La regina Amata nell’Eneide: tra critica letteraria e antichi rituali latini Di Silvia Luscia L’Eneide, il poema che celebra la grandezza della romanità, è ancora oggi un bacino letterario archeologico per la scoperta di antichi riti della tradizione dell’ambiente lavinate. L’indagine che ci proponiamo di svolgere seguirà il personaggio della regina Amata, un personaggio apparentemente secondario nel poema, poco indagato dalla critica, ma che è essenziale per comprendere l’insediamento di Enea nel territorio latino. Le occorrenze più numerose della regina Amata nell’ Eneide si trovano nella seconda esade, là dove Virgilio si appresta a celebrare la vittoria dei Troiani sul territorio in cui Amata e il marito Latino esercitavano il proprio potere regale. Dal mito la figura di Amata trasla presto nella narrazione poetica, ma non riesce a occuparne un posto di preminenza, come accade invece, per esempio, per Didone, l’altra grande regina dell’Eneide da cui proprio il carattere passionale di Amata molto dipende. E’ per questo, forse, che la figura della regina dei Latini non ha goduto di grande attenzione da parte di letterati e critici 1. Solo recentemente la critica contemporanea ha cercato di analizzare questo personaggio e il suo emblematico suicidio nel XII libro, unico, per la sua modalità legata all’impiccagione, nell’Eneide. Proprio da questa morte è possibile riscoprire l’antico rituale bacchico degli oscilla nell’ ager romanus. I risultati di questo lavoro non hanno portato però ancora a una concorde lettura della figura della regina Laurens. C’è chi ha voluto rintracciare nel suo personaggio un’esistenza storica che ne fa addirittura la prima vestale di Lavinium, ma un’indagine in questo senso è subito ostacolata dalla mancanza di fonti archeologiche a cui attingere 2. Va quindi preliminarmente precisato 1 che la sua Amata rimane esclusa anche dalla fortuna che tra la fine del 1600 e gli inizi del 1700 investe altre eroine dell’Eneide virgiliana che divengono protagoniste della moda del melodramma. E’ il caso di Camilla nel Trionfo di Camilla, regina de’ Volsci di G. Bononcini (1696) e di Didone nelle più famose opere Didone delirante di A. Scarlatti (1696), Didone di Metastasio (1723) o Didone abbandonata di N. Piccinni (1769). 2 Sul personaggio non abbiamo alcuna testimonianza archeologica, poiché va escluso il tentativo compiuto da Alföldi di ritrovare Amata insieme con Latino, Lavinia ed Enea in una scena raffigurata sulla così detta cista Pasinati, ormai riconosciuta come un falso moderno. LA PENNA in Enciclopdia Virgiliana Roma 1984, p.126, smentisce la tesi di A. ALFÖLDI, Early Rome and the Latins, « Jêrome Lectures »VII (1964), p.257, che considera la cista un’originale prenestina, sul cui coperchio compare la raffigurazione della conclusione delle fatiche di Enea. Latino è raffigurato al centro della composizione, in aspetto venerando, barbato, con una corona in testa ed un mantello che gli copre la spalla sinistra, ricade sulle gambe e gli lascia scoperto il petto. Con la destra egli stringe la mano di Enea e la sinistra è tesa in alto in un gesto invocante la pace. Alla sinistra del re compare una ninfa cui segue la figura di Lavinia che si libera dall’abbraccio di una donna che L. ROCCHETTI biografia è maggiormente certificata in sede letteraria che non storica, e precisamente (ma non solo) nell’Eneide virgiliana, che sarà modello per l’unica successiva ripresa della figura di Amata in età medioevale ad opera di Dante 3 nella Divina Commedia. Scartata quindi a oggi la possibilità di una dimostrazione della storicità di Amata, a prevalere su tutto è l’aspetto leggendario della regina, la cui immagine e il cui spessore si sono però fortemente impoveriti nel tempo. Si parte quindi dalla lettura del testo virgiliano per indagare qui i rapporti che intercorrono con la tradizione romana più antica e popolare, svelando definitivamente il suo ruolo di capro espiatorio in una guerra che avrà come esito la fondazione di Roma quale caput mundi, tramite l’informe letum che caratterizza discesa all’Ade di Amata. Virgilio ha scelto per Amata la morte per impiccagione come finale del suo tragico tentativo di opporsi al volere dei numi e ai doveri della storia. Nella battaglia del XII Libro seguita alla rottura della tregua tra Latini e Troiani, prima che Turno si decidesse al duello finale, Enea attaccò la capitale dei Latini 4. Ecco che allora un’altra, più grave, disgrazia si abbatté sugli avviliti Latini, commuovendo l’intera città con un grave lutto. Quando Amata vide dalla sua casa arrivare il nemico, le mura scavalcate, il fuoco che ormai raggiungeva i tetti e che da nessuna parte né i battaglioni rutili, nell’ Enciclopedia dell’arte antica, Roma 1960, pp.498-499, identifica con Amata, raffigurata in atteggiamento concitato. Alla sinistra di Enea due guerrieri portano il cadavere di Turno seguito dal genio della morte con la fiaccola. Lungo l’orlo inferiore della scena è raffigurato un dio fluviale, che lo stesso Rocchetti identifica con il Tevere, tra un sileno ed una ninfa. Questa raffigurazione veniva considerata precedente di circa due secoli alla narrazione virgiliana. 3 Il personaggio della regina Amata è rintracciabile anche in alcune opere minori del Boccaccio, ma in queste non si può assolutamente parlare di una rielaborazione poetica della fonte. Si tratta esclusivamente di un lavoro riassuntivo del VII e parte del XII libro dell’Eneide. Nel De mulieribus claris al capitolo XLI, intitolato De Lavinia Laurentum regina, Boccaccio cita tre volte il nome di Amata, ne ricorda il suicidio e presenta Amata come avia di Turno: Lavinia Laurentum regina […] Latini regis et Amate coniugis eius filia fuit unica; [ …] a Turno Rutulorum rege ardentissimo iuvene in coniugium instantissime petebatur eique ex eo spem fecerat Amata mater, que, avia, desiderio nepotis favebat intense. […] ab Enea in Lavinie numptias itum est, mortua iam ob indignationem Amata laqueo. V. Zaccaria, De mulieribus claris, Milano 1970, p. 167, traducendo il termine avia, mostra come Boccaccio presenti una sua personalissima e non tradizionale versione dei rapporti tra Turno e la regina stessa che ne diviene la nonna. In questo caso Boccaccio si contraddirebbe con quanto detto poco prima, cioè che Lavinia era l’unica figlia di Amata e Latino. A mio parere il termine avia usato da Boccaccio va invece inteso più genericamente nel senso di parente e non specificatamente tradotto con “nonna” . Il nome di Amata compare ancora nelle Esposizioni sopra la Comedia di Dante nel commento a Inf., IV, 126 quando Boccaccio presenta la genealogia di Lavinia. 4 12, 574 – 592. né i reparti di Turno correvano a fronteggiarlo, s’immaginò che il giovane fosse caduto in battaglia. L’infelice, turbata dal dolore improvviso incolpò sé soltanto d’essere la cagione d’ogni male: impazzita, urlando nel suo dolore maledizioni, si strappò le vesti purpuree con la mano, decisa a farla finita 5: et nodum informis leti trabe nectit ab alta 6. I commentatori virgiliani hanno subito notato delle difficoltà nel capire perché Virgilio avesse scelto proprio questo tipo di morte. Il primo a segnalare il problema è stato Servio: alii dicunt, quod Amata inedia se interemit. Sane sciendum quia cautum fuerat in pontificalibus libris, ut qui laqueo vitam finisset, insepultus abiceretur: unde bene ait “ informis leti”, quasi mortis infamissimae 7. Egli ci informa quindi che, secondo le disposizioni pontificali, chiunque si fosse suicidato per impiccagione doveva essere abbandonato senza sepoltura. In questo atto c’era quindi qualcosa di più infamante ancora che il suicidio stesso: non avere diritto agli onori funebri e alla sepoltura senza entrare in contatto diretto con la terra. Chi si macchiava di tale morte era condannato a errare in un luogo fatale per purificarsi 8. 5 12, 593 – 602: Accidit haec fessis etiam fortuna Latinis, / quae totam luctu concussit funditus urbem. / Regina ut tectis uenientem prospicit hostem, / incessi muros, ignis ad tecta uolare, / nusquam acies contra Rutulas, nulla agmina Turni, / infelix pugnae iuuenem in certamine credit / exstinctum et subito mentem turbata dolore / se causam clamat crimenque caputque malorum, / multaque per maestum demens effata furorem / purpureos moritura manu discindit amictus. 6 12, 603: Virgilio sceglie per Amata la morte tramite impiccagione e nel definire infamante la sua morte si nota una certa ripugnanza nel mondo romano per questo tipo di morte. Questo tipo di morte fa sì che Amata, al contrario per esempio dell’altra grande regina suicida, Didone, non mantenga sino all’ultimo la sua dignità regale. Ciò non toglie però drammaticità alla sua figura, prima di furibonda baccante in 7,385 – 405 e ora di suicida come un’infelice eroina del mondo greco più che romano ( riferimenti alla figura di Giocasta nell’Odissea 11,277 – 280 con chiare corrispondenze lessicali al verso che sancisce la morte di Amata; ancor più i richiami vanno alla tragedia greca, alla morte di Fedra nell’Ippolito di Euripide vv.776 -785, a Leda nell’Elena dello stesso autore vv. 200 – 202, alla morte di Antigone nell’omonima tragedia di Sofocle vv. 1221 – 1222 e infine alla morte di Giocasta nell’Edipo Re di Sofocle, modello greco primario per la costruzione del personaggio della regina Amata ai vv. 1234 – 1243, 1249 -1250, 1263-1264. 7 Serv. ad Aen., 12, 603, il testo continua con l’aggiunta di Servio Danielino : Ergo cum nihil sit hac morte deformius, poetam etiam pro reginae dignitate dixisse accipiamus. Cassius autem Hemina ait, Tarquinium Superbum, cum cloacas populum facere coegisset, et ob hanc iniuriam multi se suspendio necarent,iussisse corpora eorum cruci affigi.Tunc primum turpe habitum est mortem sibi consciscere. Et Varro ait, suspendiosis, quibus iusta fieri ius non sit, suspensis oscillis, veluti per imitatinem mortis paventare. Docet ergo Vergilius secundum Varronem et Cassium, quia se laqueo induerat, leto perisse informi. 8 A. BAYET, Le Suicide et la Morale, Paris 1922, p. 295. Bisogna ricordare che la tradizione religiosa e la mentalità romana hanno sempre rifiutato la morte per impiccagione, come si evince anche dall’intervento di Livio, 42, 28, 10, hic foeda morte periit, detto a proposito del pontefice Q. Fulvio Flacco che nel 172 a.C. si era ucciso impiccandosi. Pichon nel suo studio aveva scritto che la morte di Amata nel XII libro costituiva un episodio commovente, ma tutto sommato non degno di una particolare attenzione critica 9. L’impiccagione di Amata è certamente un epilogo imprevisto per noi moderni, ma si è visto come esso abbia disorientato anche le abitudine dello spirito degli antichi. L’ingegnosa prova di Carcopino sta nel tentativo di connettere la morte di Amata per impiccagione con il rito bacchico degli oscilla che consta nella sospensione ai rami degli alberi di dischi votivi. In questo modo anche il suicidio rientrerebbe nell’iter sacerdotale della regina che verrebbe così concluso in modo sacrificale. La dimostrazione parte dal II libro delle Georgiche, dove Virgilio descrive le feste religiose che i contadini italici celebrano da tempi immemorabili: Nec non Ausonii, Troia gens missa, coloni / uersibus incomptis ludunt risuque soluto/ oraque corticibus sumunt horrenda cauatis/ et te, Bacche, uocant per carmina laeta tibique/ oscilla ex alta suspendunt mollia pinu10. Dall’ultimo verso apprendiamo che nel culto di Libero latino, come già del greco Dionisio, uno dei riti principali è quello degli oscilla. Servio e Probo sostengono che l’usanza degli oscilla sarebbe venuta dall’Attica come Libero stesso. Secondo Probo, il pastore Icaro, ricevuta da Dionisio la missione di trasportare del vino, raccomanda ai suoi uomini di non berne che una piccola quantità. I marinai però, cedendo al piacevole sapore della bevanda, si ubriacano e massacrano Icaro. Sua figlia Erigone, non appena ne apprende la morte, si impicca per la disperazione. Allora una malattia terribile si riversa sull’Attica e subitamente raggiunte dalla pazzia, tutte le vergini vanno a impiccarsi nella foresta. Consultato l’oracolo di Apollo si dichiara che il rimedio a tutto ciò sta nel supplizio degli assassini di Icaro. Una volta arrestati e messi a morte gli assassini, Icaro ed 9 PICHON, L’episode d’Amata dans l’ Énéide, « Revue des Etudes Anciènnes» XV (1913),p. 161. 10 Verg. Georg., 2, 385 – 389: Così anche i coloni d’Ausonia, gente discesa da Troia, con versi rozzi scherzano e con riso libero, e maschere mostruose si pongono, di cortecce vuote, e te, Bacco, invocano nelle canzoni festose e per le mascherine fragili appendono agli alti pini. Testo latino e traduzione a cura di C. CARENA, Torino 1971. Erigone vengono innalzati come dei tra le stelle e per loro si istituisce un sacrificio votivo nel quale gli oscilla rappresentino e imitino l’impiccagione delle vergini ateniesi 11. Secondo Servio, l’oracolo avrebbe risposto che, per allontanare l’epidemia di follia che tormentava l’Attica, sarebbe stato semplicemente necessario ritrovare i cadaveri di Erigone e Icaro. Stanchi di continuare la vana ricerca sulla terra, gli abitanti dell’Attica attaccano delle corde agli alberi su cui sospendersi simulando così di cercare anche in aria le anime di Icaro ed Erigone. Poiché la pratica di tale rito risulta piuttosto pericolosa, si pensa allora di creare dei pupazzi che vengano agganciati agli alberi e fatti oscillare al posto degli uomini. Da qui, dice Servio, abbiamo l’etimologia della parola oscilla, che designa queste finte immagini umane e dove si ritrova però il ricordo dei visi umani - os – e il movimento che si imprime loro: nam cillere est movere 12. Carcopino sostiene che l’etimologia di Servio è probabilmente falsa, ma non per questo è meno istruttiva 13. Infatti gli antichi non hanno potuto separare l’oscillum dalla rappresentazione che evoca e che è quella dell’impiccagione. Essi hanno tentato di eludere questo rapporto necessario: Probo mette all’origine un’ impiccagione reale, ma l’oscillum non fa che commemorarlo. Gli oscilla sostituiscono in una religione evoluta dei sacrifici umani ritenuti maledetti. Alle vittime una volta impiccate per placare il dio, i progressi dei mores hanno finito per sostituire le loro immagini che continuano ad essere mosse dal vento tra i rami degli alberi come un tempo i corpi, in segno di consacrazione. Ma gli antichi si ricordano del lugubre passato di questo rito e Macrobio, per esempio, ha nettamente marcato la sostituzione che porta ad abolirlo: inferentes… non hominum capita sed oscilla ad humanam effigiem arte simulata 14. Macrobio qui non pronuncia il nome di Liber ed è al dio del sottosuolo Ditis Pater che egli riserva il privilegio di queste offerte. Per Carcopino il disaccordo che sembra creare questa attribuzione isolata non è che apparente. Ditis Pater e Bacco si ritrovano nella concezione di un Liber primitivo di cui l’energia creatrice non si limita alla vigna, ma si estende a tutta la 11 Probus, Ad Georg., 2, 385 – 389. 12 Serv., Ad Georg., 2,389. 13 CARCOPINO, Virgile et les origines d’Osties Paris 1968,p. 335. A. ERNOUT – A. MEILLET, Dictionnaire Étymologique de la Langue Latine, Paris 1959, p. 470, s.v. oscillum, -i n.: diminutivo di os, osculum. La prima etimologia è riconducibile a os, intesa come « bocca o piccola cavità », la seconda è riconducibile a os intesa come « piccola maschera » o «immagine» , soprattutto di Bacco, che si appendeva agli alberi, in modo che venisse agitata dal vento. Da questa seconda etimologia deriva oscillo, - as e oscillatio. 14 Macrobio, Sat., 1, 7, 2. vegetazione, dio tellurico e agrario, del terrore e della gioia, diffonde la vita e la morte, si compiace delle oscenità grossolane e delle immolazioni spietate 15. Questi antitetici aspetti si ritrovano già nelle Georgiche dove ritroviamo sia il Libero delle canzoni gioiose, Et te, Bacche, uocant per carmina laeta, sia quello degli oscilla,… tibique / oscilla ex alta suspendunt mollia pinu16. Secondo altre testimonianze il rito degli oscilla sarebbe addirittura collegabile alla persona di Latino. Secondo Festo, il re Latino sparì improvvisamente durante una battaglia con Mesenzio. Si credette che in quell’occasione il re avesse subito l’apoteosi diventando la divinità locale di Iuppiter Latiaris. All’anniversario dell’apoteosi uomini liberi e schiavi fingevano di cercarlo non solamente in terra, ma anche in aria con l’aiuto del dondolio degli oscilla: per cillationem 17. Anche lo scoliasta di Cicerone racconta la stessa cosa, non solamente di Latino, ma anche di Enea, morti insieme e insieme ricordati nella stessa cerimonia ut animae velut in aere quaererentur 18. Infine anche la Brevis Expositio che accompagna le Georgiche ricollega il rito degli oscilla alla persona di Latino: i lavinati avrebbero trovato il loro re appeso in aria con un laccio al collo e a imitazione di questo genere di morte essi avrebbero poi appeso gli oscilla 19. Per Carcopino, dunque, la leggenda di Latino, forgiata su quella di Icaro ed Erigone, venne creata per il semplice motivo di mascherare i crudeli riti primitivi di Lavinium. 15 G. GIUBELLI, L’arte erotica a Pompei,p. 24 nota che la grande quantità di sarcofagi decorati con scene dionisiache si spiega con lo stretto legame fra Bacco e la morte. Dio della fecondità e della vegetazione, tornava a risvegliarsi a ogni primavera. Bacco era anche il simbolo dell’immortalità. 16 Georg., 2,288 – 289. 17 Festo, s.v. Oscillantes : Oscillantes ait Cornificius ab eo quod os celare ( ? – cillere? ) sunt soliti personis propter verecundiam qui eo genere lusus utebantur. Causa autem eius iactationis proditur Latinus rex, qui proemio quod [ eis ] fuit adversus Mezentium , Caeritum regem, nusquam apparuerit, indicatusque sit Iuppiter factus Latiaris. Itaque [ solitos iis diebus? ] feriatos, liberos servosque requirere eum non solum in terris, sed etiam qua videntur coelum posse adiri per oscillationem. 18 SCHOL. BOB., in Cic. Pro Planc.: nonnulli, post obitum Latini regis et Aeneae[...], quod ei nusquam comparuerant, itaque ipsis diebus ideo oscillare instituerunt, ut pendulis machinis agitarentur quoniam eorum corpus non erat repertum. 19 Berv. Expos., ad Georg., 2, 389: alii dicunt: post mortem Latini regis quaesiverunt eum in terra et in mari et nusquam inventum est corpus eiusquaesiverunt eum in aere et suspendisse ( se ) laqueo inventum est. Huic initiaverunt hoc genus mortis. Amata poi subisce la stessa nefasta sorte di Latino, perché proprio lui l’aveva già imposta come sacrificio d’elezione ai suoi fedeli. Tutti questi elementi, uniti all’analisi e al precedente riconoscimento di un furor bacchico di matrice sacerdotale in Amata, danno a Carcopino una visione completa nella composizione di questo personaggio 20. Il nome di Amata è quello che la tradizione dei pontefici attribuiva alla prima vestale di Lavinium. Il suo ruolo è quello di una sacerdotessa di Lavinium: con questo titolo la si vede entrare nel tempio di Pallade o condurre il suo baccanale. Infine, quando ella si uccide si rende vittima sacrificale di un particolare rito di Lavinium. Per Carcopino ancora una volta i miti sono nati dai riti. 21 Mentre i miti di cui è intessuta la trama della leggenda di Amata si urtano con delle singolarità e discordanze che sconcertano, egli ci mostra invece che i riti procedono normalmente dallo stesso antico culto agrario di Lavinium. Basta solo pensare ad Amata inserita nell’ambiente lavinate ancora tutto inondato dalla brutale luce dei primi tempi della storia per risolvere in un solo colpo i falsi enigmi del suo bizzarro atteggiamento e ricostruire, nel disordine apparente dei suoi atti, l’unità del percorso religioso che li ispira e che essi esprimono fedelmente, senza per questo smentire i modelli letterari di questa grande eroina classica. 20 Nel 1968 Carcopino pubblica a Parigi il suo volume intitolato Virgile et les origines d’Ostie, dove nel secondo capitolo analizza il legame esistente tra i culti di Lavinium e il personaggio di Amata. L’ analisi di Carcopino parte quindi dall’ambiente che circonda Amata poiché, secondo lui, Virgilio ha improntato, avendoli innanzi agli occhi come reali, i culti di Lavinium e questi poi gli hanno probabilmente fornito il nome della regina profondamente legata alla città ormai identificata con l’antico sito di Lavinium e alla religione lavinate. 21 CARCOPINO, Virgile et les origines d’Ostie, Paris 1968,p.339.
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