Digitale purpurea [Primi poemetti] TEMI •sensualità e mistero •repressione del sesso •donna-angelo vs donna-demone GENESI Pubblicata per la prima volta nel 1898 e quindi nella seconda edizione dei Poemetti (1900), questa poesia avrebbe tratto ispirazione, secondo la testimonianza dell’interessata, dal racconto riferito dalla sorella del poeta Maria a Pascoli, e relativo al suo soggiorno giovanile in convento. Nel personaggio di Maria è dunque da riconoscere la sorella del poeta; di invenzione pascoliana sarebbe invece la figura di Rachele. Due amiche s’incontrano dopo tanto tempo e rievocano la comune giovinezza in un convento. Riaffiora un particolare per entrambe importante: il fiore della digitale purpurea, dall’odore dolciastro e stregato, che ammalia e uccide chi lo odori (secondo quanto era stato raccontato alle fanciulle). La bionda Maria ha sempre evitato di avvicinarsi al fiore proibito; mentre la bruna e ardente Rachele confida infine all’amica, a distanza di tanto tempo, di averlo una volta voluto odorare. E può così confermarle tanto la dolcezza quanto il pericolo di quell’esperienza. Il bivio esistenziale e morale rappresentato dalle due donne, quale che sia il significato da assegnare al misterioso fiore, disegna, da una parte, la fedeltà ai valori ricevuti (il caso di Maria), dall’altra il cedimento al fascino dell’ignoto e della trasgressione. Il poeta tratteggia con animo commosso la casta scelta di Maria; ma la nota più intensa e autentica risuona nel torbido passaggio morboso introdotto dalla spericolata Rachele. ANALISI La vista, gli odori, il tatto Molti lettori hanno registrato in questo testo una intensa nota di sensualità repressa e quasi morbosa. Essa si affida anche a una tramatura di dati sensoriali misteriosi o ambigui. La vista costituisce un primo motivo di incontro e di turbamento: può essere il fissarsi amichevole e famigliare delle due amiche («L’una guarda l’altra», v. 1), ma può anche essere un rivolgersi dello sguardo verso qualcosa d’invisibile perché perduto nel tempo o nell’inconscio («guardano lontano.// Vedono», vv. 25-26). Il diverso modo di guardare distingue le due amiche, entrambe “esili” (vv. 2 e 3) ma l’una con occhi «semplici e modesti» (v. 4), l’altra con occhi «ch’ardono» (v.5). La colpevolezza della vista è suggerita al v.59, sul limitare della confessione, che Rachele pronuncia senza poter guardare la compagna. Einfine, quando Rachele invita Maria a guardare dentro quel suo segreto («vedi...», v. 73), allora finalmente anche Maria «vede ora» (v. 74). Gli odori hanno a loro volta una funzione significativa, che raddoppia quella delle cose vedute: il profumo del fiore proibito produce non a caso immediatamente un effetto sull’anima: «il fiore ha come un miele/ che inebria l’aria; un suo vapor che bagna/ l’anima» (vv. 19-21). Vi è inoltre la decisiva contrapposizione tra l’«odor di rose e di viole a ciocche,/ di sentor d’innocenza e di mistero» del quale «si profuma il lor pensiero» (vv. 29-31) e l’«alito ignoto» della digitale purpurea (v. 50). La ricerca rievocata da Rachele del contatto con il fiore proibito presenta prima l’«odor di rose e di viole a/ ciocche» (vv. 62 sg.), che sembra come richiamare inutilmente la fanciulla al cerchio sano della vita conventuale e dei suoi valori. Il tatto. È il mezzo attraverso il quale le due compagne stabiliscono un reciproco con-tatto profondo che innesca la diversa rievocazione degli anni lontani: dalla mano di Maria posata su quella dell’amica (vv. 23 sg.), alla stretta più forte (vv. 51 sg.) che segue alla rappresentazione delle «dita umane» della digitale purpurea (vv. 48 sg.) quasi per scongiurarne la presa, e, al tempo stesso, anche forse per resuscitarla. INTERPRETAZIONE La negazione dell’eros in Pascoli In una fase storica in cui l’eros è esplorato in tutti i suoi aspetti Pascoli invece «censura il sesso con traumatizzata e traumatizzante angoscia» (Edoardo Sanguineti). Non esiste, infatti, nell’operadi Pascoli, un filone di poesia amorosa, né si parla mai esplicitamente di amore. Il tema vi compare in forma indiretta e allusiva, subordinato ad altri temi fondamentali come quelli del “nido” e dei morti. L’esperienza erotica, inoltre, non è mai vissuta in prima persona, ma è delegata ad altri o contemplata a distanza e rappresentata in modo ambiguo e indefinito, con un senso di inquietudine e di mistero (come nel Gelsomino notturno, e, appunto, in Digitale purpurea). La donna e l’amore sono fantasmi rimossi. Lo dimostra anche l’oscillazione, presente nella lirica pascoliana, tra i due poli opposti della sublimazione familiare della figura femminile (vista come figura verginale, di sorella o di madre) e della visione turbata e morbosa del rapporto erotico. Digitale purpurea presenta due opposti modelli di femminilità. La donna bionda, «dagli occhi semplici e modesti», e la donna bruna, dallo sguardo «ardente», riproducono la tradizionale opposizione tra la donna-angelo e la donna-demone. Da una parte l’innocenza e il candore di Maria (Maria è anche la sorella di Pascoli), dall’altra la sensualità di Rachele, associata alla trasgressione, al fascino del proibito e del peccato. Il profumo inebriante del fiore misterioso «dolce e crudele», che Rachele odora, induce la malattia e la morte. Il desiderio di esplorare la realtà e di confrontarsi con la vita e con l’amore è dunque rischio di corruzione e di morte. Pur restando volutamente oscuro il valore simbolico del fiore, la poesia allude a un rapporto impossibile con la realtà, avvertita come mi- stero e come male. È stata la critica psicoanalitica a individuare nelle tragedie familiari della vita di Pascoli un trauma indelebile che lo avrebbe bloccato a una fase erotica infantile, impedendogli di uscire dal “nido” e di crearsi una nuova famiglia: di qui la tendenza alla regressione verso la madre, che è l’immagine femminile dominante della poesia pascoliana, e il conseguente rifiuto di accedere a un rapporto adulto e maturo con il mondo esterno e con la donna, oggetto di attrazione e insieme di paura.
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