LA SICILIA LUNEDÌ 23 GIUGNO 2014 10. I PREMIATI DELL’EDIZIONE 2014 La storia I premi alle istituzioni al prefetto di Catania, Maria Guia Federico (in alto a sinistra), alla Procura di Catania (nella foto il procuratore capo Giovanni Salvi) e alla Guardia costiera della Sicilia orientale (diretta dal contrammiraglio Domenico De Michele, comandante della Capitaneria di porto di Catania, nella foto assieme al suo staff). Il premio internazionale di giornalismo “Alfio Russo”a Isidoro Trovato, commentatore economico del Corriere della Sera (in basso a destra). Il premio scientifico-medico “Angelo Majorana” a Giuseppe Ettore, direttore del reparto di Ostetricia del Garibaldi di Catania (accanto); il premio per l’imprenditoria “Salvatore Cundari” a Nadia Calà, mentre a Cosetta Gigli e Gesualdo Caltabiano i riconoscimenti per lo spettacolo e per l’artigianato; infine un premio speciale sarà assegnato alla stilista Mariella Gennarino Legalità e impegno “Giara d’Argento” un inno alla Sicilia Il 6 luglio premi a prefetto Federico, Procura etnea e Guardia costiera. “Alfio Russo” a Trovato (Corriere) MARIO BARRESI H a avuto il privilegio di sedere al tavolo con i grandi, quelli che hanno scritto la storia d’Italia (e non solo) degli ultimi decenni. Ma l’ha fatto a modo suo, «con lo stesso spirito di quando servivo la granita di gelsi ai clienti del bar della mia famiglia sotto l’Etna». Alfio Di Maria è così: semplice e spartano, nonostante una vita piena di soddisfazioni e di storie da raccontare. «Magari ci scriverò un libro, ne ho davvero tante di cose da rivelare... Ma lo farò, forse, quando avrò finito il mio impegno con la cosa a cui tengo di più». Che poi è facile da svelare: la “Giara d’Argento - Premio internazionale di operosità”, la sua creatura. Creata, cresciuta, stimolata. In un percorso di crescita che ha portato l’evento in cima all’agenda degli appuntamenti estivi, ma soprattutto investendo su un prestigio che è cresciuto, edizione, dopo edizione, in quarant’anni di storia. Con un albo d’oro che, accoppiato al premio internazionale di giornalismo “Alfio Russo”, fa tremare i polsi. Qualche nome, giusto per intenderci, dei personaggi che hanno ricevuto i riconoscimenti: Di Maria li cita quasi a memoria: Gesualdo Bufalino, Giovanni Spadolini, Pippo Baudo, Franco Battiato, Roberto Bolle, Antonino Zichichi, Piero Angela, Francesco Alberoni, Jean Todt, Charles Chabrol, Anna Maria Cancelleri, Enzo Biagi, Indro Montanelli, Paolo Mieli, Ferruccio De Bortoli, Ezio Mauro, Emanuele Macaluso, Candido Cannavò, Nino Milazzo, Piero Ottone, Lilli Gruber, Enrico Mentana, Pietrangelo Buttafuoco, Alberto Ronchey, Giovanni Minoli, Gad Lerner, «ma ne stiamo dimenticando tantissimi». E poi, oltre a tutte le massime autorità militari italiane, la Croce rossa, l’Unicef, il Banco alimentare. L’appuntamento di quest’anno, per la 38º edizione, è al parco di Villa Solaria, domenica 6 luglio alle 20,30. I premi alle istituzioni saranno assegnati al prefetto di Catania, Maria Guia Federico, alla Procura di Catania (guidata dal procuratore capo Giovanni Salvi) e alla Guardia costiera della Sicilia orientale (diretta dal contrammiraglio Domenico De Michele, comandante della Capitaneria di porto di Catania). Il premio scientificomedico “Angelo Majorana” andrà a Giuseppe Ettore, direttore del reparto di Ostetricia del Garibaldi di Catania; il premio per l’imprenditoria “Salvatore Cundari” a Nadia Calà, a Cosetta Gigli e Gesualdo Caltabiano rispettivamente i riconoscimenti per lo spettacolo e per l’artigianato; infine un premio speciale sarà assegnato alla stilista Mariella Gennarino. Un capitolo a parte lo merita il prestigioso premio internazionale di giornalismo “Alfio Russo”, che annovera il gotha del mestiere. Quest’anno la giuria ha scelto Isidoro Trovato, commentatore economico del Corriere della Sera. La se- “ Un premio all’operosità, simbolo dell’Isola pulita e intelligente in tutto il mondo. Da Bufalino a Spadolini, fino alle più prestigiose istituzioni. La storia di successo continua. Almeno per altri due anni... IL PATRON ALFIO DI MARIA rata sarà condotta da Gabriella Correnti, scenografia di Nino Giuffrida (Centofiori), regia di Guido Pistone, organizzazione generale a cura di Danilo Di Maria. Ma dietro a una storia di successo, c’è un uomo che ha dato tutto per questo premio. Minuto, modesto, ossequioso. Senza nemmeno far pesare il fatto che è stato insignito di quattro delle più importanti onorificenze al merito della Repubblica - cavaliere, cavaliere ufficiale, commendatore e grand’ufficiale - in appena otto anni. Roba da Guinnes dei primati, ma lui tiene a precisare che tutte quelle medaglie e quelle stellette «sono frutto soltanto di un grande impegno e senza bustarelle! ». Ci riceve nella splendida sede dell’associazione che organizza il premio, il “Club Nuova Sicilia”, in un ufficio che è una via di mezzo fra la bellezza di una galleria d’arte moderna e l’operosità di un cantiere sempre aperto. «Ecco, nasce tutto qui dentro», afferma con orgoglio. Tirando fuori enormi tomi, rilegati con cura, con dentro tutta la storia della “Giara d’Argento”. Articoli minuziosamente raccolti: «Sono quasi quattromila, di tutti i giornali e le riviste del mondo». Fotografie stropicciate, targhe, piccoli e grandi ricordi di una vera epopea. Ma, oltre a una lettera dell’allora presidente della Regione Vincenzino Leanza («Grazie a nome dei Siciliani») e a un manoscritto di Ferruccio De Bortoli («una serata indimenticabile, grazie»), il cimelio a cui Di Maria è più affezionato è un articolo di Candido Cannavò, pubblicato il 31 luglio del 1986 nella rubrica “Parliamone” curata da Candido Cannavò sul nostro giornale. Il titolo è em- AMARCORD: LA GALLERIA FOTOGRAFICA A sinistra Alfio Di Maria assieme a Pippo Baudo, presentatore della prima edizione. Correva l’anno 1977... l’intervista «Con Dio sperimento il per sempre che riempie la mia vita di sacerdote» SALVATORE DE MAURO P rima ancora di voltare lì dove la strada si allarga in una piazza alberata, si sente un suono confuso di voci che si incalzano sovrapponendosi le une alle altre in un chiasso quasi assordante. Girato l’angolo si comprende finalmente il motivo di tutto quel vociare: ci si trova davanti al grande oratorio attiguo alla chiesa di S. Ignazio di Loyola vicino via Feltre a Milano. Entrati negli uffici della parrocchia ci viene incontro don Pierluigi Banna, ma tutti qui lo chiamano don Pigi, in t-shirt rossa e bermuda: si sa, la scuola è finita, l’oratorio estivo è iniziato e quindi c’è moltissimo da fare... Don Pierluigi, anzi don Pigi, trent’anni, è coadiutore del parroco di S. Ignazio nelle attività che riguardano soprattutto i giovani dalle elementari fino all’università ed è stato ordinato sacerdote il 7 giugno scorso nel Duomo di Milano. Fino agli esami di maturità ha vissuto nella sua città natale, Catania, poi il trasferimento nel capoluogo lombardo dove ha compiuto gli studi universitari e dove è nata anche la sua vocazione al sacerdozio. Don Pigi che cosa l’ha condotta proprio qui a Milano? «Quando ho detto ai miei genitori che volevo studiare lettere classiche hanno provato, almeno inizialmente, a farmi cambiare idea. Però vedendo la mia passione, la mia tenacia nel voler assecondare questa inclinazione verso la letteratura, alla fine hanno ceduto suggerendomi però di andare a Milano in modo da potermi garantire almeno qualche possibilità lavorativa in più. E così sono andato a studiare in “Statale”. Durante i primi anni di università avevo anche una fidanzata che viveva a Catania, ci volevamo bene, era un bel rapporto... » Due delle immagini a cui il patron della “Giara d’Argento” è più legato: al centro è assieme a Candido Cannavò e Sara Simeoni; accanto la premiazione di Enzo Biagi, uno dei tanti prestigiosi vincitori del premio giornalistico “Alfio Russo” blematico: “Quel popolaresco siciliano che irrompe a Milano”. E racconta, in punta di penna, il personaggio Di Maria, «uno di quei siciliani che sfuggono a ogni decifrazione professionale, ma che hanno una straordinaria capacità di credere in quel che fanno, di agganciare la gente, di ottenere quel che vogliono». Cita il prestigioso albo d’oro della “Giara”, il direttore Cannavò. Che però, da par suo, sviscera la persona. Con una descrizione di impagabile efficacia: «Le “grandi manovre” di Di Maria cominciano tra gennaio e febbraio», quando «lui si piazza a Milano con la moglie Rosetta, portandosi dietro una decina di scatole di paste di mandorla». E che succede? Le porte si aprono. Sempre: «Non è che sia tanto facile strappare mezz’ora di tempo, e un invito a colazione, a gente che, dirigendo giornali a Milano, vive in una sorta di “bunker”. Ma per Alfio e Rosetta Di Maria c’è sempre un’eccezione». Quella del 2014, nella brochure di invito viene definita l’edizione numero “40 (2) ”. Un conto alla rovescia verso il quarantennale o qualcosa di altro? «Potrebbe essere che fra due anni lascerò la guida di questo premio, niente dura in eterno», sussurra misterioso. Ma chi lo conosce bene sa almeno due cose. Primo: fino a quando avrà l’ultimo granello d’energia, il grand’ufficiale giarrese lo spenderà per la sua creatura. Secondo: che senza di lui la “Giara d’Argento” non avrà ragione d’esistere. Basta riprendere quell’articolo di Cannavò, per capire il perché Di Maria, «popolaresco e tenace, esplosivo e diplomatico, al quale nessuno chiude le porte», non mollerà mai. Perché «molti altri, che si ritengono più bravi e preparati di lui, fanno soltanto chiacchiere magari con la puzza sotto il naso». Lui, invece, ci mette il cuore. Da sempre. twitter: @MarioBarresi Don Pigi, il catanese che a Milano si prende cura dei giovani Sopra, don Pierluigi Banna, il 15 giugno scorso dopo la sua prima messa a Catania. Sotto, in piazza Duomo a Milano nel giorno dell’ordinazione «Dopo avere compreso che questa era la mia vocazione, la mia vita è fiorita ed è diventata più piena e matura» E poi cos’è successo? «Una volta, durante una telefonata, le ho detto che il nostro rapporto era così bello che nessuno poteva permettersi di impedirlo a meno che non fosse stato per qualcosa di più grande. Nel tempo però avvertivo qualcosa che nel rapporto con lei non funzionava - ma andava tutto bene eh! - però c’era qualcosa che non andava ma non riuscivo a capire cosa fosse. Un giorno, era il 23 dicembre del 2002, facendo le valigie per tornare a Catania per le vacanze di Natale, mi ha attraversato questo pensiero: “E se fossi chiamato ad amarla in modo diverso? ”. Immediatamente ho sentito una grande pace, come se tutto avesse trovato la sua giusta collocazione, ma subito dopo ho pensato che non poteva essere così, non poteva accadere così quella che viene definita la “vocazione”. Mi sarei aspettato qualcosa di più eclatante, di più “visibile” e ricordo di averne parlato con don Giorgio, un prete di Milano, pensando che lui mi avrebbe consigliato di tornare dalla mia ragazza. Invece mi ha detto che la vocazione poteva nascere anche in quel modo lì e allo stesso tempo mi ha dato un criterio per verificare se questa ipotesi fosse frutto di una mia idea o venisse da Dio: se vivendo la vita quotidiana, lo studio, i rapporti con gli amici mi fossi accorto di vivere tutto con più gusto, in modo più aperto, allora la mia intuizione era buona e dovevo percorrerla. Devo dire che con questa ipotesi di lavoro ho visto fiorire tutta la mia vita. Ero contento. Contento di affrontare gli esami, contento di stare con gli amici; vedevo crescere in me una maggiore attenzione ai bisogni dell’altro ed anche una intelligenza più profonda nel giudicare tutto ciò che accadeva. Nella verifica di questa intuizione, insomma, mi accorgevo che la mia vita diventava più piena e matura». La sua decisione di divenire sacerdote stride molto con il sentire comune il quale considera folle la possibilità che una persona possa fare scelte radicali e definitive. La dimensione del “per sempre”, che vale sia per il prete sia per le coppie sposate, oggi viene messa in ridicolo e giudicata impossibile da realizzare. Lei cosa ne pensa? «Se si considera il “per sempre” come frutto di una decisione personale, qualcosa che dipende ultimamente da sé, alla fine è davvero irrealizzabile. Saresti scambiato per un presuntuoso. Secondo me oggi uno può dire “per sempre” solo se prima qualcun altro ha detto a lui “per sempre”. Mi spiego: uno può dire “io ti amo per sempre” ad una donna se ha fatto lui per primo l’esperienza di essere amato di un amore eterno. In ogni scelta vocazionale si può dire questo per sempre e si capisce che Chi è per sempre, cioè Dio, ha posto per primo gli occhi su di te e ti ha fatto sperimentare questo per sempre. Io, ad esempio, sperimento il per sempre attraverso il perdono. Io posso fare la cosa più grossa di questo mondo ma Lui ricostruisce, non facendo finta che il mio errore non ci sia, ma ricostruendo con le macerie del mio errore. Ognuno di noi è oggetto di un amore che è per sempre e un amore che è per sempre ha come sorgente ultima Dio perché chi può dire “io ti amo per sempre”? Io posso dire per sempre ma come risposta all’iniziativa di Uno che è eterno e che si è interessato a me». È difficile far accettare le cose che lei ha appena detto anche a chi non ha la fede... «Secondo me anche chi non ha la fede desidera il per sempre. Tutti noi, nel momento in cui ci imbattiamo in qualcosa di bello, corrispondente per la vita, vorremmo che non finisca mai. È una cosa che si desidera, non è una cosa che si comprende in modo intellettualistico. O sperimenti infatti, come dicevo prima, qualcuno che si interessa a te per primo o altrimenti pensi che sia tutto un’utopia, un sogno, qualcosa che forse va bene per gli adolescenti ma che poi alla lunga diventa impossibile da perseguire».
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