consentito solo con criteri chiari per la gestione dell’ac- qua del serbatoio in cui finiscono i fluidi dell’operazione, suscitando l’allarme dell’associazione di municipal utilities (vku), che fornisce circa l’80% di acqua potabile ai tedeschi. naturalmente, è stata creata la solita authority, fatta di sei esperti e immediatamente denunciata di faziosità dagli ambientalisti, in quanto tre di essi si erano già pronunciati a favore dello shale gas. nel frattempo, anche pechino punta ad un “boom” dello shale gas con un obiettivo di 30 miliardi di metri cubi all’anno, ovvero una crescita di 23 volte rispetto ai livelli attuali (1,3 miliardi). ma il problema che sembra ancora irrisolto sta nella carenza di risorse idriche, indispensabili per una autentica esplosione come quella annunciata. 7 se, infine guardiamo all’intera europa, i suoi leader sono in pieno accordo sulla necessità di rilanciare l’industria manifatturiera. ma, avvertono, sono necessari compromessi e una possibile “inversione di marcia”, riguardo al clima, l’energia e le politiche ambientali, che potrebbero porre a rischio la crescita. e così, lo shale fa gola anche ad un’europa sul piede di guerra, che punta al pieno controllo dei rubinetti del gas – russo o nordafricano che sia. in definitiva, gas e affari contro acqua e clima: un confronto impari se si ragiona da governanti, un confronto irragionevole se si ragiona da abitanti del pianeta. con il jobs act e i decreti attUativi attaccati la costitUZione e i diritti del lavoro L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, come prevede la nostra Costituzione nata dalla Resistenza. Il Governo Renzi sta demolendo questo pilastro su cui si regge tutta la Carta Costituzionale. Anche lo Statuto dei Lavoratori, conquistato grazie ad anni di dure lotte, che stabiliva importanti diritti dei lavoratori è stato attaccato dal Governo Renzi che è sempre più supino al volere di Confindustria. QUesta controriforMa va cancellata perché i veri obiettivi della controriforma imposta al Parlamento dal Governo Renzi sono: la pressoché TOTALE LIBERTA’ DI LICENZIAMENTO; l’annullamento dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori; la conferma di 45 contratti PRECARI E ATIPICI; l’indebolimento degli ammortizzatori sociali; la riduzione della democrazia nei luoghi di lavoro, l’indebolimento degli strumenti di tutela dei lavoratori. SINISTRA E LAVORO E’ DISPONIBILE DA SUBITO A SOSTENERE UNA PROPOSTA DI LEGGE POPOLARE PER UNO STATUTO DEI LAVORATORI CHE RAFFORZI DIRITTI E TUTELE E UN REFERENDUM CHE CANCELLI LE NORME CONTRO LA DIGNITA’ E I DIRITTI DEL LAVORO PREVISTE DAL JOBS ACT !
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