Antologia LISIA 2. Autobiografia e politica La Contro Eratostene La Contro Eratostene è sicuramente opera di Lisia, ed è anche l’unica orazione conservata che l’oratore pronunciò personalmente: riguarda infatti l’uccisione di suo fratello, Polemarco, durante il regime dei Trenta tiranni, quando i meteci, ovvero i cittadini stranieri residenti a Atene ma non in possesso dei diritti di cittadinanza, furono fatti oggetto di una sorta di campagna di persecuzione condotta con lo scopo di impadronirsi dei loro beni. Formalmente l’orazione appartiene al genere giudiziario; l’argomento e la linea accusatoria prescelta ne fanno però un discorso eminentemente politico e, in particolare, un pesante atto d’accusa contro la politica del terrore instaurata dal regime dei Trenta (T8-T10). Secondo l’accusa di Lisia, Eratostene era stato il responsabile della cattura e della morte di Polemarco (T7). Il processo intentato da Lisia poteva essere o per omicidio oppure anche per rendiconto (eu[q una) dell’attività svolta (Eratostene poteva essere sottoposto a questo secondo tipo di azione giudiziaria in quanto aveva fatto parte del collegio dei Trenta tiranni). È verosimile tuttavia che il processo fosse per omicidio e che si sia tenuto poco dopo la caduta dei Trenta, nel 403 a.C. t7 I misfatti dei Trenta contro Lisia e i suoi familiari (Orazioni 12,4-24) Con uno stile narrativo nudo e al tempo stesso drammatico Lisia espone nella narratio la dinamica dei fatti: l’espropriazione dei beni e l’umiliazione subita da lui e dalla sua famiglia a opera dei Trenta e l’uccisione del fratello Polemarco. [4] Mio padre Cefalo fu convinto da Pericle a venire a vivere in questa terra e vi ha abitato per trent’anni, durante i quali né noi né lui abbiamo mai intentato né subito un processo, e sotto la democrazia vivevamo in modo da non far torti agli altri e da non subirne. [5] Ma quando i Trenta, mascalzoni e sicofanti, andarono al potere presero a dire che bisognava ripulire la città dai malfattori e indirizzare gli altri cittadini alla vir- 142 Antologia tù e alla giustizia; ma, pur sbandierando tutte queste belle promesse, non intendevano certo metterle in pratica, come cercherò di richiamarvi alla mente parlando prima delle mie vicende private e poi delle vostre. [6] Teognide e Pisone1, in una riunione dei Trenta, dissero, a proposito dei meteci, che alcuni erano scontenti della nuova costituzione: quello dunque era un ottimo pretesto per fingere di punirli, ma di fatto procurarsi ricchezze: la città infatti scarseggiava in ogni senso di risorse e il governo aveva bisogno di denaro. [7] Convinsero senza difficoltà i loro ascoltatori: era gente che considerava cosa da nulla far uccidere delle persone, ma riteneva importantissimo arricchirsi. Decisero dunque di arrestarne dieci, e tra questi due non ricchi, per poter addurre, come giustificazione di fronte all’opinione pubblica, che gli arresti non erano stati fatti per motivi di interesse, ma che si era trattato invece di una azione a vantaggio dello Stato: come se mai avessero preso qualche altro provvedimento ispirato a principi così ragionevoli! [8] Si divisero le case e vi si recarono: quanto a me, mi trovarono a casa che avevo ospiti a tavola, cacciati i quali mi consegnarono a Pisone. Gli altri, entrati nella fabbrica2, facevano l’inventario degli schiavi. Io, nel frattempo, chiedevo a Pisone se era disposto a salvarmi in cambio di denaro: [9] e lui rispose di sì, purché fosse molto. Gli dissi che ero disposto a dargli un talento d’argento e lui promise che avrebbe fatto quello che gli chiedevo. Certo, sapevo che non rispettava né gli dei né gli uomini; tuttavia in quella circostanza mi sembrava più che mai necessario ottenere da lui la garanzia di un giuramento. [10] Dopo che ebbe giurato, sulla testa sua e dei suoi figli3, che ricevuto il talento mi avrebbe salvato, io entrai in camera e aprii la cassa dei valori: Pisone se ne accorge ed entra, e vistone il contenuto chiama due dei suoi sottoposti e ordina loro di prendere tutto quel c’era nella cassa. [11] Visto che si era preso non quanto si era stabilito, giudici, ma la bellezza di tre talenti d’argento, quattrocento ciziceni, cento darici e quattro fiale d’argento4, gli chiedevo di darmi almeno i mezzi per la fuga, ma lui mi rispose che avrei già dovuto essere contento se salvavo la pelle. [12] Mentre io e Pisone usciamo di casa, ci imbattiamo in Melobio e Mnesiteide5 che uscivano dall’officina: ci incontrano proprio sulla porta e ci chiedono dove stiamo andando: Pisone rispose che andava da mio fratello per fare un sopralluogo anche dei beni che si trovavano in quella casa. A lui dunque dissero di andare, e a me invece ingiunsero di seguirli a casa di Damnippo6. [13] Pisone allora mi si accostò, dicendomi di tacere e aver fiducia, che mi avrebbe raggiunto là. Vi trovammo Teognide che stava sorvegliando degli altri arrestati; i miei custodi mi consegnarono a lui e se ne andarono di nuovo. In quella situazione mi parve di dover affrontare qualsiasi rischio, perché ormai vedevo la morte in faccia. [14] Chiamo Damnippo e gli dico: «Tu mi sei amico, ecco, mi trovo in casa tua: non ho fatto nulla di male; le mie ricchezze sono la causa della mia rovina. Tu dunque, vedendomi in questa situazione, metti generosamente a disposizione i tuoi mezzi per salvarmi!». Ed egli promise di farlo. Gli sembrava però che fosse meglio farne parola con Teognide: era convinto che quell’uomo avrebbe fatto qualsiasi cosa se gli si fosse offerto del denaro. [15] Mentre parlava con Teognide (io conoscevo bene la casa, e sapevo che aveva due uscite), decisi di tentare di mettermi in salvo per quella via, pensando che, se fossi passato inosservato, mi sarei salvato; e se invece mi avessero preso (pensavo) mi sarei nondimeno salvato se Teognide si fosse lasciato corrompere da Damnippo; altrimenti sarei morto comunque. [16] A seguito di queste riflessioni tentai la fuga, mentre quelli sorvegliavano la porta del cortile; e le tre porte, che dovevo attraversare, per fortuna erano tutte aperte. Arrivato da 1. Due dei Trenta. Teognide era un poeta tragico, oggetto dello scherno di Aristofane (vedi, ad esempio, Acarnesi 11). 2. La famiglia di Lisia era proprietaria di una fabbrica d’armi. 3. Questo tipo di giuramento era particolarmente solenne. 4. Il darico era la moneta d’oro ufficiale del regno persiano; si chiamava così perché vi era raffigurato il volto del re Dario. I ciziceni, più propriamente stateri ciziceni, erano equivalenti a ventotto dracme d’argento. 5. Due dei Trenta. 6. Un amico di Lisia che parteggiava per i Trenta. Lisia • Autobiografia e politica Archeneo, l’armatore, lo mando in città, per avere notizie di mio fratello: ritornò dicendo che Eratostene lo aveva sorpreso per strada e lo aveva condotto in carcere. [17] Venuto a conoscenza di questo fatto, la notte seguente mi imbarcai per Megara. A Polemarco i Trenta impartirono l’ordine abituale durante il loro governo, quello di bere la cicuta, senza nemmeno comunicargli l’accusa per la quale doveva morire: altro che essere giudicato e potersi difendere! [18] Quando lo portarono via dal carcere dopo la morte, benché avessimo tre case, non permisero che il funerale partisse da nessuna delle tre, ma affittarono una catapecchia ed esposero lì il cadavere. E dei molti drappi che c’erano a disposizione non ne diedero neanche uno a chi lo richiedeva per il rito funebre, e sono stati gli amici a dare, per la sua sepoltura, chi un lenzuolo, chi un cuscino, chi quello che aveva. [19] E pur essendosi impadroniti di settecento scudi dei nostri e di tanto oro e argento, bronzo, gioielli, mobili e vesti femminili quanto mai avrebbero pensato di procurarsi, e di centoventi schiavi, di cui si tennero i migliori e consegnarono al tesoro pubblico gli altri, spinsero la loro insaziabile avidità fino a questo punto, dando un saggio della loro indole malvagia: Melobio, appena entrati in casa, strappò dalle orecchie della moglie di Polemarco gli orecchini d’oro che portava. Non hanno avuto compassione di noi [20] neppure quel tanto da lasciarci una minima parte dei nostri beni. Anzi, hanno infierito su di noi, a causa delle nostre ricchezze, tanto quanto avrebbero potuto fare altri che fossero pieni di risentimento per gravi torti subiti; eppure non era questo che ci meritavamo dalla città, visto che avevamo sostenuto tutte le coregie e molte volte avevamo versato contribuzioni7, che ci eravamo sempre dimostrati obbedienti e avevamo fatto tutto quello che ci veniva ordinato, che non ci eravamo fatti alcun nemico e avevamo anzi riscattato molti Ateniesi dalle mani dei nemici: ma nonostante questo ci hanno ritenuto meritevoli di un trattamento come quello, noi che come meteci ci eravamo comportati in modo ben diverso da loro come liberi cittadini! [21] Essi infatti hanno cacciato via dalla città molti cittadini mandandoli in mezzo ai nemici; molti li hanno uccisi ingiustamente e li hanno privati degli onori funebri; molti li hanno privati del diritto di cittadinanza che possedevano e alle figlie di molti che stavano per maritarsi hanno impedito di farlo! [22] E hanno spinto la loro impudenza fino al punto di presentarsi qui per difendersi sostenendo di non aver commesso alcun reato né alcuna azione infame. Io vorrei tanto che dicessero la verità; perché una parte non piccola di questa fortuna toccherebbe anche a me. [23] In realtà le cose non stanno così, né per la città né per me: mio fratello, come già ho detto, è stato ucciso da Eratostene, che non aveva subito da lui alcun torto privato e neppure lo aveva colto a commettere un reato verso lo Stato, ma che si abbandonava soltanto senza ritegno alla sua indole violenta. [24] Voglio farlo salire sulla tribuna e interrogarlo, giudici. Questa infatti è la mia opinione: ritengo che sarebbe empio anche soltanto parlare di lui con qualcun altro, se questo andasse a suo vantaggio; ma se lo scopo è di nuocergli, allora mi sembra pio e conforme alle leggi divine anche rivolgermi direttamente a lui. Sali dunque e rispondi alle domande che ti farò8. (trad. di E. Medda) 7. A Atene non esisteva un sistema organizzato per la riscossione delle imposte. Al suo posto si ricorreva alle liturgie, ovvero prestazioni obbligatorie a carico dei cittadini più ricchi. Questi erano chiamati cioè a contribuire con il proprio denaro alle spese pubbliche in determinati settori, co- me ad esempio all’armamento delle triremi (trierarchia) o all’allestimento dei cori durante gli agoni drammatici (coregia). 8. Nel processo attico erano previsti confronti diretti, sia tra accusatore e accusato, sia con eventuali testimoni. 143 144 Antologia t8 Lisia chiede per Eratostene la pena di morte (Orazioni 12,34-42) Lisia si appella ai giudici: chiede loro di condannare Eratostene, comminandogli la pena di morte. Le argomentazioni di Lisia si configurano come un duro atto d’accusa non soltanto contro Eratostene, ma contro tutto il regime oligarchico dei Trenta tiranni. [34]Fevre dhv, tiv a]n eij kai; ajdelfoi; o[nte" ejtuvcete aujtou' h] kai; uJei'"… ΔApoyhfivsaisqe… Dei' gavr, w\ a[ndre" dikastaiv, ΔEratosqevnhn duoi'n qavteron ajpodei'xai, h] wJ" oujk ajphvgagen aujtovn, h] wJ" dikaivw" tou'tΔ e[praxen. Ou|to" de; wJmolovghken ajdivkw" sullabei'n, w{ste rJa/divan uJmi'n th;n diayhvfisin peri; auJtou' pepoivhke. [35] Kai; me;n dh; polloi; kai; tw'n ajstw'n kai; tw'n xevnwn h{kousin eijsovmenoi tivna gnwvmhn peri; touvtwn e{xete. »Wn oiJ me;n uJmevteroi o[nte" poli'tai maqovnte" ajpivasin o{ti h] divkhn dwvsousin w|n a]n ejxamavrtwsin, h] pravxante" me;n w|n ejfiventai tuvrannoi th'" povlew" e[sontai, dustuchvsante" de; to; i[son uJmi'n e{xousin: o{soi de; xevnoi ejpidhmou's in, ei[sontai povteron ajdivkw" tou;" triavkonta ejkkhruvttousin ejk tw'n povlewn h] dikaivw". Eij ga;r dh; aujtoi; oiJ kakw'" peponqovte" labovnte" ajfhvsousin, h\ pou sfa'" ãgΔà aujtou;" hJghvsontai perievrgou" uJpe;r uJmw'n throumevnou"1. [36] Oujk ou\n deino;n eij tou;" me;n strathgouv", oi} ejnivkwn naumacou'nte", o{te dia; ceimw'na oujc oi|oiv tΔ e[fasan ei\nai tou;" ejk th'" qalavtth" ajnelevsqai, qanavtw/ ejzhmiwvsate, hJgouvmenoi crh'nai th/' tw'n teqnewvtwn ajreth/' parΔ ejkeivnwn divkhn labei'n, touvtou" dev, oi} ijdiw'tai me;n o[nte" kaqΔ o{son ejduvnanto ejpoivhsan hJtthqh'nai naumacou'nta"2, ejpeidh; de; eij" th;n ajrch;n katevsthsan, oJmologou's in eJkovnte" pollou;" tw'n politw'n ajkrivtou" ajpoktinnuvnai, oujk a[ra crh; aujtou;" kai; tou;" pai'da" uJfΔ uJmw'n tai'" ejscavtai" zhmivai" kolavzesqai… [34] Ebbene, cosa fareste se foste suoi fratelli o suoi figli? Lo assolvereste? Perché, giudici, Eratostene deve dimostrare l’una delle due cose, o che non ha arrestato Polemarco, o che lo ha fatto per un giusto motivo. Ma proprio lui ha ammesso di averlo arrestato ingiustamente, e così vi ha reso facile la scelta del voto. [35] E inoltre molta gente, sia cittadini che stranieri, è venuta qui per sapere cosa deciderete di questi uomini. Tra questi, i vostri concittadini se ne andranno dopo aver capito o che dovranno pagare le colpe che eventualmente commettano oppure che potranno diventare tiranni della città, se riescono a realizzare i loro piani, mentre se dovesse andar male avrebbero comunque gli stessi vostri diritti. Gli stranieri che sono venuti qui, invece, sapranno se hanno ragione o torto a bandire i Trenta dalle loro città. Se infatti proprio quelli che hanno subito le loro crudeltà, dopo averli catturati, li lasceranno andare, certamente gli stranieri penseranno di essere troppo zelanti a sorvegliarli per vostro conto1! [36] Sarebbe assurdo: voi avete punito con la morte gli strateghi che avevano vinto la battaglia sul mare, perché avevano detto di non aver potuto recuperare i naufraghi a causa della tempesta – nella convinzione di dover far giustizia contro di loro per rispetto del valore dei morti –; e costoro invece, che come privati cittadini hanno fatto tutto quello che potevano per farvi sconfiggere nella battaglia navale2 e che, dopo aver preso il potere, ammettono di aver deliberatamente ucciso senza processo molti cittadini, non devono forse essere puniti da voi insieme ai loro figli con la pena più terribile? 1. Non è chiaro chi siano i Trenta che le altre città dovrebbero bandire: è stata avanzata l’ipotesi che si tratti di alcuni membri del regime che, dopo la cacciata da Atene, non si erano rifugiati come tutti gli altri a Eleusi. 2. Lisia allude dapprima alla battaglia delle Arginuse, i cui comandanti erano stati processati per non aver soccorso i naufraghi, e poi alla battaglia di Egospotami, che decretò la vittoria spartana nella guerra del Peloponneso. Di alcuni comandanti della flotta ateniese a Egospotami, come Tideo e Adimanto, fautori dell’oligarchia, si diceva che avessero favorito di proposito la vittoria del generale spartano Lisandro. Lisia • Autobiografia e politica [37] ΔEgw; toivnun, w\ a[ndre" dikastaiv, hjxivoun iJkana; ei\nai ta; kathgorhmevna: mevcri ga;r touvtou nomivzw crh'nai kathgorei'n, e{w" a]n qanavtou dovxh/ tw/' feuvgonti a[xia eijrgavsqai. Tauvthn ga;r ejscavthn divkhn dunavmeqa parΔ aujtw'n labei'n. ”WstΔ oujk oi\dΔ o{ ti dei' polla; kathgorei'n toiouvtwn ajndrw'n, oi} oujdΔ uJpe;r eJno;" eJkavstou tw'n pepragmevnwn di;" ajpoqanovnte" divkhn dou'nai duvnaintΔ a]n ãajxivanÃ. [38] Ouj ga;r dh; oujde; tou'to aujtw/' proshvkei poih'sai, o{per ejn th/d' e th/' povlei eijqismevnon ejstiv, pro;" me;n ta; kathgorhmevna mhde;n ajpologei'sqai, peri; de; sfw'n aujtw'n e{tera levgonte" ejnivote ejxapatw'sin, uJmi'n ajpodeiknuvnte" wJ" stratiw'tai ajgaqoiv eijsin, h] wJ" polla;" tw'n polemivwn nau'" e[labon trihrarchvsante", ãh]à povlei" polemiva" ou[sa" fivla" ejpoivhsan: [39] ejpei; keleuvete aujto;n ajpodei'xai o{pou tosouvtou" tw'n polemivwn ajpevkteinan o{sou" tw'n politw'n, h] nau'" o{pou tosauvta" e[labon o{sa" aujtoi; parevdosan, h] povlin h{ntina toiauvthn prosekthvsanto oi{an th;n uJmetevran katedoulwvsanto. [40] Alla; ga;r o{pla tw'n polemivwn ejskuvleusan ãtosau'taà o{sa per uJmw'n ajfeivlonto3, ajlla; teivch toiau'ta ei|lon oi|a th'" eJautw'n patrivdo" katevskayan: oi{tine" kai; ta; peri; th;n A Δ ttikh;n frouvria kaqei'lon, kai; uJmi'n ejdhvlwsan o{ti oujde; to;n Peiraia' Lakedaimonivwn prostattovntwn periei'lon, ajllΔ o{ti eJautoi'" th;n ajrch;n ou{tw bebaiotevran ejnovmizon ei\nai. [41] Pollavki" ou\n ejqauvmasa th'" tovlmh" tw'n legovntwn uJpe;r aujtou', plh;n o{tan ejnqumhqw' o{ti tw'n aujtw'n ejstin aujtouv" te pavnta ta; kaka; ejrgavzesqai kai; tou;" toiouvtou" ejpainei'n. [42] Ouj ga;r nu'n prw'ton tw/' uJmetevrw/ plhvqei ta; ejnantiva e[praxen, ajlla; kai; ejpi; tw'n tetrakosivwn ejn tw/' stratopevdw/ ojligarcivan kaqista;" e[feugen ejx ÔEllhspovntou trihvrarco" katalipw;n th;n nau'n, meta; ΔIatroklevou"4 kai; eJtevrwn, w|n ta; ojnovmata oujde;n devomai levgein. ΔAfikovmeno" de; deu'ro tajnantiva toi'" boulomevnoi" dhmokrativan ei\nai e[pratte. Kai; touvtwn mavrtura" uJmi'n parevxomai. [37] A mio parere, giudici, le accuse mosse sin qui potrebbero bastare: penso infatti che sia necessario accusare soltanto fino al punto in cui ai giudici risulti chiaro che l’accusato ha compiuto azioni che meritano la pena di morte. Questa è la punizione più grave che possiamo infliggergli. Perciò non vedo a cosa serva muovere tutta una serie di accuse a questi uomini, che neppure morendo due volte potrebbero espiare a sufficienza anche una sola delle colpe commesse. [38] Eratostene poi non può far nemmeno ricorso all’espediente, abituale in questa città, di non rispondere nulla alle accuse: gli imputati, parlando di altre cose che li riguardano, riescono talora a ingannarvi, dimostrandovi che sono buoni soldati, oppure che quand’erano trierarchi hanno catturato numerose navi nemiche, oppure che hanno costretto all’alleanza città che erano ostili. [39] Allora chiedete a Eratostene di indicare dove mai lui e i suoi amici hanno ucciso tanti nemici quanti cittadini, o quando hanno catturato tante navi quante ne hanno consegnate al nemico, o quale città hanno aggiunto al nostro dominio grande quanto la vostra che invece hanno reso schiava! [40] Ma già, di certo hanno spogliato i nemici di tante armi quante ne hanno tolte a voi3 o hanno preso mura grandi quanto quelle della patria, che hanno abbattuto: proprio loro, che hanno distrutto le fortezze dell’Attica, e che vi hanno dato la prova che anche il Pireo non lo avevano distrutto per ordine degli Spartani, ma perché pensavano che in quel modo si rinsaldasse il loro potere! [41] Più volte ho provato stupore per la sfrontatezza di chi parla in difesa di Eratostene; ma non quando considero che è proprio delle stesse persone commettere ogni sorta di malvagità e lodare delinquenti come questi. [42] E non è la prima volta che Eratostene ha agito contro la democrazia, ma già al tempo dei Quattrocento, dopo aver tentato di instaurare l’oligarchia nel campo dell’esercito, era fuggito dall’Ellesponto, abbandonando la nave di cui era comandante insieme a Iatrocle4 e ad altri di cui non ho alcun bisogno di dire i nomi. Tornato ad Atene, cercava di ostacolare i sostenitori della democrazia. Vi fornirò testimoni di questi fatti. (trad. di E. Medda) 3. Una delle prime operazioni dei Trenta, una volta assunto il potere, fu quella di sequestrare le armi a tutti i cittadini che non erano compresi nella lista dei Tremila da loro stilata. 4. Personaggio altrimenti ignoto. 145 146 Antologia t9 Il duro attacco a Teramene (Orazioni 12,62-78) Nel passo che segue è evidente il carattere politico dell’orazione Contro Eratostene. Nella sua difesa Eratostene poteva far leva sul fatto di essere stato favorevole a Teramene, il moderato dei Trenta ucciso dall’estremista Crizia. Lisia è dunque costretto a mettere in cattiva luce Teramene, manipolando coscientemente la verità e presentandolo come un traditore d’accordo con Sparta. TESTIMONI [62] Bene, voglio ora darvi ragguagli nel modo più breve possibile, anche su Teramene. Vi chiedo di ascoltarmi nell’interesse mio, ma anche dello Stato; e a nessuno venga in mente l’idea che io voglia accusare Teramene approfittando del processo a Eratostene. So infatti che Eratostene si difenderà con l’argomento che era amico di Teramene e che seguiva la sua politica. [63] Se fosse stato al governo con Temistocle, penso, di sicuro pretenderebbe di aver contribuito alla costruzione delle mura, visto che, essendoci stato invece con Teramene, si vanta di aver collaborato alla loro distruzione. Non mi sembra certamente che questi due personaggi abbiano avuto gli stessi meriti: il primo infatti costruì le mura andando contro la volontà degli Spartani, l’altro invece le ha fatte abbattere ingannando i suoi concittadini! [64] Cosicché alla città è capitato esattamente il contrario di quanto era logico attendersi. Sarebbe stato giusto infatti che anche gli amici di Teramene perissero, salvo quelli, se ce n’erano, che gli si erano opposti: invece adesso vedo che nei discorsi di difesa si fa riferimento a lui e che i suoi sostenitori aspirano alle cariche pubbliche, come se alla città avesse procurato molti benefici e non invece gravi sventure, [65] lui che fu il principale responsabile della prima oligarchia, avendovi persuaso ad approvare il governo dei Quattrocento. Anche suo padre, che faceva parte dei probuli1, perseguiva la stessa politica, e lui poi, poiché appariva un convinto fautore del regime, fu da loro eletto stratego. [66] Finché fu in auge, si dimostrò affidabile: ma appena si accorse che Pisandro, Callescro e altri divenivano più potenti di lui e che il popolo non intendeva più dare ascolto alla sua parte, allora per invidia verso di loro e per paura del popolo collaborò con Aristocrate2. [67] E, volendo acquistarsi credito di fronte al popolo, accusò e fece morire Antifonte e Archeptolemo3 che erano fra i suoi migliori amici, giungendo a tale bassezza che al tempo stesso per aver credito presso di loro rese voi schiavi, e per aver credito presso di voi mandò a morte i propri amici. [68] Onorato e ritenuto degno delle massime cariche, dopo aver annunciato che avrebbe salvato la città, in realtà proprio lui ne ha causato la rovina, sostenendo di aver escogitato un espediente eccellente e straordinario. Promise che avrebbe concluso la pace senza dare ostaggi, senza abbattere le mura e senza consegnare le navi; ma non volle rivelare a nessuno questo segreto e chiese di dargli fiducia. [69] Mentre il Consiglio dell’Areopago cercava una via di salvezza, benché molte voci si levassero contro la proposta di Teramene, voi, Ateniesi, pur sapendo che di solito gli altri uomini tengono un segreto per celarlo ai nemici, mentre lui non voleva rivelare tra i suoi concittadini quello che avrebbe poi detto in mezzo agli avversari, tuttavia gli affidaste la patria, i figli, le mogli e voi stessi. [70] Ma egli non ha mantenuto nulla di ciò che aveva promesso; ed era così radicato il suo proposito di umilia1. Agnone, padre di Teramene, aveva fatto parte del collegio dei probuli, istituito a Atene nel 413 a.C. (ovvero dopo la disfatta in Sicilia) con lo scopo di effettuare un controllo preventivo sull’attività della boulè, in considerazione della particolare situazione di emergenza in cui si trovava in quel momento la polis. Il collegio, i cui membri dovevano avere più di 40 anni d’età, ebbe parte nella preparazione del colpo di Stato dei Quattrocento (411 a.C.). 2. Pisandro di Acarne era passato dal ruolo di demagogo nelle fila democratiche a fautore del colpo di Stato dei Quattrocento. Callescro era il padre di Crizia, mentre Aristocrate di Scellio collaborò con Teramene alla caduta dei Quattrocento prima di essere condannato nel processo ai generali della battaglia delle Arginuse (vedi T8, nota 2). 3. L’oratore Antifonte era una delle personalità più importanti nelle fila degli oligarchi. Archeptolemo, figlio dell’architetto Ippodamo di Mileto, viene nominato da Aristofane (Cavalieri 794) come promotore della pace con Sparta. Lisia • Autobiografia e politica re e indebolire la città, che vi ha convinto a fare ciò che mai nessuno dei nemici aveva richiesto, e che mai nessuno dei cittadini si sarebbe aspettato; e non per imposizione degli Spartani, ma proponendo spontaneamente di abbattere le mura del Pireo e di rovesciare la costituzione vigente. Sapeva bene che, se non foste stati privati di tutte le speranze, non avreste tardato a vendicarvi di lui. [71] E infine, giudici, non permise che si tenesse l’assemblea finché non ebbe atteso con cura il momento che avevano concordato, cioè finché non ebbe mandato a chiamare le navi di Lisandro da Samo e non fu giunto davanti alla città l’esercito dei nemici. [72] Solo allora, in quelle condizioni, alla presenza di Lisandro, Filocare e Milziade4, convocarono l’assemblea riguardo alla nuova costituzione, in modo che nessun oratore potesse opporsi loro né proferire minacce e che voi non sceglieste una soluzione vantaggiosa per la città, ma votaste quello che loro volevano. [73] Teramene, levatosi a parlare, vi invitò ad affidare la città a trenta uomini e ad adottare il progetto di costituzione presentato da Dracontide5. Voi però, anche in quella difficile situazione, in gran tumulto manifestavate il vostro rifiuto. Avevate ben compreso infatti, che quel giorno la vostra assemblea si riuniva per decidere della libertà o della servitù. [74] Teramene allora, giudici, (e di questo porterò voi stessi come testimoni), rispose che non gli importava nulla del vostro tumulto, perché sapeva che molti Ateniesi erano favorevoli alla sua posizione e che le proposte da lui avanzate erano gradite a Lisandro e agli Spartani. Lisandro si alzò dopo di lui e disse, tra le molte altre cose, che vi riteneva colpevoli di violazione dei patti6 e che, se non aveste fatto come diceva Teramene, per voi non si sarebbe trattato più di quale forma di governo scegliere, ma della vostra stessa salvezza. [75] Le persone oneste che partecipavano all’assemblea, rendendosi conto dell’intrigo e dello stato di necessità, in parte rimanevano, restando in silenzio, in parte se ne andavano, con la coscienza almeno di non aver votato nulla di dannoso per la città; un piccolo numero di disonesti e malintenzionati, invece, votò per alzata di mano i provvedimenti che venivano imposti. [76] A loro infatti era stato indicato di votare dieci persone indicate da Teramene, dieci imposte dagli efori in carica e dieci tra i presenti: a tal punto vedevano la vostra debolezza e conoscevano la propria forza che sapevano già in anticipo ciò che sarebbe stato fatto nell’assemblea. [77] Non è a me che dovete dar credito su queste cose, ma a lui: tutto ciò che io ho riferito lo ha detto lui stesso difendendosi di fronte al Consiglio, rinfacciando agli esuli oligarchici il fatto che erano rientrati per merito suo, mentre gli Spartani non se ne erano affatto preoccupati, e rinfacciando invece ai suoi colleghi di governo che lui, che era stato per loro il principale artefice di tutti gli avvenimenti nel modo che ho detto, ora subiva una tale sorte, pur avendo dato molte prove di lealtà nei fatti e pur avendo scambiato con loro dei giuramenti. [78] E oseranno dunque dichiararsi amici di un uomo che è stato il responsabile di tali sciagure e anche di altre, sia in passato che di recente, grandi e piccole? Di un uomo che è morto non per difendere voi, ma per la sua malvagità? Che giustamente ha pagato il fio delle sue azioni sotto l’oligarchia (già una volta infatti l’aveva abbattuta), ma giustamente l’avrebbe pagato anche in regime democratico? Due volte infatti vi ha reso schiavi, sempre scontento del presente e desideroso di novità, e si è fatto maestro delle azioni più orribili coprendosi con il nome più bello! (trad. di E. Medda) 4. Si tratta probabilmente di emissari inviati dai Trenta a Lisandro con il compito di prendere accordi per l’instaurazione del nuovo regime. 5. Dracontide era stato il promotore del regime dei Trenta. 6. Perché per l’abbattimento delle mura non erano stati rispettati i tempi stabiliti. 147 148 Antologia Guida alla lettura ‘Identikit’ di Teramene Teramene, vissuto nella seconda metà del V secolo a.C., si guadagnò nell’antichità il soprannome di «coturno», con allusione al suo trasformismo politico: il coturno, infatti, era una particolare calzatura che si adattava a entrambi i piedi. Dopo essere stato insieme a Pisandro e Antifonte (una delle figure di maggior spicco del regime dei Quattrocento), nel 410 a.C. Teramene si unisce ai restauratori della demo- CONTESTO t 10 crazia. Nel 406 partecipa, in veste di trierarco, alla battaglia delle Arginuse; nel successivo processo contro gli strateghi colpevoli di non avere soccorso i naufraghi, si schiera dalla parte dell’accusa e chiede per gli imputati la pena di morte. Nel 404 è protagonista delle trattative di pace con Sparta, che risulteranno particolarmente sfavorevoli a Atene. Membro del regime dei Trenta tiranni, si fa portavoce di una politica moderata attirandosi l’inimicizia di Crizia, leader dei Trenta, che lo condanna a morte. La peroratio (Orazioni 12,92-100) Il brano riportato qui di seguito costituisce la commossa peroratio dell’orazione Contro Eratostene, nella quale Lisia chiede una condanna ferma e decisa dell’imputato. [92] Bouvlomai de; ojlivga eJkatevrou" ajnamnhvsa" katabaivnein, touv" te ejx a[stew" kai; tou;" ejk Peiraiw'", i{na ta;" uJmi'n dia; touvtwn gegenhmevna" sumfora;" paradeivgmata e[conte" th;n yh'fon fevrhte. Kai; prw'ton me;n o{soi ejx a[stewv" ejste, skevyasqe o{ti uJpo; v i kai; polivtai" hjnagkavzesqe touvtwn ou{tw sfovdra h[rcesqe, w{ste ajdelfoi'" kai; uJes polemei'n toiou'ton povlemon, ejn w|/ hJtthqevnte" me;n toi'" nikhvsasi to; i[son e[cete, nikhvsante" dΔ a]n touvtoi" ejdouleuvete. [93] Kai; tou;" ijdivou" oi[kou" ou|toi me;n ªa]nº ejk tw'n pragmavtwn megavlou" ejkthvsanto, uJmei'" de; dia; to;n pro;" ajllhvlou" povlemon ejlavttou" e[cete: sunwfelei'sqai me;n ga;r uJma'" oujk hjxivoun, sundiabavllesqai dΔ hjnavgkazon, eij" tosou'ton uJperoyiva" ejlqovnte" w{ste ouj tw'n ajgaqw'n koinouvmenoi pistou;" uJma'" ejktw'nto, ajlla; tw'n ojneidw'n metadidovnte" eu[nou" w[o/ nto ei\nai. [94] A Δ nqΔ w|n uJmei'" nu'n ejn tw'/ qarralevw/ o[nte", kaqΔ o{son duvnasqe, kai; uJpe;r uJmw'n aujtw'n kai; 92 Bouvlomai ... fevrhte: «Voglio scendere (dalla tribuna oratoria) dopo avere ricordato poche cose a entrambi, sia a quelli della città sia a quelli del Pireo, affinché votiate tenendo presenti le disgrazie capitate a voi a causa di quelli». • ajnamnhvsa": participio aoristo da ajnamimnhÛvskw. • touv" te ejx a[stew" ... tou;" ejk Peiraiw'": «quelli della città» indica il partito di quelli che erano fedeli al regime oligarchico, mentre «quelli del Pireo» sono i fuoriusciti democratici, insediatisi nel porto di Atene. • dia; touvtwn: indica i Trenta, come il touvtwn subito dopo. • paradeivgmata e[conte": l’espressione significa lett. «avendo come esempi». • th;n yh`fon fevrein: l’espressione (lett. «portare il sassolino») va resa semplicemente con «votare». Kai; prw'ton ... ejdouleuvete: h[rcesqe: questo imperfetto significa «eravate comandati» o, meglio, «dominati». • uJevs i: «contro i figli»; è dativo di svantaggio (come ajdelfoi'" e polivtai"). • ejn w|/ ... ejdouleuvete: «nella quale, se siete stati sconfitti, avete gli stessi diritti dei vincitori, se aveste vinto, sareste servi di quelli (i Trenta)». Con questa affermazione paradossale (chi perde ha la libertà, chi vince diventa schiavo), Lisia sottolinea l’errore di chi ha scelto di parteggiare per i Trenta. • hJtthqevnte": participio aoristo passivo da hJttavomai (forma attica di hJss-) «esse- re sconfitto». • to; i[son e[cein: espressione del lessico politico. 93 Kai; tou;" ijdivou" ... e[cete: oi[kou": «patrimoni personali». • ejk tw'n pragmavtwn: «grazie alla situazione». • megavlou": complemento predicativo dell’oggetto oi[kou". • dia; ... povlemon: «a causa della guerra civile». sunwfelei'sqai ... ei\nai: «infatti da un lato non vi ritennero degni di condividere i vantaggi, dall’altro vi costrinsero a condividere le accuse, giungendo a un tale grado di superbia che cercavano di rendervi fedeli senza farvi partecipare ai vantaggi, ma pensavano che foste riconoscenti avendovi coinvolto nel biasimo». Questo lungo periodo è alquanto tautologico: a sunwfelei'sqai nell’infinitiva corrisponde nella consecutiva tw'n ajgaqw'n koinouvmenoi, e analogamente a sundiabavllesqai corrisponde tw'n ojneidw'n metadidovnte". • hjxivoun: imperfetto da ajxiovw, «ritenere degno». • uJperoyiva": genitivo partitivo dipendente da tosou'ton; quest’ultimo pronome neutro in correlazione con w{ste introduce la proposizione consecutiva, nella quale troviamo l’indicativo imperfetto (ejktw'nto e w[/onto). 94 ΔAnqΔ w|n ... timwrhvsasqe: «Invece voi (oppositori dei Trenta), essendo ora al sicuro, vendicatevi per quanto potete sia per voi stessi sia per quelli del Pireo». • ΔAnqΔ w|n: significa lett. «al Lisia • Autobiografia e politica uJpe;r tw'n ejk Peiraiw'" timwrhvsasqe, ejnqumhqevnte" me;n o{ti uJpo; touvtwn ponhrotavtwn o[ntwn h[rcesqe, ejnqumhqevnte" de; o{ti metΔ ajndrw'n nu'n ajrivstwn politeuvesqe kai; toi'" polemivoi" mavcesqe kai; peri; th'" povlew" bouleuvesqe, ajnamnhsqevnte" de; tw'n ejpikouvrwn, ou}" ou|toi fuvlaka" th'" sfetevra" ajrch'" kai; th'" uJmetevra" douleiva" eij" th;n ajkrovpolin katevsthsan. [95] Kai; pro;" uJma'" me;n e[ti pollw'n o[ntwn eijpei'n tosau'ta levgw. ”Osoi dΔ ejk Peiraiw'" ejste, prw'ton me;n tw'n o{plwn ajnamnhvsqhte, o{ti polla;" mavca" ejn th'/ ajllotriva/ macesavmenoi oujc uJpo; tw'n polemivwn ajllΔ uJpo; touvtwn eijrhvnh" ou[sh" ajfh/revqhte ta; o{pla, e[peiqΔ o{ti ejxekhruvcqhte me;n ejk th'" povlew", h}n uJmi'n oiJ patevre" parevdosan, feuvgonta" de; uJma'" ejk tw'n povlewn ejxh/tou'nto. [96] ΔAnqΔ w|n ojrgivsqhte me;n w{sper o{tΔ ejfeuvgete, ajnamnhvsqhte de; kai; tw'n a[llwn kakw'n a} pepovnqate uJpΔ aujtw'n, oi} tou;" me;n ejk th'" ajgora'" tou;" dΔ ejk tw'n iJerw'n sunarpavzonte" biaivw" ajpevkteinan, tou;" de; ajpo; tevknwn kai; gonevwn kai; gunaikw'n ajfevlkonte" foneva" auJtw'n hjnavgkasan genevsqai kai; oujde; tafh'" th'" nomizomevnh" ei[asan tucei'n, hJgouvmenoi th;n auJtw'n ajrch;n bebaiotevrv an ei\nai th'" para; tw'n qew'n timwriva". [97] ”Osoi de; to;n qavnaton dievfugon, pollacou' kinduneuvsante" kai; eij" polla;" povlei" planhqevnte" kai; pantacovqen ejkkhruttovmenoi, ejndeei'" o[nte" tw'n ejpithdeivwn, oiJ me;n ejn polemiva/ th'/ patrivdi tou;" pai'da" katalipovnte", oiJ dΔ ejn xevnh/ gh',/ pollw'n ejnantioumevnwn h[lqete eij" to;n Peiraia'. Pollw'n de; kai; megavlwn kinduvnwn uJparxavntwn a[ndre" ajgaqoi; genovmenoi tou;" me;n hjleuqerwvsate, tou;" dΔ eij" th;n patrivda kathgavgete. [98] Eij de; ejdustuchvsate kai; touvtwn hJmavrtete, aujtoi; me;n a]n deivsante" ejfeuvgete mh; pavqhte toiau'ta oi|a kai; provteron, kai; ou[tΔ a]n iJera; ou[te bwmoi; uJma'" ajdikoumevnou" dia; tou;" touvtwn trovpou" wjfevlhsan, a} kai; toi'" ajdikou'si posto di queste cose». • qarralevw/: la forma si presenta, al di fuori dell’attico, qarsalevw./ • timwrhvsasqe: con il verbo timwrevw, «vendicarsi», la persona che si vendica è espressa con uJpevr e il genitivo. ejnqumhqevnte" me;n o{ti ... katevsthsan: ejnqumhqevnte" me;n o{ti ... ejnqumhqevnte" de; o{ti: nota la correlazione «riflettendo da un lato sul fatto che ... e dall’altro che...». • tw'n ejpikouvrwn: «le truppe ausiliarie»; il genitivo dipende dal verbo ajnamnhsqevnte". • ou}" ... katevsthsan: «che questi (i Trenta) misero come custodi del loro potere e della vostra schiavitù nell’acropoli». • fuvlaka": complemento predicativo dell’oggetto ou{". • sfetevra": l’aggettivo ha valore riflessivo. 95 Kai; pro;" uJma'" ... ta; o{pla: e[ti ... eijpei`n: «pur essendoci ancora molte cose da dire»; si tratta di un genitivo assoluto con valore concessivo. • ajnamnhvsqhte: imperativo aoristo passivo da ajnamimnh/vskw, con significato intransitivo: «ricordatevi». • o{ti ... ta; o{pla: «che avendo combattuto molte battaglie in terra straniera, foste privati delle armi non dai nemici ma da questi, quando c’era la pace». È una proposizione oggettiva dipendente da ajnamnhvsqhte, in aggiunta al genitivo oggettivo tw'n o{plwn. • ejn th'/ ajllotriva:/ l’espressione sottintende gh'./ • eijrhvnh" ou[sh": questo genitivo assoluto si può rendere meglio con «in tempo di pace». • ajfh/revqhte: indicativo aoristo passivo da ajfairevw. e[peiqΔ ... ejxh/tou'nto: ejxekhruvcqhte: «foste banditi»; aoristo passivo da ejkkhruvttw. • feuvgonta" ... ejxh/tou'nto: «e chiesero la vostra estradizione dalle città mentre eravate (lì) in esilio». Nota il significato tecnico-giuridico che hanno qui i due verbi feuvgw («essere in esilio») e ejxaitevw («chiedere l’estradizione» lett. «chiedere fuori»). 96 ΔAnqΔ w|n ... genevsqai: ΔAnqΔ w|n: vedi la nota al par. 94. • ojrgivsqhte: imperativo aoristo passivo di ojrgivzw con significato intransitivo: «adiratevi». • ejfeuvgete: per il significato particolare di feuvgw in questo contesto, vedi la nota al par. 95. • pepovnqate: «avete subìto»; perfetto da pavscw. • tou;" me;n ... genevsqai: «alcuni li uccisero avendoli presi a forza dalla piazza e dai templi, altri li costrinsero a diventare assassini di se stessi (cioè, a suicidarsi) avendoli strappati ai figli e ai genitori». kai; oujde; ... timwriva": «e non li lasciarono avere neanche il funerale dovuto, pensando che il proprio potere fosse più forte della punizione degli dèi». • nomizomevnh": il verbo nomivzw al passivo significa «essere in uso, essere previsto dalla legge o dalla consuetudine» (cfr. novmo" «usanza, legge»). • ei[asan: aoristo da ejavw. • th'" ... timwriva": genitivo di paragone. 97 ”Osoi de; ... Peiraia': pollacou': «da ogni parte», a indicare la precarietà della vita di chi pure era riuscito a evitare la morte ma trovava ovunque minacce dei Trenta. • ejkkhruttovmenoi: per il verbo ejkkhruvttw, vedi la nota al par. 95. • ejndeei'": «privi, bisognosi»; nominativo plurale di ejndehv", -ev" (cfr. devw «manco di qualcosa, ho bisogno») seguito dal genitivo di privazione tw'n ejpithdeivwn («gli amici» o «il necessario», a seconda che lo si intenda come maschile o come neutro). • oiJ me;n ... Peiraia': «avendo lasciato i figli alcuni in una patria ostile, altri in terra straniera, essendo molte cose contro (di voi) giungeste al Pireo». • pollw'n ejnantioumevnwn: il soggetto di questo genitivo assoluto può essere ritenuto sia neutro («essendo molte cose contro», meglio «tra mille difficoltà») sia maschile («essendo molti contro di voi», meglio «tra molti oppositori»). • Peiraia': il Pireo è il porto di Atene dove, come abbiamo visto al par. 92, si erano rifugiati gli oppositori democratici dei Trenta guidati da Trasibulo. Pollw'n de; ... kathgavgete: uJparxavntwn: significa semplicemente «essendoci». • tou;" mevn ... tou;" dev: sono gli oiJ mevn ... oiJ dev della frase precedente, cioè quelli che sono rimasti in patria sotto il giogo dei tiranni e quelli che erano andati in esilio (l’aoristo kathgavgete significa «riportaste»). 98 Eij de; ... givgnetai: Eij de; ... provteron: «Se invece foste stati sfortunati e aveste fallito in questo, voi stessi sareste andati in esilio, temendo di subire cose simili a quelle (sofferte) in precedenza». Si tratta di un periodo ipotetico dell’impossibili- 149 150 Antologia swthvria givgnetai: oiJ de; pai'de" uJmw'n, o{soi me;n ejnqavde h\san, uJpo; touvtwn a]n uJbrivzonto, oiJ dΔ ejpi; xevnh" mikrw'n a]n e{neka sumbolaivwn ejdouvleuon ejrhmiva/ tw'n ejpikourhsovntwn. [99] ΔAlla; ga;r ouj ta; mevllonta e[sesqai bouvlomai levgein, ta; pracqevnta uJpo; touvtwn ouj dunavmeno" eijpei'n. Oujde; ga;r eJno;" kathgovrou oujde; duoi'n e[rgon ejstivn, ajlla; pollw'n. ”Omw" de; th'" ejmh'" proqumiva" ãoujde;nà ejllevleiptai, uJpevr ãteà tw'n iJerw'n, a} ou|toi ta; me;n ajpevdonto ta; dΔ eijs iovnte" ejmivainon, uJpevr te th'" povlew", h}n mikra;n ejpoivoun, uJpevr te tw'n newrivwn, a} kaqei'lon, kai; uJpe;r tw'n teqnewvtwn, oi|" uJmei'", ejpeidh; zw's in ejpamu'nai oujk ejduvnasqe, ajpoqanou's i bohqhvsate. [100] Oi\mai dΔ aujtou;" hJmw'n te ajkroa'sqai kai; uJma'" ei[sesqai th;n yh'fon fevronta", hJgoumevnou", o{soi me;n a]n touvtwn ajpoyhfivshsqe, aujtw'n qavnaton kateyhfismevnou" e[sesqai, o{soi dΔ a]n para; touvtwn divkhn lavbwsin, uJpe;r aujtw'n ãta;"à timwriva" pepoihmevnou". Pauvsomai kathgorw'n. ΔAkhkovate, eJwravkate, pepovnqate, e[cete: dikavzete. tà. • hJmavrtete: il verbo (aoristo da aJmartavnw «sbagliare, fallire») regge il genitivo. • deivsante": il verbum timendi si costruisce, come in latino e al contrario dell’italiano, con mhv e il congiuntivo a indicare ciò che si teme che avvenga (lat. timentes ne pateremini). • ejfeuvgete: per il significato di feuvgw, vedi la nota a 95. • kai; ou[t(e) ... givgnetai: «e mentre subivate ingiustizia a causa dei modi di costoro (i Trenta), non vi avrebbero aiutato né i templi né gli altari, che sono rifugi persino per quelli che commettono ingiustizia». È una seconda apodosi del periodo ipotetico precedente. • a{: nella relativa il soggetto neutro plurale è concordato, al solito, con un verbo singolare (givgnetai). • swthvria: nominativo plurale neutro dell’aggettivo swthvrio", -on, «salvatore», che come sostantivo significa «mezzo di salvezza, rifugio, scampo». Chi aveva commesso un crimine poteva rifugiarsi in un tempio o presso un altare, che per la loro sacralità erano ritenuti asili inviolabili (ad esempio, nelle Eumenidi di Eschilo Oreste, che ha appena ucciso la madre Clitemestra, si rifugia presso una statua di Atena dall’assalto delle Erinni vendicatrici). oiJ de; ... ejpikourhsovntwn: «e quanto ai vostri figli, quelli che erano qui sarebbero stati aggrediti da quelli (i Trenta), mentre quelli all’estero sarebbero stati resi schiavi per piccoli debiti, in assenza di chi li proteggesse». Terza apodosi del periodo ipotetico all’inizio di questo paragrafo. • o{soi me;n ... oiJ (dev): attraverso i correlativi ritorna la distinzione vista al par. 97 tra figli rimasti in una patria ostile e quelli costretti alla fuga. • tw'n ejpikourhsovntwn: participio futuro sostantivato con valore eventuale-potenziale: «coloro che li potessero proteggere». 99 ΔAlla; ga;r ... ajlla; pollw'n: ta; mevllonta e[sesqai: «ciò che avrebbe potuto essere», contrapposto a ta; pracqevnta; Lisia smette di fare ipotesi e torna ai fatti concreti. • e[rgon ejstivn: lett. «è compito di», si può rendere più liberamente con «ci vorrebbero, sarebbero necessari». ”Omw" ... bohqhvsate: ”Omw" ... ejllevleiptai: «Ma nulla è stato tralasciato del mio proposito». • th'" ejmh'" proqumiva": genitivo partitivo dipendente da <oujde;n>, che va necessariamente reintegrato per congettura; regge i successivi complementi di van- TRADUZIONE D’AUTORE (G. Avezzù) taggio introdotti da uJpevr. • uJpevr te ... uJpevr te ... uJpevr te ... kai; uJpevr: la quantità di correlativi vuole rendere la moltitudine dei crimini commessi dai Trenta; all’interno del primo colon c’è un’ulteriore correlazione nella frase ta; me;n ... ejmivainon («alcuni li vendettero, altri li profanarono entrandovi»). • mikravn: complemento predicativo dell’oggetto. • tw'n newrivwn: indica «gli arsenali», punto di forza economico-militare di Atene. • oi|" ... bohqhvsate: «ai quali voi, poiché non avete potuto difenderli quando erano vivi, dovete portare aiuto ora che sono morti». • bohqhvsate: imperativo aoristo; sia ejpamuvnw sia bohqevw, verbi dal significato molto simile, si costruiscono con il dativo, che qui è il pronome relativo oi|" con i due participi congiunti zw's in (da zavw) e ajpoqanou's i (da ajpoqnhvskw). 100 Oi\mai ... fevronta": «Credo che essi (i morti) ci ascoltino e vi riconoscano mentre votate». • ei[sesqai: infinito futuro dalla radice *eijd- «vedere, sapere», da cui deriva anche l’aoristo ei\don. • th;n yh`fon fevrein: per questa espressione, vedi par. 92. hJgoumevnou" ... pepoihmevnou": «e che (i morti) sanno che quanti di voi assolvono costoro (i Trenta) avrebbero potuto essere quelli che li (i morti) condannarono a morte, mentre quelli che li puniranno, avranno comminato la punizione al posto loro (dei morti)». Intricato periodo dal significato ipotetico e strutturato sui correlativi o{soi me;n ... o{soi dev, tra i quali c’è una variatio (prima la II persona plurale ajpoyhfivshsqe, poi la III plurale lavbwsin). • ajpoyhfivshsqe ... kateyhfismevnou": il verbo ajpoyhfivzw («votare a favore») è il contrario del successivo katayhfivzw («votare contro»), cfr. yh'fo" «sassolino, voto». • para; touvtwn divkhn lavbwsin: l’espressione parav tino" divkhn lambavnein («punire, esigere il castigo da qualcuno») è idiomatica. Il senso di questa frase è che chi assolverà i Trenta sarà loro complice, e nel passato avrebbe potuto condividere l’uccisione di innocenti, mentre chi li condannerà riabiliterà la memoria dei morti. Pauvsomai ... dikavzete: Pauvsomai kathgorw'n: «Smetto di accusare»; il verbo pauvw regge il participio predicativo (in questo caso, da kathgorevw). • ΔAkhkovate ... dikavzete: «Avete udito, avete visto, avete sofferto, (lo) avete tra le mani. Giudicate». [92] Prima di scendere dalla tribuna, voglio ricordare poche cose agli uni e agli altri, al partito della città e a quello del Pireo, perché esprimiate il voto tenendo presenti le sciagure che vi vennero addosso per colpa di costoro. Voi della città, innanzitutto, riflettete che il loro dominio fu così duro da costringervi a combattere contro i fratelli, i figli, i concittadini una guerra nella quale, da sconfitti, avete gli stes- Lisia • Autobiografia e politica si diritti dei vincitori, ma da vincitori sareste stati schiavi dei Trenta. [93] E mentre costoro, approfittando della situazione, accrebbero i loro patrimoni, voi invece, a causa della guerra civile, li avete assottigliati. Perché per loro non meritavate di condividere i guadagni, però vi obbligavano a condividere il loro discredito – vi disprezzavano al punto che cercavano di conquistarsi la vostra fiducia pur senza associarvi ai guadagni, e invece contavano sulla vostra condiscendenza attraverso il coinvolgimento nella vergogna. [94] Ora che siete al sicuro cercate di vendicare voi stessi e quelli del Pireo. Riflettete: siete stati oppressi dalla peggiore canaglia e invece oggi, al fianco di ottimi cittadini, governate la città, fate guerra ai nemici e deliberate gli affari dello Stato. Ricordatevi anche degli ausiliari stranieri che insediarono sull’acropoli, guardiani del loro potere e della vostra schiavitù. [95] Avrei ancora molto da dirvi, ma mi limito a questo. Quanto a voi del Pireo, ricordatevi innanzitutto delle armi – combattenti di tante guerre su suolo straniero, foste spogliati delle armi non dai nemici ma da costoro, e in tempo di pace – e poi che foste banditi dalla città che i padri vi avevano consegnato, e mentre eravate in esilio volevano che vi estradassero dalle altre città. [96] Vi animi perciò l’ira di quando eravate esuli, e ricordatevi anche degli altri mali che avete sofferto ad opera di chi con la violenza prelevò la gente dal mercato o dai templi per assassinarla, la strappò ai figli, ai genitori e alle spose e la costrinse al suicidio, negandole perfino le esequie dovute, convinto che il proprio potere fosse più forte anche della vendetta divina. [97] Quanti sfuggiste alla morte, minacciati da ogni parte, erranti di città in città e banditi da ogni luogo, senza un amico, abbandonati i figli nella patria divenuta nemica o in terra straniera, fra tante difficoltà giungeste al Pireo. Dimostrando il vostro valore in tanti e così grandi pericoli, agli uni donaste la libertà, agli altri la possibilità di tornare in patria. [98] Se però aveste avuto sfortuna e mancato il vostro scopo, sareste ancora in esilio per il timore di quanto avete sofferto in passato e, per il carattere di costoro, né templi né altari vi avrebbero protetto dall’ingiustizia – eppure danno scampo anche agli ingiusti. E dei vostri figli, chi era qui subirebbe la loro protervia, chi si trovava in terra straniera vivrebbe in schiavitù anche per debiti di poco conto, privo di chi se ne prenda cura. [99] Ma non voglio esporre cosa sarebbe accaduto, quando non riuscirei a raccontare tutto ciò che costoro hanno fatto. Non è compito per un solo accusatore e nemmeno per due, ma per molti. Tuttavia non ho tralasciato nulla di quanto mi ero proposto, in difesa dei santuari di cui hanno fatto mercato o che hanno violato, per lo Stato, che hanno indebolito, per gli arsenali, che hanno distrutto, e per i caduti, ai quali darete un aiuto in morte, poiché non riusciste a difenderli finché erano in vita. [100] Credo che i morti ci ascoltino, e dal voto sapranno come siete; e pensano che tutti voi, che ai Trenta darete un voto di assoluzione, avreste potuto essere quelli che li avevano condannati a morte, e invece tutti quelli che li vorranno punire, saranno al loro posto ad esigere la vendetta che è loro. Ho terminato la mia accusa. Avete udito; avete visto; avete sofferto. È vostro. Giudicate. 151 152 Antologia Guida alla lettura Un periodo di violenti cambiamenti per Atene Gli anni della Contro Eratostene sono tra i più convulsi e violenti della storia ateniese. Dopo la vittoria di Egospotami (405) il generale spartano Lisandro entrò con la flotta nel Pireo: abbatté le Lunghe Mura che collegavano il porto alla città, e promosse una riforma in senso oligarchico della costituzione democratica di Atene. Sostenuta dai Tremila, un nucleo ristretto di cittadini conservatori, si instaurò una commissione di trenta suggrafei'" («costituenti»), che ben presto, ricevuto il triste appellativo di Trenta tiranni, si diedero a violenze e saccheggi; tra loro, c’erano il poeta Crizia (vedi vol. 2, p. 179), Eratostene, Carmide e il più moderato Teramene. I fuoriusciti democratici, guidati da Trasibùlo, occuparono il Pireo (è a loro che allude Lisia quando parla di «quelli del Pireo», mentre «quelli della città» erano i fautori del regime oligarchico, vedi par. 92). Il controllo di Sparta sulla politica ateniese era visibile nella guarnigione di 700 soldati guidati da Callibio scandalosamente insediati nel luogo più sacro dell’identità ateniese, l’Acropoli (par. 94). Tra la fine del 404 e l’inizio del 403 le truppe dei democratici sconfissero quelle dei Trenta a File e al Pireo; si intavolarono le trattative con gli Spartani, e Trasibulo e i suoi rientrarono a Atene restaurandovi la democrazia, dopo otto mesi di arbitri e violenze. Il primo passo verso la riconciliazione fu un’amnistia che imponeva di «non recriminare» (mh; mnhsikakei'n), dalla quale erano esclusi i Trenta e altri che avevano ricoperto cariche di rilievo durante la dittatura. Eratostene, tra i pochi a non fuggire, aveva diritto a fruire dell’amnistia se avesse presentato il rendiconto (eu[q una) della sua attività. Un’accusa priva di successo? L’esito del processo che Lisia intentò contro Eratostene non ci è noto: è possibile, ed è creduto da molti, che Eratostene sia stato assolto perché non si poteva provare la sua responsabilità personale e diretta nell’omicidio e perché nella giuria c’erano non solo democratici ma anche «quelli della città», ovvero i fautori del regime oligarchico (ai quali Lisia rimprovera la scelta fatta, ma senza troppa durezza, evidentemente per non alienarsene le simpatie). L’indizio più forte per pensare a un’assoluzione è forse proprio all’interno dell’orazione: se è vero che Lisia ha rielaborato il testo facendone un articolato atto di accusa contro il regime dei Trenta, ne potrebbe conseguire che l’unica responsabilità che l’oratore è riuscito a dimostrare è una responsabilità politica, e non giuridica. CONTESTO Una conclusione appassionata La perorazione della Contro Eratostene è un trionfo di effetti retorici, che però non ap- LINGUA E STILE paiono mai artificiosi e non alterano la sincera indignazione di Lisia. L’abbondanza di figure mostra il coinvolgimento emotivo dell’oratore, che per questa sola volta (a quanto ne sappiamo noi) è logografo di se stesso e pronuncia il suo discorso in prima persona (il titolo completo dell’orazione è Contro Eratostene, che fu uno dei Trenta, la quale fu pronunciata da Lisia stesso). Elencheremo qui solo le principali figure retoriche. L’ornamentazione retorica: le antitesi,... Numerose le antitesi, talvolta basate sul confronto tra un passato fatto di violenze e soprusi e un presente in cui la giustizia può rinascere: th'" sfetevra" ajrch'" / th'" uJmetevra" douleiva" (94); ta; mevllonta e[sesqai / ta; pracqevnta (99); zw's in ejpamu'nai oujk ejduvnasqe / ajpoqanou's i bohqhvsate (99). Spesso le antitesi contengono un paradosso, a indicare l’assurdità della guerra civile, dove chi perde conquista la libertà, chi vince si rende schiavo (92); analogamente, chi spesso aveva trionfato sui nemici in tempo di guerra, ora era derubato delle armi dai concittadini in tempo di pace (95). L’assurdità delle guerre intestine è sottolineata dal forte ossimoro ejn polemiva/ th'/ patrivdi (97). ...i correlativi,... Abbondante l’uso dei correlativi, che distinguono tra passato e presente, tra vivi e morti, tra scelte giuste e scelte sbagliate (si vedano le note di commento). Presente anche l’anafora, ad esempio al par. 94 (ejnqumhqevnte" me;n o{t i ... ejnqumhqevnte" de; o{t i...) e al par. 99 (uJpevr te ... uJpevr te ... uJpevr te ... kai; uJpevr), dove la figura retorica rende la lunghezza dell’elenco dei crimini dei Trenta. In due casi, d’altra parte (95 e 99), Lisia ricorre alla preterizione, quando dice che potrebbe parlare ancora a lungo ma che sarebbe inutile. ...le figure di suono,... Numerose anche le figure di suono, come l’omoteleuto derivante dall’uso insistito della stessa persona verbale: politeuv e sqe ... mav c esqe ... bouleuvesqe (94) e ΔAkhkovate, eJwravkate, pepovnqate (100); e l’allitterazione polla; " pov lei" planhqev n te" ... pantacov qen ... polemiv a/ ... patriv di ... pai' da" (97). ...il registro patetico... Lisia non trascura il registro patetico, soprattutto quando parla degli omicidi e dei suicidi forzati (96) o dei figli degli esuli (97 e 98): il culmine è nella prosopopea finale dei defunti che dall’aldilà guardano e giudicano (100). ...e l’asindeto finale L’efficace chiusura dell’orazione (100) è basata interamente su sette forme verbali poste in asindeto tra loro (e, come abbiamo visto, in omoteleuto), l’ultima delle quali è un secco imperativo (dikavzete), a indicare l’obbligo morale di condannare chi si è comportato da tiranno. 153 3. L’oratoria epidittica e deliberativa Le orazioni 33 e 34 Oltre ai discorsi giudiziari, nel corpus di Lisia sono presenti anche due orazioni epidittiche (2; 33) e un’orazione deliberativa (34). Le orazioni 33 (T11) e 34 (T12) sono tramandate in forma frammentaria da Dionigi di Alicarnasso. Dionigi sostiene che la produzione epidittica di Lisia è meno riuscita e convincente di quella giudiziaria, mentre accomuna lo stile delle orazioni deliberative a quello dei discorsi giudiziari, sottolineando tuttavia la superiorità di questi ultimi. Dionigi testimonia una produzione di discorsi destinati alla boulhv e alla ejkklhsiva (Lisia 1), produzione che sicuramente non era ampia quanto quella dei discorsi giudiziari, ma che non può essere trascurata. t 11 Il frammento dell’Olimpico (Orazioni 33 = Dionigi di Alicarnasso, Lisia 30) Questo discorso è un panegirico, cioè un discorso pronunciato durante la solenne panhvguri" di Olimpia: lo scopo è quello di incitare i Greci alla lotta comune contro la Persia e contro il potente tiranno di Siracusa Dionisio, la cui politica espansionistica impensieriva non pochi Greci e che in quell’occasione aveva mandato una delegazione a Olimpia. [1] Sono molte le imprese illustri per cui Eracle merita il nostro ricordo, signori, e tra esse c’è il fatto che per primo ha istituito questa competizione, mosso dall’amore che nutriva per la Grecia. A quel tempo le città si guardavano reciprocamente con ostilità; [2] ma egli, dopo aver posto fine alle tirannie e aver impedito i soprusi, istituì una competizione ginnica1, una gara di ricchezza e una dimostrazione di intelligenza nella parte più bella della Grecia, al fine di farci radunare tutti in un sol luogo per assistere a tutto ciò, come spettatori e come ascoltatori: Eracle infatti pensò che questa riunione sarebbe stata per i Greci il principio dell’amicizia reciproca. [3] Questo era il suo proposito iniziale, e io oggi non sono venuto qui per parlare di sciocchezze né per giocare con le parole. Queste cose penso siano degne di sofisti futili2 che hanno bisogno di sbarcare il lunario, mentre credo che il compito di un uomo onesto e di un cittadino3 di valore sia di esprimere pareri sulle questioni di massima importanza, vedendo la Grecia ridotta in una condizione così vergognosa, gran parte del suo territorio caduto nelle mani del barbaro4 e molte città sovvertite per mano di tiranni. [4] Se almeno tutto questo fosse la conseguenza della nostra debolezza, dovremmo necessariamente adattarci alla nostra sorte; ma poiché invece tutto è causato dalla discordia e dalla rivalità reciproca, non si deve forse mettere fine all’una e cercare di 1. Il riferimento ai fondatori delle feste panelleniche doveva essere tradizionale in apertura di discorso. 2. L’accenno ai sofisti è stato interpretato come un attacco rivolto a Gorgia, anch’egli autore di un discorso Olimpico. In realtà, il tema della contrapposizione ai sofisti è topico, e non si deve pensare a una precisa intenzione polemica. 3. La parola «cittadino» va intesa in contrapposizione ai sofisti e non implica alcuna conseguenza sul problema dello stato giuridico di Lisia. 4. Il barbaro è ovviamente il re di Persia, all’epoca del discorso Artaserse Mnemone (405-359 a.C.). 154 Antologia frenare l’altra5, consapevoli che il desiderio di prevalere si addice agli Stati6 che prosperano, mentre per chi si trova nella nostra situazione valgono meglio i buoni consigli? [5] I pericoli, lo vediamo, sono grandi e incombono da ogni parte: sapete che l’egemonia sta nelle mani di chi domina il mare, che le ricchezze sono dispensate dal Re, e che i soldati greci sono a disposizione di chi può spendere, mentre anche il Re si è procurato numerose navi, e così anche il tiranno di Sicilia. [6] Perciò dobbiamo smetterla una buona volta con la guerra tra noi, e dobbiamo assicurarci la salvezza con l’unanimità di intenti; dobbiamo provare vergogna del passato e timore per ciò che accadrà, e metterci in competizione con i nostri antenati, che fecero sì che i barbari, che aspiravano a impadronirsi della terra altrui, perdessero la propria, e cacciati i tiranni, fondarono la libertà comune per tutti7. [7] Mi meraviglio soprattutto degli Spartani: qual è il disegno in base al quale sopportano di vedere la Grecia in fiamme, proprio loro che non a torto ne sono gli egemoni, sia per il loro valore innato sia per la loro esperienza bellica, i soli che dimorano nella loro città senza mai aver subìto un saccheggio, senza mura, senza discordie interne e senza aver mai subìto una sconfitta, sempre seguendo le medesime istituzioni8? Per questi motivi c’è speranza che la libertà che hanno ottenuto sia imperitura e che, dopo essere stati i salvatori della Grecia nei momenti di pericolo del passato9, si preoccupino anche di quelli futuri. [8] Non si presenterà certamente un’occasione migliore di questa: noi dobbiamo considerare le sventure di chi è caduto nella rovina non estranee, ma nostre, e non dobbiamo attendere finché le potenze riunite di entrambi si rivolgeranno contro di noi, ma porre fine alla loro arroganza finché siamo in tempo. [9] Chi dunque potrebbe non provare sdegno, vedendo che essi sono divenuti potenti grazie alla nostra guerra intestina? Quelle lotte, non solo vergognose ma anche pericolose, hanno dato a chi ci ha fatto gravi torti la possibilità di fare quel che ha fatto, mentre i Greci non hanno potuto vendicarsi in alcun modo... (trad. di E. Medda) 5. Il tema della concordia tra i Greci è caratteristico di tutte le occasioni panelleniche. 6. La traduzione introduce il concetto moderno di Stato, che non è nel testo greco e neanche nella realtà storica della Grecia antica. 7. Il riferimento è alle guerre persiane e alla cacciata dei tiranni da molte città, fatto anteriore alle guerre persiane e datato nella seconda metà del VI secolo. Il merito della cacciata dei tiranni veniva attribuito a Sparta (vedi Tucidide, Storie 1,18,1). 8. È la consueta immagine convenzionale di Sparta ben governata e fedele alle antiche istituzioni di Licurgo. Anche per questo, vedi Tucidide, Storie 1,18,1. 9. Il riferimento è alla cacciata dei tiranni e al contributo di Sparta nelle guerre persiane. Guida alla lettura Discorso reale o fittizio? L’Olimpico è stato risparmiato dal dibattito sull’autenticità degli scritti tramandati sotto il nome di Lisia, e si tende a credere al racconto di Diodoro Siculo (14,109) e di Dionigi sulle circostanze in cui sarebbe stato pronunciato (anche se la data del 388 a.C. fornita da Diodoro viene abbassata al 384 a.C.): «Esiste anche un suo discorso panegirico, in cui cerca di convincere i Greci, raccolti nella grande riunione di Olimpia, a cacciare il tiranno Dionisio dal potere, a liberare la Sicilia e a dare subito inizio alle ostilità saccheggiando l’attendamento del tiranno, ornato d’oro, di porpora e di molti altri oggetti preziosi. Dionisio infatti aveva man- GENERI LETTERARI dato alla festa dei suoi messi per portare un’offerta al dio, e l’insediamento dei messi nel santuario era stato organizzato in modo splendido e senza risparmio, perché più grande fosse l’ammirazione della Grecia per il re. Scegliendo questo argomento, Lisia ha dato questo inizio al suo discorso» (Lisia 29, trad. di E. Medda). In realtà, non è possibile pronunciarsi sulla veridicità delle circostanze addotte dalle fonti: il racconto che leggiamo in Diodoro e in Dionigi potrebbe essere stato ricavato integralmente dal testo di Lisia, e il discorso potrebbe non essere stato effettivamente pronunciato in quell’occasione; si potrebbe anzi ipotizzare che si tratti di un discorso fittizio, destinato a fungere da modello secondo l’uso sofistico. Lisia • L’oratoria epidittica e deliberativa t 12 Il discorso in difesa della costituzione dei padri (Orazioni 34 = Dionigi di Alicarnasso, Lisia 33) L’orazione 34 è volta a difendere la costituzione di Atene contro i sostenitori della proposta di restringere il numero dei cittadini con pieni diritti politici. [1] Proprio quando pensavamo, Ateniesi, che le passate sventure1 costituissero per la città una lezione sufficiente a non far desiderare neppure ai nostri discendenti un cambiamento di costituzione, ecco che costoro cercano di ingannare, con le stesse proposte con cui già lo hanno fatto per due volte, proprio chi ha sofferto quelle sventure e ha fatto esperienza di entrambi i governi. [2] Non mi meraviglio di loro, ma di voi che li state ad ascoltare, perché siete davvero gli uomini più pronti a dimenticare del mondo, oppure i più disposti a subire delle offese da parte di uomini come questi, che solo per caso ebbero parte nei fatti del Pireo2, ma che per le loro idee appartenevano alla parte della città. A che cosa è servito che rientraste dall’esilio se ora col vostro stesso voto vi renderete schiavi? [3] Io dunque, Ateniesi, che non rischio di perdere la cittadinanza né per situazione patrimoniale né per stirpe, e che sono invece superiore ai miei avversari per entrambi gli aspetti, penso che la sola via di salvezza per la città sia quella di concedere la cittadinanza a tutti gli Ateniesi: perché, quando avevamo ancora le mura, le navi, le nostre ricchezze e i nostri alleati, non studiavamo certo come espellere qualche Ateniese dalla comunità, ma addirittura concedevamo il diritto di matrimonio anche agli Euboici. E ora invece metteremo al bando anche i cittadini che abbiamo? [4] No di certo, se mi darete ascolto, e neppure ci priveremo, oltre che delle mura, anche di questo baluardo, e cioè di molti opliti, arcieri e cavalieri; tenendoli con voi rinsalderete il vostro regime democratico, avrete una netta superiorità sui nemici e potrete essere molto più utili ai vostri alleati. Sapete infatti cosa è accaduto durante le oligarchie dei nostri tempi, e sapete anche che non erano i possessori di terre ad avere in mano la città; anzi molti di loro sono stati messi a morte e molti sono stati espulsi dalla città; [5] il popolo invece li ha fatti rientrare e vi ha restituito la vostra sovranità sullo Stato, mentre non ha osato averne parte direttamente3. Pertanto, se mi date ascolto, non priverete della loro patria i vostri benefattori, per quanto potete, e non darete più credito alle parole che ai fatti, né alle prospettive future più che al passato, soprattutto se vi ricordate di quelli che combattevano per l’oligarchia, che a parole si battevano contro i democratici, ma di fatto miravano ai vostri beni; e riusciranno a impadronirsene, alla prima occasione in cui vi coglieranno privi di alleati. [6] Inoltre, proprio mentre ci troviamo in questa situazione, ci chiedono quale via di salvezza può esserci per la città, se non faremo quello che ordinano i Lacedemoni? Io invece penso che siano loro a doverci dire quale salvezza ci sarà per il popolo se obbediremo ai loro ordini! Altrimenti è molto meglio morire in battaglia che decretare apertamente la nostra stessa condanna a morte. [7] Credo infatti che, se riuscirò a convincervi, il rischio sarà comune a entrambi...4: vedo che anche gli Argivi e i Mantineesi vivono nella loro terra ispirandosi allo stesso principio; eppure gli uni confinano con i Lacedemoni, gli altri abitano molto vicino a loro, e i primi non sono affatto più numerosi di noi, mentre i secondi non arrivano neppure a tremila. [8] Gli Spartani sanno che, anche se invadessero ripetutamente la loro terra, ogni volta quelli si opporrebbero prendendo le armi; di conseguenza non vedono certo come un rischio che valga la pena di correre quello di non riuscire comunque a sottometterli in caso di vittoria, e di privarsi invece, in caso di sconfitta, dei vantaggi che 1. La sconfitta nella guerra del Peloponneso e il successivo regime dei Trenta tiranni. 2. Il Pireo fu la base degli esuli democratici durante il regime dei Trenta (vedi T10, nota al par. 92). È stato osservato che nel corso del V secolo il Pireo diventò un secondo centro cittadino contrapposto all’a[stu, il centro tradizionale, e che la ten- sione tra i due centri fu costante. 3. Di qui l’ipotesi di Wilamowitz di un’assemblea ristretta ai cittadini di censo più elevato. 4. La lacuna rende difficile comprendere a chi si riferisce «entrambi»: forse agli Spartani e agli Ateniesi. 155 156 Antologia hanno. Quindi, quanto migliore è la loro condizione, tanto meno sono inclini ad affrontare dei rischi. [9] Anche noi eravamo di questo avviso, Ateniesi, quando eravamo i dominatori della Grecia, e ci sembrava una buona decisione quella di tollerare che la nostra terra fosse devastata, nella convinzione che non si dovesse combattere per essa: ci pareva opportuno infatti abbandonare poche cose per preservare grandi vantaggi. Oggi invece, che siamo stati privati di tutto ciò con la guerra, e ci è rimasta solo la nostra patria, sappiamo che soltanto questa impresa racchiude le nostre speranze di salvezza. [10] Ma bisogna anche, ricordando che già in altre occasioni, portando aiuto ad altri che subivano dei soprusi, abbiamo innalzato molti trofei sui nemici in terra straniera5, che ci dimostriamo valorosi nei confronti della patria e di fronte a noi stessi, confidando negli dèi e nutrendo la speranza che la giustizia sarà ancora una volta dalla parte degli offesi. [11] Sarebbe davvero terribile, Ateniesi: quand’eravamo esuli combattevamo gli Spartani per poter rientrare in patria, e adesso che siamo tornati andremo in esilio per evitare di combattere! Non sarebbe una vergogna se giungessimo a tanta viltà che, mentre i nostri antenati affrontavano dei pericoli anche in difesa della libertà altrui, voi invece non oserete neppure combattere per la vostra?...6 (trad. di L. Medda) 5. Qui e nel paragrafo successivo si allude alle benemerenze di Atene nei confronti dei Greci: è un tema classico della propaganda ateniese, basato essenzialmente sulle guerre persiane. 6. Come nei casi precedenti, Dionigi si limita a citare una parte dell’orazione: non sappiamo quanto fosse sviluppata l’argomentazione e quale fosse l’estensione della parte non conservata. Guida alla lettura I fatti storici e il committente di Lisia L’introduzione di Dionigi di Alicarnasso (Lisia 32) è particolarmente importante perché offre una serie di notizie sul contesto in cui il discorso fu composto e testimonia che Lisia lo scrisse per un importante uomo politico ateniese: «Il popolo era tornato dal Pireo e per quanto si fosse pronunziato per la riconciliazione con il partito della Città e per l’amnistia generale, c’era timore che la democrazia, recuperato l’antico potere, riprendesse i soprusi contro i benestanti: la questione fu molto discussa. Formisio, uno di quelli ritornati col popolo, presentò un progetto secondo il quale una volta rientrati gli esuli i diritti politici dovevano essere riservati non a tutti, bensì ai soli proprietari terrieri; anche gli Spartani appoggiavano l’idea. L’effetto, una volta ratificata la misura, sarebbe stato l’esclusione di circa 5000 Ateniesi dall’attività di governo. Per prevenire una faccenda del genere, Lisia scrive il discorso che segue, per una delle personalità politiche più in vista. Non si sa se fu allora realmente pronunziato: comunque va bene per un dibattito effettivo» (trad. di U. Albini). CONTESTO Le fonti di Dionigi Anche in questo caso, ci si può domandare quante delle notizie che Dionigi offre derivino da fonti esterne al testo: la proposta di concedere i pieni diritti politici ai soli proprietari terrieri si ricava già dalla parte conservata del discorso (4); il nome di Formisio e il numero di 5000 Ateniesi che verrebbero esclusi dalla vita politica potevano ben figurare nella parte che Dionigi non ha trascritto. Lo stesso vale per le altre notizie sul contesto storico in cui il discorso fu composto: il ritorno dei democratici dal Pireo (2; 5) e l’appoggio spartano alla proposta (6) compaiono nel testo che leggiamo. Quello che non poteva essere ricavato dal testo è il destinatario anonimo del discorso: ma Dionigi o la sua fonte potevano aver escluso che Lisia avesse pronunciato personalmente il discorso, in quanto meteco e quindi non autorizzato a prendere la parola in assemblea (per la biografia di Lisia, vedi vol. 2, p. 413). Anche l’incertezza sull’effettiva esecuzione del discorso fa propendere per l’ipotesi che le notizie fornite da Dionigi non derivino dal racconto di uno storico o di un attidografo, ma siano ricavate dal testo stesso.
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