rigenerazione urbana - Aut Aut

APRILE 2014
RIGENERAZIONE
URBANA
In questo numero
RIGENERAZIONE
URBANA
Questo numero di Aut&Aut nasce sulla scia del convegno “Disegnare la città” che si è svolto lo scorso
febbraio a Scandicci: un approfondimento sugli strumenti a disposizione delle Amministrazioni e
dei privati per intervenire sulla città con riferimento alla rigenerazione e riqualificazione degli ambiti
già trasformati
Anno XXI numero n. 3 marzo 2014
Reg. Trib. di Prato nr. 180 del 8/7/1991.
Editore: Aut&Aut Associazione
Proprietà: Anci Toscana
Direttore responsabile: Marcello Bucci
Direttore editoriale: Alessandro Pesci
Collegio di garanzia: Alessandro Cosimi, Sabrina Sergio Gori, Angelo Andrea Zubbani
Redazione: Anci Toscana - email: [email protected]
Caporedattore: Olivia Bongianni
In redazione:  Sandro Bartoletti, Monica Mani, Hilde March, Sara Denevi, Elena Cinelli
Grafica e impaginazione: Osman Bucci
Anci Toscana
Viale Giovine Italia, 17 - 50122 Firenze Tel 055 2477490 - Fax 055 2260538
[email protected] - www.ancitoscana.it
Per quanto riguarda i diritti di riproduzione, l’editore si dichiara pienamente disponibile a regolare eventuali
spettanze per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte.
Aprile 2014
Di troppe norme si muore
Simone Gheri
3
Area urbana degradata cercasi
di Riccardo Baracco e Marcella Tatavitto
4
L’Urban Design nella cultura urbanistica italiana
Leonardo Rignanese
5
Rinnovata capacità progettuale, con uno sguardo attento al contesto
Silvia Viviani
6
Il requisito più importante? La dinamicità
Ylenia Zambito
7
“Ri-disegnare” le città: ecco la vera sfida
Cristian Pardossi
8
Il percorso di riconversione urbana per l’area risorsa “Dietro Poggio”
Gianna Paoletti
10
Un progetto di ampliamento della “città pubblica” e di recupero delle aree degradate
Domenico Scrascia
11
Cessioni, dismissioni, valorizzazioni immobiliari: serve un “cambio di passo”
Gabriele Lami
12
Come prefigurare e realizzare spazi urbani qualificati
Alessandro Jaff
13
La grande assente? Una politica per le città
Stefano Tossani
14
15
Elezioni 2014: Cosa cambia col Ddl Delrio
16
PERCORSI DI CITTADINANZA
Media e immigrazione: uscire dall’anonimato
Aladji Cellou Camara
17
Un codice deontologico per eliminare i pregiudizi
Giovanni Maria Bellu
19
Oltre il lessico della paura
Anna Meli
20
Un’informazione capace di leggere la complessità
Karim Metref
21
La rappresentazione mediatica della figura femminile
Elena Cinelli
22
ALTRI MERIDIANI
Le illustrazioni di questo numero sono opere dell’illustratore canadese Jazzberry Blue. Le stampe dei suoi lavori possono essere consultate e acquistate dal sito dell’artista http://www.jazzberryblue.com/
2
ANCI TOSCANA
Di troppe norme si muore
di Simone Gheri, sindaco di Scandicci, responsabile Urbanistica Anci Toscana
L
o abbiamo ripetuto, lo ripetiamo
ancora e continueremo imperterriti a farlo: le parole d’ordine in
materia di norme edilizie ed urbanistiche sono “semplificare, semplificare e
semplificare”. Regole semplici, chiare, logiche, pensate per una tutela vera del territorio e del paesaggio, pensate per essere
rispettate davvero. Pensate per una rigenerazione urbana e del territorio che sia
origine di sviluppo sostenibile, di qualità
della vita, di ricchezza per le persone che
abitano e vivono nelle diverse aree del nostro paese. Norme semplici:­ abbiamo proposto una legge urbanistica nazionale con
dieci articoli - che permettano di realizzare
un progetto quando è attuale, quando ha
motivazioni e significati ben precisi, non
dopo che è invecchiato in attesa del parere di un ente, perso tra gli incartamenti e
tra mille pratiche. Lo scorso 20 febbraio al
Teatro Studio di Scandicci si è tenuto l’interessantissimo convegno promosso da Anci
e Inu Toscana “Disegnare la città. Politiche
e prassi per la rigenerazione urbana”, molto partecipato e con la presentazione di
casi pilota in Toscana e in Europa. A seguito
del convegno ho scritto a Matteo Renzi ­ in
quei giorni impegnato a formare il Governo, quindi in qualità di futuro premier , e
al Presidente della Regione Toscana Enrico
Rossi, proprio perché dal convegno e dagli
interventi è emersa con forza l’esigenza di
una profonda semplificazione delle norme
e dei procedimenti urbanistici ed edilizi, soprattutto per gli interventi sul patrimonio
esistente. Anche a loro ho ripetuto quello
Aprile 2014
che è davvero necessario: “norme semplici,
di buon senso, che consentano di far partire davvero gli interventi di riqualificazione e rigenerazione urbana. Semplificare,
semplificare, semplificare, di troppe norme
si muore! Occorre alleggerire soprattutto per il patrimonio esistente, il groviglio
burocratico delle normative urbanistiche,
edilizie, quelle relative alle questioni idrauliche, nonché le farraginose procedure per
il vincolo paesaggistico, sempre riferendoci, ripeto per non essere frainteso, al patrimonio esistente”. A Matteo Renzi e ad Enrico Rossi ho ribadito la proposta concreta
e che racchiude anche simbolicamente la
nostra filosofia: come accennato all’inizio,
penso che nell’azione di semplificazione
della Pubblica Amministrazione ci si debba
inserire anche una nuova legge urbanistica
nazionale con dieci articoli e l’adeguamento del testo unico dell’edilizia. “Occorrono
poche norme di principio ­ ho scritto al Premier e al Presidente della Regione Toscana
- una sburocratizzazione sostanziale con
norme edilizie chiare e semplici che getterebbero le basi per una liberazione di energie progettuali, per costruire città intelligenti e nuove”. Del resto l’abbiamo detto
nel corso del convegno, non ci stiamo inventando niente, basta vedere cosa già accade negli altri paesi europei e sostanzialmente adeguarci. Come Anci e Inu diamo
il massimo della disponibilità a lavorare su
questi aspetti, dalla nostra abbiamo tanta
esperienza e mille e mille contatti con cittadini e professionisti.
3
L’ACCORDO
Area urbana degradata cercasi
di Riccardo Baracco e Marcella Tatavitto
L
’esigenza sempre più condivisa di limitare l’ulteriore
consumo di suolo comporta una particolare attenzione alla qualificazione del territorio
urbanizzato esistente. L’urbanistica
deve affrontare in modo sempre più
attento il recupero, la riqualificazione e la rigenerazione delle aree urbane degradate; in particolare delle
aree periferiche con un impianto urbano di scarsa qualità, con carenza
di attrezzature, servizi, spazi pubblici e delle aree in condizioni di abbandono o sottoutilizzazione.
Nel corso del 2013 si sono avviati alcuni accordi che assegnano ad Anci
Toscana un importante ruolo di raccordo tra Regione e Comuni in que-
Aprile 2014
sta materia.
Il 20 dicembre 2013 è stato firmato
l’accordo tra Regione Toscana e Anci
Toscana per sostenere l’attività dei
Comuni finalizzata alla ricognizione
delle aree urbane in condizioni di
degrado urbanistico e socio-economico da sottoporre ad interventi di
rigenerazione urbana.
Anci Toscana svilupperà, nel corso
del 2014, azioni rivolte ai Comuni
per incentivare la riorganizzazione
del patrimonio edilizio esistente e
la riqualificazione delle aree degradate, mettendo a loro disposizione,
tramite attività di comunicazione e
di formazione, sistemi di schedatura
per la raccolta dei dati, metodologie
di intervento, raccolte di esempi si-
gnificativi e di buone pratiche.
ANCI Toscana si pone l’obiettivo di
collaborare con i Comuni toscani per
estendere le esperie della rigenerazione urbana attraverso la riqualificazione degli spazi pubblici, l’integrazione della rete delle centralità,
il miglioramento della dotazione dei
servizi e dell’efficienza energetica, la
riduzione dell’inquinamento acustico ed atmosferico, anche tramite la
partecipazione dei cittadini alla individuazione delle scelte.
Circa venti Comuni maggiormente
interessati potranno inoltre disporre
della collaborazione di uno staff tecnico che verrà messo a loro disposizione da Anci Toscana con i fondi
regionali e che sarà utilizzato per le
elaborazioni urbanistiche dei propri
uffici, senza costi aggiuntivi, tramite
specifici accordi con Anci Toscana. A
questo fine Anci Toscana ha inviato
a tutti i Comuni una proposta di collaborazione, con il coinvolgimento
degli uffici comunali, invitandoli a
comunicare il proprio interesse, entro il 31 marzo 2014. Le manifestazioni di interesse pervenute entro
la data di scadenza sono state oltre
quaranta; si tratta di una partecipazione considerevole, anche in considerazione della imminente tornata
elettorale, che interesserà la maggior parte dei Comuni toscani.
Nello stesso accordo è stata anche
definita la collaborazione tra Regione e Anci per la sperimentare di
criteri e indicatori di sostenibilità (il
protocollo ITACA), che verranno definiti da uno specifico gruppo di lavoro e che costituiranno un importante riferimento per la pianificazione territoriale.
Particolare attinenza con il recupero
delle aree degradate ha anche l’accordo tra Regione Toscana e Anci Toscana, firmato il 30 dicembre 2013,
finalizzato all’attuazione del codice
dei beni culturali e del paesaggio
in merito alla semplificazione delle
procedure autorizzative in materia
di riqualificazione delle aree gravemente compromesse e degradate e
di aree vincolate per legge (ex Galasso).
4
UNIVERSITà
L’Urban Design nella cultura urbanistica italiana
Leonardo Rignanese Politecnico di Bari
U
rban Design, Progetto Urbano e Disegno Urbano
sono termini simili ma non
uguali. Urban Design si
traduce letteralmente con progetto
Aprile 2014
urbano. Le due espressioni, tuttavia,
non coprono lo stesso arco di significato semantico. Design evidenzia
maggiormente gli aspetti della forma
che sono nel progetto; mentre il lem-
ma progetto è utilizzato per indicare
molte cose e non è più strettamente
legato alla forma e al disegno. Infine,
la locuzione Disegno Urbano oggi un
po’ desueta, risponde, anche se non
alla lettera, maggiormente al significato inglese di Urban Design.
Esistono molte definizioni di Urban
Design che si differenziano per sfumature, sfaccettature e diversità più
o meno marcate. Le più interessanti
sono quelle più vicine al concetto di
progettare la città senza progettare
gli edifici, secondo l’espressione di J.
Barnett. Una buona definizione è data
da The Urban Design Group di Londra: «L’Urban Design è il processo collaborativo e multi-disciplinare di | volto a configurare l’ambiente fisico per
vivere in città, nei paesi e nei villaggi;
è l’arte di costruire luoghi; è il progettare in contesti urbani. L’Urban Design
comporta la progettazione di edifici,
di gruppi di edifici, di spazi e di paesaggi, e la messa a punto di strutture
e di processi che facilitano il successo
del progetto» [WebUrban Design www.weburbandesign.com]
L’Urban Design guarda alle parti della città, alla città per parti, e si occupa
essenzialmente dello spazio pubblico.
L’Urban Design si pone tra ciò che, con
una artificiosa separazione, definiamo
come Architettura e Urbanistica; le
sue regole precedono quelle dell’architettura in senso stretto.
Nonostante l’attualità di questi temi
di intervento e trasformazione urbana, la dimensione e la pratica dell’Urban Design è alquanto residuale nel
dibattito urbanistico italiano, centrato
quasi tutto sul piano, e dove il tema
controllo della qualità urbana non è
affrontato in modo diretto. Non bastano criteri e requisiti per controllare la
qualità a la forma dello spazio urbano,
per misurare strade e disegnare spazi
di prossimità, per evidenziare i caratteri dello spazio pubblico e le funzioni
dello spazio collettivo, per selezionare
materiali urbani e costruire la trama
dello spazio verde.
In Italia la predisposizione di progetti norma, di masterplan, di indirizzi e
linee guida è sicuramente aumentata
negli ultimi anni, ma essa ha ancora
un carattere casuale, legata a specifici contesti e con pochi contenuti più
propriamente di controllo spaziale e
di definizione di regole spaziali, sulle
quali, invece, è costruita l’ampia produzione di guideline anglosassoni.
Non ci può essere qualità urbana senza una visione spaziale della città e
quindi della sua forma. L’urbanistica
deve proporre un modello spaziale,
come avviene in tutte le esperienze
europee che mostrano chiaramente modelli spaziali di città compatta,
densità urbane non basse e attenzione alla qualità architettonica degli
spazi pubblici.
L’Urban Design è l’unica via per dare
qualità urbana alle nostre città, per
ritrovare rapporto e unità tra architettura e urbanistica, per riprendere
la tradizione disciplinare di cura dello
spazio urbano, di attenzione alla forma urbana come carattere strutturante per una progettazione consapevole della forma della città.
Tutti i discorsi sullo spazio pubblico
non hanno senso se non recuperiamo
il Disegno Urbano come il fondamento morfologico del rinnovamento urbano; un rinnovamento urbano che
deve avviarsi a partire da una ricostruzione delle regole dello spazio urbano
e dei suoi materiali costitutivi: spazi
aperti, allineamenti stradali, mescolanza di funzioni ecc.
Dalle esperienze europee dovremmo
apprendere che esiste una centralità
del progetto della città e dei suoi spazi.
I loro progetti partono da efficaci masterplan che mostrano quale città vogliono realizzare, mentre i nostri si perdono in infinite procedure di valutazioni dei processi, ma non della forma urbana, della qualità dei luoghi, della loro
bellezza. In tutta Europa, e non solo, i
progetti di trasformazione urbana …
costruiscono città compatte, riscoprono l’isolato, gli allineamenti, il disegno
delle strade e dei luoghi di uso collettivo (verde ecc.). In Italia manca una
diffusione e una conoscenza di buone
pratiche di Disegno Urbano perciò dovremmo guardare con più attenzione
alle esperienze estere.
5
Istituto nazionale
di urbanistica
Rinnovata capacità progettuale,
con uno sguardo attento al contesto
di Silvia Viviani, presidente INU
C
omunque la si aggettivi - smart, learning, intelligente, creativa, inclusiva
- la città è al centro dell’attenzione e
del dibattito. Sono richiesti piani, progetti, risorse, saperi esperti, volontà politiche.
Sono necessari il recupero di categorie solide
come istituzione, bene pubblico, collettività e
l’investimento in pratiche nuove come partecipazione, valutazione, concorrenza, competitività.
La rigenerazione urbana è in primo luogo un
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progetto, che comprende difesa dei suoli, efficienza delle reti, quartieri ecologici, recuperi di
spazi aperti resilienti alle risorse naturali, mitigazione degli effetti del cambiamento climatico, produzione sociale degli spazi pubblici, attenzione alla forma. Si tratta di assumere come
prerequisiti e non come obiettivi la sostenibilità delle forme di sviluppo, l’efficienza ambientale della città esistente, il contenimento del
consumo di suolo.
Il progetto della città si deve occupare della
molteplicità e della diffusione delle funzioni, di
accessibilità, inclusione sociale e riconoscibilità
delle forme urbane. Il problema di come intervenire su questa realtà multiforme va affrontato
con gli strumenti di un sano pragmatismo, una
rinnovata capacità progettuale e uno sguardo
non vincolato dai limiti amministrativi ma attento ai luoghi, alle condizioni di contesto e al
mutare delle condizioni, che richiede la capacità di gestire processi. A questo corrispondono
coesione sociale, territoriale e istituzionale, una
filiera di strumenti per il governo della città.
Il lavoro che si svolge alla scala urbana è un
esercizio attento al dettaglio e un processo nel
quale, disponendo di attrezzi diversi, ci si occupa degli spazi e delle loro relazioni, delle architetture e delle percezioni, degli effetti estetici
provocati, delle agevolazioni funzionali prodotte, della capacità di indurre comportamenti
urbani. A tal fine i progetti devono proporsi di
integrare ambienti di apprendimento, incontro,
ricerca e lavoro e di incrementare l’abitabilità
urbana.
Anche la prevenzione e la salvaguardia indicano la centralità della città, quale sistema funzionale complesso ed erogatore di servizi. I bilanci
successivi agli eventi calamitosi dimostrano che
prevale il senso della perdita della città come
forma aggregativa di persone e attività, che, nel
suo insieme, determina socialità.
Inoltre, ci si deve occupare del rinnovo delle
componenti riferite ai costi e ai benefici, agli
incrementi di valore dei suoli urbani e alla corresponsione delle quote necessarie alla rigenerazione della città esistente. L’economia urbana
è stata a lungo ostaggio della rendita immobiliare, organica alla speculazione finanziaria. Lo
scambio tra urbanizzazione, fiscalità locale e
spesa pubblica non è più sostenibile ed è investito da connotazioni etiche non sottovalutabili. I progetti dovrebbero poter esprimere il
meglio delle capacità tecniche e imprenditoriali, farsi carico delle utilità sociali come valore
intrinseco alla trasformazione.
Quanto alle gabbie amministrative nelle quali si è rinchiusa la pratica del progetto, si deve
constatare che la sequenza piano generale piano attuativo - pratica edilizia, per paradosso,
contrasta il raggiungimento delle qualità attese
nelle pratiche di rigenerazione.
6
LE POLITICHE
Il requisito più importante? La dinamicità
di Ylenia Zambito, assessore all’urbanistica del Comune di Pisa
O
ggi i problemi più rilevanti da inserire nell’agenda politica di un amministratore locale sono, oltre alla crisi
economica, quelli che rallentano o
impediscono la crescita e lo sviluppo sostenibile
della città. Il nostro obiettivo è quello di una Città che disegna obiettivi di futuro con la nuova
pianificazione integrata, che chiede “politiche
per le città” e sta nelle reti europee, che potenzia
investimenti e servizi per la qualità urbana.
Tale visione è contenuta nel documento di indirizzo del Piano Strutturale d’area, che abbiamo
definito un grande piano di recupero dell’intera
città e di tutti i comuni che fanno parte dell’area
pisana e che dà un indirizzo urbanistico fondato
sul recupero e il riuso, contro il consumo di suolo e lo “sprawl urbano”. I principali interventi previsti sono quelli di recupero di aree dismesse o
da dismettere (Ospedale Santa Chiara, Caserme,
aree destinate ad attività produttive da tempo
inutilizzate, Golena d’Arno).
Detto questo, ritengo che vada ulteriormente
sviluppato il tema della rigenerazione urbana,
nell’ottica del miglioramento della vivibilità dei
cittadini, in termini di infrastrutture, servizi, efficientamento energetico degli edifici pubblici e
di edilizia residenziale pubblica, senza dimenticare la qualità degli spazi urbani che connotano
e qualificano la convivenza urbana.
In questo senso interpreto le deleghe ricevute
dal Sindaco che oltre all’ urbanistica in senso lato,
specificano l’ importanza del “recupero e riuso
del patrimonio esistente”, sia nell’ambito dell’edilizia privata che dell’edilizia residenziale pubblica.
L’importante è, però, tradurre a livello locale i
documenti comunitari che trattano le politiche
di sostenibilità urbana e territoriale, poiché è
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netta la sensazione che questi trovino una miglior applicazione a livello regionale che nazionale, livello che stenta ad esprimere una propria
visione ed una chiara politica fondata su poche
priorità e necessità.
Molti sono, infatti, i documenti di orientamento
delle politiche nazionali ma essi operano ad un
livello molto alto, spesso limitandosi ad esprimere obiettivi di lungo periodo e indirizzi rivolti
alle regioni, manca l’indicazione di progetti strategici agganciati alle emergenze e ai valori territoriali.
Il DL 47/2014 recentemente approvato rappresenta una speranza che la visione strategica
della rigenerazione urbana indirizzi le scelte del
Governo in merito alla distribuzione delle risorse sul territorio. Infatti, l’art. 10 del DL prevede
che i Comuni per incrementare il numero di
alloggi sociali propongano interventi di ristrutturazione edilizia, restauro o risanamento conservativo, manutenzione straordinaria, miglioramento o adeguamento sismico, sostituzione
edilizia mediante anche la totale demolizione
dell’edificio e la sua ricostruzione.
E’ del tutto evidente che la rigenerazione urbana, il recupero del patrimonio esistente richieda
risorse ed investimenti pubblici, ma i Comuni
contemporaneamente devono dotarsi degli
strumenti urbanistici idonei che consentano di
trasformare la strategia in progetti per essere
capaci di attrarre finanziamenti regionali, nazionali ed europei.
La dinamicità è forse il requisito più importante
per raggiungere questi obiettivi e sono sicura
che i comuni toscani non mancheranno di vincere questa sfida.
7
LE POLITICHE
“Ri-disegnare” le città: ecco la vera sfida
di Cristian Pardossi, assessore all’Urbanistica del Comune di Castelfranco di Sotto
L
a sfida che l’urbanistica e la
politica si trovano di fronte
oggi è quella di “ri-disegnare” le città, facendo i conti
con le grandi trasformazioni intervenute nella società e nell’economia, e provando a dar vita ad un
nuovo progetto urbano, con l’ambizione di governare il cambiamento
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evitando gli errori del recente passato e recuperando invece quanto
di buono la cultura urbanistica ha
prodotto sin qui.
La crisi del capitalismo neoliberista
fondato sul predominio della finanza, della rendita e sul consumo indiscriminato di risorse naturali, fa
emergere una nuova questione ur-
bana, che porta con sé una molteplicità di problemi: dal corretto uso
delle risorse naturali (a partire dal
suolo) alla questione climatica ed
energetica; dalla messa in sicurezza
idrogeologica alla corretta gestione del ciclo dei rifiuti; dalla riconversione dell’apparato produttivo
dismesso all’integrazione tra nuove
e vecchie forme di produzione e lavoro; dalle politiche abitative (dove
si registra uno stridente contrasto
tra le decine di immobili invenduti
e le liste ancora lunghe di chi fa domanda per accedere all’edilizia residenziale pubblica) a quelle per la
mobilità; dal contrasto alla rendita
alla promozione del paesaggio; dal
rilancio dei centri storici alla tutela
dei beni comuni; dal rapporto tra
territorio urbano e rurale alle questioni legate alla produzione del
cibo. A questi temi si aggiungono le
sfide collegate al riassetto istituzionale e alla crisi degli istituti e delle
forme della rappresentanza.
E’ questa la nuova agenda urbana di
cui chi governa ai diversi livelli dovrebbe tener conto. Con una consapevolezza: o siamo capaci di affrontare queste sfide riconducendole
ad un progetto organico di città e di
territorio, oppure parlare di rigenerazione rischia di essere un esercizio retorico. Sta qui la cifra culturale
prima ancora che politica di un nuovo riformismo, che solo dalle città e
da un loro rinnovato protagonismo
può far partire la ripresa, non solo
economica, di questo paese.
Non si tratta di una questione riducibile al solo aspetto “contabile”:
certo, i dati sul consumo di suolo
ci dicono che dobbiamo correre ai
ripari concentrandoci sul recupero
dell’esistente invece che sull’utilizzo di nuovo suolo. Ma i modelli di
crescita urbana degli ultimi decenni sono insostenibili non solo per
quanto attiene l’uso delle risorse
naturali: nelle città si sono accumulate nuove forme di diseguaglianza
e ingiustizia. Da una pianificazione
poco attenta al progetto di città
(alla sua forma, ai suoi spazi e al loro
utilizzo) sono nate nuove “patologie
urbane”: paura, solitudine, angoscia, che la globalizzazione ha acuito e a cui la politica troppo spesso
non ha saputo rispondere, se non
ricorrendo ad un securitarismo di
corto respiro che poco ha a che fare
con la mixitè che ha caratterizzato la
storia millenaria delle città. E’ dunque dentro la cornice del
“progetto di città” che si deve dare
risposta anche alla questione – non
più rinviabile – della tutela e del
corretto uso delle risorse naturali. Si dovrà operare principalmente
sul costruito, ridisegnando gli spazi, avendo anche il coraggio di rimettere in gioco volumi esistenti e
spazi mal utilizzati (o non utilizzati)
all’interno del tessuto urbano, riconducendo queste operazioni ad
una visione organica della città intesa come progetto.
Segue a pag. 9
8
“Ri-disegnare” le città: ecco la vera sfida
LE POLITICHE
Segue da pag. 8
Gli strumenti non mancherebbero: penso
alla perequazione di comparto (oggi l’unico
vero strumento per combattere la rendita e
permettere la costruzione delle dotazioni
pubbliche), ma sopratutto a quella tra comparti discontinui che se ben disciplinata
(non certo seguendo l’esempio lombardo)
può essere lo strumento adatto a favorire
trasformazioni e trasferimenti di volumi da
una zona della città ad un’altra (opportunamente individuata dagli strumenti della
pianificazione), oppure per l’acquisizione
alla città pubblica, in chiave compensativa,
di grandi dotazioni (parchi urbani o opere di
mitigazione del rischio idraulico che evitino
il ricorso sparpagliato alla “buchetta privata”
di cui rischiano di essere disseminate le città se l’approccio che prevale è solo quello
matematico). Altri strumenti sono quelli relativi alla previsione di standard sociali per
la dotazione di un patrimonio di edilizia sociale, visto che appare impensabile ricorrere
ancora allo strumento dell’esproprio e che
in Italia purtroppo non sempre i progetti di
edilizia pubblica hanno saputo promuovere
integrazione tra i loro abitanti e il resto della città, finendo così per aumentare le diseguaglianze al suo interno.
Se alcuni strumenti ci sono, va detto però
che l’apparato normativo non aiuta ad utilizzarli al meglio. L’incertezza normativa,
provocata spesso da una pletora di norme
che si sovrappongono tra loro, e l’esistenza
di più autorità ed enti che disciplinano la
stessa materia, rendono pressoché impossibile concentrarsi sul progetto di città, vanificando gli sforzi più coraggiosi in direzione
di una vera rigenerazione urbana.
Aprile 2014
Se vogliamo davvero favorire la rigenerazione e non il consumo di nuovo suolo dobbiamo rendere questi interventi più sostenibili sul piano economico, più convenienti,
più snelli sul piano delle procedure. Fino
a quando ciò non avverrà continueremo
solo a parlare di rigenerazione, ma in giro
se ne vedrà poca. E’ il problema che una
rinnovata cultura urbanistica in Italia deve
saper affrontare, dopo decenni di silenzio
e disinteresse anche da parte della politica nei confronti di un tema – l’urbanistica – così importante e conformativo degli
altri settori di policies. Fino ad ora, al di là
delle dichiarazioni, si è visto poco: l’unica cosa degna di nota è la costituzione del
Comitato Interministeriale per le Politiche
Urbane, che tenta di agganciare finalmente
l’agenda urbana dell’Italia al dibattito e alle
politiche promosse dall’Unione Europea (e
da singoli Stati membri: basti pensare alle
politiques de la ville e al Ministero delle Città
in Francia). Anche nella nostra regione la discussione sulla nuova legge regionale urbanistica può essere un’occasione importante
per dare risposte a questi temi, con la consapevolezza che la cifra di un nuovo riformismo urbano passa dalla predisposizione di
strumenti che permettano al pianificatore
di favorire concretamente il ridisegno della
città e la sua rigenerazione, riconducendola
ad un disegno organico dove piano pubblico e progetto privato siano messi in grado
di concorrere alla costruzione di quella città
futura che la politica deve saper tornare ad
immaginare.
9
Le esperienze
Il percorso di riconversione urbana
per l’area risorsa “Dietro Poggio”
di Gianna Paoletti, Comune di Calenzano
L
’Amministrazione comunale di Calenzano ha approvato nel 2004 un Piano Strutturale impostato su un minor
consumo di suolo e su un modello di
sviluppo basato nel recupero del territorio urbanizzato delineando un processo urbanistico completamente diverso da quello, che si è
verificato fino ad oggi, rivolto all’allargamento
delle zone edificate. All’interno di questo quadro di pianificazione, l’area denominata Dietro
Poggio, un’area industriale anni ‘60, oggi inte-
Aprile 2014
ressata da pesanti processi di dismissione e riconversione che vedono l’abbandono di immobili e il degrado della zona, posta per altro in un
contesto paesaggistico di grande pregio, viene
a costituire “un’area risorsa” e una occasione di
crescita e di rilancio della qualità dell’abitare.
L’area risorsa, alla quale il PS relega la crescita
di Calenzano, ha un’estensione di 18,70 ettari,
ed è posta all’interno del sistema insediativo
in una valle strategica adiacente ai centri storici delle colline di Calenzano Alta e di San Do-
nato, racchiusa tra le pendici della Calvana e
di Pizzidimonte e il torrente Marina. Allo stato
attuale si presenta ed è percepita dalla collettività come area industriale, nata dal “traboccamento” di attività produttive da Firenze e Prato
attratte dalle allora facilitazioni fiscali e dalla
vicinanza del casello autostradale.
Il percorso di riconversione urbana per questa
area inizia con l’elaborazione e approvazione di
un Piano Guida con il quale si definiscono alcune ipotesi di un nuovo assetto urbano, in parte
confermato dal Regolamento Urbanistico del
2006. La rigenerazione dell’area deve portare
alla ricerca di un rapporto armonico con il paesaggio circostante, a rafforzare il collegamento
con il centro cittadino e a creare un quartiere caratterizzato da mixitè funzionale. Concetti che il
consiglio comunale riporta nell’atto di indirizzo
del febbraio 2011.Da qui la decisione di ripensare l’assetto urbano e ricorrere, nel maggio del
2012 a un concorso di idee per la rigenerazione
urbana dell’area di Dietro Poggio, avvalendosi
per la definizione del bando della collaborazione tecnico scientifica dell’Università di Firenze
Facoltà di Architettura e Ordine degli Architetti
della Provincia di Firenze, passando attraverso
un percorso partecipativo. Gli obbiettivi generali del concorso, sono stati: l’alto pregio del
paesaggio dell’area e delle sue permanenze
storiche nonché le relazioni paesaggistiche ed
ambientali con il limitrofo Parco di Travalle, inserito nel più ampio Parco agricolo della Piana;
la ricerca di migliore uso del territorio mediante
una progettazione urbanistica attenta ai valori
della collettività e delle relazioni sociali; la connessione con il centro cittadino compromessa negli anni ‘90 dall’asse viario “tangenziale
ovest”; la ricerca di un’eco sostenibilità diffusa
all’interno di tutto il comparto.
In tale contesto risulta fondamentale che Dietro Poggio sia visto e progettato non come un
margine del tessuto urbanizzato dell’attuale
abitato, ma come un area con caratteristiche
di “cerniera” in grado di ribaltare il concetto di
residualità dell’area, recuperando una visione
storica di passaggio obbligato verso il fiume.
Al gruppo vincitore rappresentato dall’architetto Lorenzo Romualdi è stato affidato l’incarico
di redigere le linee guida per la riqualificazione
e rigenerazione dell’area.
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Un progetto di ampliamento della “città
pubblica” e di recupero delle aree degradate
Le esperienze
di Domenico Scrascia, Comune di Montevarchi
N
egli ultimi dieci anni a Montevarchi si è voluto provare a disegnare
la città con un duplice obiettivo:
realizzare un progetto organico di
ampliamento della “città pubblica” (a «costo
zero» per le casse comunali) e recuperare le
aree degradate.
Montevarchi ha, quindi, utilizzato la perequazione urbanistica (strumento tecnico concepito per incrementare il patrimonio pubblico
delle aree per infrastrutture e standard presenti
fuori dai comparti edificatori senza dover far
ricorso all’istituto dell’esproprio) in varie modalità applicative. Nel 2010, per favorire il processo di acquisizione gratuita delle aree della
“città pubblica”, l’Amministrazione Comunale
ha ridotto di 1/3 la Sul espressa dal “terreno” e
ampliato la quantità minima di capacità edificatoria che i comparti edificatori (le aree di
trasformazione) devono obbligatoriamente
accogliere con la perequazione urbanistica.
Certamente queste modalità operative presentano dei limiti (visibili non solo nei periodi
recessivi) poiché non permettono di stabilire con certezza quando si realizzerà la “città
pubblica” essendo ancorata all’attuazione degli interventi da parte dei privati. D’altro canto i margini di azione dell’Amministrazione
pubblica, legati alle sue ridotte disponibilità
finanziarie, sono fortemente compressi e di
fatto presentano la stessa astrattezza.
Negli ultimi trent’anni le tecniche utilizzate
per recuperare le aree degradate (scomputo
degli oneri; possibilità di ricostruire l’intera volumetria demolita; incentivi volumetrici) non
hanno prodotto i risultati sperati in termini di
Aprile 2014
spazi a terra. A Montevarchi, nel 2004, tra le
varie modalità perequative introdotte una ha
riguardato la possibilità di trasferire la capacità
edificatoria generata dalla demolizione di edifici posti nelle aree di recupero per consentire
un decremento possibile della capacità edificatoria esistente e, quindi, per poter ampliare
la quantità (e, quindi, la qualità) degli spazi a
terra. Dopo un primo quinquennio di rodaggio, questa tecnica è stata potenziata nel 2010,
con l’istituzione del Registro dei crediti edilizi.
Si tratta di un Registro nel quale vengono certificate le entità (in termini di volume) delle demolizioni effettuate prima dell’attuazione delle
aree di recupero al fine di rendere più agevole il
percorso non solo tecnico-amministrativo del
trasferimento della capacità edificatoria dalle
stesse aree di recupero alle aree di trasformazione deputate ad accoglierla.
L’Amministrazione comunale persuasa che
fosse arduo “rigenerare la città” e costruire la
“città pubblica” senza l’utilizzo di tecniche perequative che consentissero il trasferimento
di capacità edificatoria nelle aree di trasformazione deputate ad accoglierla, ha costruito il
piano urbanistico creando un rapporto diretto
tra la previsione di “nuovi impegni di suolo”
(con indici bassi: 0,10 mq/mq), la realizzazione
delle infrastrutture e degli standard e il tentativo di ridimensionamento della volumetria presente nelle aree di recupero poiché ciò è apparsa la sola contropartita sensata e accettabile
che ha giustificato il consumo di una risorsa essenziale, finita e non riproducibile come il suolo.
11
Cessioni, dismissioni, valorizzazioni immobiliari:
serve un “cambio di passo”
Le esperienze
di Gabriele Lami, Comune di Follonica
N
el corso dell’ultimo decennio numerosi interventi normativi hanno modificato la disciplina giuridica del patrimonio immobiliare
pubblico per trasformarlo in strumento dinamico della politica di bilancio dell’Ente.
La smobilizzazione del patrimonio pubblico
è utile per la riduzione dello stock debito,
leva per interventi di riqualificazione urbanistica e trasformazione urbana oltre fonte per
reperire risorse per investimenti sul territorio. In un primo tempo l’attenzione si è orientata verso la privatizzazione, attraverso strumenti quali la cartolarizzazione (dei proventi
derivanti dalla dismissione del patrimonio)
ed i fondi comuni di investimento immobiliare. In epoca più recente, la normativa ha
parzialmente accantonato l’azione di una
dismissione tout court privilegiando l’ampliamento degli strumenti di gestione tra cui
la cosiddetta “valorizzazione”, in particolare
attraverso la possibilità di una concessione
fino a cinquanta anni. I beni pubblici sono
quindi divenuti strumenti per politiche di bilancio e per profonde trasformazioni territoriali ed in particolare occasione per insediamento di nuovi servizi, volano per recupero
aree dismesse, riposizionamento di attività
esistenti in realtà più adeguate alla nuova
dimensione economica del territorio stesso,
ma numerose sono le criticità riscontrate per
l’attuazione di questi rilevanti obiettivi, con
le norme introdotte.
Pur in presenza di una serie innumerevole di strumenti giuridici per la cessione, dismissione e valorizzazione dei beni pubblici,
Aprile 2014
introdotti nel corso dell’ultimo decennio, le
procedure si dimostrano ancora farraginose,
per l’assenza, purtroppo, da parte di molte amministrazioni interessate ai processi,
di considerare, di per se, l’investimento sul
bene pubblico un fattore produttivo. E’ molto estesa, infatti, nelle relazioni generali, una
cultura in cui la “cautela” viene presa come
parametro rilevante di valutazione delle proposte progettuali e di intervento, ritardando
così procedure e decisioni, senza una visione
invece di considerare già di per un successo
la proposta di utilizzare un bene altrimenti
destinato al depauperamento per il decorso
del tempo in assenza di azioni concrete. Questa impostazione è da eliminare nel più breve tempo possibile, in particolare dalle amministrazioni statali, le quali devono rendere
disponibili in tempi brevi i beni richiesti, privilegiando, in questa fase di carenza di risorse pubbliche per riqualificarli, l’obiettivo del
loro “mantenimento” in luogo della ricerca di
un lucro al momento di difficile reperimento.
Si deve cercare di massimizzare l’efficacia dei
pochi investimenti possibili e disponibili da
impiegare. L’esperienza di questi anni porta quindi a considerare prioritario acquisire
globalmente una cultura gestionale diversa
dei beni pubblici da valorizzare, per rendere
i procedimenti rapidi, per non vanificare gli
obiettivi prefissati degli interventi comunque sviluppati e che ritardi procedurali ormai
ingiustificati, rischiano di far diventare inattuali al momento del loro completamento.
12
ordine
degli architetti
Come prefigurare e realizzare spazi urbani qualificati
di Alessandro Jaff, presidente dell’ Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e conservatori della provincia di Firenze
M
etropolis, il grande film di fantascienza di Fritz Lang del 1927, ci
mostra l’alba di una grande città industriale del futuro. In un bianco e
nero un po’ tremolante sfilano davanti allo schermo le immagini dei volti di operai e impiegati che
si recano al lavoro, tram sferraglianti su binari lucidi di pioggia, grattaceli avvolti nelle nebbie e
nei fumi degli opifici, auto con deboli fari accesi.
Il risveglio è il momento migliore per capire una
città. Ancora oggi che tanto tempo è trascorso da
quell’epoca. Firenze, per esempio. Con le sue vie
d’entrata congestionate dalle auto di quei centomila cittadini che sono stati espulsi dalla città per
vivere nei comuni della cintura e che la mattina
vi tornano a lavorare. Con le stazioni affollate di Aprile 2014
pendolari. Con le lunghe file di autobus stracolmi lungo i viali di circonvallazione che si dirigono
verso nuove centralità ancora informi e il centro
antico che stenta a animarsi, con i negozi ancora
chiusi, gli impiegati degli uffici pubblici che entrano alla spicciolata, le poche mamme che portano
i bimbi a scuola, gli studenti, di cui tanti stranieri.
Turisti pochissimi. Arriveranno a frotte più tardi
scaricati sui Lungarni dai pullman.
Uno scenario nuovo, anche rispetto a pochi anni
fa. Dove i confini della città sono ancora incerti.
La linea rossa che delimita il rurale e l’urbano non
ancora tracciata. Ed è difficile da segnare.
Che politica attuare nelle campagne è ormai
chiaro, almeno come finalità generale: tutela del
suolo e delle attività agricole, anche se non sarà
così semplice da calare nella pratica.
Cosa fare nelle città, forse, è ancora più chiaro:
l’espansione indiscriminata è finita da tempo. Occorre risarcire le ferite della crescita troppo frettolosa, rigenerare le parti obsolete, migliorare la
qualità urbana complessiva e delle periferie. Nella
“terra di mezzo”, non più campagna ma non ancora città, invece, il destino è più incerto.
Lo sprawl ha travolto le antiche strutture rurali,
ma non ha ancora generato nuovi spazi urbani:
parte di esso andrà consolidato e conformato,
parte dovrà essere riassorbito nel mondo rurale.
Ma con quali strumenti, con quali risorse ancora
non sappiamo. La pianificazione di area vasta
dovrà occuparsi proprio di questo: stabilire le tutele, i nuovi confini, gli obiettivi generali, le voca-
zioni. Dovrà disegnare le grandi infrastrutture e i
sistemi di trasporto, gli approdi. Poi, le città, come
sempre nella nostra storia - che sostanzialmente
è una storia municipale - dovranno trovare al loro
interno le capacità e le risorse, culturali prima ancora che politiche ed economiche, per rinnovarsi.
Per inseguire le sfide della modernità, per immaginare il loro futuro e realizzarlo. Ma con piani più
strategici e meno conformativi. Sapendo che di
suolo non se ne deve sprecare più. Che non ci si
può più permettere di tenere volumetrie inutilizzate per decenni. Che gli edifici antichi vanno protetti e valorizzati e che in nessun caso possiamo
permetterci di tenerli a marcire abbandonati.
Come cittadini ci dobbiamo riappropriare degli
spazi pubblici e quindi accanto alle pedonalizzazioni debbono pretendere che siano approntate infrastrutture di trasporto funzionanti ed efficaci. In questo l’urban design deve essere estremamente puntuale. Deve ritrovare la capacità di
prefigurare e realizzare spazi urbani qualificati,
sino nei dettagli più minuti. Per il resto, forse, è
inutile accanirsi nel costruire gabbie normative e
standard numerici nella ingannevole illusione di
imbrigliare l’iniziativa progettuale anche dei più
piccoli e insignificanti interventi.
Meglio concentrarsi nella elaborazione di principi,
di buone regole costruttive da applicarsi caso per
caso, nella consapevolezza che i Piani operativi, o
in qualunque modo vogliamo chiamarli, è bene
che abbiano una durata limitata nel tempo. Sapendo anche che una smart city si realizza soprattutto con una oculata gestione dell’esistente,
con la messa in opera delle reti immateriali, con
il favorire progetti puntuali di grande qualità architettonica e forse, soprattutto in città di incomparabile valore culturale come le nostre, con una
manutenzione costante e attenta di tutto il patrimonio storico.
13
il mondo
cooperativo
La grande assente? Una politica per le città
di Stefano Tossani- Presidente di cooperativa Unica-Legacoop Toscana
M
i pare difficile ragionare su un tema
impegnativo come quello della città
e della rigenerazione urbana senza collocarlo dentro la straordinaria
crisi che vive il Paese e senza interrogarsi su come
l’urbanistica ed i suoi strumenti possano contribuire ad una ripresa. Il settore edilizio, uno dei più
importanti del Paese, è stato investito da un vero
e proprio terremoto che ha distrutto capacità produttive ed occupazione. Un terremoto, peraltro,
che non ha ancora cessato di far sentire i suoi effetti. In questo contesto sociale ed economico va
collocata la discussione che stiamo facendo, non
possiamo prescinderne se non vogliamo che il
velleitarismo da una parte e la burocrazia dall’altra continuino ad essere i caratteri predominanti
di ogni provvedimento. Anche i bisogni abitativi
sono profondamente cambiati, particolarmente
quelli degli abitanti delle città. Pertanto se consideriamo la città come una realtà viva ed in continuo cambiamento non possiamo prescindere dai
bisogni dei suoi abitanti. Senza dimenticare che
la grande assente rimane una politica per le città,
sostituita finora da provvedimenti settoriali incapaci in quanto tali di affrontare i problemi della città come realtà complessa e luogo della massima
concentrazione delle contraddizioni. E’un punto di
forte criticità verso il quale sarebbe utile sollecitare
l’attenzione della politica e della cultura perché è
necessario che il confronto non si limiti agli addetti ai lavori . Ritornando ai bisogni abitativi, occorre ripetere che ancora una volta i più penalizzati
risultano i soggetti più deboli e particolarmente i
giovani che oggi sono di fatto esclusi dal mercato
e relegati a vivere con le famiglie di appartenenza
fino ad una età sempre maggiore. Occorre pertan-
Aprile 2014
to mettere in atto politiche volte ad accrescere l’offerta di alloggi in affitto a condizioni accessibili ed
altre soluzioni che combinano, temporalmente e
finanziariamente, affitto e proprietà e che di fatto
abbassino l’asticella dell’accessibilità economica.
Oggi tutto questo viene definito housing sociale.
Occorre aggiungere che bisogna anche fare i conti
con la scarsità delle risorse pubbliche, fattore non
contingente ma di lungo periodo. In questo contesto uno strumento a cui guardare è il Sistema
dei Fondi Immobiliari Etici, previsto dalla normativa vigente ed attivo a livello nazionale da un paio
di anni con il protagonismo della Cassa Depositi e
Prestiti. E’infatti pienamente operativo il Fondo Investimenti per l’Abitare (FIA) che ha una dotazione
di capitali di oltre 2 miliardi e che può partecipare
a Fondi locali. Dal dicembre 2012 è anche operativo, promosso da alcuni operatori prevalentemente cooperativi, il Fondo Housing Toscano (FHT) che
ha visto finora anche la sottoscrizione di CDPi e di
Unipol. Il Fondo Toscano ha in cantiere numerose
iniziative, che interessano diverse realtà territoriali
e vedono protagonisti anche alcuni Comuni e di
fatto si configura come una piattaforma regionale
per iniziative di housing sociale. Mi sembra si debba considerare un esempio virtuoso di collaborazione pubblico-privato per dare risposta ad un bisogno sociale in crescita, con una attenzione prevalente ad interventi nel tessuto urbano esistente,
dove maggiore è il bisogno e adottando soluzioni
innovative sul piano delle tecnologico. Consapevoli che si tratta di uno strumento, che però può
essere utile ad una politica che guardi alla città nella sua complessità e orienti in tal senso le necessarie scelte e gli incentivi che le competono.
14
Le buone idee in giro per il web
Anche in Italia arriva
l’edicola digitale di Google
Il portafoglio nello smartphone
Un’ edicola virtuale, dove sarà possibile consultare
edizioni gratuite o acquistare i principali quotidiani
online
U
na app per smartphone
e tablet su piattaforma
android già lanciata con
successo in USA, Gran Bretagna,
Canada e Australia è oggi disponibile sul Google play store in
italiano. Aprirla sarà quasi come
recarsi in edicola: quotidiani, periodici di informazione, riviste
femminili e pubblicazioni specializzate, edizioni a pagamento
o completamente gratuite, il tutto consultabile con un semplice
tocco direttamente dall’applicazione. La Stampa, Il Sole 24 Ore,
L’Espresso, Panorama, Cosmopolitan, Donna Moderna sono
solo alcuni nomi dei principali
quotidiani a pagamento attualmente disponibili. Gli editori
avranno la possibilità di creare
Aprile 2014
edizioni gratuite (come avviene
nel caso di testate quali il Corriere dello Sport, Il Giornale, Italia
Oggi, Milano Finanza, Quotidiano.net) edizioni supportate dalla
pubblicità o completamente a
pagamento. ”Siamo particolarmente orgogliosi che l’Italia sia il
primo paese, dopo quelli di lingua inglese, a mettere a disposizione degli editori le funzioni più
avanzate di Google Play” - spiega
Luca Forlin, head of International Partnerships per Google Play
Edicola - “Google Play Edicola va
ad arricchire le aree di collaborazione tra Google e gli editori
e offre agli utenti una soluzione
davvero semplice e comoda per
fruire dei contenuti di qualità
che preferiscono”. ALTRI MERIDIANI
In tre anni stimata crescita del Mobile
Payment oltre i 40 miliardi
S
econdo i dati emersi
dalla ricerca condotta
dell’Osservatorio Mobile & App Economy, nel 2013
la Mobile Economy in Italia ha
raggiunto il valore di 25,4 miliardi di euro (ovvero l’1,6% del
PIL) con previsione di crescita
nei prossimi tre anni oltre i 40
miliardi (il 2,5% del PIL). All’interno di questo quadro è previsto un aumento considerevole
anche del Mobile Commerce e
Mobile Payment che secondo
le previsioni quadruplicherà il
suo valore rispetto a oggi. Telecom Italia e Vodafone i gestori
telefonici italiani che si sono
affacciati con maggior convinzione sul mercato delle transazioni economiche effettuate
tramite telefono cellulare: Il
primo ha stretto accordi con Intesa Sanpaolo, Banca Mediolanum, BNL Gruppo BNP Paribas,
UBI Banca e CartaSi, e lancerà
presto servizi di mobile proximity payments che consentiranno ai propri utenti di avviare pagamenti presso terminali
POS abilitati in Italia e in tutto il
mondo. L’offerta commerciale
di Vodafone, invece, realizzata
in collaborazione con Mastercard e CartaSì, consentirà dal
29 aprile l’acquisto o la sostituzione di una Sim con tecnologia Nfc per attivare la carta di
credito contactless Smart Pass
virtualizzata sullo smartphone.
Porto Volontario
Il Cesvot presenta in collaborazione con
uido.org “Porto Volontario” il primo social
network toscano del terzo settore
G
razie alla collaborazione con uidu.org,
Cesvot ha realizzato il primo network sociale
toscano geolocalizzato che
permette a organizzazioni
nonprofit, volontari e cittadini di interagire fra loro, contribuendo a diffondere la cultura del volontariato attraverso
gli strumenti messi a disposizione dal web. “Porto Volontario” si configura come uno
spazio aperto, che permette
di coordinare e diffondere
online le attività di volontariato sfruttando aspetti quali
la geolocalizzazione, l’interazione tra utenti, i principi di
comunità e viralità tipici dei
social. Per i cittadini sarà pos-
sibile conoscere il profilo di
ogni associazione, il numero
e le competenze di volontari di cui necessita, scoprire le
iniziative organizzate all’interno del proprio ambito territoriale, condividere appelli e
contribuire o avviare raccolte
fondi. “Il progetto rappresenta un servizio innovativo
di networking e consulenza/
formazione e un’importante
sfida per Cesvot e per il volontariato toscano - spiega
Federico Gelli, presidente del
Cesvot - il mondo del volontariato finalmente coglie a
pieno titolo le enormi opportunità rappresentate dal web”.
15
Elezioni 2014: Cosa cambia col Ddl Delrio
1
I Sindaci dei comuni sotto i 3.000 abitanti possono candidarsi per un terzo mandato
Con l’entrata in vigore della L.56/2014 su “Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province,
sulle unioni e fusioni di comuni” (c.d. Riforma Delrio) 27 sindaci toscani attualmente giunti al
secondo mandato avranno la possibilità di candidarsi per una terza volta.
I Sindaci toscani al secondo mandato
Comune
Prov
Nome Sindaco
Bagnone
MS
Lazzeroni Gianfranco
Careggine
LU
Puppa Mario
Castel San Niccolò
Castell’Azzara
AR
GR
Renzetti Paolo
Mambrini Marzio
Castiglione di Garfagnana
LU
Giuntini Francesco
Castiglione d’Orcia
Chianni
Chiusi della Verna
Giuncugnano
Guardistallo
Lajatico
Minucciano
Monterchi
Montescudaio
Monteverdi marittimo
SI
PI
AR
LU
PI
PI
LU
AR
PI
PI
Savelli Fabio
Mancini Francesca
Betti Umberto
Reali Fabio
Gruppelli Mauro Giuseppe Ettore
Tedeschi Fabio
Davini Domenico
Boncompagni Massimo
Pellegrini Aurelio
Giannoni Carlo
Murlo
Podenzana
Radicofani
San Casciano dei Bagni
San Giovanni d’Asso
San Romano in Garfagnana
Santa Fiora
Seggiano
Tresana
Vagli Sotto
Villa Basilica
Villa Collemandina
SI
MS
SI
SI
SI
LU
GR
GR
MS
LU
LU
LU
Loia Antonio
Varese Riccardo
Magrini Massimo
Picchieri Franco
Boscagli Michele
Mariani Pier Romano
Verdi Renzo
Rossi Daniele
Valenti Oriano
Puglia Mario
Ballini Giordano
Tamagnini Dorino
Aprile 2014
Scadenze Mandato Pop. 2011
2014
2°
1926
2014
2°
584
2014
2°
2739
2014
2°
1601
2014
2°
1860
2014
2°
2453
2014
2°
1457
2014
2°
2058
2014
2°
469
2014
2°
1254
2014
2°
1376
2014
2°
2221
2014
2°
1822
2014
2°
1958
2014
2°
778
2014
2°
2388
2014
2°
2142
2014
2°
1151
2014
2°
1637
2014
2°
898
2014
2°
1459
2014
2°
2702
2014
2°
1004
2014
2°
2085
2014
2°
991
2014
2°
1700
2014
2°
1363
2
Riduzione Assessori e Consiglieri
Comunali nei comuni sotto i 10.000 abitanti
La riforma Delrio modifica anche la composizione numerica dei Consigli comunali degli enti
con popolazione fino a 10.000 abitanti. Il comma 135 dell’articolo 1 prevede che, nei comuni
fino a 3.000 abitanti, il Consiglio comunale sia composto oltre al sindaco da 2 assessori e 10 consiglieri, mentre nei comuni sopra 3.000 e fino a 10.000 abitanti da 4 assessori e 12 consiglieri.
Comuni fino a 3.000 abitanti
+
Assessori
+
2
10
Consiglieri
Comuni tra 3.000 e 10.00 abitanti
+
Assessori
4
+
12
Consiglieri
Per saperne di più
Il testo pubblicato in gazzetta ufficiale
Le slide del Governo
La nota di lettura di Anci
Nota di orientamento Anci su composizione liste elettorali
Circolare del Ministero dell’ Interno
16
Media e immigrazione: uscire dall’anonimato
Intervista a Aladji Cellou Camara Presidente ANSI Toscana, a cura di Sara Denevi
lavoro è stata l’apprendimento della
lingua. Comunque dopo sette anni di
permanenza in Italia sto ancora correndo dietro al mio primo vero lavoro.
Certo posso fare qualche intervista al
mattino, lavorando quindi come giornalista, poi però devo fare quello che
capita al pomeriggio e continuerò
certamente a fare così per dimostrare, per primo a me stesso, che vivo in
dignità e perché senza lavoro non c’è
possibilità di integrazione.
Ha menzionato prima l’esigenza di parlare dei temi legati
all’immigrazione in senso positivo. Che cosa significa per lei?
Lei è il presidente del gruppo
dell’Associazione
Nazionale
Stampa Interculturale che da
circa una anno si è costituito
in Toscana, parliamo di come
è nata l’esigenza di realizzare
questa esperienza.
Ansi esisteva già a livello nazionale,
la Toscana è stata la prima regione
che ha messo in campo una struttura regionale dedicata. Il nostro sta-
Aprile 2014
tuto è stato poi approvato da AST
Toscana che ci ha sostenuto anche
nell’individuare i giornalisti di origine straniera e per veicolare il lavoro. A livello toscano sono stati contattati dieci giornalisti attraverso
il progetto Prospettive, individuati
anche grazie al sostegno ed al lavoro del COSPE. L’esigenza è stata
quella di parlare dei temi dell’immigrazione in senso positivo e far
riprendere il mestiere ai giornalisti
di origine straniera, con la finalità di
farli uscire dall’anonimato. L’obiettivo è anche quello di dare valore ad
una esperienza, quindi, diversa da
quella dei giornalisti italiani, dare
un altro sguardo perché chi proviene da una realtà specifica ha sensibilità diversa nel trattare uno stesso
argomento.
Lei come molti altri giornalisti
arrivati nel nostro Paese ha incontrato diverse difficoltà lavorative...
Io per trovare qualche lavoro ho dovuto cambiare il mio curriculum anche perché ho fatto lavori di manovalanza e per trovarli mi hanno fatto chiaramente capire che dovevo
ridimensionarlo. La prima difficoltà
in tutti i sensi e quindi anche per il
Significa che dentro questo oceano
di dolore ci sono persone a cui è necessario dare un volto, non di meno
fornire un’altra immagine dell’immigrazione rispetto a come viene deformata spesso dai mezzi di informazione. Esistono storie belle e vere, nella
difficoltà e nella miseria, di persone
che si danno da fare per cambiare anche il modo in cui l’immagine dell’immigrazione viene veicolata in questo Paese. Sono storie importanti da
raccontare e che permettono anche
a chi ha timore di avvicinarsi a storie
di vita molto diverse dalla propria di
farlo senza avere pregiudizi. Senza la
possibilità di raccontare queste storie
di vita, sarà sempre difficile parlare di
questo tema mentre i media hanno
sempre contribuito a diffondere una
certa paura e un certo allarmismo di
fondo.
Segue a pag. 18
17
Ansi toscana
Media e immigrazione: uscire dall’anonimato
Segue da pag. 17
Il ruolo dei mezzi di comunicazione
rimane fondamentale per avvicinare il cittadino italiano a quello straniero che si è spostato alla ricerca di
un futuro migliore.
A suo parere quali sono
gli stereotipi più ricorrenti?
Oramai sono piuttosto abituato a
scontrarmi con una immagine negativa legata all’immigrazione. Una
immagine profondamente falsa
trasmessa dai mezzi di comunicazione è, per esempio, quella degli
sbarchi: persone viste come se fossero poveri diavoli che poi si dice
ottengano ben 40 euro al giorno in
quanto profughi accolti nel circuito
SPRAR, mentre è evidente che molti
italiani non hanno neppure 30 euro
al giorno per vivere. Io son sicuro
che esistano buoni programmi di
sostegno per i richiedenti asilo ma
veicolare questo tipo di situazione
è falso, nella cifra giornaliera attribuita ad ogni persona che si trova a
gravitare in un sistema come quello
dello SPRAR ci sono molte cose da
considerare, in primis lo stipendio
degli operatori che lavorano nei sistemi di accoglienza. Io ho vissuto
in un centro e so che rimanevano
2 euro al giorno da poterci gestire. Questo è un chiaro esempio per
far ribellare i cittadini italiani verso quelli stranieri. Fortunatamente
esistono strumenti come la Carta
di Roma per osservare la massima
Aprile 2014
attenzione nel trattamento delle informazioni concernenti i richiedenti
asilo, i rifugiati, le vittime della tratta ed i migranti nel territorio della
Repubblica Italiana. Questo Paese è
considerato una terra di passaggio,
lo sanno i cittadini stranieri e lo sa
il Governo, quindi molti migranti si
recano qui per chiedere i documenti e poi lasciare il paese. Caso esemplificativo di quanto sto dicendo è
che nel 2011, in piena emergenza
Nord Africa, lavoravo come operatore in un centro gestito dalla Caritas dove sono stati accolti molti cittadini tunisini. Avevo un contratto
di sei mesi ma ho lavorato solo una
settimana dopo la quale il centro
è stato chiuso perché la maggior
parte delle persone se ne era andata. Direi quindi che l’invasione a
seguito degli sbarchi, così come i
media trasmettnoo, non esiste proprio. Rimane infatti una percentuale bassissima in Italia dei richiedenti
asilo che toccano le sponde italiane
senza contare che, pur senza documenti, molti preferiscono abbandonare il Belpaese a causa della pessima gestione dei centri di prima
accoglienza per recarsi in Belgio e
in Francia.
Parlano di lei come
rifugiato”doc”: ex direttore di
un giornale in Guinea Conakry, in fuga per i suoi articoli e
accolto dalla Fnsi...
Il mio visto più lungo era quello
italiano e quindi mi sono recato in
Italia ma pensando, fin da subito, di
cambiare Paese. Purtroppo mancano accordi tra gli Stati, io ho cercato
di avviare un trasferimento di competenze in un altro paese ma non
è stato possibile. Ero molto preoccupato per la barriera linguistica e
per il mio lavoro dal momento che
sapevo solo scrivere e non conoscevo questa lingua. In tal senso è stato
molto difficile superare questo momento, bisogna andare a scuola per
imparare bene ad esprimersi e molti
corsi sono a pagamento inoltre per
me era molto difficile trovarmi nella condizione di dover esser aiutato
poiché nel mio Paese da quando
avevo diciotto anni ho iniziato a lavorare senza problemi. Comunque
in Italia è stata accettata la mia richiesta e ho ottenuto lo status, ora
da cittadino italiano ho la possibilità di andare a vivere dove ritengo
e quindi ho deciso che ritornerò in
Guinea non appena possibile. In
Italia ci sono molti bravi giornalisti,
hanno sicuramente più bisogno di
me nella mia terra di origine dove il
giornalismo non è soltanto scrivere ma significa lavorare per partecipare allo sviluppo intellettuale e
culturale di un paese. Lì facendo il
mio lavoro non sono diventato un
uomo ricco ma mi sono sempre arricchito della consapevolezza che il
mio lavoro fosse importante per il
mio paese, per i miei connazionali,
per lo sviluppo locale.
18
CARTA DI ROMA
Un codice
deontologico
per eliminare
i pregiudizi
di Giovanni Maria Bellu, Presidente di Carta di Roma
L
a Carta di Roma, protocollo
deontologico concernente
richiedenti asilo, rifugiati,
vittime della tratta e migranti, approvato dal Consiglio nazionale
dell’ordine dei giornalisti nel giugno
del 2008, è il punto d’arrivo e di sintesi di un dibattito cominciato molto tempo prima, all’inizio degli anni
Novanta, in coincidenza con l’ingresso stabile nelle cronache del tema
dell’immigrazione.
A innescare il processo che ha portato all’approvazione della Carta di
Roma è stato il caso di Azouz Marzouk, cittadino tunisino, padre e marito di due delle vittime della “strage
di Erba”, indicato in un primo tempo
da tutti gli organi d’informazione
come responsabile del delitto in re-
Aprile 2014
altà compiuto dai coniugi Olindo e
Rosa Romano, vicini di casa delle vittime, poi condannati all’ergastolo.
Le dinamiche di quella specifica
sventurata vicenda giornalistica
sono state decisive per l’elaborazione del codice deontologico. Si trattò
di un grave errore professionale determinato fondamentalmente dalla
mancata verifica di una notizia fornita in modo approssimativo da una
fonte ufficiale (il procuratore capo
di Como), ripresa pedissequamente
dalla principale agenzia nazionale di
stampa e rilanciata da tutti gli organi
d’informazione.
Un errore che sarebbe stato evitato
se la vicenda fosse stata trattata con
la diligenza che ordinariamente si
dedica a vicende di tale gravità. Il
caso di Azouz Marzouk rese chiaro
che il pregiudizio xenofobo non è
un ostacolo al giornalismo buono,
o buonista, ma semplicemente al
buon giornalismo.
Si discusse a lungo nel “comitato
scientifico” sull’opportunità di individuare specifiche sanzioni disciplinari
per quanti avessero violato la Carta
di Roma. Alla fine si arrivò alla conclusione che andava utilizzato il sistema disciplinare già esistente. Che
affida il potere di avviare l’istruttoria
e di comminare la sanzione (o di decidere il proscioglimento) agli ordini
regionali dei giornalisti.
Una decisione che si è rivelata coerente con l’impostazione iniziale,
quella che ha consentito di varare il
codice deontologico e, soprattutto,
di farlo accettare in modo pressoché unanime dalla categoria.
Le violazioni della Carta di Roma
sono errori professionali come gli
altri, con la differenza che avvengono in un ambito nel quale il pregiudizio (che è un errore di impostazione professionale) può favorirli.
La conseguenza di questa impostazione è che un giornalista contrario
all’abrogazione del reato di immigrazione clandestina può e deve rispettare la Carta di Roma senza che
ciò implichi la rinuncia alle sue pur
discutibili convinzioni politiche.
Nel dicembre del 2011, quasi tre
anni dopo l’approvazione del codice deontologico, nasce l’associazione che deve garantirne l’applicazione.
Tra i compiti dell’Associazione
Carta di Roma – oltre alla formazione degli operatori dei media
– c’è anche il monitoraggio degli
organi d’informazione. Attraverso
quest’attività vengono individuate
le violazioni che, nei casi più gravi,
danno luogo a esposti destinati agli
ordini professionali regionali. In definitiva, con l’Associazione Carta di
Roma i giornalisti condividono con
le associazioni della società civile il
potere di sollecitare i procedimenti
disciplinari. Una “cessione di sovranità” un tempo impensabile che è stata resa
possibile dal carattere rigorosamente professionale di questo codice deontologico. 19
il linguaggio
dei midia
Oltre il lessico della paura
di Anna Meli, Associazione Carta di Roma
I
n questi ultimi anni si sono moltiplicate le pubblicazioni sul “lessico della
paura”1 e sulle “parole sporche”2 che i
mezzi di comunicazione hanno utilizzato e ancora in parte utilizzano per raccontare un fenomeno complesso come quello
della migrazione. Risale però addirittura al
1998 la rubrica “Le parole che escludono”,
curata mirabilmente da Giuseppe Faso in
questo inserto.
1. Giulio Di Luzio, Clandestini. Viaggio nel vocabolario della paura,
Ediesse, Roma, 2013.
2. Lorenzo Guadagnucci , Parole sporche. Clandestini, nomadi,
vu cumprà: il razzismo nei media e dentro di noi, Altreconomia,
Milano, 2010.
Aprile 2014
La riflessione sulla metamorfosi sia delle
parole che usiamo quando parliamo di immigrazione, sia dei loro significati sta coinvolgendo non solo esperti e linguisti 3, ma
anche i giornalisti che delle parole fanno
uso quotidiano.
La Carta di Roma, ovvero il codice deontologico su migranti e richiedenti asilo siglato dagli organismi di categoria del giornalismo italiano (FNSI e CNOG) nel 2008 sta
progressivamente entrando nelle redazioni, grazie anche all’attivismo dell’omonima
3. Vedi anche Francesco Benigno, Parole nel tempo. Un Lessico per
pensare la storia, Viella, Roma, 2013
associazione, nata alla fine del 2011 per
promuoverne la piena attuazione (www.
cartadiroma.org).
Gli incontri promossi nelle redazioni, Repubblica, TG5, Corriere della Sera tanto per
citarne alcuni, sono occasioni di confronto
con gli operatori dell’informazione anche
sul linguaggio e l’uso di glossari più appropriati per parlare di immigrazione.
Le linee guida per l’applicazione della Carta di Roma riportano in appendice sia il
glossario proposto dal codice deontologico con la spiegazione dei vari termini, sia
indicazioni pratiche per gli ambiti di mag-
giore criticità del racconto giornalistico
dell’immigrazione. La cronaca, riportare il
discorso politico, le attenzioni dovute nelle interviste a rifugiati e richiedenti asilo e
così via. L’osservatorio di Carta di Roma ha registrato una progressiva diminuzione dei termini più stigmatizzanti e un certo cambio di
prospettiva rispetto ad alcune cronache e
relative titolazioni.
Ma se ad esempio sul termine clandestino
e sulle differenze tra migranti economici e
richiedenti asilo la presa di coscienza del
mondo del giornalismo sembra iniziata,
più difficile sembra essere il compito quando si parla di minoranze Rom e Sinti. La loro
l’appartenenza culturale è sempre sottolineata anche laddove non necessaria alla
comprensione della notizia. Si va dall’inutile attribuzione anche ai minori “Milano,
muore una neonata rom: familiari all’assalto dell’ospedale”4 fino al paradossale “Uno
zingaro (nomade o Rom), Giovanni B., 73
anni che viaggiava a bordo di un’Ape-Piaggio con traino e la moglie Antonia, è stato
travolto da un’Alfa Romeo, proprio all’altezza del Bivio per Saline-Est. “5
Il prezioso lavoro della recente pubblicazione “Parlare civile” (a cura di Redattore
Sociale, Mondadori, Milano, 2013) offre un
ampia ed esaustiva casistica di parole su
cui riflettere, con un taglio a servizio degli
operatori dell’informazione.
4. La Repubblica.it. 9 luglio 2013
5. MNews.it, 29 agosto 2013.
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PROSPETTIVE
ALTRE
Un’informazione capace di leggere la complessità
di Karim Metref, Coordinatore editoriale di Prospettive Altre
P
rospettive Altre è un a pagina di informazione specializzata in notizie, analisi e
opinioni sull’immigrazione
e la multiculturalità. É nato in seno a
un progetto europeo intitolato Media4Us . Una iniziativa europea per
creare, in ognuno dei 7 Paesi europei
partecipanti, una testata online con
redazioni composta prevalentemente da immigrati e figli di immigrati
non comunitari, che tenta di raccontare i cambiamenti della società senza allarmismi né imbonimenti. Come
per rendere l’immagine di una società
europea in via di cambiamento continuo sia dal punto di vista sociale
ed economico che dal punto di vista
culturale. Una Europa in cerca di se
stessa, in una dimensione nuova, che
tiene conto anche dei milioni di cittadini provenienti dai 5 continenti che
ci vivono.
Prospettive Italia portato avanti
dall’Ansi (Associazione Nazionale
Stampa Interculturale) e dalla Ong
italiana COSPE , decise di non vivere
soltanto il tempo di consumare il finanziamento europeo -come ahimè
succede spesso in questi casi- ma di
andare avanti cercando di diventare
una realtà mediatica vera, presente e
attiva sul campo. Certo non può essere che una presenza di dimensioni
modestissime, in questi tempi di reti
e gruppi giganti. Ma le dimensioni
ridotte non impediscono l’originalità
e la credibilità. E questi sono i nostri
Aprile 2014
obiettivi principali.
La particolarità di Prospettive Altre
rispetto alle altre testate che sul web
trattano del tema dell’immigrazione
sono i suoi collaboratori. Infatti, la
nostra redazione è composta da 13
redattrici e redattori di diverse provenienze, nazionalità, culture e percorsi.
Alcuni sono immigrati di prima generazione, altri sono giovani nati in Italia
nella condizione di “italiani con il passaporto diverso” che vivono i figli dei
migranti nel nostro Paese. Oltre alla
redazione fissa, una rete di collaboratori e di esperti arricchisce i contenuti
del sito in modo particolare per quanto riguarda aree di specializzazione
come lo sport, l’economia, l’arte…
Ovviamente, come è ben noto, non
è facile lanciare una testata nuova di
questi tempi. La rete è sovraffollata di
informazione e la concorrenza è più
dura che mai, ma la nostra speranza è quella di poter trovare spazio in
questo spietato mondo virtuale per
far passare una informazione ricca e
rispettosa delle persone, piacevole
ma non spettacolarizzata, attenta al
locale e al globale nello stesso tempo. Trovare spazio con notizie diverse,
con una informazione pacata e riflessiva. Che cerca di leggere la complessità invece di semplificare con titoloni
ad effetto.
Il sito serve anche da palestra per formare una redazione giovane, cercare
di ampliare progressivamente la rete
di collaboratori sparsi sul territorio
nazionale. E a questo proposito, è in
corso l’iter di registrazione come testata giornalistica presso il Tribunale
di Torino (la risposta è imminente).
Si tratterebbe del primo caso di testata con direttrice non comunitaria,
Domenica Canchano. La legge sulla
Stampa risalente al 1948 infatti impedisce ai giornalisti che non hanno
il passaporto comunitario di diventare direttori responsabili di giornali,
riviste, tv e radio, anche se esercitano da anni in Italia e sono iscritti
all’Ordine dei giornalisti. Porteremo
avanti questa battaglia importante
per rendere effettivo il diritto all’informazione, non solo per riceverla
quindi, ma anche per farla. E il ministero della giustizia interpellato a
questo proposito a dichiarato superata tale discriminazione e ha emesso una nota a favore dell’iscrizione
di cittadini extra-Eu come direttori responsabili (vedi il comunicato
dell’ANSI INSERIRE LINK http://www.
prospettivealtre.info/2014/03/direttori-responsabili-non-italiani-il-parere-favorevole-del-ministero-dellagiustizia/)
Anche se confrontato ai soliti problemi di risorse economiche, il progetto
sta compiendo il suo secondo anno
di vita e la qualità della produzione è
visibilmente migliorata. Più contenuti multimediali, più riflessioni sul proprio territorio, più notizie originali.
Insomma, altre prospettive.
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“LA PAROLA
ALLE DONNE”
La rappresentazione mediatica della figura femminile
di Elena Cinelli
N
egli anni la donna è riuscita a conquistarsi un ruolo
nella società, svolgendo in
alcuni casi incarichi pretta-
Aprile 2014
mente relegati ad una figura maschile.
Nonostante questo mutamento sociale ancor oggi permane una diversità di
genere sia in ambito professionale sia
privato che grava sulla totale affermazione della donna nella società. Questo in parte è dovuto alla presenza di
stereotipi femminili imposti dai media
che spesso rappresentano le donne
come soggetti deboli o ancora peggio
oggetti del desiderio.
Questo è uno dei temi trattati dal corso “La parola alle donne” organizzato
da Cospe in collaborazione con Associazione Stampa Toscana e ANSI- Associazione Nazionale Stampa Interculturale a cui partecipano 12 giornaliste
ed operatrici della comunicazione italiane e straniere residenti o domiciliate
in Toscana. Perché questo corso? Le
stime mostrano come il settore giornalistico sia stato uno dei primi ad
essere colpito dalla crisi e soprattutto
le donne straniere riscontrano difficoltà ad affermarsi sul campo. Obiettivo
del corso: valorizzazione della figura
femminile attraverso la decostruzione degli stereotipi associati al genere,
promozione di un’auto-rappresentazione della condizione femminile nel
mondo del lavoro più possibile libera
da discriminazioni che miri alla realizzazione di una cittadinanza di genere
inclusiva e plurale. Un valore aggiunto
della proposta formativa è l’elemento
interculturale che pone un’ulteriore
riflessione sulla condizione lavorativa
femminile in Italia in cui la popolazione immigrata è ormai stabile da molti
anni e perlopiù composta da donne.
Anziché contrapporre le differenze
delle cittadine di origine straniera rispetto alle autoctone l’attenzione viene posta sulla condizione delle donne
in ambito lavorativo indipendente-
mente dall’origine.
La maggior parte delle partecipanti
sono iscritte all’ordine dei giornalisti
ed hanno una buona esperienza lavorativa nel settore con la volontà di puntare sulla formazione in un momento
di crisi del settore editoriale. Questo
percorso potrà essere anche l’occasione per accrescere professionalità da
investire nel mondo del lavoro.
Tra i docenti Laura Grimaldi, collaboratrice del blog “Un altro genere di
comunicazione” esperta in analisi e
decostruzione della rappresentazione
di genere nei media, Isabella Mancini,
giornalista e blogger, Annamaria Tognetti, formatrice e Presidente della
Commissione Pari Opportunità della
Provincia di Pisa, Chiara Brilli, giornalista radiofonica, Mercedes Frias, parlamentare dal 2006 al 2008 e Presidente dell’associazione sui diritti degli
immigrati, profughi e richiedenti asilo,
Susanna Bonfanti, giornalista, cronista
e conduttrice di telegiornali e trasmissioni televisive.
La finalità del corso sarà l’acquisizione
di competenze necessarie, tra cui nozioni teoriche ed esercitazioni tecniche
sull’utilizzo di strumenti multimediali,
per lo sviluppo di 6 reportage volti a
raccontare storie di donne all’interno
del mondo del lavoro che saranno diffusi attraverso diversi canali mediatici
e presentati all’interno di un evento
pubblico.
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