NUCLEI TEMATICI ESPOSITIVI Un artista europeo Soffici ebbe rapporti con i protagonisti del suo tempo e con i più audaci movimenti letterari e artistici d’inizio Novecento. Attraverso la sua opera si possono percorrere capitoli essenziali dell’arte e della letteratura del XX secolo. Nel primo soggiorno a Parigi, 1900-1907, Soffici ha modo di condividere il dibattito artistico più avanzato: conosce il poeta simbolista Jean Moréas, Picasso, Max Jacob, Apollinaire, Juan Gris, Braque; e con il letterato Ricciotto Canudo partecipa alla ristrutturazione della rivista L’Europe Artiste. La sua pittura ha quindi a fondamento la conoscenza diretta dell’Impressionismo, Degas, Toulouse-Lautrec; e altri cospicui riferimenti trae dalle teorie di Maurice Denis, dalla fantasia lirica di Odilon Redon, dalle accensioni cromatiche dei Fauves, e particolarmente da Cézanne. Rientrato in Italia, 1907, con tale bagaglio di originale ricchezza intellettuale, Soffici si fa interprete di apprezzato lavoro nello svecchiamento del panorama provinciale e accademico dell’Italia umbertina, già scosso a Firenze dal contributo della rivista Leonardo, di cui era collaboratore. In questo ambito nascono le sue attenzioni per la cultura spagnola, segnatamente per Miguel de Unamuno. All’avventura della rivista La Voce, intrapresa con Papini e Prezzolini dal 1908, dedica la sue risorse critiche pubblicando articoli su Medardo Rosso, artista famoso in Francia, ignorato in Italia, sugli Impressionisti e su Rimbaud, scritti che avranno conseguenze significative, una ventata di rinnovamento internazionale in un ambiente attardato sui resti del positivismo ottocentesco. Primo in Italia riconosce l’importanza di Cézanne: il suo saggio su Vita d’arte, 1908, avvia la fortuna critica del maestro di Aix. Nel 1910 organizza a Firenze la Prima mostra italiana dell’Impressionismo francese. Anche Rousseau il Doganiere entra nel suo raggio di divulgazione e rappresenta un accrescimento della sua linea di poetica. Con Papini fonda Lacerba, 1913-1915, che diviene palestra del futurismo e foglio di accoglienza per gli amici di Francia. Soffici difende i pittori cubisti, Picasso e Braque, quando a Firenze nessuno li apprezzava, e mantiene attive le frequentazioni parigine con diversi soggiorni fino al 1914. Attraverso il legame sentimentale con Hélène d’Œttingen, generosa sostenitrice delle arti, e l’amicizia con il pittore Serge Jastrebzoff, estende i suoi interessi alle avanguardie russe, lo scultore Archipenko, la pittrice Anna Gerebzova, Alexandra Exter, amica con la quale a Parigi condivide lo studio, Natalja Gončarova e Michajl Larionov; il poeta Aksenov pubblica in russo Picasso e dintorni, plagio del libro di Soffici, Cubismo e Futurismo, 1914. Nella casa di Apollinaire si moltiplicano i proficui intrattenimenti con André Salmon, Derain, Dufy, Vlaminck, Léger. I rapporti con la Germania sono favoriti dalla rivista Der Sturm diretta da Herwarth Walden; questi organizza una personale di Soffici a Berlino assieme con Robert Delaunay e Julie Baum, 1913. Lo stesso anno espone a Praga con il Gruppo degli Artisti Plastici, tra cui Derain, Picasso e Braque, e a Rotterdam con i futuristi. Nel 1914, di nuovo a Parigi, è partecipe delle attività di Apollinaire, divenuto intimo, e nell’ambiente della rivista Les Soirées de Paris conosce Cendrars, de Chirico e il fratello Savinio. Espone a Londra con il gruppo futurista. Lo scoppio della guerra allenta gli scambi europei, ma proseguono le testimonianze di stima; una per tutte: Apollinaire destina a Soffici, nel 1915, il primo esemplare di Case d’Armons, fascicolo in venticinque copie di calligrammi velocigrafati al fronte. Con Papini nel 1919 dà vita alla rivista redatta in francese La Vraie Italie, che si dichiara «organo del legame intellettuale fra l’Italia e gli altri Paesi», edita a Firenze da Vallecchi. La rivista di Mario Broglio Valori Plastici, 1918-1922, incrementa la diffusione dell’arte sofficiana in Francia; ancora nel 1921 Soffici è presente all’Esposizione italiana d’arte d’avanguardia a Praga, e nel 1922 sue opere compaiono alla Mostra internazionale d’arte di Düsseldorf. Non si interrompono i contatti dell’artista con l’Europa; nel 1926 è ospite in Inghilterra dell’amico Charles Meek, visita Londra e tiene un diario, Itinerario Inglese, pubblicato sulla Gazzetta del Popolo nel 1928-1930 e riunito in volume nel 1948. Nel 1927 Soffici è scelto quale rappresentante italiano per l’istituzione di una Commissione Internazionale per le Traduzioni, con tale incarico si reca a Parigi e saluta Picasso per l’ultima volta. Nella capitale francese torna nel 1959 per un viaggio di memoria; con l’amico scrittore Vanderpijl va allo studio di Van Dongen, incontra Severini e rivede i luoghi della sua prodigiosa esperienza giovanile. Cubismo e Futurismo Compagno dell’avant-garde parigina, Soffici vide appena dipinte nello studio di Picasso Les Demoiselles d’Avignon, 1907, documento della nuova corrente cubista. In Italia quindi, 1911, rielaborò i passaggi formali delle sintesi cubiste, scomponendo le sue figure tratte dalla realtà e via via schematizzate in piani geometrici, con ritmi compositivi che sul ragionamento plastico di Cézanne innestavano i rigorosi componimenti degli artisti toscani del Quattrocento (Paolo Uccello). Il cubismo sofficiano fu quindi riunione di antico e di recente sotto il segno del rinnovamento plastico, una versione che faceva riacquistare eccellenza moderna anche alle immagini primitive, le insegne degli ambulanti, le decorazioni popolari. Il linguaggio si faceva semplice, immediato, eppure vibrante di equilibri riscoperti nella quotidianità – i decoratori di stanze gli suggerirono il titolo di Trofeini per le nature morte. Invenzioni poeticamente fluttuanti: talvolta pochi oggetti acquistano valore di simbolo, altrimenti superfici con accumulazioni formali che inducono a complesse interpretazioni. Soffici accettava la costruttiva architettura del Cubismo quale reazione alla dissolvenza luministica dell’impressionismo, ma ne rifiutava l’estremismo teorico (troppo cerebralismo inaridisce il sentimento poetico dell’artista) e l’eccessiva distorsione delle forme del reale (non si può disprezzare la natura, che è invece la vera ispirazione del genio), così come l’arbitrarietà coloristica e formale (l’astrattismo è morte della pittura quale mezzo di comunicazione visiva). Tale fu l’ingresso di Soffici nell’avanguardia storica. Nel frattempo, 1909, era sorto il movimento marinettiano del Futurismo, del quale Soffici fece una memorabile stroncatura riferendosi alla mostra di Milano del 1910. Lo stato maggiore futurista, Boccioni, Carrà, Russolo, Marinetti, decise una «spedizione punitiva» a Firenze contro l’artista, una rissa conclusa da strette di mano. Ponte per la riconciliazione tra Soffici e i marinettiani, fu Severini alla fine del 1912. L’anno seguente il nome di Soffici è fra gli aderenti al movimento. La rivista Lacerba, fondata con Papini nel 1913, divenne organo del futurismo, sul foglio divamparono le polemiche di Boccioni, furono stampate le parole in libertà di Marinetti, le eleganti invenzioni formali di Severini, gli azzardi plastici di Carrà e le esuberanti esercitazioni di un giovane talento, Ottone Rosai. Le profanazioni liriche di Palazzeschi, dello stesso Soffici che teorizzava anche su «Cubismo e futurismo», di Govoni, di Folgore, di Cangiullo, di Tavolato davano rumore di tempesta, insieme con i clamori del musicista Pratella, a quel coro di provocatori. Le ironiche gesta dei futuristi ebbero una sorta di celebrazione alla mostra di pittura che fu intitolata a Lacerba (riuniva opere di Balla, Boccioni, Carrà, Russolo, Severini, Soffici), e alla manifestazione conseguente presso il Teatro Verdi, Firenze, dicembre 1913. Troviamo Soffici anche alle mostre futuriste di Roma, Rotterdam, Londra, Napoli. I quadri di Soffici fra 1912 e 1915 possono dirsi cubofuturisti in virtù di una elaborazione dell’immagine che nella composizione e nel colore, pur con accumuli, simultaneità, scomposizioni e moltiplicazioni formali fa reggere il gioco creativo dal confronto con le cose di realtà e natura. Opere in cui i principi cubisti della figurazione sintetica non si risolvono in astrazione. Il momento glorioso di quei combattenti per la modernità, una riunione di energie creative e critiche giunte al culmine ebbe, come giusto, vita breve. Nel 1915 si consumò la rottura tra il gruppo di Soffici, Palazzeschi, Papini, Carrà, e i marinettiani. Lacerba, nel dibattito politico sulla guerra europea, prese posizioni fieramente interventiste e cessò di esistere con la discesa in campo dell’Italia a fianco di Francia e Inghilterra. Prima di partire per il fronte, Soffici compose un album di grande formato, BÏF§ZF+18 Simultaneità e Chimismi lirici, raccolta di poesie innovativa nel nostro panorama letterario. Durante la guerra, 1914-1917, scrisse testi teorici che riunì nel 1920 nel libro, Primi principî di una Estetica Futurista. Tornato a Poggio a Caiano nel 1920, sulla rivista personale Rete Mediterranea, in linea con la revisione delle trascorse esperienze artistiche, stampò «Apologia del Futurismo» in cui esponeva le ragioni della sua adesione al movimento così utile un tempo per scuotere le coscienze, e i motivi del distacco da una corrente artistica ora definitivamente superata. Passando dalle parole ai fatti, Soffici distrusse alcune sue tele come Sintesi pittorica della città di Prato, 1912, Compenetrazione di piani plastici (Tarantella dei pederasti), 1913. Dopoguerra. Realismo sintetico «Sono uscito dalla guerra un altro uomo; e come tale intendo presentarmi subito ai lettori di questa mia pubblicazione». Così Soffici apriva Rete Mediterranea, rivista trimestrale da lui interamente redatta nel 1920. Rendeva nota la revisione critica delle esperienze d’avanguardia e invitava a ritrovare le radici della cultura italiana. Appena chiuso il conflitto, in questi anni di ripristino umano e spirituale, Soffici attuava la sua trasformazione anche in campo pittorico: «Cominciai a chiedermi se la negazione di tanti principî tradizionali, e la predicazione di un’anarchia intellettuale ed estetica nelle quali mi ero compiaciuto, non presentassero alla fine un enorme rischio aprendo la via a correnti deleterie […] tanto più che la demolizione di quelle norme e punti d’appoggio, non poteva […] non pregiudicare la solidità di altri principî d’ordine etico e sociale […] la mia conclusione fu sin d’allora categorica. Che cioè, le leggi del sapere e della creazione artistica sono intangibili, e che solo il genio può interpretarle, non sovvertirle o abolirle; – pena il trionfo della stupidità o delle barbarie.» La guerra aveva inaridito le avanguardie: la violenza teorica e intellettuale si era trasformata in offensiva cruenta e micidiale. Ora si tornava a credere nell’affermazione di quella bellezza familiare, nutrita di conoscenze antiche. La più parte degli artisti si indirizzava al recupero della tradizione classica, da leggersi in chiave moderna. La voce di Soffici si inserì in quel panorama culturale di «ritorno all’ordine»: da uno stile di rottura formale si tornò alla tecnica, al mestiere, ma senza operare una regressione né il ripiegamento su posizioni passatiste. L’ideale dell’artista nel dopoguerra attinse quindi alla classicità, semplicità, italianità, tradizione, accostamento lirico alla natura. Allontanato da ogni intellettualismo, arcaismo, ibridismo figurativo, giunse al «realismo», attraverso la sintesi dei profili, l’essenzialità dei volumi, con una luce che nei dipinti restituiva alle immagini quiete magica e quasi atemporale. Abbandonata la scomposizione cubofuturista, ma avendo fatto tesoro delle scansioni compositive e dell’impaginazione dei valori plastici e cromatici, l’artista era tornato alla visione integra delle cose, recuperato un’autentica intesa con la terra e la sfera naturale, ispiratrice in ogni tempo. Scriveva Soffici a Carrà, 1919: «Io sono al Poggio dove mi sono rimesso a dipingere. Sento che tutto è da ricominciare. Non ammetto altro che la semplicità davanti alla natura che voglio studiare profondamente e rendere con onestà senza più ricordarmi di teorie o di preconcetti intellettualistici di alcuna specie. Ho cominciato a fare qualcosa in questo senso ritrovando me stesso e la gioia o la pena tranquilla del lavoro spontaneo e probo.» In una grande personale a Firenze, 1920, che riuniva per la prima volta opere cubofuturiste con quelle di impronta cezanniana fra il 1903 e il 1911, fu evidente che la pittura più recente, 19191920, paesaggi, casolari, ritratti di familiari, dava continuità al lavoro giovanile, riprendeva i temi di dieci anni prima, con compostezza formale e solidità d’impianto. La famiglia Soffici. Il paesaggio toscano La casa di Poggio a Caiano, solida costruzione iniziata probabilmente a metà del Seicento, Soffici la eredita dalla madre Egle Zoraide Turchini e, con poche interruzioni, dal 1907 sarà sua residenza. La campagna che si stende attorno, i frutteti, le viti, i coltivi, fanno controcanto alla «popolosa solitudine» della metropoli parigina, gli danno un senso di appartenenza, la sicurezza delle radici. Almeno fino al 1914, continuo il suo desiderio di tornare nel bollente crogiuolo francese e, una volta lì, lo riprende la nostalgia di casa. La quiete, l’aspra bellezza della Toscana, rinnovano il carattere del suo lavoro pittorico e letterario: alle emozioni eccitanti di Parigi può sovrapporre altri luoghi lirici, il semplice corso di un’armonia che non sentirà mai spegnersi. Il cuore creativo di Soffici batte su versanti insieme alternativi e consonanti: alto, fragoroso, intenso, oscuro, da un lato, sereno, limpido, luminoso, dall’altro. Il paese, Poggio a Caiano, verrà negli anni abbracciato in ogni sua angolatura scenica. Dalle finestre già si presenta la campagna inquadrata, pronta per essere dipinta; case, siepi, cipressi, lontano i colli, consentono riflessioni depurate, vengono intesi dall’artista nel variare delle stagioni, mutamenti dei toni esterni che traducono evoluzioni spirituali. La pittura segue le voci e il clima campestre e suscita le alternanze di una sensibilità che verrà vista dal critico Renato Serra come «un dono». Anche l’interno della casa offre a Soffici campioni di pensiero poetico, gli oggetti quotidiani, un fiore nella bottiglia, un bicchiere sul piano del tavolo bastano al suo raccontare per immagini. Giorgio Morandi, Ottone Rosai, Carlo Carrà riconosceranno in Soffici l’esempio magistrale. Questa sarà, del resto, la sua famiglia ideale, alla quale aggiungiamo almeno Medardo Rosso, Ugo Bernasconi, Giuseppe Graziosi. A Udine, durante la guerra, Soffici conosce la compagna della vita, Maria Sdrigotti. Nel 1919 il matrimonio. La casa di Poggio si anima presto di lavori domestici e di preparativi per la primogenita, Valeria, nata nel 1920, seguiranno Sergio, 1923, e Laura, 1925. I ritratti della madre, della moglie, dei figli sono pitture di conforto per l’artista, presenze che ci sono restituite nella loro pacata nitidezza. Paesaggio esterno che si completa con il paesaggio intimo. Nell’ambito delle cose naturali vi è per Soffici un incantamento non inseguito come momento perfetto, ma come momento di realtà: più che fatto estetico, coinvolgimento di emozioni vere. Si arricchiscono dalla metà anni Venti i pretesti pittorici. L’estate in Versilia, il mare, la spiaggia di Forte dei Marmi, sono rinnovate evocazioni e la solarità del Mediterraneo, quest’altro volto della Toscana, completa il panorama che Soffici consegna alla nostra storia dell’arte. Fragranti illuminazioni liriche segnano la visione del poeta che dipinge: Estate Spiccasi dal roseo grano La fulva allodola e canta. Toscana La Toscana è luce e terra Con pochi alberi fioriti.
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