Costs and benefits of the Italian smart gas metering programme

IEFE
Centro di ricerca sull’economia e politica dell’energia e dell’ambiente
Università Bocconi, Milano
www.iefe.unibocconi.it
La regolazione economica dei servizi idrici
a cura di Antonio Massarutto
Università di Udine e Iefe, Università Bocconi
Executive summary
IEFE, Università Bocconi
La regolazione economica dei servizi idrici
Executive summary
I servizi idrici come servizi industriali
I servizi idrici appartengono per unanime consenso alla categoria dei servizi di interesse
generale, sia in quanto servizi essenziali che danno risposta a un bisogno primario delle
persone, sia per le valenze fondamentali in termini di salute pubblica e tutela
ambientale. Queste ragioni hanno portato ovunque all’assunzione di responsabilità da
parte del settore pubblico, a garanzia del soddisfacimento di questi obiettivi.
Vi è tuttavia un’altra e fondamentale ragione che porta lo stato ad occuparsi del settore
idrico, ed è la sua natura economica. Si tratta infatti di un settore caratterizzato da
condizioni strutturali di monopolio naturale, in misura tale da non rendere proponibili le
soluzioni adottate in altre utilities a rete (separazione dell’infrastruttura dall’erogazione
del servizio). Gli investimenti hanno cicli di vita estremamente lunghi (anche di 50 o 100
anni), con una prevalenza dei costi fissi su quelli operativi.
Queste ragioni hanno motivato in passato un finanziamento degli investimenti a carico
del bilancio pubblico, e un ruolo per il settore privato solo residuale, quasi
esclusivamente come affidatario di lavori e attività operative.
Oggi, tuttavia, questo schema non è più facilmente praticabile, sia perché reso
oggettivamente impossibile dalla crisi in cui versano le finanze pubbliche, sia perché ci si
è resi conto che in questo modo si fornisce stimolo a una politica di mera espansione
dell’offerta insostenibile sia dal punto di vista ambientale che da quello economico.
Il gestore, in questo quadro, da semplice “prestatore d’opera”, si vede investito delle
fondamentali responsabilità connesse con l’organizzazione dei servizi, intesi come
attività economiche sempre più complesse, e soprattutto di quella di finanziarne lo
sviluppo, assumendosene i relativi rischi.
Il paradigma che si va affermando in tutti i paesi, mentre rafforza sempre di più l’idea
di servizio di interesse generale sottoposto alla specificazione da parte pubblica delle
modalità di erogazione (estensione delle reti, diritto/dovere di allacciarsi,
caratteristiche qualitative del servizio, tutela dell’ambiente), afferma da un altro lato
l’esigenza di una gestione industriale e finanziariamente autosufficiente, in grado di
dominare la tecnologia e ottenere dal mercato finanziario i capitali necessari per
realizzare gli investimenti.
2
IEFE, Università Bocconi
La regolazione economica dei servizi idrici
Executive summary
Pubblico o privato: un falso problema
Questa trasformazione viene spesso descritta come tendenza verso la “privatizzazione”,
e in quanto tale è oggetto di accese discussioni da parte dell’opinione pubblica ma
anche nell’agone politico. Posta nei termini in cui spesso è presentata, la questione non
meriterebbe neppure di essere affrontata: è di così solare evidenza il fatto che l’acqua è
un bene comune di fondamentale importanza, da rendere improponibile qualunque sua
appropriazione da parte dei privati; né sarebbe accettabile un’erogazione del servizio su
basi esclusivamente commerciali. Il servizio idrico non soddisfa solo la domanda
individuale degli utenti, ma implica dimensioni collettive, presupponendo pertanto un
ruolo attivo da parte del soggetto pubblico nel definirne le caratteristiche qualitative e i
livelli di erogazione. In gioco non c’è solo l’accessibilità del servizio universale per tutti gli
utenti – come per altri servizi a rete – ma anche il fatto che l’acqua è una precondizione
di qualunque forma di sviluppo economico e sociale. L’acqua, in questo senso, non potrà
mai essere intesa come una merce, e l’idea stessa che qualcuno possa trarre profitto
speculando su un bene essenziale va respinta con forza.
Ma un’analisi più attenta rivela che non è questo il tema all’ordine del giorno. La natura
essenziale del bene acqua non può lasciare in secondo piano il fatto che la sua gestione
richiede capitali e tecnologie, organizzati secondo una logica di impresa. Qualunque
gestione, se non vuole gravare sulla finanza pubblica, né consegnare alle generazioni
future un patrimonio idrico depauperato, dovrà operare in modo da recuperare con le
tariffe i mezzi necessari per far fronte alle esigenze operative e agli investimenti.
Il possibile contributo del settore privato va compreso sotto questa luce. La gestione
pubblica rappresenta un’opzione praticata con successo, se le imprese pubbliche sono
efficienti e messe nelle condizioni di operare in una logica aziendale. Tuttavia, non
sempre il settore pubblico possiede i mezzi e le capacità per assicurare una gestione
efficiente; e soprattutto, non sempre il soggetto economico cui le aziende pubbliche
fanno riferimento trasmette alle aziende una funzione-obiettivo di tipo manageriale,
piegandole invece a obiettivi che con l’erogazione del servizio hanno poco a che fare.
Per questa ragione, la trasformazione della gestione dei servizi idrici verso modelli
aziendali può trovare un valido contributo nel settore privato, a patto, ovviamente, che
a ciò corrisponda la capacità del pubblico di governare e regolare il sistema.
La letteratura economica, supportata dall’esempio dei casi stranieri, sia virtuosi che
meno virtuosi, mostra chiaramente che la proprietà del gestore, così come quella delle
reti, sono problemi secondari. Fondamentali sono invece il quadro di regole in cui il
gestore opera, e le modalità con cui il rischio economico viene allocato nel sistema.
Entrambe le questioni rimandano alla qualità, coerenza ed efficacia del sistema di
regolazione economica.
3
IEFE, Università Bocconi
La regolazione economica dei servizi idrici
Executive summary
L’importanza della regolazione economica
La trasformazione dei servizi idrici da “opera pubblica” a “public utility” sollecita dunque
una trasformazione altrettanto fondamentale del ruolo dello stato. Il controllo pubblico
sul settore, in passato affidato soprattutto alla pianificazione, al finanziamento degli
investimenti e alla gestione diretta dei servizi, vede mutare la sua natura e funzione in
direzione di quella che i teorici chiamano “regolazione economica”.
Alla regolazione economica spetta, infatti, il fondamentale compito di assicurare che le
gestioni – per loro natura indipendenti e concentrate sulla missione aziendale - siano,
nello stesso tempo, finanziariamente sostenibili ma anche economicamente efficienti;
che siano cioè in grado di far fronte agli impegni finanziari che si assumono con chi
fornisce loro i capitali di rischio, ma anche sappiano adottare soluzioni tendenti a
minimizzare i costi senza trarre indebito profitto dalla posizione dominante in cui, in
quanto monopoliste, si trovano ad operare.
Ancora, data la fondamentale importanza del lungo periodo, la regolazione economica
deve garantire che la sostenibilità della gestione sia intesa come capacità di investire e
mantenere le infrastrutture nel tempo, non distogliendo risorse dalla loro manutenzione
e rinnovo; e quindi, né indulgendo nella pratica di tenere artificialmente basse le tariffe
per ragioni di consenso politico a breve, né favorendo la prassi, purtroppo diffusa, di
“espropriare” le risorse finanziarie generate dai margini operativi per il finanziamento
della spesa corrente degli enti locali.
Una regolazione economica efficace è il presupposto del buon funzionamento del
servizio idrico e la migliore garanzia che esso sappia soddisfare agli obiettivi di interesse
generale, sia con riferimento alla questione ambientale, sia agli aspetti sociali.
In altre parole, un servizio idrico moderno è un’attività di impresa, e richiede, chiunque
ne sia proprietario, organizzazioni aziendali sofisticate, fondamenti economici sani,
mentalità orientata a garantire l’equilibrio costi-ricavi e alla creazione di valore; e
richiede altresì capacità di attirare, e conseguentemente remunerare, i fattori produttivi
più qualificati e i capitali. Questo significa, necessariamente, che molte decisioni devono
trasferirsi dalla sfera della politica alla sfera manageriale. Ma significa, altrettanto
necessariamente, che le aziende devono operare nel quadro di un sistema di regole e di
incentivi che indirizzi la loro strategia verso una creazione di valore per l’intera
collettività, comprese le generazioni future, e non si risolva in una mera massimizzazione
del reddito d’impresa.
La questione fondamentale è capire quali siano le regole di cui il settore ha necessità,
come queste debbano essere imposte e fatte valere, in modo da trovare il miglior
compromesso possibile tra i diversi, e in certa misura configgenti, obiettivi.
4
IEFE, Università Bocconi
La regolazione economica dei servizi idrici
Executive summary
Il settore idrico in Italia: una transizione incompiuta
La cosiddetta “legge Galli” (l.36/94, poi confluita nel T.U. ambientale, Dlgs 152/06) ha
posto le basi di una riforma del settore idrico che, almeno nelle intenzioni dichiarate
all’epoca, voleva favorire una transizione del settore verso modelli industriali e
autosufficienti. A 15 anni dall’approvazione di quella legge, tuttavia, la trasformazione
appare ancora incompleta. Il Comitato di vigilanza sulle risorse idriche (Coviri), nelle sue
relazioni al Parlamento, così come gli studi indipendenti (valga per tutti il noto BlueBook,
realizzato ogni anno da Utilitatis e Anea) mostrano con tutta evidenza un settore in
grandi difficoltà finanziarie, incapace di far fronte al volume di investimenti che i piani di
settore sulla carta hanno programmato. La qualità dei servizi migliora molto lentamente,
e sempre più lontano appare il traguardo degli obiettivi ambientali imposti dalla Dir.
2000/60. Tutto questo è ancora più paradossale, se si pensa che lo sforzo economico
necessario per adeguare il sistema, sebbene ingente, non è certamente fuori dalla
portata del nostro Paese, implicando una spesa pro capite aggiuntiva dell’ordine di
qualche decina di euro all’anno. Come è possibile che una riforma tanto necessaria
quanto economicamente sostenibile faccia tanta fatica ad avviarsi?
Il ritardo strutturale del nostro Paese si coglie in modo ancora più nitido se si confronta
con l’esperienza degli altri Paesi sviluppati. Con tutta evidenza, la capacità del settore
idrico di mobilitare risorse negli altri Paesi – anche con redditi pro-capite inferiori
all’Italia – è di gran lunga superiore. Tariffe anche molto più alte di quelle italiane non
suscitano reazioni politiche di dissenso altrettanto veementi; gli investimenti si fanno, la
qualità dei servizi migliora nel tempo. Il sistema sembra altrove capace di prendere
decisioni e attuarle con una “produttività” di gran lunga maggiore.
La difficoltà che il settore idrico incontra in questa fase in Italia non dipende né dalla
presunta inefficienza delle imprese pubbliche, né dall’altrettanto presunta “rapacità”
delle imprese private, né dalla mancanza di concorrenza – fattore, quest’ultimo, del
tutto normale e inevitabile nel contesto del settore idrico, come mostrano le
esperienze straniere e le analisi presenti in letteratura. Essa discende in buona misura
dall’inadeguatezza del quadro regolatorio, che impedisce una sana e fisiologica
divisione dei compiti tra titolarità pubblica del servizio, gestione industriale e mercati
finanziari. Sul funzionamento di questa relazione occorre concentrare l’attenzione.
5
IEFE, Università Bocconi
La regolazione economica dei servizi idrici
Executive summary
Sintesi dell’analisi comparata svolta nella ricerca Iefe
Lo studio Iefe ha assunto come ipotesi di riferimento l’idea che la performance del
sistema sia influenzata in modo decisivo dalla qualità del sistema di regolazione
economica – ossia, la sua capacità di prendere decisioni in modo tempestivo,
tecnicamente fondato ed efficace, e di trovare il migliore equilibrio tra l’esigenza di
tutelare i consumatori e quella di garantire la sostenibilità delle aziende. Per questo
motivo, la ricerca ha effettuato un’approfondita analisi comparativa dei sistemi di
regolazione di alcuni paesi di riferimento.
Sono state esaminate alcune esperienze (Usa, Regno Unito, Francia, Spagna, Portogallo,
Germania), sulle quali si è svolta un’approfondita indagine empirica, fondata non su
aspetti meramente descrittivi, quanto sull’analisi di come i diversi sistemi prendono le
decisioni: come vengono scelti i gestori, su quali basi sono definiti i loro impegni e come
questi vengono eventualmente rinegoziati, con quali criteri e regole sono fissate le
tariffe, in che modo la regolazione ambientale si traduce in obblighi di servizio.
Ci si è concentrati non tanto sul contenuto delle decisioni, quanto piuttosto su come
vengono prese, sui soggetti cui esse sono affidate e come questi soggetti interagiscono.
L’analisi ha reso evidente la pluralità di soluzioni adottate nei vari paesi, sintetizzabili in
alcuni “modelli” generali, che tuttavia poi trovano significative forme di contaminazione
e ibridazione. Cruciale, quasi ovunque, è l’esistenza di un rapporto di tipo contrattuale
tra soggetto responsabile e gestore; tale rapporto non è tuttavia mai l’unica ed esclusiva
fonte di regolazione, fondamentalmente a motivo (i) dell’incompletezza contrattuale,
ossia della difficoltà di specificare in anticipo le contingenze future e (ii) della sostanziale
asimmetria di informazione e di potere contrattuale tra ente locale e gestore.
Una distinzione cruciale che percorre l’intero lavoro è quella tra strumenti di regolazione
“ex ante” (norme, contratti, capitolati di gara) ed “ex post” (termini per la rinegoziazione
e il completamento dei contratti successivamente alla loro stipula; modalità con cui le
regole generali si modificano nel tempo e incidono sugli affidamenti già in essere). In
tutte le esperienze analizzate, la regolazione ex post – a prescindere dagli strumenti con
cui viene attuata – svolge un ruolo decisivo.
In molti paesi si vanno affermando in questa logica soggetti regolatori indipendenti,
con modalità peculiari ma significativamente convergenti. Ovunque, la questione
cruciale è quella di governare nel tempo l’evoluzione del rapporto contrattuale, dando
volta per volta contenuto ai principi che i contratti fissano spesso in termini solo
generali. Su tali soggetti indipendenti la ricerca si è profusa con maggiore attenzione,
esaminando i motivi che hanno portato alla loro istituzione, analizzandone funzioni,
competenze, organizzazione, nonché studiandone il comportamento in alcune
situazioni concrete.
6
IEFE, Università Bocconi
La regolazione economica dei servizi idrici
Executive summary
Gestione integrata, regolazione per contratto e gare
L’analisi comparata ha illuminato quella che, a nostro avviso, è la principale debolezza
del sistema di regolazione italiano, ossia il suo concentrarsi prevalentemente, per non
dire esclusivamente, su meccanismi di regolazione “ex ante” – contratti di servizio, bandi
di gara, piani redatti dai soggetti pubblici responsabili e posti alla base dell’affidamento.
Il legislatore riconosce l’esigenza che questi strumenti operino con una certa flessibilità,
e a tale scopo prevede che il piano d’ambito sia soggetto a revisione triennale; mancano
tuttavia in modo appariscente le regole con cui tale flessibilità può concretizzarsi, le
procedure con cui si dovrà realizzare, i meccanismi per la risoluzione dei conflitti e per la
garanzia delle parti escluse dalla negoziazione, a cominciare dalle generazioni future.
Della stessa revisione si offrono spesso visioni contraddittorie, a volte intendendola
come radicale rimessa in discussione delle condizioni di affidamento, altre, al contrario,
come verifica ex post, adottabile in modo unilaterale dall’AATO.
Questa caratteristica viene ulteriormente acuita dalle riforme in corso, e in particolare
da quella relativa alle modalità di affidamento dei servizi pubblici locali (art. 23bis l.
133/08).
Infatti, la legge 36/94, poi raccolta nel T.U. ambientale (Dlgs 152/06) ha disegnato il
settore delle acque sul principio della gestione integrata, intendendo con ciò la
responsabilità congiunta del gestore sugli investimenti e sul rischio industriale collegato
agli investimenti. Laddove in passato operava un dualismo tra chi decideva e finanziava
gli investimenti (il piano regionale) e chi gestiva la rete ed erogava il servizio, il principio
della gestione integrata richiede che sia un unico soggetto ad integrare queste funzioni,
nel quadro di una più generale pianificazione pubblica.
L’art.23 bis, dal canto suo, introduce un principio di gara generalizzata (salvo eccezioni la
cui ampiezza andrà chiarita meglio in sede di decreto attuativo), costituendo così un
combinato disposto piuttosto singolare.
Infatti, anche estendendo l’analisi al di là dei casi studiati, non esiste al mondo nessun
caso (almeno nei paesi occidentali) in cui la gestione integrata si abbini al meccanismo
della concorrenza per il mercato. Dove esiste la gestione integrata ci sono o monopoli
perpetui, come in Inghilterra, o contratti molto elastici e flessibili, che vengono
rinegoziati frequentemente e in modo amichevole, spesso rilasciati senza gara, spesso
frutto di affidamenti fatti molti decenni fa, come nel caso di Agbar a Barcellona.
Viceversa dove c’è un modello di affidamento con gara, ritroviamo altri schemi
contrattuali che la nostra legge ha deliberatamente escluso: lo schema del lease contract
(affermage), in cui le reti sono finanziate dal pubblico e affittate al privato, e quello in
cui il privato viene coinvolto in operazioni di project financing o di outsourcing per fare
cose specifiche e svolgere attività circoscritte, come la realizzazione e gestione di un
depuratore o un impianto di potabilizzazione.
7
IEFE, Università Bocconi
La regolazione economica dei servizi idrici
Executive summary
A metà strada troviamo lo schema della PPP istituzionale (società mista), pure molto
diffusa, dove il partner privato è scelto con gara, ma i criteri di aggiudicazione sono
molto discrezionali, sempre e comunque con limiti che circoscrivono in modo
estremamente preciso il rischio economico che il gestore si assume e quasi sempre con
un regolatore esterno che dice l’ultima parola, soprattutto per la disciplina della
revisione delle tariffe.
In altre parole, un modello di regolazione di tipo contrattuale – che affida cioè al
contratto di servizio sottoscritto dalle parti il compito di definire impegni, obblighi e
remunerazione del gestore – richiede che al soggetto privato siano affidati compiti
prevalentemente operativi, con pochi e ben definiti rischi industriali e finanziari, che
quindi devono gravare almeno per una parte significativa sul soggetto pubblico.
Viceversa, dove il gestore ha anche la responsabilità di investire e quindi di remunerare i
capitali investiti, basare la regolazione sul solo contratto pattuito ex-ante è
estremamente rischioso; molti aspetti decisivi della relazione (ad es. quanto e quando
investire, quali ricavi garantire attraverso le tariffe) dovranno essere definiti in corso
d’opera. Man mano che il rischio industriale che viene trasferito al gestore diventa più
significativo, maggiori devono essere gli elementi di flessibilità ex-post della relazione, e
dunque il ruolo di strumenti di regolazione pensati a questo scopo.
Sottolineiamo che il fattore decisivo in tutte le esperienze analizzate non è la proprietà
delle reti – elemento su cui il legislatore italiano ha più volte insistito – ma
l’attribuzione dei rischi economici connessi con gli investimenti, ossia il soggetto su cui
grava la responsabilità ultima di garantire la restituzione dei capitali al mercato, e che
sopporta il rischio di perdite economiche nel caso in cui le condizioni effettive di
erogazione, i costi e i ricavi siano diversi da quanto inizialmente pattuito.
Quali gare sono praticabili nel modello italiano?
Il combinato disposto del Dlgs 152/06 e delle norme in materia di affidamento dei servizi
pubblici locali prevede, invece, di affidare in blocco per un lungo periodo (trentennale o
quarantennale) la gestione integrata, costituita da acquedotto, fognatura, depurazione
e con l’integrazione tra gestione e rischio industriale, con una gara che si vorrebbe
immaginare “da manuale”: con l’oggetto perfettamente specificato, nessuna eventualità
futura esclusa, affidata sulla base della migliore offerta economica. Gli unici esperimenti
in questa direzione sono stati tentati sotto l’auspicio della Banca Mondiale nei paesi in
via di sviluppo alla fine degli anni ’90, con risultati fallimentari, che hanno indotto la
stessa Banca Mondiale a una drastica retromarcia: o perché i privati si sono trovati quasi
subito nell’esigenza di rinegoziare gli affidamenti, essendo mutato nel frattempo il
contesto o venute meno alcune ipotesi alla base della gara; o perché, per potersi
8
IEFE, Università Bocconi
La regolazione economica dei servizi idrici
Executive summary
accollare un simile rischio, hanno richiesto remunerazioni tanto astronomiche da far
decollare le tariffe verso livelli insostenibili, presto sfociando in rivolte popolari.
La Francia ha introdotto un principio di gara obbligatoria nel ’92 con la loi Sapin. Questa
nasceva da altri intenti, principalmente quello di combattere la corruzione. Non
prevedeva peraltro gare al massimo ribasso per la gestione integrata, ma più
semplicemente richiedeva procedure pubbliche più trasparenti per l’affidamento e la
successiva rinegoziazione dei contratti di affermage – i quali, in genere, hanno durate
molto più brevi delle concessioni, proprio perché in quel caso è il comune, e non il
gestore, ad impegnarsi negli investimenti e a correre i relativi rischi. L’ente locale
mantiene la massima discrezionalità, ma è obbligato a motivare ogni passaggio della
decisione – dalla scelta del modello organizzativo all’affidamento – nel quadro di un
procedimento aperto e partecipato. L’esito dell’introduzione perfino di norme così
blande è stato paradossale: nella quasi totalità dei casi, le imprese incumbent hanno
rivinto le gare, con condizioni economiche molto migliorate per il concedente, ma
richiedendo poi quasi subito adeguamenti dei contratti e rinegoziazioni. Molti comuni
pur di non imbarcarsi negli enormi costi di transazione e di contenzioso giuridico con i
gestori (e forse anche per non attirare l’attenzione della magistratura), stanno optando
per il ritorno alla gestione pubblica, che rappresenta un trend significativo. Anche
l‘amministrazione comunale di Parigi, finora gestita per un secolo da concessionari
privati, ha annunciato l’intenzione di tornare alla gestione pubblica quando tra pochi
anni scadranno i contratti di affidamento.
Il caso francese è interessante perché illustra un modo alternativo per concepire le gare,
che potrebbe essere di interesse anche per la riforma italiana: una gara che ha
soprattutto la finalità di costringere il decisore pubblico locale alla trasparenza e alla
motivazione esplicita delle proprie scelte, nell’ambito di una decisione pubblica aperta
alla partecipazione dell’opinione pubblica. Ma nello stesso tempo, sottolinea che da
questo tipo di gare non ci si può certamente aspettare la soluzione di tutti i problemi di
regolazione. Le vere questioni importanti sono quelle che si manifestano dopo
l’affidamento, e queste richiedono una negoziazione tra ente locale e gestore arbitrata
da un soggetto imparziale sulla base di regole e principi certi.
Riteniamo che il modo più realistico per immaginare una gara per l’affidamento del
servizio idrico organizzato secondo il modello di gestione integrata fatto proprio dal
Dlgs 152/06 sia uno schema molto più simile a quello francese che a quello “alla
migliore offerta economica” che talvolta viene proposto. Ossia, i margini di
discrezionalità saranno fatalmente molto elevati, e tali da impedire un affidamento
basato su criteri totalmente oggettivi. Dunque, ciò che verrà verosimilmente affidato
con la gara sarà un contratto molto incompleto, e spetterà alla regolazione ex post
definirne puntualmente i contenuti.
9
IEFE, Università Bocconi
La regolazione economica dei servizi idrici
Executive summary
Dall’affidamento alla regolazione
L’esperienza internazionale ci dimostra in altri termini che il problema non sta
nell’affidamento ma nel tipo di governance che si istituisce sul settore dopo che
l’affidamento è stato fatto e nel tipo di gara concepita. In questo settore non sono
praticabili gare al massimo ribasso; si faranno tutt’al più dei “concorsi di bellezza” in cui
l’aggiudicazione segue criteri almeno in parte discrezionali. Meglio che niente, certo: ma
questo tipo di gara non risolve tutti gli aspetti di promozione dell’efficienza, di tutela
contro il potere di mercato, né risolve automaticamente il problema della scelta
dell’offerta migliore.
Questo è anche un settore in cui la concorrenza, se c’è, è molto debole; l’esperienza ci
mostra che tutt’al più si verifica al primo affidamento, quasi mai ai successivi. La stessa
Francia ci mostra che le gara fatte dopo la legge Sapin sono state rivinte dall’incumbent
nel 90% dei casi, e lo stesso avviene in tutto il mondo. E’ lodevole certamente
impegnarsi affinché negli affidamenti successivi ci siano maggiori condizioni di parità, ma
l’esperienza altrui suggerisce che si tratta di un obiettivo poco realistico. Il vantaggio
informativo dell’operatore incumbent è troppo schiacciante: se da un lato questo
dovrebbe contribuire a rasserenare gli animi anche dei sostenitori delle aziende
pubbliche (una buona azienda pubblica potrà senza dubbio vincere la gara a casa propria
e non dovrebbe temere più di tanto la concorrenza, visto che il comune avrà comunque
una certa discrezionalità nell’aggiudicare il contratto), da un altro lato una siffatta
concorrenza potrà eventualmente permettere di evitare gli abusi più smaccati, ma
difficilmente produrrà incentivi all’efficienza davvero efficaci. L’esigenza di regolazione
ne verrebbe dunque appena scalfita.
Se le modalità di affidamento o la proprietà delle reti costituiscono un problema
secondario, le criticità che attendono disciplina dal legislatore sono altre. Esse
riguardano, ad esempio, il tipo di incentivi, i modelli di allocazione del rischio, le
modalità con cui si rinegoziano i contratti, le modalità con cui gli impegni vengono
ridefiniti in modo tale da far sì che chi si è aggiudicato il contratto operi in un quadro
regolatorio esigente, ma anche chiaro e prevedibile.
10
IEFE, Università Bocconi
La regolazione economica dei servizi idrici
Executive summary
Il piano d’ambito: da strumento puntuale a indirizzo strategico
Il modello italiano affida le principali funzioni di regolazione al piano di ambito. Esso
viene predisposto dagli enti locali associati nell’AATO, e dovrebbe rappresentare il
documento che definisce gli adeguamenti strutturali e organizzativi del sistema,
individuando le risorse finanziarie attraverso la previsione dei flussi di cassa generati
dalla dinamica tariffaria. Quest’ultima può essere definita entro i limiti previsti dal
“metodo tariffario normalizzato”. Il piano rappresenta la base dell’affidamento, nel
senso che il gestore sarebbe chiamato essenzialmente ad attuarlo, realizzando le azioni
in esso previste e finanziandole con i proventi tariffari secondo il percorso predefinito.
L’esperienza di questo schema è stata fin qui deludente. I piani di ambito rigidi, ancor
più se approvati a tavolino e senza il contributo del gestore, hanno ben poche possibilità
di rappresentare fedelmente le condizioni in cui la gestione si troverà ad operare; la
legge prevede ora la revisione triennale dei piani, ma non disciplina in che modo le
revisioni si faranno, quali aspetti potranno/dovranno essere rinegoziati, chi avrà l’ultima
parola in caso di disaccordo.
Ne risulta un quadro confuso, nel quale tra i ruoli dell’ente locale, del gestore e del
regolatore si creano pericolosi cortocircuiti. L’autorità di ambito (AATO) gioca spesso un
ruolo ambiguo, in cui essa si trova a rappresentare contemporaneamente la controparte
contrattuale, l’azionista di riferimento e talvolta anche l’arbitro.
Riteniamo che sia necessario basare il rapporto tra enti locali e gestori in un modo
diverso. Il piano d’ambito dovrebbe essere soprattutto un documento di indirizzo
strategico, che individua obiettivi, priorità e vincoli. Il piano gestionale e finanziario,
invece, dovrebbe essere avviato su proposta del gestore, sottoposto a un procedimento
di approvazione con regole certe, a garanzia delle quali è necessaria una figura terza, in
grado sia di arbitrare gli eventuali conflitti, sia, all’opposto, di prevenire soluzioni che
subordinano gli obiettivi generali del servizio ad altri obiettivi politici del concedente, e
che quest’ultimo possa imporre al gestore in forza del rapporto proprietario.
In tutti i paesi esaminati, la definizione puntuale di investimenti e tariffe avviene a
partire dalla proposta del gestore, subordinata all’approvazione da parte dell’ente
pubblico responsabile, il quale è tenuto sia a rispettare regole generali imposte dallo
stato, sia in molti casi a sottoporre l’accordo all’approvazione di enti regolatori
indipendenti. Questi ultimi sono attivi soprattutto nei casi in cui la gestione viene
delegata ad imprese non controllate dal soggetto pubblico, ma in molti casi giocano
un ruolo importante anche nel caso in cui il soggetto gestore è controllato dal
concedente, almeno a supporto ed integrazione dei poteri di quest’ultimo.
11
IEFE, Università Bocconi
La regolazione economica dei servizi idrici
Executive summary
Rischio economico, investimenti e costi finanziari
Si afferma spesso che i servizi idrici in Italia sono poco o per nulla “bancabili”: le
istituzioni finanziarie, in questa fase, non riscontrano condizioni che permettano di
operare nel settore. Il problema dell’incapacità del settore di far fronte nel lungo
termine ai suoi impegni è ben noto a tutti gli operatori che si sono interessati ad
investire nell’acqua, tanto che persino istituzioni come la BEI lamentano la difficoltà
manifesta di operare in questo settore in Italia.
Numerose analisi riconducono questa difficoltà alla generale imprevedibilità delle
condizioni di rischio cui l’investitore va incontro, nel contesto di affidamenti nei quali le
contingenze future sono affidate ai modi imprevedibili e ondivaghi con cui il contratto di
servizio viene adattato e completato.
Di fronte a questa situazione, è forte la tentazione di ritornare indietro a modelli in cui la
finanza pubblica giocava un ruolo importante se non decisivo; a questo proposito sono
state avanzate anche proposte concrete, come quella di emettere titoli di stato
finalizzati all’investimento nel settore (“idro-bond”). Riteniamo che questa soluzione sia
molto utile, ma vada meglio precisata per evitare il rischio di un mero ritorno alle logiche
del passato, che tanti danni hanno fatto al settore. Un ruolo del pubblico nel
finanziamento non può significare il ritorno del “dualismo” tra chi pianifica e realizza gli
investimenti e chi gestisce i servizi. La strategia della l.36, tesa a ricondurre in capo al
gestore la responsabilità di decidere quali investimenti realizzare è corretta e va ribadita
con forza; ciò però non deve significare che il gestore sia lasciato totalmente da solo di
fronte alla responsabilità di raccogliere i capitali necessari dal mercato finanziario.
Negli altri paesi, questo problema cruciale viene affrontato con una combinazione di due
strategie. Da un lato, la regolazione tariffaria garantisce che i flussi di cassa destinati
all’ammortamento e alla copertura degli oneri finanziari siano assicurati e per così dire
“protetti” dalla tentazione di destinarli ad altre finalità, siano esse la copertura della
spesa corrente degli enti locali o al calmieramento dell’inflazione.
Dall’altro lato, si costituiscono meccanismi finanziari in cui il pubblico gioca la parte del
garante, e che sono finalizzati a mettere a disposizione del settore capitale a costi
sensibilmente inferiori a quelli che si otterrebbero semplicemente sul mercato. Se si
esclude l’esperienza di alcune Regioni, entrambe queste strategie non sono
adeguatamente sviluppate nel caso italiano, ed occorre uno sforzo in questa direzione.
Non è pensabile una transizione brutale dal “tutto in fiscalità” di prima degli anni 90 al
“tutto in tariffa, con rischio economico interamente scaricato sul gestore” che
rappresenta l’attuale norma. Occorrono strategie finanziarie sofisticate che realizzino
quel “cuscinetto intermedio” che permetta al mercato di potersi fidare della capacità a
lungo termine delle gestioni idriche di rigenerare i capitali impiegati, contenendo a
limiti fisiologici i rischi per i finanziatori e quindi i costi di capitale.
12
IEFE, Università Bocconi
La regolazione economica dei servizi idrici
Executive summary
Come rafforzare la regolazione economica?
La regolazione economica dei servizi in Italia è debole, contraddittoria e lacunosa. E’
palese una “domanda inevasa di regolazione”, nel senso che le regole del gioco
attualmente in vigore sono poco efficaci, insufficienti, funzionano male, non producono
gli effetti desiderati; quando anche la legge prevede formalmente certi poteri, spesso le
istituzioni non sono in grado di esercitarli, per debolezza politica, mancanza di risorse,
presenza di altre regole e poteri che le contraddicono.
Ci limitiamo ad alcuni esempi di questioni che l’attuale quadro regolatorio non risolve in
modo soddisfacente: la disciplina della rinegoziazione dei contratti, i meccanismi
incentivanti, i meccanismi per l’approvazione delle tariffe e del loro adeguamento
periodico, i principi contabili, l’unbundling. Ma anche altre funzioni di “soft regulation”
che la legge già prevede – a cominciare dall’elaborazione e diffusione delle informazioni
comparative – possono essere svolte solo in modo molto lacunoso, anche a causa
dell’esiguità dei mezzi a disposizione.
Di fronte a questa debolezza, un atteggiamento diffuso, ma a nostro avviso pericoloso,
consiste nell’invocare una maggiore “capacità di controllo”, rafforzando le funzioni di
pianificazione in capo ai comuni e affidandone l’attuazione a una mera verifica formale
del rispetto della legge e delle condizioni pattuite.
La regolazione implica, al contrario, decisioni tempestive, continue, e che, almeno in
parte, sono discrezionali, devono entrare nel merito; non possono limitarsi alla mera
verifica ex post, a maggior ragione se tale verifica viene intesa solo con riferimento ai
profili di legittimità. E’ impensabile che una pianificazione a tavolino, redatta con criteri
necessariamente poco attenti alla praticabilità economica e finanziaria, possa stabilire
quali investimenti fare e come finanziarli; il piano va concepito come indirizzo strategico,
volto a definire priorità e vincoli, ma deve essere poi la gestione a definire come attuarlo
e con quale tempistica, proponendo le soluzioni che il soggetto pubblico sarà poi
chiamato a validare.
Questo non vuol dire ovviamente che le decisioni siano arbitrarie: occorre piuttosto
trovare il giusto equilibrio tra l’esigenza di rispettare criteri generali decisi ex ante (ad
esempio, una certa garanzia del recupero degli investimenti effettuati, o che certi costi e
non altri siano ammessi al recupero) e quella di adattare la dinamica tariffaria agli
impegni che, per loro natura, mutano nel tempo.
Altrettanto riduttivo è pensare che il problema possa essere risolto sostituendo questo o
quello strumento di regolazione – ad esempio il “metodo tariffario normalizzato”, di cui
da un decennio viene invocata, invano, la riforma – mantenendo l’attuale assetto. Pur
lodando l’impegno con il quale il Coviri ha affrontato la questione nell’ultimo anno, è
frustrante notare che questi sforzi hanno finora prodotto ben pochi risultati. Non è, la
nostra, una valutazione di merito, quanto di funzionalità. La debolezza istituzionale del
13
IEFE, Università Bocconi
La regolazione economica dei servizi idrici
Executive summary
Coviri e l’assenza di una struttura al suo servizio costituiscono un handicap che la buona
volontà e le indubbie capacità personali di chi lo presiede non possono colmare.
E’ necessario a nostro parere che di queste funzioni sia investito un soggetto forte,
autorevole e soprattutto indipendente.
Un’altra posizione spesso espressa, ma a nostro avviso altrettanto pericolosa, consiste
nell’attribuire il ruolo di regolatore alle Autorità di ambito, che rappresentano gli enti
locali. Esse costituiscono infatti la controparte del gestore (quando questo è un soggetto
terzo), oppure coincidono con il gestore (quando l’azienda è di proprietà dei comuni).
Nell’uno e nell’altro caso, la terzietà del soggetto cui spetta la definizione delle regole
(es. in materia di contabilità) e l’ultima parola in fatto di tariffe è un prerequisito sia per
risolvere eventuali conflitti sia, all’opposto, per prevenire le situazioni in cui il soggetto
pubblico può prevaricare sulle aziende, distogliendo altrove le loro risorse.
Solo se la regolazione è indipendente, del resto, si può pensare di dare un qualche
significato al principio dell’evidenza pubblica, sostenuto dall’art. 23 bis. Fatto salvo il
diritto-dovere per l’autorità pubblica responsabile di fare la scelta che ritiene migliore
per i propri cittadini, il gestore dovrà essere chiamato al rispetto di regole uguali per
tutti, sia sotto il profilo dei livelli minimi di servizio da garantire, sia sotto il profilo
dell’equilibrio finanziario. Sarebbe ben poco soddisfacente la scelta di quel comune che,
una volta prescelta l’impresa di cui è azionista, le concedesse poi sconti sotto il profilo
del recupero dei costi o degli impegni di investimento, o peggio subordinasse la politica
tariffaria alla politica di dividendo sulla quale ha già .
La terzietà del regolatore è anche un prerequisito fondamentale di tutte le funzioni,
altrettanto fondamentali, relative alla valutazione comparata dell’efficienza e
all’elaborazione e diffusione delle informazioni a supporto delle decisioni dei soggetti
locali.
Tutte queste funzioni sollecitano da un lato una certa indipendenza (nell’ambito di un
mandato politico chiaro e soggetto a scrutinio da parte della politica), dall’altro
l’esigenza di dotare il regolatore di una struttura operativa adeguata ai compiti.
I percorsi istituzionali possibili
La parte conclusiva della ricerca si è concentrata sul tentativo di identificare un percorso
attraverso il quale un simile esito istituzionale possa trovare attuazione nel contesto
italiano, senza stravolgere il quadro regolatorio esistente – per quanto lacunoso esso sia.
Riteniamo infatti che di tutto il settore abbia bisogno, fuorché di una nuova riforma che
riparta dalle fondamenta, azzerando anche quel poco che sin qui è stato fatto.
Qualunque riforma dell’assetto regolatorio dovrebbe, al contrario, partire da quello che
c’è, e adattandolo.
14
IEFE, Università Bocconi
La regolazione economica dei servizi idrici
Executive summary
In particolare, si è valutata la strada di trasformare i soggetti esistenti – il Coviri, le
autorità regionali – in un sistema coordinato; così come quella di attribuire funzioni in
materia idrica ad altri soggetti già esistenti, come l’Autorità per l’energia e il gas.
Riteniamo che le competenze necessarie per dar vita a un soggetto regolatore di
adeguato peso istituzionale siano in buona parte già presenti, e non occorrano
stravolgimenti di vasta portata; occorre però la volontà politica di mettere a fattor
comune risorse e competenze attualmente disperse ed operanti sotto cappelli diversi,
anche superando storiche rivalità tra amministrazioni.
Non ci sono volutamente risposte conclusive. Ogni soluzione comporta vantaggi e
svantaggi che devono essere attentamente soppesati, e che spetta alla politica valutare.
Nello stesso modo, non ci sentiamo di concludere in modo certo a favore della soluzione
nazionale – pure preferibile per alcune funzioni per cui sono presenti economie di scala;
ma d’altra parte, la molteplicità di soluzioni che si sono affermate in Italia, anche in
funzione delle grandi differenze strutturali tra un contesto e l’altro, enfatizzano anche i
pregi di un’articolazione dei poteri regolatori a livello regionale, eventualmente anche
differenziando attribuzioni e funzioni del regolatore in relazione al modello gestionale
che nelle varie regioni si è venuto costituendo.
Pure, sarebbe un errore fermarsi al contenitore, senza cogliere l’occasione per
correggere alcuni aspetti del contenuto. Senza qui voler entrare nel merito, riteniamo
utile che alcuni aspetti che disciplinano la regolazione economica nel Dlgs 152/06,
indicandone i principi di riferimento, potrebbero essere meglio chiariti, a cominciare dal
ruolo e significato attribuito al piano d’ambito, alle attribuzioni dei vari soggetti (a
cominciare dalle AATO), alla definizione dei livelli minimi di servizio e degli obblighi di
servizio pubblico da porre in capo al gestore, al significato e alla cogenza del concetto di
“copertura del costo”, ai raccordi necessari tra la legislazione ambientale e sanitaria
(principale motore di trasformazione del settore) e quella relativa all’organizzazione dei
servizi, all’impostazione di una strategia finanziaria che non si limiti a scaricare sul
gestore il peso di finanziare, a proprio rischio, programmi di investimento decisi da altri.
Quello che sembra la soluzione peggiore è il mantenimento dello status quo. Crediamo
indispensabile da parte del legislatore e del governo uno sforzo riformatore in questa
direzione; purtroppo, non possiamo sottacere che le misure recentemente adottate –
come la sostituzione del Coviri con una “Commissione” ancora più debole del Coviri
stesso – sembrano andare nella direzione opposta.
15