RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – giovedì 2 aprile 2015 (Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti) Indice articoli ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2) Isee, lettera ai Comuni: «Rinviate le scadenze» (Gazzettino) Mercatone Uno, a Roma l’azienda si sfila (M. Veneto) Cancellando i diritti addio equità (M. Veneto) La Regione dovrà sborsare 10 milioni per l’aeroporto (M. Veneto) Mini province, 50 sindaci contro (M. Veneto) Dall’inizio della crisi persi 23.580 posti, la metà nell’Udinese (M. Veneto) “Buco” da 100 milioni nelle partecipate (Piccolo) CRONACHE LOCALI (pag. 9) Ater, per i sindacati i tagli ai dipendenti penalizzano l’utenza (Piccolo Gorizia-Monfalcone) «L’azienda ci ripensi sull’integrativo» (Piccolo Gorizia-Monfalcone) Mercatone, sciopero di solidarietà (Piccolo Gorizia-Monfalcone) Personale del Cara, i sindacati al prefetto: «Basta con le bugie» (Piccolo Gorizia-Monfalcone) La riforma taglia 60 letti in ospedale (M. Veneto Udine, 2 articoli) Contributi ridotti e classi a rischio. Protesta delle paritarie (M. Veneto Udine) Coopca, nuova chiamata dei soci in assemblea per il 12 aprile (Gazzettino Udine) Due ore di stipendio per l’addio a Giuseppe (Gazzettino Pordenone) Lavoro, lo sportello si allunga (Gazzettino Pordenone) Chiusura ufficiale per la Metro, nuova cattedrale nel deserto (M. Veneto Pordenone) Anziani, trasporto a pagamento (Gazzettino Pordenone) Alloggi sociali nell'ex fabbrica Sadoch (Piccolo Trieste) L’11% dei bambini malati non viene portato al Burlo (Piccolo Trieste) ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE Isee, lettera ai Comuni: «Rinviate le scadenze» (Gazzettino) Maurizio Bait TRIESTE - Una circolare a tutti i sindaci per invitarli a non interrompere i benefici sociali da erogare ai cittadini. Isee o non Isee. È l’azione più forte messa in campo in questi giorni dalla Giunta regionale al fine di arginare l’emergenza denunciata con vigore accaldato dai Caf, i Centro di assistenza fiscale alle prese con le complesse pratiche per la definizione del nuovo indicatore di reddito stabilito a livello nazionale dal Governo. Una circolare che diversi Coun, fra i quali Udine e Trieste, hanno già fatto propria stabilendo i conseguenti rinvii. La priorità nella predisposizione dei nuovi Isee va attribuita a chi non possedeva già la "vecchia" dichiarazione in quanto già beneficiario di uno o più sostegno sociali pubblici. Questi cittadini, come sta nell’invito regionale, devono poter continuare a fruire dei benefici finché non saranno stati posti nelle condizioni di ottenere il nuovo indicatore. A giorni la presidente della Regione, Debora Serracchiani, convocherà un tavolo con i Caf, l’Inps e i Comuni al fine di valutare i numeri reali della situazione: quanti siano effettivamente i Centri e gli addetti sul territorio, quale sia il reale fabbisogno indotto dai nuovi criteri nazionali, quali le priorità da darsi. Ma un punto rimane fermo: l’esenzione dal super-ticket sanitario da 10 euro statale entrerà in vigore il prossimo primo maggio, in quanto i vertici regionali considerano tale misura - a vantaggio di redditi sotto i 15mila euro - troppo importante per il positivo impatto sociale che potrebbe derivarne. Si parte dalla premessa che non tutti i cittadini esentabili avranno bisogno già nei primi giorni di maggio di una prestazione sanitaria e quindi soltanto una piccola parte, all’inizio, dovrà munirsi del nuovo Isee per accedere al beneficio. Anche altre Regioni hanno affrontato il problema con una salva di proroghe: il Friuli Venezia Giulia si è spinto fino a metà luglio sul fronte dell’istruzione e della casa, confidando che tale decisione possa bastare. Appare meno praticabile, invece, la richiesta di parte sindacale di porre 20-25 addetti regionali a disposizione dei Caf per far fronte all’ondata di richieste: in Regione si fa presente, difatti, che occorrerebbe infatti distogliere per un periodo apprezzabile un bel gruppone di dipendenti dalle mansioni abituali con tutto ciò che ne consegue in termini di (in)efficienza della macchina amministrativa. Inoltre prima di sbattere una persona sulla prima linea del nuovo Isee occorre formarla adeguatamente. E questo non si può fare con scadenze da acqua alla gola. Vero è che anche per la presentazione della dichiarazione dei redditi con il modello 730 lo Stato ha allungato i tempi portandoli al 10 di luglio. Ma basterà a fornire un livello minimo di respiro? L’emergenza continua. Mercatone Uno, a Roma l’azienda si sfila (M. Veneto) UDINE «Secondo noi l’azienda è in una situazione fallimentare, il gruppo dirigente è inaffidabile, abbiamo chiesto l’intervento del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti». A dirlo è stata ieri Susanna Pellegrini, segretaria regionale di Filcams Cgil, a margine dell’incontro mancato in programma al Mise. Mercatone Uno all’ultimo ha chiesto infatti un rinvio, ma le delegazioni dei lavoratori a Roma ci sono andate comunque. Compresa quella partita alla volta della capitale dal Fvg, composta da una decina di lavoratori, accompagnati da Francesco Buonopane (Filcams), che preso parte al presidio fuori dal ministero dello Sviluppo economico. «Un gruppo è stato anche ricevuto e ha potuto spiegare le nostre ragioni - ha detto ancora Pellegrini -, i motivi per cui l’azienda è secondo noi fallimentare, inaffidabile. Abbiamo chiesto che ci riconvochino subito dopo Pasqua e che sia nel frattempo informato il ministro Poletti. Temiamo infatti che essendo alla frutta, l’azienda decida dall’oggi al domani di chiudere i 34 negozi in cui sono state avviate le campagne di sconti, lasciando i lavoratori a casa senza alcun ammortizzatore. Epilogo che dobbiamo evitare in tutti i modi», ha aggiunto Pellegrini. Lo strumento principe per opporsi alla deriva resta quello dello sciopero, che i 40 dipendenti del punto vendita Mercatone di Reana stanno usando a piene mani da giorni. I colleghi di Sacile e Monfalcone hanno invece incrociato le braccia per la prima volta ieri. Ma in numero nettamente inferiore. A Sacile hanno scioperato pochissime persone, a Monfalcone tutti salvo quattro, sufficienti però a far sì che il negozio, al pari di quello della Destra Tagliamento, potesse restare aperto. Chiuso, invece, ancora una volta è stato il Mercatone a Reana, dove i lavoratori, al cui fianco è rimasto Athos Di Stefano (Fisascat Cisl), hanno accolto nel pomeriggio i dipendenti di Monfalcone, che hanno voluto portare la propria solidarietà ai colleghi friulani. Non avendo alcuna notizia sul piano concordatario, interesse primario del sindacato è oggi mettere in sicurezza i posti di lavoro, garantendo un ammortizzatore più lungo dell’eventuale mobilità che scatterebbe in caso di chiusura dei negozi. Il contratto di solidarietà in essere si conclude il 31 maggio e il gruppo non ha ancora chiesto né di prolungarlo, né di accedere ad altro ammortizzatore. Maura Delle Case Cancellando i diritti addio equità (M. Veneto) di GIULIANA PIGOZZO Fuori della sala, dove si svolgeva la conferenza promossa da una organizzazione sindacale, una lunga fila di macchine blu e dentro il dibattito che teorizzava la necessità della recente riforma del mercato del lavoro (nota come jobs act). Una discussione nella quale i diritti del lavoro sembravano non solo anacronistici ma anche l’ostacolo all’uscita dalla crisi e della mancata crescita del Paese. Troppo silenzio sull’evasione fiscale, sulle tante illegalità, sulla corruzione, sull’utilizzo politico delle risorse pubbliche per avvantaggiare questo o quell’altro, sui costi della politica e sui privilegi della stessa e di altri. O sugli intrecci con la criminalità organizzata che si sta radicando anche da noi e che ha contaminato la realizzazione di imponenti opere pubbliche con ricadute pesantemente negative su chi lavora negli appalti. Sulle politiche di austerità che stanno asfissiando l’economia e mortificando le sue possibilità di rilancio. Sul fiscal compact che sta bloccando gli investimenti pubblici e l’utilizzo delle risorse da parte degli enti locali e le stesse riforme recentemente approvate dalla regione. Sono i lavoratori ed i loro antiquati diritti sui quali intervenire, ho inteso in quel dibattito, nonostante la crisi sia l’esito delle enormi iniquità del modello di sviluppo che si è prodotto in questi venti anni e che ha alimentato una straordinaria condizione di ingiustizia sociale. Una redistribuzione del reddito a danno di chi lavora ed un aumento poderoso delle precarietà che non vengono cancellate dal jobs act. Chi è ricco è ancora più ricco e chi è povero si aggiunge alle fila che si stanno ingrossando nei Comuni. Questo dicono anche i numeri delle tante ricerche che probabilmente molti non leggono. Mi spiace che in quella sede il ministro del Lavoro Giuliano Poletti e il presidente della Regione Debora Serracchiani abbiano sostenuto, tra cose di buon senso, l’uno (il titolare del dicastero) l’inattualità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato quando la sua stessa legge lo afferma e purtroppo lo contraddice nella sequenza dei provvedimenti successivi e l’altro che l’articolo 18 avrebbe impedito le assunzioni e non lo sviluppo consistente di una imprenditoria priva di regole che ha dirottato i profitti sulle speculazioni finanziarie e non invece sull’economia reale. Quelle regole che ancora mancano e di cui non si parla per nulla e che sono sfuggite nel richiamo ad altre regole del rappresentante di Confindustria, tra cui quelle che hanno veicolato massicce risorse pubbliche alle imprese private italiane e che oggi non sono neppure in grado di intervenire sulla rivitalizzazione di produzioni come quella dell’Ideal Standard di questa provincia. Affidandolo alla responsabilità di quei 400 lavoratori titolari anch’essi di quei tanto vituperati diritti sanciti dalla Costituzione e dallo Statuto dei lavoratori. Come lo è stato per i lavoratori e le lavoratrici di Electrolux, che sotto il peso dei loro diritti, hanno presidiato per quattro mesi quegli impianti perché non chiudessero. Tutto questo nonostante lo sforzo apprezzabile del segretario provinciale di quell’organizzazione sindacale per richiamare l’attenzione sui rischi di un ulteriore impoverimento del territorio, sulle tante crisi produttive aperte e sulle possibili soluzioni, sull’opportunità di riflettere sui limiti degli attuali strumenti di protezione sociale e non solo sulle distorsioni, le cui responsabilità hanno precisi nomi e cognomi, sul ruolo del sindacato e delle parti sociali e sul modello di relazioni che si è andato gradualmente affermando in questo territorio, che ha aiutato tra l’altro, la stessa “virtuosa” situazione del suo centro per l’impiego. Sono anch’io convinta che servono tanti cambiamenti ma far passare l’idea che per investire e per lavorare bisogna cancellare i diritti lo ritengo una autentica cialtronaggine culturale. E che sia poi di sinistra non basta autocertificarlo. Quando bisogna invece far diventare il lavoro una attenzione generale ed i diritti, i contratti di lavoro la base su cui edificare una diversa idea di sviluppo e di equità. Cancellare il sistema sociale, o riformarlo a danno di chi lavora abbassandone le tutele e nella sostanza non estendendole, si associa all’idea che invece di competere sulla qualità ed investire sull’intelligenza delle persone che lavorano si sceglie ancora di farlo sull’abbassamento delle tutele e sul costo del lavoro. Ci si occupi del sistema industriale del nostro Paese, tra i più arretrati d’Europa. Che fa il paio con alcuni settori produttivi della nostra provincia. Della qualità dei prodotti e della necessità che ci sia un livello di investimenti adeguati, della ricerca e dell’innovazione mancati. Della necessità di un intervento pubblico nell’economia che non sia solo incentivi. Lasciar fare al mercato è stato un disastro e mantenere quella impostazione lo sarà altrettanto. Creare lavoro e far crescere complessivamente la società è il perimetro dentro al quale si misura il governo di un Paese e di una comunità. Riconosco che almeno questa Regione ci sta provando, con il concorso di tutti. Orientando, nel limite delle sue competenze, possibili soluzioni produttive. Questo leggo in Rilancimpresa. Tentare anche di indirizzare una nuova responsabilità sociale dell’impresa. La pretesa che con le leggi si cerchi di ridefinire anche il ruolo del sindacato facendolo diventare un soggetto che gestisce gli effetti della crisi, o la formazione e che offre dei servizi ai lavoratori e non si occupi di altro puzza questo si di antico. La vera novità sarebbe quella che i lavoratori abbiano il diritto di poter contrattare la propria condizione e decidere e votare sui contratti che lo riguardano. Compresi quelli introdotti da leggi. Rivalutando la partecipazione e la solidarietà più che la solitudine. Questo sarebbe una autentica prova di democrazia. La preoccupazione invece è che sto assistendo in troppe occasioni alle quali partecipo all’affermarsi di una forma perversa di sindrome di Stoccolma. *segretaria provinciale di Pordenone della Cgil La Regione dovrà sborsare 10 milioni per l’aeroporto (M. Veneto) di Maurizio Cescon RONCHI DEI LEGIONARI Un conto di almeno 10 milioni di euro tra azzeramento del debito, ricapitalizzazione e lavori urgenti per rifare la pista e per l’infrastruttura. E’ quanto potrebbe sborsare la Regione, cioè il socio unico, per rimettere in sesto l’aeroporto di Ronchi. Il bilancio 2014, decisamente negativo (1 milione e 250 mila euro di passivo), non è certo stato un fulmine a ciel sereno, però comunque ci si aspettava qualcosa di meglio. E il cda lo ha approvato tra più di qualche maldipancia. Inoltre c’è la grana della pista di atterraggio che deve essere assolutamente rifatta, entro il 2016, pena l’azzeramento dell’operatività. Una spesa molto ingente, circa 7 milioni e mezzo di euro. Soldi freschi che dovranno essere stanziati già quest’anno per poter poi partire con i lavori l’anno prossimo. La lunga striscia d’asfalto (3 chilometri), che potenzialmente consente anche l’arrivo e la partenza dei velivoli più grandi, è ormai arrivata al limite dell’usura e la sicurezza, per quanto riguarda il trasporto aereo, è la priorità per ogni compagnia. Infine ci sarebbero i lavori di ristrutturazione all’interno dell’aerostazione, dove in diverse aree piove dentro. Ma in attesa dell’assemblea del 30 aprile, quando la Regione nominerà i nuovi vertici, c’è da registrare lo sfogo dell’ex vice presidente (dimissionario) Adriano Ceccherini. Al quale non è andato giù il trattamento che gli ha riservato il presidente Dressi. «Ieri mattina - racconta Ceccherini - ho ricevuto una pesante telefonata da parte di Dressi, che si è lamentato per le mie dichiarazioni al “Messaggero Veneto”. Mi ha insultato, io ho risposto e a quel punto ho chiuso la conversazione. Ma gli ho ribadito che il polo intermodale, a mio avviso, è una cattedrale nel deserto. E’ una opinione personale, certo, ma sarò libero di esprimerla. Io dico solo che Londra ha fatto il collegamento tra aeroporto e ferrovia quando ha superato i 60 milioni di passeggeri in transito. Ronchi non è nemmeno paragonabile lontanamente per numero di partenze e arrivi e allora di cosa stiamo parlando?». Ceccherini chiama direttamente in causa il socio unico Regione e non ne fa una questione di colore politico. «Avevo inviato una relazione all’allora presidente Tondo quando diventai consigliere di amministrazione e vice presidente - spiega elencando tutte quelle che erano le cose che non andavano nella gestione dello scalo. Ma la giunta di centrodestra non mi diede quasi risposta, le mie osservazioni caddero nel vuoto. Ho scritto l’anno scorso un secondo rapporto per la presidente Serracchiani e i suoi assessori, ma anche in questo caso è stata lettera morta. Eppure i nodi sono venuti al pettine, ed erano le cose che i politici sapevano. Però nessuno ha fatto niente, non hanno avuto il coraggio di prendere provvedimenti e cambiare vertici e dirigenti. Non dobbiamo dimenticare che siamo l’unico aeroporto ad avere un direttore generale (Paolo Stradi, ndr) con un contratto a tempo indeterminato e uno stipendio elevatissimo». La prossima governance dovrà risolvere infine la questione del direttore generale. La posizione di Stradi è in bilico. Vista appunto la natura del suo contratto, non sarà però semplice risolvere il rapporto di lavoro, se la Regione dovesse prendere questa decisione. Inoltre lo stesso Stradi ha fatto intendere di avere diverse opzioni professionali alternative. Entro un mese anche questo nodo dovrà essere sciolto. Mini province, 50 sindaci contro (M. Veneto) UDINE Sfiorano quota cinquanta i Comuni che hanno deliberato di ricorrere al Tar contro la Legge di riforma degli enti locali. Un traguardo che mirano a centrare entro il 10 aprile, forti di una consapevolezza: «E’ la prima volta che in Italia si realizza una class-action di queste dimensioni da parte dei Comuni contro la Regione», ha detto ieri il primo cittadino di Talmassons, Pier Mauro Zanin, che dell’impugnativa è uno dei padri. «Fin qui i municipi hanno operato con referendum, raccolte firme, ordini del giorno, ma mai era accaduto che quasi un quarto dei Comuni si rivolgesse alla magistratura impugnando un atto regionale». Oggetto del ricorso non è la riforma bensì il primo atto amministrativo con cui la giunta regionale ha iniziato a calarla sul territorio, vale a dire la proposta di perimetrazione delle 17 future Unioni territoriali intercomunali. Nuovi livelli istituzionali, a metà strada tra le ex Province e i Comuni che a questi ultimi piacciono poco. Vi ravvisano infatti il rischio di un azzeramento sia della rappresentatività che dell’autonomia decisionale dei singoli municipi e per questo hanno deciso di opporsi, strenuamente, all’attuazione della riforma. Impugnando ogni nuovo atto che sarà approvato dalla giunta regionale. Fin qui hanno approvato la delibera che dà mandato alle amministrazioni d’impugnare al Tar la perimetrazione una cinquantina di Comuni. Tra questi Tarvisio, Talmassons, Forgaria, Ampezzo, Camino al Tagliamento, Buja, Cercivento, Chiusaforte, Codroipo, Dogna, Fanna, Fogliano Redipuglia, Forni di Sotto, Gemona, Grimacco, Magnano in Riviera, Martignacco, Montenars, Palazzolo dello Stella, Pagnacco, Pasian di Prato, Porpetto, Pocenia, Pulfero, Santa Maria la Longa, San Vito al Torre, Sauris, Torreano, Venzone, Villa Vicentina, Villesse, Zuglio, Castions di Strada, Corno di Rosazzo, Drenchia, Moggio, Lestizza, Vivaro, Cavazzo Carnico, Sacile, Spilimbergo, Tricesimo, Reana del Rojale, Brugnera e Visco. «Siamo vicinissimi a sfondare quota 50 ha detto ancora Zanin -. Più il tempo passa e sempre più amministrazioni si rendono conto del disastro che rischia di produrre la legge Panontin, tanto che l’adesione è a tutti gli effetti trasversale. Agli schieramenti e alle province. La giunta Serracchiani è riuscita con una pessima legge a far coalizzare tante amministrazioni, oggi pronte più che mai a difendere le rispettive comunità». Dalla legge 26 a quella di riforma del Consiglio delle autonomie locali, che ieri è tornata all’esame dell’esecutivo Anci Fvg, forte della relazione chiesta dall’associazione regionale dei Comuni all’università di Udine. Il documento, frutto dell’analisi condotta dalla professoressa Elena D’Orlando, dà sostanzialmente ragione ad Anci sul ruolo che dovrebbe avere il Cal: «Un ruolo cruciale - afferma D’Orlando - di valorizzazione e di tutela dell’autonomia locale e, al contempo, di arricchimento della qualità delle politiche regionali e di maggiore qualificazione dell’autonomia, soprattutto in una regione caratterizzata da un’identità culturale composita». Da qui la richiesta dell’esecutivo Anci, cui ha dato voce il presidente, Mario Pezzetta: «Chiederemo di congelare temporaneamente la riforma per dar corso a un approfondimento politico-legislativo e per mettere il Cal al servizio della Specialità della Regione con caratteristiche di peculiarità e indipendenza». Maura Delle Case Dall’inizio della crisi persi 23.580 posti, la metà nell’Udinese (M. Veneto) di Elena Del Giudice UDINE L’Istat dice che a febbraio la disoccupazione è in salita, anzichè in diminuzione. «Ma non capisco chi si stupisce: non è sufficiente intervenire sulle regole del lavoro per creare posti di lavoro. O si risolvono i nodi strutturali che rappresentanto altrettanti gap competitivi, in modo tale da sostenere le imprese che ci sono e richiamarne di nuove a investire in questo Paese e in questa regione, oppure la disoccupazione non diminuirà». È il segretario della Cisl, Roberto Muradore a mettere in fila i dati sull’occupazione - o meglio sulla disoccupazione - dall’inizio della crisi a oggi. «In Friuli Venezia Giulia gli occupati dell’economia sono scesi nel periodo intercorso dall’anno di ingresso nella crisi, il 2008, e il dato più recente è quello del 2014, di ben 23 mila 580 unità, -4,5 per cento - ricorda Muradore -. Alla provincia di Udine va il palmares per la performance peggiore: -5,8 per cento con 13 mila 270 occupati persi, oltre la metà del dato regionale». La stragrande maggioranza dei posti di lavoro perduti appartiene al comparto manifatturiero, «piombato in una crisi propria che ancora perdura - sottolinea il sindacalista - che in regione è responsabile della perdita di 19 mila 477 occupati, pari all’82,6 per cento di tutti i posti di lavoro azzerati in Fvg, con un calo dell’11,2 per cento». Anche in questo caso la provincia di Udine è al vertice con 12 mila 491 occupati persi (meno 15,3 per cento). Ancora sui dati: «Nell’anno di entrata nella crisi, quindi parliamo sempre del 2008, erano 2 mila 633 i lavoratori sospesi, cioè posti in cassa integrazione, in tutta l’economia del Friuli Venezia Giulia. Di questi, il 59,7 per cento, ovvero mille 571 persone, appartenevano al comparto manifatturiero. Nel 2012 - ancora Muradore - i lavoratori sospesi, ovvero posti in cassa integrazione ordinaria, e quelli a rischio di diventare esuberi, e posti in cassa integrazione straordinaria o in deroga, sono diventati 14 mila 801, di cui 8 mila 652 del settore manifatturiero. L’anno successivo, nel 2013, sono saliti a 17 mila 704 e nel 2014 sono arrivati a 19 mila 764 (di cui l’80 è in cig straordinaria, quindi a rischio esubero), con 12 mila 892 provenienti dal comparto manifatturiero». Se gli accenni di ripresa si sono manifestati in questo periodo, non è certamente accaduto nell’occupazione. «E difficilmente credo accadrà se ci si limiterà ad intervenire solo sulle regole del rapporto di lavoro. Va bene fare anche questo - conviene Muradore -, se pensiamo al Jobs act, questo tende a stabilizzare i rapporti di lavoro rendendo più conveniente assumere con contratti a tempo indeterminato. Ma occorrerà lavorare ancora per disboscare i contratti atipici. E non basterà. È necessario - indica il sindacalista - risolvere i nodi strutturali, in questa regione come in Italia. Ed è qui che restiamo ancora indietro ed è su questi che la politica ancora tentenna». L’elenco è noto: si chiama efficientamento e minor costo dell’apparato burocratico pubblico inteso nel suo complesso, con una riduzione drastica della burocrazia. La giustizia e i suoi tempi, incompatibili con le esigenze delle imprese che già ci sono, e inaccettabili da quelle che cercano luoghi in cui insediarsi. Le infrastrutture «materiali e immateriali. La banda larga: ma facciamola!» è l’esortazione del segretario della Cisl. Se l’export ha salvato molte imprese in questi anni di crisi, non va dimenticato «che molte pmi lavorano per il mercato interno. Magari è ora di intervenire defiscalizzando il reddito da lavoro e aumentando le imposte sulle rendite». “Buco” da 100 milioni nelle partecipate (Piccolo) di Marco Ballico TRIESTE È un buco gigante, da 100 milioni di euro. Ne sono responsabili più di tutti i bilanci di Finanziaria Mc, la “cassaforte” azionaria di Mediocredito Fvg, e di Friulia, la holding. Ma ci sono altri segni “meno” nella galassia delle partecipate regionali. Un totale di 27 su 64 risultati di esercizio. Il dossier Il Piano di razionalizzazione delle partecipazioni societarie regionali, un dossier di 93 pagine, è zeppo di dati. Premesso il quadro normativo di riferimento, dal piano Cottarelli alla legge di Stabilità 2015, gli uffici hanno consegnato alla giunta la fotografia su entrate e uscite, costo degli amministratori e dei revisori dei conti, valore di produzione e peso degli organici, prima di precisare gli 11 criteri di selezione dei “buoni” e dei “cattivi”, per questioni solo normative o anche di cattiva gestione. La partecipazione diretta Per le 17 controllate dirette la situazione è già definita. Si salvano in 10, mentre le restanti 7 partecipazioni o sono in via di liquidazione (Agemont, Fiera di Trieste, Ares e Gestione Immobili) o lo saranno (Legno Servizi, Banca Etica e Finanziaria Mc) nei prossimi mesi, con risparmi già quantificati in 2,7 milioni nel triennio. Situazioni molti diverse, peraltro, dato che in Legno Servizi (1,02%) e in Banca Etica (0,09%) la Regione ha partecipazioni minime (e dunque se ne andrà), mentre Finanziaria Mc, che conta più amministratori (3) che dipendenti (0), ricade nel dettato della Stabilità che impone la soppressione della partecipazione dell’ente pubblico. Il caso Mediocredito Cancellare Finanziaria Mc non significa naturalmente azzerare il rosso, legato a Mediocredito Fvg, evidente sia nella colonna delle partecipazioni dirette che di quelle indirette. Per la Regione, come hanno già anticipato Debora Serracchiani e l’assessore alle Finanze Francesco Peroni, si tratterà di acquisire il pacchetto complessivo di Finanziaria Mc, compresa dunque la quota di Friulia. Nulla però cambierà nella compagine societaria (la Regione manterrà il 54,99% conseguenza delle due ricapitalizzazioni 2014). Il buco I bilanci del Piano non sono sempre aggiornati all’ultimo esercizio - la banca regionale ha nel frattempo dimezzato la perdita, mentre Aeroporto Fvg ha trasformato il +43.020 euro 2013 in -1,252 milioni 2014 - e così il disastroso 2013 degli strumenti finanziari della Regione (anche Friulia segna -35 milioni) fissa un risultato di esercizio delle partecipate dirette a quota -100,6 milioni, aggiungendo i disavanzi pure di Fiera Trieste (-617mila), Agemont (-435mila), Ferrovie Udine Cividale (-264mila), Ares (-43mila) e Legno Servizi (-30mila). Sono i numeri consegnati alla Corte dei conti per consentire ai magistrati di verificare il rispetto delle norme da parte della Regione. Stesse regole Un rispetto che la giunta chiede però a sua volta alle partecipate indirette, chiamate ad applicare identiche regole a se stesse e alle loro controllate, nel rispetto degli 11 criteri che la Regione ha usato per le proprie, con conseguenti liquidazioni e tagli a poltrone (si ipotizza pure la riduzione del cda dell’Aeroporto Fvg da 5 a 3 membri) e compensi di amministratori e sindaci: fino al 20% in meno rispetto al 2013 per gli organi di Fvg Strade, Ronchi, Insiel, in alcuni casi già concretizzati. Il rosso delle indirette Sul versante delle indirette, ma tra un anno, sarà ancora la Corte dei conti a monitorare il risultato raggiunto. Al momento si parte da non pochi buchi di bilancio. Li fanno segnare, oltre a Mediocredito Fvg via Finanziaria Mc, anche 3 società (su 4) dell’Aeroporto (AFvg Security, Aeroporto Gorizia e MidTravel), 6 di Agemont (Cirmont, Plas Optica, Euroleader, Friulmont, Legnolandia e Torre Natisone Gal), 2 di Friulia (Bic Incubatori e Friulia Veneto Sviluppo), una del Polo Tecnologico di Pordenone (Keymec) e una del Cosint (Carnia Welcome, partecipata anche di Promotur e Turismo Fvg). Tra le controllate attraverso enti si aggiungono inoltre i 4 “meno” delle partecipate di Turismo Fvg (Git Grado, Consorzi Forni di Sopra e Alto Friuli, Lisagest) e di un satellite di Promotur (Conai). L’avvertimento a Ronchi Il quadro di riferimento che le indirette dovranno tener presente è quello complessivo dei criteri del Piano, ma evidentemente il dato di bilancio è non poco rilevante. Non manca, non a caso, un primo avvertimento ad Aeroporto Fvg e alle sue controllate MidTravel (ultimi 4 esercizi in perdita) e AFvg Security (3 rossi negli ultimi 4 bilanci) che sembrano già condannate. «Pare opportuno che nelle more della loro soppressione - si legge nel documento - debba darsi comunque applicazione alle norme sul contenimento della spesa». Ad AFvg, in particolare, si suggerisce sin d’ora la riduzione dei costi del cda: «Vi sono ampi margini d’azione e di un tanto l’Aeroporto Fvg dovrà tenere conto». CRONACHE LOCALI Ater, per i sindacati i tagli ai dipendenti penalizzano l’utenza (Piccolo Gorizia-Monfalcone) di Domenico Diaco Si chiama "Piano di convergenza", ma altro non è che la riorganizzazione delle Ater su base regionale «per evitare sprechi e diseguaglianze»: troppe sono infatti, a dire dell'amministrazione regionale, le sperequazioni nei costi del personale delle varie aziende territoriali che si occupano di edilizia sovvenzionata. Insomma serve un cambio di marcia. A Gorizia, secondo i dati resi noti dalla Regione, l'incidenza dei costi del personale rispetto alle entrate è del 38,6%, più del doppio del peso del personale di Trieste. A Pordenone è del 18,6%, mentre a Udine si assesta sul 22%. Ma per i sindacati provinciali della funzione pubblica di Cgil, Cisl e Uil, ma anche Confsal quelli relativi a Gorizia sono dati falsati. Di qui la ferma opposizione a una riforma «che va a tagliare le indennità dei dipendenti». Ma non è solo questo il motivo che contrappone i sindacati goriziani alla Regione: la politica di risparmio che si vuole far pagare solo ai lavoratori rischia di ripercuotersi anche sull’operatività e il ruolo dell’Ater isontina con il rischio di un suo ridimensionamento e conseguente perdita per la provincia nel suo complesso di un forte presidio che si occupa di edilizia agevolata, quindi rivolta alle fasce più deboli della popolazione. I rappresentanti dei lavoratori invocano innanzitutto una maggiore trasparenza da parte della Regione sui bilanci dell'Ater di Gorizia (a differenza delle altre aziende territoriali sul link della Regione Fvg “amministrazione trasparente" non vi sono informazioni disponibili). Perché i sindacati di categoria dell'Isontino ritengono falsata l'equazione relativa al costo del lavoro, o per meglio dire che esso risulterebbe eccessivo rispetto alle entrate se comparato a quello delle altre Ater del Friuli Venezia Giulia è presto detto. È la discrepanza fa la retribuzione dei dirigenti operanti a Gorizia sulla quale batte il sindacato. Massimo Bevilacqua, segretario regionale, oltre che provinciale della Funzione pubblica della Cisl ritiene tale divergenza inaccettabile. Un dirigente guadagna 130mila euro all'anno, mentre un un semplice lavoratore solo 30mila. E a Gorizia i dirigenti sono in numero più alto che altrove, mentre i 60 dipendenti devono gestire, ricorda Manià, in tutta la provincia 10mila utenti, e un patrimonio rappresentato da 5mila alloggi. I sindacati di categoria ricordano che a Gorizia vi sono quattro dirigenti oltre al direttore e i cui stipendi non saranno toccati a differenza delle indennità dei lavoratori per i quali la riforma prevede veri e propri tagli. «Ancora una volta - afferma Luca Manià della Cgil-Funzione pubbblica, che parla a nome anche della altre sigle sindacali - si colpiranno i dipendenti, ma non solo essi. Infatti il piano di convergenza prevede di ritoccare, in provincia di Gorizia, ovviamente verso l'alto, i canoni di affitto per ridurre la forbice tra costo del lavoro ed entrate». Le retribuzioni dei dirigenti, che i sindacati non esitano a dire essere superpagati, vanno a stravolgere la media del costo del lavoro complessivo all'Ater di Gorizia allargando la forbice tra costi ed entrate, per lo più derivanti dai canoni di locazione. Per i sindacati, a pagare non devono essere soltanto i lavoratori e gli affittuari: viene chiamata in causa la programmazione in materia di edilizia sovvenzionata non sempre, sostengono, improntata a principi di efficienza. «L’azienda ci ripensi sull’integrativo» (Piccolo Gorizia-Monfalcone) di Laura Borsani Cessati gli effetti dell’integrativo del 2009, i sindacati “incassano” l’assottigliamento in busta paga di 70 euro al mese non senza respingere l’accusa di “temporeggiare” nella presentazione delle piattaforme legate al rinnovo del contratto. La Fiom Cgil, attraverso il segretario provinciale Thomas Casotto, parla di una «decisione unilaterale» assunta da parte di Fincantieri, e ricorda: «L’azienda aveva a suo tempo già accettato la presentazione delle piattaforme fuori dai termini, con tanto di lettera firmata. Le stesse proroghe susseguitesi erano state volute dall’azienda, per gestire anche il periodo di crisi che stavamo attraversando, con gli esuberi». E la Uilm, per bocca del provinciale Luca Furlan, evidenzia: «Se questi atteggiamenti aziendali vogliono rappresentare solo forzature in questa fase negoziale delicata, il tavolo non può che rischiare inasprimenti. Mi auguro, pertanto, che l’azienda faccia un passo indietro, dicendosi invece disposta a ripristinare l’accordo del 2009, a fronte di una nuova deroga utile ad addivenire a una trattativa fattiva, al fine di raggiungere il migliore accordo per questo integrativo che deciderà le sorti dei lavoratori per i prossimi anni. Lo voglio ribadire - aggiunge Furlan -, se è vero che l’azienda s’è dichiarata peraltro disponibile ad ulteriori incontri oltre a quelli già calendarizzati: la Uilm esprime massima disponibilità a stare ai tavoli, purchè senza veti, forzature e strumentalizzazioni di sorta. Non vogliamo affrontare un momento negoziale così importante con la spada di Damocle sulla testa». Furlan parla di «fulmine a ciel sereno», ma nelle affermazioni della direzione aziendale intravvede evidenti contraddizioni: «L’azienda osserva infatti - non rinnova la proroga facendo decadere l’integrativo e, contestualmente, si rende disponibile a discutere anche attraverso ulteriori incontri. Sentirmi dire che sta ancora al tavolo facendo cessare l’accordo del 2009 non sta in piedi. Così si rischia di fomentare malumori e acuire le distanze». E se Casotto annuncia una prossima assemblea dei lavoratori («ai quali intendiamo comunque rimetterci attraverso un referendum sull’esito della trattativa») e nuove azioni di sciopero già nelle prossime ore, Furlan ribadisce: «Diventa difficile arrivare a iniziative unitarie quando esulino da un ragionamento sul merito dei problemi. Ciò che chiediamo sono risposte economiche e normative ragionevoli, il miglioramento del lavoro, un efficientamento importante, anche attraverso nuovi meccanismi, purchè basato su una riflessione economica a tutto campo, non solo ridotta alla paga dei lavoratori». Casotto, da parte sua, sottolinea: «Il punto resta trovare un accordo serio, di salvaguardia del lavoro, delle sue modalità di esecuzione, e di prospettiva, di investimenti per una maggiore competitività. All’azienda non abbiamo mai chiesto un euro in regalo, nè privilegi di sorta. Su tutto pretendiamo che l’appalto sia esempio di legalità e trasparenza, sfruttando qualsiasi sinergia utile, anche attraverso le istituzioni e la Prefettura. E chiediamo di sbloccare il turn-over procedendo a nuove assunzioni interne, ridimensionando il sistema dell’appalto ma contestualmente qualificandolo». Personale del Cara, i sindacati al prefetto: «Basta con le bugie» (Piccolo Gorizia-Monfalcone) «La spocchia e la supponenza del Prefetto nei confronti dei lavoratori e delle loro famiglie è la principale causa della drammatica situazione attuale». È durissima la reazione dei sindacati alle dichiarazioni rilasciate al nostro giornale dal Prefetto di Gorizia Vittorio Zappalorto, che ieri aveva freddato le speranze dei sessanta operatori del centro, parlando di un esubero dei dipendenti del Cara di Gradisca e dell'impossibilità di inserire nel futuro bando per la gestione del centro immigrati isontino una clausola di salvaguardia che possa garantire loro un futuro occupazionale. Fp-Cgil, Fisascat Cisl e Uil-Fpl non solo promettono battaglia, ma in una nota congiunta affidata al responsabile provinciale Uil Michele Lampe ritengono di poter facilmente confutare le dichiarazioni del Prefetto. Secondo Zappalorto sarebbe sufficiente una ventina di operatori per gestire gli attuali 230 ospiti del Cara (compresi i posti attualmente occupati all'ex Cie), a fronte dei 70 necessari - secondo il vecchio appalto - per gestire i 400 posti di Cara e Cie “virtualmente” al completo. Una situazione che il Prefetto ricordava l’altro giorno non essersi mai verificata. «Ma è sufficiente una semplice proporzione matematica da scuola elementare per smentire tale affermazione – argomenta Lampe -: per i 250 ospiti attualmente presenti (e non 230 come asserisce il Prefetto) sono necessari almeno 44 operatori, mentre ne servirebbero almeno 25 per gestire i 138 ospiti previsti da convenzione per il solo Cara. Probabilmente ancora una volta si confonde la realtà dei 250 ospiti odierni con il “sogno ideale” del Prefetto di averne a Gradisca solamente 138. Persino i numeri minimi da garantire per i soli servizi essenziali in caso di sciopero sono più alti della cifra dichiarata da Zappalorto». Prosegue Lampe: «Non è compito del Prefetto giudicare se vi siano o meno esuberi. Non è lui il datore di lavoro. Il ruolo dell'appaltante è ben definito dalla normativa vigente. Con le sue dichiarazioni il Prefetto ha dimostrato ancora una volta la sua scarsa conoscenza del settore e del problema che si è venuto a creare: d'altra parte – l'affondo - in un anno ha voluto incontrare i sindacati solamente una volta. Dice di trattare la rescissione consensuale con la cooperativa Luoghi Comuni, quando il soggetto incaricato dell'appalto è il consorzio Connecting People. E poi perché una rescissione consensuale? Se il consorzio è ripetutamente venuto meno alle condizioni previste nell'appalto, perché nessun provvedimento nei loro confronti? Evidentemente anche Prefettura e ministero sanno di essere inadempienti, ma a pagare sono soltanto i lavoratori e gli ospiti». «E la si faccia finita – non ci girano certo intorno i sindacati sull'impossibilità di inserimento della clausola sociale: anche il Comune di Gorizia l'ha inserita nel nuovo appalto per la casa di riposo “Culot” e tutti i dipendenti della cooperativa uscente sono stati riassorbiti. La verità è che Prefettura (e ministero) hanno deciso con quali onlus trattare e di non inserire la clausola. E allora basta bugie». I sindacati si chiedono anche come sia possibile che controllore e controllato (Prefettura e vertici Connecting), seppure formalmente rinviati a giudizio «siano entrambi ancora al loro posto e per quale ragione la Prefettura paghi al consorzio siciliano solo per i 138 posti del Cara, a fronte delle oltre 200 presenze attuali. Come possono pensare che Connecting People sia in grado di pagare con regolarità fornitori e dipendenti senza rischiare il fallimento?». Luigi Murciano Mercatone, sciopero di solidarietà (Piccolo Gorizia-Monfalcone) Hanno incrociato le braccia anche i lavoratori del Mercatone Uno di Monfalcone, ieri, per l’intera giornata, aderendo allo sciopero nazionale per i dipendenti del Gruppo, alle prese con la richiesta formalizzata al Tribunale di Bologna, di concordato preventivo “in bianco”, legata in particolare alla mancanza di liquidità dovuta soprattutto al calo delle vendite. Proprio ieri mattina, al tavolo del Ministero dello sviluppo economico, già programmato, l’azienda non s’è presentata. A Roma non è mancato un presidio di lavoratori, e si è tenuto un incontro con i rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil nazionali. I dipendenti del magazzino commerciale monfalconese hanno così voluto aderire allo sciopero per manifestare in particolare la solidarietà ai colleghi del sito di Reana del Rojale, che tra i punti vendita della regione, versa nella situazione più critica. Un modo, quindi, per mantenere l’unità dei lavoratori di fronte al rischio di uno smembramento del Gruppo e allo svuotamento di una parte dei magazzini, non senza possibili ripercussioni sugli ammortizzatori sociali. Il punto vendita cittadino, tuttavia, è rimasto aperto, grazie ad una minima parte dei lavoratori che hanno garantito l’attività a favore dei clienti. La storica azienda della distribuzione organizzata del mobile, complementi di arredo e casalinghi, conta in Italia 79 punti vendita complessivi e circa 3.500 dipendenti. In Friuli Venezia Giulia, assieme ai siti di Monfalcone e di Reana del Rojale, è presente anche il punto vendita di Sacile, per un centinaio di occupati complessivi. Nel magazzino commerciale cittadino, situato lungo la strada regionale 14, vi lavorano una quarantina di dipendenti, già sottoposti, come tutti i lavoratori dei 79 siti commerciali, a contratto di solidarietà con scadenza a maggio. Si tratta di una riduzione oraria spalmata sui lavoratori a rotazione, pari a circa il 15-20% del monte-ore settimanale. Il punto vendita monfalconese non risulta tra i siti in difficoltà economica, essendo in attivo. La riforma taglia 60 letti in ospedale (M. Veneto Udine) Meno 60 posti letto in ospedale. Il piano attuativo ospedaliero 2015 approvato l’altro giorno, il primo dopo l’avvio della riforma del servizio sanitario regionale che prevede l’integrazione tra il Santa Maria e l’azienda per l’assistenza sanitaria Friuli centrale, parla chiaro: i posti passano da 1.096 a 1.036, con una riduzione di 42 unità nelle degenze e altri 18 di day hospital. Al momento, la dotazione aziendale prevede 939 posti letto ordinari e 147 posti letto di day hospital, che passano rispettivamente a 897 e 129. Ma il commissario straordinario dell’Azienda ospedaliero-universitaria e dell’Azienda per l’assistenza sanitaria 4, Mauro Delendi, chiarisce che si tratta di una riduzione «a tendere, e in parte già avvenuta». «I 42 posti letto sono in gran parte relativi alle degenze chirurgiche e chirurgicospecialistiche - riferisce Delendi - non si toccano invece i posti di medicina generale. Sono già stati ridotti 20 letti e in parte compensati dalla creazione di altri posti di degenza semi-intensiva che prima non c’erano». Nove posti letto di degenza ordinaria di Dermatologia sono stati eliminati a Gemona, dopo il trasferimento nel capoluogo friulano della clinica universitaria avvenuto lo scorso anno. Per quanto riguarda invece le unità di day hospital, il commissario ha sottolineato che il decremento è giustificato da una «ridondanza rispetto agli standard e vi è un eccesso di posti utilizzati a scopo diagnostico». Si tratta insomma di una graduale revisione del numero di posti letto a seguito dell’attivazione di nuovi modelli assistenziali per intensità di cura e conseguentemente all’avvio delle attività nelle nuove sedi ospedaliere, come indicato nel piano. Anche perché le linee guida dettate dalla riforma sanitaria regionale prevedono una fluidificazione del passaggio dall’ospedale al territorio, un lavoro da centrare sulla continuità assistenziale. «Si riduce l’accesso ospedaliero e si potenzia il territorio - ribadisce Delendi - in questo modo diminuisce la necessità di posti letto». Il piano, infatti, rileva l’esigenza di «evitare ricoveri ripetuti e inappropriati» e di assicurare al medico di famiglia un «adeguato supporto al domicilio nell’ambito della presa in carico multiprofessionale». L’altro punto scottante riguarda i «costi per manutenzioni ordinarie edili impiantistiche» che nel piano risultano pari a quelli sostenuti lo scorso anno, per complessivi 1 milione 827 mila euro. Ma se, come si legge nel documento, è «oggettivamente molto difficile ritenere che, in base alle risorse assegnate all’Azienda, si possa garantire un’attività manutentiva appropriata sul patrimonio immobiliare aziendale», per il commissario «la realizzazione delle nuove strutture ospedaliere di fatto comporta una riduzione degli oneri per questo tipo di interventi ordinari: le strutture vecchie presentano maggiori esigenze». Alla luce del recente trasferimento nei nuovi spazi ospedalieri, «al momento non sono finanziati nuovi investimenti. Se ne potrà parlare solo in fase di assestamento di bilancio a metà 2015» indica il commissario. Piano alla mano, comunque, per l’anno in corso sono tra l’altro programmati i trasferimenti di Oncologia, della clinica Ematologica, del centro trapianti midollo osseo, Medicina nucleare e fisica sanitaria nella struttura di nuova realizzazione, andando così a completare l’attivazione dei primi due lotti del nuovo ospedale. Interessante infine anche il dato che riguarda le cessazioni dal servizio: 20 medici (più un biologo) e 59 qualifiche non mediche. Rimane l’interrogativo sulla possibilità di garantire il turn over del personale. Giulia Zanello «Basta code al pronto soccorso, più servizi sul territorio» di Giacomina Pellizzari Stop agli intasamenti al Pronto soccorso. In città risiedono oltre 25 mila ultra sessantacinquenni, servono servizi sanitari a misura di anziani. Questa sarà la richiesta che nei prossimi giorni avanzeranno il sindaco, Furio Honsell, e l’assessore ai Servizi sociali, Simona Liguori, al commissario unico dell’azienda ospedaliero-universitaria Santa Maria della Misericordia e dell’Azienda territoriale “Friuli centrali”, Mauro Delendi. Forti del voto unanime ottenuto nell’ultima seduta del consiglio comunale, il sindaco e l’assessore sollecitano la cosiddetta protezione sociale che prevede anche minori ricoveri per gli anziani, gli ammalati terminali e cronici. Il progetto delineato, l’altra sera, in aula rispecchia il contenuto della riforma sanitaria e del Piano attuativo ospedaliero 2015. Il documento, infatti, a seguito della già programmata riduzione dei ricoveri, prevede un nuovo taglio dei posti letto già ridotti nell’anno in corso di una sessantina di unità. La richiesta del Comune di Udine, quindi, si sposa perfettamente con la filosofia della riforma regionale. Tant’è che il sindaco ci tiene a precisare che «questo è il momento adatto per far si che sempre meno anziani siano costretti a ricorrere al pronto soccorso o ad alcuni giorni di degenza nei reparti di Medicina». I punti su cui fa leva Honsell sono proprio la riforma sanitaria e il commissario unico delle aziende ospedaliera e territoriale. «Il sistema dovrebbe essere raccordato con i medici di base, i geriatri e coloro che si occupano della continuità assistenziale» insiste il primo cittadino sollecitando strategie idonee a trasferire l’ospedale sul territorio. Si tratta di un vecchio progetto sbandierato da anni e mai realizzato. «Prima d’ora non è stato possibile farlo - fa notare il sindaco - proprio perché c’erano due aziende diverse». L’amministrazione di palazzo D’Aronco apprezza anche la professionalità di Delendi con il quale si confronterà a breve per chiedergli di attuare: «Una maggiore integrazione tra medici di base e ospedalieri; l’estensione del modello delle dimissioni protette per evitare che l’anziano sia costretto a tornare più volte in ospedale e la continuità assistenziale a domicilio. «Questo modello - aggiunge Honsell - consentirà all’ospedale di Udine di gestire la sua specializzazione per acuti». Dello stesso avviso l’assessore: «La mozione approvata all’unanimità dal consiglio comunale tiene conto di alcune motivazioni dei cittadini» spiega ricordando che i ricoveri ospedalieri non migliorano la qualità di vita degli anziani. Liguori ci tiene a chiarire inoltre che il Comune non ha alcuna competenza in materia, è intervenuto solo per implementare la rete sociale. L’ha fatto dopo aver analizzato alcune stime che prevedono l’aumento delle famiglie monoparentali e delle persone anziane. Da qui la necessità di implementare i servizi sul territorio e con il commissario unico è sicuramente più facile arrivare a una sintesi. Diversa la situazione per la carenza dei pediatri sul territorio e soprattutto per l’eliminazione del servizio in via Riccardo di Giusto, a Udine est. «Ho ascoltato i cittadini che si sono costituiti in Comitato» conferma l’assessore ai Servizi sociali assicurando di non aver promesso la soluzione al problema proprio perché, al momento, non ci sono molti spiragli aperti. La decisione se cambiare o meno i parametri che consentono a ciascun pediatra di seguire 1.200 bambini spetta solo alla Regione alla quale il consiglio comunale di Udine avanzerà specifica richiesta dopo aver analizzato la mozione annunciata dal consigliere Federico Filauri (Pd). Contributi ridotti e classi a rischio. Protesta delle paritarie (M. Veneto Udine) Il calo dei contributi per l’abbattimento delle rette delle scuole paritarie si ripercuote, anche quest’anno, sulle iscrizioni con una stima di almeno 4 classi in meno in provincia di Udine per il 2015/16 con il conseguente possibile rischio di un’ulteriore riduzione di circa venti posti di lavoro. Le cinque classi perse l’anno precedente in provincia di Udine, sommate a quelle tagliate nelle altre province, hanno determinato un diminuzione di 98 occupati. La flessione degli importi messi a disposizione dalla Regione (legge 14/91) e liquidati dalla Provincia (incaricata delle istruttorie) nei mesi scorsi (962 beneficiari), è stata di oltre il 50 per cento sul contributo medio a famiglia, ma c’è chi riceveva fino a mille euro e ora si trova in tasca poco meno di 400 euro, una diminuzione in pratica di 2/3. La copertura del fabbisogno è passata dall'80,8% al 38,2%. «Una flessione che sta mettendo in difficoltà molte famiglie che faticano a pagare le rette» denuncia il dirigente scolastico del Santa Maria degli Angeli di Gemona Gianluca Macovez, tra le scuole, a livello provinciale, con il maggior numero di iscritti per quanto riguarda elementari e medie. Ma la situazione che si ripercuote sui bilanci di diverse strutture. La differenza è sensibile specie per mamme e papà che, da un giorno all’altro, si ritrovano in cassa integrazione o a casa e quindi con budget limitatissimi ulteriormente erosi da minori quote di contributi». Difficoltà che, in una decina di casi, già lo scorso anno, hanno determinato altrettanti ritiri dalla scuola «a dimostrazione che - rileva Macovez - un quantitativo di contributi non congruo, in molte situazioni, non mette i genitori nelle condizioni di scegliere liberamente privandoli di un diritto sancito dalla Costituzione». Quanto alle iscrizioni, continua Macovez «saremo costretti a ridurre da 3 a 2 le sezioni della scuola media». Le scuole cercano di contenere le perdite senza rinunciare all’offerta dei servizi. Ma le difficoltà sono crescenti specie nelle realtà più piccole. La problematica interessa anche il Bearzi di Udine. «Per la primaria quest’anno sono arrivate solo 12 richieste mentre per “stare in piedi” il numero minimo è 20. Stiamo facendo sforzi importanti per soddisfare la necessità delle famiglie ma - spiega don Igino Biffi - c’è preoccupazione. Ci viene richiesto dall’Europa di allinearci agli standard, ma sulla difesa della libertà educativa e quindi sull’offerta delle scuole paritarie, l’Italia non tiene il passo. Il Bearzi, opera educativa attenta agli ultimi, si ritrova in difficoltà nell’aiutare le famiglie più bisognose. Non vogliamo comunque cedere». «I contorni della situazione sono sempre più allarmanti - commenta l'assessore provinciale all'istruzione Beppino Govetto - e malgrado la questione sia stata posta all'attenzione della Regione, non abbiamo registrato al momento un interessamento approfondito sulla materia. La Provincia, a fronte delle difficoltà di queste scuole che rischiano di diventare davvero quello che non sono e non vogliono essere, ovvero scuole per ricchi, dell'importanza dei servizi offerti e soprattutto della ferma volontà di difendere il diritto di libera scelta, rivolge un nuovo appello alla Regione: sia ripristinato un fondo congruo per le famiglie con figli iscritti alle paritarie e si consenta a queste scuole di poter svolgere con dignità il proprio ruolo considerando che rappresentano anche un notevole risparmio per lo Stato. 500 euro circa il costo allo Stato di un alunno delle paritarie a fronte dei 6 mila euro delle statali". Già lo scorso anno si è attivato anche un "Comitato genitori per la libera scelta" che ha portato la questione all'interesse della Regione ma le aspettative ad oggi non sono state soddisfatte. «Auspichiamo che la politica regionale e nazionale - conclude Govetto - intervenga in tempi utili per evitare che la situazione venga ulteriormente compromessa» . Coopca, nuova chiamata dei soci in assemblea per il 12 aprile: si studiano le contromosse (Gazzettino Udine) AMARO MAJANO - (D.Z.) È stata convocata per domenica 12 aprile alle 15 al Teatro Candoni di Tolmezzo la nuova assemblea dei soci prestatori e lavoratori della Coopca. All’ordine del giorno l’illustrazione del piano concordatario, le eventuali azioni da intraprendere, la ratifica delle dimissioni di alcuni componenti del comitato. Intanto, anche a Majano c'è preoccupazione per le sorti della Coopca e in particolare per il suo punto vendita presente in paese. Il sindaco Raffaella Paladin ha per questo incontrato il vice presidente di Legacoop Fvg Roberto Sesso per verificare la situazione, dal momento che, all'interno delle attuali offerte vincolanti presentate nel piano di concordato ad oggi depositato in Tribunale, questo negozio non figura tra quelli opzionati dai possibili acquirenti. «Questo desta preoccupazione - spiega il sindaco - tant'è che ho chiesto un incontro con i vertici di Legacoop Fvg per avere notizie e chiarimenti, visto che quel negozio, ubicato in via Udine, assume anche una valenza sociale per gli anziani del comune che avrebbero difficoltà a fare la spesa altrove; inoltre continua - esiste un ulteriore problema, altrettanto significativo, ovvero quello relativo ai dipendenti che vi operano e che, in questo momento di grave crisi generale, assieme alle loro famiglie, non saprebbero cosa fare e dove andare». L'incontro che è stato organizzato nei giorni scorsi. Da parte sua il numero due di Legacoop Fvg, Sesso, ha rimarcato: «Ci siamo attivati, come Associazione regionale, con il sistema, e in particolare con il consumo nazionale per trovare una soluzione ad una vicenda che resta complessa». Sesso si è quindi impegnato a portare all'attenzione di competenti organismi superiori le esigenze rappresentate dal sindaco di Majano. Due ore di stipendio per l’addio a Giuseppe (Gazzettino Pordenone) Maria Santoro Regna la tristezza al termovalorizzatore Mistral, dove lunedì ha perso la vita il manutentore Giuseppe Toneatti, 50 anni, successivamente allo scoppio di una cisterna. Ieri Cgil e Uil hanno promosso un'assemblea sindacale di concerto con l'azienda per ricordare il dipendente deceduto e discutere alcuni temi legati alla sicurezza sul lavoro. «Toneatti era un amico e un valido collaboratore - ha dichiarato il referente provinciale Cgil, Flavio Venturoso - per quanto la ferita sia fresca e profonda per pensare già all'attribuzione di eventuali responsabilità e formulazione di proposte, ci siamo comunque incontrati e confrontati sulla vicenda». I dirigenti hanno manifestato disponibilità a migliorare il consolidamento della cultura della sicurezza fondata sulla responsabilità e la consapevolezza di ciascuno, assicurando inoltre di aver costantemente osservato le prescrizioni di legge: «Sono pronti - afferma - a valutare richieste e suggerimenti sull'argomento». Domani i colleghi di Toneatti osserveranno i 50 minuti di sciopero nazionale indetto congiuntamente da tutte le sigle sindacali per Giuseppe Toneatti e Salvatore Longo schiacciato da un mezzo in provincia di Rimini. «Hanno espressamente chiesto che l'azienda trattenga 2 ore ciascuno dalla busta paga - sottolinea - e le devolva alla famiglia per i funerali dell'uomo che lascia due figlie». Anche Mistral farà la sua parte: l’azienda ha fatto sapere che interverrà economicamente per sostenere la differenza del costo delle esequie. Senz'altro un bel gesto di riconoscenza verso un lavoratore modello, meticoloso e puntuale, la cui assenza peserà per tutti. «Oggi i dipendenti saranno seguiti da una psicologa - assicura - daremo a tutti, specie al collega Luca Bincoletto, 29 anni, che ha assistito alla cruenta scena il supporto necessario a superare lo shock emotivo». Bincoletto era presente come gli altri all'assemblea, solo e soltanto per testimoniare il suo grande affetto a Giuseppe Toneatti: «È in evidente stato di smarrimento - dichiara Venturoso - faremo quanto in nostro potere per aiutarlo». Gli amici più cari e tanti conoscenti della comunità spilimberghese continuano intanto a postare numerose fotografie e messaggi di cordoglio alla famiglia. Per tutti la sua morte rappresenta «una grande ingiustizia» cui purtroppo nessuno potrà porre rimedio, pure la conclusione delle indagini e l'eventuale individuazione di responsabili non restituiranno all'affetto dei suoi cari «l'uomo dalle mani e dal cuore d'oro». Lavoro, lo sportello si allunga (Gazzettino Pordenone) PORDENONE – Più ore di sportello per combattere meglio la disoccupazione. È entrato in vigore il nuovo orario dei Centri per l’impiego (a Pordenone, San Vito al Tagliamento, Sacile, Maniago, Spilimbergo e Comidis, il Collocamento mirato disabili con sede a Pordenone, in Villa Carinzia). L’esecutivo provinciale guidato dal presidente Claudio Pedrotti, ha stabilito che, a partire dal mese di aprile, nelle giornate del martedì e giovedì, in cui è già prevista l’apertura pomeridiana del servizio, gli sportelli ricevano su appuntamento e amplino l’orario attuale di apertura al pubblico di un’ora. Un provvedimento che nasce dalla necessità di far fronte alle crescenti richieste da parte di quanti, vista la situazione di crisi, si rivolgono sempre di più ai servizi provinciali alla ricerca di una occupazione. «Il ricevimento su appuntamento da un lato e, un orario di apertura più esteso dall’altro, consentirà agli operatori dei Centri per l’impiego di garantire un servizio più efficace ed efficiente all’utenza» spiega il presidente Pedrotti. Questo il nuovo orario di apertura al pubblico che osserveranno i sei Centri per l’impiego provinciali: dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 12.30 e appunto, il martedì e giovedì, anche dalle 14.30 alle 17.30. Una novità, perfettamente in linea con l’operazione di rinnovamento dei servizi all’impiego provinciali resa negli ultimi anni, finalizzata a migliorare la privacy degli utenti, garantendo un approccio più “friendly” (come nel caso dell’ottimizzazione degli spazi operata nella sede dei Cpi di Pordenone in via Borgo San Antonio), per una maggior riservatezza e un minor disagio all’utente in fase di colloquio. Chiusura ufficiale per la Metro, nuova cattedrale nel deserto (M. Veneto Pordenone) Le serrande della Metro “Cash and carry” si sarebbero dovute abbassare oggi. Così almeno aveva inizialmente annunciato la proprietà due mesi e mezzo fa ai 48 dipendenti. «Nel Pordenonese – era stata la motivazione addotta dalla multinazionale tedesca – mancano le possibilità di sviluppo». Magazzini e scaffali, tuttavia, si sono svuotati prima del previsto, con il risultato che già da quasi una settimana la gran parte del personale è rimasto a casa e il centro all’ingrosso è deserto. Una gigantesca scatola vuota, l’insegna già oscurata, il parcheggio un tempo affollato di automobili trasformato in una desolante distesa di cemento. Sembrano lontanissimi i tempi in cui la Metro apriva il proprio punto vendita a Pordenone: era il dicembre del 2004 quando i cancelli del magazzino venivano presi d'assalto dagli avventori, accalcati per accaparrarsi i prodotti lancio. Sono trascorsi 10 anni, e il quadro è del tutto stravolto. All’esterno della Metro, ieri, solo qualche operaio intento a caricare sui camion le scaffalature smontate, all’interno una serie di scatoloni con gli ultimi prodotti rimasti invenduti e gli “scheletri” metallici degli scaffali che attendono solo di essere rimossi. Negli uffici, alcuni impiegati rimasti al lavoro per terminare gli ultimi adempimenti. Nessuno di loro, comprensibilmente, ha voglia di parlare: c’è la rabbia e la delusione per non aver potuto scongiurare la chiusura. Sei tra gli ex lavoratori sono entrati in mobilità volontaria o sono stati riassorbiti in altri punti vendita della catena – quella di Pordenone è l’unica sede ad aver chiuso i battenti tra le 49 presenti in Italia –, per gli altri scatterà domani (e per un anno) la cassa integrazione per cessata attività. L’accesso agli ammortizzatori sociali era stato garantito ai lavoratori già venti giorni dopo l’annuncio choc della chiusura del magazzino: dopo il tavolo di crisi in Provincia, le parti sociali si erano incontrate in Regione per la firma dell’attivazione degli aiuti sociali. Accanto a questo, le forze sindacali avevano ottenuto l’impegno – da parte delle istituzioni e della stessa multinazionale tedesca – a favorire il processo di reinserimento degli ex dipendenti, da monitorare in incontri periodici. Una prima riunione si è svolta lo scorso mese, la prossima sarà il 13 aprile. I lavoratori di Pordenone – 35 su 48 hanno meno di 40 anni – hanno una priorità di 15 giorni per manifestare l’interesse ad accedere alle posizioni che eventualmente si liberino nei vari punti vendita Metro Italia (in quattro hanno già usufruito di questa opportunità). È aperta anche la strada del riassorbimento nelle sedi trasfrontaliere. Miroslava Pasquali Anziani, trasporto a pagamento (Gazzettino Pordenone) Michelangelo Scarabellotto Auser Alto Livenza Sacile: brutte notizie per quanti hanno bisogno anziani, disabili, infermi - del servizio di accompagnamento a strutture ospedaliere e servizi sanitari: il servizio che l'associazione da anni garantisce a tutti gratuitamente (ricevendo come contropartita un contributo forfettario dall'Ambito stesso che per il 2014 è stato di 8 mila euro) è a rischio. Secondo la nuova convenzione sottoscritta dall'Auser provinciale con l'Ambito 6.1 i rimborsi spese per gli accompagnamenti saranno effettuati solo se gli stessi verranno ufficialmente comunicati all’associazione da parte dell'Ambito. A tutti coloro che per varie ragioni non si rivolgeranno ai Servizi sociali, sarà richiesto un contributo per le spese affrontate e non coperte dalle strutture pubbliche, una sorta di ticket il cui valore sarà comunicato di volta in volta all'utente. L'annuncio è del presidente dell'Auser Alto Livenza sacilese Natalino Valdevit che della novità ha informato i soci durante i lavori dell'assemblea nel corso della quale è stato approvato il bilancio consuntivo 2014. Una novità che non sarà certamente gradita alle 180 persone che si rivolgono all’associazione in un anno per un totale di 1.100 accompagnamenti a strutture sanitarie, servizi ospedalieri e sociali, che saranno costrette, ora a rivolgersi ai Servizi sociali del Comune che autorizzeranno il trasporto se la situazione economica del richiedente sarà inferiore ai limiti di legge, su ognuno dei quali l'Ambito corrisponderà un rimborso forfettario di 0,60 centesimi per chilometro. Negli altri casi scatterà il ticket «che sarà da noi - tiene a sottolineare il presidente Valdevit - suggerito ma mai tassativo, che varierà a secondo della distanza del servizio. Questa procedura durerà fino al 31 dicembre 2015. Per il presidente una scelta dovuta alla necessità, da parte dell'Ambito, di omologare il Filo d'Argento di Sacile alle modalità seguite negli altri Comuni. Due sono state le proposte emerse nel corso dell'assemblea: una richiesta di contributo in base alla percorrenza effettiva misurata in chilometri o una richiesta a forfait basate su varie fasce chilometriche. È stata scelta la proposta del ticket forfettaria che prevede un ticket di 3 euro entro i 10 chilometri, 5 euro da 11 a 20 chilometri, 10 euro da 21 a 35 chilometri, 15 euro da 36 a 50 chilometri, 20 euro oltre 50 ed entro 100 chilometri, 30 euro da 101 a 150 chilometri e 50 euro oltre 150 ed entro 300 chilometri. Una procedura che naturalmente allungherà i tempi di intervento in quanto il richiedente del trasporto dovrà prima recarsi al Caf per farsi calcolare l'Isee, quindi ai Servizi sociali che istruiranno la pratica che la trasmetterà all'Auser per autorizzare il trasporto, mentre attualmente la risposta è sempre stata rapida e teneva conto del bisogno della persona. Una procedura farraginosa. «Infatti - precisa il presidente dell'Auser - dal 1' marzo data in cui è scattata la nuova procedura abbiamo ricevuto una sola autorizzazione dall'Ambito, mentre le persone hanno continuato a richiedere direttamente a noi il servizio aderendo alla nostra richiesta di rimborso». Alloggi sociali nell'ex fabbrica Sadoch (Piccolo Trieste) di Micol Brusaferro Dopo oltre vent’anni di abbandono e di progetti annunciati e mai partiti, l’ex fabbrica Sadoch di viale Montebello si prepara a nuova vita. A giugno sarà perfezionato l’acquisto da parte del Fondo housing sociale Fvg gestito da Finint Investments SGR, poi inizieranno i lavori, che dureranno circa un anno e mezzo. Alla fine del cantiere il progetto, che prevede il mantenimento del profilo architettonico della facciata attuale, vedrà realizzati 94 alloggi che saranno destinati prevalentemente alla locazione a canone agevolato. L’immobile, costruito nel 1957, ha una superficie complessiva di circa 9mila metri quadrati, tra la palazzina più bassa che si affaccia sulla strada e l’edificio più alto alle sue spalle. Negli ultimi anni si è assistito ad un lento e costante degrado dell’ex fabbrica cartotecnica, con infissi caduti, immondizie accumulate in più punti, porte divelte e ripetuti atti vandalici, segnalati più volte anche dai residenti della zona. Dall’esterno si nota l’incursione incontrollata di chi ha imbrattato i muri e ha staccato pezzi di recinzione, alla ricerca probabilmente di oggetti o mobili. Ma ormai ben poco è rimasto di quella stabilimento, molto conosciuta in passato in tutta la città. Anche il marciapiede davanti allo stabile risulta particolarmente danneggiato, con il porfido che in più punti lascia intravedere ampi buchi. In queste settimane l’attuale proprietà, l’Art 2000 Srl, sta eseguendo la rimozione dei materiali residui e la pulizia delle aree circostanti, prima di arrivare al rogito, previsto a fine giugno, quando lo stabile passerà nelle mani del fondo Housing Sociale FVG, che ne curerà la risistemazione immobiliare e la successiva gestione, in collaborazione con il gestore socio-immobiliare. «Siamo un fondo di housing sociale che ha l’obiettivo di investire circa 50 milioni di euro nella regione Friuli Venezia Giulia, per a realizzare almeno 330 alloggi da destinare a canone calmierato rispetto al mercato, favorendo il recupero e la riqualificazione di strutture dismesse - spiega Sara Paganin, Senior Fund Manager di Finint Investments SGR -. A Trieste abbiamo identificato l’edificio industriale ex Sadoch come progetto di riqualificazione immobiliare a fini sociali, un progetto ambizioso e complesso, perché l’edificio va completamente riprogettato, tenendo conto anche dei vincoli esistenti». La palazzina principale si articolerà su otto piani, oltre ad un seminterrato per i parcheggi, mentre nell’edificio antistante troveranno posto ulteriori tre piani di appartamenti. Gli attici saranno venduti, mentre il resto delle unità saranno date in locazione a canoni calmierati, anche con la formula dell’affitto-riscatto, agli aggiudicatari dell’apposito bando che verrà predisposto. «Housing sociale non significa solo appartamenti a canone calmierato - continua Sara Paganin - ma soprattutto dare vita a una comunità sostenibile offrendo spazi comuni e servizi destinati all’integrazione e alla socializzazione». Per questo motivo all’interno della struttura saranno creati anche due spazi dati in utilizzo gratuito agli inquilini. L’housing sociale prevede inoltre una convenzione specifica da stipulare con il Comune di riferimento e un tetto massimo fissato per le locazioni. Per questo la società di gestione del fondo ha incontrato nei giorni scorsi l’assessore Elena Marchigiani. «Stiamo valutando come strutturare la convenzione, per capire le esigenze reali che ci sono a Trieste e la fascia di affitti più adeguata - spiega Marchigiani -. Puntiamo a rispondere quanto più possibile alle domande del territorio e a mettere in rete i servizi già presenti in quella zona dove, ricordiamo, ci sono già anche numerosi alloggi Ater. Dal punto di vista delle opere - prosegue l’assessore - è stata prorogata da parte del Comune la concessione edilizia, fino al 2017, per quanto riguarda la struttura affacciata su viale Montebello. L’ex Sadoch ha una vicenda lunga e travagliata, ma finalmente – conclude l’assessore - possiamo annunciare che l’iter per la sua riconversione è ufficialmente partito». L’11% dei bambini malati non viene portato al Burlo (Piccolo Trieste) di Gianpaolo Sarti I vertici del Burlo certificano la fuga dei pazienti. Ieri mattina, nella lunga Commissione comunale organizzata nella sede di via dell’Istria per tastare il polso dell’ospedale dopo quanto documentato dall’inchiesta del giornale, il management dell’Irccs ha portato un altro dato. Un numero destinato ad aggiungere ulteriori preoccupazioni per la sanità locale che già si trova a fare i conti con il calo di performance e l’addio di medici di prestigio dall’istituto: l’11% dei bambini residenti in Fvg, e che necessita di cure, viene trattato fuori regione. Lo ha reso noto Renata De Candido, la direttrice sanitaria che prenderà il posto del direttore generale Mauro Melato in attesa della nomina del futuro dg. Si tratta di un totale di 1.473 casi registrati nel 2013. Ricoveri programmati, più che urgenze. «Non ne conosciamo le motivazioni», ha detto De Candido precisando a margine dell’incontro che non è una fuga che si evidenzia solo dal Burlo, «dal momento che in Fvg ci sono anche altre realtà pediatriche». Va da sé che i genitori anziché scegliere di portare i figli nella rinomata struttura triestina, centro regionale, si recano altrove. «A volte può essere che per varie ragioni, anche di comodità, si preferisca appoggiarsi da altre parti – ha spiegato – pensiamo ad esempio a chi abita nelle zone poste lungo i confini regionali, come è normale che quanti stanno ad esempio in Slovenia vengano da noi. Comunque bisogna vedere se parliamo di cure di base o di alte specialità come l’oncologia, per cui sarebbe giusto che quei bambini venissero qui. Quando invece parliamo di cardiochirurgia o neurochirurgia – ha puntualizzato – è normale che si vada fuori visto che qui da noi, per i bambini piccolissimi, su questo non siamo attrezzati. I neonati che nascono con una malformazione cardiaca vengono mandati a Padova, ma noi ci facciamo carico di seguire il percorso: i casi sono diagnosticati qui e, una volta dimessi dopo l’intervento, li riprendiamo in carico. Questa è una cosa che ci valorizza comunque, perché non si può fare tutto». Nell’audizione di ieri, alla presenza di Melato, consiglieri e sindacalisti, è stato confermato quanto già emerso in questi giorni: i tagli che hanno raggiunto i 4,5 milioni dal 2012 e la diminuzione delle prestazioni (dalle 284.054 del 2010 alle 254.253 del 2014), mentre nei ricoveri «non si evidenzia una variazione significativa negli ultimi anni e tra il 2013 e il 2014 la flessione è dell’1,3%», ha rilevato ancora De Candido. Il direttore generale, dal canto suo, ha ribadito che «i professionisti che se ne sono andati sono stati rimpiazzati da medici altrettanto validi». La parola è passata poi innanzitutto alle forze sindacali, con Pierpaolo Brovedani (Cgil medici) che ha auspicato «un programma più alto per l’Irccs», quindi ai consiglieri. Dura la presa di posizione di Marino Andolina (Fds): «Ho lavorato 45 anni qui, ho la convinzione che il Burlo non sia più nemmeno un Irccs, nell’ultimo decennio la dirigenza ha lasciato decadere l’ospedale e fuggire i medici, con una parentopoli e favori personali che hanno cercato di supplire alla fuga. Ma qui ormai non c’è più nulla da fare». Più difensiva Loredana Lepore (Pd): «I numeri sono invariati, non è vero quanto sostiene il giornale, anche se sicuramente la politica è stata miope». Così l’altro Pd Aureo Muzzi: «È necessario riorganizzare la sanità per migliorarla. Sono sicuro che la Regione metterà il nuovo management in condizione di esprimere tutte le potenzialità del Burlo». Marino Sossi (Sel) ha puntato il dito contro l’assessore Maria Sandra Telesca: «Da quanto ho letto nell’intervista sembrava una turista che passa in regione per caso». Everest Bertoli (Fi) ha spostato l’accento sulla riduzione di fondi: «Il sindaco non cerchi di nascondere la drammaticità dei tagli imposti alla sanità triestina dalla Regione, scagliandosi contro il management». La commissione preparerà un documento congiunto per sollecitare la giunta Serracchiani a fornire ulteriori chiarimenti su quanto apparso in questi giorni, oltre che per garantire un preciso impegno nei confronti dell’Irccs. E sempre dalla giunta Telesca si è detta disponibile a riferire del “caso” Burlo in Consiglio comunale.
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