L`OSSERVATORE ROMANO

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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
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Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLV n. 77 (46.915)
Città del Vaticano
sabato 4 aprile 2015
.
Dolore del Papa per la strage perpetrata in Kenya dai fondamentalisti islamici di Al Shabaab
Il giovedì santo di Francesco tra i detenuti di Rebibbia
Insensata brutalità
Con nome
e cognome
Tutti cristiani gli studenti assassinati dai terroristi nell’università di Garissa
NAIROBI, 4. Sono tutti cristiani i 147
morti e i 79 feriti accertati nella strage di ieri all’università di Garissa, in
Kenya, una delle più sanguinose mai
perpetrate nel Paese. E si teme che
le conseguenze possano rivelarsi ancora più gravi. Delle 815 persone ritenute presenti nel campus universitario, sono sicuramente in salvo solo
cinquecento. Di altre circa centocinquanta non si hanno notizie sicure.
Di certo si è trattato della più feroce carneficina mai perpetrata dalle
milizie somale di Al Shabaab, che
pure negli ultimi anni si sono via via
sempre più segnalate per il ricorso al
terrorismo e per la radicalizzazione
jihadista. Non a caso i terroristi,
sembra quattro, che hanno fatto irruzione nel campus di Garissa ieri
mattina, dopo aver rilasciato gli studenti musulmani, si sono accaniti su
quelli cristiani, molti dei quali uccisi
in modo particolarmente brutale, secondo le testimonianze dei sopravvissuti.
Il dolore di Papa Francesco per
l’«immensa e tragica perdita di vite»
causata dall’attacco è stato espresso
dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, in un telegramma inviato al cardinale John Njue, presidente
della Conferenza dei vescovi cattolici
del Kenya. Nel messaggio il porporato esprime la preghiera e la vicinanza spirituale del Pontefice alle
famiglie delle vittime e a tutti i kenyani in questo momento di dolore.
Il Papa, si legge nel telegramma,
raccomanda «le anime delle vittime
all’infinita misericordia di Dio onnipotente» e chiede conforto per «tutti coloro che sono in lutto». Il Pontefice, scrive ancora il cardinale Pa-
rolin, «condanna questo atto di insensata brutalità e prega per un
cambiamento del cuore tra i suoi autori». Al tempo stesso, «invita tutti i
responsabili a raddoppiare gli sforzi
per operare con tutti gli uomini e le
donne in Kenya per porre fine a
questa violenza e per accelerare l’al-
ba di una nuova era di fratellanza,
giustizia e pace».
Le autorità kenyane hanno annunciato che l’assedio ai sequestratori si
è concluso ieri sera, smentendo notizie lanciate da più parti sul fatto che
alcuni fossero ancora asserragliati
con ostaggi. Il ministro dell’Interno,
Una ragazza sopravvissuta all’attacco (Epa)
Joseph Nkaissery, ha riferito che i
quattro terroristi erano imbottiti di
esplosivo e che sono saltati in aria
quando sono stati colpiti dalle pallottole dei poliziotti che hanno fatto
irruzione. Secondo le fonti ufficiali
kenyane, a ideare l’azione sarebbe
stato Mohamed Kuno, un ex professore dell’universita di Garissa che ha
aderito ad Al Shabaab e sul quale
pende una taglia di cinquantamila
euro.
Oltre alla Somalia, il Kenya è il
principale bersaglio di Al Shabaab
da quando il Governo di Nairobi inviò contro il gruppo truppe in territorio somalo, impegnate prima in
un’operazione autonoma e poi inquadrate nell’Amisom, la missione
dell’Unione africana in Somalia.
Proprio le truppe kenyane, la loro
marina e la loro aviazione, furono
determinanti per scacciare Al Shabaab da Chisimaio, che avevano
controllato per anni. All’epoca in
molti diedero le milizie islamiche
per definitivamente sconfitte, ma gli
eventi successivi hanno dimostrato
come Al Shabaab abbia mantenuto
intatta la sua capacità di colpire, sia
con azioni militari sia con il sempre
più frequente ricorso al terrorismo,
in patria come fuori dai confini, appunto soprattutto in Kenya, dove
nel solo 2014 ha provocato oltre
duecento morti.
Prima di quello a Garissa, l’episodio più sanguinoso era avvenuto nel
settembre del 2013, quando miliziani
di Al Shabaab presero in ostaggio
centinaia di persone nel centro commerciale Westgate di Nairobi. La vicenda si concluse dopo due giorni
con un assalto della polizia al termine del quale si contarono 67 morti.
Gesù ha dato la vita per ogni uomo: «Per te, per te, per me, per
lui, per ognuno, con nome e cognome», ha spiegato Papa Francesco ai detenuti del carcere romano
di Rebibbia, dove ha celebrato la
messa «in coena Domini» nel pomeriggio del 2 aprile, Giovedì santo. L’amore di Dio — ha ricordato
prima di compiere il rito della lavanda dei piedi con sei reclusi e sei
recluse (fra le quali una donna nigeriana con il suo bambino) — è
«personale» e «non delude mai,
perché lui non si stanca di amare,
L’Aiea pronta a svolgere il ruolo di verifica una volta finalizzato l’accordo
Raggiunta l’intesa sul nucleare iraniano
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LOSANNA, 3. È stato finalmente raggiunto ieri a Losanna l’accordo quadro sul programma nucleare iraniano, primo passo per un’intesa vincolante che dovrebbe essere sottoscritta entro il prossimo mese di giugno.
Nella città svizzera, dopo una faticosa trattativa protrattasi ben oltre
la data stabilita del 31 marzo, sono
state individuate le «soluzioni chiave per un accordo a 360 gradi, che
garantirà la natura esclusivamente
pacifica del programma nucleare iraniano». A sottolinearlo è stata l’alto
rappresentante per la Politica estera
e di Sicurezza comune dell’Ue,
Federica Mogherini, in una conferenza stampa insieme al ministro
degli Esteri iraniano, Mohammed
Javad Zarif.
Se l’accordo definito dovesse divenire operativo, l’attività nucleare
iraniana verrà monitorata per dieci
anni. In questo periodo di tempo le
centrifughe installate passeranno da
19.000 a 6.000 e la gran parte
dell’uranio già arricchito verrà diluito o trasferito all’estero. La centrale
di Fordow, inoltre, sarà convertita in
un centro di ricerca privo di materiale fissile.
L’Agenzia
internazionale
per
l’energia atomica (Aiea) ha accolto
positivamente l’accordo di principio,
dicendosi pronta a intraprendere le
verifiche previste dall’intesa. «L’Aiea
— recita un comunicato diffuso nella
notte dall’agenzia di Vienna e firmato dal direttore generale Yukiya
Amano — dà il benvenuto all’annuncio del gruppo cinque più uno e
dell’Iran sui parametri chiave per un
piano d’azione complessivo comune.
Con il sostegno del Consiglio dei
governatori dell’Aiea, l’Agenzia sarà
pronta a svolgere il ruolo di verifica
dell’attuazione delle misure relative
al nucleare, una volta che l’accordo
sarà finalizzato».
Anche il segretario generale
dell’Onu, Ban Ki-moon, si è congratulato per il raggiungimento di
quello che ha definito «un accordo
quadro verso uno storico piano di
azione sul dossier nucleare iraniano». In una nota, Ban Ki-moon si è
detto «convinto che una soluzione
negoziata completa alla questione
del nucleare iraniano contribuirà alla pace e alla stabilità nella regione,
consentendo a tutti i Paesi di cooperare per affrontare le numerose gravi
sfide alla sicurezza che sono sul
tavolo».
L’intesa raggiunta a Losanna sul
nucleare iraniano «non si basa sulla
fiducia», ma su delle «verifiche senza precedenti» e se pienamente attuato manterrà il mondo più sicuro.
Questa la prima dichiarazione rilasciata dal presidente statunitense,
Barack Obama. «Se le misure di verifica e di ispezione non soddisfano
gli standard internazionali — ha
chiarito — non ci sarà alcun accordo
finale» entro il 30 giugno. Obama
ha chiamato i leader di Francia,
François Hollande, Germania, Angela Merkel, e Gran Bretagna, David Cameron, ringraziandoli per
«l’importante ruolo che ciascun Paese ha avuto nel raggiungere lo storico traguardo».
E anche il presidente iraniano,
Hassan Rohani, ha espresso ieri sera
soddisfazione per l’esito del negoziato di Losanna, mentre la popolazione di Teheran è scesa in strada
per festeggiare. Secondo Rohani, la
stesura del documento che deve sancire l’accordo definitivo inizierà immediatamente.
Il capo dei negoziatori iraniani,
Seyyed Abbas Araqchi, ha inoltre
dichiarato che il riconoscimento della legittimità del programma nucleare iraniano è il più grande successo
ottenuto da Teheran.
Tuttavia restano ancora ostacoli
da superare. Tra questi la delicata
questione del calendario del ritiro
delle sanzioni all’Iran che, come dichiarato oggi dal ministro degli
Esteri francese, Laurent Fabius, è
tutt’altro che risolta.
L’accordo raggiunto a Losanna
non è stato accolto positivamente da
Israele. Il premier, Benjamin Netanyahu, ha infatti convocato per oggi
il Gabinetto di sicurezza. In una telefonata con il presidente Obama, il
premier israeliano — dopo aver definito l’intesa una «minaccia per la
sopravvivenza di Israele» — ha detto
che l’accordo di Losanna «legittimerà il programma nucleare di Teheran, rafforzerà l’economia della Repubblica islamica e aumenterà l’aggressività dell’Iran in tutto il Medio
oriente e oltre».
ROSANNA VIRGILI
A PAGINA
5
Dall’«Ecce homo»
ai cristiani perseguitati nel mondo
I martiri perfetti
RANIERO CANTALAMESSA
A PAGINA
7
La crocifissione e la Pasqua negli inni di Efrem il Siro
Due inni di Efrem il
Siro, sulla crocifissione
e il secondo sulla risurrezione di Cristo, ci
aiutano a entrare nei
misteri che celebriamo
in questi giorni santi.
Il primo contempla il
cenacolo, luogo che diventa
prefigurazione
della Chiesa stessa nella sua celebrazione dei
misteri, e il secondo
presenta la Chiesa della terra e quella del
cielo unite nella lode
al Signore.
MANUEL NIN
Zarif, Kerry e Mogherini a Losanna dopo il raggiungimento dell’intesa (Afp)
PAGINA 8
Oggi è spremuto il grappolo venuto da Maria
A PAGINA
8
L’agonia di Gesù sul Golgota
e il mistero dell’ora meridiana
Quel furto
al salmo 31
come non si stanca di perdonare,
non si stanca di abbracciarci». Gesù, ha ribadito, «ci ha amato,
ognuno di noi, sino alla fine».
In questa chiave il Pontefice ha
letto il gesto compiuto dal Signore
con gli apostoli. «Io laverò oggi i
piedi di dodici di voi — ha detto —
ma in questi fratelli e sorelle siete
tutti voi. Tutti quelli che abitano
qui. Voi rappresentate loro». E ha
aggiunto: «Anch’io ho bisogno di
essere lavato dal Signore, e per
questo pregate durante questa messa perché il Signore lavi anche le
mie sporcizie, perché io diventi più
schiavo nel servizio della gente, come è stato Gesù».
Nel pomeriggio del Venerdì santo il Papa presiede nella basilica
vaticana la celebrazione della Passione del Signore. In serata la tradizionale Via crucis al Colosseo.
«La Croce di Cristo — ha ricordato
in un tweet lanciato dall’account
@Pontifex — non è una sconfitta:
la Croce è amore e misericordia».
Icona etiopica quadrupla
raffigurante san Giorgio,
la Crocifissione,
la discesa agli inferi
e la sepoltura (XIX secolo)
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pagina 2
sabato 4 aprile 2015
Migranti in attesa di partire dalla Libia
alla volta dell’Europa (Reuters)
ROMA, 3. La questione migratoria
resta tra le sfide maggiori che interpellano la comunità internazionale e
l’Europa in particolare. Mentre, dopo diversi giorni di relativa interruzione si segnala una ripresa delle
partenze dalla Libia di barconi carichi di migranti e profughi, sostegno
all’Italia, in prima linea nel Mediterraneo, giunge dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa,
formata dai rappresentanti di quarantasette Paesi del Continente. La
presidente dell’Assemblea, Anne
Brasseur, che ha condotto una visita
in Sicilia, ha sottolineato come l’Italia non possa essere lasciata sola ad
affrontare il fenomeno delle migrazioni attraverso il Mediterraneo.
«L’Italia, in quanto Stato in prima linea per i flussi d’immigrati irregolari, richiedenti asilo e rifugiati
affronta una sfida particolare. Sussistono dei problemi, incluso quello
del ritardo nella registrazione di chi
sbarca sulle sue coste. Tuttavia è
chiaro che l’Italia non può continuare ad affrontare e gestire da sola
questi continui arrivi. Occorre una
più grande condivisione delle responsabilità con altri Paesi europei», ha detto Brasseur.
Per quanto riguarda la ripartizione delle responsabilità tra i Paesi
dell’Unione europea, la presidente
dell’Assemblea parlamentare ha sostenuto che occorre cambiare le regole fissate dal trattato di Dublino,
che affida all’esclusiva responsabilità
dei Paesi di arrivo la gestione di migranti e profughi.
«Non solo è antiquato e inefficace per la gestione delle sfide di oggi, ma è anche ingiusto per i Paesi
di arrivo e per i richiedenti asilo»
ha affermato la presidente. «Come
rappresentante dell’Assemblea parlamentare di quarantasette Nazioni farò il possibile, fin da subito, per
porre la questione dei flussi migratori sul tavolo di discussione
dell’Unione europea e di tutte le altre Nazioni europee. In questo
dramma l’Italia non può essere lasciata da sola», ha concluso.
Sulle politiche in materia di migrazioni, come noto, ci sono posizioni diverse all’interno dell’Unione
europea. Proprio questa settimana,
tra l’altro, la Commissione di Bru-
Intervento della Santa Sede
Rispetto del diritto internazionale
e situazione umanitaria in Ucraina
Pubblichiamo la traduzione italiana
della dichiarazione dell’arcivescovo Silvano M. Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali a Ginevra, pronunciata il 26
marzo 2015, in occasione della 28ª
Sessione del Consiglio per i Diritti
Umani sull’Ucraina.
Sostegno del Consiglio d’Europa all’Italia
Interpellati
dalla questione migratoria
xelles ha annunciato un confronto
con il Governo di Madrid per valutare la compatibilità con le normative comunitarie della nuova legge
entrata in vigore mercoledì in Spagna. La legge in questione introduce tra l’altro la possibilità del cosiddetto “rifiuto alla frontiera”. Questo
Gabrielli prefetto di Roma
Delrio ministro
delle Infrastrutture
e dei trasporti
ROMA, 3. Graziano Delrio è il nuovo ministro italiano delle Infrastrutture e dei trasporti. Succede a Maurizio Lupi, che si era dimesso il 20
marzo scorso a seguito delle polemiche seguite all’inchiesta sugli appalti
per le cosiddette “grandi opere”.
Delrio, che ha giurato giovedì sera
al Quirinale davanti al presidente
della Repubblica Sergio Mattarella,
fino a ora aveva svolto l’incarico di
sottosegretario alla presidenza del
Consiglio dei ministri. «Non esistono infrastrutture né grandi né piccole, ma infrastrutture utili alla comunità», aveva detto nella mattinata di
giovedì lo stesso Delrio, durante la
presentazione di un progetto presso
l’Istituto di credito sportivo. «Non
dobbiamo pensare — aveva spiegato
ancora — che le infrastrutture siano
importanti quando collegano grandi
poli. Ci sono piccoli collegamenti
che hanno un’efficacia nella vita
delle persone». Dopo il giuramento
al Quirinale il neoministro ha dichiarato che «gli italiani hanno bisogno di tante opere, hanno bisogno di vedere che le cose procedono».
L’annuncio della scelta di Delrio
era stato dato dal capo del Governo
Matteo Renzi nel corso della riunione del Consiglio dei ministri di giovedì mattina. Nella stessa occasione
Renzi ha anche annunciato la nomina a prefetto di Roma di Franco
Gabrielli, fino ad ora a capo della
Protezione civile.
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Con riferimento alla dichiarazione
fatta da questa Missione Permanente alla 25ª Sessione del Consiglio
per i Diritti Umani il 26 marzo
2014, la Santa Sede ribadisce la sua
vicinanza e la sua solidarietà a tutto
il popolo dell’Ucraina, il cui Paese
continua a essere colpito dall’attuale
conflitto.
Con questo intervento la Santa
Sede intende sottolineare ancora
una volta l’urgente necessità del rispetto della legalità internazionale
per quanto riguarda il territorio e i
confini dell’Ucraina, quale elemento
fondamentale per assicurare stabilità
a livello sia nazionale sia regionale e
significa che i migranti intercettati
sulle barriere frontaliere di Ceuta e
Melilla, le enclavi spagnole in territorio marocchino, potranno essere
immediatamente respinti indietro,
senza previa identificazione e senza
quindi dare loro la possibilità di
presentare domanda d’asilo.
per ripristinare la legge e l’ordine
basati sul pieno rispetto di tutti i diritti umani fondamentali.
A questo proposito, la Santa Sede
apprezza i passi compiuti per attuare la tregua, intesa come una condizione essenziale per giungere a soluzioni politiche esclusivamente attraverso il dialogo e il negoziato. Allo
stesso tempo sottolinea la fondamentale necessità che tutte le parti
mettano in atto le decisioni prese di
comune accordo, riconoscendo in
questo contesto gli sforzi fatti dalle
Nazioni Unite, dall’Osce e da altre
organizzazioni competenti con riferimento al pacchetto di misure per
l’attuazione degli accordi di Minsk.
La Santa Sede ritiene che la piena adesione di tutte le parti alle disposizioni di tali accordi sia un prerequisito per ogni altro sforzo volto
a migliorare la situazione umanitaria
e dei diritti umani nei territori colpiti, ponendo fine, anzitutto, alla
perdita di vite umane, agli atti di
violenza e ad altre forme di abusi.
Esso dovrebbe comprendere anche
il rilascio di tutti gli ostaggi e delle
persone detenute illegalmente e assicurare l’accesso, senza restrizioni, a
tutti gli attori legittimi, affinché
possano fornire assistenza umanitaria in quelle zone.
Allo stesso tempo la Santa Sede è
preoccupata per l’emergenza sociale
che deve affrontare la popolazione
che vive nelle aree colpite, la quale
soffre per la povertà, la fame, l’insicurezza e i rischi per la salute. È
preoccupata anche per le persone
ferite e dislocate e per le famiglie
che soffrono a causa della perdita di
persone care. In questa situazione
urgente, la Santa Sede è impegnata
a offrire aiuto attraverso le sue istituzioni e chiede alle organizzazioni
caritative della Chiesa cattolica di
intensificare e coordinare gli sforzi
al fine di dare assistenza al popolo
dell’Ucraina. La Santa Sede desidera anche esprimere la sua fiducia
nella solidarietà della comunità internazionale.
Per il voto in Gran Bretagna
Secondo gli osservatori dell’O sce
Un confronto
a sette
Rischierate nel Donbass
le armi pesanti
LONDRA, 3. Il sistema sanitario,
l’immigrazione,
la
permanenza
nell’Ue e i tagli alla spesa pubblica
sono stati i temi caldi del secondo
dibattito televisivo di ieri sera tra i
sette candidati a primo ministro in
Gran Bretagna, in vista delle legislative del prossimo 7 maggio.
Si è anche trattato dell’unico
confronto tra il premier, il conservatore David Cameron, e il leader
laburista, Ed Miliband, per il grande duello che porterà uno dei due
al numero 10 di Downing Street.
Stando agli ultimi sondaggi, i cui
risultati appaiono contrastanti, nessuno dei due partiti maggiori ha in
questo momento un vantaggio decisivo sull’altro, con conservatori e
laburisti che non riescono a superare la soglia del 36 per cento.
A pesare sul risultato finale di
Tory e Labour saranno anche i consensi che riusciranno a ottenere gli
indipendentisti dell’Ukip, di Nigel
Farage, comunque in calo rispetto
ai voti ottenuti nelle elezioni europee e nelle recenti suppletive.
Altra incognita, per entrambi i
partiti maggiori, sarà quella rappresentata dai liberal-democratici
del vice primo ministro, Nick
Clegg, che si è collocato al centro
dello schieramento politico, mentre lo Scottish National Party, di
Nicola Sturgeon, in pieno boom
di consensi dopo la sconfitta nel
referendum sull’indipendenza del-
KIEV, 3. La missione degli osservatori dell’O rganizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa
(Osce) nel Donbass ha registrato un ridispiegamento di
armi pesanti su larga scala nelle aree proibite dagli accordi di Minsk. Lo rende noto Alexander Hug, vice capo della missione, sostenendo che entrambe le parti in
conflitto — Kiev e i ribelli separatisti filorussi — stanno
usando armi pesanti, sia artiglieria che mortai, nella zona cuscinetto, dove tali armi sono vietate.
In questo clima di tensione — anche se negli ultimi
giorni non si sono verificati scontri significativi tra le
parti in conflitto — un segnale di speranza viene dall’intesa siglata ieri dal Governo ucraino con Mosca per
lo scorso anno, rischia di cancellare dalla mappa elettorale della
Scozia i laburisti di Miliband.
All’affollato dibattito televisivo
hanno partecipato anche la leader
dei Verdi, Natalie Bennett, e
Leanne Wood, dei nazionalisti gallesi del Plaid Cymru.
Trovata la seconda
scatola nera
dell’aereo caduto
PARIGI, 3. La seconda scatola
nera dell’aereo della compagnia
Germanwings, che il copilota,
Andreas Lubitz, ha fatto deliberatamente precipitare il 24 marzo scorso sulle Alpi francesi, è
stata ritrovata ieri scavando in
un burrone. Il suo stato «lascia
ragionevolmente sperare in una
possibilità di utilizzo», ha detto
alla stampa il procuratore di
Marsiglia, Brice Robin. L’analisi dei dati permetterà di conoscere la velocità, l’altitudine, il
regime del motore e l’azione del
pilota durante gli ultimi minuti
del tragico volo.
Carri armati dei ribelli separatisti filorussi nei dintorni di Donetsk (Ansa)
Preoccupazioni dell’Onu
per la deriva autoritaria thailandese
Dopo i tragici episodi a Istanbul
Allerta sicurezza
ANKARA, 3. Resta alta la tensione in
Turchia colpita in settimana da una
serie di attentati, a due mesi dalle
cruciali elezioni politiche di giugno.
Il comando nazionale della polizia
ha diramato ieri pomeriggio un’allerta per possibili nuovi attentati
sulla base di rapporti dell’intelligence. A tutti gli agenti assegnati ai posti di controllo sulle strade è stato
ordinato di indossare sempre i giubbotti antiproiettili.
Si temono soprattutto altri attacchi del gruppo di sinistra Dhkp-C,
responsabile del sequestro martedì a
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Istanbul del giudice Mehmet Selim
Kiraz, finito in un bagno di sangue
con l’intervento delle teste di cuoio
turche.
La polizia ha inoltre stabilito che
la giovane uccisa mercoledì pomeriggio mentre attaccava la questura
di Istanbul, armata e con una cintura esplosiva, ha agito da sola. È
quanto rende noto l’agenzia turca
Anadolu.
Nel Paese proseguono le retate
negli ambienti di estrema sinistra.
Almeno altri venti presunti simpatizzanti del Dhkp-C sono finiti in
Servizio vaticano: [email protected]
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caporedattore
Gaetano Vallini
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Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
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l’acquisto di gas russo per i prossimi tre mesi a un prezzo di 248 dollari per mille metri cubi. Lo ha riferito il
ministero dell’Energia di Kiev. Il prezzo pattuito rappresenta uno sconto sui 329 dollari per ogni mille metri
cubi di gas pagati nel primo trimestre di quest’anno
nell’ambito del cosiddetto pacchetto invernale.
Intanto, proseguono i negoziati tra Mosca e Kiev per
trovare un accordo duraturo sul prezzo del gas, al di là
dell’intesa attuale che riguarda solo il secondo trimestre
di quest’anno. Il cosiddetto pacchetto invernale che
prevedeva uno sconto di 100 dollari per ogni mille metri cubi rispetto ai prezzi pagati dai clienti europei di
Gazprom è scaduto martedì a va rimpiazzato.
manette ieri a Istanbul e Karabuk.
Nella megalopoli del Bosforo, in un
blitz con blindati ed elicotteri, l’antiterrorismo ha posto in stato d’assedio praticamente un quartiere intero, quello di Okmeydani.
Altre trentadue persone erano state arrestate mercoledì a Eskisehir,
Smirne e Antalya. La tensione rimane dunque molto alta. Il premier
Ahmet Davutoğlu e il presidente
Recep Tayyip Erdoğan, nei loro interventi successivi ai fatti di sangue,
hanno promesso pugno di ferro
contro il terrorismo.
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
fax 06 698 83675
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
BANGKOK, 3. Attraverso un comunicato ufficiale, l’Onu ha espresso
preoccupazione per la deriva autoritaria in Thailandia. Dopo la revoca delle legge marziale e la richiesta da parte della giunta militare (al potere dal 22 maggio scorso nel Paese asiatico) di utilizzare
l’articolo 44 della Costituzione
provvisoria, l’Alto commissario
dell’Onu per i Diritti umani, Zeid
Ra’ad al Hussein, si è detto
«preoccupato per la decisione di
sostituire la legge marziale con
qualcosa di ancora più drastico».
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
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Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
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Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
L’articolo 44 della Costituzione
provvisoria dettata dai generali, infatti, consente pieni poteri al primo ministro senza alcuna possibilità di controllo o limitazione da
parte degli organi legislativi, esecutivi e giudiziari, e la supremazia
dei militari su ogni istituzione o
individuo civile. «Questo — ha
precisato al Hussein — apre le porte a una serie di violazioni dei diritti umani fondamentali. Chiedo
al Governo di assicurare che questi
poteri straordinari non siano utilizzati in modo imprudente».
Concessionaria di pubblicità
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pagina 3
Un’abitazione distrutta
dai bombardamenti a San’a (Epa)
Vinto il ricorso dei palestinesi cristiani della valle
Il muro israeliano
non passerà a Cremisan
TEL AVIV, 3. Dopo nove anni di
battaglie legali, l’Alta corte di giustizia israeliana ha pronunciato ieri
la sua sentenza sul caso della valle
di Cremisan, accogliendo il ricorso
degli abitanti del villaggio palestinese di Beit Jala che si opponevano
al tracciato previsto per la barriera
di sicurezza israeliana nella vallata.
Il muro non sarà dunque costruito
dove lo aveva previsto l’esercito.
Dal 2006, gli abitanti della vallata — e in particolare 58 famiglie cristiane che rischiavano di vedersi
private dei loro terreni agricoli, dai
quali il muro le avrebbe separate —
lottavano in sede giudiziaria contro
le deliberazioni dei militari. Al ricorso aveva aderito alcuni mesi fa
anche l’Associazione Saint Yves,
per iniziativa del patriarcato di Gerusalemme dei Latini a tutela delle
suore salesiane che a Cremisan gestiscono una scuola dove si rischiava di non poter più accogliere i
quattrocento allievi.
Proprio nel resoconto dei legali
della Saint Yves, reso noto ieri dal
patriarcato, si legge che i tre giudici
La strategia dell’Is
Attentati in Iraq
e attacchi
armati in Siria
BAGHDAD, 3. Il cosiddetto Stato
islamico (Is) risponde ancora
una volta con attacchi terroristici
alle sconfitte militari subite sui
fronti iracheni, mentre in Siria
tenta una nuova offensiva alle
porte di Damasco.
A Baghdad undici persone sono morte ieri in due distinti attentati. Fonti della polizia hanno
riferito che un’autobomba è
esplosa vicino a una fermata
dell’autobus e a un mercato
nell’area di Bab Al Muadam,
provocando otto vittime, tra cui
due donne. Poco prima altri tre
civili erano rimasti uccisi in
un’altra esplosione avvenuta vicino a un piccolo ristorante in un
quartiere sciita.
L’incubo del terrorismo continua dunque ad attanagliare la
popolazione di Baghdad, nonostante si sia registrata una relativa diminuzione degli attentati
nei primi mesi del 2015, rispetto
allo stesso periodo dello scorso
anno, quando la città era scossa
praticamente ogni giorno da almeno un’autobomba. Tra l’altro,
a febbraio nella capitale irachena
è stato revocato il coprifuoco in
vigore per anni. A metà marzo,
inoltre, i servizi segreti iracheni
hanno annunciato l’arresto di 31
presunti appartenenti di una cellula dell’Is accusati di aver perpetrato 52 attentati a Baghdad
nel 2014 e all’inizio del 2015.
In Siria, intanto, l’Is ha tentato un nuovo attacco a Yarmouk,
il quartiere periferico di D amasco da tempo diventato di fatto un campo profughi palestinese. Qui, allo scoppio del conflitto, le diverse fazioni palestinesi
si erano divise tra sostenitori e
avversari del presidente Bashar
Al Assad, mentre i gruppi ribelli
siriani vi si insediavano a loro
volta.
I miliziani dell’Is, che si erano
ritirati dopo l’incursione compiuta mercoledì, hanno di nuovo ingaggiato scontri ieri contro i palestinesi di Aknaf Bayt Al Maqde, una fazione alleata del gruppo islamista Fronte Al Nusra e
avversaria del Governo siriano.
A Yarmouk, da tempo cinta d’assedio dalle forze governative, i
miliziani dell’Is sarebbero entrati
dal vicino quartiere di Hajar
Aswad, dove avevano organizzato da mesi proprie basi, secondo
quanto sostenuto dai palestinesi
del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, un’organizzazione vicina invece all’Autorità palestinese e sostenuta dal
Governo di Damasco.
dell’Alta corte hanno giudicato il
progetto «dannoso per la popolazione locale e per i monasteri della
valle». A Cremisan, oltre a quella
delle salesiane, c’è anche una casa
di salesiani.
Sull’eventuale nuovo tracciato
della barriera non ci sono certezze.
L’Alta corte, infatti, ha respinto anche una nuova proposta dal ministero della Difesa israeliano, che è
stato invitato a emendarla, e un
percorso alternativo suggerito dai
ricorrenti, giudicato non appropriato a garantire un sufficiente livello
di sicurezza.
«Siamo tutti contenti. Hanno
vinto tutti, anche Israele, che ha saputo mostrarsi sensibile verso la popolazione locale e i suoi diritti, oltre che verso la causa della pace. È
una vittoria della giustizia israeliana
che ha avuto il coraggio di prendere una simile decisione» ha dichiarato il patriarca di Gerusalemme
dei Latini, Fouad Twal, che ieri pomeriggio, dopo l’annuncio della
sentenza, ha tenuto una conferenza
stampa tra gli ulivi della valle di
Cremisan, nello stesso luogo dove
da anni, ogni venerdì è stata celebrata una Messa.
Il patriarca ha sottolineato inoltre
come per questa causa sia stato importante il sostegno di numerosi
esponenti della società civile israeliana, oltre che da alcuni rappresentanti dell’ebraismo. Senza tralasciare il contributo di molte organizzazioni internazionali.
Alla conferenza stampa nella valle di Cremisan sono intervenuti anche i legali che hanno sostenuto il
ricorso. Il loro intento dichiarato è
che il futuro tracciato del muro
coincida con la linea verde (segnata
sulle mappe con l’armistizio araboisraeliano del 1949) oppure si snodi
sul suolo israeliano e non palestinese. In caso contrario sono pronti a
ricorrere di nuovo in tribunale.
Dopo l’attentato a Tunisi
Sgominate
due cellule
terroristiche
L’Onu denuncia oltre 500 morti e 1700 feriti in due settimane di conflitto
Yemen insanguinato
SAN’A, 3. Nelle ultime due settimane in Yemen sono rimaste uccise 519 persone e 1.700 sono rimaste ferite. Tra
le vittime molti civili e 90 bambini. Decine di migliaia
gli sfollati e i rifugiati nei Paesi vicini. Lo ha denunciato oggi Valerie Amos, la responsabile Onu per gli Affari Umanitari, riportando dati forniti da organizzazioni
umanitarie in diverse zone del Paese arabo.
Il 25 marzo scorso la coalizione sunnita guidata
dall’Arabia Saudita ha avviato le operazioni militari in
Yemen per fermare l’avanzata dei ribelli sciiti huthi nel
sud del Paese. Amos esprime preoccupazione «per i civili intrappolati nel mezzo di violenti combattimenti».
La responsabile Onu per gli Affari Umanitari chiede «a
tutte le parti» di «fare il possibile per proteggere donne, bambini e uomini che soffrono per le conseguenze
del conflitto» e ricorda che prima «della recente escalation di violenze, milioni di yemeniti erano già in condizioni estremamente vulnerabili».
Intanto, il portavoce dell’operazione «Tempesta conclusiva», il maggiore dell’esercito saudita Ahmed Asiri,
ha annunciato oggi che «i ribelli sciiti huthi non sono
riusciti a occupare i palazzi del potere di Aden», nel
sud dello Yemen. Parlando alla stampa, l’ufficiale ha affermato che gli sciiti «hanno tentato di issare la loro
bandiera sui palazzi del centro di Aden ma non sono
riusciti a fare altro che prendere il controllo di uno o
Nove soldati e dieci civili uccisi dai miliziani jihadisti nigeriani
Non si ferma
la violenza di Boko Haram
due quartieri della città». Già ieri sera il portavoce della
coalizione internazionale il generale saudita Ahmed Asseri, aveva smentito le notizie circolate sui media in merito alla conquista del palazzo presidenziale di Aden.
In una conferenza stampa, il generale aveva affermato che ad Aden la situazione è «stabile» e che la coalizione si sta coordinando con gruppi armati locali per
respingere gli huthi. Sarà invece fermato ogni tentativo
di portare aiuto agli sciiti, ha garantito il portavoce, assicurando che i raid della coalizione hanno la priorità
di «distruggere le infrastrutture e di impedire progressi
da parte degli huthi». Infine il generale ha dichiarato
che «diversi tentativi di superare in modo non autorizzato il confine saudita con lo Yemen sono stati fermati». In precedenza era arrivata la notizia di scontri tra
soldati sauditi e huthi lungo il confine.
Nel frattempo, l’aviazione americana rifornirà in volo
gli aerei militari sauditi impegnati nell’offensiva nello
Yemen. Il comando militare americano nella regione del
Golfo persico ha dato il via libera all’operazione, che si
svolge fuori dallo spazio aereo yemenita. I voli di rifornimento saranno risarciti da Riad a Washington, che sta
già fornendo al regno informazioni di intelligence provenienti dai satelliti riguardo agli spostamenti delle unità ribelli lungo il confine con l’Arabia Saudita.
Si riaccendono gli scontri
nel Sud Sudan
JUBA, 3. Torna a crescere la tensione in Sud Sudan, dove si riaccendono gli scontri tra le forze fedeli
al presidente Salva Kiir Mayardit e
i ribelli guidati dal suo ex vice
Rijek Machar. In particolare, la situazione appare critica a Malakal,
la capitale dello Stato dell’Alto Nilo, uno di quelli più insanguinati
dal conflitto civile esploso a metà
dicembre del 2013. A esasperare le
tensioni nell’area ha contribuito
l’uccisione in un agguato del generale Bwogo Olieu, comandante di
una milizia alleata all’esercito fedele
al presidente e di dodici suoi commilitoni.
Nel ricostruire la vicenda, il quotidiano «Sudan Tribune», ipotizza
non tanto una responsabilità dei ribelli, quanto una spaccatura nelle
forze filogovernative. Secondo il
giornale, infatti, a tendere l’agguato
a Bwogo Olieu e ai suoi uomini sarebbero stati militari di etnia dinka,
gruppo maggioritario in Sud Sudan, al quale appartiene Salva Kiir
Mayardit. Olieu era il vice di Johnson Olony, comandante in capo di
una milizia composta invece per lo
più da combattenti di etnia shilluk.
Nel conflitto sud sudanese, le componenti etniche hanno assunto fin
dall’inizio un ruolo rilevante.
TUNISI, 3. Il ministero dell’Interno tunisino ha annunciato oggi in
una nota di aver catturato i membri di due cellule terroristiche. Le
persone fermate sono state in contatto con i tre terroristi che hanno
preso parte all’assalto e alla strage
avvenuta il 18 marzo scorso al museo del Bardo di Tunisi, in cui ci
furono 23 morti. I terroristi fermati avrebbero offerto supporto logistico e dato armi a chi ha eseguito
l’attentato. Altri fondamentalisti
hanno invece compiuto attentati
contro le sedi della sicurezza.
Le persone fermate nell’ambito
di questo blitz sono 21, cinque dei
quali avrebbero legami diretti con
una serie di attentati avvenuti nel
Paese. Sono invece 46 in tutto le
persone finora fermate nell’ambito
delle indagini sull’attentato al
Bardo. Secondo le autorità tunisine, la mente dell’azione terroristica fu l’algerino Lokmane Abou
Sakh, leader della Brigata Okba
ibn Nafaa, legata ad Al Qaeda nel
maghreb islamico (Aqmi). Lokmane Abou Sakh è stato ucciso dalle
forze di sicurezza tunisine sabato
scorso nel corso di un’operazione
antiterrorismo che ha portato alla
cattura di altri nove estremisti.
Nuovi
combattimenti
nelle città
libiche
TRIPOLI, 3. Sono ripresi i raid aerei dei caccia libici, fedeli al generale Khalifa Haftar che hanno
preso di mira questa volta la città
di Zawara. Secondo quanto riferisce l’emittente televisiva Al Jazeera, i caccia hanno colpito ieri sera
l’aeroporto locale provocando però solo danni materiali. A Tripoli,
invece, una milizia armata ha attaccato la sede della polizia provocando la morte di un agente e il
ferimento di altri tre. Nei giorni
scorsi i raid aerei avevano colpito
anche la città di Zintan. Il premier libico del Parlamento di Tobruk, internazionalmente riconosciuto, Abdullah Al Thani, ha affermato ieri che la soluzione all’attuale crisi deve essere duplice: da
un lato il dialogo politico per
creare un Governo di unità nazionale, dall’altro la continuazione di
operazioni militari per sconfiggere
i gruppi terroristi. Al Thani ha
poi auspicato che Russia e Cina
riescano a convincere il Consiglio
di sicurezza a revocare l’embargo
sulle armi, al fine di creare un
nuovo esercito regolare equipaggiato per combattere il terrorismo
Dispiegati altri millecinquecento caschi blu nel nord del Mali
L’Onu rafforza la Minusma
Profughi in fuga da Boko Haram (Afp)
ABUJA, 3. Nove soldati ciadiani sono
morti ieri in un’imboscata dei miliziani del gruppo fondamentalista di
Boko Haram nel nord-est della Nigeria. I militari impegnati nelle operazioni contro il gruppo jihadista sono stati attaccati a una decina di
chilometri da Malam Fatori, strategica cittadina dello Stato federato
nigeriano di Borno, riconquistata
martedì dalle truppe regolari del
Ciad e del Niger dopo intensi combattimenti, che hanno provocato la
morte di oltre cento terroristi. Malam Fatori è uno snodo di importanza cruciale situato in riva al lago
Ciad, a ridosso dei confini fra i tre
Paesi che veniva utilizzato dal gruppo jihadista come testa di ponte per
le proprie scorrerie nell’intera area.
Sempre ieri, altre dieci persone
sono morte per un’esplosione nei
pressi di una stazione degli autobus
nella città nigeriana di Gombe, capitale dell’omonimo Stato nel nordest. I feriti sono almeno quindici, alcuni molto gravi ha dichiarato
Muhammad Garkuwa, leader del
sindacato degli autisti di autobus.
L’esplosivo sarebbe stato posizionato da una donna accanto a un bus
in partenza per Jos.
BAMAKO, 3. La Minusma, la missione dell’Onu nel nord del Mali, sarà
rinforzata da millecinquecento caschi blu inviati da Guinea e Burkina
Faso, che saranno dispiegati tra
aprile e giugno. Alla fine di febbraio la Minusma contava 9.983 uomini sul terreno, rispetto a un tetto
massimo previsto dal Consiglio di
sicurezza dell’Onu di 12.640. I nuovi reparti saranno di stanza a Timbuctu e dovranno fornire sostegno
agli elicotteri d’attacco già presenti
a Gao. La Minusma intende inoltre
acquistare tre droni per la sorveglianza a lungo raggio, che potrebbero diventare operativi già dal mese di giugno.
La decisione di rafforzare la Minusma è stata presa poche ore prima della diffusione di un rapporto
dell’Onu che attribuisce a suoi caschi blu la responsabilità dell’ucci-
Caschi blu della Minusma
sione di tre manifestanti e del ferimento di altri quattro lo scorso 27
gennaio a Gao. In un comunicato
dell’Onu si afferma che il segretario
generale, Ban Ki-moon, «condanna
la violazione delle direttive sull’uso
della forza e s’impegna a vigilare
perché le persone implicate siano
considerate pienamente responsabili
delle loro azioni».
La scelta di rafforzare la Minusma conferma come l’Onu tema un
aumento dell’instabilità nell’area. E
questo a causa del rifiuto da parte
del coordinamento dei movimenti
dell’Azawad, composti in prevalenza
da tuareg, di firmare l’accordo raggiunto ad Algeri tra il Governo di
Bamako e altre formazioni politiche,
e anche a causa delle violenze compiute da gruppi islamisti e da milizie filogovernative.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
sabato 4 aprile 2015
Tintoretto, «L’ultima cena» (1592-1594)
Elogio del silenzio
Il mendicante
e il dono
di JOSÉ TOLENTINO MEND ONÇA
quanto sembra, per anni John Cage studiò la
possibilità di elaborare
un’opera totalmente priva di suono, ma due cose glielo impedirono: il dubbio che
una tale impresa potesse essere destinata al fiasco immediato, giacché
tutto è suono, e la certezza che una
composizione del genere risultasse
incomprensibile nell’ambito dello
spazio mentale della cultura dell’occidente. Tuttavia, incoraggiato dalle
esperienze che si andavano già realizzando nelle arti visive, costruì il
suo pezzo intitolato 4’33’’. La proposta di John Cage era assolutamente anomala: gli orchestrali dovevano salire sul palcoscenico, salutare il pubblico, sedersi ognuno al
suo strumento e restare lì, in silenzio, quattro minuti e trentatré secondi. Dopodiché dovevano alzarsi,
ringraziare la platea e andarsene.
La protesta del pubblico fu generale e venne giù una pioggia di fischi. Ma per tutto il resto della vita, John Cage continuò a parlare di
questo suo pezzo con sentita considerazione: «Il mio pezzo più importante è quel pezzo silenzioso;
non passa giorno senza che me ne
serva per tutto quello che faccio.
Lo ristudio immancabilmente ogni
volta che devo scrivere un pezzo
nuovo».
Quando penso al contributo che
l’esperienza religiosa potrà dare in
un prossimo futuro all’umanità,
penso francamente che, più che la
parola, sarà la condivisione di quel
patrimonio immenso che è il silenzio. Già il racconto biblico di Babele mette a nudo i limiti dell’impulso totalitario della parola. Con
la parola facciamo l’esperienza della
differenziazione, esperienza certamente fondante, ma anch’essa parziale. Abbiamo bisogno di un’altra
scienza alla quale ricorriamo di rado: il silenzio. Isacco di Ninive,
verso la fine del VII secolo, sentenziava: «La parola è l’organo del
mondo presente: il silenzio è il mistero del mondo che sta per arrivare». Credo che sia assolutamente
urgente rivisitare, secondo una valutazione diversa, i territori dei nostri silenzi e farne luoghi di scambio, di dialoghi, di incontri.
Il silenzio è uno strumento di costruzione di pace. Le nostre società
investono tanto nella costruzione di
A
Oltre Babele
Pubblichiamo stralci dal
contributo del sacerdote e
poeta portoghese tratto
da «La Rivista del Clero
Italiano» (gennaio 2015)
competenze nel campo della parola
e tanto poco nelle competenze che
operano nel silenzio. Siamo analfabeti del silenzio ed è questo uno
dei motivi per cui non sappiamo vivere nella pace.
Nella diversità delle tradizioni religiose e spirituali dell’umanità, il
silenzio è un trait d’union più frequente di quanto s’immagini e più
fecondo di quanto si ritenga. Si
tratta in realtà di una grammatica
comune. Nella tradizione musulmana, per esempio, il centesimo Nome
di Dio è il nome impronunciabile
che non si può invocare se non in
silenzio.
I mistici di tutte le geografie non
si sono mai stancati di esplorare
questo spazio. Si veda il persiano
Rumi (1207-1247) che erudisce il
suo discepolo: «A colui che conosce Dio mancano le parole». In
un’altra latitudine abbiamo la nota
spirituale di Lao-Tse, «il suono più
forte è quello silenzioso» o quella
di Basho, «Silenzio / una rana
s’immerge /dentro di sé», o quella
di Eleazar Rokéah di Worms, cabalista ebreo, che afferma: «Dio è silenzio». Anche la Bibbia valuta minuziosamente il silenzio di Dio, come attesta il dittico che ci offre il
Libro delle Lamentazioni: «E bene
aspettare in silenzio la salvezza di
D io».
Il silenzio ha tutto per diventare
un sapere condiviso quanto all’essenziale, quanto a ciò che ci unisce,
quanto a ciò che può, per ciascuno
di noi come individuo e per tutti
come comunità, gettare le fondamenta dei modi possibili per reinventarci. Ma per questo abbiamo
bisogno di un’iniziazione al silenzio, che equivale a dire un’iniziazione all’arte di ascoltare.
Nella società della comunicazione c’è un deficit di ascolto. In una
cultura della valanga di parole come la nostra, un vero ascolto si può
configurare solo come una risignificazione del silenzio, un arretramento critico di fronte al delirio di parole e messaggi. L’arte dell’ascolto,
perciò, è un esercizio di resistenza.
Stabilisce una discontinuità rispetto
al reale apparente, alla successione
oziosa del discorso. L’ascolto costituisce una cesura, una pratica d’attenzione.
Permettetemi d’inserire qui una
storia presa dal quotidiano. Chi frequenta le università ecclesiastiche di
Roma conosce un mendicante che
Ultima cena ed equità
Per la redenzione
dell’umanità
di ABRAHAM SKORKA
econdo il rituale della
Pasqua ebraica, nelle
prime due sere della festività nella diaspora, e
solo nella prima in
Israele, si deve celebrare una cena
speciale regolata da diversi passi
dal grande contenuto simbolico.
Il suo primo obiettivo è di ricreare l’ultima cena degli avi in terra
d’Egitto, più di 3300 anni fa, prima della loro uscita verso la libertà, per narrarne eloquentemente la storia ai propri figli. Il
Pentateuco indica in quattro punti il significato pedagogico, di
trasmissione, che tale cena deve
S
Non basta aiutare
chi è fuori dal sistema
Tutti devono stare dentro
come fratelli
sotto lo stesso tetto
Dosso Dossi, «Giove pittore di farfalle, Mercurio e
la Virtù» (1523-1524, particolare)
gira per tutto il centro storico. Un
uomo che avrà oggi una sessantina
d’anni, con un aspetto discreto, direi quasi fine. Avvicina i passanti
con due domande. Attacca con:
«Parla italiano?» e quale che sia la
risposta, passa alla mossa seguente.
Prende con molta cura una moneta
tra due dita e te la mette vicino agli
occhi domandando: «Ha 100 lire?».
Quando l’ho conosciuto le cose andavano così. Tempo dopo, con l’introduzione dell’euro, è passato a
chiedere 10 centesimi. La prima volta che t’interpella con quella richiesta, pensi che si tratti della differenza di cui ha bisogno per arrivare
all’importo di un biglietto della metropolitana o di un pezzo di pizza.
Ti può capitare d’incontrarlo cento
volte eppure rimani sempre lì, senza sapere cosa pensare.
Ma un giorno ho assistito a una
scena che forse spiega una parte
dell’enigma. In una strada nei pressi del Pantheon sta seduto un altro
mendicante. Prostrato, sarebbe meglio dire “vestito di stracci', un
braccio deformato da tumefazioni,
un’aria che è l’immagine di tutto:
dolore ed esclusione. Da distante,
vedo il protagonista della nostra
storia avvicinarsi a lui. E percepisco, con stupore, che ripete al mendicante la cantilena che rivolge a
tutti gli altri, mostrandogli insistentemente una moneta. Forse per allontanarlo, forse vinto dalla compassione, vedo il mendicante prendere dal suo piattino una moneta e
consegnargliela. E a questo punto
la scena si fa indimenticabile. L’uomo s'inginocchia, lì, davanti a tutti,
afferra le mani del mendicante e, in
preda a una grande emozione, le
bacia ripetutamente. Non chiedeva
soldi. Chiedeva un bene più raro e
vitale: chiedeva il dono.
Se non ci fermiamo ad ascoltare
quello che chiediamo in silenzio,
non ci troveremo mai.
avere (Esodo, 10, 2; 12, 26-27; 13,
8; 13, 14), sottolineando l’importanza di questa lezione che i genitori devono offrire ai figli.
Spiegare che cos’è la libertà
appare a prima vista come esporre un tema evidente e facilmente
comprensibile, ma in realtà si
tratta di una delle materie più
complesse e cruciali nella storia
umana. Al termine della seconda
guerra mondiale — quando si cercava affannosamente un’ipotesi
per capire com’era potuto accadere che il popolo tedesco, artefice
nei primi decenni del XX secolo
dei progressi più significativi nel
campo delle scienze e delle arti,
avesse potuto cedere dinanzi al
fascino di un demente — Erich
Fromm scrisse il suo famoso Paura della Libertà. Era la stessa ricerca che intraprese Hannah
Arendt e che plasmò nel suo noto
libro Le origini del totalitarismo. Il
significato profondo dell’essere liberi non si rivelò così elementare
e semplice come lo era stato in
un passato lontano.
L’attuale realtà mondiale dimostra chiaramente quanto l’umanità sia lungi dall’avere acquisito
una comprensione profonda di
questo concetto. Le società che
continuano a idolatrare idee o individui, vedendo in essi la fonte
redentrice per tutte le loro mancanze, e gli individui che, pur
avendo acquisito vaste conoscenze in diverse discipline, vendono
la propria dignità per denaro o
per una posizione sociale, sono
meri esempi di una carenza spirituale di cui la Bibbia ci avverte
drammaticamente e che ci esorta
a superare.
L’agire impulsivamente, senza
alcuna analisi critica, e l’inebriarsi
soddisfacendo gli istinti più bassi
senza essere consapevoli del limite, sono manifestazioni di una
realtà in cui dominatori e dominati rendono omaggio alle divinità che riempiono tristemente il
tempio idolatrico eretto nella
realtà postmoderna attuale, così
ricca di sorprendenti progressi
tecnologici e ridondante del paganesimo più abietto. Una delle
frasi che si ripete nel racconto biblico è che Dio deve giudicare
non solo il faraone, despota
schiavista, ma anche le sue divinità, nelle quali ripone la sua fede
e attraverso le quali giustifica il
suo potere e agisce (Esodo, 12, 12;
Numeri 33, 4). La storia non è
stata ancora superata.
La Bibbia non solo enuncia
concetti e norme generiche con
cui organizzare una società fondata sulla giustizia, condizione
necessaria per garantire la libertà
dei suoi membri, ma spiega anche la loro quintessenza.
Nel capitolo 25 del Levitico si
elenca una serie di norme per garantire la giustizia sociale. Ogni
famiglia deve avere un terreno
inalienabile, di sua proprietà. Se i
suoi membri non potranno lavorarlo per ottenerne frutti, lo potranno affittare. La terra sarà lavorata per sei anni e il settimo riposerà. Dopo sette cicli, riposerà
anche nell’anno quinquagesimo,
chiamato giubileo. In quell’anno
scadranno tutti gli affitti e i terreni torneranno ai loro proprietari.
I latifondi e la miseria che generano sono limitati da questa norma, rudimento di quello che fu
conosciuto nel XX secolo come
“riforma agraria”.
L’aiuto al prossimo perché possa vivere con dignità viene descritto dettagliatamente in questo
capitolo che si conclude con il
versetto: «Poiché i figliuoli
d’Israele son servi miei; sono miei
servi, che ho tratto dal paese
d’Egitto. Io sono l’Eterno, l’Iddio
vostro» (Torah, Levitico, 25, 55).
Solo l’uomo libero può servire
Dio e questa condizione si può
raggiungere attraverso la giustizia
sociale e l’equità.
Ma come definire esistenzialmente l’equità sociale? Al di là
delle norme e dei tecnicismi legali, che cos’è l’equità sociale che
garantisce la libertà piena dei
membri di una società, è regolata
da un sistema giuridico e si considera liberamente organizzata?
La risposta si trova nel versetto
36 del suddetto capitolo: «E viva
il tuo fratello presso di te». Non
basta offrire doni, né alleviare
umilmente la fame. Si devono garantire condizioni minime di educazione, cultura, alimentazione,
salute e tutto il necessario per
un’esistenza dignitosa, affinché i
membri della società si ritrovino
affratellati nelle loro condizioni
di vita.
Non basta aiutare quelli che
stanno “fuori dal sistema”; tutti
devono stare dentro il sistema,
come fratelli che condividono armoniosamente la propria vita sotto uno stesso tetto. Solo allora il
messaggio delle gesta d’Egitto acquista il suo significato ultimo.
Parlare di redenzione vuol dire riferirsi alla realizzazione di questo
progetto di vita. Perciò la liturgia
ebraica insegna che si deve ricordare la storia dell’uscita dall’Egitto ogni giorno e ogni sera della
vita.
L’ultima cena narrata nei testi
dei Vangeli è quella con cui Gesù
e i suoi discepoli celebrarono la
Pasqua a Gerusalemme, una delle
tre festività del pellegrinaggio alla
città e al Tempio che si trovava al
suo centro. In quella cena rituale
— in cui, a quel tempo come nel
presente, i loro fratelli ebrei mangiano solo pane azzimo, il pane
della povertà — fu istituita l’Eucaristia. Il tema che considerarono
continua a essere lo stesso: la redenzione
dell’individuo
e
dell’umanità. Come creare un
realtà in cui la dignità umana si
manifesti sulla faccia della terra
nella sua massima espressione affinché la presenza del Creatore
Il commento
Pubblichiamo in una nostra
traduzione l’articolo del
rabbino della comunità Benei
Tikva e rettore del Seminario
rabbinico latinoamericano
Marshall T. Meyer uscito il 3
aprile sul quotidiano «La
Nación».
sia più manifesta agli occhi e ai
cuori di molti? È stata, è e continuerà a essere la domanda che
ogni generazione si dovrà porre.
D’altronde, dovrebbe essere la
domanda fondamentale nel dialogo tra ebrei e cristiani, soprattutto nel ricordare la storia di questa
festività che entrambi indicano
con lo stesso vocabolo, poiché
Pasqua è una deformazione
dell’aramaico Pasja, che deriva
dell’ebraico Pesaj.
Sebbene da allora in poi i cammini dei cristiani e degli ebrei
hanno cominciato a divergere,
guardandosi gli uni gli altri nel
corso dei secoli, entrambi hanno
ricordato la loro origine comune
e l’essenza della sfida fondamentale che li avvicina. Antiche lezioni comuni sono tornate in mente,
insieme al loro sempiterno messaggio e a una rinnovata speranza.
In Puglia sulle note dello Stabat Mater
Illuminata dalle fracchie
di MATTEO CO CO
Stabat mater dolorosa / iuxta crucem lacrimosa /
dum pendebat filius. La lunga sequenza attribuita a Jacopone risuona la mattina del Venerdì
Santo quando all’alba la Vergine Addolorata
esce alla ricerca del Figlio morto per visitare gli
altari della reposizione freschi e odorosi di fiori
di mandorlo, simbolo della Risurrezione, o di
grano appena spuntato.
Se sono tante le processioni che il canto accompagna in tutta l’Europa cristiana, particolarmente suggestiva è la lunga teoria processionale
che inizia la mattina, ben presto, a San Marco
in Lamis in Capitanata (Puglia) dove una fiumana di gente, soprattutto uomini, accompagna
la Madre Addolorata in visita alle sette chiese
cittadine. Ed è commovente ascoltare le voci
baritonali dei confratelli in alternanza con quelle — di certo più delicate e gentili, sottili — delle donne vestite di nero, con rigoroso lutto, che
precedono la settecentesca statua della Vergine
in pianto, anch’ella ammantata di nero, dolente
per la scomparsa del Figlio.
Rivive così, in questo giorno, l’anima popolare e la devozione si fa ancora più ricolma di pathos quando il canto — amatissimo dai fedeli
non meno che da intere generazioni di musicisti
colti, da Pergolesi a Rossini — risuona dopo il
tramonto e la statua della Vergine Addolorata,
opera del Valentini, ritorna a uscire per le trade
della cittadina garganica illuminata dalle “frac-
chie”: grosse torce a forma di cono pieno zeppo
di legna buona da ardere, trainate su carrelli
dai giovani del paese che le hanno costruite.
Un tempo fatte a devozione dei carbonai e
dei boscaioli della zona, le fracchie — che arrivano a bruciare anche un centinaio di quintali
di legna — alzano al cielo le loro fiamme per
purificare l’animo dei tanti, provenienti da ogni
parte del mondo, che si assiepano lungo il tragitto, per illuminare il passaggio dell’Addolorata e mandare al cielo le preghiere, le speranze,
il pianto di ognuno che assiste alla sacra rappresentazione. Il popolo si immedesima, quindi, in quel dolore e si rivolge alla Perdolente,
corredentrice, sotto la croce, del genere umano,
continuando a cantare: Eia, Mater, fons amòris,
flammis urar ne succénsus, per te, Virgo, sim defénsus in die iudícii. Fac me cruce custodíri morte
Christi praemuníri, confovéri grátia (Oh, Madre,
fonte d’amore, che io non sia bruciato dalle
fiamme, che io sia, o Vergine, da te difeso nel
giorno del giudizio. Fa’ che io sia protetto dalla
Croce, che io sia fortificato dalla morte di Cristo, consolato dalla grazia).
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 4 aprile 2015
pagina 5
Tintoretto,
«Crocifissione»
(1565)
L’agonia di Gesù sul Golgota e il mistero dell’ora meridiana
Via crucis
Quel furto
al salmo 31
Alla scuola
del dolore
di ROSSANA VIRGILI
ora del mezzogiorno
è un’ora di incontri a
sorpresa nel mondo
della Bibbia. Capita
di imbattersi con degli angeli a quell’ora (cf Genesi, 18,
1), oppure con degli uomini che
parlano come dei profeti (cf Giovanni, 4, 6). L’ora più calda del giorno
e l’ora più solitaria, specialmente
nei Paesi del Vicino Oriente, quando il sole picchia così forte da indurre i più a restare in casa al fine
di evitare degli effetti allucinanti sul
cervello, o dei fenomeni di fata
morgana.
L’
William Congdon, «Crocefisso 64» (1973)
Il quadro che appare al lettore alla fine del pellegrinaggio sul luogo
del Cranio, alla fine delle operazioni di crocifissione, alla fine di tutte
le parole — che fossero di amore o
di scherno — alla fine di ogni tentazione, nel grembo primordiale del
silenzio e del vuoto, è davvero da
visionari: nell’ora della massima luce, la terra tutta si copre di tenebre.
Buio su tutta la terra. Un giro alla
moviola del mito di creazione. Allora fu dal buio che emerse la luce,
qui è il contrario: è la luce che partorisce le tenebre! Un autentico atto
di de-creazione che ha il sapore delle cosmologie, del resto già annunciate con la menzione del paradiso.
Il sole si nascose dietro la luna, perdendo il suo ordine a illuminare il
giorno (cf Genesi, 14-16), creature
caddero nel disordine e, quindi, ritornarono a Dio (cf Qoèlet, 12, 7).
Tutto durò solo tre ore. Ma furono
lunghissime. Le tre ore dell’agonia
di un figlio. Come gli anni di male
di Giobbe. Che lo costringeva contare i secondi per lunghi, lunghissimi giorni. Per giorni per notti interminabili e senza alcun minimo sostegno. Tre ore senza luce né lampada.
Quando per morire basterebbero
tre minuti. Tempo di lotta che apre
all’«Eccomi» di Gesù. Il tempo per
imparare l’arte di Maria, la forte docilità della donna. «Padre, nelle tue
mani rendo il mio spirito» (23, 46).
Scegliendo tra i versetti del Salterio,
il Gesù di Luca rinuncia al più maschile: «Perché mi hai abbandonato?» del Salmo 22 (cf Marco, 15, 34)
per un più femminile «mi abbandono» rubato al salmo 31 (cf Luca, 23,
46). Un «mi consegno» di resa, un
muliebre e perduto: total surrender.
Il rischio di far penetrare l’immenso
buio del Cielo nella carne cava e
protesa. Fino alla perdita e la consegna agli abissi dell’assenza. Ferita di
stelle.
Tre ore senza luce né lume. Senza
la lampada del tempio. Senza la serena mediazione del culto, la fissità
delle funzioni. Il suo velo squarciato
e la luce del Santo dei santi che va
in frantumi, che rivela il volto nudo
e oscuro di Dio. Del Dio “ignoto”
(cf Atti, 23) e del Cielo vuoto. Tutto
ciò è esperienza interiore. Ciò che si
vede in queste tre ore a occhio nudo
è lo scempio di volti sfigurati, di
membra che cercano di reagire contorcendosi, di polmoni che si arrendono alla troppa fatica che chiede a
un crocifisso per respirare. Quello
che si vede è la vergogna della politica, religiosa e civile, che ha scartato un cittadino, un uomo, un figlio
e l’ha gettato via come un oggetto
ripugnante. Quello che si vede è il
fallimento della giustizia e la corruzione di coloro che ne sono esperti
e garanti. Quello che si vede è l’arbitrio colpevole di uomini — per di
più sacerdoti! — che si arrogano un
potere che non hanno mai: quello
di dare la morte a una creatura
umana, foss’anche un criminale.
Non è possibile sapere cosa avesse visto il centurione nel modo di
morire di Gesù, per definirlo “giusto”, cioè, ancora innocente (v. 47;
Marco, 15, 39 = Matteo, 27, 54: «Veramente quest’uomo era Figlio di
Dio»); quale rara luce di diritto dovesse illuminare quest’ultimo e unico giudizio giusto fatto su Gesù.
Una corte d’appello che invalidava
le sentenze corrotte di tutto il primo
grado.
Gesù moriva semplicemente con
un grido (versetto 46: fonè megàle).
In esso l’eco del grido del “sangue
di Abele” che erompeva, selvaggio,
dalla terra a rivendicare la vita (Genesi, 4, 10); di Israele schiavo e ridotto a una larva, in Egitto, che
chiedeva di rialzare la testa, di essere liberato (Esodo, 2, 23). Grida che
il Cielo ascoltò. Il grido di Gesù fa
eco e si include a quello di Elisabetta, quando ricevette la visita di Maria: il bambino nel suo grembo si
mosse e la madre «gridò forte»
(kraughè megàle, Luca, 1, 42). Un
grido di gioia, di corrispondenza, di
benedizione che Elisabetta lancia
come una sfida alla croce e al grido
del Figlio che muore di strazio e di
solitudine. Se non ci fosse stato il
grido anticipato di Elisabetta a chiamare la vita, forse quello di Gesù
sulla croce non mai stato decodificato, e sarebbe restato soltanto un
desolato lamento di morte.
Sulla via del ritorno le folle ripensavano a ciò che avevano visto
(theorésantes). Il monte della croce è
materia, ma anche rappresentazione.
E su quest’ultima le folle si battono
il petto, trovando in essa una via di
conversione, una liturgia di pentimento.
Ultime a essere citate, mentre i riflettori si spengono sulle sagome dei
crocifissi, sono le donne. Esse vedono queste cose (oròsai, versetto 49).
Una visione che penetra la realtà
della croce. Sono testimoni di quel-
Quattro bibliste
Pubblichiamo uno stralcio del
commento a Luca pubblicato
nel libro I Vangeli tradotti e
commentati da quattro bibliste
(Roma, Àncora Editrice, 2015,
pagine 1900, euro 46,75).
la. Mentre Maria meditava su ciò
che accadeva al bambino (symbàllousa, Luca, 2, 19), esse “vedono” ciò
che accade al loro Maestro. La
scuola di sequela, iniziata in Galilea
(cf versetto 49) era adesso arrivata
alla “visione”. Le parole di sapienza,
i gesti di misericordia che avevano
imparato con la sequela (synakolouthoúsai, versetto 49), vengono rivelati alle donne alla luce della croce. È
quanto manca agli apostoli! Luca è
il vangelo delle folle, ma non delle
masse anonime. Luca distingue e
vede in ogni gruppo delle differenze. Non divide il mondo per categorie, ma per persone.
Pubblichiamo uno stralcio dall’introduzione al libro «La via della
Croce»
(Brescia,
Morcelliana,
2015, pagine 46, euro 6) dell’arcivescovo di Chieti-Vasto.
di BRUNO FORTE
a Croce è il luogo in
cui Dio parla nel silenzio: quel silenzio
della finitudine umana, che è diventata
per amore la sua finitudine! II
mistero nascosto nelle tenebre
del Venerdì Santo è il mistero
del dolore di Dio e del suo
amore. L’un aspetto esige l’altro:
il Dio cristiano soffre perché
ama e ama in quanto soffre.
Egli è il Dio “compassionato”, il
Dio per noi, che si dona fino al
punto di uscire totalmente da sé
nell’alienazione della morte, per
accoglierci pienamente in sé nella donazione della vita. Dio non
è impassibile: Egli soffre per
amore nostro. Nella morte di
croce il Figlio è entrato nella “fine” dell’uomo, nell’abisso della
sua povertà, della sua tristezza,
della sua solitudine, della sua
oscurità.
E soltanto lì, bevendo l’amaro
calice, ha fatto fino in fondo
l’esperienza della nostra condizione umana: alla scuola del dolore è diventato uomo fino alla
possibilità estrema. Anche il Padre ha conosciuto il dolore:
nell’ora della croce, mentre il Figlio si offriva in incondizionata
obbedienza a lui e in infinita so-
L
Malgrado il califfo
La tomba di Cristo, o meglio il sepolcro intercettato, tra il 325 e il 326, da Costantino è
oggi conservato sotto la Rotonda del Santo
Sepolcro, ma all’interno delle mura di Gerusalemme. Costantino, dunque, liberò dalla
roccia circostante la tomba ricavata nell’altura prospiciente il Golgota e la rivestì di marmo, creando un piccolo ambiente prezioso.
La ricerca e la monumentalizzazione costantiniana del sepolcro di Gesù sono state
trasmesse da Eusebio di Cesarea che, tra il
337 e il 340, descrive i lavori promossi per liberare l’orlo del Golgota dagli edifici pagani
del Capitolium, concepito da Adriano che,
tra il 130 e il 131, fondò la colonia Aelia Capitolina sulle rovine della città distrutta nel
70. I lavori adrianei, secondo le fonti di parte cristiana, erano finalizzati a obliterare i
luoghi della crocifissione e della sepoltura
del Cristo, l’intera area era stata ricoperta
con una grande quantità di terra e lastricata
di pietra, proprio in corrispondenza della
“grotta sacra”, cioè del Santo Sepolcro, laddove Adriano eresse un tempio dedicato ad
Afrodite (Vita di Costantino III, 26).
In verità, i coni monetali di età adrianea,
riferibili alla colonia Aelia Capitolina, riproducono un tempio dedicato alla Thyche e le
Adamo è morto, è nato il nuovo
Adamo, Cristo e l’uomo che,
con lui e in lui, vince il peccato
e la morte. Dio è morto, ma si è
offerto a tutti il mistero del Padre, che, accogliendo l’Abbandonato nell’ora della gloria, accoglie anche noi con lui.
Il frutto dell’albero amaro
della croce è la gioiosa notizia
di Pasqua: il giorno in cui Dio è
morto cede il posto al giorno
del Dio che vive e di noi, viventi di vita nuova in Lui. Il Consolatore del Crocifisso viene effuso su ogni carne per essere il
Consolatore di tutti i crocefissi
della storia e per rivelare
nell’umiltà e nell’ignominia della croce, di tutte le croci della
storia, la presenza corroborante
e trasformante del Dio cristiano.
La «parola della croce» (1 Corinzi 1, 18) dimostra che è nella
povertà, nella debolezza, nel dolore e nella riprovazione del
mondo che troveremo Dio: non
gli splendori delle perfezioni
terrene, ma proprio il loro contrario, la piccolezza e l’ignominia, diventano il luogo della Sua
presenza fra noi, il deserto dove
Egli parla al nostro cuore.
La perfezione del Dio cristiano si manifesta nelle imperfezioni, che per amore nostro egli assume: la finitudine del patire, la
lacerazione del morire, la debolezza della povertà, la fatica e
l’oscurità del domani sono altrettanti luoghi dove egli mostra
il suo amore, perfetto fino alla
consumazione totale del dono.
salemme (324-333), si distrusse il tempio considerato di
Venere e, «contro ogni attesa», si rinvenne la «grotta»,
che l’imperatore fece adornare di preziosi arredi. Il
monumento
costantiniano
Modellino dell’Edicola
dell’Anàstasis, come è noto,
del Santo Sepolcro
include il luogo della crocedi Gerusalemme
fissione e il sito della resurre(Atene, Museo Benaki)
zione con un organismo circolare annesso a un ampio
edificio di culto, raccordato
da portici colonnati e da un
atrio. La Rotonda fu visitata
da un fiume di pellegrini
anonimi o, poi, divenuti celebri, come Egeria.
Ma il Santo Sepolcro, come si anticipava, fu obliterato dal califfo Hakim Fatimid
indagini archeologiche hanno individuato un nel 1099, che incaricò il governatore di Rarecinto, forse riferibile all’area forense della mla di distruggere la tomba per farne sparire
colonia, mentre non è stata rinvenuta nessu- ogni traccia. Il Martýrion costantiniano fu
na traccia del terrapieno a cui si riferisce la quindi annullato, eppure il muro esterno
testimonianza eusebiana. Eppure, questa ul- dell’Anàstasis si conservò per un’altezza di 9
tima fonte, da affiancare all’Onomasticon del- metri e l’edicola rimase intatta, tanto che i
lo stesso Eusebio e al più antico sermone Pe- Crociati, che entrarono nel Santo Sepolcro la
rì pàscha di Melitone di Sardi, sembra assi- sera del 15 luglio 1099, potevano ancora amcurare che, rispetto alle fonti evangeliche e mirarla. Furono loro ad abbellirla e a coalla Lettera agli Ebrei, si fece strada l’opinio- struire una stanza completamente chiusa da
ne che il sito del Santo Sepolcro e del Gol- ogni lato, definita la cappella dell’Angelo,
gota si trovasse all’interno di Aelia Capitoli- per la presenza di un altare che era ritenuto
parte della pietra che rotolò dall’accesso delna a nord del monte Sinai.
Dopo il concilio di Nicea, nel 325, per ri- la tomba di Cristo e su cui sedette, appunto,
chiesta esplicita di Macario, vescovo di Geru- l’angelo che annunciò la resurrezione.
La Rotonda del Santo Sepolcro
di FABRIZIO BISCONTI
lidarietà con i peccatori, anche il
Padre ha fatto storia!
Egli ha sofferto dell’Innocente consegnato ingiustamente alla
morte: e tuttavia ha scelto di offrirlo, perché nell’umiltà e
nell’ignominia della croce si rivelasse agli uomini l’amore trinitario di Dio per loro e la possibilità di divenirne partecipi. E lo
Spirito, “consegnato” da Gesù
morente al Padre, non è stato
meno presente nel nascondimento di quell’ora: Spirito dell’estremo silenzio, egli è stato lo spazio divino della lacerazione dolorosa e amante, che si è consumata fra il Signore del cielo e
della terra e Colui che si è fatto
peccato per noi, in modo che
un varco si aprisse nell’abisso e
ai poveri si schiudesse la via del
Povero.
Questa morte in Dio non significa però la morte di Dio che
il “folle” di Nietzsche era andato gridando sulle piazze del
mondo: non esiste né mai esisterà un tempio dove si possa cantare nella verità il Requiem aeternam Deo! L’amore trinitario che
lega l’Abbandonante all’Abbandonato, e in questi al mondo,
vincerà la morte, nonostante
l’apparente trionfo di questa.
La sorprendente identità del
Crocifisso e del Risorto mostra
quanto sulla croce è rivelato sub
contrario e garantisce che quella
fine è un nuovo inizio: il calice
della passione di Dio si è colmato di una bevanda di vita, che
sgorga e zampilla in eterno.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
sabato 4 aprile 2015
Il cardinale Norberto Rivera Carrera denuncia violenza e corruzione
Manifestazione di protesta
presso l’Indiana State House (Ap)
I falsi idoli
che feriscono il Messico
INDIANAPOLIS, 3. Dialogo e buon
senso. È quanto invocano i vescovi
cattolici dell’Indiana, a proposito
delle polemiche scaturite dal Religious Freedom Restoration Act. La
legge, prima approvata dal Congresso e poi rinviata dal governatore per
alcuni emendamenti, intende regolare la libertà religiosa nello Stato ma
è stata contestata da diverse associazioni a difesa degli omosessuali, che
l’hanno giudicata discriminatoria.
Anche lo Stato dell’Arkansas ha approvato una legge analoga, nella
quale però sono state inserite norme
che rispondono alle obiezioni
espresse in queste ore in Indiana.
Nel documento firmato da cinque
presuli, tra cui l’arcivescovo di Indianapolis, Joseph William Tobin, si
rileva come la recente approvazione
nell’Indiana del Religious Freedom
Restoration Act «sembra avere diviso
la gente del nostro Stato come pochi altri problemi nel recente passato». I vescovi invitano dunque tutte
«le persone di buona volontà a mostrare rispetto reciproco, in modo
che il dialogo e il necessario discernimento possano avvenire per garantire che nessuno in Indiana debba affrontare la discriminazione, per
l’orientamento sessuale o perché vive una fede religiosa».
I presuli tornano pertanto a sottolineare come «la Chiesa cattolica è
convinta che ogni essere umano sia
creato a immagine di Dio». E, in
quanto tale, «ogni persona merita di
essere trattata con rispetto e dignità». Ovviamente questo comprende
anche il diritto all’accesso a tutto
ciò che sia necessario a una vita dignitosa, quali «il lavoro, l’abitazione, l’istruzione e un’adeguata assistenza sanitaria».
Allo stesso tempo, viene sottolineata anche l’importanza del «principio della libertà religiosa», in
quanto radicato nella stessa dignità
della persona umana. Non a caso,
viene sottolineato, «la libertà religiosa è uno dei diritti più cari nella
Costituzione degli Stati Uniti». In
questo senso, «i diritti di una persona non dovrebbero mai essere usati
in modo inappropriato al fine di negare i diritti di un altro». Infatti,
tutti «siamo chiamati alla giustizia e
alla misericordia».
CITTÀ DEL MESSICO, 3. La violenza, la corruzione e la sete di potere
sono i «falsi idoli» da cui il Messico deve al più presto liberarsi. È
quanto ha detto il cardinale arcivescovo della capitale, Norberto Rivera Carrera, nell’omelia della messa del giovedì santo in cui ha chiesto ai fedeli, e in particolare ai sacerdoti, di unirsi in preghiera per
rispondere «alle gravi sfide che
presenta una società sempre più
frammentata e relativista».
Il porporato messicano è dunque
tornato a denunciare la grave situazione sociale del Paese, in cui vaste
aree si trovano a subire la schiavitù
del crimine organizzato, derivante
da una smisurata ambizione di potere che attecchisce soprattutto in
contesti di povertà e di corruzione.
L’occasione è stata appunto la celebrazione della messa crismale, nella
quale, oltre a benedire gli oli santi,
Rivera Carrera ha esortato i sacerdoti a rinnovare l’impegno per
l’evangelizzazione del Paese. E ha
invocato il Signore perché aiuti i
cristiani a comprendere «quanto
ancora abbiamo bisogno di essere
liberati», faccia aprire gli occhi della coscienza di fronte a quell’estesa
porzione del Messico che appare
schiava della violenza e del crimine. «Ci sono migliaia di persone —
ha detto — che muoiono a seguito
della violenza più folle e diabolica,
tante famiglie spezzate, tanto disprezzo per la dignità della persona umana. E tutto ciò a causa della
smisurata ambizione di ricchezza e
di potere, falsi idoli che non danno
quello che promettono, ma prendono la vita dei suoi fedeli».
Ma c’è una «schiavitù» forse più
insidiosa, potente e dannosa delle
altre. È la corruzione, che il cardinale Rivera Carrera definisce come
la «più scandalosa» tra tutte le malattie che affliggono il Paese. Infatti, in molti «sembrano dimenticare
che il denaro che alimenta i loro
eccessi è stato rubato ai poveri».
Quindi «è un peccato che reclama
al cielo» e che «è imperdonabile se
il danno non viene riparato, se il
denaro non viene restituito al suo
scopo che è pubblico», e dunque
serve «per alleviare la povertà, le
malattie e le esigenze più elementari di migliaia di persone che non
I presuli dell’Indiana sulla legge per la libertà religiosa
Dialogo
dopo le polemiche
tore Asa Hutchinson ha invece dato
il via libera alla legge, dopo che
questa, tenendo conto di quanto
stava accadendo in Indiana, è stata
modificata, accogliendo così le critiche espresse anche dalla Casa
Bianca.
I provvedimenti sulla libertà religiosa dell’Arkansas e dell’Indiana
sono molto simili e divergono, per
molti aspetti, da quello federale che
venne approvato nel 1993 dal presidente Bill Clinton, il più illustre politico nato in Arkansas. La legge approvata da Clinton era volta a tutelare i nativi americani che rischiavano di perdere il lavoro per poter seguire le loro cerimonie religiose,
mentre quelle dell’Indiana e dell’Arkansas sembrano soprattutto essere
orientate a non consentire i matrimoni fra persone dello stesso sesso.
Lo scorso anno Jan Brewer, governatore dell’Arizona, era stata costretta a porre il veto su una simile
legge sotto la minaccia di un boicottaggio da parte degli organizzatore del Superbowl, la finalissima di
football americano.
Alla luce di tutto ciò, i presuli ribadiscono come sia «fondamentale»
che alla libertà religiosa sia assicurata protezione da parte dello Stato.
E citando Papa Francesco ricordano
come «nessuno può esigere da noi
che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza
alcuna influenza sulla vita sociale e
nazionale, senza preoccuparci per la
salute delle istituzioni della società
civile» (Evangelii gaudium, n. 183).
In conclusione, i vescovi dell’Indiana affermano di volere sostenere
«gli sforzi per difendere la dignità
che Dio ha dato a tutto il popolo di
questo Stato, salvaguardando i diritti delle persone di tutte le fedi a
praticare la loro religione senza indebito peso da parte del Governo».
Nel frattempo, di fronte alle polemiche e soprattutto all’alzata di scudi di alcune aziende che si sono
schierate pubblicamente con i contestatari, il governatore dell’Indiana,
Mike Pence, ha corretto il tiro, rigettando la legge così come formulata e rimandandola al Congresso
affinché venga corretta. Nell’Arkansas, come già accennato, il governa-
Campagna dell’episcopato statunitense
Governatorato
della Città del
Vaticano
La missione si gioca in casa
Ufficio delle poste e del telegrafo
Annullo postale speciale
in occasione della Pasqua
di Risurrezione
(5 aprile 2015)
In occasione della Pasqua di
Risurrezione, le Poste Vaticane utilizzeranno l’annullo
speciale della busta-ricordo
dell’omonima festività.
Nel bozzetto è raffigurata
un’immagine
liberamente
ispirata al Cristo Pantocratore tratta dal sito internet
“Qumran2.net”.
Completano l’annullo le
scritte «SURREXIT CHRISTUS
ALLELUIA» e «POSTE VATICANE • 5 APRILE 2015».
Il materiale filatelico da
obliterare, debitamente affrancato a cura dei richiedenti, dovrà pervenire al
Servizio Obliterazioni delle
Poste Vaticane entro il 2
maggio 2015.
WASHINGTON, 3. Si terrà il 25 e il 26
aprile la Catholic Home Missions
2015, l’annuale colletta per le missioni
interne degli Stati Uniti, ovvero a sostegno della pastorale delle aree considerate di frontiera per le difficili
condizioni sociali e ambientali. Realtà dove soprattutto la carenza di clero e di religiosi si scontra con il diffuso bisogno educativo della popolazione. Ad annunciarlo è il sito
dell’episcopato statunitense che, pubblicando l’annuale appello, spiega
anche il senso dell’iniziativa volta a
sostenere l’evangelizzazione, la catechesi, la formazione dei seminaristi e
quella dei laici. «Per alcuni può essere sorprendente sentire parlare del
grande bisogno di molte delle nostre
diocesi qui negli Stati Uniti. Per coloro che non hanno mai fatto esperienza di una diocesi di missione può
essere difficile immaginare di non
avere a disposizione un sacerdote o
materiali di base per insegnare la fede», ha dichiarato il vescovo di Boise
City, Peter F. Christensen, presidente
della sottocommissione episcopale
Catholic Home Missions. Il Catholic
missions appeal, promosso fin dal
1998, ogni anno trova un riscontro favorevole. L’anno passato la sottocom-
missione — rende noto il sito in rete
dell’episcopato — ha approvato per il
2015 lo stanziamento di 9 milioni di
dollari in borse di studio. La colletta
costituisce la principale fonte di finanziamento dei progetti promossi in
favore di circa il 45 per cento delle
diocesi statunitensi. Tra i beneficiari,
la diocesi di Tucson, in Arizona, che
sta utilizzando fondi provenienti dalla colletta Catholic Home Missions
per la catechesi ai cattolici di lingua
spagnola e per sostenere l’opera di
sacerdoti impegnati nella missione tra
i 24.000 abitanti di quattro riserve di
nativi americani.
hanno nemmeno il minimo per vivere dignitosamente».
Nelle parole del porporato anche
degli spunti di riflessione su altri
due argomenti — la famiglia e la
persecuzione dei cristiani nelle regioni mediorientali — recentemente
al centro delle cronache. Quanto
alla famiglia, richiamando la prossima celebrazione in Vaticano, nel
mese di ottobre, del sinodo dei vescovi, ha ribadito come si tratti «di
un progetto caro a Dio e non di
un’istituzione umana che può variare secondo le ideologie». E ha
ricordato come «la nostra arcidiocesi ha sempre difeso i valori della
famiglia, si è opposta con fermezza
al crimine dell’aborto e alle unioni
che pretendono di equipararsi al
matrimonio, così come ha difeso il
diritto dei bambini ad avere un padre e una madre». Però, ha aggiunto, «non basta opporsi», perché la
«chiarezza dottrinale deve condurci
anche a offrire proposte concrete in
cui i nostri fratelli possano trovare
il sollievo della comprensione e
della misericordia». Infine, come
accennato, un pensiero per i cristiani perseguitati, «la cui unica colpa
è quella di credere in Gesù e non
rinnegarlo». Una testimonianza di
fede, ha detto, che ricorda molto
quella di tanti cristiani messicani
del secolo scorso.
L’arcivescovo di Buenos Aires ai sacerdoti
Senza egoismi
BUENOS AIRES, 3. «Servire incondizionatamente per nutrire,
insegnare e amministrare i sacramenti della salvezza alla sua
Chiesa, senza interessi meschini,
senza calcoli egoistici, senza tenere per noi stessi l’unzione che
ci ha dato a piene mani»: è
l’esortazione rivolta ai sacerdoti
dal cardinale arcivescovo di
Buenos Aires, Mario Aurelio
Poli, durante la messa crismale
celebrata ieri nella cattedrale
metropolitana. Il sacerdozio, ha
spiegato, è «una passione che si
rinnova in ogni eucaristia» ma
occorre che l’unzione che anima
a servire sia rinnovata, perché
«le nostre mani unte con il santo crisma nell’ordinazione sono
il segno sacramentale che ci rende capaci di lavorare per il Signore».
L’invito del porporato è a comunicare al popolo di Dio «il
sollievo e la gioia di essere cristiani. Anche il miglior olio diventa rancido se conservato per
troppo tempo; qualcosa di simile accade con il balsamo della
gioia se lo lesiniamo o lo nascondiamo, poiché lo abbiamo
ricevuto gratuitamente per donarlo con generosità. Non lasciamo che ristagni in noi il santo crisma dell’unzione, che ci è
stato dato per rappresentare nelle anime la vita dello Spirito di
Dio». Il sacerdozio è «esercizio
di mediazione».
Nell’omelia il cardinale Poli si
è poi soffermato sull’importanza
della missione della vita consacrata, ricordando coloro che nel
corso dei secoli hanno abbracciato la vita religiosa e tradotto
l’amore di Dio in numerose opere di misericordia, spirituali e
materiali: «Gran parte della vitalità della Chiesa si deve alla
loro costanza e tenacità profetica, specialmente a fianco degli
infermi e dei più vulnerabili, dei
meno istruiti e degli emarginati,
dei poveri e degli esclusi dal sistema sociale, i quali vedono nel
consacrato un fratello e una so-
rella; in essi scoprono la famiglia della Chiesa». Nei monasteri contemplativi — ha aggiunto
— i consacrati «accompagnano
con la forza nascosta e vitale del
sacrificio e della preghiera ogni
iniziativa missionaria. Sono il
volto della diakonia della Chiesa
che cerca di servire coloro che si
incontrano nelle periferie più remote. Abbiamo visto molte volte
che prendono il posto del buon
samaritano e dedicano tempo
per ascoltare, consolare, e anche
la loro semplice presenza a fianco di ogni miseria o dramma
umano è considerata una benedizione».
Sempre ieri, l’arcivescovo di
Santa Fe de la Vera Cruz, José
María Arancedo, presidente della Conferenza episcopale argentina, ha presentato il suo messaggio pasquale intitolato Palabra-Confianza-Ejemplaridad: tre
parole — ha detto — il cui valore
si sta perdendo e che invece risultano fondamentali per rafforzare i legami di amicizia sociale.
Lutto
nell’episcopato
Monsignor Alberto Ricardo
da Silva, vescovo emerito di
Díli, a Timor Est, è morto
giovedì 2 aprile a Parigi, in
seguito a una grave malattia.
Il compianto presule era
nato in Aileu, nella diocesi di
Díli, il 24 aprile 1943 ed era
stato ordinato sacerdote il 15
agosto 1972. Eletto alla sede
residenziale vescovile di Díli
il 27 febbraio 2004, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 2 maggio.
Lo scorso 9 febbraio il Santo
Padre aveva rinunciato al governo della diocesi.
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 4 aprile 2015
pagina 7
Jan Mostaert
«Ecce homo» (1525)
D all’«Ecce homo» ai cristiani perseguitati ancora oggi nel mondo
I martiri perfetti
di RANIERO CANTALAMESSA
Abbiamo appena ascoltato il racconto del processo di Gesù di fronte a
Pilato. C’è in esso un momento sul
quale una volta tanto dobbiamo soffermarci.
«Allora Pilato fece prendere Gesù
e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela
posero sul capo e gli misero addosso
un mantello di porpora. Poi gli si
avvicinavano e dicevano: “Salve, re
dei Giudei!”. E gli davano schiaffi.
Allora Gesù uscì, portando la corona
di spine e il mantello di porpora. E
Pilato disse loro: Ecce homo! “Ecco
l’uomo!”» (Giovanni, 19, 1-5).
Tra gli innumerevoli dipinti che
hanno per tema l’Ecce Homo, ce n’è
uno che mi ha sempre impressionato. È del pittore fiammingo del secolo XVI, Jan Mostaert. Cerco di descriverlo. Servirà a imprimerci meglio nella mente l’episodio, dal momento che il pittore non fa che trascrivere fedelmente a colori i dati del
racconto
evangelico,
soprattutto
quello di Marco (15, 16-20).
Gesù ha in capo una corona di
spine. Un fascio di arbusti spinosi
che si trovava nel cortile, preparato
forse per accendere il fuoco, ha suggerito ai soldati l’idea di questa crudele parodia della sua regalità. Dal
capo di Gesù scendono gocce di
sangue. Ha la bocca semiaperta, come chi fa fatica a respirare. Sulle
spalle gli è posto un mantello pesante e consunto, più simile a latta che
a stoffa. E sono spalle solcate dai
colpi recenti della flagellazione! Ha i
polsi legati a due ritorte con una
rozza fune; in una mano gli hanno
messo una canna a modo di scettro
e nell’altra un fascio di verghe, simboli beffardi della sua regalità. Gesù
non può più muovere neppure un
dito; è l’uomo ridotto all’impotenza
più totale, il prototipo di tutti gli
ammanettati della storia.
Meditando sulla Passione, il filosofo Blaise Pascal scrisse un giorno
queste parole: «Cristo è in agonia fino alla fine del mondo: non bisogna
dormire durante questo tempo»
(Pensieri, Il mistero di Gesù, n. 553).
C’è un senso in cui queste parole si
applicano alla persona stessa di Gesù, cioè al capo del corpo mistico,
non solo alle sue membra. Non, nonostante che ora è risorto e vivo, ma
proprio perché è risorto e vivo. Ma
lasciamo da parte questo significato
troppo misterioso per noi e parliamo
del senso più certo di quelle parole.
Gesù è in agonia fino alla fine del
mondo in ogni uomo o donna sottoposti agli stessi suoi tormenti.
«L’avete fatto a me!» (Matteo, 25,
40): questa sua parola, egli non l’ha
detta solo dei credenti in lui; l’ha
detta di ogni uomo e di ogni donna
affamati, nudi, maltrattati, carcerati.
Per una volta non pensiamo alle
piaghe sociali, collettive: la fame, la
povertà, l’ingiustizia, lo sfruttamento
dei deboli. Di esse si parla spesso —
anche se mai abbastanza —, ma c’è il
rischio che diventino delle astrazioni. Categorie, non persone. Pensiamo piuttosto alle sofferenze dei singoli, delle persone con un nome e
un’identità precisi; alle torture decise
a sangue freddo e inflitte volontariamente, in questo stesso momento, da
esseri umani ad altri esseri umani,
perfino a dei bambini.
Quanti «Ecce homo» nel mondo!
Mio Dio, quanti «Ecce homo»!
Quanti prigionieri che si trovano
nelle stesse condizioni di Gesù nel
pretorio di Pilato: soli, ammanettati,
torturati, in balia di militari rozzi e
pieni di odio, che si abbandonano a
ogni sorta di crudeltà fisica e psicologica, divertendosi a veder soffrire.
«Non bisogna dormire, non bisogna
lasciarli soli!».
L’esclamazione «Ecce homo!»
non si applica solo alle vittime, ma
anche ai carnefici. Vuole dire: ecco
di che cosa è capace l’uomo! Con timore e tremore, diciamo pure: ecco
di che cosa siamo capaci noi uomini!
Altro che la marcia inarrestabile
dell’homo sapiens sapiens, l’uomo che,
secondo qualcuno, doveva nascere
dalla morte di Dio e prenderne il
posto (cfr. Friedrich Nietzsche, La
gaia scienza, III, 125).
I cristiani non sono certamente le
sole vittime della violenza omicida
che c’è nel mondo, ma non si può
ignorare che in molti paesi essi sono
le vittime designate e più frequenti.
per l’eternità fin dove è stato capace
di spingersi l’amore di Dio.
L’ignoranza, per sé, si verificava
esclusivamente nei soldati. Ma la
preghiera di Gesù non si limita ad
essi. La grandezza divina del suo
perdono consiste nel fatto che è offerto anche ai suoi più accaniti nemici. Proprio per loro adduce la scusante dell’ignoranza. Anche se hanno agito con astuzia e cattiveria, in
realtà non sapevano ciò che facevano, non pensavano di mettere in croce un uomo che era realmente Messia e Figlio di Dio! Invece di accusare i suoi avversari, oppure di perdonare affidando al Padre celeste la cura di vendicarlo, egli li difende.
Il suo esempio propone ai discepoli una generosità infinita. Perdonare con la sua stessa grandezza
d’animo non può comportare semplicemente un atteggiamento negativo, con cui si rinuncia a volere il
male per chi fa del male; deve tradursi invece in una volontà positiva
di fare loro del bene, se non altro
con una preghiera rivolta a Dio, in
loro favore. «Pregate per quelli che
vi perseguitano» (Matteo, 5, 44).
Questo perdono non può trovare
neppure un compenso nella speranza di un castigo divino. Deve essere
ispirato da una carità che scusa il
prossimo, senza tuttavia chiudere gli occhi
di fronte alla verità,
ma cercando anzi di
fermare i malvagi in
modo che non facciano altro male agli altri e a se stessi.
Nel pomeriggio del 3 aprile, Venerdì santo,
Ci verrebbe da diPapa Francesco ha presieduto nella basilica
re: «Signore, ci chievaticana la celebrazione della Passione del
di l’impossibile!». Ci
Signore. Dopo la proclamazione del Vangelo
risponderebbe: «Lo
di Giovanni (18, 1 - 19, 42) il predicatore
so, ma io sono morto
della Casa Pontificia ha tenuto l’omelia
per potervi dare ciò
che pubblichiamo integralmente
che vi chiedo. Non vi
in questa pagina.
ho dato solo il comando di perdonare e
neppure soltanto un
esempio eroico di perdono; con la mia
morte vi ho procurainquietante indifferenza delle istitu- to la grazia che vi rende capaci di
zioni mondiali e dell’opinione pub- perdonare. Io non ho lasciato al
blica di fronte a tutto ciò, ricordan- mondo solo un insegnamento sulla
do a che cosa una tale indifferenza misericordia, come hanno fatto tanti
ha portato nel passato (cfr. Ernesto altri. Io sono anche Dio e ho fatto
Galli della Loggia, L’indifferenza che scaturire per voi dalla mia morte fiuuccide, nel «Corriere della Sera» del mi di misericordia. Da essi potete at28 luglio 2014). Rischiamo di essere tingere a piene mani nell’anno giubitutti, istituzioni e persone del mon- lare della misericordia che vi sta dado occidentale, dei Pilato che si la- vanti».
Allora, dirà qualcuno, seguire Crivano le mani.
A noi, però, in questo giorno non sto è un votarsi sempre passivamente
è consentito fare alcuna denuncia. alla sconfitta e alla morte? Al contraTradiremmo il mistero che stiamo rio! «Abbiate coraggio», egli disse ai
celebrando. Gesù morì gridando: suoi apostoli prima di avviarsi alla
«Padre, perdona loro perché non passione: «Io ho vinto il mondo»
sanno quello che fanno» (Luca, 23, (Giovanni, 16, 33). Cristo ha vinto il
34). Questa preghiera non è sempli- mondo, vincendo il male del moncemente mormorata a fior di labbra; do. La vittoria definitiva del bene
è gridata perché la si oda bene. Anzi sul male, che si manifesterà alla fine
non è neppure una preghiera, è una dei tempi, è già avvenuta, di diritto
richiesta perentoria, fatta con l’auto- e di fatto, sulla croce di Cristo.
rità che gli viene dall’essere il Figlio: «Ora — diceva — è il giudizio di
«Padre, perdona loro!». E poiché lui questo mondo» (Giovanni, 12, 31).
stesso ha detto che il Padre ascoltava Da quel giorno il male è perdente;
ogni sua preghiera (Giovanni, 11, 42), tanto più perdente, quanto più semdobbiamo credere che ha ascoltato bra trionfare. È già giudicato e conanche questa sua ultima preghiera dannato in ultima istanza, con una
dalla croce, e che quindi i crocifisso- sentenza inappellabile.
ri di Cristo sono stati perdonati da
Gesù ha vinto la violenza non opDio (certo, non senza essersi prima, ponendo ad essa una violenza più
in qualche modo, ravveduti) e sono grande, ma subendola e mettendone
con lui in paradiso, a testimoniare a nudo tutta l’ingiustizia e l’inutilità.
È di ieri la notizia di 147 cristiani
trucidati dalla furia jihadista degli
estremisti somali in un campus universitario del Kenya. Chi ha a cuore
le sorti della propria religione, non
può rimanere indifferente di fronte a
tutto ciò. Gesù disse un giorno ai
suoi discepoli: «Viene l’ora in cui
chiunque vi ucciderà crederà di rendere onore a Dio» (Giovanni, 16, 2).
Mai forse queste parole hanno trovato, nella storia, un compimento così
puntuale come oggi.
Un vescovo del III secolo, Dionigi
di Alessandria, ci ha lasciato la testimonianza di una Pasqua celebrata
dai cristiani durante la feroce persecuzione dell’imperatore romano Decio: «Ci esiliarono e, soli fra tutti,
fummo perseguitati e messi a morte.
Ma anche allora abbiamo celebrato
la Pasqua. Ogni luogo dove si pativa
divenne per noi un posto per celebrare la festa: fosse un campo, un
deserto, una nave, una locanda, una
prigione. I martiri perfetti celebrarono la più splendida delle feste pasquali, essendo ammessi al festino
celeste» (in Eusebio, Storia ecclesiastica, VII, 22, 4). Sarà così per molti
cristiani anche la Pasqua di questo
anno, il 2015 dopo Cristo.
C’è stato qualcuno che ha avuto il
coraggio di denunciare, da laico, la
A San Pietro
Ha inaugurato un nuovo genere di
vittoria che sant’Agostino ha racchiuso in tre parole: «Victor quia victima — Vincitore perché vittima»
(Agostino, Confessioni, X, 43). Fu
«vedendolo morire così», che il centurione romano esclamò: «Veramente, quest’uomo era Figlio di Dio!»
(Marco, 15, 39). Gli altri si chiedevano cosa significasse l’«alto grido»
che Gesù emise morendo (Marco, 15,
37). Lui che era esperto di combattenti e di combattimenti, riconobbe
subito che era un grido di vittoria
(cfr. Frank Topping, An impossible
God).
Il problema della violenza ci assilla, ci scandalizza, oggi che essa ha
inventato forme nuove e spaventose
di crudeltà e di barbarie. Noi cristiani reagiamo inorriditi all’idea che si
possa uccidere in nome di Dio.
Qualcuno però obietta: ma la Bibbia
non è anch’essa piena di storie di
violenza? Non è, Dio, chiamato «il
Signore degli eserciti»? Non è attribuito a lui l’ordine di votare allo
sterminio intere città? Non è lui che
prescrive, nella legge mosaica, numerosi casi di pena di morte?
Se avessero rivolto a Gesù, durante la sua vita, la stessa obiezione,
egli avrebbe sicuramente risposto ciò
che rispose a proposito del divorzio:
«Per la durezza del vostro cuore
Mosè vi ha permesso di ripudiare le
vostre mogli, ma da principio non fu
così» (Matteo, 19, 8). Anche a proposito della violenza, «al principio non
era così». Il primo capitolo della
Genesi ci presenta un mondo dove
non è neppure pensabile la violenza,
né degli esseri umani tra di loro, né
tra gli uomini e gli animali. Neppure
per vendicare la morte di Abele,
dunque per punire un assassino, è
lecito uccidere (cfr. Genesi, 4, 15).
Il genuino pensiero di Dio è
espresso dal comandamento «non
uccidere», più che dalle eccezioni
fatte ad esso nella legge, che sono
concessioni alla «durezza del cuore»
e dei costumi degli uomini. La violenza, dopo il peccato, fa parte purtroppo della vita, e l’Antico Testamento, che riflette la vita e deve servire per la vita, cerca almeno, con la
sua legislazione e con la stessa pena
di morte, di incanalare e arginare la
violenza perché non degeneri in arbitrio personale e non ci si sbrani a
vicenda (cfr. René Girard, Delle cose
nascoste sin dalla fondazione del
mondo).
Paolo parla di un tempo caratterizzato dalla «tolleranza» di Dio
(Romani, 3, 25). Dio tollera la violenza, come tollera la poligamia, il
divorzio e altre cose, ma viene educando il popolo verso un tempo in
cui il suo piano originario verrà «ricapitolato» e rimesso in onore, come
per una nuova creazione. Questo
tempo è arrivato con Gesù che, sul
monte, proclama: «Avete inteso che
fu detto: “Occhio per occhio e dente
per dente”; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti
percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra. Avete inteso che fu
detto: “Amerai il tuo prossimo e
odierai il tuo nemico”; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate
per i vostri persecutori» (Matteo, 5,
38-39; 43-44).
Il vero «discorso della montagna»
che ha cambiato il mondo non è però quello che Gesù pronunciò un
giorno su una collina della Galilea,
ma quello che proclama ora, silenziosamente, dalla croce. Sul Calvario
egli pronuncia un definitivo «no!»
alla violenza, opponendo ad essa,
non semplicemente la non-violenza,
ma, di più, il perdono, la mitezza e
l’amore. Se ci sarà ancora violenza,
essa non potrà più, neppure remotamente, richiamarsi a Dio e ammantarsi della sua autorità. Farlo significa far regredire l’idea di Dio a stadi
primitivi e grossolani, superati dalla
coscienza religiosa e civile dell’umanità.
I veri martiri di Cristo non
muoiono con i pugni chiusi, ma con
le mani giunte. Ne abbiamo avuto
tanti esempi recenti. È lui che ai
ventuno cristiani copti uccisi dall’Isis
in Libia il 22 febbraio scorso, ha dato la forza di morire sotto i colpi,
mormorando il nome di Gesù. E anche noi preghiamo: «Signore Gesù
Cristo, ti preghiamo per i nostri fratelli di fede perseguitati, e per tutti
gli Ecce homo che ci sono, in questo
momento, sulla faccia della terra,
cristiani e non cristiani. Maria, sotto
la croce tu ti sei unita al Figlio e hai
mormorato dietro di lui: “Padre, perdona loro!”: aiutaci a vincere il male
con il bene, non solo sullo scenario
grande del mondo, ma anche nella
vita quotidiana, dentro le stesse mura di casa nostra. Tu, che, “soffrendo
col Figlio tuo morente sulla croce,
hai cooperato in modo tutto speciale
all’opera del Salvatore con l’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità” (Lumen gentium, 61),
ispira agli uomini e alle donne del
nostro tempo pensieri di pace, di
misericordia. E di perdono. Così
sia».
Celebrazione del cardinale Filoni nella cattedrale di Duhok
Giovedì santo con i rifugiati
Giovedì santo tra i profughi iracheni per il cardinale Fernando Filoni, che
la sera del 2 aprile ha presieduto nella cattedrale di Duhok, nel nord del
Paese, la celebrazione della messa «in coena Domini», compiendo il rito
della lavanda dei piedi con un gruppo di rifugiati.
Nonostante le difficili condizioni in Siria sono molto partecipati i riti in preparazione alla Pasqua
ALEPPO, 3. Nonostante i timori e le paure per
le violenze delle ultime settimane, i cristiani
in Siria stanno partecipando numerosi ai riti
della settimana santa e le chiese sono sempre
gremite. «Sono giorni difficili, soprattutto dopo la caduta di Idlib nelle mani dei movimenti islamisti. La città non è lontana da
Aleppo e la gente teme che succeda la stessa
cosa qui» spiega il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, monsignor Georges Abou Khazen. Nonostante ciò, già alla celebrazione eucaristica per la domenica delle Palme «era
bella e commovente la presenza nonché il numero dei fedeli. A dispetto della situazione —
racconta ancora il vicario ad AsiaNews — la
gente non ha avuto paura e ha assistito alla
messa e alla processione con i propri bambini.
Per i più piccoli è stata una festa speciale,
erano loro a portare le candele ornate nella
Più forti della paura
processione, la fede è stata davvero più forte
della paura». Il vicario apostolico di Aleppo
conferma la situazione di timore e difficoltà
non solo dei cristiani, ma di tutta la popolazione locale preoccupata dal possibile arrivo
delle milizie jihadiste. Nei giorni scorsi i fondamentalisti hanno conquistato la città di
Idlib, nel nord-ovest del Paese, sequestrando
un sacerdote greco-ortodosso. Giovedì scorso,
le milizie dell’Is sono giunte alla periferia di
Damasco e attaccato il campo profughi palestinese di Yarmouk.
In una realtà di guerra, persecuzioni e violenze, la comunità cristiana di Aleppo sta vivendo la settimana santa con partecipazione,
raccoglimento ed entusiasmo «perché — ripete
il vicario apostolico — la fede è più forte della
paura. La loro testimonianza è stata per noi
pastori fonte di incoraggiamento, grazie alla
loro fede e alla loro preghiera il Signore risorto ci libererà». Dalla comunità musulmana,
racconta ancora il vicario apostolico, «abbiamo ricevuto forti testimonianze di affetto, una
bella prova di convivenza. Del resto la Chiesa
sta giocando un grande ruolo nell’assistenza
ai profughi, cristiani e musulmani, e di questo
loro ci sono grati. Aiutiamo i ragazzi, senza
distinzioni di fede religiosa, attraverso Caritas
Siria — continua il presule — non solo con il
cibo, ma anche donando loro scarpe, pantaloni, magliette. È bello vedere la gioia di questa
gente, dei giovani e dei loro genitori, che capiscono che guardiamo loro con affetto, cercando il bene della persona. Anch’essi sono
parte di questa famiglia e di questa festa. A
livello di pastorale abbiamo promosso celebrazioni religiose, prediche e incontri in varie
chiese, insistendo sulla penitenza e la conversione, legati alla situazione generale». I fatti
di Idlib fanno paura, ma nonostante questo
«noi viviamo con coraggio la nostra via crucis, lo facciamo alla luce della resurrezione e
questo ci dà una grande speranza». Monsignor Khazen ha diffuso una lettera pastorale
nella quale ha sottolineato che «Cristo risorto
non si è vendicato, ma ha mandato i suoi a
predicare la buona novella insegnando amore
e perdono. Questo — conclude — è il mio
messaggio per la Pasqua e i fedeli hanno colto l’invito. Si sono formati gruppi di incontro,
per meditare la lettera. Speriamo che il Signore ci usi come segno e testimonianza di
pace».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
sabato 4 aprile 2015
A Rebibbia il Papa ricorda che Gesù ha dato la vita per ogni essere umano
Con nome e cognome
«Ognuno di noi può dire: “Ha dato la vita per me”.
Ognuno. Ha dato la vita per te, per te, per te, per me, per
lui, per ognuno, con nome e cognome»: con queste parole
pronunciate nel pomeriggio del 2 aprile, Giovedì santo,
In questo giovedì, Gesù era a tavola
con i discepoli, celebrando la festa
della pasqua. E il brano del Vangelo
che abbiamo sentito contiene una
frase che è proprio il centro di quello che ha fatto Gesù per tutti noi:
«Avendo amato i suoi che erano nel
mondo, li amò sino alla fine» (Gv
13, 1). Gesù ci ha amato. Gesù ci
ama. Senza limiti, sempre, sino alla
fine. L’amore di Gesù per noi non
ha limiti: sempre di più, sempre di
più. Non si stanca di amare. Nessu-
durante l’omelia della messa «in coena Domini», Papa
Francesco ha voluto spiegare ai detenuti del carcere romano
di Rebibbia che l’amore di Dio è «personale» e che «lui
non si stanca di amare, come non si stanca di perdonare».
no. Ama tutti noi, al punto da dare
la vita per noi. Sì, dare la vita per
noi; sì, dare la vita per tutti noi, dare la vita per ognuno di noi. E
ognuno di noi può dire: “Ha dato la
vita per me”. Ognuno. Ha dato la
vita per te, per te, per te, per me,
per lui... per ognuno, con nome e
cognome. Il suo amore è così: personale. L’amore di Gesù non delude
mai, perché Lui non si stanca di
amare, come non si stanca di perdonare, non si stanca di abbracciarci.
Questa è la prima cosa che volevo
dirvi: Gesù ci ha amato, ognuno di
noi, sino alla fine.
E poi, fa questo che i discepoli
non capivano: lavare i piedi. In quel
tempo, era uso, questo, era una consuetudine, perché la gente quando
arrivava in una casa, aveva i piedi
sporchi della polvere della strada;
non c’erano i sampietrini, a quel
tempo... C’era la polvere della strada. E all’entrata della casa, si lavavano loro i piedi. Ma questo non lo fa-
Il tredicesimo
apostolo
di MAURIZIO FONTANA
Scendono lacrime sul volto della
detenuta. I suoi occhi hanno incrociato lo sguardo sorridente del Papa. Francesco le ha appena lavato il
piede, lo ha accarezzato e lo ha baciato e poi ha sollevato lo sguardo
per farle capire quanto aveva appena detto nell’omelia: «Gesù ti ama.
Sempre. Fino alla fine». Un gesto
ripetuto dodici volte, come Gesù
fece con gli apostoli. Con i fianchi
cinti da un asciugamano, inginocchiato, il Pontefice ha lavato i piedi
a sei donne e sei uomini di varie
nazionalità detenuti nel carcere romano di Rebibbia. Dodici volte più
una. Una delle recluse, infatti, una
ragazza nigeriana, portava in braccio il suo bambino: anche lui — inconsapevole “tredicesimo apostolo” — col
suo piedino scalzo ha
ricevuto
il
gesto
d’amore del Papa. E
l’abbraccio commosso
della mamma sembrava riversare sul piccolino tutta la speranza di
un futuro diverso.
Giovedì 2 aprile
Francesco ha voluto
celebrare la messa «in
coena Domini» nella
Casa
circondariale
nuovo complesso di
Rebibbia. Con i detenuti, con quella Chiesa
che vive e prega dietro
le sbarre, di solito
ignorata dal resto del
mondo. Un gesto importante per chi si sente messo ai margini.
«Ci fa sentire vivi»,
esclama Manuel, uno
dei detenuti che quotidianamente collaborano con il cappellano,
don Pier Sandro Spriano, e che nell’occasione hanno fatto
servizio all’altare come ministranti.
«È una visita desiderata, aspettata,
con grande emozione e tremore» ci
dice Stefano; gli fa eco Simone: «È
la stessa emozione che ho provato
quando aspettavo il primo colloquio con i miei familiari. È come se
quel muro che ci divide dal mondo
svanisse in un attimo. Il Papa che
viene da noi ci fa sentire nuovamente parte di una comunità». Con
loro anche Ugo, Massimiliano e
Claudio ribadiscono: «Il Papa che
parla sempre di misericordia ci porta una speranza nuova».
Il Pontefice è giunto in auto a
Rebibbia intorno alle 17.15, accolto
dal saluto della gente che lo attendeva dietro le transenne lungo il
viale che porta al nuovo complesso.
Il Papa è stato poi accompagnato
dal reggente della prefettura della
Casa Pontificia, monsignor Leonardo Sapienza, lungo il tragitto che
lo ha portato davanti alla cappella
intitolata al Padre nostro: «L’abbiamo chiamata così — ci ha spiegato
don Spriano — perché lì accogliamo
tutti, anche chi è di un’altra religione». Ad attenderlo nel piazzale
c’erano il direttore del carcere,
Mauro Mariani, il comandante della casa circondariale, commissario
Massimo Cardilli, e il cappellano;
con loro anche il cardinale Agostino Vallini, vicario di Roma, e l’arcivescovo sostituto della Segreteria di
Stato, Angelo Becciu.
Lo spazio antistante la chiesa —
la cosiddetta “area verde” dove i reclusi possono incontrare i propri familiari un paio di volte al mese —
era affollato già da tempo: da una
parte i parenti delle guardie carcerarie e dei dipendenti della casa circondariale, dall’altra circa trecento
detenuti emozionatissimi. Francesco
si è fermato a salutarli: li ha abbracciati, si è lasciato baciare, ha
benedetto rosari. Alcuni avevano
preparato dei cartelloni con la scritta «Papa, benedici chi non c’è più»
e le foto di familiari deceduti. Una
guardia penitenziaria ci ha spiega-
naristi che prestano servizio come
volontari — ce ne erano cinque che
hanno vissuto la visita del Papa con
un’emozione del tutto particolare:
domenica di Pasqua riceveranno il
sacramento della confermazione e
faranno la prima comunione. Con il
Pontefice hanno concelebrato il cardinale Vallini, l’arcivescovo Becciu,
i cappellani e una rappresentanza
dei sacerdoti volontari.
Seguito dallo sguardo attento e
commosso dei presenti, e accompagnato dal vivace sgambettare dei
bambini ai piedi dell’altare, Francesco è andato all’ambone per l’omelia: breve, pronunciata a braccio, incentrata su un messaggio chiaro e
diretto a ogni persona che aveva di
fronte: tu, proprio tu, anche tu sei
amato.
ceva il padrone di casa, lo facevano
gli schiavi. Era un lavoro da schiavi.
E Gesù lava come schiavo i nostri
piedi, i piedi dei discepoli, e per
questo dice: «Quello che io faccio,
tu ora non lo capisci — dice a Pietro
—, lo capirai dopo» (Gv 13, 7). Gesù,
è tanto il suo amore che si è fatto
schiavo per servirci, per guarirci, per
pulirci.
E oggi, in questa Messa, la Chiesa
vuole che il sacerdote lavi i piedi di
dodici persone, in memoria dei Dodici Apostoli. Ma nel nostro cuore
dobbiamo avere la certezza, dobbiamo essere sicuri che il Signore,
quando ci lava i piedi, ci lava tutto,
ci purifica, ci fa sentire un’altra volta
il suo amore. Nella Bibbia c’è una
frase, nel profeta Isaia, tanto bella;
dice: «Può una mamma dimenticarsi
del suo figlio? Ma se una mamma si
dimenticasse del suo figlio, io mai
mi dimenticherò di te» (cfr. 49, 15).
Così è l’amore di Dio per noi.
E io laverò oggi i piedi di dodici
di voi, ma in questi fratelli e sorelle
siete tutti voi, tutti, tutti. Tutti quelli
che abitano qui. Voi rappresentate
loro. Ma anch’io ho bisogno di essere lavato dal Signore, e per questo
pregate durante questa Messa perché
il Signore lavi anche le mie sporcizie, perché io diventi più schiavo di
voi, più schiavo nel servizio della
gente, come è stato Gesù.
Adesso incominceremo questa parte della celebrazione.
Dal cenacolo alla Pasqua negli inni di Efrem il Siro
Oggi è spremuto
il grappolo venuto da Maria
di MANUEL NIN
ue inni di Efrem il Siro,
sulla crocifissione e il secondo sulla risurrezione di
Cristo, ci aiutano a entrare nei
misteri che celebriamo in questi
giorni santi. Il primo contempla il
cenacolo, luogo che diventa prefigurazione della Chiesa stessa nella sua celebrazione dei misteri, e
il secondo presenta la Chiesa della terra e quella del cielo unite
nella lode al Signore.
Il cenacolo, luogo dell’ultima
cena di Cristo con i discepoli,
viene quasi personificato ed è visto dal poeta già come vera e
propria Chiesa che celebra i sacramenti, luogo del servizio:
«Beato sei tu, luogo, perché furono inviati due suoi discepoli e
vennero a prepararti per la sua
cena. Si era scelto la purezza, e in
te la vide, si era scelto la santità,
e dentro di te la trovò. Alla tua
fedeltà diede abbondantemente la
sua benedizione, dono per il tuo
servizio. Beato sei tu, luogo del
giusto, poiché in te il Signore nostro ha spezzato il proprio corpo.
Un piccolo luogo fu specchio di
tutta la creazione riempita da lui.
La grande alleanza uscì da una
piccola dimora e riempì la terra».
Luogo del dono del corpo e
del sangue di Cristo, il cenacolo è
il luogo dove Gesù stesso diventa
sacerdote e vittima: «Beato sei tu,
luogo. Di ciò che avvenne in te
tutta la creazione è piena, ed è
troppo piccola. Beata la tua dimora, nella quale fu spezzato
quel pane dal covone benedetto.
In te fu spremuto il grappolo venuto da Maria, calice della salvezza, il nostro Signore che in te si
fece vero altare, sacerdote, pane e
calice della salvezza, altare e
agnello, sacrificio e sacrificatore,
sacerdote e cibo».
Più avanti il cenacolo viene
presentato come luogo della lavanda dei piedi, ed Efrem la collega con l’accoglienza di Abramo
ai tre personaggi (chiamati da
Efrem «vigilanti», che in siriaco
significa anche «angeli») sotto la
quercia di Mamre. La grandezza
della teofania veterotestamentaria
viene messa di fronte a quella del
figlio nel lavare i piedi, e lavarli
anche al traditore: «Come in te,
apparve anche ad Abramo mentre
D
to: «Per molti di loro la famiglia
fuori dal carcere è tutto, è l’aggancio con la vita. Quando muore un
familiare, è come se crollasse il
mondo». E il Pontefice ha carezzato quei volti fotografati e ha pregato per loro. Particolarmente colpito
da tanto affetto, prima di entrare in
chiesa Francesco si è fermato per
un breve saluto al microfono: «Ringrazio tutti voi per l’accoglienza,
tanto calorosa, sentita. Grazie tante!». In occasione della visita i detenuti hanno fatto dono al Papa di
alcuni prodotti del loro lavoro quotidiano. E Francesco, come ricordo,
ha fatto avere a tutti un cartoncino
con un’immagine della risurrezione
e il testo del discorso scritto in occasione della visita alla casa circondariale di Poggioreale: «A volte —
vi si legge — capita di sentirsi delusi, sfiduciati, abbandonati da tutti:
ma Dio non si dimentica dei suoi
figli, non li abbandona mai!».
Indossati i paramenti sacri, il Papa ha fatto ingresso processionalmente nella cappella dove ad attenderlo c’erano altri detenuti: circa
centocinquanta uomini e altrettante
donne, di cui quindici provenienti
dalla sezione nido con i loro bambini. Fra i carcerati nell’assemblea
— ci rivela Gianluca, uno dei semi-
Poi ha ripetuto il gesto che Gesù
volle compiere nel momento in cui,
si legge nel Vangelo di Giovanni,
«avendo amato i suoi che erano nel
mondo, li amò sino alla fine», fino
a farsi «schiavo per amore». Accompagnato dal maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, monsignor Guido Marini, e da don Ján
Dubina, il Pontefice, con una semplice brocca di plastica bianca, ha
lavato i piedi ai dodici detenuti. Per
ognuno, il dono di uno sguardo
amorevole e di un sorriso. Uno dei
dodici gli ha preso le mani e le ha
poste sulla sua testa chiedendo una
benedizione particolare: un gesto
che rimane come una delle immagini più intense di questo Giovedì
santo.
Al termine della messa, durante
la quale il cappellano ha chiesto di
pregare in maniera particolare per
un detenuto morto suicida pochi
giorni fa, il Pontefice si è soffermato in adorazione del Santissimo Sacramento. Poi, dopo aver lanciato
un sorriso divertito a una bimba
che giocava sdraiata sui gradini
dell’altare, si è concesso un ultimo,
lungo abbraccio con i detenuti, che
uscendo dalla chiesa lo hanno attorniato insieme al personale della
polizia penitenziaria e ai volontari.
portava il vitello ai vigilanti. I serafini fremettero vedendo il figlio
che, cinto ai fianchi un lino, lavava nel catino i piedi, la sozzura
del ladro che lo avrebbe consegnato». Lavanda che è presentata
da Efrem come una nuova creazione, il battesimo dei dodici:
«Nostro Signore purificò il corpo
dei fratelli nel catino che è simbolo della concordia. Nel ventre
delle acque Cristo ci ha formati
nuovamente. Non siamo membra
divise che non si accorgono di
lottare contro il proprio amore!».
Nel secondo inno sulla risurrezione, Efrem descrive la
gioia pasquale, presentata come una grande liturgia di
tutta la creazione, che accomuna il cielo e la terra. E
inizia con un riferimento al
luogo centrale della croce
che riapre il paradiso, da dove sgorga la lode di tutta la
creazione: «E la chiave fu
per me la tua croce, fu essa
ad aprire il paradiso. Dal
giardino portai, raccolsi e recai dal paradiso fiori sparsi
durante la tua festa, negli inni, sull’umanità». Tutta la
creazione quindi, nella festa
di Pasqua, innalza la lode a
Dio, ed Efrem elenca tutti
coloro che lodano il Signore
redentore, a cominciare da
coloro che fanno parte della
liturgia della terra: «Ecco la
festa gioiosa che è tutta bocche e lingue. Donne e uomini casti furono trombe e corni. Bambini e bambine furono in essa arpe e cetre».
Il poeta inserisce in questa
lode liturgica anche l’immagine
dell’arca e quella che si potrebbe
quasi chiamare la liturgia degli
animali, raccolti per coppie con le
loro voci concordi: «Nell’arca risuonarono similmente tutte le voci da tutte le bocche. Fuori flutti
terribili, dentro di essa voci deliziose. Le lingue, a due a due, modulavano in essa concordi, in purezza, ed erano prefigurazione
della nostra festa ove uomini e
donne vergini hanno cantato il
gloria al Signore dell’arca». Questa dimensione di lode liturgica
procede nell’inno con una descrizione della liturgia celebrata nella
settimana santa.
Qui Efrem presenta tutta la gerarchia, quella della terra e quella
del cielo: «Il grande pastore vi intrecci come suoi fiori le sue interpretazioni, i presbiteri le loro
buone opere, i diaconi le loro letture, i giovani i loro alleluia, i
bimbi i loro salmi, le donne caste
i loro inni, i semplici fedeli la loro condotta». In questa strofa è
descritto il ruolo di ognuno: il vescovo («grande pastore») che
spiega la Scrittura, i sacerdoti nel
loro operare, i diaconi che proclamano la Parola, i giovani come
«Ultima cena e crocifissione» (XVIII secolo, chiesa
dei Santi Sergio e Bacco, Maalula, Siria)
cantori e salmisti, i fedeli nel vivere come cristiani, ai quali si aggiungono «martiri, apostoli e profeti, i cui fiori sono come loro e
incoronano la nostra bella festa».
L’inno si conclude con una
preghiera per i cristiani ovunque
perseguitati e martoriati, allora e
oggi: «Accetta, nostro re, la nostra offerta e dacci in cambio la
salvezza. Pacifica le terre devastate, edifica le chiese incendiate affinché, quando vi sarà pace grande, una gran corona possiamo intrecciarti di fiori provenienti da
ogni parte, perché sia incoronato
il Signore della pace. Benedetto
colui che agì e può agire!».