Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLV n. 77 (46.915) Città del Vaticano sabato 4 aprile 2015 . Dolore del Papa per la strage perpetrata in Kenya dai fondamentalisti islamici di Al Shabaab Il giovedì santo di Francesco tra i detenuti di Rebibbia Insensata brutalità Con nome e cognome Tutti cristiani gli studenti assassinati dai terroristi nell’università di Garissa NAIROBI, 4. Sono tutti cristiani i 147 morti e i 79 feriti accertati nella strage di ieri all’università di Garissa, in Kenya, una delle più sanguinose mai perpetrate nel Paese. E si teme che le conseguenze possano rivelarsi ancora più gravi. Delle 815 persone ritenute presenti nel campus universitario, sono sicuramente in salvo solo cinquecento. Di altre circa centocinquanta non si hanno notizie sicure. Di certo si è trattato della più feroce carneficina mai perpetrata dalle milizie somale di Al Shabaab, che pure negli ultimi anni si sono via via sempre più segnalate per il ricorso al terrorismo e per la radicalizzazione jihadista. Non a caso i terroristi, sembra quattro, che hanno fatto irruzione nel campus di Garissa ieri mattina, dopo aver rilasciato gli studenti musulmani, si sono accaniti su quelli cristiani, molti dei quali uccisi in modo particolarmente brutale, secondo le testimonianze dei sopravvissuti. Il dolore di Papa Francesco per l’«immensa e tragica perdita di vite» causata dall’attacco è stato espresso dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, in un telegramma inviato al cardinale John Njue, presidente della Conferenza dei vescovi cattolici del Kenya. Nel messaggio il porporato esprime la preghiera e la vicinanza spirituale del Pontefice alle famiglie delle vittime e a tutti i kenyani in questo momento di dolore. Il Papa, si legge nel telegramma, raccomanda «le anime delle vittime all’infinita misericordia di Dio onnipotente» e chiede conforto per «tutti coloro che sono in lutto». Il Pontefice, scrive ancora il cardinale Pa- rolin, «condanna questo atto di insensata brutalità e prega per un cambiamento del cuore tra i suoi autori». Al tempo stesso, «invita tutti i responsabili a raddoppiare gli sforzi per operare con tutti gli uomini e le donne in Kenya per porre fine a questa violenza e per accelerare l’al- ba di una nuova era di fratellanza, giustizia e pace». Le autorità kenyane hanno annunciato che l’assedio ai sequestratori si è concluso ieri sera, smentendo notizie lanciate da più parti sul fatto che alcuni fossero ancora asserragliati con ostaggi. Il ministro dell’Interno, Una ragazza sopravvissuta all’attacco (Epa) Joseph Nkaissery, ha riferito che i quattro terroristi erano imbottiti di esplosivo e che sono saltati in aria quando sono stati colpiti dalle pallottole dei poliziotti che hanno fatto irruzione. Secondo le fonti ufficiali kenyane, a ideare l’azione sarebbe stato Mohamed Kuno, un ex professore dell’universita di Garissa che ha aderito ad Al Shabaab e sul quale pende una taglia di cinquantamila euro. Oltre alla Somalia, il Kenya è il principale bersaglio di Al Shabaab da quando il Governo di Nairobi inviò contro il gruppo truppe in territorio somalo, impegnate prima in un’operazione autonoma e poi inquadrate nell’Amisom, la missione dell’Unione africana in Somalia. Proprio le truppe kenyane, la loro marina e la loro aviazione, furono determinanti per scacciare Al Shabaab da Chisimaio, che avevano controllato per anni. All’epoca in molti diedero le milizie islamiche per definitivamente sconfitte, ma gli eventi successivi hanno dimostrato come Al Shabaab abbia mantenuto intatta la sua capacità di colpire, sia con azioni militari sia con il sempre più frequente ricorso al terrorismo, in patria come fuori dai confini, appunto soprattutto in Kenya, dove nel solo 2014 ha provocato oltre duecento morti. Prima di quello a Garissa, l’episodio più sanguinoso era avvenuto nel settembre del 2013, quando miliziani di Al Shabaab presero in ostaggio centinaia di persone nel centro commerciale Westgate di Nairobi. La vicenda si concluse dopo due giorni con un assalto della polizia al termine del quale si contarono 67 morti. Gesù ha dato la vita per ogni uomo: «Per te, per te, per me, per lui, per ognuno, con nome e cognome», ha spiegato Papa Francesco ai detenuti del carcere romano di Rebibbia, dove ha celebrato la messa «in coena Domini» nel pomeriggio del 2 aprile, Giovedì santo. L’amore di Dio — ha ricordato prima di compiere il rito della lavanda dei piedi con sei reclusi e sei recluse (fra le quali una donna nigeriana con il suo bambino) — è «personale» e «non delude mai, perché lui non si stanca di amare, L’Aiea pronta a svolgere il ruolo di verifica una volta finalizzato l’accordo Raggiunta l’intesa sul nucleare iraniano y(7HA3J1*QSSKKM( +,!"![!"![! LOSANNA, 3. È stato finalmente raggiunto ieri a Losanna l’accordo quadro sul programma nucleare iraniano, primo passo per un’intesa vincolante che dovrebbe essere sottoscritta entro il prossimo mese di giugno. Nella città svizzera, dopo una faticosa trattativa protrattasi ben oltre la data stabilita del 31 marzo, sono state individuate le «soluzioni chiave per un accordo a 360 gradi, che garantirà la natura esclusivamente pacifica del programma nucleare iraniano». A sottolinearlo è stata l’alto rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza comune dell’Ue, Federica Mogherini, in una conferenza stampa insieme al ministro degli Esteri iraniano, Mohammed Javad Zarif. Se l’accordo definito dovesse divenire operativo, l’attività nucleare iraniana verrà monitorata per dieci anni. In questo periodo di tempo le centrifughe installate passeranno da 19.000 a 6.000 e la gran parte dell’uranio già arricchito verrà diluito o trasferito all’estero. La centrale di Fordow, inoltre, sarà convertita in un centro di ricerca privo di materiale fissile. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha accolto positivamente l’accordo di principio, dicendosi pronta a intraprendere le verifiche previste dall’intesa. «L’Aiea — recita un comunicato diffuso nella notte dall’agenzia di Vienna e firmato dal direttore generale Yukiya Amano — dà il benvenuto all’annuncio del gruppo cinque più uno e dell’Iran sui parametri chiave per un piano d’azione complessivo comune. Con il sostegno del Consiglio dei governatori dell’Aiea, l’Agenzia sarà pronta a svolgere il ruolo di verifica dell’attuazione delle misure relative al nucleare, una volta che l’accordo sarà finalizzato». Anche il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, si è congratulato per il raggiungimento di quello che ha definito «un accordo quadro verso uno storico piano di azione sul dossier nucleare iraniano». In una nota, Ban Ki-moon si è detto «convinto che una soluzione negoziata completa alla questione del nucleare iraniano contribuirà alla pace e alla stabilità nella regione, consentendo a tutti i Paesi di cooperare per affrontare le numerose gravi sfide alla sicurezza che sono sul tavolo». L’intesa raggiunta a Losanna sul nucleare iraniano «non si basa sulla fiducia», ma su delle «verifiche senza precedenti» e se pienamente attuato manterrà il mondo più sicuro. Questa la prima dichiarazione rilasciata dal presidente statunitense, Barack Obama. «Se le misure di verifica e di ispezione non soddisfano gli standard internazionali — ha chiarito — non ci sarà alcun accordo finale» entro il 30 giugno. Obama ha chiamato i leader di Francia, François Hollande, Germania, Angela Merkel, e Gran Bretagna, David Cameron, ringraziandoli per «l’importante ruolo che ciascun Paese ha avuto nel raggiungere lo storico traguardo». E anche il presidente iraniano, Hassan Rohani, ha espresso ieri sera soddisfazione per l’esito del negoziato di Losanna, mentre la popolazione di Teheran è scesa in strada per festeggiare. Secondo Rohani, la stesura del documento che deve sancire l’accordo definitivo inizierà immediatamente. Il capo dei negoziatori iraniani, Seyyed Abbas Araqchi, ha inoltre dichiarato che il riconoscimento della legittimità del programma nucleare iraniano è il più grande successo ottenuto da Teheran. Tuttavia restano ancora ostacoli da superare. Tra questi la delicata questione del calendario del ritiro delle sanzioni all’Iran che, come dichiarato oggi dal ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, è tutt’altro che risolta. L’accordo raggiunto a Losanna non è stato accolto positivamente da Israele. Il premier, Benjamin Netanyahu, ha infatti convocato per oggi il Gabinetto di sicurezza. In una telefonata con il presidente Obama, il premier israeliano — dopo aver definito l’intesa una «minaccia per la sopravvivenza di Israele» — ha detto che l’accordo di Losanna «legittimerà il programma nucleare di Teheran, rafforzerà l’economia della Repubblica islamica e aumenterà l’aggressività dell’Iran in tutto il Medio oriente e oltre». ROSANNA VIRGILI A PAGINA 5 Dall’«Ecce homo» ai cristiani perseguitati nel mondo I martiri perfetti RANIERO CANTALAMESSA A PAGINA 7 La crocifissione e la Pasqua negli inni di Efrem il Siro Due inni di Efrem il Siro, sulla crocifissione e il secondo sulla risurrezione di Cristo, ci aiutano a entrare nei misteri che celebriamo in questi giorni santi. Il primo contempla il cenacolo, luogo che diventa prefigurazione della Chiesa stessa nella sua celebrazione dei misteri, e il secondo presenta la Chiesa della terra e quella del cielo unite nella lode al Signore. MANUEL NIN Zarif, Kerry e Mogherini a Losanna dopo il raggiungimento dell’intesa (Afp) PAGINA 8 Oggi è spremuto il grappolo venuto da Maria A PAGINA 8 L’agonia di Gesù sul Golgota e il mistero dell’ora meridiana Quel furto al salmo 31 come non si stanca di perdonare, non si stanca di abbracciarci». Gesù, ha ribadito, «ci ha amato, ognuno di noi, sino alla fine». In questa chiave il Pontefice ha letto il gesto compiuto dal Signore con gli apostoli. «Io laverò oggi i piedi di dodici di voi — ha detto — ma in questi fratelli e sorelle siete tutti voi. Tutti quelli che abitano qui. Voi rappresentate loro». E ha aggiunto: «Anch’io ho bisogno di essere lavato dal Signore, e per questo pregate durante questa messa perché il Signore lavi anche le mie sporcizie, perché io diventi più schiavo nel servizio della gente, come è stato Gesù». Nel pomeriggio del Venerdì santo il Papa presiede nella basilica vaticana la celebrazione della Passione del Signore. In serata la tradizionale Via crucis al Colosseo. «La Croce di Cristo — ha ricordato in un tweet lanciato dall’account @Pontifex — non è una sconfitta: la Croce è amore e misericordia». Icona etiopica quadrupla raffigurante san Giorgio, la Crocifissione, la discesa agli inferi e la sepoltura (XIX secolo) L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 sabato 4 aprile 2015 Migranti in attesa di partire dalla Libia alla volta dell’Europa (Reuters) ROMA, 3. La questione migratoria resta tra le sfide maggiori che interpellano la comunità internazionale e l’Europa in particolare. Mentre, dopo diversi giorni di relativa interruzione si segnala una ripresa delle partenze dalla Libia di barconi carichi di migranti e profughi, sostegno all’Italia, in prima linea nel Mediterraneo, giunge dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, formata dai rappresentanti di quarantasette Paesi del Continente. La presidente dell’Assemblea, Anne Brasseur, che ha condotto una visita in Sicilia, ha sottolineato come l’Italia non possa essere lasciata sola ad affrontare il fenomeno delle migrazioni attraverso il Mediterraneo. «L’Italia, in quanto Stato in prima linea per i flussi d’immigrati irregolari, richiedenti asilo e rifugiati affronta una sfida particolare. Sussistono dei problemi, incluso quello del ritardo nella registrazione di chi sbarca sulle sue coste. Tuttavia è chiaro che l’Italia non può continuare ad affrontare e gestire da sola questi continui arrivi. Occorre una più grande condivisione delle responsabilità con altri Paesi europei», ha detto Brasseur. Per quanto riguarda la ripartizione delle responsabilità tra i Paesi dell’Unione europea, la presidente dell’Assemblea parlamentare ha sostenuto che occorre cambiare le regole fissate dal trattato di Dublino, che affida all’esclusiva responsabilità dei Paesi di arrivo la gestione di migranti e profughi. «Non solo è antiquato e inefficace per la gestione delle sfide di oggi, ma è anche ingiusto per i Paesi di arrivo e per i richiedenti asilo» ha affermato la presidente. «Come rappresentante dell’Assemblea parlamentare di quarantasette Nazioni farò il possibile, fin da subito, per porre la questione dei flussi migratori sul tavolo di discussione dell’Unione europea e di tutte le altre Nazioni europee. In questo dramma l’Italia non può essere lasciata da sola», ha concluso. Sulle politiche in materia di migrazioni, come noto, ci sono posizioni diverse all’interno dell’Unione europea. Proprio questa settimana, tra l’altro, la Commissione di Bru- Intervento della Santa Sede Rispetto del diritto internazionale e situazione umanitaria in Ucraina Pubblichiamo la traduzione italiana della dichiarazione dell’arcivescovo Silvano M. Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali a Ginevra, pronunciata il 26 marzo 2015, in occasione della 28ª Sessione del Consiglio per i Diritti Umani sull’Ucraina. Sostegno del Consiglio d’Europa all’Italia Interpellati dalla questione migratoria xelles ha annunciato un confronto con il Governo di Madrid per valutare la compatibilità con le normative comunitarie della nuova legge entrata in vigore mercoledì in Spagna. La legge in questione introduce tra l’altro la possibilità del cosiddetto “rifiuto alla frontiera”. Questo Gabrielli prefetto di Roma Delrio ministro delle Infrastrutture e dei trasporti ROMA, 3. Graziano Delrio è il nuovo ministro italiano delle Infrastrutture e dei trasporti. Succede a Maurizio Lupi, che si era dimesso il 20 marzo scorso a seguito delle polemiche seguite all’inchiesta sugli appalti per le cosiddette “grandi opere”. Delrio, che ha giurato giovedì sera al Quirinale davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, fino a ora aveva svolto l’incarico di sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri. «Non esistono infrastrutture né grandi né piccole, ma infrastrutture utili alla comunità», aveva detto nella mattinata di giovedì lo stesso Delrio, durante la presentazione di un progetto presso l’Istituto di credito sportivo. «Non dobbiamo pensare — aveva spiegato ancora — che le infrastrutture siano importanti quando collegano grandi poli. Ci sono piccoli collegamenti che hanno un’efficacia nella vita delle persone». Dopo il giuramento al Quirinale il neoministro ha dichiarato che «gli italiani hanno bisogno di tante opere, hanno bisogno di vedere che le cose procedono». L’annuncio della scelta di Delrio era stato dato dal capo del Governo Matteo Renzi nel corso della riunione del Consiglio dei ministri di giovedì mattina. Nella stessa occasione Renzi ha anche annunciato la nomina a prefetto di Roma di Franco Gabrielli, fino ad ora a capo della Protezione civile. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va Con riferimento alla dichiarazione fatta da questa Missione Permanente alla 25ª Sessione del Consiglio per i Diritti Umani il 26 marzo 2014, la Santa Sede ribadisce la sua vicinanza e la sua solidarietà a tutto il popolo dell’Ucraina, il cui Paese continua a essere colpito dall’attuale conflitto. Con questo intervento la Santa Sede intende sottolineare ancora una volta l’urgente necessità del rispetto della legalità internazionale per quanto riguarda il territorio e i confini dell’Ucraina, quale elemento fondamentale per assicurare stabilità a livello sia nazionale sia regionale e significa che i migranti intercettati sulle barriere frontaliere di Ceuta e Melilla, le enclavi spagnole in territorio marocchino, potranno essere immediatamente respinti indietro, senza previa identificazione e senza quindi dare loro la possibilità di presentare domanda d’asilo. per ripristinare la legge e l’ordine basati sul pieno rispetto di tutti i diritti umani fondamentali. A questo proposito, la Santa Sede apprezza i passi compiuti per attuare la tregua, intesa come una condizione essenziale per giungere a soluzioni politiche esclusivamente attraverso il dialogo e il negoziato. Allo stesso tempo sottolinea la fondamentale necessità che tutte le parti mettano in atto le decisioni prese di comune accordo, riconoscendo in questo contesto gli sforzi fatti dalle Nazioni Unite, dall’Osce e da altre organizzazioni competenti con riferimento al pacchetto di misure per l’attuazione degli accordi di Minsk. La Santa Sede ritiene che la piena adesione di tutte le parti alle disposizioni di tali accordi sia un prerequisito per ogni altro sforzo volto a migliorare la situazione umanitaria e dei diritti umani nei territori colpiti, ponendo fine, anzitutto, alla perdita di vite umane, agli atti di violenza e ad altre forme di abusi. Esso dovrebbe comprendere anche il rilascio di tutti gli ostaggi e delle persone detenute illegalmente e assicurare l’accesso, senza restrizioni, a tutti gli attori legittimi, affinché possano fornire assistenza umanitaria in quelle zone. Allo stesso tempo la Santa Sede è preoccupata per l’emergenza sociale che deve affrontare la popolazione che vive nelle aree colpite, la quale soffre per la povertà, la fame, l’insicurezza e i rischi per la salute. È preoccupata anche per le persone ferite e dislocate e per le famiglie che soffrono a causa della perdita di persone care. In questa situazione urgente, la Santa Sede è impegnata a offrire aiuto attraverso le sue istituzioni e chiede alle organizzazioni caritative della Chiesa cattolica di intensificare e coordinare gli sforzi al fine di dare assistenza al popolo dell’Ucraina. La Santa Sede desidera anche esprimere la sua fiducia nella solidarietà della comunità internazionale. Per il voto in Gran Bretagna Secondo gli osservatori dell’O sce Un confronto a sette Rischierate nel Donbass le armi pesanti LONDRA, 3. Il sistema sanitario, l’immigrazione, la permanenza nell’Ue e i tagli alla spesa pubblica sono stati i temi caldi del secondo dibattito televisivo di ieri sera tra i sette candidati a primo ministro in Gran Bretagna, in vista delle legislative del prossimo 7 maggio. Si è anche trattato dell’unico confronto tra il premier, il conservatore David Cameron, e il leader laburista, Ed Miliband, per il grande duello che porterà uno dei due al numero 10 di Downing Street. Stando agli ultimi sondaggi, i cui risultati appaiono contrastanti, nessuno dei due partiti maggiori ha in questo momento un vantaggio decisivo sull’altro, con conservatori e laburisti che non riescono a superare la soglia del 36 per cento. A pesare sul risultato finale di Tory e Labour saranno anche i consensi che riusciranno a ottenere gli indipendentisti dell’Ukip, di Nigel Farage, comunque in calo rispetto ai voti ottenuti nelle elezioni europee e nelle recenti suppletive. Altra incognita, per entrambi i partiti maggiori, sarà quella rappresentata dai liberal-democratici del vice primo ministro, Nick Clegg, che si è collocato al centro dello schieramento politico, mentre lo Scottish National Party, di Nicola Sturgeon, in pieno boom di consensi dopo la sconfitta nel referendum sull’indipendenza del- KIEV, 3. La missione degli osservatori dell’O rganizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) nel Donbass ha registrato un ridispiegamento di armi pesanti su larga scala nelle aree proibite dagli accordi di Minsk. Lo rende noto Alexander Hug, vice capo della missione, sostenendo che entrambe le parti in conflitto — Kiev e i ribelli separatisti filorussi — stanno usando armi pesanti, sia artiglieria che mortai, nella zona cuscinetto, dove tali armi sono vietate. In questo clima di tensione — anche se negli ultimi giorni non si sono verificati scontri significativi tra le parti in conflitto — un segnale di speranza viene dall’intesa siglata ieri dal Governo ucraino con Mosca per lo scorso anno, rischia di cancellare dalla mappa elettorale della Scozia i laburisti di Miliband. All’affollato dibattito televisivo hanno partecipato anche la leader dei Verdi, Natalie Bennett, e Leanne Wood, dei nazionalisti gallesi del Plaid Cymru. Trovata la seconda scatola nera dell’aereo caduto PARIGI, 3. La seconda scatola nera dell’aereo della compagnia Germanwings, che il copilota, Andreas Lubitz, ha fatto deliberatamente precipitare il 24 marzo scorso sulle Alpi francesi, è stata ritrovata ieri scavando in un burrone. Il suo stato «lascia ragionevolmente sperare in una possibilità di utilizzo», ha detto alla stampa il procuratore di Marsiglia, Brice Robin. L’analisi dei dati permetterà di conoscere la velocità, l’altitudine, il regime del motore e l’azione del pilota durante gli ultimi minuti del tragico volo. Carri armati dei ribelli separatisti filorussi nei dintorni di Donetsk (Ansa) Preoccupazioni dell’Onu per la deriva autoritaria thailandese Dopo i tragici episodi a Istanbul Allerta sicurezza ANKARA, 3. Resta alta la tensione in Turchia colpita in settimana da una serie di attentati, a due mesi dalle cruciali elezioni politiche di giugno. Il comando nazionale della polizia ha diramato ieri pomeriggio un’allerta per possibili nuovi attentati sulla base di rapporti dell’intelligence. A tutti gli agenti assegnati ai posti di controllo sulle strade è stato ordinato di indossare sempre i giubbotti antiproiettili. Si temono soprattutto altri attacchi del gruppo di sinistra Dhkp-C, responsabile del sequestro martedì a GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Istanbul del giudice Mehmet Selim Kiraz, finito in un bagno di sangue con l’intervento delle teste di cuoio turche. La polizia ha inoltre stabilito che la giovane uccisa mercoledì pomeriggio mentre attaccava la questura di Istanbul, armata e con una cintura esplosiva, ha agito da sola. È quanto rende noto l’agenzia turca Anadolu. Nel Paese proseguono le retate negli ambienti di estrema sinistra. Almeno altri venti presunti simpatizzanti del Dhkp-C sono finiti in Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va l’acquisto di gas russo per i prossimi tre mesi a un prezzo di 248 dollari per mille metri cubi. Lo ha riferito il ministero dell’Energia di Kiev. Il prezzo pattuito rappresenta uno sconto sui 329 dollari per ogni mille metri cubi di gas pagati nel primo trimestre di quest’anno nell’ambito del cosiddetto pacchetto invernale. Intanto, proseguono i negoziati tra Mosca e Kiev per trovare un accordo duraturo sul prezzo del gas, al di là dell’intesa attuale che riguarda solo il secondo trimestre di quest’anno. Il cosiddetto pacchetto invernale che prevedeva uno sconto di 100 dollari per ogni mille metri cubi rispetto ai prezzi pagati dai clienti europei di Gazprom è scaduto martedì a va rimpiazzato. manette ieri a Istanbul e Karabuk. Nella megalopoli del Bosforo, in un blitz con blindati ed elicotteri, l’antiterrorismo ha posto in stato d’assedio praticamente un quartiere intero, quello di Okmeydani. Altre trentadue persone erano state arrestate mercoledì a Eskisehir, Smirne e Antalya. La tensione rimane dunque molto alta. Il premier Ahmet Davutoğlu e il presidente Recep Tayyip Erdoğan, nei loro interventi successivi ai fatti di sangue, hanno promesso pugno di ferro contro il terrorismo. Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale BANGKOK, 3. Attraverso un comunicato ufficiale, l’Onu ha espresso preoccupazione per la deriva autoritaria in Thailandia. Dopo la revoca delle legge marziale e la richiesta da parte della giunta militare (al potere dal 22 maggio scorso nel Paese asiatico) di utilizzare l’articolo 44 della Costituzione provvisoria, l’Alto commissario dell’Onu per i Diritti umani, Zeid Ra’ad al Hussein, si è detto «preoccupato per la decisione di sostituire la legge marziale con qualcosa di ancora più drastico». Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 L’articolo 44 della Costituzione provvisoria dettata dai generali, infatti, consente pieni poteri al primo ministro senza alcuna possibilità di controllo o limitazione da parte degli organi legislativi, esecutivi e giudiziari, e la supremazia dei militari su ogni istituzione o individuo civile. «Questo — ha precisato al Hussein — apre le porte a una serie di violazioni dei diritti umani fondamentali. Chiedo al Governo di assicurare che questi poteri straordinari non siano utilizzati in modo imprudente». Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO sabato 4 aprile 2015 pagina 3 Un’abitazione distrutta dai bombardamenti a San’a (Epa) Vinto il ricorso dei palestinesi cristiani della valle Il muro israeliano non passerà a Cremisan TEL AVIV, 3. Dopo nove anni di battaglie legali, l’Alta corte di giustizia israeliana ha pronunciato ieri la sua sentenza sul caso della valle di Cremisan, accogliendo il ricorso degli abitanti del villaggio palestinese di Beit Jala che si opponevano al tracciato previsto per la barriera di sicurezza israeliana nella vallata. Il muro non sarà dunque costruito dove lo aveva previsto l’esercito. Dal 2006, gli abitanti della vallata — e in particolare 58 famiglie cristiane che rischiavano di vedersi private dei loro terreni agricoli, dai quali il muro le avrebbe separate — lottavano in sede giudiziaria contro le deliberazioni dei militari. Al ricorso aveva aderito alcuni mesi fa anche l’Associazione Saint Yves, per iniziativa del patriarcato di Gerusalemme dei Latini a tutela delle suore salesiane che a Cremisan gestiscono una scuola dove si rischiava di non poter più accogliere i quattrocento allievi. Proprio nel resoconto dei legali della Saint Yves, reso noto ieri dal patriarcato, si legge che i tre giudici La strategia dell’Is Attentati in Iraq e attacchi armati in Siria BAGHDAD, 3. Il cosiddetto Stato islamico (Is) risponde ancora una volta con attacchi terroristici alle sconfitte militari subite sui fronti iracheni, mentre in Siria tenta una nuova offensiva alle porte di Damasco. A Baghdad undici persone sono morte ieri in due distinti attentati. Fonti della polizia hanno riferito che un’autobomba è esplosa vicino a una fermata dell’autobus e a un mercato nell’area di Bab Al Muadam, provocando otto vittime, tra cui due donne. Poco prima altri tre civili erano rimasti uccisi in un’altra esplosione avvenuta vicino a un piccolo ristorante in un quartiere sciita. L’incubo del terrorismo continua dunque ad attanagliare la popolazione di Baghdad, nonostante si sia registrata una relativa diminuzione degli attentati nei primi mesi del 2015, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, quando la città era scossa praticamente ogni giorno da almeno un’autobomba. Tra l’altro, a febbraio nella capitale irachena è stato revocato il coprifuoco in vigore per anni. A metà marzo, inoltre, i servizi segreti iracheni hanno annunciato l’arresto di 31 presunti appartenenti di una cellula dell’Is accusati di aver perpetrato 52 attentati a Baghdad nel 2014 e all’inizio del 2015. In Siria, intanto, l’Is ha tentato un nuovo attacco a Yarmouk, il quartiere periferico di D amasco da tempo diventato di fatto un campo profughi palestinese. Qui, allo scoppio del conflitto, le diverse fazioni palestinesi si erano divise tra sostenitori e avversari del presidente Bashar Al Assad, mentre i gruppi ribelli siriani vi si insediavano a loro volta. I miliziani dell’Is, che si erano ritirati dopo l’incursione compiuta mercoledì, hanno di nuovo ingaggiato scontri ieri contro i palestinesi di Aknaf Bayt Al Maqde, una fazione alleata del gruppo islamista Fronte Al Nusra e avversaria del Governo siriano. A Yarmouk, da tempo cinta d’assedio dalle forze governative, i miliziani dell’Is sarebbero entrati dal vicino quartiere di Hajar Aswad, dove avevano organizzato da mesi proprie basi, secondo quanto sostenuto dai palestinesi del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, un’organizzazione vicina invece all’Autorità palestinese e sostenuta dal Governo di Damasco. dell’Alta corte hanno giudicato il progetto «dannoso per la popolazione locale e per i monasteri della valle». A Cremisan, oltre a quella delle salesiane, c’è anche una casa di salesiani. Sull’eventuale nuovo tracciato della barriera non ci sono certezze. L’Alta corte, infatti, ha respinto anche una nuova proposta dal ministero della Difesa israeliano, che è stato invitato a emendarla, e un percorso alternativo suggerito dai ricorrenti, giudicato non appropriato a garantire un sufficiente livello di sicurezza. «Siamo tutti contenti. Hanno vinto tutti, anche Israele, che ha saputo mostrarsi sensibile verso la popolazione locale e i suoi diritti, oltre che verso la causa della pace. È una vittoria della giustizia israeliana che ha avuto il coraggio di prendere una simile decisione» ha dichiarato il patriarca di Gerusalemme dei Latini, Fouad Twal, che ieri pomeriggio, dopo l’annuncio della sentenza, ha tenuto una conferenza stampa tra gli ulivi della valle di Cremisan, nello stesso luogo dove da anni, ogni venerdì è stata celebrata una Messa. Il patriarca ha sottolineato inoltre come per questa causa sia stato importante il sostegno di numerosi esponenti della società civile israeliana, oltre che da alcuni rappresentanti dell’ebraismo. Senza tralasciare il contributo di molte organizzazioni internazionali. Alla conferenza stampa nella valle di Cremisan sono intervenuti anche i legali che hanno sostenuto il ricorso. Il loro intento dichiarato è che il futuro tracciato del muro coincida con la linea verde (segnata sulle mappe con l’armistizio araboisraeliano del 1949) oppure si snodi sul suolo israeliano e non palestinese. In caso contrario sono pronti a ricorrere di nuovo in tribunale. Dopo l’attentato a Tunisi Sgominate due cellule terroristiche L’Onu denuncia oltre 500 morti e 1700 feriti in due settimane di conflitto Yemen insanguinato SAN’A, 3. Nelle ultime due settimane in Yemen sono rimaste uccise 519 persone e 1.700 sono rimaste ferite. Tra le vittime molti civili e 90 bambini. Decine di migliaia gli sfollati e i rifugiati nei Paesi vicini. Lo ha denunciato oggi Valerie Amos, la responsabile Onu per gli Affari Umanitari, riportando dati forniti da organizzazioni umanitarie in diverse zone del Paese arabo. Il 25 marzo scorso la coalizione sunnita guidata dall’Arabia Saudita ha avviato le operazioni militari in Yemen per fermare l’avanzata dei ribelli sciiti huthi nel sud del Paese. Amos esprime preoccupazione «per i civili intrappolati nel mezzo di violenti combattimenti». La responsabile Onu per gli Affari Umanitari chiede «a tutte le parti» di «fare il possibile per proteggere donne, bambini e uomini che soffrono per le conseguenze del conflitto» e ricorda che prima «della recente escalation di violenze, milioni di yemeniti erano già in condizioni estremamente vulnerabili». Intanto, il portavoce dell’operazione «Tempesta conclusiva», il maggiore dell’esercito saudita Ahmed Asiri, ha annunciato oggi che «i ribelli sciiti huthi non sono riusciti a occupare i palazzi del potere di Aden», nel sud dello Yemen. Parlando alla stampa, l’ufficiale ha affermato che gli sciiti «hanno tentato di issare la loro bandiera sui palazzi del centro di Aden ma non sono riusciti a fare altro che prendere il controllo di uno o Nove soldati e dieci civili uccisi dai miliziani jihadisti nigeriani Non si ferma la violenza di Boko Haram due quartieri della città». Già ieri sera il portavoce della coalizione internazionale il generale saudita Ahmed Asseri, aveva smentito le notizie circolate sui media in merito alla conquista del palazzo presidenziale di Aden. In una conferenza stampa, il generale aveva affermato che ad Aden la situazione è «stabile» e che la coalizione si sta coordinando con gruppi armati locali per respingere gli huthi. Sarà invece fermato ogni tentativo di portare aiuto agli sciiti, ha garantito il portavoce, assicurando che i raid della coalizione hanno la priorità di «distruggere le infrastrutture e di impedire progressi da parte degli huthi». Infine il generale ha dichiarato che «diversi tentativi di superare in modo non autorizzato il confine saudita con lo Yemen sono stati fermati». In precedenza era arrivata la notizia di scontri tra soldati sauditi e huthi lungo il confine. Nel frattempo, l’aviazione americana rifornirà in volo gli aerei militari sauditi impegnati nell’offensiva nello Yemen. Il comando militare americano nella regione del Golfo persico ha dato il via libera all’operazione, che si svolge fuori dallo spazio aereo yemenita. I voli di rifornimento saranno risarciti da Riad a Washington, che sta già fornendo al regno informazioni di intelligence provenienti dai satelliti riguardo agli spostamenti delle unità ribelli lungo il confine con l’Arabia Saudita. Si riaccendono gli scontri nel Sud Sudan JUBA, 3. Torna a crescere la tensione in Sud Sudan, dove si riaccendono gli scontri tra le forze fedeli al presidente Salva Kiir Mayardit e i ribelli guidati dal suo ex vice Rijek Machar. In particolare, la situazione appare critica a Malakal, la capitale dello Stato dell’Alto Nilo, uno di quelli più insanguinati dal conflitto civile esploso a metà dicembre del 2013. A esasperare le tensioni nell’area ha contribuito l’uccisione in un agguato del generale Bwogo Olieu, comandante di una milizia alleata all’esercito fedele al presidente e di dodici suoi commilitoni. Nel ricostruire la vicenda, il quotidiano «Sudan Tribune», ipotizza non tanto una responsabilità dei ribelli, quanto una spaccatura nelle forze filogovernative. Secondo il giornale, infatti, a tendere l’agguato a Bwogo Olieu e ai suoi uomini sarebbero stati militari di etnia dinka, gruppo maggioritario in Sud Sudan, al quale appartiene Salva Kiir Mayardit. Olieu era il vice di Johnson Olony, comandante in capo di una milizia composta invece per lo più da combattenti di etnia shilluk. Nel conflitto sud sudanese, le componenti etniche hanno assunto fin dall’inizio un ruolo rilevante. TUNISI, 3. Il ministero dell’Interno tunisino ha annunciato oggi in una nota di aver catturato i membri di due cellule terroristiche. Le persone fermate sono state in contatto con i tre terroristi che hanno preso parte all’assalto e alla strage avvenuta il 18 marzo scorso al museo del Bardo di Tunisi, in cui ci furono 23 morti. I terroristi fermati avrebbero offerto supporto logistico e dato armi a chi ha eseguito l’attentato. Altri fondamentalisti hanno invece compiuto attentati contro le sedi della sicurezza. Le persone fermate nell’ambito di questo blitz sono 21, cinque dei quali avrebbero legami diretti con una serie di attentati avvenuti nel Paese. Sono invece 46 in tutto le persone finora fermate nell’ambito delle indagini sull’attentato al Bardo. Secondo le autorità tunisine, la mente dell’azione terroristica fu l’algerino Lokmane Abou Sakh, leader della Brigata Okba ibn Nafaa, legata ad Al Qaeda nel maghreb islamico (Aqmi). Lokmane Abou Sakh è stato ucciso dalle forze di sicurezza tunisine sabato scorso nel corso di un’operazione antiterrorismo che ha portato alla cattura di altri nove estremisti. Nuovi combattimenti nelle città libiche TRIPOLI, 3. Sono ripresi i raid aerei dei caccia libici, fedeli al generale Khalifa Haftar che hanno preso di mira questa volta la città di Zawara. Secondo quanto riferisce l’emittente televisiva Al Jazeera, i caccia hanno colpito ieri sera l’aeroporto locale provocando però solo danni materiali. A Tripoli, invece, una milizia armata ha attaccato la sede della polizia provocando la morte di un agente e il ferimento di altri tre. Nei giorni scorsi i raid aerei avevano colpito anche la città di Zintan. Il premier libico del Parlamento di Tobruk, internazionalmente riconosciuto, Abdullah Al Thani, ha affermato ieri che la soluzione all’attuale crisi deve essere duplice: da un lato il dialogo politico per creare un Governo di unità nazionale, dall’altro la continuazione di operazioni militari per sconfiggere i gruppi terroristi. Al Thani ha poi auspicato che Russia e Cina riescano a convincere il Consiglio di sicurezza a revocare l’embargo sulle armi, al fine di creare un nuovo esercito regolare equipaggiato per combattere il terrorismo Dispiegati altri millecinquecento caschi blu nel nord del Mali L’Onu rafforza la Minusma Profughi in fuga da Boko Haram (Afp) ABUJA, 3. Nove soldati ciadiani sono morti ieri in un’imboscata dei miliziani del gruppo fondamentalista di Boko Haram nel nord-est della Nigeria. I militari impegnati nelle operazioni contro il gruppo jihadista sono stati attaccati a una decina di chilometri da Malam Fatori, strategica cittadina dello Stato federato nigeriano di Borno, riconquistata martedì dalle truppe regolari del Ciad e del Niger dopo intensi combattimenti, che hanno provocato la morte di oltre cento terroristi. Malam Fatori è uno snodo di importanza cruciale situato in riva al lago Ciad, a ridosso dei confini fra i tre Paesi che veniva utilizzato dal gruppo jihadista come testa di ponte per le proprie scorrerie nell’intera area. Sempre ieri, altre dieci persone sono morte per un’esplosione nei pressi di una stazione degli autobus nella città nigeriana di Gombe, capitale dell’omonimo Stato nel nordest. I feriti sono almeno quindici, alcuni molto gravi ha dichiarato Muhammad Garkuwa, leader del sindacato degli autisti di autobus. L’esplosivo sarebbe stato posizionato da una donna accanto a un bus in partenza per Jos. BAMAKO, 3. La Minusma, la missione dell’Onu nel nord del Mali, sarà rinforzata da millecinquecento caschi blu inviati da Guinea e Burkina Faso, che saranno dispiegati tra aprile e giugno. Alla fine di febbraio la Minusma contava 9.983 uomini sul terreno, rispetto a un tetto massimo previsto dal Consiglio di sicurezza dell’Onu di 12.640. I nuovi reparti saranno di stanza a Timbuctu e dovranno fornire sostegno agli elicotteri d’attacco già presenti a Gao. La Minusma intende inoltre acquistare tre droni per la sorveglianza a lungo raggio, che potrebbero diventare operativi già dal mese di giugno. La decisione di rafforzare la Minusma è stata presa poche ore prima della diffusione di un rapporto dell’Onu che attribuisce a suoi caschi blu la responsabilità dell’ucci- Caschi blu della Minusma sione di tre manifestanti e del ferimento di altri quattro lo scorso 27 gennaio a Gao. In un comunicato dell’Onu si afferma che il segretario generale, Ban Ki-moon, «condanna la violazione delle direttive sull’uso della forza e s’impegna a vigilare perché le persone implicate siano considerate pienamente responsabili delle loro azioni». La scelta di rafforzare la Minusma conferma come l’Onu tema un aumento dell’instabilità nell’area. E questo a causa del rifiuto da parte del coordinamento dei movimenti dell’Azawad, composti in prevalenza da tuareg, di firmare l’accordo raggiunto ad Algeri tra il Governo di Bamako e altre formazioni politiche, e anche a causa delle violenze compiute da gruppi islamisti e da milizie filogovernative. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 sabato 4 aprile 2015 Tintoretto, «L’ultima cena» (1592-1594) Elogio del silenzio Il mendicante e il dono di JOSÉ TOLENTINO MEND ONÇA quanto sembra, per anni John Cage studiò la possibilità di elaborare un’opera totalmente priva di suono, ma due cose glielo impedirono: il dubbio che una tale impresa potesse essere destinata al fiasco immediato, giacché tutto è suono, e la certezza che una composizione del genere risultasse incomprensibile nell’ambito dello spazio mentale della cultura dell’occidente. Tuttavia, incoraggiato dalle esperienze che si andavano già realizzando nelle arti visive, costruì il suo pezzo intitolato 4’33’’. La proposta di John Cage era assolutamente anomala: gli orchestrali dovevano salire sul palcoscenico, salutare il pubblico, sedersi ognuno al suo strumento e restare lì, in silenzio, quattro minuti e trentatré secondi. Dopodiché dovevano alzarsi, ringraziare la platea e andarsene. La protesta del pubblico fu generale e venne giù una pioggia di fischi. Ma per tutto il resto della vita, John Cage continuò a parlare di questo suo pezzo con sentita considerazione: «Il mio pezzo più importante è quel pezzo silenzioso; non passa giorno senza che me ne serva per tutto quello che faccio. Lo ristudio immancabilmente ogni volta che devo scrivere un pezzo nuovo». Quando penso al contributo che l’esperienza religiosa potrà dare in un prossimo futuro all’umanità, penso francamente che, più che la parola, sarà la condivisione di quel patrimonio immenso che è il silenzio. Già il racconto biblico di Babele mette a nudo i limiti dell’impulso totalitario della parola. Con la parola facciamo l’esperienza della differenziazione, esperienza certamente fondante, ma anch’essa parziale. Abbiamo bisogno di un’altra scienza alla quale ricorriamo di rado: il silenzio. Isacco di Ninive, verso la fine del VII secolo, sentenziava: «La parola è l’organo del mondo presente: il silenzio è il mistero del mondo che sta per arrivare». Credo che sia assolutamente urgente rivisitare, secondo una valutazione diversa, i territori dei nostri silenzi e farne luoghi di scambio, di dialoghi, di incontri. Il silenzio è uno strumento di costruzione di pace. Le nostre società investono tanto nella costruzione di A Oltre Babele Pubblichiamo stralci dal contributo del sacerdote e poeta portoghese tratto da «La Rivista del Clero Italiano» (gennaio 2015) competenze nel campo della parola e tanto poco nelle competenze che operano nel silenzio. Siamo analfabeti del silenzio ed è questo uno dei motivi per cui non sappiamo vivere nella pace. Nella diversità delle tradizioni religiose e spirituali dell’umanità, il silenzio è un trait d’union più frequente di quanto s’immagini e più fecondo di quanto si ritenga. Si tratta in realtà di una grammatica comune. Nella tradizione musulmana, per esempio, il centesimo Nome di Dio è il nome impronunciabile che non si può invocare se non in silenzio. I mistici di tutte le geografie non si sono mai stancati di esplorare questo spazio. Si veda il persiano Rumi (1207-1247) che erudisce il suo discepolo: «A colui che conosce Dio mancano le parole». In un’altra latitudine abbiamo la nota spirituale di Lao-Tse, «il suono più forte è quello silenzioso» o quella di Basho, «Silenzio / una rana s’immerge /dentro di sé», o quella di Eleazar Rokéah di Worms, cabalista ebreo, che afferma: «Dio è silenzio». Anche la Bibbia valuta minuziosamente il silenzio di Dio, come attesta il dittico che ci offre il Libro delle Lamentazioni: «E bene aspettare in silenzio la salvezza di D io». Il silenzio ha tutto per diventare un sapere condiviso quanto all’essenziale, quanto a ciò che ci unisce, quanto a ciò che può, per ciascuno di noi come individuo e per tutti come comunità, gettare le fondamenta dei modi possibili per reinventarci. Ma per questo abbiamo bisogno di un’iniziazione al silenzio, che equivale a dire un’iniziazione all’arte di ascoltare. Nella società della comunicazione c’è un deficit di ascolto. In una cultura della valanga di parole come la nostra, un vero ascolto si può configurare solo come una risignificazione del silenzio, un arretramento critico di fronte al delirio di parole e messaggi. L’arte dell’ascolto, perciò, è un esercizio di resistenza. Stabilisce una discontinuità rispetto al reale apparente, alla successione oziosa del discorso. L’ascolto costituisce una cesura, una pratica d’attenzione. Permettetemi d’inserire qui una storia presa dal quotidiano. Chi frequenta le università ecclesiastiche di Roma conosce un mendicante che Ultima cena ed equità Per la redenzione dell’umanità di ABRAHAM SKORKA econdo il rituale della Pasqua ebraica, nelle prime due sere della festività nella diaspora, e solo nella prima in Israele, si deve celebrare una cena speciale regolata da diversi passi dal grande contenuto simbolico. Il suo primo obiettivo è di ricreare l’ultima cena degli avi in terra d’Egitto, più di 3300 anni fa, prima della loro uscita verso la libertà, per narrarne eloquentemente la storia ai propri figli. Il Pentateuco indica in quattro punti il significato pedagogico, di trasmissione, che tale cena deve S Non basta aiutare chi è fuori dal sistema Tutti devono stare dentro come fratelli sotto lo stesso tetto Dosso Dossi, «Giove pittore di farfalle, Mercurio e la Virtù» (1523-1524, particolare) gira per tutto il centro storico. Un uomo che avrà oggi una sessantina d’anni, con un aspetto discreto, direi quasi fine. Avvicina i passanti con due domande. Attacca con: «Parla italiano?» e quale che sia la risposta, passa alla mossa seguente. Prende con molta cura una moneta tra due dita e te la mette vicino agli occhi domandando: «Ha 100 lire?». Quando l’ho conosciuto le cose andavano così. Tempo dopo, con l’introduzione dell’euro, è passato a chiedere 10 centesimi. La prima volta che t’interpella con quella richiesta, pensi che si tratti della differenza di cui ha bisogno per arrivare all’importo di un biglietto della metropolitana o di un pezzo di pizza. Ti può capitare d’incontrarlo cento volte eppure rimani sempre lì, senza sapere cosa pensare. Ma un giorno ho assistito a una scena che forse spiega una parte dell’enigma. In una strada nei pressi del Pantheon sta seduto un altro mendicante. Prostrato, sarebbe meglio dire “vestito di stracci', un braccio deformato da tumefazioni, un’aria che è l’immagine di tutto: dolore ed esclusione. Da distante, vedo il protagonista della nostra storia avvicinarsi a lui. E percepisco, con stupore, che ripete al mendicante la cantilena che rivolge a tutti gli altri, mostrandogli insistentemente una moneta. Forse per allontanarlo, forse vinto dalla compassione, vedo il mendicante prendere dal suo piattino una moneta e consegnargliela. E a questo punto la scena si fa indimenticabile. L’uomo s'inginocchia, lì, davanti a tutti, afferra le mani del mendicante e, in preda a una grande emozione, le bacia ripetutamente. Non chiedeva soldi. Chiedeva un bene più raro e vitale: chiedeva il dono. Se non ci fermiamo ad ascoltare quello che chiediamo in silenzio, non ci troveremo mai. avere (Esodo, 10, 2; 12, 26-27; 13, 8; 13, 14), sottolineando l’importanza di questa lezione che i genitori devono offrire ai figli. Spiegare che cos’è la libertà appare a prima vista come esporre un tema evidente e facilmente comprensibile, ma in realtà si tratta di una delle materie più complesse e cruciali nella storia umana. Al termine della seconda guerra mondiale — quando si cercava affannosamente un’ipotesi per capire com’era potuto accadere che il popolo tedesco, artefice nei primi decenni del XX secolo dei progressi più significativi nel campo delle scienze e delle arti, avesse potuto cedere dinanzi al fascino di un demente — Erich Fromm scrisse il suo famoso Paura della Libertà. Era la stessa ricerca che intraprese Hannah Arendt e che plasmò nel suo noto libro Le origini del totalitarismo. Il significato profondo dell’essere liberi non si rivelò così elementare e semplice come lo era stato in un passato lontano. L’attuale realtà mondiale dimostra chiaramente quanto l’umanità sia lungi dall’avere acquisito una comprensione profonda di questo concetto. Le società che continuano a idolatrare idee o individui, vedendo in essi la fonte redentrice per tutte le loro mancanze, e gli individui che, pur avendo acquisito vaste conoscenze in diverse discipline, vendono la propria dignità per denaro o per una posizione sociale, sono meri esempi di una carenza spirituale di cui la Bibbia ci avverte drammaticamente e che ci esorta a superare. L’agire impulsivamente, senza alcuna analisi critica, e l’inebriarsi soddisfacendo gli istinti più bassi senza essere consapevoli del limite, sono manifestazioni di una realtà in cui dominatori e dominati rendono omaggio alle divinità che riempiono tristemente il tempio idolatrico eretto nella realtà postmoderna attuale, così ricca di sorprendenti progressi tecnologici e ridondante del paganesimo più abietto. Una delle frasi che si ripete nel racconto biblico è che Dio deve giudicare non solo il faraone, despota schiavista, ma anche le sue divinità, nelle quali ripone la sua fede e attraverso le quali giustifica il suo potere e agisce (Esodo, 12, 12; Numeri 33, 4). La storia non è stata ancora superata. La Bibbia non solo enuncia concetti e norme generiche con cui organizzare una società fondata sulla giustizia, condizione necessaria per garantire la libertà dei suoi membri, ma spiega anche la loro quintessenza. Nel capitolo 25 del Levitico si elenca una serie di norme per garantire la giustizia sociale. Ogni famiglia deve avere un terreno inalienabile, di sua proprietà. Se i suoi membri non potranno lavorarlo per ottenerne frutti, lo potranno affittare. La terra sarà lavorata per sei anni e il settimo riposerà. Dopo sette cicli, riposerà anche nell’anno quinquagesimo, chiamato giubileo. In quell’anno scadranno tutti gli affitti e i terreni torneranno ai loro proprietari. I latifondi e la miseria che generano sono limitati da questa norma, rudimento di quello che fu conosciuto nel XX secolo come “riforma agraria”. L’aiuto al prossimo perché possa vivere con dignità viene descritto dettagliatamente in questo capitolo che si conclude con il versetto: «Poiché i figliuoli d’Israele son servi miei; sono miei servi, che ho tratto dal paese d’Egitto. Io sono l’Eterno, l’Iddio vostro» (Torah, Levitico, 25, 55). Solo l’uomo libero può servire Dio e questa condizione si può raggiungere attraverso la giustizia sociale e l’equità. Ma come definire esistenzialmente l’equità sociale? Al di là delle norme e dei tecnicismi legali, che cos’è l’equità sociale che garantisce la libertà piena dei membri di una società, è regolata da un sistema giuridico e si considera liberamente organizzata? La risposta si trova nel versetto 36 del suddetto capitolo: «E viva il tuo fratello presso di te». Non basta offrire doni, né alleviare umilmente la fame. Si devono garantire condizioni minime di educazione, cultura, alimentazione, salute e tutto il necessario per un’esistenza dignitosa, affinché i membri della società si ritrovino affratellati nelle loro condizioni di vita. Non basta aiutare quelli che stanno “fuori dal sistema”; tutti devono stare dentro il sistema, come fratelli che condividono armoniosamente la propria vita sotto uno stesso tetto. Solo allora il messaggio delle gesta d’Egitto acquista il suo significato ultimo. Parlare di redenzione vuol dire riferirsi alla realizzazione di questo progetto di vita. Perciò la liturgia ebraica insegna che si deve ricordare la storia dell’uscita dall’Egitto ogni giorno e ogni sera della vita. L’ultima cena narrata nei testi dei Vangeli è quella con cui Gesù e i suoi discepoli celebrarono la Pasqua a Gerusalemme, una delle tre festività del pellegrinaggio alla città e al Tempio che si trovava al suo centro. In quella cena rituale — in cui, a quel tempo come nel presente, i loro fratelli ebrei mangiano solo pane azzimo, il pane della povertà — fu istituita l’Eucaristia. Il tema che considerarono continua a essere lo stesso: la redenzione dell’individuo e dell’umanità. Come creare un realtà in cui la dignità umana si manifesti sulla faccia della terra nella sua massima espressione affinché la presenza del Creatore Il commento Pubblichiamo in una nostra traduzione l’articolo del rabbino della comunità Benei Tikva e rettore del Seminario rabbinico latinoamericano Marshall T. Meyer uscito il 3 aprile sul quotidiano «La Nación». sia più manifesta agli occhi e ai cuori di molti? È stata, è e continuerà a essere la domanda che ogni generazione si dovrà porre. D’altronde, dovrebbe essere la domanda fondamentale nel dialogo tra ebrei e cristiani, soprattutto nel ricordare la storia di questa festività che entrambi indicano con lo stesso vocabolo, poiché Pasqua è una deformazione dell’aramaico Pasja, che deriva dell’ebraico Pesaj. Sebbene da allora in poi i cammini dei cristiani e degli ebrei hanno cominciato a divergere, guardandosi gli uni gli altri nel corso dei secoli, entrambi hanno ricordato la loro origine comune e l’essenza della sfida fondamentale che li avvicina. Antiche lezioni comuni sono tornate in mente, insieme al loro sempiterno messaggio e a una rinnovata speranza. In Puglia sulle note dello Stabat Mater Illuminata dalle fracchie di MATTEO CO CO Stabat mater dolorosa / iuxta crucem lacrimosa / dum pendebat filius. La lunga sequenza attribuita a Jacopone risuona la mattina del Venerdì Santo quando all’alba la Vergine Addolorata esce alla ricerca del Figlio morto per visitare gli altari della reposizione freschi e odorosi di fiori di mandorlo, simbolo della Risurrezione, o di grano appena spuntato. Se sono tante le processioni che il canto accompagna in tutta l’Europa cristiana, particolarmente suggestiva è la lunga teoria processionale che inizia la mattina, ben presto, a San Marco in Lamis in Capitanata (Puglia) dove una fiumana di gente, soprattutto uomini, accompagna la Madre Addolorata in visita alle sette chiese cittadine. Ed è commovente ascoltare le voci baritonali dei confratelli in alternanza con quelle — di certo più delicate e gentili, sottili — delle donne vestite di nero, con rigoroso lutto, che precedono la settecentesca statua della Vergine in pianto, anch’ella ammantata di nero, dolente per la scomparsa del Figlio. Rivive così, in questo giorno, l’anima popolare e la devozione si fa ancora più ricolma di pathos quando il canto — amatissimo dai fedeli non meno che da intere generazioni di musicisti colti, da Pergolesi a Rossini — risuona dopo il tramonto e la statua della Vergine Addolorata, opera del Valentini, ritorna a uscire per le trade della cittadina garganica illuminata dalle “frac- chie”: grosse torce a forma di cono pieno zeppo di legna buona da ardere, trainate su carrelli dai giovani del paese che le hanno costruite. Un tempo fatte a devozione dei carbonai e dei boscaioli della zona, le fracchie — che arrivano a bruciare anche un centinaio di quintali di legna — alzano al cielo le loro fiamme per purificare l’animo dei tanti, provenienti da ogni parte del mondo, che si assiepano lungo il tragitto, per illuminare il passaggio dell’Addolorata e mandare al cielo le preghiere, le speranze, il pianto di ognuno che assiste alla sacra rappresentazione. Il popolo si immedesima, quindi, in quel dolore e si rivolge alla Perdolente, corredentrice, sotto la croce, del genere umano, continuando a cantare: Eia, Mater, fons amòris, flammis urar ne succénsus, per te, Virgo, sim defénsus in die iudícii. Fac me cruce custodíri morte Christi praemuníri, confovéri grátia (Oh, Madre, fonte d’amore, che io non sia bruciato dalle fiamme, che io sia, o Vergine, da te difeso nel giorno del giudizio. Fa’ che io sia protetto dalla Croce, che io sia fortificato dalla morte di Cristo, consolato dalla grazia). L’OSSERVATORE ROMANO sabato 4 aprile 2015 pagina 5 Tintoretto, «Crocifissione» (1565) L’agonia di Gesù sul Golgota e il mistero dell’ora meridiana Via crucis Quel furto al salmo 31 Alla scuola del dolore di ROSSANA VIRGILI ora del mezzogiorno è un’ora di incontri a sorpresa nel mondo della Bibbia. Capita di imbattersi con degli angeli a quell’ora (cf Genesi, 18, 1), oppure con degli uomini che parlano come dei profeti (cf Giovanni, 4, 6). L’ora più calda del giorno e l’ora più solitaria, specialmente nei Paesi del Vicino Oriente, quando il sole picchia così forte da indurre i più a restare in casa al fine di evitare degli effetti allucinanti sul cervello, o dei fenomeni di fata morgana. L’ William Congdon, «Crocefisso 64» (1973) Il quadro che appare al lettore alla fine del pellegrinaggio sul luogo del Cranio, alla fine delle operazioni di crocifissione, alla fine di tutte le parole — che fossero di amore o di scherno — alla fine di ogni tentazione, nel grembo primordiale del silenzio e del vuoto, è davvero da visionari: nell’ora della massima luce, la terra tutta si copre di tenebre. Buio su tutta la terra. Un giro alla moviola del mito di creazione. Allora fu dal buio che emerse la luce, qui è il contrario: è la luce che partorisce le tenebre! Un autentico atto di de-creazione che ha il sapore delle cosmologie, del resto già annunciate con la menzione del paradiso. Il sole si nascose dietro la luna, perdendo il suo ordine a illuminare il giorno (cf Genesi, 14-16), creature caddero nel disordine e, quindi, ritornarono a Dio (cf Qoèlet, 12, 7). Tutto durò solo tre ore. Ma furono lunghissime. Le tre ore dell’agonia di un figlio. Come gli anni di male di Giobbe. Che lo costringeva contare i secondi per lunghi, lunghissimi giorni. Per giorni per notti interminabili e senza alcun minimo sostegno. Tre ore senza luce né lampada. Quando per morire basterebbero tre minuti. Tempo di lotta che apre all’«Eccomi» di Gesù. Il tempo per imparare l’arte di Maria, la forte docilità della donna. «Padre, nelle tue mani rendo il mio spirito» (23, 46). Scegliendo tra i versetti del Salterio, il Gesù di Luca rinuncia al più maschile: «Perché mi hai abbandonato?» del Salmo 22 (cf Marco, 15, 34) per un più femminile «mi abbandono» rubato al salmo 31 (cf Luca, 23, 46). Un «mi consegno» di resa, un muliebre e perduto: total surrender. Il rischio di far penetrare l’immenso buio del Cielo nella carne cava e protesa. Fino alla perdita e la consegna agli abissi dell’assenza. Ferita di stelle. Tre ore senza luce né lume. Senza la lampada del tempio. Senza la serena mediazione del culto, la fissità delle funzioni. Il suo velo squarciato e la luce del Santo dei santi che va in frantumi, che rivela il volto nudo e oscuro di Dio. Del Dio “ignoto” (cf Atti, 23) e del Cielo vuoto. Tutto ciò è esperienza interiore. Ciò che si vede in queste tre ore a occhio nudo è lo scempio di volti sfigurati, di membra che cercano di reagire contorcendosi, di polmoni che si arrendono alla troppa fatica che chiede a un crocifisso per respirare. Quello che si vede è la vergogna della politica, religiosa e civile, che ha scartato un cittadino, un uomo, un figlio e l’ha gettato via come un oggetto ripugnante. Quello che si vede è il fallimento della giustizia e la corruzione di coloro che ne sono esperti e garanti. Quello che si vede è l’arbitrio colpevole di uomini — per di più sacerdoti! — che si arrogano un potere che non hanno mai: quello di dare la morte a una creatura umana, foss’anche un criminale. Non è possibile sapere cosa avesse visto il centurione nel modo di morire di Gesù, per definirlo “giusto”, cioè, ancora innocente (v. 47; Marco, 15, 39 = Matteo, 27, 54: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio»); quale rara luce di diritto dovesse illuminare quest’ultimo e unico giudizio giusto fatto su Gesù. Una corte d’appello che invalidava le sentenze corrotte di tutto il primo grado. Gesù moriva semplicemente con un grido (versetto 46: fonè megàle). In esso l’eco del grido del “sangue di Abele” che erompeva, selvaggio, dalla terra a rivendicare la vita (Genesi, 4, 10); di Israele schiavo e ridotto a una larva, in Egitto, che chiedeva di rialzare la testa, di essere liberato (Esodo, 2, 23). Grida che il Cielo ascoltò. Il grido di Gesù fa eco e si include a quello di Elisabetta, quando ricevette la visita di Maria: il bambino nel suo grembo si mosse e la madre «gridò forte» (kraughè megàle, Luca, 1, 42). Un grido di gioia, di corrispondenza, di benedizione che Elisabetta lancia come una sfida alla croce e al grido del Figlio che muore di strazio e di solitudine. Se non ci fosse stato il grido anticipato di Elisabetta a chiamare la vita, forse quello di Gesù sulla croce non mai stato decodificato, e sarebbe restato soltanto un desolato lamento di morte. Sulla via del ritorno le folle ripensavano a ciò che avevano visto (theorésantes). Il monte della croce è materia, ma anche rappresentazione. E su quest’ultima le folle si battono il petto, trovando in essa una via di conversione, una liturgia di pentimento. Ultime a essere citate, mentre i riflettori si spengono sulle sagome dei crocifissi, sono le donne. Esse vedono queste cose (oròsai, versetto 49). Una visione che penetra la realtà della croce. Sono testimoni di quel- Quattro bibliste Pubblichiamo uno stralcio del commento a Luca pubblicato nel libro I Vangeli tradotti e commentati da quattro bibliste (Roma, Àncora Editrice, 2015, pagine 1900, euro 46,75). la. Mentre Maria meditava su ciò che accadeva al bambino (symbàllousa, Luca, 2, 19), esse “vedono” ciò che accade al loro Maestro. La scuola di sequela, iniziata in Galilea (cf versetto 49) era adesso arrivata alla “visione”. Le parole di sapienza, i gesti di misericordia che avevano imparato con la sequela (synakolouthoúsai, versetto 49), vengono rivelati alle donne alla luce della croce. È quanto manca agli apostoli! Luca è il vangelo delle folle, ma non delle masse anonime. Luca distingue e vede in ogni gruppo delle differenze. Non divide il mondo per categorie, ma per persone. Pubblichiamo uno stralcio dall’introduzione al libro «La via della Croce» (Brescia, Morcelliana, 2015, pagine 46, euro 6) dell’arcivescovo di Chieti-Vasto. di BRUNO FORTE a Croce è il luogo in cui Dio parla nel silenzio: quel silenzio della finitudine umana, che è diventata per amore la sua finitudine! II mistero nascosto nelle tenebre del Venerdì Santo è il mistero del dolore di Dio e del suo amore. L’un aspetto esige l’altro: il Dio cristiano soffre perché ama e ama in quanto soffre. Egli è il Dio “compassionato”, il Dio per noi, che si dona fino al punto di uscire totalmente da sé nell’alienazione della morte, per accoglierci pienamente in sé nella donazione della vita. Dio non è impassibile: Egli soffre per amore nostro. Nella morte di croce il Figlio è entrato nella “fine” dell’uomo, nell’abisso della sua povertà, della sua tristezza, della sua solitudine, della sua oscurità. E soltanto lì, bevendo l’amaro calice, ha fatto fino in fondo l’esperienza della nostra condizione umana: alla scuola del dolore è diventato uomo fino alla possibilità estrema. Anche il Padre ha conosciuto il dolore: nell’ora della croce, mentre il Figlio si offriva in incondizionata obbedienza a lui e in infinita so- L Malgrado il califfo La tomba di Cristo, o meglio il sepolcro intercettato, tra il 325 e il 326, da Costantino è oggi conservato sotto la Rotonda del Santo Sepolcro, ma all’interno delle mura di Gerusalemme. Costantino, dunque, liberò dalla roccia circostante la tomba ricavata nell’altura prospiciente il Golgota e la rivestì di marmo, creando un piccolo ambiente prezioso. La ricerca e la monumentalizzazione costantiniana del sepolcro di Gesù sono state trasmesse da Eusebio di Cesarea che, tra il 337 e il 340, descrive i lavori promossi per liberare l’orlo del Golgota dagli edifici pagani del Capitolium, concepito da Adriano che, tra il 130 e il 131, fondò la colonia Aelia Capitolina sulle rovine della città distrutta nel 70. I lavori adrianei, secondo le fonti di parte cristiana, erano finalizzati a obliterare i luoghi della crocifissione e della sepoltura del Cristo, l’intera area era stata ricoperta con una grande quantità di terra e lastricata di pietra, proprio in corrispondenza della “grotta sacra”, cioè del Santo Sepolcro, laddove Adriano eresse un tempio dedicato ad Afrodite (Vita di Costantino III, 26). In verità, i coni monetali di età adrianea, riferibili alla colonia Aelia Capitolina, riproducono un tempio dedicato alla Thyche e le Adamo è morto, è nato il nuovo Adamo, Cristo e l’uomo che, con lui e in lui, vince il peccato e la morte. Dio è morto, ma si è offerto a tutti il mistero del Padre, che, accogliendo l’Abbandonato nell’ora della gloria, accoglie anche noi con lui. Il frutto dell’albero amaro della croce è la gioiosa notizia di Pasqua: il giorno in cui Dio è morto cede il posto al giorno del Dio che vive e di noi, viventi di vita nuova in Lui. Il Consolatore del Crocifisso viene effuso su ogni carne per essere il Consolatore di tutti i crocefissi della storia e per rivelare nell’umiltà e nell’ignominia della croce, di tutte le croci della storia, la presenza corroborante e trasformante del Dio cristiano. La «parola della croce» (1 Corinzi 1, 18) dimostra che è nella povertà, nella debolezza, nel dolore e nella riprovazione del mondo che troveremo Dio: non gli splendori delle perfezioni terrene, ma proprio il loro contrario, la piccolezza e l’ignominia, diventano il luogo della Sua presenza fra noi, il deserto dove Egli parla al nostro cuore. La perfezione del Dio cristiano si manifesta nelle imperfezioni, che per amore nostro egli assume: la finitudine del patire, la lacerazione del morire, la debolezza della povertà, la fatica e l’oscurità del domani sono altrettanti luoghi dove egli mostra il suo amore, perfetto fino alla consumazione totale del dono. salemme (324-333), si distrusse il tempio considerato di Venere e, «contro ogni attesa», si rinvenne la «grotta», che l’imperatore fece adornare di preziosi arredi. Il monumento costantiniano Modellino dell’Edicola dell’Anàstasis, come è noto, del Santo Sepolcro include il luogo della crocedi Gerusalemme fissione e il sito della resurre(Atene, Museo Benaki) zione con un organismo circolare annesso a un ampio edificio di culto, raccordato da portici colonnati e da un atrio. La Rotonda fu visitata da un fiume di pellegrini anonimi o, poi, divenuti celebri, come Egeria. Ma il Santo Sepolcro, come si anticipava, fu obliterato dal califfo Hakim Fatimid indagini archeologiche hanno individuato un nel 1099, che incaricò il governatore di Rarecinto, forse riferibile all’area forense della mla di distruggere la tomba per farne sparire colonia, mentre non è stata rinvenuta nessu- ogni traccia. Il Martýrion costantiniano fu na traccia del terrapieno a cui si riferisce la quindi annullato, eppure il muro esterno testimonianza eusebiana. Eppure, questa ul- dell’Anàstasis si conservò per un’altezza di 9 tima fonte, da affiancare all’Onomasticon del- metri e l’edicola rimase intatta, tanto che i lo stesso Eusebio e al più antico sermone Pe- Crociati, che entrarono nel Santo Sepolcro la rì pàscha di Melitone di Sardi, sembra assi- sera del 15 luglio 1099, potevano ancora amcurare che, rispetto alle fonti evangeliche e mirarla. Furono loro ad abbellirla e a coalla Lettera agli Ebrei, si fece strada l’opinio- struire una stanza completamente chiusa da ne che il sito del Santo Sepolcro e del Gol- ogni lato, definita la cappella dell’Angelo, gota si trovasse all’interno di Aelia Capitoli- per la presenza di un altare che era ritenuto parte della pietra che rotolò dall’accesso delna a nord del monte Sinai. Dopo il concilio di Nicea, nel 325, per ri- la tomba di Cristo e su cui sedette, appunto, chiesta esplicita di Macario, vescovo di Geru- l’angelo che annunciò la resurrezione. La Rotonda del Santo Sepolcro di FABRIZIO BISCONTI lidarietà con i peccatori, anche il Padre ha fatto storia! Egli ha sofferto dell’Innocente consegnato ingiustamente alla morte: e tuttavia ha scelto di offrirlo, perché nell’umiltà e nell’ignominia della croce si rivelasse agli uomini l’amore trinitario di Dio per loro e la possibilità di divenirne partecipi. E lo Spirito, “consegnato” da Gesù morente al Padre, non è stato meno presente nel nascondimento di quell’ora: Spirito dell’estremo silenzio, egli è stato lo spazio divino della lacerazione dolorosa e amante, che si è consumata fra il Signore del cielo e della terra e Colui che si è fatto peccato per noi, in modo che un varco si aprisse nell’abisso e ai poveri si schiudesse la via del Povero. Questa morte in Dio non significa però la morte di Dio che il “folle” di Nietzsche era andato gridando sulle piazze del mondo: non esiste né mai esisterà un tempio dove si possa cantare nella verità il Requiem aeternam Deo! L’amore trinitario che lega l’Abbandonante all’Abbandonato, e in questi al mondo, vincerà la morte, nonostante l’apparente trionfo di questa. La sorprendente identità del Crocifisso e del Risorto mostra quanto sulla croce è rivelato sub contrario e garantisce che quella fine è un nuovo inizio: il calice della passione di Dio si è colmato di una bevanda di vita, che sgorga e zampilla in eterno. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 sabato 4 aprile 2015 Il cardinale Norberto Rivera Carrera denuncia violenza e corruzione Manifestazione di protesta presso l’Indiana State House (Ap) I falsi idoli che feriscono il Messico INDIANAPOLIS, 3. Dialogo e buon senso. È quanto invocano i vescovi cattolici dell’Indiana, a proposito delle polemiche scaturite dal Religious Freedom Restoration Act. La legge, prima approvata dal Congresso e poi rinviata dal governatore per alcuni emendamenti, intende regolare la libertà religiosa nello Stato ma è stata contestata da diverse associazioni a difesa degli omosessuali, che l’hanno giudicata discriminatoria. Anche lo Stato dell’Arkansas ha approvato una legge analoga, nella quale però sono state inserite norme che rispondono alle obiezioni espresse in queste ore in Indiana. Nel documento firmato da cinque presuli, tra cui l’arcivescovo di Indianapolis, Joseph William Tobin, si rileva come la recente approvazione nell’Indiana del Religious Freedom Restoration Act «sembra avere diviso la gente del nostro Stato come pochi altri problemi nel recente passato». I vescovi invitano dunque tutte «le persone di buona volontà a mostrare rispetto reciproco, in modo che il dialogo e il necessario discernimento possano avvenire per garantire che nessuno in Indiana debba affrontare la discriminazione, per l’orientamento sessuale o perché vive una fede religiosa». I presuli tornano pertanto a sottolineare come «la Chiesa cattolica è convinta che ogni essere umano sia creato a immagine di Dio». E, in quanto tale, «ogni persona merita di essere trattata con rispetto e dignità». Ovviamente questo comprende anche il diritto all’accesso a tutto ciò che sia necessario a una vita dignitosa, quali «il lavoro, l’abitazione, l’istruzione e un’adeguata assistenza sanitaria». Allo stesso tempo, viene sottolineata anche l’importanza del «principio della libertà religiosa», in quanto radicato nella stessa dignità della persona umana. Non a caso, viene sottolineato, «la libertà religiosa è uno dei diritti più cari nella Costituzione degli Stati Uniti». In questo senso, «i diritti di una persona non dovrebbero mai essere usati in modo inappropriato al fine di negare i diritti di un altro». Infatti, tutti «siamo chiamati alla giustizia e alla misericordia». CITTÀ DEL MESSICO, 3. La violenza, la corruzione e la sete di potere sono i «falsi idoli» da cui il Messico deve al più presto liberarsi. È quanto ha detto il cardinale arcivescovo della capitale, Norberto Rivera Carrera, nell’omelia della messa del giovedì santo in cui ha chiesto ai fedeli, e in particolare ai sacerdoti, di unirsi in preghiera per rispondere «alle gravi sfide che presenta una società sempre più frammentata e relativista». Il porporato messicano è dunque tornato a denunciare la grave situazione sociale del Paese, in cui vaste aree si trovano a subire la schiavitù del crimine organizzato, derivante da una smisurata ambizione di potere che attecchisce soprattutto in contesti di povertà e di corruzione. L’occasione è stata appunto la celebrazione della messa crismale, nella quale, oltre a benedire gli oli santi, Rivera Carrera ha esortato i sacerdoti a rinnovare l’impegno per l’evangelizzazione del Paese. E ha invocato il Signore perché aiuti i cristiani a comprendere «quanto ancora abbiamo bisogno di essere liberati», faccia aprire gli occhi della coscienza di fronte a quell’estesa porzione del Messico che appare schiava della violenza e del crimine. «Ci sono migliaia di persone — ha detto — che muoiono a seguito della violenza più folle e diabolica, tante famiglie spezzate, tanto disprezzo per la dignità della persona umana. E tutto ciò a causa della smisurata ambizione di ricchezza e di potere, falsi idoli che non danno quello che promettono, ma prendono la vita dei suoi fedeli». Ma c’è una «schiavitù» forse più insidiosa, potente e dannosa delle altre. È la corruzione, che il cardinale Rivera Carrera definisce come la «più scandalosa» tra tutte le malattie che affliggono il Paese. Infatti, in molti «sembrano dimenticare che il denaro che alimenta i loro eccessi è stato rubato ai poveri». Quindi «è un peccato che reclama al cielo» e che «è imperdonabile se il danno non viene riparato, se il denaro non viene restituito al suo scopo che è pubblico», e dunque serve «per alleviare la povertà, le malattie e le esigenze più elementari di migliaia di persone che non I presuli dell’Indiana sulla legge per la libertà religiosa Dialogo dopo le polemiche tore Asa Hutchinson ha invece dato il via libera alla legge, dopo che questa, tenendo conto di quanto stava accadendo in Indiana, è stata modificata, accogliendo così le critiche espresse anche dalla Casa Bianca. I provvedimenti sulla libertà religiosa dell’Arkansas e dell’Indiana sono molto simili e divergono, per molti aspetti, da quello federale che venne approvato nel 1993 dal presidente Bill Clinton, il più illustre politico nato in Arkansas. La legge approvata da Clinton era volta a tutelare i nativi americani che rischiavano di perdere il lavoro per poter seguire le loro cerimonie religiose, mentre quelle dell’Indiana e dell’Arkansas sembrano soprattutto essere orientate a non consentire i matrimoni fra persone dello stesso sesso. Lo scorso anno Jan Brewer, governatore dell’Arizona, era stata costretta a porre il veto su una simile legge sotto la minaccia di un boicottaggio da parte degli organizzatore del Superbowl, la finalissima di football americano. Alla luce di tutto ciò, i presuli ribadiscono come sia «fondamentale» che alla libertà religiosa sia assicurata protezione da parte dello Stato. E citando Papa Francesco ricordano come «nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile» (Evangelii gaudium, n. 183). In conclusione, i vescovi dell’Indiana affermano di volere sostenere «gli sforzi per difendere la dignità che Dio ha dato a tutto il popolo di questo Stato, salvaguardando i diritti delle persone di tutte le fedi a praticare la loro religione senza indebito peso da parte del Governo». Nel frattempo, di fronte alle polemiche e soprattutto all’alzata di scudi di alcune aziende che si sono schierate pubblicamente con i contestatari, il governatore dell’Indiana, Mike Pence, ha corretto il tiro, rigettando la legge così come formulata e rimandandola al Congresso affinché venga corretta. Nell’Arkansas, come già accennato, il governa- Campagna dell’episcopato statunitense Governatorato della Città del Vaticano La missione si gioca in casa Ufficio delle poste e del telegrafo Annullo postale speciale in occasione della Pasqua di Risurrezione (5 aprile 2015) In occasione della Pasqua di Risurrezione, le Poste Vaticane utilizzeranno l’annullo speciale della busta-ricordo dell’omonima festività. Nel bozzetto è raffigurata un’immagine liberamente ispirata al Cristo Pantocratore tratta dal sito internet “Qumran2.net”. Completano l’annullo le scritte «SURREXIT CHRISTUS ALLELUIA» e «POSTE VATICANE • 5 APRILE 2015». Il materiale filatelico da obliterare, debitamente affrancato a cura dei richiedenti, dovrà pervenire al Servizio Obliterazioni delle Poste Vaticane entro il 2 maggio 2015. WASHINGTON, 3. Si terrà il 25 e il 26 aprile la Catholic Home Missions 2015, l’annuale colletta per le missioni interne degli Stati Uniti, ovvero a sostegno della pastorale delle aree considerate di frontiera per le difficili condizioni sociali e ambientali. Realtà dove soprattutto la carenza di clero e di religiosi si scontra con il diffuso bisogno educativo della popolazione. Ad annunciarlo è il sito dell’episcopato statunitense che, pubblicando l’annuale appello, spiega anche il senso dell’iniziativa volta a sostenere l’evangelizzazione, la catechesi, la formazione dei seminaristi e quella dei laici. «Per alcuni può essere sorprendente sentire parlare del grande bisogno di molte delle nostre diocesi qui negli Stati Uniti. Per coloro che non hanno mai fatto esperienza di una diocesi di missione può essere difficile immaginare di non avere a disposizione un sacerdote o materiali di base per insegnare la fede», ha dichiarato il vescovo di Boise City, Peter F. Christensen, presidente della sottocommissione episcopale Catholic Home Missions. Il Catholic missions appeal, promosso fin dal 1998, ogni anno trova un riscontro favorevole. L’anno passato la sottocom- missione — rende noto il sito in rete dell’episcopato — ha approvato per il 2015 lo stanziamento di 9 milioni di dollari in borse di studio. La colletta costituisce la principale fonte di finanziamento dei progetti promossi in favore di circa il 45 per cento delle diocesi statunitensi. Tra i beneficiari, la diocesi di Tucson, in Arizona, che sta utilizzando fondi provenienti dalla colletta Catholic Home Missions per la catechesi ai cattolici di lingua spagnola e per sostenere l’opera di sacerdoti impegnati nella missione tra i 24.000 abitanti di quattro riserve di nativi americani. hanno nemmeno il minimo per vivere dignitosamente». Nelle parole del porporato anche degli spunti di riflessione su altri due argomenti — la famiglia e la persecuzione dei cristiani nelle regioni mediorientali — recentemente al centro delle cronache. Quanto alla famiglia, richiamando la prossima celebrazione in Vaticano, nel mese di ottobre, del sinodo dei vescovi, ha ribadito come si tratti «di un progetto caro a Dio e non di un’istituzione umana che può variare secondo le ideologie». E ha ricordato come «la nostra arcidiocesi ha sempre difeso i valori della famiglia, si è opposta con fermezza al crimine dell’aborto e alle unioni che pretendono di equipararsi al matrimonio, così come ha difeso il diritto dei bambini ad avere un padre e una madre». Però, ha aggiunto, «non basta opporsi», perché la «chiarezza dottrinale deve condurci anche a offrire proposte concrete in cui i nostri fratelli possano trovare il sollievo della comprensione e della misericordia». Infine, come accennato, un pensiero per i cristiani perseguitati, «la cui unica colpa è quella di credere in Gesù e non rinnegarlo». Una testimonianza di fede, ha detto, che ricorda molto quella di tanti cristiani messicani del secolo scorso. L’arcivescovo di Buenos Aires ai sacerdoti Senza egoismi BUENOS AIRES, 3. «Servire incondizionatamente per nutrire, insegnare e amministrare i sacramenti della salvezza alla sua Chiesa, senza interessi meschini, senza calcoli egoistici, senza tenere per noi stessi l’unzione che ci ha dato a piene mani»: è l’esortazione rivolta ai sacerdoti dal cardinale arcivescovo di Buenos Aires, Mario Aurelio Poli, durante la messa crismale celebrata ieri nella cattedrale metropolitana. Il sacerdozio, ha spiegato, è «una passione che si rinnova in ogni eucaristia» ma occorre che l’unzione che anima a servire sia rinnovata, perché «le nostre mani unte con il santo crisma nell’ordinazione sono il segno sacramentale che ci rende capaci di lavorare per il Signore». L’invito del porporato è a comunicare al popolo di Dio «il sollievo e la gioia di essere cristiani. Anche il miglior olio diventa rancido se conservato per troppo tempo; qualcosa di simile accade con il balsamo della gioia se lo lesiniamo o lo nascondiamo, poiché lo abbiamo ricevuto gratuitamente per donarlo con generosità. Non lasciamo che ristagni in noi il santo crisma dell’unzione, che ci è stato dato per rappresentare nelle anime la vita dello Spirito di Dio». Il sacerdozio è «esercizio di mediazione». Nell’omelia il cardinale Poli si è poi soffermato sull’importanza della missione della vita consacrata, ricordando coloro che nel corso dei secoli hanno abbracciato la vita religiosa e tradotto l’amore di Dio in numerose opere di misericordia, spirituali e materiali: «Gran parte della vitalità della Chiesa si deve alla loro costanza e tenacità profetica, specialmente a fianco degli infermi e dei più vulnerabili, dei meno istruiti e degli emarginati, dei poveri e degli esclusi dal sistema sociale, i quali vedono nel consacrato un fratello e una so- rella; in essi scoprono la famiglia della Chiesa». Nei monasteri contemplativi — ha aggiunto — i consacrati «accompagnano con la forza nascosta e vitale del sacrificio e della preghiera ogni iniziativa missionaria. Sono il volto della diakonia della Chiesa che cerca di servire coloro che si incontrano nelle periferie più remote. Abbiamo visto molte volte che prendono il posto del buon samaritano e dedicano tempo per ascoltare, consolare, e anche la loro semplice presenza a fianco di ogni miseria o dramma umano è considerata una benedizione». Sempre ieri, l’arcivescovo di Santa Fe de la Vera Cruz, José María Arancedo, presidente della Conferenza episcopale argentina, ha presentato il suo messaggio pasquale intitolato Palabra-Confianza-Ejemplaridad: tre parole — ha detto — il cui valore si sta perdendo e che invece risultano fondamentali per rafforzare i legami di amicizia sociale. Lutto nell’episcopato Monsignor Alberto Ricardo da Silva, vescovo emerito di Díli, a Timor Est, è morto giovedì 2 aprile a Parigi, in seguito a una grave malattia. Il compianto presule era nato in Aileu, nella diocesi di Díli, il 24 aprile 1943 ed era stato ordinato sacerdote il 15 agosto 1972. Eletto alla sede residenziale vescovile di Díli il 27 febbraio 2004, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 2 maggio. Lo scorso 9 febbraio il Santo Padre aveva rinunciato al governo della diocesi. L’OSSERVATORE ROMANO sabato 4 aprile 2015 pagina 7 Jan Mostaert «Ecce homo» (1525) D all’«Ecce homo» ai cristiani perseguitati ancora oggi nel mondo I martiri perfetti di RANIERO CANTALAMESSA Abbiamo appena ascoltato il racconto del processo di Gesù di fronte a Pilato. C’è in esso un momento sul quale una volta tanto dobbiamo soffermarci. «Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: “Salve, re dei Giudei!”. E gli davano schiaffi. Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: Ecce homo! “Ecco l’uomo!”» (Giovanni, 19, 1-5). Tra gli innumerevoli dipinti che hanno per tema l’Ecce Homo, ce n’è uno che mi ha sempre impressionato. È del pittore fiammingo del secolo XVI, Jan Mostaert. Cerco di descriverlo. Servirà a imprimerci meglio nella mente l’episodio, dal momento che il pittore non fa che trascrivere fedelmente a colori i dati del racconto evangelico, soprattutto quello di Marco (15, 16-20). Gesù ha in capo una corona di spine. Un fascio di arbusti spinosi che si trovava nel cortile, preparato forse per accendere il fuoco, ha suggerito ai soldati l’idea di questa crudele parodia della sua regalità. Dal capo di Gesù scendono gocce di sangue. Ha la bocca semiaperta, come chi fa fatica a respirare. Sulle spalle gli è posto un mantello pesante e consunto, più simile a latta che a stoffa. E sono spalle solcate dai colpi recenti della flagellazione! Ha i polsi legati a due ritorte con una rozza fune; in una mano gli hanno messo una canna a modo di scettro e nell’altra un fascio di verghe, simboli beffardi della sua regalità. Gesù non può più muovere neppure un dito; è l’uomo ridotto all’impotenza più totale, il prototipo di tutti gli ammanettati della storia. Meditando sulla Passione, il filosofo Blaise Pascal scrisse un giorno queste parole: «Cristo è in agonia fino alla fine del mondo: non bisogna dormire durante questo tempo» (Pensieri, Il mistero di Gesù, n. 553). C’è un senso in cui queste parole si applicano alla persona stessa di Gesù, cioè al capo del corpo mistico, non solo alle sue membra. Non, nonostante che ora è risorto e vivo, ma proprio perché è risorto e vivo. Ma lasciamo da parte questo significato troppo misterioso per noi e parliamo del senso più certo di quelle parole. Gesù è in agonia fino alla fine del mondo in ogni uomo o donna sottoposti agli stessi suoi tormenti. «L’avete fatto a me!» (Matteo, 25, 40): questa sua parola, egli non l’ha detta solo dei credenti in lui; l’ha detta di ogni uomo e di ogni donna affamati, nudi, maltrattati, carcerati. Per una volta non pensiamo alle piaghe sociali, collettive: la fame, la povertà, l’ingiustizia, lo sfruttamento dei deboli. Di esse si parla spesso — anche se mai abbastanza —, ma c’è il rischio che diventino delle astrazioni. Categorie, non persone. Pensiamo piuttosto alle sofferenze dei singoli, delle persone con un nome e un’identità precisi; alle torture decise a sangue freddo e inflitte volontariamente, in questo stesso momento, da esseri umani ad altri esseri umani, perfino a dei bambini. Quanti «Ecce homo» nel mondo! Mio Dio, quanti «Ecce homo»! Quanti prigionieri che si trovano nelle stesse condizioni di Gesù nel pretorio di Pilato: soli, ammanettati, torturati, in balia di militari rozzi e pieni di odio, che si abbandonano a ogni sorta di crudeltà fisica e psicologica, divertendosi a veder soffrire. «Non bisogna dormire, non bisogna lasciarli soli!». L’esclamazione «Ecce homo!» non si applica solo alle vittime, ma anche ai carnefici. Vuole dire: ecco di che cosa è capace l’uomo! Con timore e tremore, diciamo pure: ecco di che cosa siamo capaci noi uomini! Altro che la marcia inarrestabile dell’homo sapiens sapiens, l’uomo che, secondo qualcuno, doveva nascere dalla morte di Dio e prenderne il posto (cfr. Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, III, 125). I cristiani non sono certamente le sole vittime della violenza omicida che c’è nel mondo, ma non si può ignorare che in molti paesi essi sono le vittime designate e più frequenti. per l’eternità fin dove è stato capace di spingersi l’amore di Dio. L’ignoranza, per sé, si verificava esclusivamente nei soldati. Ma la preghiera di Gesù non si limita ad essi. La grandezza divina del suo perdono consiste nel fatto che è offerto anche ai suoi più accaniti nemici. Proprio per loro adduce la scusante dell’ignoranza. Anche se hanno agito con astuzia e cattiveria, in realtà non sapevano ciò che facevano, non pensavano di mettere in croce un uomo che era realmente Messia e Figlio di Dio! Invece di accusare i suoi avversari, oppure di perdonare affidando al Padre celeste la cura di vendicarlo, egli li difende. Il suo esempio propone ai discepoli una generosità infinita. Perdonare con la sua stessa grandezza d’animo non può comportare semplicemente un atteggiamento negativo, con cui si rinuncia a volere il male per chi fa del male; deve tradursi invece in una volontà positiva di fare loro del bene, se non altro con una preghiera rivolta a Dio, in loro favore. «Pregate per quelli che vi perseguitano» (Matteo, 5, 44). Questo perdono non può trovare neppure un compenso nella speranza di un castigo divino. Deve essere ispirato da una carità che scusa il prossimo, senza tuttavia chiudere gli occhi di fronte alla verità, ma cercando anzi di fermare i malvagi in modo che non facciano altro male agli altri e a se stessi. Nel pomeriggio del 3 aprile, Venerdì santo, Ci verrebbe da diPapa Francesco ha presieduto nella basilica re: «Signore, ci chievaticana la celebrazione della Passione del di l’impossibile!». Ci Signore. Dopo la proclamazione del Vangelo risponderebbe: «Lo di Giovanni (18, 1 - 19, 42) il predicatore so, ma io sono morto della Casa Pontificia ha tenuto l’omelia per potervi dare ciò che pubblichiamo integralmente che vi chiedo. Non vi in questa pagina. ho dato solo il comando di perdonare e neppure soltanto un esempio eroico di perdono; con la mia morte vi ho procurainquietante indifferenza delle istitu- to la grazia che vi rende capaci di zioni mondiali e dell’opinione pub- perdonare. Io non ho lasciato al blica di fronte a tutto ciò, ricordan- mondo solo un insegnamento sulla do a che cosa una tale indifferenza misericordia, come hanno fatto tanti ha portato nel passato (cfr. Ernesto altri. Io sono anche Dio e ho fatto Galli della Loggia, L’indifferenza che scaturire per voi dalla mia morte fiuuccide, nel «Corriere della Sera» del mi di misericordia. Da essi potete at28 luglio 2014). Rischiamo di essere tingere a piene mani nell’anno giubitutti, istituzioni e persone del mon- lare della misericordia che vi sta dado occidentale, dei Pilato che si la- vanti». Allora, dirà qualcuno, seguire Crivano le mani. A noi, però, in questo giorno non sto è un votarsi sempre passivamente è consentito fare alcuna denuncia. alla sconfitta e alla morte? Al contraTradiremmo il mistero che stiamo rio! «Abbiate coraggio», egli disse ai celebrando. Gesù morì gridando: suoi apostoli prima di avviarsi alla «Padre, perdona loro perché non passione: «Io ho vinto il mondo» sanno quello che fanno» (Luca, 23, (Giovanni, 16, 33). Cristo ha vinto il 34). Questa preghiera non è sempli- mondo, vincendo il male del moncemente mormorata a fior di labbra; do. La vittoria definitiva del bene è gridata perché la si oda bene. Anzi sul male, che si manifesterà alla fine non è neppure una preghiera, è una dei tempi, è già avvenuta, di diritto richiesta perentoria, fatta con l’auto- e di fatto, sulla croce di Cristo. rità che gli viene dall’essere il Figlio: «Ora — diceva — è il giudizio di «Padre, perdona loro!». E poiché lui questo mondo» (Giovanni, 12, 31). stesso ha detto che il Padre ascoltava Da quel giorno il male è perdente; ogni sua preghiera (Giovanni, 11, 42), tanto più perdente, quanto più semdobbiamo credere che ha ascoltato bra trionfare. È già giudicato e conanche questa sua ultima preghiera dannato in ultima istanza, con una dalla croce, e che quindi i crocifisso- sentenza inappellabile. ri di Cristo sono stati perdonati da Gesù ha vinto la violenza non opDio (certo, non senza essersi prima, ponendo ad essa una violenza più in qualche modo, ravveduti) e sono grande, ma subendola e mettendone con lui in paradiso, a testimoniare a nudo tutta l’ingiustizia e l’inutilità. È di ieri la notizia di 147 cristiani trucidati dalla furia jihadista degli estremisti somali in un campus universitario del Kenya. Chi ha a cuore le sorti della propria religione, non può rimanere indifferente di fronte a tutto ciò. Gesù disse un giorno ai suoi discepoli: «Viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere onore a Dio» (Giovanni, 16, 2). Mai forse queste parole hanno trovato, nella storia, un compimento così puntuale come oggi. Un vescovo del III secolo, Dionigi di Alessandria, ci ha lasciato la testimonianza di una Pasqua celebrata dai cristiani durante la feroce persecuzione dell’imperatore romano Decio: «Ci esiliarono e, soli fra tutti, fummo perseguitati e messi a morte. Ma anche allora abbiamo celebrato la Pasqua. Ogni luogo dove si pativa divenne per noi un posto per celebrare la festa: fosse un campo, un deserto, una nave, una locanda, una prigione. I martiri perfetti celebrarono la più splendida delle feste pasquali, essendo ammessi al festino celeste» (in Eusebio, Storia ecclesiastica, VII, 22, 4). Sarà così per molti cristiani anche la Pasqua di questo anno, il 2015 dopo Cristo. C’è stato qualcuno che ha avuto il coraggio di denunciare, da laico, la A San Pietro Ha inaugurato un nuovo genere di vittoria che sant’Agostino ha racchiuso in tre parole: «Victor quia victima — Vincitore perché vittima» (Agostino, Confessioni, X, 43). Fu «vedendolo morire così», che il centurione romano esclamò: «Veramente, quest’uomo era Figlio di Dio!» (Marco, 15, 39). Gli altri si chiedevano cosa significasse l’«alto grido» che Gesù emise morendo (Marco, 15, 37). Lui che era esperto di combattenti e di combattimenti, riconobbe subito che era un grido di vittoria (cfr. Frank Topping, An impossible God). Il problema della violenza ci assilla, ci scandalizza, oggi che essa ha inventato forme nuove e spaventose di crudeltà e di barbarie. Noi cristiani reagiamo inorriditi all’idea che si possa uccidere in nome di Dio. Qualcuno però obietta: ma la Bibbia non è anch’essa piena di storie di violenza? Non è, Dio, chiamato «il Signore degli eserciti»? Non è attribuito a lui l’ordine di votare allo sterminio intere città? Non è lui che prescrive, nella legge mosaica, numerosi casi di pena di morte? Se avessero rivolto a Gesù, durante la sua vita, la stessa obiezione, egli avrebbe sicuramente risposto ciò che rispose a proposito del divorzio: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così» (Matteo, 19, 8). Anche a proposito della violenza, «al principio non era così». Il primo capitolo della Genesi ci presenta un mondo dove non è neppure pensabile la violenza, né degli esseri umani tra di loro, né tra gli uomini e gli animali. Neppure per vendicare la morte di Abele, dunque per punire un assassino, è lecito uccidere (cfr. Genesi, 4, 15). Il genuino pensiero di Dio è espresso dal comandamento «non uccidere», più che dalle eccezioni fatte ad esso nella legge, che sono concessioni alla «durezza del cuore» e dei costumi degli uomini. La violenza, dopo il peccato, fa parte purtroppo della vita, e l’Antico Testamento, che riflette la vita e deve servire per la vita, cerca almeno, con la sua legislazione e con la stessa pena di morte, di incanalare e arginare la violenza perché non degeneri in arbitrio personale e non ci si sbrani a vicenda (cfr. René Girard, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo). Paolo parla di un tempo caratterizzato dalla «tolleranza» di Dio (Romani, 3, 25). Dio tollera la violenza, come tollera la poligamia, il divorzio e altre cose, ma viene educando il popolo verso un tempo in cui il suo piano originario verrà «ricapitolato» e rimesso in onore, come per una nuova creazione. Questo tempo è arrivato con Gesù che, sul monte, proclama: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra. Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori» (Matteo, 5, 38-39; 43-44). Il vero «discorso della montagna» che ha cambiato il mondo non è però quello che Gesù pronunciò un giorno su una collina della Galilea, ma quello che proclama ora, silenziosamente, dalla croce. Sul Calvario egli pronuncia un definitivo «no!» alla violenza, opponendo ad essa, non semplicemente la non-violenza, ma, di più, il perdono, la mitezza e l’amore. Se ci sarà ancora violenza, essa non potrà più, neppure remotamente, richiamarsi a Dio e ammantarsi della sua autorità. Farlo significa far regredire l’idea di Dio a stadi primitivi e grossolani, superati dalla coscienza religiosa e civile dell’umanità. I veri martiri di Cristo non muoiono con i pugni chiusi, ma con le mani giunte. Ne abbiamo avuto tanti esempi recenti. È lui che ai ventuno cristiani copti uccisi dall’Isis in Libia il 22 febbraio scorso, ha dato la forza di morire sotto i colpi, mormorando il nome di Gesù. E anche noi preghiamo: «Signore Gesù Cristo, ti preghiamo per i nostri fratelli di fede perseguitati, e per tutti gli Ecce homo che ci sono, in questo momento, sulla faccia della terra, cristiani e non cristiani. Maria, sotto la croce tu ti sei unita al Figlio e hai mormorato dietro di lui: “Padre, perdona loro!”: aiutaci a vincere il male con il bene, non solo sullo scenario grande del mondo, ma anche nella vita quotidiana, dentro le stesse mura di casa nostra. Tu, che, “soffrendo col Figlio tuo morente sulla croce, hai cooperato in modo tutto speciale all’opera del Salvatore con l’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità” (Lumen gentium, 61), ispira agli uomini e alle donne del nostro tempo pensieri di pace, di misericordia. E di perdono. Così sia». Celebrazione del cardinale Filoni nella cattedrale di Duhok Giovedì santo con i rifugiati Giovedì santo tra i profughi iracheni per il cardinale Fernando Filoni, che la sera del 2 aprile ha presieduto nella cattedrale di Duhok, nel nord del Paese, la celebrazione della messa «in coena Domini», compiendo il rito della lavanda dei piedi con un gruppo di rifugiati. Nonostante le difficili condizioni in Siria sono molto partecipati i riti in preparazione alla Pasqua ALEPPO, 3. Nonostante i timori e le paure per le violenze delle ultime settimane, i cristiani in Siria stanno partecipando numerosi ai riti della settimana santa e le chiese sono sempre gremite. «Sono giorni difficili, soprattutto dopo la caduta di Idlib nelle mani dei movimenti islamisti. La città non è lontana da Aleppo e la gente teme che succeda la stessa cosa qui» spiega il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, monsignor Georges Abou Khazen. Nonostante ciò, già alla celebrazione eucaristica per la domenica delle Palme «era bella e commovente la presenza nonché il numero dei fedeli. A dispetto della situazione — racconta ancora il vicario ad AsiaNews — la gente non ha avuto paura e ha assistito alla messa e alla processione con i propri bambini. Per i più piccoli è stata una festa speciale, erano loro a portare le candele ornate nella Più forti della paura processione, la fede è stata davvero più forte della paura». Il vicario apostolico di Aleppo conferma la situazione di timore e difficoltà non solo dei cristiani, ma di tutta la popolazione locale preoccupata dal possibile arrivo delle milizie jihadiste. Nei giorni scorsi i fondamentalisti hanno conquistato la città di Idlib, nel nord-ovest del Paese, sequestrando un sacerdote greco-ortodosso. Giovedì scorso, le milizie dell’Is sono giunte alla periferia di Damasco e attaccato il campo profughi palestinese di Yarmouk. In una realtà di guerra, persecuzioni e violenze, la comunità cristiana di Aleppo sta vivendo la settimana santa con partecipazione, raccoglimento ed entusiasmo «perché — ripete il vicario apostolico — la fede è più forte della paura. La loro testimonianza è stata per noi pastori fonte di incoraggiamento, grazie alla loro fede e alla loro preghiera il Signore risorto ci libererà». Dalla comunità musulmana, racconta ancora il vicario apostolico, «abbiamo ricevuto forti testimonianze di affetto, una bella prova di convivenza. Del resto la Chiesa sta giocando un grande ruolo nell’assistenza ai profughi, cristiani e musulmani, e di questo loro ci sono grati. Aiutiamo i ragazzi, senza distinzioni di fede religiosa, attraverso Caritas Siria — continua il presule — non solo con il cibo, ma anche donando loro scarpe, pantaloni, magliette. È bello vedere la gioia di questa gente, dei giovani e dei loro genitori, che capiscono che guardiamo loro con affetto, cercando il bene della persona. Anch’essi sono parte di questa famiglia e di questa festa. A livello di pastorale abbiamo promosso celebrazioni religiose, prediche e incontri in varie chiese, insistendo sulla penitenza e la conversione, legati alla situazione generale». I fatti di Idlib fanno paura, ma nonostante questo «noi viviamo con coraggio la nostra via crucis, lo facciamo alla luce della resurrezione e questo ci dà una grande speranza». Monsignor Khazen ha diffuso una lettera pastorale nella quale ha sottolineato che «Cristo risorto non si è vendicato, ma ha mandato i suoi a predicare la buona novella insegnando amore e perdono. Questo — conclude — è il mio messaggio per la Pasqua e i fedeli hanno colto l’invito. Si sono formati gruppi di incontro, per meditare la lettera. Speriamo che il Signore ci usi come segno e testimonianza di pace». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 sabato 4 aprile 2015 A Rebibbia il Papa ricorda che Gesù ha dato la vita per ogni essere umano Con nome e cognome «Ognuno di noi può dire: “Ha dato la vita per me”. Ognuno. Ha dato la vita per te, per te, per te, per me, per lui, per ognuno, con nome e cognome»: con queste parole pronunciate nel pomeriggio del 2 aprile, Giovedì santo, In questo giovedì, Gesù era a tavola con i discepoli, celebrando la festa della pasqua. E il brano del Vangelo che abbiamo sentito contiene una frase che è proprio il centro di quello che ha fatto Gesù per tutti noi: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13, 1). Gesù ci ha amato. Gesù ci ama. Senza limiti, sempre, sino alla fine. L’amore di Gesù per noi non ha limiti: sempre di più, sempre di più. Non si stanca di amare. Nessu- durante l’omelia della messa «in coena Domini», Papa Francesco ha voluto spiegare ai detenuti del carcere romano di Rebibbia che l’amore di Dio è «personale» e che «lui non si stanca di amare, come non si stanca di perdonare». no. Ama tutti noi, al punto da dare la vita per noi. Sì, dare la vita per noi; sì, dare la vita per tutti noi, dare la vita per ognuno di noi. E ognuno di noi può dire: “Ha dato la vita per me”. Ognuno. Ha dato la vita per te, per te, per te, per me, per lui... per ognuno, con nome e cognome. Il suo amore è così: personale. L’amore di Gesù non delude mai, perché Lui non si stanca di amare, come non si stanca di perdonare, non si stanca di abbracciarci. Questa è la prima cosa che volevo dirvi: Gesù ci ha amato, ognuno di noi, sino alla fine. E poi, fa questo che i discepoli non capivano: lavare i piedi. In quel tempo, era uso, questo, era una consuetudine, perché la gente quando arrivava in una casa, aveva i piedi sporchi della polvere della strada; non c’erano i sampietrini, a quel tempo... C’era la polvere della strada. E all’entrata della casa, si lavavano loro i piedi. Ma questo non lo fa- Il tredicesimo apostolo di MAURIZIO FONTANA Scendono lacrime sul volto della detenuta. I suoi occhi hanno incrociato lo sguardo sorridente del Papa. Francesco le ha appena lavato il piede, lo ha accarezzato e lo ha baciato e poi ha sollevato lo sguardo per farle capire quanto aveva appena detto nell’omelia: «Gesù ti ama. Sempre. Fino alla fine». Un gesto ripetuto dodici volte, come Gesù fece con gli apostoli. Con i fianchi cinti da un asciugamano, inginocchiato, il Pontefice ha lavato i piedi a sei donne e sei uomini di varie nazionalità detenuti nel carcere romano di Rebibbia. Dodici volte più una. Una delle recluse, infatti, una ragazza nigeriana, portava in braccio il suo bambino: anche lui — inconsapevole “tredicesimo apostolo” — col suo piedino scalzo ha ricevuto il gesto d’amore del Papa. E l’abbraccio commosso della mamma sembrava riversare sul piccolino tutta la speranza di un futuro diverso. Giovedì 2 aprile Francesco ha voluto celebrare la messa «in coena Domini» nella Casa circondariale nuovo complesso di Rebibbia. Con i detenuti, con quella Chiesa che vive e prega dietro le sbarre, di solito ignorata dal resto del mondo. Un gesto importante per chi si sente messo ai margini. «Ci fa sentire vivi», esclama Manuel, uno dei detenuti che quotidianamente collaborano con il cappellano, don Pier Sandro Spriano, e che nell’occasione hanno fatto servizio all’altare come ministranti. «È una visita desiderata, aspettata, con grande emozione e tremore» ci dice Stefano; gli fa eco Simone: «È la stessa emozione che ho provato quando aspettavo il primo colloquio con i miei familiari. È come se quel muro che ci divide dal mondo svanisse in un attimo. Il Papa che viene da noi ci fa sentire nuovamente parte di una comunità». Con loro anche Ugo, Massimiliano e Claudio ribadiscono: «Il Papa che parla sempre di misericordia ci porta una speranza nuova». Il Pontefice è giunto in auto a Rebibbia intorno alle 17.15, accolto dal saluto della gente che lo attendeva dietro le transenne lungo il viale che porta al nuovo complesso. Il Papa è stato poi accompagnato dal reggente della prefettura della Casa Pontificia, monsignor Leonardo Sapienza, lungo il tragitto che lo ha portato davanti alla cappella intitolata al Padre nostro: «L’abbiamo chiamata così — ci ha spiegato don Spriano — perché lì accogliamo tutti, anche chi è di un’altra religione». Ad attenderlo nel piazzale c’erano il direttore del carcere, Mauro Mariani, il comandante della casa circondariale, commissario Massimo Cardilli, e il cappellano; con loro anche il cardinale Agostino Vallini, vicario di Roma, e l’arcivescovo sostituto della Segreteria di Stato, Angelo Becciu. Lo spazio antistante la chiesa — la cosiddetta “area verde” dove i reclusi possono incontrare i propri familiari un paio di volte al mese — era affollato già da tempo: da una parte i parenti delle guardie carcerarie e dei dipendenti della casa circondariale, dall’altra circa trecento detenuti emozionatissimi. Francesco si è fermato a salutarli: li ha abbracciati, si è lasciato baciare, ha benedetto rosari. Alcuni avevano preparato dei cartelloni con la scritta «Papa, benedici chi non c’è più» e le foto di familiari deceduti. Una guardia penitenziaria ci ha spiega- naristi che prestano servizio come volontari — ce ne erano cinque che hanno vissuto la visita del Papa con un’emozione del tutto particolare: domenica di Pasqua riceveranno il sacramento della confermazione e faranno la prima comunione. Con il Pontefice hanno concelebrato il cardinale Vallini, l’arcivescovo Becciu, i cappellani e una rappresentanza dei sacerdoti volontari. Seguito dallo sguardo attento e commosso dei presenti, e accompagnato dal vivace sgambettare dei bambini ai piedi dell’altare, Francesco è andato all’ambone per l’omelia: breve, pronunciata a braccio, incentrata su un messaggio chiaro e diretto a ogni persona che aveva di fronte: tu, proprio tu, anche tu sei amato. ceva il padrone di casa, lo facevano gli schiavi. Era un lavoro da schiavi. E Gesù lava come schiavo i nostri piedi, i piedi dei discepoli, e per questo dice: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci — dice a Pietro —, lo capirai dopo» (Gv 13, 7). Gesù, è tanto il suo amore che si è fatto schiavo per servirci, per guarirci, per pulirci. E oggi, in questa Messa, la Chiesa vuole che il sacerdote lavi i piedi di dodici persone, in memoria dei Dodici Apostoli. Ma nel nostro cuore dobbiamo avere la certezza, dobbiamo essere sicuri che il Signore, quando ci lava i piedi, ci lava tutto, ci purifica, ci fa sentire un’altra volta il suo amore. Nella Bibbia c’è una frase, nel profeta Isaia, tanto bella; dice: «Può una mamma dimenticarsi del suo figlio? Ma se una mamma si dimenticasse del suo figlio, io mai mi dimenticherò di te» (cfr. 49, 15). Così è l’amore di Dio per noi. E io laverò oggi i piedi di dodici di voi, ma in questi fratelli e sorelle siete tutti voi, tutti, tutti. Tutti quelli che abitano qui. Voi rappresentate loro. Ma anch’io ho bisogno di essere lavato dal Signore, e per questo pregate durante questa Messa perché il Signore lavi anche le mie sporcizie, perché io diventi più schiavo di voi, più schiavo nel servizio della gente, come è stato Gesù. Adesso incominceremo questa parte della celebrazione. Dal cenacolo alla Pasqua negli inni di Efrem il Siro Oggi è spremuto il grappolo venuto da Maria di MANUEL NIN ue inni di Efrem il Siro, sulla crocifissione e il secondo sulla risurrezione di Cristo, ci aiutano a entrare nei misteri che celebriamo in questi giorni santi. Il primo contempla il cenacolo, luogo che diventa prefigurazione della Chiesa stessa nella sua celebrazione dei misteri, e il secondo presenta la Chiesa della terra e quella del cielo unite nella lode al Signore. Il cenacolo, luogo dell’ultima cena di Cristo con i discepoli, viene quasi personificato ed è visto dal poeta già come vera e propria Chiesa che celebra i sacramenti, luogo del servizio: «Beato sei tu, luogo, perché furono inviati due suoi discepoli e vennero a prepararti per la sua cena. Si era scelto la purezza, e in te la vide, si era scelto la santità, e dentro di te la trovò. Alla tua fedeltà diede abbondantemente la sua benedizione, dono per il tuo servizio. Beato sei tu, luogo del giusto, poiché in te il Signore nostro ha spezzato il proprio corpo. Un piccolo luogo fu specchio di tutta la creazione riempita da lui. La grande alleanza uscì da una piccola dimora e riempì la terra». Luogo del dono del corpo e del sangue di Cristo, il cenacolo è il luogo dove Gesù stesso diventa sacerdote e vittima: «Beato sei tu, luogo. Di ciò che avvenne in te tutta la creazione è piena, ed è troppo piccola. Beata la tua dimora, nella quale fu spezzato quel pane dal covone benedetto. In te fu spremuto il grappolo venuto da Maria, calice della salvezza, il nostro Signore che in te si fece vero altare, sacerdote, pane e calice della salvezza, altare e agnello, sacrificio e sacrificatore, sacerdote e cibo». Più avanti il cenacolo viene presentato come luogo della lavanda dei piedi, ed Efrem la collega con l’accoglienza di Abramo ai tre personaggi (chiamati da Efrem «vigilanti», che in siriaco significa anche «angeli») sotto la quercia di Mamre. La grandezza della teofania veterotestamentaria viene messa di fronte a quella del figlio nel lavare i piedi, e lavarli anche al traditore: «Come in te, apparve anche ad Abramo mentre D to: «Per molti di loro la famiglia fuori dal carcere è tutto, è l’aggancio con la vita. Quando muore un familiare, è come se crollasse il mondo». E il Pontefice ha carezzato quei volti fotografati e ha pregato per loro. Particolarmente colpito da tanto affetto, prima di entrare in chiesa Francesco si è fermato per un breve saluto al microfono: «Ringrazio tutti voi per l’accoglienza, tanto calorosa, sentita. Grazie tante!». In occasione della visita i detenuti hanno fatto dono al Papa di alcuni prodotti del loro lavoro quotidiano. E Francesco, come ricordo, ha fatto avere a tutti un cartoncino con un’immagine della risurrezione e il testo del discorso scritto in occasione della visita alla casa circondariale di Poggioreale: «A volte — vi si legge — capita di sentirsi delusi, sfiduciati, abbandonati da tutti: ma Dio non si dimentica dei suoi figli, non li abbandona mai!». Indossati i paramenti sacri, il Papa ha fatto ingresso processionalmente nella cappella dove ad attenderlo c’erano altri detenuti: circa centocinquanta uomini e altrettante donne, di cui quindici provenienti dalla sezione nido con i loro bambini. Fra i carcerati nell’assemblea — ci rivela Gianluca, uno dei semi- Poi ha ripetuto il gesto che Gesù volle compiere nel momento in cui, si legge nel Vangelo di Giovanni, «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine», fino a farsi «schiavo per amore». Accompagnato dal maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, monsignor Guido Marini, e da don Ján Dubina, il Pontefice, con una semplice brocca di plastica bianca, ha lavato i piedi ai dodici detenuti. Per ognuno, il dono di uno sguardo amorevole e di un sorriso. Uno dei dodici gli ha preso le mani e le ha poste sulla sua testa chiedendo una benedizione particolare: un gesto che rimane come una delle immagini più intense di questo Giovedì santo. Al termine della messa, durante la quale il cappellano ha chiesto di pregare in maniera particolare per un detenuto morto suicida pochi giorni fa, il Pontefice si è soffermato in adorazione del Santissimo Sacramento. Poi, dopo aver lanciato un sorriso divertito a una bimba che giocava sdraiata sui gradini dell’altare, si è concesso un ultimo, lungo abbraccio con i detenuti, che uscendo dalla chiesa lo hanno attorniato insieme al personale della polizia penitenziaria e ai volontari. portava il vitello ai vigilanti. I serafini fremettero vedendo il figlio che, cinto ai fianchi un lino, lavava nel catino i piedi, la sozzura del ladro che lo avrebbe consegnato». Lavanda che è presentata da Efrem come una nuova creazione, il battesimo dei dodici: «Nostro Signore purificò il corpo dei fratelli nel catino che è simbolo della concordia. Nel ventre delle acque Cristo ci ha formati nuovamente. Non siamo membra divise che non si accorgono di lottare contro il proprio amore!». Nel secondo inno sulla risurrezione, Efrem descrive la gioia pasquale, presentata come una grande liturgia di tutta la creazione, che accomuna il cielo e la terra. E inizia con un riferimento al luogo centrale della croce che riapre il paradiso, da dove sgorga la lode di tutta la creazione: «E la chiave fu per me la tua croce, fu essa ad aprire il paradiso. Dal giardino portai, raccolsi e recai dal paradiso fiori sparsi durante la tua festa, negli inni, sull’umanità». Tutta la creazione quindi, nella festa di Pasqua, innalza la lode a Dio, ed Efrem elenca tutti coloro che lodano il Signore redentore, a cominciare da coloro che fanno parte della liturgia della terra: «Ecco la festa gioiosa che è tutta bocche e lingue. Donne e uomini casti furono trombe e corni. Bambini e bambine furono in essa arpe e cetre». Il poeta inserisce in questa lode liturgica anche l’immagine dell’arca e quella che si potrebbe quasi chiamare la liturgia degli animali, raccolti per coppie con le loro voci concordi: «Nell’arca risuonarono similmente tutte le voci da tutte le bocche. Fuori flutti terribili, dentro di essa voci deliziose. Le lingue, a due a due, modulavano in essa concordi, in purezza, ed erano prefigurazione della nostra festa ove uomini e donne vergini hanno cantato il gloria al Signore dell’arca». Questa dimensione di lode liturgica procede nell’inno con una descrizione della liturgia celebrata nella settimana santa. Qui Efrem presenta tutta la gerarchia, quella della terra e quella del cielo: «Il grande pastore vi intrecci come suoi fiori le sue interpretazioni, i presbiteri le loro buone opere, i diaconi le loro letture, i giovani i loro alleluia, i bimbi i loro salmi, le donne caste i loro inni, i semplici fedeli la loro condotta». In questa strofa è descritto il ruolo di ognuno: il vescovo («grande pastore») che spiega la Scrittura, i sacerdoti nel loro operare, i diaconi che proclamano la Parola, i giovani come «Ultima cena e crocifissione» (XVIII secolo, chiesa dei Santi Sergio e Bacco, Maalula, Siria) cantori e salmisti, i fedeli nel vivere come cristiani, ai quali si aggiungono «martiri, apostoli e profeti, i cui fiori sono come loro e incoronano la nostra bella festa». L’inno si conclude con una preghiera per i cristiani ovunque perseguitati e martoriati, allora e oggi: «Accetta, nostro re, la nostra offerta e dacci in cambio la salvezza. Pacifica le terre devastate, edifica le chiese incendiate affinché, quando vi sarà pace grande, una gran corona possiamo intrecciarti di fiori provenienti da ogni parte, perché sia incoronato il Signore della pace. Benedetto colui che agì e può agire!».
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