La rassegna di oggi

RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – giovedì 2 aprile 2015
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
Indice articoli
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)
Isee, lettera ai Comuni: «Rinviate le scadenze» (Gazzettino)
Mercatone Uno, a Roma l’azienda si sfila (M. Veneto)
Cancellando i diritti addio equità (M. Veneto)
La Regione dovrà sborsare 10 milioni per l’aeroporto (M. Veneto)
Mini province, 50 sindaci contro (M. Veneto)
Dall’inizio della crisi persi 23.580 posti, la metà nell’Udinese (M. Veneto)
“Buco” da 100 milioni nelle partecipate (Piccolo)
CRONACHE LOCALI (pag. 9)
Ater, per i sindacati i tagli ai dipendenti penalizzano l’utenza (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
«L’azienda ci ripensi sull’integrativo» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Mercatone, sciopero di solidarietà (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Personale del Cara, i sindacati al prefetto: «Basta con le bugie» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
La riforma taglia 60 letti in ospedale (M. Veneto Udine, 2 articoli)
Contributi ridotti e classi a rischio. Protesta delle paritarie (M. Veneto Udine)
Coopca, nuova chiamata dei soci in assemblea per il 12 aprile (Gazzettino Udine)
Due ore di stipendio per l’addio a Giuseppe (Gazzettino Pordenone)
Lavoro, lo sportello si allunga (Gazzettino Pordenone)
Chiusura ufficiale per la Metro, nuova cattedrale nel deserto (M. Veneto Pordenone)
Anziani, trasporto a pagamento (Gazzettino Pordenone)
Alloggi sociali nell'ex fabbrica Sadoch (Piccolo Trieste)
L’11% dei bambini malati non viene portato al Burlo (Piccolo Trieste)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE
Isee, lettera ai Comuni: «Rinviate le scadenze» (Gazzettino)
Maurizio Bait TRIESTE - Una circolare a tutti i sindaci per invitarli a non interrompere i benefici
sociali da erogare ai cittadini. Isee o non Isee. È l’azione più forte messa in campo in questi giorni dalla
Giunta regionale al fine di arginare l’emergenza denunciata con vigore accaldato dai Caf, i Centro di
assistenza fiscale alle prese con le complesse pratiche per la definizione del nuovo indicatore di reddito
stabilito a livello nazionale dal Governo. Una circolare che diversi Coun, fra i quali Udine e Trieste,
hanno già fatto propria stabilendo i conseguenti rinvii.
La priorità nella predisposizione dei nuovi Isee va attribuita a chi non possedeva già la "vecchia"
dichiarazione in quanto già beneficiario di uno o più sostegno sociali pubblici. Questi cittadini, come
sta nell’invito regionale, devono poter continuare a fruire dei benefici finché non saranno stati posti
nelle condizioni di ottenere il nuovo indicatore.
A giorni la presidente della Regione, Debora Serracchiani, convocherà un tavolo con i Caf, l’Inps e i
Comuni al fine di valutare i numeri reali della situazione: quanti siano effettivamente i Centri e gli
addetti sul territorio, quale sia il reale fabbisogno indotto dai nuovi criteri nazionali, quali le priorità da
darsi.
Ma un punto rimane fermo: l’esenzione dal super-ticket sanitario da 10 euro statale entrerà in vigore il
prossimo primo maggio, in quanto i vertici regionali considerano tale misura - a vantaggio di redditi
sotto i 15mila euro - troppo importante per il positivo impatto sociale che potrebbe derivarne. Si parte
dalla premessa che non tutti i cittadini esentabili avranno bisogno già nei primi giorni di maggio di una
prestazione sanitaria e quindi soltanto una piccola parte, all’inizio, dovrà munirsi del nuovo Isee per
accedere al beneficio.
Anche altre Regioni hanno affrontato il problema con una salva di proroghe: il Friuli Venezia Giulia si
è spinto fino a metà luglio sul fronte dell’istruzione e della casa, confidando che tale decisione possa
bastare.
Appare meno praticabile, invece, la richiesta di parte sindacale di porre 20-25 addetti regionali a
disposizione dei Caf per far fronte all’ondata di richieste: in Regione si fa presente, difatti, che
occorrerebbe infatti distogliere per un periodo apprezzabile un bel gruppone di dipendenti dalle
mansioni abituali con tutto ciò che ne consegue in termini di (in)efficienza della macchina
amministrativa. Inoltre prima di sbattere una persona sulla prima linea del nuovo Isee occorre formarla
adeguatamente. E questo non si può fare con scadenze da acqua alla gola. Vero è che anche per la
presentazione della dichiarazione dei redditi con il modello 730 lo Stato ha allungato i tempi portandoli
al 10 di luglio. Ma basterà a fornire un livello minimo di respiro? L’emergenza continua.
Mercatone Uno, a Roma l’azienda si sfila (M. Veneto)
UDINE «Secondo noi l’azienda è in una situazione fallimentare, il gruppo dirigente è inaffidabile,
abbiamo chiesto l’intervento del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti». A dirlo è stata ieri Susanna
Pellegrini, segretaria regionale di Filcams Cgil, a margine dell’incontro mancato in programma al Mise.
Mercatone Uno all’ultimo ha chiesto infatti un rinvio, ma le delegazioni dei lavoratori a Roma ci sono
andate comunque. Compresa quella partita alla volta della capitale dal Fvg, composta da una decina di
lavoratori, accompagnati da Francesco Buonopane (Filcams), che preso parte al presidio fuori dal
ministero dello Sviluppo economico. «Un gruppo è stato anche ricevuto e ha potuto spiegare le nostre
ragioni - ha detto ancora Pellegrini -, i motivi per cui l’azienda è secondo noi fallimentare, inaffidabile.
Abbiamo chiesto che ci riconvochino subito dopo Pasqua e che sia nel frattempo informato il ministro
Poletti. Temiamo infatti che essendo alla frutta, l’azienda decida dall’oggi al domani di chiudere i 34
negozi in cui sono state avviate le campagne di sconti, lasciando i lavoratori a casa senza alcun
ammortizzatore. Epilogo che dobbiamo evitare in tutti i modi», ha aggiunto Pellegrini. Lo strumento
principe per opporsi alla deriva resta quello dello sciopero, che i 40 dipendenti del punto vendita
Mercatone di Reana stanno usando a piene mani da giorni. I colleghi di Sacile e Monfalcone hanno
invece incrociato le braccia per la prima volta ieri. Ma in numero nettamente inferiore. A Sacile hanno
scioperato pochissime persone, a Monfalcone tutti salvo quattro, sufficienti però a far sì che il negozio,
al pari di quello della Destra Tagliamento, potesse restare aperto. Chiuso, invece, ancora una volta è
stato il Mercatone a Reana, dove i lavoratori, al cui fianco è rimasto Athos Di Stefano (Fisascat Cisl),
hanno accolto nel pomeriggio i dipendenti di Monfalcone, che hanno voluto portare la propria
solidarietà ai colleghi friulani. Non avendo alcuna notizia sul piano concordatario, interesse primario
del sindacato è oggi mettere in sicurezza i posti di lavoro, garantendo un ammortizzatore più lungo
dell’eventuale mobilità che scatterebbe in caso di chiusura dei negozi. Il contratto di solidarietà in
essere si conclude il 31 maggio e il gruppo non ha ancora chiesto né di prolungarlo, né di accedere ad
altro ammortizzatore. Maura Delle Case
Cancellando i diritti addio equità (M. Veneto)
di GIULIANA PIGOZZO Fuori della sala, dove si svolgeva la conferenza promossa da una
organizzazione sindacale, una lunga fila di macchine blu e dentro il dibattito che teorizzava la necessità
della recente riforma del mercato del lavoro (nota come jobs act). Una discussione nella quale i diritti
del lavoro sembravano non solo anacronistici ma anche l’ostacolo all’uscita dalla crisi e della mancata
crescita del Paese. Troppo silenzio sull’evasione fiscale, sulle tante illegalità, sulla corruzione,
sull’utilizzo politico delle risorse pubbliche per avvantaggiare questo o quell’altro, sui costi della
politica e sui privilegi della stessa e di altri. O sugli intrecci con la criminalità organizzata che si sta
radicando anche da noi e che ha contaminato la realizzazione di imponenti opere pubbliche con
ricadute pesantemente negative su chi lavora negli appalti. Sulle politiche di austerità che stanno
asfissiando l’economia e mortificando le sue possibilità di rilancio. Sul fiscal compact che sta
bloccando gli investimenti pubblici e l’utilizzo delle risorse da parte degli enti locali e le stesse riforme
recentemente approvate dalla regione. Sono i lavoratori ed i loro antiquati diritti sui quali intervenire,
ho inteso in quel dibattito, nonostante la crisi sia l’esito delle enormi iniquità del modello di sviluppo
che si è prodotto in questi venti anni e che ha alimentato una straordinaria condizione di ingiustizia
sociale. Una redistribuzione del reddito a danno di chi lavora ed un aumento poderoso delle precarietà
che non vengono cancellate dal jobs act. Chi è ricco è ancora più ricco e chi è povero si aggiunge alle
fila che si stanno ingrossando nei Comuni. Questo dicono anche i numeri delle tante ricerche che
probabilmente molti non leggono. Mi spiace che in quella sede il ministro del Lavoro Giuliano Poletti e
il presidente della Regione Debora Serracchiani abbiano sostenuto, tra cose di buon senso, l’uno (il
titolare del dicastero) l’inattualità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato quando la sua stessa
legge lo afferma e purtroppo lo contraddice nella sequenza dei provvedimenti successivi e l’altro che
l’articolo 18 avrebbe impedito le assunzioni e non lo sviluppo consistente di una imprenditoria priva di
regole che ha dirottato i profitti sulle speculazioni finanziarie e non invece sull’economia reale. Quelle
regole che ancora mancano e di cui non si parla per nulla e che sono sfuggite nel richiamo ad altre
regole del rappresentante di Confindustria, tra cui quelle che hanno veicolato massicce risorse
pubbliche alle imprese private italiane e che oggi non sono neppure in grado di intervenire sulla
rivitalizzazione di produzioni come quella dell’Ideal Standard di questa provincia. Affidandolo alla
responsabilità di quei 400 lavoratori titolari anch’essi di quei tanto vituperati diritti sanciti dalla
Costituzione e dallo Statuto dei lavoratori. Come lo è stato per i lavoratori e le lavoratrici di Electrolux,
che sotto il peso dei loro diritti, hanno presidiato per quattro mesi quegli impianti perché non
chiudessero. Tutto questo nonostante lo sforzo apprezzabile del segretario provinciale di
quell’organizzazione sindacale per richiamare l’attenzione sui rischi di un ulteriore impoverimento del
territorio, sulle tante crisi produttive aperte e sulle possibili soluzioni, sull’opportunità di riflettere sui
limiti degli attuali strumenti di protezione sociale e non solo sulle distorsioni, le cui responsabilità
hanno precisi nomi e cognomi, sul ruolo del sindacato e delle parti sociali e sul modello di relazioni che
si è andato gradualmente affermando in questo territorio, che ha aiutato tra l’altro, la stessa “virtuosa”
situazione del suo centro per l’impiego. Sono anch’io convinta che servono tanti cambiamenti ma far
passare l’idea che per investire e per lavorare bisogna cancellare i diritti lo ritengo una autentica
cialtronaggine culturale. E che sia poi di sinistra non basta autocertificarlo. Quando bisogna invece far
diventare il lavoro una attenzione generale ed i diritti, i contratti di lavoro la base su cui edificare una
diversa idea di sviluppo e di equità. Cancellare il sistema sociale, o riformarlo a danno di chi lavora
abbassandone le tutele e nella sostanza non estendendole, si associa all’idea che invece di competere
sulla qualità ed investire sull’intelligenza delle persone che lavorano si sceglie ancora di farlo
sull’abbassamento delle tutele e sul costo del lavoro. Ci si occupi del sistema industriale del nostro
Paese, tra i più arretrati d’Europa. Che fa il paio con alcuni settori produttivi della nostra provincia.
Della qualità dei prodotti e della necessità che ci sia un livello di investimenti adeguati, della ricerca e
dell’innovazione mancati. Della necessità di un intervento pubblico nell’economia che non sia solo
incentivi. Lasciar fare al mercato è stato un disastro e mantenere quella impostazione lo sarà altrettanto.
Creare lavoro e far crescere complessivamente la società è il perimetro dentro al quale si misura il
governo di un Paese e di una comunità. Riconosco che almeno questa Regione ci sta provando, con il
concorso di tutti. Orientando, nel limite delle sue competenze, possibili soluzioni produttive. Questo
leggo in Rilancimpresa. Tentare anche di indirizzare una nuova responsabilità sociale dell’impresa. La
pretesa che con le leggi si cerchi di ridefinire anche il ruolo del sindacato facendolo diventare un
soggetto che gestisce gli effetti della crisi, o la formazione e che offre dei servizi ai lavoratori e non si
occupi di altro puzza questo si di antico. La vera novità sarebbe quella che i lavoratori abbiano il diritto
di poter contrattare la propria condizione e decidere e votare sui contratti che lo riguardano. Compresi
quelli introdotti da leggi. Rivalutando la partecipazione e la solidarietà più che la solitudine. Questo
sarebbe una autentica prova di democrazia. La preoccupazione invece è che sto assistendo in troppe
occasioni alle quali partecipo all’affermarsi di una forma perversa di sindrome di Stoccolma.
*segretaria provinciale di Pordenone della Cgil
La Regione dovrà sborsare 10 milioni per l’aeroporto (M. Veneto)
di Maurizio Cescon RONCHI DEI LEGIONARI Un conto di almeno 10 milioni di euro tra
azzeramento del debito, ricapitalizzazione e lavori urgenti per rifare la pista e per l’infrastruttura. E’
quanto potrebbe sborsare la Regione, cioè il socio unico, per rimettere in sesto l’aeroporto di Ronchi. Il
bilancio 2014, decisamente negativo (1 milione e 250 mila euro di passivo), non è certo stato un
fulmine a ciel sereno, però comunque ci si aspettava qualcosa di meglio. E il cda lo ha approvato tra
più di qualche maldipancia. Inoltre c’è la grana della pista di atterraggio che deve essere assolutamente
rifatta, entro il 2016, pena l’azzeramento dell’operatività. Una spesa molto ingente, circa 7 milioni e
mezzo di euro. Soldi freschi che dovranno essere stanziati già quest’anno per poter poi partire con i
lavori l’anno prossimo. La lunga striscia d’asfalto (3 chilometri), che potenzialmente consente anche
l’arrivo e la partenza dei velivoli più grandi, è ormai arrivata al limite dell’usura e la sicurezza, per
quanto riguarda il trasporto aereo, è la priorità per ogni compagnia. Infine ci sarebbero i lavori di
ristrutturazione all’interno dell’aerostazione, dove in diverse aree piove dentro. Ma in attesa
dell’assemblea del 30 aprile, quando la Regione nominerà i nuovi vertici, c’è da registrare lo sfogo
dell’ex vice presidente (dimissionario) Adriano Ceccherini. Al quale non è andato giù il trattamento
che gli ha riservato il presidente Dressi. «Ieri mattina - racconta Ceccherini - ho ricevuto una pesante
telefonata da parte di Dressi, che si è lamentato per le mie dichiarazioni al “Messaggero Veneto”. Mi
ha insultato, io ho risposto e a quel punto ho chiuso la conversazione. Ma gli ho ribadito che il polo
intermodale, a mio avviso, è una cattedrale nel deserto. E’ una opinione personale, certo, ma sarò libero
di esprimerla. Io dico solo che Londra ha fatto il collegamento tra aeroporto e ferrovia quando ha
superato i 60 milioni di passeggeri in transito. Ronchi non è nemmeno paragonabile lontanamente per
numero di partenze e arrivi e allora di cosa stiamo parlando?». Ceccherini chiama direttamente in causa
il socio unico Regione e non ne fa una questione di colore politico. «Avevo inviato una relazione
all’allora presidente Tondo quando diventai consigliere di amministrazione e vice presidente - spiega elencando tutte quelle che erano le cose che non andavano nella gestione dello scalo. Ma la giunta di
centrodestra non mi diede quasi risposta, le mie osservazioni caddero nel vuoto. Ho scritto l’anno
scorso un secondo rapporto per la presidente Serracchiani e i suoi assessori, ma anche in questo caso è
stata lettera morta. Eppure i nodi sono venuti al pettine, ed erano le cose che i politici sapevano. Però
nessuno ha fatto niente, non hanno avuto il coraggio di prendere provvedimenti e cambiare vertici e
dirigenti. Non dobbiamo dimenticare che siamo l’unico aeroporto ad avere un direttore generale (Paolo
Stradi, ndr) con un contratto a tempo indeterminato e uno stipendio elevatissimo». La prossima
governance dovrà risolvere infine la questione del direttore generale. La posizione di Stradi è in bilico.
Vista appunto la natura del suo contratto, non sarà però semplice risolvere il rapporto di lavoro, se la
Regione dovesse prendere questa decisione. Inoltre lo stesso Stradi ha fatto intendere di avere diverse
opzioni professionali alternative. Entro un mese anche questo nodo dovrà essere sciolto.
Mini province, 50 sindaci contro (M. Veneto)
UDINE Sfiorano quota cinquanta i Comuni che hanno deliberato di ricorrere al Tar contro la Legge di
riforma degli enti locali. Un traguardo che mirano a centrare entro il 10 aprile, forti di una
consapevolezza: «E’ la prima volta che in Italia si realizza una class-action di queste dimensioni da
parte dei Comuni contro la Regione», ha detto ieri il primo cittadino di Talmassons, Pier Mauro Zanin,
che dell’impugnativa è uno dei padri. «Fin qui i municipi hanno operato con referendum, raccolte
firme, ordini del giorno, ma mai era accaduto che quasi un quarto dei Comuni si rivolgesse alla
magistratura impugnando un atto regionale». Oggetto del ricorso non è la riforma bensì il primo atto
amministrativo con cui la giunta regionale ha iniziato a calarla sul territorio, vale a dire la proposta di
perimetrazione delle 17 future Unioni territoriali intercomunali. Nuovi livelli istituzionali, a metà strada
tra le ex Province e i Comuni che a questi ultimi piacciono poco. Vi ravvisano infatti il rischio di un
azzeramento sia della rappresentatività che dell’autonomia decisionale dei singoli municipi e per questo
hanno deciso di opporsi, strenuamente, all’attuazione della riforma. Impugnando ogni nuovo atto che
sarà approvato dalla giunta regionale. Fin qui hanno approvato la delibera che dà mandato alle
amministrazioni d’impugnare al Tar la perimetrazione una cinquantina di Comuni. Tra questi Tarvisio,
Talmassons, Forgaria, Ampezzo, Camino al Tagliamento, Buja, Cercivento, Chiusaforte, Codroipo,
Dogna, Fanna, Fogliano Redipuglia, Forni di Sotto, Gemona, Grimacco, Magnano in Riviera,
Martignacco, Montenars, Palazzolo dello Stella, Pagnacco, Pasian di Prato, Porpetto, Pocenia, Pulfero,
Santa Maria la Longa, San Vito al Torre, Sauris, Torreano, Venzone, Villa Vicentina, Villesse, Zuglio,
Castions di Strada, Corno di Rosazzo, Drenchia, Moggio, Lestizza, Vivaro, Cavazzo Carnico, Sacile,
Spilimbergo, Tricesimo, Reana del Rojale, Brugnera e Visco. «Siamo vicinissimi a sfondare quota 50 ha detto ancora Zanin -. Più il tempo passa e sempre più amministrazioni si rendono conto del disastro
che rischia di produrre la legge Panontin, tanto che l’adesione è a tutti gli effetti trasversale. Agli
schieramenti e alle province. La giunta Serracchiani è riuscita con una pessima legge a far coalizzare
tante amministrazioni, oggi pronte più che mai a difendere le rispettive comunità». Dalla legge 26 a
quella di riforma del Consiglio delle autonomie locali, che ieri è tornata all’esame dell’esecutivo Anci
Fvg, forte della relazione chiesta dall’associazione regionale dei Comuni all’università di Udine. Il
documento, frutto dell’analisi condotta dalla professoressa Elena D’Orlando, dà sostanzialmente
ragione ad Anci sul ruolo che dovrebbe avere il Cal: «Un ruolo cruciale - afferma D’Orlando - di
valorizzazione e di tutela dell’autonomia locale e, al contempo, di arricchimento della qualità delle
politiche regionali e di maggiore qualificazione dell’autonomia, soprattutto in una regione
caratterizzata da un’identità culturale composita». Da qui la richiesta dell’esecutivo Anci, cui ha dato
voce il presidente, Mario Pezzetta: «Chiederemo di congelare temporaneamente la riforma per dar
corso a un approfondimento politico-legislativo e per mettere il Cal al servizio della Specialità della
Regione con caratteristiche di peculiarità e indipendenza». Maura Delle Case
Dall’inizio della crisi persi 23.580 posti, la metà nell’Udinese (M. Veneto)
di Elena Del Giudice UDINE L’Istat dice che a febbraio la disoccupazione è in salita, anzichè in
diminuzione. «Ma non capisco chi si stupisce: non è sufficiente intervenire sulle regole del lavoro per
creare posti di lavoro. O si risolvono i nodi strutturali che rappresentanto altrettanti gap competitivi, in
modo tale da sostenere le imprese che ci sono e richiamarne di nuove a investire in questo Paese e in
questa regione, oppure la disoccupazione non diminuirà». È il segretario della Cisl, Roberto Muradore
a mettere in fila i dati sull’occupazione - o meglio sulla disoccupazione - dall’inizio della crisi a oggi.
«In Friuli Venezia Giulia gli occupati dell’economia sono scesi nel periodo intercorso dall’anno di
ingresso nella crisi, il 2008, e il dato più recente è quello del 2014, di ben 23 mila 580 unità, -4,5 per
cento - ricorda Muradore -. Alla provincia di Udine va il palmares per la performance peggiore: -5,8
per cento con 13 mila 270 occupati persi, oltre la metà del dato regionale». La stragrande maggioranza
dei posti di lavoro perduti appartiene al comparto manifatturiero, «piombato in una crisi propria che
ancora perdura - sottolinea il sindacalista - che in regione è responsabile della perdita di 19 mila 477
occupati, pari all’82,6 per cento di tutti i posti di lavoro azzerati in Fvg, con un calo dell’11,2 per
cento». Anche in questo caso la provincia di Udine è al vertice con 12 mila 491 occupati persi (meno
15,3 per cento). Ancora sui dati: «Nell’anno di entrata nella crisi, quindi parliamo sempre del 2008,
erano 2 mila 633 i lavoratori sospesi, cioè posti in cassa integrazione, in tutta l’economia del Friuli
Venezia Giulia. Di questi, il 59,7 per cento, ovvero mille 571 persone, appartenevano al comparto
manifatturiero. Nel 2012 - ancora Muradore - i lavoratori sospesi, ovvero posti in cassa integrazione
ordinaria, e quelli a rischio di diventare esuberi, e posti in cassa integrazione straordinaria o in deroga,
sono diventati 14 mila 801, di cui 8 mila 652 del settore manifatturiero. L’anno successivo, nel 2013,
sono saliti a 17 mila 704 e nel 2014 sono arrivati a 19 mila 764 (di cui l’80 è in cig straordinaria, quindi
a rischio esubero), con 12 mila 892 provenienti dal comparto manifatturiero». Se gli accenni di ripresa
si sono manifestati in questo periodo, non è certamente accaduto nell’occupazione. «E difficilmente
credo accadrà se ci si limiterà ad intervenire solo sulle regole del rapporto di lavoro. Va bene fare
anche questo - conviene Muradore -, se pensiamo al Jobs act, questo tende a stabilizzare i rapporti di
lavoro rendendo più conveniente assumere con contratti a tempo indeterminato. Ma occorrerà lavorare
ancora per disboscare i contratti atipici. E non basterà. È necessario - indica il sindacalista - risolvere i
nodi strutturali, in questa regione come in Italia. Ed è qui che restiamo ancora indietro ed è su questi
che la politica ancora tentenna». L’elenco è noto: si chiama efficientamento e minor costo dell’apparato
burocratico pubblico inteso nel suo complesso, con una riduzione drastica della burocrazia. La giustizia
e i suoi tempi, incompatibili con le esigenze delle imprese che già ci sono, e inaccettabili da quelle che
cercano luoghi in cui insediarsi. Le infrastrutture «materiali e immateriali. La banda larga: ma
facciamola!» è l’esortazione del segretario della Cisl. Se l’export ha salvato molte imprese in questi
anni di crisi, non va dimenticato «che molte pmi lavorano per il mercato interno. Magari è ora di
intervenire defiscalizzando il reddito da lavoro e aumentando le imposte sulle rendite».
“Buco” da 100 milioni nelle partecipate (Piccolo)
di Marco Ballico TRIESTE È un buco gigante, da 100 milioni di euro. Ne sono responsabili più di tutti
i bilanci di Finanziaria Mc, la “cassaforte” azionaria di Mediocredito Fvg, e di Friulia, la holding. Ma
ci sono altri segni “meno” nella galassia delle partecipate regionali. Un totale di 27 su 64 risultati di
esercizio. Il dossier Il Piano di razionalizzazione delle partecipazioni societarie regionali, un dossier di
93 pagine, è zeppo di dati. Premesso il quadro normativo di riferimento, dal piano Cottarelli alla legge
di Stabilità 2015, gli uffici hanno consegnato alla giunta la fotografia su entrate e uscite, costo degli
amministratori e dei revisori dei conti, valore di produzione e peso degli organici, prima di precisare gli
11 criteri di selezione dei “buoni” e dei “cattivi”, per questioni solo normative o anche di cattiva
gestione. La partecipazione diretta Per le 17 controllate dirette la situazione è già definita. Si salvano in
10, mentre le restanti 7 partecipazioni o sono in via di liquidazione (Agemont, Fiera di Trieste, Ares e
Gestione Immobili) o lo saranno (Legno Servizi, Banca Etica e Finanziaria Mc) nei prossimi mesi, con
risparmi già quantificati in 2,7 milioni nel triennio. Situazioni molti diverse, peraltro, dato che in Legno
Servizi (1,02%) e in Banca Etica (0,09%) la Regione ha partecipazioni minime (e dunque se ne andrà),
mentre Finanziaria Mc, che conta più amministratori (3) che dipendenti (0), ricade nel dettato della
Stabilità che impone la soppressione della partecipazione dell’ente pubblico. Il caso Mediocredito
Cancellare Finanziaria Mc non significa naturalmente azzerare il rosso, legato a Mediocredito Fvg,
evidente sia nella colonna delle partecipazioni dirette che di quelle indirette. Per la Regione, come
hanno già anticipato Debora Serracchiani e l’assessore alle Finanze Francesco Peroni, si tratterà di
acquisire il pacchetto complessivo di Finanziaria Mc, compresa dunque la quota di Friulia. Nulla però
cambierà nella compagine societaria (la Regione manterrà il 54,99% conseguenza delle due
ricapitalizzazioni 2014). Il buco I bilanci del Piano non sono sempre aggiornati all’ultimo esercizio - la
banca regionale ha nel frattempo dimezzato la perdita, mentre Aeroporto Fvg ha trasformato il +43.020
euro 2013 in -1,252 milioni 2014 - e così il disastroso 2013 degli strumenti finanziari della Regione
(anche Friulia segna -35 milioni) fissa un risultato di esercizio delle partecipate dirette a quota -100,6
milioni, aggiungendo i disavanzi pure di Fiera Trieste (-617mila), Agemont (-435mila), Ferrovie Udine
Cividale (-264mila), Ares (-43mila) e Legno Servizi (-30mila). Sono i numeri consegnati alla Corte dei
conti per consentire ai magistrati di verificare il rispetto delle norme da parte della Regione. Stesse
regole Un rispetto che la giunta chiede però a sua volta alle partecipate indirette, chiamate ad applicare
identiche regole a se stesse e alle loro controllate, nel rispetto degli 11 criteri che la Regione ha usato
per le proprie, con conseguenti liquidazioni e tagli a poltrone (si ipotizza pure la riduzione del cda
dell’Aeroporto Fvg da 5 a 3 membri) e compensi di amministratori e sindaci: fino al 20% in meno
rispetto al 2013 per gli organi di Fvg Strade, Ronchi, Insiel, in alcuni casi già concretizzati. Il rosso
delle indirette Sul versante delle indirette, ma tra un anno, sarà ancora la Corte dei conti a monitorare il
risultato raggiunto. Al momento si parte da non pochi buchi di bilancio. Li fanno segnare, oltre a
Mediocredito Fvg via Finanziaria Mc, anche 3 società (su 4) dell’Aeroporto (AFvg Security, Aeroporto
Gorizia e MidTravel), 6 di Agemont (Cirmont, Plas Optica, Euroleader, Friulmont, Legnolandia e
Torre Natisone Gal), 2 di Friulia (Bic Incubatori e Friulia Veneto Sviluppo), una del Polo Tecnologico
di Pordenone (Keymec) e una del Cosint (Carnia Welcome, partecipata anche di Promotur e Turismo
Fvg). Tra le controllate attraverso enti si aggiungono inoltre i 4 “meno” delle partecipate di Turismo
Fvg (Git Grado, Consorzi Forni di Sopra e Alto Friuli, Lisagest) e di un satellite di Promotur (Conai).
L’avvertimento a Ronchi Il quadro di riferimento che le indirette dovranno tener presente è quello
complessivo dei criteri del Piano, ma evidentemente il dato di bilancio è non poco rilevante. Non
manca, non a caso, un primo avvertimento ad Aeroporto Fvg e alle sue controllate MidTravel (ultimi 4
esercizi in perdita) e AFvg Security (3 rossi negli ultimi 4 bilanci) che sembrano già condannate. «Pare
opportuno che nelle more della loro soppressione - si legge nel documento - debba darsi comunque
applicazione alle norme sul contenimento della spesa». Ad AFvg, in particolare, si suggerisce sin d’ora
la riduzione dei costi del cda: «Vi sono ampi margini d’azione e di un tanto l’Aeroporto Fvg dovrà
tenere conto».
CRONACHE LOCALI
Ater, per i sindacati i tagli ai dipendenti penalizzano l’utenza (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Domenico Diaco Si chiama "Piano di convergenza", ma altro non è che la riorganizzazione delle
Ater su base regionale «per evitare sprechi e diseguaglianze»: troppe sono infatti, a dire
dell'amministrazione regionale, le sperequazioni nei costi del personale delle varie aziende territoriali
che si occupano di edilizia sovvenzionata. Insomma serve un cambio di marcia. A Gorizia, secondo i
dati resi noti dalla Regione, l'incidenza dei costi del personale rispetto alle entrate è del 38,6%, più del
doppio del peso del personale di Trieste. A Pordenone è del 18,6%, mentre a Udine si assesta sul 22%.
Ma per i sindacati provinciali della funzione pubblica di Cgil, Cisl e Uil, ma anche Confsal quelli
relativi a Gorizia sono dati falsati. Di qui la ferma opposizione a una riforma «che va a tagliare le
indennità dei dipendenti». Ma non è solo questo il motivo che contrappone i sindacati goriziani alla
Regione: la politica di risparmio che si vuole far pagare solo ai lavoratori rischia di ripercuotersi anche
sull’operatività e il ruolo dell’Ater isontina con il rischio di un suo ridimensionamento e conseguente
perdita per la provincia nel suo complesso di un forte presidio che si occupa di edilizia agevolata,
quindi rivolta alle fasce più deboli della popolazione. I rappresentanti dei lavoratori invocano
innanzitutto una maggiore trasparenza da parte della Regione sui bilanci dell'Ater di Gorizia (a
differenza delle altre aziende territoriali sul link della Regione Fvg “amministrazione trasparente" non
vi sono informazioni disponibili). Perché i sindacati di categoria dell'Isontino ritengono falsata
l'equazione relativa al costo del lavoro, o per meglio dire che esso risulterebbe eccessivo rispetto alle
entrate se comparato a quello delle altre Ater del Friuli Venezia Giulia è presto detto. È la discrepanza
fa la retribuzione dei dirigenti operanti a Gorizia sulla quale batte il sindacato. Massimo Bevilacqua,
segretario regionale, oltre che provinciale della Funzione pubblica della Cisl ritiene tale divergenza
inaccettabile. Un dirigente guadagna 130mila euro all'anno, mentre un un semplice lavoratore solo
30mila. E a Gorizia i dirigenti sono in numero più alto che altrove, mentre i 60 dipendenti devono
gestire, ricorda Manià, in tutta la provincia 10mila utenti, e un patrimonio rappresentato da 5mila
alloggi. I sindacati di categoria ricordano che a Gorizia vi sono quattro dirigenti oltre al direttore e i cui
stipendi non saranno toccati a differenza delle indennità dei lavoratori per i quali la riforma prevede
veri e propri tagli. «Ancora una volta - afferma Luca Manià della Cgil-Funzione pubbblica, che parla a
nome anche della altre sigle sindacali - si colpiranno i dipendenti, ma non solo essi. Infatti il piano di
convergenza prevede di ritoccare, in provincia di Gorizia, ovviamente verso l'alto, i canoni di affitto
per ridurre la forbice tra costo del lavoro ed entrate». Le retribuzioni dei dirigenti, che i sindacati non
esitano a dire essere superpagati, vanno a stravolgere la media del costo del lavoro complessivo all'Ater
di Gorizia allargando la forbice tra costi ed entrate, per lo più derivanti dai canoni di locazione. Per i
sindacati, a pagare non devono essere soltanto i lavoratori e gli affittuari: viene chiamata in causa la
programmazione in materia di edilizia sovvenzionata non sempre, sostengono, improntata a principi di
efficienza.
«L’azienda ci ripensi sull’integrativo» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Laura Borsani Cessati gli effetti dell’integrativo del 2009, i sindacati “incassano” l’assottigliamento
in busta paga di 70 euro al mese non senza respingere l’accusa di “temporeggiare” nella presentazione
delle piattaforme legate al rinnovo del contratto. La Fiom Cgil, attraverso il segretario provinciale
Thomas Casotto, parla di una «decisione unilaterale» assunta da parte di Fincantieri, e ricorda:
«L’azienda aveva a suo tempo già accettato la presentazione delle piattaforme fuori dai termini, con
tanto di lettera firmata. Le stesse proroghe susseguitesi erano state volute dall’azienda, per gestire
anche il periodo di crisi che stavamo attraversando, con gli esuberi». E la Uilm, per bocca del
provinciale Luca Furlan, evidenzia: «Se questi atteggiamenti aziendali vogliono rappresentare solo
forzature in questa fase negoziale delicata, il tavolo non può che rischiare inasprimenti. Mi auguro,
pertanto, che l’azienda faccia un passo indietro, dicendosi invece disposta a ripristinare l’accordo del
2009, a fronte di una nuova deroga utile ad addivenire a una trattativa fattiva, al fine di raggiungere il
migliore accordo per questo integrativo che deciderà le sorti dei lavoratori per i prossimi anni. Lo
voglio ribadire - aggiunge Furlan -, se è vero che l’azienda s’è dichiarata peraltro disponibile ad
ulteriori incontri oltre a quelli già calendarizzati: la Uilm esprime massima disponibilità a stare ai
tavoli, purchè senza veti, forzature e strumentalizzazioni di sorta. Non vogliamo affrontare un momento
negoziale così importante con la spada di Damocle sulla testa». Furlan parla di «fulmine a ciel sereno»,
ma nelle affermazioni della direzione aziendale intravvede evidenti contraddizioni: «L’azienda osserva infatti - non rinnova la proroga facendo decadere l’integrativo e, contestualmente, si rende
disponibile a discutere anche attraverso ulteriori incontri. Sentirmi dire che sta ancora al tavolo facendo
cessare l’accordo del 2009 non sta in piedi. Così si rischia di fomentare malumori e acuire le distanze».
E se Casotto annuncia una prossima assemblea dei lavoratori («ai quali intendiamo comunque
rimetterci attraverso un referendum sull’esito della trattativa») e nuove azioni di sciopero già nelle
prossime ore, Furlan ribadisce: «Diventa difficile arrivare a iniziative unitarie quando esulino da un
ragionamento sul merito dei problemi. Ciò che chiediamo sono risposte economiche e normative
ragionevoli, il miglioramento del lavoro, un efficientamento importante, anche attraverso nuovi
meccanismi, purchè basato su una riflessione economica a tutto campo, non solo ridotta alla paga dei
lavoratori». Casotto, da parte sua, sottolinea: «Il punto resta trovare un accordo serio, di salvaguardia
del lavoro, delle sue modalità di esecuzione, e di prospettiva, di investimenti per una maggiore
competitività. All’azienda non abbiamo mai chiesto un euro in regalo, nè privilegi di sorta. Su tutto
pretendiamo che l’appalto sia esempio di legalità e trasparenza, sfruttando qualsiasi sinergia utile,
anche attraverso le istituzioni e la Prefettura. E chiediamo di sbloccare il turn-over procedendo a nuove
assunzioni interne, ridimensionando il sistema dell’appalto ma contestualmente qualificandolo».
Personale del Cara, i sindacati al prefetto: «Basta con le bugie» (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
«La spocchia e la supponenza del Prefetto nei confronti dei lavoratori e delle loro famiglie è la
principale causa della drammatica situazione attuale». È durissima la reazione dei sindacati alle
dichiarazioni rilasciate al nostro giornale dal Prefetto di Gorizia Vittorio Zappalorto, che ieri aveva
freddato le speranze dei sessanta operatori del centro, parlando di un esubero dei dipendenti del Cara di
Gradisca e dell'impossibilità di inserire nel futuro bando per la gestione del centro immigrati isontino
una clausola di salvaguardia che possa garantire loro un futuro occupazionale. Fp-Cgil, Fisascat Cisl e
Uil-Fpl non solo promettono battaglia, ma in una nota congiunta affidata al responsabile provinciale
Uil Michele Lampe ritengono di poter facilmente confutare le dichiarazioni del Prefetto. Secondo
Zappalorto sarebbe sufficiente una ventina di operatori per gestire gli attuali 230 ospiti del Cara
(compresi i posti attualmente occupati all'ex Cie), a fronte dei 70 necessari - secondo il vecchio appalto
- per gestire i 400 posti di Cara e Cie “virtualmente” al completo. Una situazione che il Prefetto
ricordava l’altro giorno non essersi mai verificata. «Ma è sufficiente una semplice proporzione
matematica da scuola elementare per smentire tale affermazione – argomenta Lampe -: per i 250 ospiti
attualmente presenti (e non 230 come asserisce il Prefetto) sono necessari almeno 44 operatori, mentre
ne servirebbero almeno 25 per gestire i 138 ospiti previsti da convenzione per il solo Cara.
Probabilmente ancora una volta si confonde la realtà dei 250 ospiti odierni con il “sogno ideale” del
Prefetto di averne a Gradisca solamente 138. Persino i numeri minimi da garantire per i soli servizi
essenziali in caso di sciopero sono più alti della cifra dichiarata da Zappalorto». Prosegue Lampe: «Non
è compito del Prefetto giudicare se vi siano o meno esuberi. Non è lui il datore di lavoro. Il ruolo
dell'appaltante è ben definito dalla normativa vigente. Con le sue dichiarazioni il Prefetto ha dimostrato
ancora una volta la sua scarsa conoscenza del settore e del problema che si è venuto a creare: d'altra
parte – l'affondo - in un anno ha voluto incontrare i sindacati solamente una volta. Dice di trattare la
rescissione consensuale con la cooperativa Luoghi Comuni, quando il soggetto incaricato dell'appalto è
il consorzio Connecting People. E poi perché una rescissione consensuale? Se il consorzio è
ripetutamente venuto meno alle condizioni previste nell'appalto, perché nessun provvedimento nei loro
confronti? Evidentemente anche Prefettura e ministero sanno di essere inadempienti, ma a pagare sono
soltanto i lavoratori e gli ospiti». «E la si faccia finita – non ci girano certo intorno i sindacati sull'impossibilità di inserimento della clausola sociale: anche il Comune di Gorizia l'ha inserita nel
nuovo appalto per la casa di riposo “Culot” e tutti i dipendenti della cooperativa uscente sono stati
riassorbiti. La verità è che Prefettura (e ministero) hanno deciso con quali onlus trattare e di non
inserire la clausola. E allora basta bugie». I sindacati si chiedono anche come sia possibile che
controllore e controllato (Prefettura e vertici Connecting), seppure formalmente rinviati a giudizio
«siano entrambi ancora al loro posto e per quale ragione la Prefettura paghi al consorzio siciliano solo
per i 138 posti del Cara, a fronte delle oltre 200 presenze attuali. Come possono pensare che
Connecting People sia in grado di pagare con regolarità fornitori e dipendenti senza rischiare il
fallimento?». Luigi Murciano
Mercatone, sciopero di solidarietà (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Hanno incrociato le braccia anche i lavoratori del Mercatone Uno di Monfalcone, ieri, per l’intera
giornata, aderendo allo sciopero nazionale per i dipendenti del Gruppo, alle prese con la richiesta
formalizzata al Tribunale di Bologna, di concordato preventivo “in bianco”, legata in particolare alla
mancanza di liquidità dovuta soprattutto al calo delle vendite. Proprio ieri mattina, al tavolo del
Ministero dello sviluppo economico, già programmato, l’azienda non s’è presentata. A Roma non è
mancato un presidio di lavoratori, e si è tenuto un incontro con i rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil
nazionali. I dipendenti del magazzino commerciale monfalconese hanno così voluto aderire allo
sciopero per manifestare in particolare la solidarietà ai colleghi del sito di Reana del Rojale, che tra i
punti vendita della regione, versa nella situazione più critica. Un modo, quindi, per mantenere l’unità
dei lavoratori di fronte al rischio di uno smembramento del Gruppo e allo svuotamento di una parte dei
magazzini, non senza possibili ripercussioni sugli ammortizzatori sociali. Il punto vendita cittadino,
tuttavia, è rimasto aperto, grazie ad una minima parte dei lavoratori che hanno garantito l’attività a
favore dei clienti. La storica azienda della distribuzione organizzata del mobile, complementi di arredo
e casalinghi, conta in Italia 79 punti vendita complessivi e circa 3.500 dipendenti. In Friuli Venezia
Giulia, assieme ai siti di Monfalcone e di Reana del Rojale, è presente anche il punto vendita di Sacile,
per un centinaio di occupati complessivi. Nel magazzino commerciale cittadino, situato lungo la strada
regionale 14, vi lavorano una quarantina di dipendenti, già sottoposti, come tutti i lavoratori dei 79 siti
commerciali, a contratto di solidarietà con scadenza a maggio. Si tratta di una riduzione oraria spalmata
sui lavoratori a rotazione, pari a circa il 15-20% del monte-ore settimanale. Il punto vendita
monfalconese non risulta tra i siti in difficoltà economica, essendo in attivo.
La riforma taglia 60 letti in ospedale (M. Veneto Udine)
Meno 60 posti letto in ospedale. Il piano attuativo ospedaliero 2015 approvato l’altro giorno, il primo
dopo l’avvio della riforma del servizio sanitario regionale che prevede l’integrazione tra il Santa Maria
e l’azienda per l’assistenza sanitaria Friuli centrale, parla chiaro: i posti passano da 1.096 a 1.036, con
una riduzione di 42 unità nelle degenze e altri 18 di day hospital. Al momento, la dotazione aziendale
prevede 939 posti letto ordinari e 147 posti letto di day hospital, che passano rispettivamente a 897 e
129. Ma il commissario straordinario dell’Azienda ospedaliero-universitaria e dell’Azienda per
l’assistenza sanitaria 4, Mauro Delendi, chiarisce che si tratta di una riduzione «a tendere, e in parte già
avvenuta». «I 42 posti letto sono in gran parte relativi alle degenze chirurgiche e chirurgicospecialistiche - riferisce Delendi - non si toccano invece i posti di medicina generale. Sono già stati
ridotti 20 letti e in parte compensati dalla creazione di altri posti di degenza semi-intensiva che prima
non c’erano». Nove posti letto di degenza ordinaria di Dermatologia sono stati eliminati a Gemona,
dopo il trasferimento nel capoluogo friulano della clinica universitaria avvenuto lo scorso anno. Per
quanto riguarda invece le unità di day hospital, il commissario ha sottolineato che il decremento è
giustificato da una «ridondanza rispetto agli standard e vi è un eccesso di posti utilizzati a scopo
diagnostico». Si tratta insomma di una graduale revisione del numero di posti letto a seguito
dell’attivazione di nuovi modelli assistenziali per intensità di cura e conseguentemente all’avvio delle
attività nelle nuove sedi ospedaliere, come indicato nel piano. Anche perché le linee guida dettate dalla
riforma sanitaria regionale prevedono una fluidificazione del passaggio dall’ospedale al territorio, un
lavoro da centrare sulla continuità assistenziale. «Si riduce l’accesso ospedaliero e si potenzia il
territorio - ribadisce Delendi - in questo modo diminuisce la necessità di posti letto». Il piano, infatti,
rileva l’esigenza di «evitare ricoveri ripetuti e inappropriati» e di assicurare al medico di famiglia un
«adeguato supporto al domicilio nell’ambito della presa in carico multiprofessionale». L’altro punto
scottante riguarda i «costi per manutenzioni ordinarie edili impiantistiche» che nel piano risultano pari
a quelli sostenuti lo scorso anno, per complessivi 1 milione 827 mila euro. Ma se, come si legge nel
documento, è «oggettivamente molto difficile ritenere che, in base alle risorse assegnate all’Azienda, si
possa garantire un’attività manutentiva appropriata sul patrimonio immobiliare aziendale», per il
commissario «la realizzazione delle nuove strutture ospedaliere di fatto comporta una riduzione degli
oneri per questo tipo di interventi ordinari: le strutture vecchie presentano maggiori esigenze». Alla
luce del recente trasferimento nei nuovi spazi ospedalieri, «al momento non sono finanziati nuovi
investimenti. Se ne potrà parlare solo in fase di assestamento di bilancio a metà 2015» indica il
commissario. Piano alla mano, comunque, per l’anno in corso sono tra l’altro programmati i
trasferimenti di Oncologia, della clinica Ematologica, del centro trapianti midollo osseo, Medicina
nucleare e fisica sanitaria nella struttura di nuova realizzazione, andando così a completare l’attivazione
dei primi due lotti del nuovo ospedale. Interessante infine anche il dato che riguarda le cessazioni dal
servizio: 20 medici (più un biologo) e 59 qualifiche non mediche. Rimane l’interrogativo sulla
possibilità di garantire il turn over del personale. Giulia Zanello
«Basta code al pronto soccorso, più servizi sul territorio»
di Giacomina Pellizzari Stop agli intasamenti al Pronto soccorso. In città risiedono oltre 25 mila ultra
sessantacinquenni, servono servizi sanitari a misura di anziani. Questa sarà la richiesta che nei prossimi
giorni avanzeranno il sindaco, Furio Honsell, e l’assessore ai Servizi sociali, Simona Liguori, al
commissario unico dell’azienda ospedaliero-universitaria Santa Maria della Misericordia e
dell’Azienda territoriale “Friuli centrali”, Mauro Delendi. Forti del voto unanime ottenuto nell’ultima
seduta del consiglio comunale, il sindaco e l’assessore sollecitano la cosiddetta protezione sociale che
prevede anche minori ricoveri per gli anziani, gli ammalati terminali e cronici. Il progetto delineato,
l’altra sera, in aula rispecchia il contenuto della riforma sanitaria e del Piano attuativo ospedaliero
2015. Il documento, infatti, a seguito della già programmata riduzione dei ricoveri, prevede un nuovo
taglio dei posti letto già ridotti nell’anno in corso di una sessantina di unità. La richiesta del Comune di
Udine, quindi, si sposa perfettamente con la filosofia della riforma regionale. Tant’è che il sindaco ci
tiene a precisare che «questo è il momento adatto per far si che sempre meno anziani siano costretti a
ricorrere al pronto soccorso o ad alcuni giorni di degenza nei reparti di Medicina». I punti su cui fa leva
Honsell sono proprio la riforma sanitaria e il commissario unico delle aziende ospedaliera e territoriale.
«Il sistema dovrebbe essere raccordato con i medici di base, i geriatri e coloro che si occupano della
continuità assistenziale» insiste il primo cittadino sollecitando strategie idonee a trasferire l’ospedale
sul territorio. Si tratta di un vecchio progetto sbandierato da anni e mai realizzato. «Prima d’ora non è
stato possibile farlo - fa notare il sindaco - proprio perché c’erano due aziende diverse».
L’amministrazione di palazzo D’Aronco apprezza anche la professionalità di Delendi con il quale si
confronterà a breve per chiedergli di attuare: «Una maggiore integrazione tra medici di base e
ospedalieri; l’estensione del modello delle dimissioni protette per evitare che l’anziano sia costretto a
tornare più volte in ospedale e la continuità assistenziale a domicilio. «Questo modello - aggiunge
Honsell - consentirà all’ospedale di Udine di gestire la sua specializzazione per acuti». Dello stesso
avviso l’assessore: «La mozione approvata all’unanimità dal consiglio comunale tiene conto di alcune
motivazioni dei cittadini» spiega ricordando che i ricoveri ospedalieri non migliorano la qualità di vita
degli anziani. Liguori ci tiene a chiarire inoltre che il Comune non ha alcuna competenza in materia, è
intervenuto solo per implementare la rete sociale. L’ha fatto dopo aver analizzato alcune stime che
prevedono l’aumento delle famiglie monoparentali e delle persone anziane. Da qui la necessità di
implementare i servizi sul territorio e con il commissario unico è sicuramente più facile arrivare a una
sintesi. Diversa la situazione per la carenza dei pediatri sul territorio e soprattutto per l’eliminazione del
servizio in via Riccardo di Giusto, a Udine est. «Ho ascoltato i cittadini che si sono costituiti in
Comitato» conferma l’assessore ai Servizi sociali assicurando di non aver promesso la soluzione al
problema proprio perché, al momento, non ci sono molti spiragli aperti. La decisione se cambiare o
meno i parametri che consentono a ciascun pediatra di seguire 1.200 bambini spetta solo alla Regione
alla quale il consiglio comunale di Udine avanzerà specifica richiesta dopo aver analizzato la mozione
annunciata dal consigliere Federico Filauri (Pd).
Contributi ridotti e classi a rischio. Protesta delle paritarie (M. Veneto Udine)
Il calo dei contributi per l’abbattimento delle rette delle scuole paritarie si ripercuote, anche quest’anno,
sulle iscrizioni con una stima di almeno 4 classi in meno in provincia di Udine per il 2015/16 con il
conseguente possibile rischio di un’ulteriore riduzione di circa venti posti di lavoro. Le cinque classi
perse l’anno precedente in provincia di Udine, sommate a quelle tagliate nelle altre province, hanno
determinato un diminuzione di 98 occupati. La flessione degli importi messi a disposizione dalla
Regione (legge 14/91) e liquidati dalla Provincia (incaricata delle istruttorie) nei mesi scorsi (962
beneficiari), è stata di oltre il 50 per cento sul contributo medio a famiglia, ma c’è chi riceveva fino a
mille euro e ora si trova in tasca poco meno di 400 euro, una diminuzione in pratica di 2/3. La
copertura del fabbisogno è passata dall'80,8% al 38,2%. «Una flessione che sta mettendo in difficoltà
molte famiglie che faticano a pagare le rette» denuncia il dirigente scolastico del Santa Maria degli
Angeli di Gemona Gianluca Macovez, tra le scuole, a livello provinciale, con il maggior numero di
iscritti per quanto riguarda elementari e medie. Ma la situazione che si ripercuote sui bilanci di diverse
strutture. La differenza è sensibile specie per mamme e papà che, da un giorno all’altro, si ritrovano in
cassa integrazione o a casa e quindi con budget limitatissimi ulteriormente erosi da minori quote di
contributi». Difficoltà che, in una decina di casi, già lo scorso anno, hanno determinato altrettanti ritiri
dalla scuola «a dimostrazione che - rileva Macovez - un quantitativo di contributi non congruo, in
molte situazioni, non mette i genitori nelle condizioni di scegliere liberamente privandoli di un diritto
sancito dalla Costituzione». Quanto alle iscrizioni, continua Macovez «saremo costretti a ridurre da 3 a
2 le sezioni della scuola media». Le scuole cercano di contenere le perdite senza rinunciare all’offerta
dei servizi. Ma le difficoltà sono crescenti specie nelle realtà più piccole. La problematica interessa
anche il Bearzi di Udine. «Per la primaria quest’anno sono arrivate solo 12 richieste mentre per “stare
in piedi” il numero minimo è 20. Stiamo facendo sforzi importanti per soddisfare la necessità delle
famiglie ma - spiega don Igino Biffi - c’è preoccupazione. Ci viene richiesto dall’Europa di allinearci
agli standard, ma sulla difesa della libertà educativa e quindi sull’offerta delle scuole paritarie, l’Italia
non tiene il passo. Il Bearzi, opera educativa attenta agli ultimi, si ritrova in difficoltà nell’aiutare le
famiglie più bisognose. Non vogliamo comunque cedere». «I contorni della situazione sono sempre più
allarmanti - commenta l'assessore provinciale all'istruzione Beppino Govetto - e malgrado la questione
sia stata posta all'attenzione della Regione, non abbiamo registrato al momento un interessamento
approfondito sulla materia. La Provincia, a fronte delle difficoltà di queste scuole che rischiano di
diventare davvero quello che non sono e non vogliono essere, ovvero scuole per ricchi, dell'importanza
dei servizi offerti e soprattutto della ferma volontà di difendere il diritto di libera scelta, rivolge un
nuovo appello alla Regione: sia ripristinato un fondo congruo per le famiglie con figli iscritti alle
paritarie e si consenta a queste scuole di poter svolgere con dignità il proprio ruolo considerando che
rappresentano anche un notevole risparmio per lo Stato. 500 euro circa il costo allo Stato di un alunno
delle paritarie a fronte dei 6 mila euro delle statali". Già lo scorso anno si è attivato anche un "Comitato
genitori per la libera scelta" che ha portato la questione all'interesse della Regione ma le aspettative ad
oggi non sono state soddisfatte. «Auspichiamo che la politica regionale e nazionale - conclude Govetto
- intervenga in tempi utili per evitare che la situazione venga ulteriormente compromessa» .
Coopca, nuova chiamata dei soci in assemblea per il 12 aprile: si studiano le contromosse
(Gazzettino Udine)
AMARO MAJANO - (D.Z.) È stata convocata per domenica 12 aprile alle 15 al Teatro Candoni di
Tolmezzo la nuova assemblea dei soci prestatori e lavoratori della Coopca. All’ordine del giorno
l’illustrazione del piano concordatario, le eventuali azioni da intraprendere, la ratifica delle dimissioni
di alcuni componenti del comitato. Intanto, anche a Majano c'è preoccupazione per le sorti della
Coopca e in particolare per il suo punto vendita presente in paese. Il sindaco Raffaella Paladin ha per
questo incontrato il vice presidente di Legacoop Fvg Roberto Sesso per verificare la situazione, dal
momento che, all'interno delle attuali offerte vincolanti presentate nel piano di concordato ad oggi
depositato in Tribunale, questo negozio non figura tra quelli opzionati dai possibili acquirenti. «Questo
desta preoccupazione - spiega il sindaco - tant'è che ho chiesto un incontro con i vertici di Legacoop
Fvg per avere notizie e chiarimenti, visto che quel negozio, ubicato in via Udine, assume anche una
valenza sociale per gli anziani del comune che avrebbero difficoltà a fare la spesa altrove; inoltre continua - esiste un ulteriore problema, altrettanto significativo, ovvero quello relativo ai dipendenti
che vi operano e che, in questo momento di grave crisi generale, assieme alle loro famiglie, non
saprebbero cosa fare e dove andare». L'incontro che è stato organizzato nei giorni scorsi. Da parte sua il
numero due di Legacoop Fvg, Sesso, ha rimarcato: «Ci siamo attivati, come Associazione regionale,
con il sistema, e in particolare con il consumo nazionale per trovare una soluzione ad una vicenda che
resta complessa». Sesso si è quindi impegnato a portare all'attenzione di competenti organismi
superiori le esigenze rappresentate dal sindaco di Majano.
Due ore di stipendio per l’addio a Giuseppe (Gazzettino Pordenone)
Maria Santoro Regna la tristezza al termovalorizzatore Mistral, dove lunedì ha perso la vita il
manutentore Giuseppe Toneatti, 50 anni, successivamente allo scoppio di una cisterna. Ieri Cgil e Uil
hanno promosso un'assemblea sindacale di concerto con l'azienda per ricordare il dipendente deceduto
e discutere alcuni temi legati alla sicurezza sul lavoro. «Toneatti era un amico e un valido collaboratore
- ha dichiarato il referente provinciale Cgil, Flavio Venturoso - per quanto la ferita sia fresca e profonda
per pensare già all'attribuzione di eventuali responsabilità e formulazione di proposte, ci siamo
comunque incontrati e confrontati sulla vicenda». I dirigenti hanno manifestato disponibilità a
migliorare il consolidamento della cultura della sicurezza fondata sulla responsabilità e la
consapevolezza di ciascuno, assicurando inoltre di aver costantemente osservato le prescrizioni di
legge: «Sono pronti - afferma - a valutare richieste e suggerimenti sull'argomento».
Domani i colleghi di Toneatti osserveranno i 50 minuti di sciopero nazionale indetto congiuntamente
da tutte le sigle sindacali per Giuseppe Toneatti e Salvatore Longo schiacciato da un mezzo in
provincia di Rimini. «Hanno espressamente chiesto che l'azienda trattenga 2 ore ciascuno dalla busta
paga - sottolinea - e le devolva alla famiglia per i funerali dell'uomo che lascia due figlie». Anche
Mistral farà la sua parte: l’azienda ha fatto sapere che interverrà economicamente per sostenere la
differenza del costo delle esequie. Senz'altro un bel gesto di riconoscenza verso un lavoratore modello,
meticoloso e puntuale, la cui assenza peserà per tutti. «Oggi i dipendenti saranno seguiti da una
psicologa - assicura - daremo a tutti, specie al collega Luca Bincoletto, 29 anni, che ha assistito alla
cruenta scena il supporto necessario a superare lo shock emotivo». Bincoletto era presente come gli
altri all'assemblea, solo e soltanto per testimoniare il suo grande affetto a Giuseppe Toneatti: «È in
evidente stato di smarrimento - dichiara Venturoso - faremo quanto in nostro potere per aiutarlo». Gli
amici più cari e tanti conoscenti della comunità spilimberghese continuano intanto a postare numerose
fotografie e messaggi di cordoglio alla famiglia. Per tutti la sua morte rappresenta «una grande
ingiustizia» cui purtroppo nessuno potrà porre rimedio, pure la conclusione delle indagini e l'eventuale
individuazione di responsabili non restituiranno all'affetto dei suoi cari «l'uomo dalle mani e dal cuore
d'oro».
Lavoro, lo sportello si allunga (Gazzettino Pordenone)
PORDENONE – Più ore di sportello per combattere meglio la disoccupazione. È entrato in vigore il
nuovo orario dei Centri per l’impiego (a Pordenone, San Vito al Tagliamento, Sacile, Maniago,
Spilimbergo e Comidis, il Collocamento mirato disabili con sede a Pordenone, in Villa Carinzia).
L’esecutivo provinciale guidato dal presidente Claudio Pedrotti, ha stabilito che, a partire dal mese di
aprile, nelle giornate del martedì e giovedì, in cui è già prevista l’apertura pomeridiana del servizio, gli
sportelli ricevano su appuntamento e amplino l’orario attuale di apertura al pubblico di un’ora.
Un provvedimento che nasce dalla necessità di far fronte alle crescenti richieste da parte di quanti, vista
la situazione di crisi, si rivolgono sempre di più ai servizi provinciali alla ricerca di una occupazione.
«Il ricevimento su appuntamento da un lato e, un orario di apertura più esteso dall’altro, consentirà agli
operatori dei Centri per l’impiego di garantire un servizio più efficace ed efficiente all’utenza» spiega il
presidente Pedrotti.
Questo il nuovo orario di apertura al pubblico che osserveranno i sei Centri per l’impiego provinciali:
dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 12.30 e appunto, il martedì e giovedì, anche dalle 14.30 alle 17.30.
Una novità, perfettamente in linea con l’operazione di rinnovamento dei servizi all’impiego provinciali
resa negli ultimi anni, finalizzata a migliorare la privacy degli utenti, garantendo un approccio più
“friendly” (come nel caso dell’ottimizzazione degli spazi operata nella sede dei Cpi di Pordenone in via
Borgo San Antonio), per una maggior riservatezza e un minor disagio all’utente in fase di colloquio.
Chiusura ufficiale per la Metro, nuova cattedrale nel deserto (M. Veneto Pordenone)
Le serrande della Metro “Cash and carry” si sarebbero dovute abbassare oggi. Così almeno aveva
inizialmente annunciato la proprietà due mesi e mezzo fa ai 48 dipendenti. «Nel Pordenonese – era
stata la motivazione addotta dalla multinazionale tedesca – mancano le possibilità di sviluppo».
Magazzini e scaffali, tuttavia, si sono svuotati prima del previsto, con il risultato che già da quasi una
settimana la gran parte del personale è rimasto a casa e il centro all’ingrosso è deserto. Una gigantesca
scatola vuota, l’insegna già oscurata, il parcheggio un tempo affollato di automobili trasformato in una
desolante distesa di cemento. Sembrano lontanissimi i tempi in cui la Metro apriva il proprio punto
vendita a Pordenone: era il dicembre del 2004 quando i cancelli del magazzino venivano presi d'assalto
dagli avventori, accalcati per accaparrarsi i prodotti lancio. Sono trascorsi 10 anni, e il quadro è del
tutto stravolto. All’esterno della Metro, ieri, solo qualche operaio intento a caricare sui camion le
scaffalature smontate, all’interno una serie di scatoloni con gli ultimi prodotti rimasti invenduti e gli
“scheletri” metallici degli scaffali che attendono solo di essere rimossi. Negli uffici, alcuni impiegati
rimasti al lavoro per terminare gli ultimi adempimenti. Nessuno di loro, comprensibilmente, ha voglia
di parlare: c’è la rabbia e la delusione per non aver potuto scongiurare la chiusura. Sei tra gli ex
lavoratori sono entrati in mobilità volontaria o sono stati riassorbiti in altri punti vendita della catena –
quella di Pordenone è l’unica sede ad aver chiuso i battenti tra le 49 presenti in Italia –, per gli altri
scatterà domani (e per un anno) la cassa integrazione per cessata attività. L’accesso agli ammortizzatori
sociali era stato garantito ai lavoratori già venti giorni dopo l’annuncio choc della chiusura del
magazzino: dopo il tavolo di crisi in Provincia, le parti sociali si erano incontrate in Regione per la
firma dell’attivazione degli aiuti sociali. Accanto a questo, le forze sindacali avevano ottenuto
l’impegno – da parte delle istituzioni e della stessa multinazionale tedesca – a favorire il processo di
reinserimento degli ex dipendenti, da monitorare in incontri periodici. Una prima riunione si è svolta lo
scorso mese, la prossima sarà il 13 aprile. I lavoratori di Pordenone – 35 su 48 hanno meno di 40 anni –
hanno una priorità di 15 giorni per manifestare l’interesse ad accedere alle posizioni che eventualmente
si liberino nei vari punti vendita Metro Italia (in quattro hanno già usufruito di questa opportunità). È
aperta anche la strada del riassorbimento nelle sedi trasfrontaliere. Miroslava Pasquali
Anziani, trasporto a pagamento (Gazzettino Pordenone)
Michelangelo Scarabellotto Auser Alto Livenza Sacile: brutte notizie per quanti hanno bisogno anziani, disabili, infermi - del servizio di accompagnamento a strutture ospedaliere e servizi sanitari: il
servizio che l'associazione da anni garantisce a tutti gratuitamente (ricevendo come contropartita un
contributo forfettario dall'Ambito stesso che per il 2014 è stato di 8 mila euro) è a rischio. Secondo la
nuova convenzione sottoscritta dall'Auser provinciale con l'Ambito 6.1 i rimborsi spese per gli
accompagnamenti saranno effettuati solo se gli stessi verranno ufficialmente comunicati
all’associazione da parte dell'Ambito. A tutti coloro che per varie ragioni non si rivolgeranno ai Servizi
sociali, sarà richiesto un contributo per le spese affrontate e non coperte dalle strutture pubbliche, una
sorta di ticket il cui valore sarà comunicato di volta in volta all'utente. L'annuncio è del presidente
dell'Auser Alto Livenza sacilese Natalino Valdevit che della novità ha informato i soci durante i lavori
dell'assemblea nel corso della quale è stato approvato il bilancio consuntivo 2014. Una novità che non
sarà certamente gradita alle 180 persone che si rivolgono all’associazione in un anno per un totale di
1.100 accompagnamenti a strutture sanitarie, servizi ospedalieri e sociali, che saranno costrette, ora a
rivolgersi ai Servizi sociali del Comune che autorizzeranno il trasporto se la situazione economica del
richiedente sarà inferiore ai limiti di legge, su ognuno dei quali l'Ambito corrisponderà un rimborso
forfettario di 0,60 centesimi per chilometro. Negli altri casi scatterà il ticket «che sarà da noi - tiene a
sottolineare il presidente Valdevit - suggerito ma mai tassativo, che varierà a secondo della distanza del
servizio. Questa procedura durerà fino al 31 dicembre 2015.
Per il presidente una scelta dovuta alla necessità, da parte dell'Ambito, di omologare il Filo d'Argento
di Sacile alle modalità seguite negli altri Comuni. Due sono state le proposte emerse nel corso
dell'assemblea: una richiesta di contributo in base alla percorrenza effettiva misurata in chilometri o
una richiesta a forfait basate su varie fasce chilometriche. È stata scelta la proposta del ticket forfettaria
che prevede un ticket di 3 euro entro i 10 chilometri, 5 euro da 11 a 20 chilometri, 10 euro da 21 a 35
chilometri, 15 euro da 36 a 50 chilometri, 20 euro oltre 50 ed entro 100 chilometri, 30 euro da 101 a
150 chilometri e 50 euro oltre 150 ed entro 300 chilometri. Una procedura che naturalmente allungherà
i tempi di intervento in quanto il richiedente del trasporto dovrà prima recarsi al Caf per farsi calcolare
l'Isee, quindi ai Servizi sociali che istruiranno la pratica che la trasmetterà all'Auser per autorizzare il
trasporto, mentre attualmente la risposta è sempre stata rapida e teneva conto del bisogno della persona.
Una procedura farraginosa. «Infatti - precisa il presidente dell'Auser - dal 1' marzo data in cui è scattata
la nuova procedura abbiamo ricevuto una sola autorizzazione dall'Ambito, mentre le persone hanno
continuato a richiedere direttamente a noi il servizio aderendo alla nostra richiesta di rimborso».
Alloggi sociali nell'ex fabbrica Sadoch (Piccolo Trieste)
di Micol Brusaferro Dopo oltre vent’anni di abbandono e di progetti annunciati e mai partiti, l’ex
fabbrica Sadoch di viale Montebello si prepara a nuova vita. A giugno sarà perfezionato l’acquisto da
parte del Fondo housing sociale Fvg gestito da Finint Investments SGR, poi inizieranno i lavori, che
dureranno circa un anno e mezzo. Alla fine del cantiere il progetto, che prevede il mantenimento del
profilo architettonico della facciata attuale, vedrà realizzati 94 alloggi che saranno destinati
prevalentemente alla locazione a canone agevolato. L’immobile, costruito nel 1957, ha una superficie
complessiva di circa 9mila metri quadrati, tra la palazzina più bassa che si affaccia sulla strada e
l’edificio più alto alle sue spalle. Negli ultimi anni si è assistito ad un lento e costante degrado dell’ex
fabbrica cartotecnica, con infissi caduti, immondizie accumulate in più punti, porte divelte e ripetuti atti
vandalici, segnalati più volte anche dai residenti della zona. Dall’esterno si nota l’incursione
incontrollata di chi ha imbrattato i muri e ha staccato pezzi di recinzione, alla ricerca probabilmente di
oggetti o mobili. Ma ormai ben poco è rimasto di quella stabilimento, molto conosciuta in passato in
tutta la città. Anche il marciapiede davanti allo stabile risulta particolarmente danneggiato, con il
porfido che in più punti lascia intravedere ampi buchi. In queste settimane l’attuale proprietà, l’Art
2000 Srl, sta eseguendo la rimozione dei materiali residui e la pulizia delle aree circostanti, prima di
arrivare al rogito, previsto a fine giugno, quando lo stabile passerà nelle mani del fondo Housing
Sociale FVG, che ne curerà la risistemazione immobiliare e la successiva gestione, in collaborazione
con il gestore socio-immobiliare. «Siamo un fondo di housing sociale che ha l’obiettivo di investire
circa 50 milioni di euro nella regione Friuli Venezia Giulia, per a realizzare almeno 330 alloggi da
destinare a canone calmierato rispetto al mercato, favorendo il recupero e la riqualificazione di strutture
dismesse - spiega Sara Paganin, Senior Fund Manager di Finint Investments SGR -. A Trieste abbiamo
identificato l’edificio industriale ex Sadoch come progetto di riqualificazione immobiliare a fini sociali,
un progetto ambizioso e complesso, perché l’edificio va completamente riprogettato, tenendo conto
anche dei vincoli esistenti». La palazzina principale si articolerà su otto piani, oltre ad un seminterrato
per i parcheggi, mentre nell’edificio antistante troveranno posto ulteriori tre piani di appartamenti. Gli
attici saranno venduti, mentre il resto delle unità saranno date in locazione a canoni calmierati, anche
con la formula dell’affitto-riscatto, agli aggiudicatari dell’apposito bando che verrà predisposto.
«Housing sociale non significa solo appartamenti a canone calmierato - continua Sara Paganin - ma
soprattutto dare vita a una comunità sostenibile offrendo spazi comuni e servizi destinati
all’integrazione e alla socializzazione». Per questo motivo all’interno della struttura saranno creati
anche due spazi dati in utilizzo gratuito agli inquilini. L’housing sociale prevede inoltre una
convenzione specifica da stipulare con il Comune di riferimento e un tetto massimo fissato per le
locazioni. Per questo la società di gestione del fondo ha incontrato nei giorni scorsi l’assessore Elena
Marchigiani. «Stiamo valutando come strutturare la convenzione, per capire le esigenze reali che ci
sono a Trieste e la fascia di affitti più adeguata - spiega Marchigiani -. Puntiamo a rispondere quanto
più possibile alle domande del territorio e a mettere in rete i servizi già presenti in quella zona dove,
ricordiamo, ci sono già anche numerosi alloggi Ater. Dal punto di vista delle opere - prosegue
l’assessore - è stata prorogata da parte del Comune la concessione edilizia, fino al 2017, per quanto
riguarda la struttura affacciata su viale Montebello. L’ex Sadoch ha una vicenda lunga e travagliata, ma
finalmente – conclude l’assessore - possiamo annunciare che l’iter per la sua riconversione è
ufficialmente partito».
L’11% dei bambini malati non viene portato al Burlo (Piccolo Trieste)
di Gianpaolo Sarti I vertici del Burlo certificano la fuga dei pazienti. Ieri mattina, nella lunga
Commissione comunale organizzata nella sede di via dell’Istria per tastare il polso dell’ospedale dopo
quanto documentato dall’inchiesta del giornale, il management dell’Irccs ha portato un altro dato. Un
numero destinato ad aggiungere ulteriori preoccupazioni per la sanità locale che già si trova a fare i
conti con il calo di performance e l’addio di medici di prestigio dall’istituto: l’11% dei bambini
residenti in Fvg, e che necessita di cure, viene trattato fuori regione. Lo ha reso noto Renata De
Candido, la direttrice sanitaria che prenderà il posto del direttore generale Mauro Melato in attesa della
nomina del futuro dg. Si tratta di un totale di 1.473 casi registrati nel 2013. Ricoveri programmati, più
che urgenze. «Non ne conosciamo le motivazioni», ha detto De Candido precisando a margine
dell’incontro che non è una fuga che si evidenzia solo dal Burlo, «dal momento che in Fvg ci sono
anche altre realtà pediatriche». Va da sé che i genitori anziché scegliere di portare i figli nella rinomata
struttura triestina, centro regionale, si recano altrove. «A volte può essere che per varie ragioni, anche
di comodità, si preferisca appoggiarsi da altre parti – ha spiegato – pensiamo ad esempio a chi abita
nelle zone poste lungo i confini regionali, come è normale che quanti stanno ad esempio in Slovenia
vengano da noi. Comunque bisogna vedere se parliamo di cure di base o di alte specialità come
l’oncologia, per cui sarebbe giusto che quei bambini venissero qui. Quando invece parliamo di
cardiochirurgia o neurochirurgia – ha puntualizzato – è normale che si vada fuori visto che qui da noi,
per i bambini piccolissimi, su questo non siamo attrezzati. I neonati che nascono con una
malformazione cardiaca vengono mandati a Padova, ma noi ci facciamo carico di seguire il percorso: i
casi sono diagnosticati qui e, una volta dimessi dopo l’intervento, li riprendiamo in carico. Questa è una
cosa che ci valorizza comunque, perché non si può fare tutto». Nell’audizione di ieri, alla presenza di
Melato, consiglieri e sindacalisti, è stato confermato quanto già emerso in questi giorni: i tagli che
hanno raggiunto i 4,5 milioni dal 2012 e la diminuzione delle prestazioni (dalle 284.054 del 2010 alle
254.253 del 2014), mentre nei ricoveri «non si evidenzia una variazione significativa negli ultimi anni e
tra il 2013 e il 2014 la flessione è dell’1,3%», ha rilevato ancora De Candido. Il direttore generale, dal
canto suo, ha ribadito che «i professionisti che se ne sono andati sono stati rimpiazzati da medici
altrettanto validi». La parola è passata poi innanzitutto alle forze sindacali, con Pierpaolo Brovedani
(Cgil medici) che ha auspicato «un programma più alto per l’Irccs», quindi ai consiglieri. Dura la presa
di posizione di Marino Andolina (Fds): «Ho lavorato 45 anni qui, ho la convinzione che il Burlo non
sia più nemmeno un Irccs, nell’ultimo decennio la dirigenza ha lasciato decadere l’ospedale e fuggire i
medici, con una parentopoli e favori personali che hanno cercato di supplire alla fuga. Ma qui ormai
non c’è più nulla da fare». Più difensiva Loredana Lepore (Pd): «I numeri sono invariati, non è vero
quanto sostiene il giornale, anche se sicuramente la politica è stata miope». Così l’altro Pd Aureo
Muzzi: «È necessario riorganizzare la sanità per migliorarla. Sono sicuro che la Regione metterà il
nuovo management in condizione di esprimere tutte le potenzialità del Burlo». Marino Sossi (Sel) ha
puntato il dito contro l’assessore Maria Sandra Telesca: «Da quanto ho letto nell’intervista sembrava
una turista che passa in regione per caso». Everest Bertoli (Fi) ha spostato l’accento sulla riduzione di
fondi: «Il sindaco non cerchi di nascondere la drammaticità dei tagli imposti alla sanità triestina dalla
Regione, scagliandosi contro il management». La commissione preparerà un documento congiunto per
sollecitare la giunta Serracchiani a fornire ulteriori chiarimenti su quanto apparso in questi giorni, oltre
che per garantire un preciso impegno nei confronti dell’Irccs. E sempre dalla giunta Telesca si è detta
disponibile a riferire del “caso” Burlo in Consiglio comunale.