2015_03_11-rassegna

Dipartimento Comunicazione & Immagine
Responsabile - Lodovico Antonini
RASSEGNA STAMPA
Anno XVI - 11/03/2015
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Sommario
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IL SOLE 24 ORE mercoledì 11 MARZO 2015
Abi, sì ai contratti complementari - Da applicare alle attività no core renderebbe il rinnovo meno costoso
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
L'Abi vuole contratti differenziati per i settori di servizio
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IL MESSAGGERO mercoledì 11 MARZO 2015
Bancari, Abi meno rigida sul contratto
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AVVENIRE mercoledì 11 MARZO 2015
Bancari, fumata nera sul rinnovo del contratto I sindacati all'Abi: volete tagliare gli stipendi
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IL GIORNO (Ed. Lodi) mercoledì 11 MARZO 2015
Io, disabile licenziato ingiustamente La battaglia di un bancario in aula Lodi, il 46enne enne è stato
reintegrato dopo tre anni e mezzo di sofferenze
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da RADIORCOR via BORSA ITALIANA 10-03-15 15:29:25
Banche: Sileoni (Fabi), Abi spera nel "tana libera tutti" del governo
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da MF - DJ, via NewMedia Magazzine 10/03/2015, 17:32
Banche: Fabi, timida apertura su area contrattuale - Notizie e approfondimenti di cronaca, politica, economia
e sport con foto, immagini e video di Corriere TV. Meteo, salute, guide viaggi, Musica e giochi online.
Annunci di lavoro, immobiliari e auto
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AGI 10-MAR-15
Bancari: sindacati, posizioni restano distanti dopo tavolo Abi
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ADNKRONOS 10-MAR-15 16:21
Federazione Autonoma Bancari Italiani via Tevere, 46 00198 Roma - Dipartimento Comunicazione & Immagine
Riservato alle strutture
Dipartimento Comunicazione & Immagine
Responsabile - Lodovico Antonini
RASSEGNA STAMPA
Anno XVI - 11/03/2015
A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]
BANCHE: FABI, SU CONTRATTO PROFUMO GIOCA A 'NASCONDINO'
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ASCA 2011 10-mar-15 16.01
0 Banche, Fabi: Abi gioca a nascondino, spera intervento governo
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RADIOCOR 2011 10-03-15 15:29:25
15:29 - Banche: Sileoni (Fabi), Abi spera nel "tana libera tutti" del governo
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ANSA 10 3 2015
Banche: Fabi, da Abi timida apertura su contratto - Parte economica al centro discussioni fine marzo
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ITALESPRESS marzo 10, 2015
Bancari: contratto sempre più in alto mare. Sileoni (Fabi): “Profumo gioca a nascondino -- SILEONI
(FABI):“PROFUMO GIOCA A NASCONDINO. SPERA NELL’INTERVENTO DEL GOVERNO PER FARE
TANA LIBERA TUTTI”
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
Banca Generali migliora l'utile (+14%) a 161 milioni
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
Metroweb si finanzia da Unicredit - Cablare l'Italia richiede investimenti in equity per 1,5 miliardi. Intanto i
vertici di Telecom chiedono al governo di agire in fretta. Patuano e Giacomelli: no allo scorporo e allo
spegnimento della rete in rame
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
Milan, Bnp advisor di Fininvest
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
Mps, il patto cerca un'altra Mansi - Possibile allargamento del board da 12 a 17 posti per accontentare tutti
Nel Pd malumori per la linea Clarich
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
L'ivoriano Thiam nuovo ceo del Credit Suisse
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
Bcc, pressing per la holding unica - Alcune federazioni spingono invece per un'integrazione in più gruppi.
Trento ha predisposto una bozza per restare da sola con Cassa Centrale. Azzi minaccia dimissioni in caso di
rinvii alla riforma
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
Atteso oggi l'ok al decreto popolari
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
Vittoria, utile +35% e cedola a 0,19 euro
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
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Anno XVI - 11/03/2015
A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]
Unipol sistema la Serbia
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
Carte di credito, tetto Ue a commissioni
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
Il Creval si prepara al risiko - Sul tavolo l'abbassamento del quorum per il via libera alla fusione per
incorporazione in società estranee al gruppo. L'ipotesi nozze con Sondrio sembra tramontata, ma
un'operazione è nell'aria
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
Si complica il riassetto di Credifarma
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
Sulle Popolari serve un dibattito meditato, non una prova di forza
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
Se l'Ue non si mette d'accordo con il governo Tsipras le conseguenze saranno incalcolabili
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
L'evasione fiscale sanzionata come riciclaggio
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IL SOLE 24 ORE mercoledì 11 MARZO 2015
Boom di BTp nelle banche italiane
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IL SOLE 24 ORE mercoledì 11 MARZO 2015
Rischio-bond per banche e assicurazioni
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IL SOLE 24 ORE mercoledì 11 MARZO 2015
Primo ok al piano Juncker, dall’Italia 8 miliardi - Il tweet di Renzi: risorse da Cdp - Padoan: bazooka Bce
potente, ma il limite del 20% è contraddittorio
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IL SOLE 24 ORE mercoledì 11 MARZO 2015
Per la Cdp soltanto investimenti «redditizi»
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IL SOLE 24 ORE mercoledì 11 MARZO 2015
Atene rilancia e sfida Bruxelles - Varoufakis: il debito non sarà mai ripagato - Tsipras pronto a usare i fondi
per le banche
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IL SOLE 24 ORE mercoledì 11 MARZO 2015
Fondazioni, pronta la riforma - Tetto al 33% per la quota di patrimonio investita nella banca conferitaria
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IL SOLE 24 ORE mercoledì 11 MARZO 2015
Popolari, in arrivo l’ok alla Spa
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IL SOLE 24 ORE mercoledì 11 MARZO 2015
Mps, 3 miliardi di Npl vanno in outsourcing
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A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]
IL SOLE 24 ORE mercoledì 11 MARZO 2015
Abi, sì ai contratti complementari - Da applicare alle attività no core renderebbe il rinnovo
meno costoso
Questo contratto dei bancari non passerà attraverso la destrutturazione dell’area contrattuale. L’ipotesi che
Abi aveva avanzato in novembre è stata rivista e arricchita con l’opzione del contratto complementare che, per
le attività non core, darebbe alle imprese la possibilità di avere un contratto meno pesante. Le banche
propongono l’introduzione dei contratti complementari nei rami d’azienda che si occupano di gestione delle
carte di credito e debito e sistemi di pagamento, servizi di elaborazione dati, anche di tipo consortile, centri
servizi, con attività?di tipo amministrativo e contabile, ma non di sportello, e infine per le attività di supporto
operativo alla gestione amministrativa di immobili d’uso. Secondo i banchieri questa ipotesi permetterebbe di
difendere l’area contrattuale e di conseguire gli obiettivi di risparmio. I contratti complementari infatti
prevedono un orario settimanale di 40 ore, con tabelle retributive del 20% inferiori al contratto del credito.
Per il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, la nuova proposta di Abi è «una timida apertura
sull’area contrattuale, bilanciata da qualche tentativo di semplificare in peggio le attuali norme politiche del
contratto nazionale». Lunedì prossimo parte una tre giorni (23, 24, 25) in cui si discuterà la parte economica
per poi tentare di chiudere negli incontri fissati per il 30 e il 31 marzo, data della disapplicazione del contratto.
Con qualche flessibilità, secondo quanto è emerso ieri al tavolo. Se il negoziato sarà avviato verso la sua
naturale conclusione, la sigla potrà anche avvenire nei primissimi giorni di aprile senza passare attraverso
l’evento traumatico della disapplicazione. Sileoni, però, sostiene che «l’Abi lavora per costruire politicamente
le giustificazioni per un intervento del Governo, dimenticando che, in caso di disapplicazione del contratto, il
movimento sindacale unitariamente farà sentire alta la propria voce, con argomentazioni che lo stesso governo
Renzi - siamo certi - valorizzerà».
«Non ci sfugge l’avanzamento – dice il segretario generale della Fiba Cisl Giulio Romani – della posizione Abi
rispetto a quella iniziale, ma tale avanzamento è sempre nella stessa direzione: la riduzione dei costi». Manca
però «in questo confronto – prosegue Romani - la discussione sul fatto se le banche sono funzionali o meno
allo sviluppo. Nel progetto che Abi ci propone, la riduzione dei costi, non c’è un futuro per il sistema e per il
paese». Agostino Megale, segretario generale della Fisac avverte: «Giù le mani dall’area contrattuale. Posso
valutare la differenza tra la posizione iniziale di Abi e le nuove proposte ma non cambia la valutazione che
l’area contrattuale va di certo confermata così come è, anzi va rafforzata». Inoltre a proposito del Jobs act, su
cui i banchieri hanno espresso una valutazione molto positiva, «vanno confermate le tutele che i lavoratori
avevano all’atto dell’assunzione precedente alla nuova legge», continua Megale. Massimo Masi, segretario
generale della Uilca, osserva che «il vero raccordo tra area contrattuale e occupazione è il tema dell’insourcing.
Questa era la sfida che ci aspettavamo da Abi, non la solita riduzione dei costi aziendali». © RIPRODUZIONE
RISERVATA Cristina Casadei
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
L'Abi vuole contratti differenziati per i settori di servizio
di Mauro Romano
Eppur si muove. Poco, ma la trattativa per il rinnovo del contratto di lavoro dei bancari si sta muovendo. In
attesa della decisiva riunione-fiume del 23-24-25 marzo sulla parte economica, ieri si è discusso di area
contrattuale, tema che assieme agli inquadramenti (l'Abi vuole scendere da 13 livelli professionali a soli 6), fa
parte delle questioni-chiave attraverso le quali realizzare l'obiettivo della riduzione del costo del lavoro. La
paura dei sindacati, espressa pubblicamente dalla Fabi (la principale organizzazione di categoria), è che la
banche abbiano già in tasca un accordo con il governo per limitare al massimo l'area contrattuale, favorendo
l'outsourcing, ossia l'esternalizzazione di una quota sempre maggiore di attività, escludendo quindi dal
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AVVENIRE mercoledì 11 MARZO 2015
Bancari, fumata nera sul rinnovo del contratto I sindacati all'Abi: volete tagliare gli stipendi
Nulla di fatto per ora sul rinnovo del contratto dei bancari dopo l'incontro incontro di ieri tra le parti in causa,
nonostante nella memoria ci sia ancora il clamoroso sciopero nazionale dello scorso 30 gennaio. «È stato il
solito incontro interlocutorio commenta il segretario nazionale della Fabi, Lando Sileoni -. Da parte di Abi si è
registrata qualche timida apertura sull'area area contrattuale, bilanciata da qualche tentativo di semplificare
in peggio le attuali norme politiche del contratto nazionale». «Non ci sfugge l'avanzamento avanzamento della
posizione dell'Abi rispetto a quella iniziale, che prevedeva la destrutturazione dell'area area con gravi ricadute
su un'ampia ampia platea di lavoratori - aggiunge il segretario generale della Fiba Cisl, Giulio Romani -, ma
tale avanzamento è sempre nella stessa direzione: la riduzione dei costi». All'Associazione bancaria i sindacati
contestano in primis il proposito di utilizzare dei contratti complementari (meno 15% di salario, maggiori
flessibilità dell'orario orario di lavoro), soprattutto per i settori in competizioni con altri tipi di contratti
merceologici come i centri servizi, i centri elettronici e la gestione delle carte di credito e debito. «Il percorso
per il rinnovo resta in forte salita» conclude il segretario generale di Unisin Falcri Silcea, Emilio Contrasto.
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IL GIORNO (Ed. Lodi) mercoledì 11 MARZO 2015
Io, disabile licenziato ingiustamente La battaglia di un bancario in aula Lodi, il 46enne enne è
stato reintegrato dopo tre anni e mezzo di sofferenze
di PAOLA ARENSI
- BANCARIO invalido trasferito a 140 chilometri da casa si assenta per depressione e viene licenziato. Ma,
dopo tre anni e mezzo, vince la causa e viene reintegrato. Purtroppo però, nella stessa, lontanissima, sede. Il
Tribunale di Parma ha dato ragione al bancario milanese A.T T., di 46 anni, che tre anni e mezzo fa è stato
licenziato dal Credem, «per giusta causa» (poi non ritenuta tale per mancanza di proporzionalità). L'uomo
uomo lavorava dal 2007 per il gruppo bancario emiliano ed era stato assunto come responsabile di area. Poi,
dopo il licenziamento, A.T T. si era rivolto alla Federazione italiana bancari di Lodi in cerca di aiuto. «Il
licenziamento è stato l'ultimo gesto estremo di una condotta mobbizzante - ha sottolineato l'avvocato avvocato
difensore dell'uomo, Gianluigi Bonifati - e questo è un risultato importante a difesa di un lavoratore». Lui,
invalido all' 80% dal giugno 1990 per essere stato investito da un pullman Atm, racconta: «I problemi sono
nati dopo aver rifiutato un posto come coordinatore dell'area area finanziaria su sette regioni. Non potevo
reggere l'inevitabile complicazione di dovermi spostare di continuo. E dopo il rifiuto sono stato demansionato,
trasferito da Milano a Lodi e infine a Traversetolo, paesino tra Parma e Reggio Emilia. A 140 chilometri da
casa». Poi sono arrivati i problemi di salute: «Per anzianità mi spettavano 22 mesi di comporto e così, per
curarmi, ho preso 90 giorni di malattia, cosa mai fatta in 19 anni di lavoro - continua -. Curavo la mia
depressione al policlinico di Milano, dove c'è è un centro apposito. Il mio malessere è stato anche verificato».
«E' stato terribile vedermi licenziare così - prosegue -, come se avessi rubato. E in tre anni e mezzo, con questa
macchia, non ho trovato altri lavori». Invece il giudice Giuseppe Coscioni ora ha condannato l'istituto istituto
di credito, che però «ricorrerà in appello», come ha spiegato l'avvocato avvocato milanese di Credem Luca
Montesarchio, al pagamento delle spese legali. La banca dovrà inoltre reintegrare il lavoratore e
corrispondergli un'indennità indennità pari alle mensilità, basandosi sull'ultima ultima busta paga, dal giorno
del licenziamento a oggi. «La mia più che una vittoria è una sconfitta, perché so che presto ricomincerà la
battaglia. Inizio a lavorare lunedì». Per arrivare alla condanna il giudice aveva disposto una consulenza medica
perché la vecchia certificazione non è insindacabile in caso di giudizio. E il consulente psichiatra, nel caso del
46enne enne, aveva confermato la sussistenza del disturbo. SODDISFATTO anche il sindacato Fabi, dopo tre
anni e mezzo di battaglie legali con la Credem. «Era stato licenziato ingiustamente da una banca che ha la fama
di avere regole molto ferree per i propri dipendenti - chiarisce il dirigente Ettore Necchi -, e ora finalmente
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esporsi piu' di tanto, tentando di condizionare l'esito dell'accordo sulla parte economica del nuovo contratto,
tema che affronteremo, il 23, il 24, il 25 marzo". (AGI) Rme/Mau (Segue) 101619 MAR 15 NNNN
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ADNKRONOS 10-MAR-15 16:21
BANCHE: FABI, SU CONTRATTO PROFUMO GIOCA A 'NASCONDINO'
BANCHE: FABI, SU CONTRATTO PROFUMO GIOCA A 'NASCONDINO' Sileoni, Abi non si espone e tenta di
condizionare accordo economico Roma, 10 mar. (Adnkronos/Labitalia) - ''Quello di oggi è stato il ''solito''
incontro interlocutorio. Da parte di Abi si è registrata qualche timida apertura sull'area contrattuale, bilanciata
da qualche tentativo di semplificare in peggio le attuali norme politiche del contratto nazionale. Le banche
giocano a nascondino senza esporsi più di tanto, tentando di condizionare l'esito dell'accordo sulla parte
economica del nuovo contratto, tema che affronteremo, il 23, il 24, il 25 marzo''. Lo dichiara Lando Maria
Sileoni, segretario generale della Fabi, a margine dell'incontro che si è svolto oggi in Abi, nell'ambito della
trattativa di rinnovo del contratto nazionale dei 309mila lavoratori bancari italiani, durante il quale si è
discusso dell'area contrattuale. ''L'Abi lavora per costruire politicamente le giustificazioni per un intervento
del Governo, dimenticando che, in caso di disapplicazione del contratto, il movimento sindacale unitariamente
farà sentire alta la propria voce, con argomentazioni che lo stesso governo Renzi- siamo certi- valorizzerà",
aggiunge Sileoni. "In caso di disapplicazione contrattuale, le piccole e medie banche avranno la peggio, in
quanto, senza un contratto nazionale, la concorrenza finanziaria ed economica le vedrà soccombere di fronte
all'aggressività dei gruppi bancari", avverte il leader della Fabi. (segue) (Map/Adnkronos) 10-MAR-15 16:21
NNNN
26:38
BANCHE: FABI, SU CONTRATTO PROFUMO GIOCA A 'NASCONDINO' (2)
BANCHE: FABI, SU CONTRATTO PROFUMO GIOCA A 'NASCONDINO' (2) (Adnkronos/Labitalia) - "L'Abi
non ha il coraggio di affrontare i veri problemi del settore e spera che un intervento esterno, come a
nascondino, possa attivare quel tana libera tutti che le banche auspicano perchè incapaci di assumersi le
proprie responsabilità di gestione e di corrette relazioni sindacali'', conclude Sileoni. (Map/Adnkronos) 10MAR-15 16:21 NNNN
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ASCA 2011 10-mar-15 16.01
0 Banche, Fabi: Abi gioca a nascondino, spera intervento governo
0 Banche, Fabi: Abi gioca a nascondino, spera intervento governo 4 eco gn00 atlk XFLA Banche, Fabi: Abi
gioca a nascondino, spera intervento governo Sileoni: per fare tana libera tutti ed evitare responsabilità Roma,
10 mar. (askanews) - Nella trattativa sul rinnovo contrattuale dei bancari l'Abi "gioca a nascondino", sperando
nell'intervento del governo "per fare tana libera tutti". Lo afferma il segretario generale della Fabi, Lando Maria
Sileoni, dopo una riunione tra l'associazione bancaria e i sindacati. "Quello di oggi - secondo Sileoni - è stato il
'solito' incontro interlocutorio. Da parte dell'Abi c'è stata qualche timida apertura sull'area contrattuale,
bilanciata da qualche tentativo di semplificare in peggio le attuali norme politiche del contratto nazionale"."Le
banche - sostiene il sindacalista - giocano a nascondino senza esporsi più di tanto, tentando di condizionare
l'esito dell'accordo sulla parte economica del nuovo contratto, tema che affronteremo il 23, 24 e 25 marzo".
L'Abi "lavora per costruire politicamente le giustificazioni per un intervento del governo, dimenticando che, in
caso di disapplicazione del contratto, il movimento sindacale unitariamente farà sentire alta la propria voce,
con argomentazioni che lo stesso governo Renzi, siamo certi, valorizzerà"."In caso di disapplicazione
contrattuale - aggiunge Sileoni - le piccole e medie banche avranno la peggio, in quanto senza un contratto
nazionale la concorrenza finanziaria ed economica le vedrà soccombere di fronte all'aggressività dei gruppi
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
Mps, il patto cerca un'altra Mansi - Possibile allargamento del board da 12 a 17 posti per
accontentare tutti Nel Pd malumori per la linea Clarich
di Luca Gualtieri
Donna, imprenditrice, possibilmente senese, comunque legata al territorio. È questo il tassello mancante della
lista che a giorni il patto di sindacato di Mps depositerà per il rinnovo del cda. Fonti vicine alla Fondazione
Mps (che assieme a Fintech e Btg Pactual blinda il 9% della banca) parlano di un lavoro frenetico che
coinvolgerebbe da un lato gli head hunter e dall'altro il presidente Marcello Clarich, in stretto contatto con i
due soci stranieri.
Venerdì sul tavolo dei vertici di Palazzo Sansedoni potrebbe arrivare la bozza finale, anche se non si escludono
complicazioni dell'ultim'ora che potrebbero far slittare l'approvazione alla prossima settimana. Se ormai in
pochissimi dubitano della riconferma dell'amministratore delegato Fabrizio Viola e del presidente Alessandro
Profumo, in questi giorni il lavoro è concentrato sul resto della squadra. Una squadra che, come previsto dalla
normativa sulla parità di genere che Mps ha recepito l'anno scorso, sarà costituita per la metà da donne. Per il
momento Fintech e Btg Pactual sembrano orientati a designare tre uomini, tra cui dovrebbe esserci il neonominato Christian Whamond e con ogni probabilità lo stesso Viola. Alla Fondazione spetterà dunque il
compito di colorare di rosa la lista, affiancando al presidente almeno un paio di signore. Con un'avvertenza
precisa: una delle due dovrà essere «un'imprenditrice, possibilmente senese, comunque legata al territorio di
Siena», spiega una fonte vicina alla fondazione. I nomi di docenti universitarie circolate nei giorni scorsi non
avrebbero riscosso grandi consensi, anche perché ai «soliti profili accademici» si preferirebbe oggi una figura
legata al mondo dell'impresa e delle professioni, «qualcuno molto simile ad Antonella Mansi», ex presidente
della Fondazione Mps .
Resta poi aperta la possibilità che il numero dei membri del nuovo cda possa salire da 12 a 14 per dare piena
rappresentanza a tutte le anime della banca e, forse, consentire la rielezione di ex amministratori come quel
Marco Turchi che lo scorso 18 settembre si era dimesso dal cda assieme a Paola Demartini per far spazio ai
rappresentanti dei fondi. La mossa non sarebbe in contrasto con lo statuto della banca, visto che il documento
fissa il numero massimo dei consiglieri in 17 (oggi sono 12), anche se una verifica di concerto con la Vigilanza
sarà probabilmente d'obbligo.
Tornando alla tabella di marcia, ieri c'è stato un primo incontro informale tra la deputazione generale e il
direttore generale Enrico Granata, anche se la giornata calda sarà probabilmente venerdì, quando si riuniranno
in sequenza la deputazione generale (alle 11) e la deputazione amministratrice (nel primo pomeriggio). Al
momento nulla trapela dai due board; anzi, all'interno dell'organo di indirizzo ci sarebbe più di un mal di
pancia per il prudente riserbo mostrato dal presidente negli ultimi giorni. Del resto Clarich ha dimostrato
finora un piglio abbastanza anticonformista nella gestione della più prestigiosa istituzione senese. Non è un
mistero che il professore punti a rivedere in profondità il profilo e la mission di Palazzo Sansedoni,
traghettandolo dallo status di fondazione di origine bancaria a quello di fondazione culturale. La gestione dei
dossier Siena Biotech (la società di ricerca farmaceutica controllata dall'ente e recentemente messa in
liquidazione) e dell'immobiliare Sansedoni (per cui si ipotizza la cessione) dimostra che Clarich intende
alleggerire quanto possibile il portafoglio delle partecipate e la partita sull'aumento di capitale di Mps potrebbe
essere il banco di prova decisivo.
Questa rivoluzione di velluto però non sta riscuotendo grandi consensi dentro il Partito democratico locale,
che in un recente documento dell'Unione comunale ha ribadito: per la Fondazione «è fondamentale
contemperare le esigenze di preservazione del valore della partecipazione residua nella banca con la possibilità
di valorizzare la quota, anche attraverso l'individuazione di partner. In questo senso, una Fondazione solo
culturale non basta».
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Anno XVI - 11/03/2015
A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]
patrimoniale attraverso un maggior coinvolgimento dei soci nel capitale e con un rilancio delle aggregazioni.
Un disegno che potrebbe funzionare nelle Regioni abbienti ma meno al Centro-Sud. Anche sulla partita M&A
le posizioni sono contrastanti. Da un lato Azzi ha sempre ribadito che le aggregazioni non vanno forzate
dall'alto. Dall'altro alcune anime preferirebbero matrimoni tra Bcc (laddove funzionali a migliorare i requisiti
patrimoniali) pur di non demandare a una holding le decisioni di governance. Come finirà? Come riportato
dall'Adige la Riforma di Trento, alle stesure finali, potrebbe incontrare il favore degli organi nazionali. A Roma,
infatti, sembrano aperti a concedere l'autonomia all'Alto Adige ed eventualmente al Trentino, ma non a tutto
il Nord-Est. Quella di domani potrebbe quindi essere la prima di alcune sedute del board nazionale, dato che
non è certo che il disco verde al progetto di autoriforma venga dato in prima battuta. Cruciali per il via libera
saranno le posizioni delle maggiori federazioni. La parola d'ordine è niente rinvii. Azzi, nella riunione di ieri
della Federazione Lombarda, secondo quanto riferito da Pettinati, avrebbe minacciato le dimissioni di fronte
alla richiesta di alcuni rappresentanti delle cooperative di disporre di più tempo per discutere dell'autoriforma
del settore. (riproduzione riservata)
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
Atteso oggi l'ok al decreto popolari
Ok senza fiducia al decreto popolari. Ieri il provvedimento che prevede la trasformazione in spa delle banche
popolari di maggiori dimensioni è approdato in Aula alla Camera per l'inizio delle votazioni e oggi è atteso il
via libera definitivo. Diversamente da quanto sembrava dalle premesse, l'esecutivo non ha però posto la
questione di fiducia, visto che le opposizioni hanno acconsentito a ritirare una parte degli emendamenti.
Nonostante non sia blindato, il dl non dovrebbe comunque subire modifiche, certamente all'articolo 1, quello
che riguarda appunto lae popolari. L'unico cambiamento a cui il governo ha aperto, infatti, è quello approvato
in commissione, con l'introduzione del tetto al 5% ai diritti di voto, solo per due anni; mentre ha tirato dritto
sulla soglia di attivi che implica la trasformazione in spa, rimasta a 8 miliardi. Una volta approvato alla Camera,
il decreto dovrà passare al Senato, per essere convertito entro il 25 marzo.
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
Vittoria, utile +35% e cedola a 0,19 euro
Nel 2014 Vittoria Assicurazioni ha realizzato un utile netto di 72,3 milioni, in crescita del 35,1% rispetto al
risultato 2013, mentre il patrimonio netto di gruppo si è attestato a 614,5 milioni, in aumento del 21,3% rispetto
al patrimonio al 31 dicembre 2013. Per il 2015 la società della famiglia Acutis prevede di chiudere con un utile
netto di gruppo di 76,2 milioni, in crescita del 5,3%, e premi totali per 1.336,8 milioni (+4,2%).
Tornando all'anno passato, i premi contabilizzati di Vittoria assicurazioni nel 2014 sono ammontati a 1.282,5
milioni di euro (+11,5%). Gli investimenti complessivi hanno registrato un incremento del 13,2% rispetto alla
situazione del 31 dicembre 2013, raggiungendo l'importo di 3.155 milioni. Per quanto riguarda il dividendo, il
consiglio di amministrazione ha deciso di proporre all'assemblea un incremento della cedola a 0,19 euro per
azione, in aumento di 1 centesimo rispetto agli 0,18 euro dello scorso anno. (riproduzione riservata)
Return
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
Unipol sistema la Serbia
di Anna Messia
Unipol sistema le poltrone della partecipata serba Ddor Novi Sad, l'unica società estera controllata dal gruppo
guidato da Carlo Cimbri e ottenuta in eredità in seguito all'acquisizione di Fondiaria Sai . Alla guida della
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Responsabile - Lodovico Antonini
RASSEGNA STAMPA
Anno XVI - 11/03/2015
A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]
Anche il Credito Valtellinese si prepara al m&a che potrebbe scatenarsi sul mercato dopo l'entrata in vigore
della riforma che impone alle Popolari di maggiori dimensioni la trasformazione in spa. La banca guidata dal
direttore generale Miro Fiordi ha convocato l'assemblea ordinaria e quella straordinaria per il 10 e 11 aprile.
All'ordine del giorno ci sarà l'approvazione di un'importante modifica dello Statuto sociale: in caso di fusione
per incorporazione in un'altra società che non appartiene al gruppo, sarà necessario, in seconda convocazione,
il voto favorevole di un decimo dei soci con diritto di voto. Di solito, invece, l'assemblea straordinaria in
seconda convocazione deve avere la maggioranza dei due terzi. Ciò significa che verrà esplicitato e recepito
l'abbassamento del quorum rispetto a quello attuale. Questa convocazione e il suo ordine del giorno lasciano
pensare che un'aggregazione sia vicina. Già nell'estate scorsa il dg Fiordi, pur senza fare nomi, aveva avanzato
l'ipotesi una fusione per la popolare valtellinese. Secondo i più l'opzione numero uno era un matrimonio con
la Popolare di Sondrio , che però avrebbe preferito conservare l'indipendenza sotto l'egida del presidente
onorario Piero Melazzini. A questo punto il Creval avrebbe cominciato a guardarsi intorno per uscire dalla valle
e aggregarsi a uno dei nascenti poli popolari. La strada favorita dagli analisti ora porta a Milano, dove intorno
alla Bpm potrebbe nascere una delle due popolari con un progetto che coinvolgerebbe anche il Banco Popolare
e in una seconda battuta anche istituti minori come Banca Etruria . Queste sono ipotesi avanzate dagli
osservatori anche se di certo non c'è ancora nulla.
In assemblea si discuterà anche della copertura, attraverso le riserve disponibili, delle poste negative di
patrimonio netto post incorporazione di Mediocreval in Creval per 1,8 milioni di euro. Nel frattempo il
vicedirettore generale del Creval , Enzo Rocca, ha comunicato a Borsa Italiana di aver acquistato ieri circa 20
mila euro in azioni della banca a 1,331 euro. Il Credito Valtellinese ha chiuso il quarto trimestre 2014 con una
perdita netta di 332 milioni di euro, superiore alle attese degli analisti, a causa di alcune svalutazioni:
l'attivazione per il piano esuberi ha pesato per 44 milioni, le rimanenti rettifiche post asset quality review per
210 milioni e, infine, le rettifiche del valore dell'avviamento hanno depresso l'utile per altri 131 milioni. A livello
operativo i ricavi sono risultati superiori alle attese degli analisti grazie al margine di interesse (117 milioni di
euro) che ha sorpreso al rialzo nonostante l'andamento ancora negativo dei prestiti (-3,4% rispetto al trimestre
precedente e -5,9% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente). Andamento che potrebbe essere stato in
parte compensato da un maggiore contributo del portafoglio finanziario (cresciuto di circa 1 miliardo nel
trimestre). La banca valtellinese, entro la fine del primo semestre dovrà portare a termine il progetto Curva
che prevede la riorganizzazione della rete e 244 esodi su base volontaria. Anche se più di un sindacato ha già
chiesto un ulteriore confronto. Il titolo ha chiuso a 1,308 in flessione del 2%. (riproduzione riservata)
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
Si complica il riassetto di Credifarma
di Claudia Cervini e Anna Messia
Sembrava fatta per il salvataggio di Credifarma, la finanziaria delle farmacie partecipata da Federfarma (al
66%) e da Unicredit e Bnl, che si dividono in parti uguali il resto del capitale. Ma a pochi giorni dal consiglio
di amministrazione, convocato per oggi, chiamato a dare luce verde al riassetto della società presieduta da
Carlo Ghiani i due istituti in campo, secondo quanto risulta a MF-MilanoFinanza, avrebbero cambiato idea sul
loro coinvolgimento nel piano di salvataggio, complicando non poco le trattative.
Le linee portanti del progetto intorno al quale i soci avevano aperto la discussione, che vedeva coinvolte anche
due società di consulenza, Kpmg e Bain &C, prevedevano in particolare che Credifarma avrebbe dovuto
sensibilmente ridimensionare il suo raggio d'azione. La finanziaria avrebbe dovuto continuare a occuparsi
dell'anticipazione di crediti sulle distinte contabili riepilogative (dcr): in pratica di quanto le farmacie devono
incassare dal servizio sanitario, oltre che del recupero dei rimborsi nei confronti delle Asl. Mentre, tramite una
cessione di ramo d'azienda, sarebbe stata trasferita alle banche socie tutta l'attività riguardante il credito alle
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Anno XVI - 11/03/2015
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ridicolmente, sostenendo che con l'eventuale suo prolungamento non si coglierebbero i vantaggi della spa. Lo
si chieda all'Unicredit , che un limite del genere lo ha e non in chiave transitoria o da poco tempo. È in Aula
che si dimostrerebbe la capacità del governo di sostenere il confronto nel merito e di essere coeso nell'accettare
o respingere le proposte innovative. Se non lo fa e pone invece la fiducia, dimostra di temere per la sua stessa
maggioranza: una prova di debolezza.
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
Se l'Ue non si mette d'accordo con il governo Tsipras le conseguenze saranno incalcolabili
di Angelo De Mattia
Oggi a Bruxelles inizia il confronto sulle riforme prospettate dal governo greco e i rappresentanti delle
istituzioni creditrici, così definite dall'esecutivo di Tsipras che del non utilizzo dell'espressione Troika, non solo
per gli aspetti formali ma anche per quelli sostanziali, si fa un punto d'onore. Per qualcuno è una questione
puramente semantica: ma se ciò è, allora appare provocatorio che alcuni membri dell'Eurogruppo, in primis il
tedesco Wolfgang Schaeuble, continuino a utilizzare tale espressione, evidentemente non ritenendo sufficiente
il fatto che comunque le istituzioni che hanno promosso il piano di salvataggio e ne conducono gli sviluppi
siano parti naturali del negoziato con Atene. Lo stesso si può dire con riferimento a quanto si afferma da parte
dei falchi dell'Eurogruppo che, per le valutazioni tecniche, i rappresentanti della Troika in ogni caso dovranno
incontrarsi non a Bruxelles, bensì nella capitale ellenica, configurandone così una funzione soprattutto
ispettiva, cui per ora si potrebbe soprassedere per non infiammare ancora il dibattito. Sono gli aspetti di una
trattativa, perché tale è, che potrebbero essere smussati; ma se vengono rilanciati, dato che chi lo fa non è certo
alle prime armi, sorgere il dubbio che ciò avvenga scientemente per gli effetti non positivi che ne possono
scaturire. Al di là della questione terminologica, il confronto che si apre oggi ci indicherà tuttavia chi vuole
eccedere nel negoziato: se cioè le riforme prospettate dalla Grecia sono progetti ancora vaghi o se almeno una
parte dell'Eurogruppo continua a sostenere la necessità di adempimenti in una logica iper-rigoristica,
propedeutici alla concessione, totale o parziale, della tranche di finanziamento di7 miliardi circa, larga parte
dei quali sono vitali per la Grecia. Non è questo il momento di muovere accuse di dilettantismo agli esponenti
ellenici, anche perché tali critiche sono formulate negli ambienti brussellesi da quegli stessi che poi temono
una implosione dell'esecutivo se il risultato del confronto non fosse condiviso in Grecia. E, poi, bisogna
distinguere tra dilettantismo e necessità di svolta - come piuttosto appare - rispetto a una visione ancorata a
una insostenibile austerità. Semmai occorrerebbe concentrarsi su quest'ultimo aspetto, non per farne una sorta
di costrizione o addirittura di ricatto, ma per avere comunque chiaro, soprattutto da parte di chi pensasse a un
esecutivo più accomodante, che l'eventuale fallimento dell'azione di Tsipras aprirebbe le porte non a forze
moderate, bensì alla destra estremista. Del resto i primi accenni, all'interno dello stesso governo greco, da parte
del populista di destra Panos Kammenos, ministro della difesa - il quale ha minacciato che in caso di
abbandono da parte dell'Europa i Paesi del vecchio Continente saranno sommersi da immigranti insieme con
jihadisti - sono più che eloquenti. L'implosione dell'esecutivo, per eventuali contrasti tra le forze che lo
sorreggono sarebbe una grave iattura per la Grecia e per l'Europa. È insomma con l'esecutivo in carica,
abbandonando ogni ipotesi di Grexit, che bisognerà condurre in porto questa fase assai difficile del negoziato.
Non sarà affatto facile per entrambe le parti, ma questa è l'unica strada, se si vuole prevenire un disastro in
Grecia e una turbolenza, diversa da quelle alla quali siamo ormai abituati nel campo finanziario, ma altrettanto
nociva. Soprattutto perché dimostrerebbe o che dalla moneta unica si può uscire, oppure che vi si rimane a
prezzo, però, di gravissimi problemi sociali, con particolare riferimento ai ceti meno abbienti, e di spaccature
profonde nella società politica. La Grecia piomberebbe nel caos. E altrove si verificherebbero fenomeni di
imitazione. Cruciale allora riuscire a trovare una via di mezzo tra due estremi: l'erogazione della ricordata
quota del prestito senza attendere la positiva conclusione del confronto a Bruxelles e la constatazione del
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Anno XVI - 11/03/2015
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procedere delle riforme, cosa che sarebbe di gradimento della Grecia; oppure la possibilità della concessione
dello stesso prestito solo dopo avere verificato concretamente almeno una parte degli effetti delle riforme, cosa
che interesserebbe i falchi dell'Eurogruppo . Se ci si attesta su questi opposti versanti, o comunque si rimane
nelle rispettive aree, sarà difficile che si possano fare dei progressi. A questo punto, come abbiamo scritto nei
giorni scorsi, la soluzione non potrebbe che essere di livello politico alto. E diverrebbe inevitabile la
convocazione del vertice dei Capi di Stato e di governo Ue per assumere una decisione definitiva sulla Grecia.
Non sarebbe più materia dell'Eurogruppo. Finalmente l'Europa dimostrerebbe di sapere far fronte a problemi
che sono sì economici e finanziari, ma al tempo stesso hanno una straordinaria rilevanza politica che spetta
valutare al massimo livello delle istituzioni comunitarie. I volti dell'Europa non possono essere diametralmente
opposti: una Bce che, sia pure con ritardo, decide una straordinaria manovra come il quantitative easing, e
istituzioni che impegnate in un negoziato permanente con la Grecia, non sono in grado di giungere a un
risultato dignitoso. (riproduzione riservata)
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MF-MILANO FINANZA mercoledì 11 MARZO 2015
L'evasione fiscale sanzionata come riciclaggio
di Marino Longoni
Dal 1° gennaio di quest'anno l'evasione fiscale sarà sanzionabile anche come autoriciclaggio. Questo significa
che sulle spalle del presunto evasore si andrà in alcuni casi a triplicare il carico delle sanzioni. Con effetti da
paura! Facciamo un caso concreto. L'azienda Alfa, a seguito di un accertamento fiscale viene accusata di aver
evaso 1 milione di euro. Fino a qualche mese fa avrebbe dovuto, se condannata in via definitiva, versare le
imposte evase con l'aggiunta di sanzioni e interessi (più eventuali spese di giudizio). Oggi tutto ciò è solo
l'inizio, perché la legge sulla voluntary disclosure ha introdotto il reato di autoriciclaggio tra quelli presupposto
della responsabilità amministrativa delle società (legge 231 del 2001).
Questo significa che il dirigente che ha progettato e messo in atto l'evasione potrà essere condannato
penalmente e, in mancanza dei modelli organizzativi previsti dalla legge 231 (che peraltro oggi ancora nessuno
saprebbe come fare), la società potrebbe essere condannata in via amministrativa per lo stesso reato di
autoriciclaggio. E le sanzioni potrebbero essere anche molto salate. Sembra folle, ma è proprio così.
Quante migliaia di aziende ogni anno vengono condannate per un fatto di evasione che potrebbe integrare il
reato di autoriciclaggio? E quanti procedimenti penali, e quanti procedimenti amministrativi potrebbero
essere innescati dalle indagini finanziarie? Ovviamente i conti non li ha fatti nessuno. Certamente i
procedimenti innescabili da queste novità normative sono molti, ma molti di più, di quanto il sistema
giudiziario italiano è in grado di reggere.
In pratica siamo di fronte alla riedizione delle grida di manzoniana memoria. Oppure all'invenzione della
roulette russa fiscale. Più o meno a casaccio, qualcuno sarà chiamato a pagare sanzioni spropositate rispetto
all'evasione commessa, e questo dovrebbe fungere da monito per tutte le altre aziende. In realtà le disposizioni
sull'autoriciclaggio dimostrano che è completamente saltato qualsiasi rapporto di ragionevolezza tra
l'introduzione di una norma sanzionatoria e la capacità dello Stato di applicarla in modo fermo e uniforme.
Sarà comunque uno spauracchio notevole per le imprese che, non appena se ne renderanno conto, cercheranno
di tutelarsi con i mitici modelli di organizzazione aziendale, l'unica arma rimasta nelle loro mani. Un castello
di carte di nessuna utilità dal punto di vista sostanziale ma, almeno formalmente, utili allo scopo, come può
esserlo uno spaventapasseri in un campo di grano. E meno male che questo governo aveva al centro del suo
programma la semplificazione amministrativa e fiscale, altrimenti chissà cosa non avrebbe potuto inventare.
(riproduzione riservata)
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Anno XVI - 11/03/2015
A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]
I Ventotto hanno accettato a grandi linee il progetto della Commissione europea, modificando tuttavia alcuni
aspetti, e soprattutto annacquando l’anima federale che l’EFSI avrebbe dovuto avere. Il piano comunitario
presentato in gennaio prevedeva da un lato il versamento di contributi nazionali nel capitale iniziale del nuovo
fondo, per aiutare a generare l’obiettivo di 315 miliardi di investimenti; e dall’altro un processo decisionale
privo di interferenze politiche.
Molti paesi si sono rifiutati di seguire questa strada, in assenza di certezze sul ritorno economico. Il risultato
è che i paesi potranno contribuire denaro non solo al Fondo, ma anche a piattaforme di progetti e a singoli
progetti infrastrutturali. Quest’ultima è l’opzione che hanno deciso di perseguire – attraverso le loro banche di
sviluppo nazionale – Germania, Italia e Francia (con otto miliardi di euro ciascuno) e la Spagna (con un
versamento di 1,5 miliardi di euro). «Mi aspetto altri versamenti», ha detto Katainen.
Gli organismi decisionali saranno quindi indipendenti dai governi nazionali, composti da un consiglio
direttivo, in cui siederanno la Commissione europea e la Banca europea degli investimenti, e un comitato di
esperti chiamato a vagliare i progetti. Il pacchetto ora passerà al Parlamento europeo che dovrà dare il suo
benestare, possibilmente tra giugno e luglio. È previsto che il contributo statale al Fondo sarà valutato con
magnanimità da Bruxelles nel caso provochi uno sforamento dei limiti di deficit.
Nel caso italiano, la Cassa Depositi e Prestiti non appartiene al settore pubblico. Il suo contributo non peserà
quindi sul debito italiano. È da capire, però, se l’eventuale prestito della Cdp a una entità pubblica che partecipi
a un progetto finanziato dall’EFSI, con il conseguente aumento dell’indebitamento statale, potrà ottenere un
trattamento magnanime.
La partita è aperta, secondo un esperto comunitario; il Parlamento europeo, favorevole a questa clausola, darà
battaglia.
Nel documento preparato dai ministri si legge che l’obiettivo del Fondo dovrebbe essere di aiutare le piccole e
medie imprese e «rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione». In una ottica italiana,
la presa di posizione non è banale. Al netto di una selezione basata sulla bontà dei progetti dedicati a settorichiave (l’energia, il trasporto, il digitale), c’è la speranza che l’Italia goda di un trattamento di favore, tenuto
conto del ritardo economico di alcune sue regioni meridionali.
In questo contesto, sempre ieri in un intervento al Collège d’Europe a Bruges, Padoan ha ricordato che la
mancanza di fiducia è un aspetto cruciale della crisi europea. La stessa nascita dell’EFSI dovrebbe servire a
rilanciare la domanda, creando proprio fiducia, in un momento nel quale c’è il «grande rischio che qualcuno
consideri di non volere essere più un membro dell’unione monetaria». In questo senso, il ministro ha avvertito
che senza una unione politica l’Unione è condannata alla «disintegrazione». Padoan ha poi sottolineato che il
«quantitative easing» lanciato dalla Bce «è un’azione molto potente ed opportuna, ma il fatto che la
condivisione del rischio si fermi al 20% è una contraddizione.» «Sappiamo che c’è un bisogno di mutualizzare
- ha spiegato il ministro - ma non riusciamo a capire a sufficienza quanto in fondo dobbiamo andare». ©
RIPRODUZIONE RISERVATA Beda Romano
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IL SOLE 24 ORE mercoledì 11 MARZO 2015
Per la Cdp soltanto investimenti «redditizi»
L’Italia è tra i big. Sono tre i grandi co-finanziatori del Piano Juncker al fianco della Bei. Cdp, la tedesca Kfw,
le francesi Cdc-Bpi, ognuna per 8 miliardi. Italia, Germania e Francia sono nel Piano con lo stesso impegno ma
nessuno varca la soglia del nuovo fondo europeo per gli investimenti strategici. Non a torto: Feis assorbirà le
prime perdite. La Cdp è pronta a co-finanziare i progetti del Piano Juncker con un impegno fino a 8 miliardi
di euro in tre anni. Prevedibilmente interverrà in prima battuta sui progetti infrastrutturali italiani, al fianco
della Bei. È l’unica, tra l’altro, tra le casse già coinvolte nel Piano (Kfw, Cdc e la spagnola Ico per 1,5 miliardi)?a
poter fare leva su un accordo-quadro siglato nel 2009 con la Bei. La Cdp lavora da oltre un quinquennio in
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tandem e “framework” con la Banca europea (per le Pmi e per le infrastrutture) e questo potrebbe rivelarsi un
vantaggio rispetto alle altre “Casse” che non hanno lo stesso contratto quadro avviato con il colosso guidato da
Werner Hoyer. Non è da escludersi che la Cdp decida di intervenire finanziando anche progetti infrastrutturali
cross border, al fianco delle altre “Casse”. E tra le opzioni sul tavolo dell’istituto guidato da Franco Bassanini e
Giovanni Gorno Tempini potrebbe esserci anche quella di operare su nuove “piattaforme” tramite la
costituzione di Special purpose vehicles.
Quello che sicuramente non c’è, tra i ruoli che potrà ricoprire la Cdp nel Piano Juncker, è una partecipazione
diretta nel capitale del nuovo fondo europeo per gli investimenti strategici Feis. Questo perché il fondo, che
fornirà le garanzie ai progetti per il credit enhancement (rating più elevati per attrarre gli investitori
istituzionali privati) si accollerà le prime perdite. È un fondo di intervento a fondo perduto, quel tipo di rischio
senza remunerazione che solo gli Stati possono decidere di correre pur di rilanciare l’economia.
Il capitale del fondo al momento è rappresentato da 16 miliardi dell’Unione europea e 5 miliardi versati dalla
Bei (sottratti tra l’altro al capitale che la Banca già impiegava a copertura dei suoi finanziamenti tradizionali).
Nel caso in cui uno Stato decidesse di aumentare il capitale del Fondo, quell’intervento verrebbe contabilizzato
come debito pubblico (come è già accaduto nel caso del versamento dei singoli Stati membri dell’Eurozona nel
capitale paid-in del meccanismo di stabilità ESM).
Gli interventi della Cdp, che è fuori dalla Pa, non costituiscono debito pubblico, Ma il punto è un altro. La
Cassa investe i risparmi degli italiani, fino a questa settimana il risparmio postale e da questo lunedì anche il
risparmio dei privati per transita per il sistema bancario. La Cdp quindi, come il suo ad e presidente non si
stancano di ripetere, investe come operatore finanziario privato soltanto in operazioni che remunerano il
capitale e che presentano un adeguato rapporto tra rischio e rendimento. Per questo l’ingresso della Cdp è un
bollino blu sulla redditività e sostenibilità dei progetti infrastrutturali italiani che entreranno nel Piano
Juncker: e se comunque ci saranno dei problemi e perdite, a pagare il conto non sarà la Cdp ma il Fondo
europeo di investimenti strategici. . @isa_bufacchi [email protected]© RIPRODUZIONE
RISERVATA
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IL SOLE 24 ORE mercoledì 11 MARZO 2015
Atene rilancia e sfida Bruxelles - Varoufakis: il debito non sarà mai ripagato - Tsipras pronto
a usare i fondi per le banche
Oggi riprendono i difficili colloqui tra la troika e i rappresentanti del governo greco a Bruxelles e ad Atene.
L’accordo di far tornare i rappresentanti di Commissione europea, Bce e Fondo monetario internazionale nella
capitale greca è giunto grazie alla mediazione del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, che
avrebbe chiesto direttamente al ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, di far tornare i rappresentanti
dei creditori ad Atene oggi.
Secondo la ricostruzione offerta da Bloomberg, Draghi avrebbe chiesto a Varoufakis di accettare il ritorno della
troika perché, senza la possibilità di vedere il reale stato dei conti pubblici del Paese, l’Unione europea non
sarebbe mai stata in grado di poter autorizzare il pagamento alla Grecia della tranche da 7,2 miliardi di euro
ancora rimanente del piano di aiuti da 240 miliardi di euro concessi al Paese.
Il ministro ellenico avrebbe ribattuto che l’idea per cui Atene si era opposta a un tale ritorno era un grande
malinteso e i due avrebbero trovato rapidamente un accordo per un ritorno già nella giornata di oggi. Gran
parte delle resistenze di parte greca sarebbero dunque di natura semantica, perché Atene rifiuta il termine
troika, che, come spiegato da Varoufakis l’altro ieri in conferenza stampa, sa di coloniale. «La troika - ha detto
il ministro - è una raccolta di tecnocrati che arrivavano ad Atene ed entravano nei ministeri proiettando un
senso di potere che sapeva tanto di attitudine coloniale. Quella pratica è finita. Faremo tutto il possibile per
fornire alle istituzioni ogni informazione di cui possano avere bisogno».
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Anno XVI - 11/03/2015
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il divieto per queste ultime di indebitarsi al fine di partecipare ad eventuali nuovi aumenti di capitale, di
investire in derivati ed hedge fund e di applicare maggiore trasparenza nella pubblicazione dei bilanci.
Punto nodale, però, anche sotto il profilo finanziario, resta la cessione delle quote bancarie. «Le Fondazioni
diversificano il rischio di investimento del patrimonio e lo impiegano in modo da ottenerne un’adeguata
redditività», stabilisce l’articolo 7 del decreto attuativo della legge Ciampi, ma da allora niente si è specificato
quanto a tempi e modalità della diversificazione, di conseguenza ogni ente si è mosso come ha ritenuto: accanto
ad alcuni casi di legami chiaramente patologici ente-banca, con Carige e Mps su tutti, altri enti hanno iniziato
ad alleggerire le quote, altri ancora sono usciti del tutto dal capitale delle banche; l’ultima fotografia sulle 88
Fondazioni, aggiornata al primo gennaio 2014, vedeva infatti 21 enti ormai completamente fuori dalle
conferitarie, 13 con una quota superiore al 50% del capitale sociale e 28 con un pacchetto compreso tra il 5,1%
e il 50%.
Un quadro in continua evoluzione. Se è di questi giorni la cessione quasi integrale della quota di Carige da
parte dell’omonima Fondazione, sulle orme di un percorso che l’anno scorso di questi tempi ha portato Palazzo
Sansedoni al 2,5% di Mps, altri enti si stanno preparando a muoversi. Compagnia di San Paolo, ad esempio,
l’estate scorsa ha ritoccato lo statuto - con approvazione del Mef - in modo da poter scendere fino al 6,5% di
Intesa Sanpaolo (dall’attuale 10%), predisponendosi così a centrare l’obiettivo del 33%; chi si prepara a fare
altrettanto è Fondazione Cariverona, dove il 3,46% di UniCredit ad oggi vale quasi il 50% del patrimonio: non
è escluso, come ha fatto intendere il presidente Paolo Biasi nei giorni scorsi, che l’ente possa valutare acquisti
sul Banco Popolare in occasione della trasformazione in Spa, d’altronde la riforma non impedisce di
diversificare su altre banche.
L’alleggerimento delle quote sarà compito relativamente agevole per chi ha una partecipazione nelle banche
quotate (soprattutto adesso che i titoli viaggiano sui massimi degli ultimi anni), un po’ meno per chi è dentro
- o addirittura controlla - banche medie o piccole non scambiate a Piazza affari; è il caso, ad esempio, della
Fondazione Cassa di Ravenna, o CrAsti, ma anche delle piccole casse cuneesi o del centro Italia; in questo caso
ci saranno 24 mesi di tempo in più, ma tra i presidenti più d’una perplessità rimane e non è escluso che oggi al
consiglio generale dell’Acri il dibattito sia animato.
Difficile, in ogni caso, che il processo possa saltare. Il rischio di un “colpo di mano” da parte del Governo, che
nell’autunno scorso non ha esitato ad aumentare la pressione fiscale, rimane e solo l’autoriforma sembra in
grado di evitarlo, salvando di fatto la possibilità degli enti di rimanere artefici del proprio destino.
Formalmente, l’Acri dovrebbe approvare nelle prossime settimane lo schema dell’atto negoziale, che poi ogni
singolo ente dovrebbe sottoscrivere come contratto con il Mef. Che a quel punto avrà uno strumento in più per
richiedere alle Fondazioni vigilate l’applicazione di quanto concordato.
L’atto negoziale, nei fatti, sarà solo una delle tre gambe di un percorso di riforma più ampio, che contempla la
carta delle Fondazioni, approvata tre anni fa, e al quale nei prossimi mesi dovrebbe aggiungersi il codice etico
dell’Acri: a quanto si apprende, potrebbe essere presentato a giugno, durante il congresso nazionale che si terrà
a Lucca. .@marcoferrando77© RIPRODUZIONE RISERVATA Marco Ferrando
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IL SOLE 24 ORE mercoledì 11 MARZO 2015
Popolari, in arrivo l’ok alla Spa
La riforma delle banche popolari dovrebbe avere il via libera da parte della Camera dei deputati domani. Ieri
mattina è iniziato l’esame da parte dell’Aula dei circa 350 emendamenti proposti, in sede di conversione, al
decreto legge sull’Investment compact che all’articolo 1 prevede la riforma delle governance delle popolari di
dimensioni maggiori. L’eccessivo numero di emendamenti presentati aveva portato il governo a riservarsi di
porre la fiducia. Un’ipotesi che,però, ha perso consistenza nella tarda mattinata di ieri, quando le trattative tra
i rappresentanti del governo e i gruppi parlamentari hanno portato al ritiro di buona parte delle proposte di
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Le società si spartiranno l’intero processo di gestione dei crediti, incluse le azioni legali tese al recupero.
Cerved, Fbs e Caf sono società che con compiti diversi sono attive nella valutazione e gestione dei portafogli
non performing per conto di istituzioni finanziarie. Focalizzandosi sull’attività di servicing, le società
selezionate da Mps dovranno di fatto lavorare per ottimizzare i risultati della gestione dei crediti e
massimizzare la redditività di un recupero che, complice la crisi economica degli ultimi anni, si è fatto più
difficile. Se da una parte Monte dei Paschi porta a compimento il processo di esternalizzazione di circa 3
miliardi di euro di sofferenze non core, dall’altro mantiene sotto il controllo diretto la gestione dei crediti dal
valore superiore a 150mila euro. Anche sulla cessione tout court di crediti, la banca presieduta da Alessandro
Profumo mostra comunque un certo attivismo. In questo caso i contatti sono con grandi fondi internazionali,
che puntano a comprare a sconto crediti in sofferenza e incagliati. Secondo alcuni rumors (si veda Il Sole 24
Ore del 3 marzo), nei giorni scorsi ci sarebbe stato anche un incontro tra i vertici di Mps e e i rappresentanti
del fondo statunitense Cerberus, tra cui l’ex premier spagnolo José Marìa Aznar. Lo scorso dicembre, invece,
Mps aveva ceduto a Fortress un pacchetto di sofferenze da 380 milioni di euro, pari a circa 4mila posizioni. Un
portafoglio che comprendeva prestiti garantiti e non garantiti a medio e lungo termine. Considerando anche
un’operazione simile avvenuta a giugno 2014, lo scorso anno Mps ha ceduto complessivamente circa 16 mila
posizioni in sofferenza con un valore lordo di bilancio di quasi 1 miliardo di euro. .@lucaaldodavi©
RIPRODUZIONE RISERVATA Luca Davi
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IL SOLE 24 ORE mercoledì 11 MARZO 2015
Le banche e il fallimento annunciato di Ciccolella
L’effetto immediato l’ha accusato la Bim. La Banca Intermobiliare era esposta su Ciccolella per 21,9 milioni e
il recente fallimento dell’azienda dei fiori pugliese ha impattato sulla perdita netta della banca piemontese. Ma
Bim non sarà la sola ad accusare il colpo. Altre banche dovranno segnare perdite sui crediti dati alla società di
Molfetta. L’ultima nota diffusa su richiesta Consob sull’indebitamento parla di 121 milioni di debiti finanziari
netti a livello consolidato. Non pochi per una società abituata a cumulare perdite significative nel corso degli
anni arrivando a fine 2013 ad avere capitale netto negativo per 22 milioni. Ci hanno provato a riassettare la
situazione patrimoniale arrivando anche a una rinuncia di crediti da parte della Ciccolella srl, la società in
liquidazione a monte della quotata. Non è bastato evidentemente per il Tribunale. Certo è che il crac era
nell’aria da tempo: dal 2012 Ciccolella era nella lista nera della Consob e già allora i revisori non erano stati in
grado di esprimere giudizi sui bilanci. (Fa.P.)
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IL SOLE 24 ORE mercoledì 11 MARZO 2015
B. Treviso, azionisti contro Cr Ferrara
MILANO. Non c’è pace tra le banche del Nord Est. Questa volta ad alzare la voce sono gli azionisti di minoranza
della Banca di Treviso transitati nel corso degli anni dalla Cassa di Risparmio di Ferrara alla Banca di
Marostica, quest’ultima confluita recentemente nella Volksbank di Bolzano. Una girandola che ha creato negli
anni sacche di opacità consentendo operazioni poco trasparenti in parte ricostruite e su cui è stata incardinata
un’azione legale per chiedere un risarcimento fino a 12 milioni.
Gli azionisti della Banca di Treviso puntano il dito contro la Cassa di Ferrara, in amministrazione straordinaria
dal maggio 2013, arrivata a controllare fino al 60% dell’istituto poi ceduto alla Marostica. Una cessione poco
chiara al punto che ora stanno indagando le procure di Ferrara e Vicenza alla luce del lodo arbitrale che ha
condannato l’istituto estense a pagare alla banca di Marostica 10,5 milioni quale sovrapprezzo indebitamente
percepito nella procedura di cessione delle quote di Banca di Treviso.
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Riservato alle strutture
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Responsabile - Lodovico Antonini
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Anno XVI - 11/03/2015
A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]
IL SOLE 24 ORE mercoledì 11 MARZO 2015
Banca Generali e la sfida del risparmio
Il risparmio entra all’università e parla direttamente agli studenti. Piermario Motta, ad di Banca Generali terrà
oggi una lectio magistralis all’Università Liuc di Castellanza in occasione dell’inaugurazione del master in
merchant banking finanza, private equity e impresa. Il titolo dell’incontro è “Le sfide nel risparmio tra
deflazione e tassi a zero: le prospettive della consulenza finanziaria”, un tema molto attuale che rispecchia le
prossime sfide del risparmio gestito nel nostro Paese. Motta punterà l’attenzione sull’evoluzione dei mercati e
sul ruolo sempre più importante delle reti di consulenza finanziaria in Italia, in un contesto europeo che cresce
a rilento con le banche e le reti sempre più impegnate sul versante degli investimenti per i servizi alla clientela
di fascia elevata e nella tutela del risparmio. Si parte da un’analisi dello scenario di mercato con i dati macro
che mostrano il Pil in fase di stabilizzazione dopo la crisi Lehman del 2008 e quella più recente del debito
sovrano dell’area euro. Dal versante dei listini, invece, si vede che a partire dal 2007 gli indici faticano a
recuperare e solo Wall Street è tornata ai livelli di 8 anni fa. Per quanto riguarda il risparmio, poi, viene
sottolineato come i dati Bankitalia mostrino che la ricchezza delle famiglie italiane nonostante le pressioni
continui a crescere. In particolare l’ Italia è tra i primi paesi al mondo in questo segmento e anche nel rapporto
debito/pil, tenendo conto della componente privata, il nostro Paese si piazza davanti a Regno Unito, Usa,
Canada e Germania. Motta dedica ampio spazio al sistema bancario europeo, assai più esposto rispetto a quello
americano sul versante delle sofferenze. Non solo. Dallo studio risulta che in Italia ci sono più banche che hotel
,o parchi giochi per i bambini. Una situazione che fa capire le ragioni della riorganizzazione del sistema
attualmente in atto, complice anche la riduzione dell’operatività delle filiali in conseguenza al ruolo sempre
più diffuso della tecnologia. Uno scenario che però ha generato esuberi e costretto gli istituti a chiudere gli
sportelli; svalutazioni e aumenti di capitale sono stati il leit motiv degli ultimi due anni e la tendenza non è
terminata. L’obiettivo inoltre è impostare il futuro sempre più come agenzie retail di vario genere, potenziando
piattaforme e servizi di consulenza, vista la crescente quota di risparmio servita da banche/reti. Le grandi reti
di consulenza finanziaria da tempo si stanno muovendo in questa direzione e le performance borsistiche dei
titoli del risparmio gestito dimostrano che il mercato ha apprezzato l’impegno (dal marzo 2009 Banca Generali
ha guadagnato il 982%, Azimut il 492 e Mediolanum il 161%). E infine un focus sulle esigenze sempre crescenti
da parte della clientela private. Esigenze che possono essere soddisfatte solo con una consulenza a 360 gradi
fornita da professionisti di elevato standing. © RIPRODUZIONE RISERVATA Isabella Della Valle
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IL SOLE 24 ORE mercoledì 11 MARZO 2015
Credit Suisse, cambio al vertice L’ivoriano Thiam è il nuovo ceo - Nessun cambio strategico
ma focus sulla gestione parimoniale
LUGANO. Dall’americano Brady Dougan al franco-ivoriano Tidjane Thiam. Il cambio al vertice del Credit
Suisse è una medaglia a due facce. Una abbastanza prevista e l’altra invece a sorpresa. Il ritiro di Dougan era
nell’aria anche perché il top manager americano era ceo dal 2007, un tempo ragionevolmente lungo nello
scenario attuale delle grandi banche. Per l’assunzione della carica da parte di Thiam, che sarà ceo a fine giugno,
non c’erano state invece avvisaglie.
Thiam è ceo del big assicurativo britannico Prudential. Nato in Costa d’Avorio 52 anni fa, è cresciuto in
Francia. Dopo vari anni passati presso McKinsey & Company, ha lavorato per il Governo ivoriano, anche come
ministro dello Sviluppo, carriera interrotta a causa di un colpo di Stato militare nel 1999. Nel 2000 è tornato a
lavorare per McKinsey e dal 2002 al 2008 ha avuto funzioni dirigenti presso la britannica Aviva, prima di
raggiungere Prudential come direttore finanziario. Nel 2009 è stato nominato ceo, diventando il primo
manager nero alla testa di una delle 100 maggiori società britanniche quotate in Borsa.
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Anno XVI - 11/03/2015
A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]
Urs Rohner, presidente del cda del Cs, ha espresso riconoscenza al ceo dimissionario: «Brady Dougan ha
modellato in maniera significativa e con successo il nostro gruppo, ha mantenuto sulla buona strada la banca
in questi ultimi anni, malgrado un ambiente complesso e grandi sfide per l’industria finanziaria globale». Per
il presidente del cda Credit Suisse, il successore designato Tidjane Thiam è un leader rispettato e di valore, che
vanta successi nell’industria dei servizi finanziari. «La sua vasta esperienza internazionale costituisce una
solida garanzia per dirigere l’istituto» ha affermato Rohner.
Brady Dougan è entrato in Credit Suisse First Boston, l’allora ramo investment banking del gruppo, nel 1990
e nel 2003 è diventato membro della direzione di Credit Suisse Group. È uno dei pochi dirigenti di una grande
banca internazionale a essere uscito indenne dalla crisi finanziaria del 2008-09, che Cs ha superato senza aiuti
statali. Le sue dimissioni in tempi più recenti erano sono state più volte oggetto di voci di mercato, anche in
seguito alla multa di 2,8 miliardi di dollari inflitta negli Usa all’istituto, a causa delle vertenze fiscali con le
autorità americane. I suoi critici hanno indicato un’eccessiva attenzione all’investment banking, i suoi
sostenitori hanno invece sottolineato l’equilibrio creato con il business centrale della banca, il private banking.
Durante il suo mandato Dougan ha percepito uno stipendio annuo medio di 12 milioni di franchi, senza contare
le gratifiche, né il discusso bonus di 71 milioni incassato nel 2009.
La notizia della nomina di Thiam ha sorpreso più di un osservatore, ma è stata accolta favorevolmente dagli
esperti. In Borsa ieri a Zurigo i Cs è salito del 7,76% a 25 franchi. Secondo Roger Degen, analista di Julius Bär,
la scelta è stata giudiziosa. Andreas Venditti, analista Vontobel, sottolinea che il futuro numero uno di Credit
Suisse non proviene dal mondo bancario, ma che come capo di Prudential ha comunque esperienza dei mercati
asiatici, un’area importante per Cs. Andreas Brun, analista alla Banca cantonale di Zurigo, prevede che Thiam
riorienterà le attività, puntando sulla gestione patrimoniale (private banking soprattutto), più stabile e
redditizia sul lungo periodo. Il presidente del cda Urs Rohner ha sottolineato che non ci saranno cambiamenti
strategici: «È chiaro che proseguiremo sulla via di un rafforzamento della gestione patrimoniale e di una
riduzione dei rischi, ma non sono previsti cambi di strategia». © RIPRODUZIONE RISERVATA Lino Terlizzi
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IL SOLE 24 ORE mercoledì 11 MARZO 2015
Citigroup e l’ultima beffa per i truffati della Parmalat
L’ultima tegola del crack Parmalat, per migliaia di risparmiatori, ha il sapore ancor più amaro della beffa. Addio
a (possibili) risarcimenti dal colosso americano Citigroup: dopo dodici anni di tribunali, la più grande banca
al mondo, che aveva affiancato per anni Calisto Tanzi e l’ideatrice della famigerata “Buconero LLC”, emblema
della truffa, esce di scena dal più grosso dissesto finanziario in Europa. E dribbla abilmente la mina di eventuali
rimborsi milionari. Rimane a bocca asciutta anche la stessa Parmalat: i francesi Lactalis, proprietari del colosso
italiano dopo una scalata da 3 miliardi di euro, non potranno seguire le orme di Enrico Bondi, l’ex commissario
straordinario che con le sue revocatorie alle banche ha fatto accumulare a Parmalat il famoso tesoretto: 1,4
miliardi (oggi dopo varie acquisizioni, a quota 1 miliardo).
Chiamatelo effetto collaterale, o maglia nella rete. O, forse, l’ennesima conferma della farraginosità della
macchina giudiziaria italiana. Tutta «colpa» del patteggiamento. Ora, ai truffati dalla vecchia Parmalat, che
potevano sperare di chiedere soldi alle banche, ossia l’imputato più “ghiotto”, l'unica strada che rimane è
ripartire da zero e iniziare una nuova causa. Nel civile.
Riassunto: la settimana scorsa si è chiuso il processo penale contro i banchieri di Citi, una delle banche ritenute
“complici” di Tanzi nel crack Parmalat. Otto patteggiamenti: condanne a circa un anno di carcere, tutte sospese
con la condizionale. Quello su Citi era uno dei tanti filoni, “stralciati” dall’indagine principale sul crack avviata
dalla Procura di Parma nel 2003, subito dopo il crack. Il primo processo, quello più eclatante, al patron e al
“cassiere” Fausto Tonna è arrivato in Cassazione l’anno scorso. A Parma, l'umore è pessimo: in città c’è chi
parla, senza troppi giri di parole, di un vero e proprio “regalo” fatto agli americani. In realtà, la questione è
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Anno XVI - 11/03/2015
A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]
La funzione della dichiarazione sostitutiva è cruciale soprattutto dove non sia agevole ricostruire
documentalmente le operazioni oggetto di regolarizzazione.
Si pensi al caso delle cassette di sicurezza contenenti del contante. Qui potranno essere adottate delle
accortezze (per esempio la cassetta potrebbe essere aperta davanti a un notaio estero, o italiano, nel caso di
disclosure domestica, che ne certifichi il contenuto) ma resta il fatto che l’aderente potrebbe aver effettuato
accessi in precedenza che sfuggono agli occhi del fisco. Stessa problematica si potrebbe verificare nei frequenti
casi in cui si sono effettuati prelevamenti di contanti che poi sono stati riversati in altro conto corrente.
Ebbene, dato che il legislatore ha previsto la dichiarazione sostitutiva (e il nuovo reato di esibizione di atti
falsi) e posto che la procedura di disclosure tende all’instaurazione di un rapporto di fiducia tra contribuente e
amministrazione finanziaria, le circostanze descritte nella relazione di accompagnamento da presentare nei
successivi 30 giorni dall’inoltro telematico dell’istanza, che hanno alla base la dichiarazione sostitutiva del
contribuente, dovranno essere recepite il più possibile da parte dell’agenzia delle Entrate (ovviamente nei limiti
della ragionevolezza e della verosimiglianza e alla luce del contraddittorio con il contribuente e chi lo assiste).
Del resto i contribuenti sono consapevoli dell’enorme massa di informazioni che circoleranno post disclosure
e di quanto siano insidiosi eventuali “incroci informativi”. Quindi, per evitare di gettare nel nulla la
regolarizzazione e di vedersi contestare un reato, sono senz’altro incentivati a dire la verità. ©
RIPRODUZIONE RISERVATA Antonio Tomassini
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IL SOLE 24 ORE mercoledì 11 MARZO 2015
Chi lavora al «bancoposta» non è pubblico ufficiale - Appropriazione indebita e non peculato
se sottrae soldi ai clienti
Roma. Il dipendente delle poste che si occupa di gestire i risparmi dei clienti non è un pubblico ufficiale e se si
impossessa dei loro soldi, non può essere condannato per peculato ma solo per appropriazione indebita. La
Cassazione, con la sentenza 10124, sgombra il campo da un equivoco alimentato da una copiosa giurisprudenza
che considera il dipendente delle poste un pubblico ufficiale sia quando svolge un’attività bancaria sia
nell’adempimento dei servizi postali.
Un ragionamento viziato da un’errata lettura delle norme e della storia dell’ente Poste, che porta ad applicare
regole diverse a persone che, di fatto, svolgono lo stesso mestiere. Un’ingiustificabile disparità di trattamento
tra gli impiegati degli istituti di credito e quelli di Poste Italiane.
Dell’orientamento espresso dalla Suprema corte beneficia il direttore di un ufficio postale che aveva “attinto”
a ben tre libretti. La Cassazione ha accolto la tesi della difesa secondo la quale il reato era quello meno grave)
di appropriazione indebita: lo stesso che sarebbe stato contestato ad un impiegato di banca in un’identica
circostanza.
Secondo i giudici è pacifico che il direttore non possa rispondere di peculato perché l’attività di bancoposta,
esercitata da Poste Italiane Spa nel cui contesto è avvenuto il “fattaccio” non è un pubblico servizio.
Ma l’affermazione quasi lapalissiana espressa dal collegio non è scontata per la giurisprudenza. Ne sono
consapevoli gli stessi giudici che citano i precedenti in senso contrario.
I fautori della tesi del pubblico ufficiale, invece che guardare alla funzione svolta, hanno dato un peso alla
natura dell’ente, alla sua storia e alla tradizione di fiducia che il pubblico gli riconosce. Il legislatore avrebbe
garantito una tutela rafforzata e indifferenziata ai clienti di Poste italiane, storicamente amministrate dallo
Stato. Un intento che non sarebbe stato scalfito dalla “liberalizzazione” delle attività e dei servizi. Per
dimostrare una “sopravvissuta” natura pubblica viene richiamata anche la normativa intervenuta in tema di
Cassa depositi e prestiti (Dl 269/2003) in base alla quale la raccolta del risparmio postale avviene in «nome e
per conto» della Cassa depositi e prestiti. Per i giudici della sesta sezione è, al contrario, del tutto irrilevante
che Poste Spa operi per la Cassa depositi e prestiti, essendo questa equiparabile a un comune titolare di azioni
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RASSEGNA STAMPA
Anno XVI - 11/03/2015
A cura di Bruno Pastorelli – [email protected]
e personalmente estranea ai rapporti con la clientela. Il nodo va sciolto alla luce del Dpr 144/2001 che
disciplina il servizio bancoposta, elencando le attività di tipo bancario senza alcuna indicazione che faccia
pensare a un pubblico servizio.
Al contrario la norma parifica Poste alle banche ai fini dell’applicazione dei Testi unici bancario e finanza,
prevedendo anche una netta separazione contabile delle attività di bancoposta dalle altre. Per finire i rapporti
con i correntisti sono disciplinati dalle leggi civili. © RIPRODUZIONE RISERVATA Patrizia Maciocchi
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ADVISOR OM LINE 10/03/2015
Finecobank, piano di incentivo ai promotori
di Alessandro Chiatto
•Proposto dividendo di 0,20 euro per azione
La News
Il cda di Finecobank ha approvato i conti del 2014 e, tra le altre cose, ha proposto l'adozione del sistema di
incentivazione 2015 PFA, che, come richiesto dalle autorità di vigilanza nazionali ed internazionali, prevede il
riconoscimento di un incentivo - in denaro e/o in Phantom share - da corrispondere, condizionatamente al
raggiungimento di specifici obiettivi - nell'arco di un periodo pluriennale (2016-2020) a selezionati promotori
finanziari della società.
Non solo, perché il cda ha approvato i conti dell'esercizio 2014 e ha deciso di proporre all'assemblea la
distribuzione di un dividendo unitario di 0,20 euro per azione. La data di stacco cedola stabilita è il 27 aprile,
la data di registrazione il 28 aprile e la data di pagamento il 29 aprile. L'assemblea ordinaria e straordinaria
dei soci, in unica convocazione, si terrà il 23 aprile.
Philip Dormer Chesterfield
Si dimentica prima una ferita che un insulto.
.c.
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