Direttore: Francesco Gui (dir. resp.). Comitato

Direttore: Francesco Gui (dir. resp.).
Comitato scientifico: Antonello Biagini, Luigi Cajani, Francesco Dante, Anna Maria
Giraldi, Francesco Gui, Giovanna Motta, Pèter Sarkozy.
Comitato di redazione: Andrea Carteny, Stefano Lariccia, Chiara Lizzi, Daniel
Pommier Vincelli, Vittoria Saulle, Luca Topi, Giulia Vassallo.
Proprietà: “Sapienza” - Università di Roma.
Sede e luogo di trasmissione: Dipartimento di Storia moderna e contemporanea, P. le
Aldo Moro, 5 - 00185 Roma
tel. 0649913407 – e - mail: [email protected]
Decreto di approvazione e numero di iscrizione: Tribunale di Roma 388/2006 del 17
ottobre 2006
Codice rivista: E195977
Codice ISSN 1973-9443
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
Indice della rivista
gennaio - marzo 2014, n. 30
UNIONE EUROPEA: UNA RIFLESSIONE DI ATTUALITÀ À
Presentazione
di FG
p. 4
Realizzare l’Unione Economica. Preparare la Convenzione. Agire subito
Un contributo di “l’Università per l’Europa. Verso l’Unione Politica”
p. 7
Unanimity in the Lisbon Treaty and way forward to boost
European Integration
di Silvia Polidori
p. 24
Approfondimenti e proposte
di Paolo Ponzano
p. 55
***
SAGGI E RICERCHE
La fondazione della città di L’Aquila
p. 65
di Andrea Casalboni
***
RECENSIONI
Mario Pani, Augusto e il Principato, Bologna, Il Mulino, 2013
di Giampiero Brunelli
p. 94
G. Lacerenza (a cura di), 1510 – 2010 Cinquecentenario dell’espulsione
degli ebrei dall’Italia meridionale. Atti del Convegno internazionale,
Napoli, Università “L’Orientale”, 22-23 novembre 2010
di Massimiliano Venditti
p. 100
2
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
Breve storia del futuro, un libro di Jacques Attali, Fazi Editore, Roma,
2007
di Maria Antonietta Del Boccio Prosperi
p. 107
Perché sono europeo. Studi per Giulio Guderzo, a cura di Simona Negruzzo e
Daniela Preda, Unicopli 2013, pp. 538
di Francesco Gui
p. 117
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Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
Presentazione
Nell’imminenza delle elezioni a suffragio universale diretto per il rinnovo del
Parlamento europeo, questo numero di «EuroStudium3w» riserva in apertura
una sezione dedicata ai temi per così dire strategici dell’Unione europea e in
particolare dell’unione politica.
In tale contesto, il primo documento, intitolato “Realizzare l’Unione
Economica. Preparare la Convenzione. Agire subito”, esprime gli orientamenti
emersi all’interno dell’iniziativa “L’Università per l’Europa. Verso l’Unione
Politica”, promossa da docenti di varie università italiane, ivi compresa la
Sapienza. Il significato e le attività della suddetta iniziativa, con indicazione dei
partecipanti, sono consultabili sul sito www.universitapereuropa.eu, curato in
particolare da Franca Gusmaroli, a cui vanno sentiti ringraziamenti. Il
documento è stato preparato con il contributo, fra gli altri, di Carmelo Cedrone,
Umberto Triulzi, Maurizio Franzini, Sandro Guerrieri, Francesca Longo e
Francesco Gui. Il testo verrà sinteticamente presentato in occasione
dell’incontro, consultabile nel sito, previsto per il giorno 8 maggio alla facoltà di
Lettere della Sapienza, a cui interverranno, come graditi ospiti, il presidente
Giuliano Amato e il dirigente della Presidenza del Consiglio, Francesco
Tufarelli, oltre a numerosi docenti e ricercatori.
La finalità dell’elaborato è di fornire un contributo sia in vista della
prossima legislatura, caratterizzata dal nuovo sistema di nomina/elezione del
presidente della Commissione, sia dell’auspicata nuova Convenzione della
riforma dei trattati attuali, che dovrebbe prendere le mosse nell’anno 2015. Al
tempo stesso, il documento propone misure che dovrebbero essere adottate a
trattati invariati, sempre al fine di contribuire a realizzare, in primo luogo, il
completamento dell’Unione economica e monetaria (Uem), ancora in fase di
lenta e travagliata attuazione, a causa delle resistenze che vi si oppongono, ma
anche delle inadeguatezza istituzionale dell’Unione.
Il secondo documento, in lingua inglese, dal titolo “Unanimity in the
Lisbon Treaty and way forward to boost European Integration”, è dovuto alla
cortese, graditissima collaborazione della dottoressa Silvia Polidori, legal advisor
presso la Commissione europea, che si è avvalsa della consulenza del collega
Paolo Ponzano, oggi docente all’Istituto universitario europeo di Firenze.
L’esposizione affronta precisamente il “nodo” problematico forse più
importante per il funzionamento delle istituzioni europee, ovvero l’esercizio del
diritto di veto, concesso ai singoli Stati membri in ambiti di vitale importanza.
Malgrado le obiezioni di coloro che ritengono il diritto di veto non ostativo, di
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Presentazione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
fatto, dei processi decisionali, perché, ove si riscontri un consenso di fondo, ed
anche per evitare ritorsioni, raramente i governi vi fanno ricorso, tuttavia il
problema sussiste: dato il numero dei paesi membri dell’Unione ed anche in
previsione di possibili momenti di grave dissenso, tale diritto risulta un fattore
negativo e potenzialmente ricattatorio rispetto ad un processo di unione
politica, ormai invocato da ogni parte, che deve necessariamente risultare
efficiente, ovvero in grado di produrre decisioni nei tempi e nei modi più
efficaci.
Il testo curato da Silvia Polidori mette pertanto in evidenza tutti gli
articoli dei trattati di unione attualmente vigenti, a seguito della ratifica dei
trattati di Lisbona, che prevedono il diritto di veto. Un diritto che, andando a
cumularsi con la presenza dei rappresentanti di ogni stato membro in tutte le
istituzioni dell’Unione, contribuisce ad accrescerne le attuali difficoltà di
funzionamento. Di qui una ragione non secondaria di quella che oggi viene
considerata la crisi dell’Unione.
A conferma, nonché a titolo di curiosa quanto significativa constatazione
in argomento, si può ricordare come proprio recentemente il commissario
europeo alla fiscalità e all’unione doganale, il lituano Algirdas Šemeta (eppure
la piccola Lituania dovrebbe tenerci ai diritti di veto, che le danno
un’importanza straordinaria per essere un paese di meno di tre milioni di
abitanti…), si è rivolto al Senato francese con espressioni molto appassionate:
“Il convoglio va alla velocità del più lento – ha lamentato – perché le decisioni
all’unanimità consentono a certi paesi di rimandare le decisioni per anni e anni!
Ma come si fa andare avanti in questo modo, man mano che l’integrazione si
approfondisce?”. In effetti, se lo dice persino Šemeta…
Al testo di Polidori fanno seguito, opera di Paolo Ponzano, che
ringraziamo altrettanto sentitamente: 1) una scheda sintetica, in italiano, sul
voto unanime nel Trattato di Lisbona; 2) la copia (in allegato “cliccabile”) di una
ricognizione dei diritti di veto previsti dal trattato costituzionale approvato nel
2004, ma rimasto privo di attuazione a causa dei referendum negativi francesi e
olandesi; 3) la copia, sempre in link, di una nota sulle ragioni del voto a
maggioranza, fornita alla Commissione; 4) una nota in tema di riforma dei
Trattati Ue; 5) l’introduzione al seminario tenutosi a Fiesole l’11 novembre 2013,
presso l’Istituto universitario europeo, dal titolo: “Revising Europea Treaties”,
promosso sempre da Ponzano insieme ai colleghi europei Adrienne Héritier e
Bruno de Witte.
Nell’augurare buona lettura, sia consentita un’annotazione, o
giustificazione conclusiva. L’importanza fondamentale dei prossimi
appuntamenti per l’Unione europea ha consigliato un simile sconfinamento nel
presente, e nel futuro, da parte di una rivista storica come «EuroStudium3w»,
5
Presentazione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
anche perché, almeno così si spera, la consapevolezza delle imponenti sfide
dell’oggi potrà forse incoraggiare lo studio e soprattutto la didattica! della storia
e della cultura dell’integrazione europea nelle scuole e nelle università. Una
bonanza a tutt’oggi ancora largamente negata ai giovani cittadini europei di
nascita italica, anche negli ambienti assai vicini a questa pubblicazione. Eppure
le elezioni del parlamento continentale, a suffragio universale diretto, non sono
nuovamente alle porte? Ma come si farà poi a prendersela con l’Europa se
neanche la si conosce?
fg
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Presentazione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
Realizzare l’Unione Economica.
Preparare la Convenzione.
Agire subito
Un contributo di “l’Università per l’Europa. Verso l’Unione Politica”
«…cette proposition réalisera les premières assises concrètes
d'une Fédération européenne indispensable à la préservation de la paix»
Dichiarazione Schuman, 9 maggio 1950
“Il metodo intergovernativo deve essere sostituito con il metodo della comunità”
Jürgen Habermas
Premessa
L’Unione europea sta attraversando uno dei periodi più difficili del suo
percorso ultracinquantenario. Le politiche di rigore imposte, in particolare
nell’area Euro, per il contenimento dei disavanzi pubblici e la grave crisi
recessiva in cui versa la gran parte dei paesi membri non solo hanno sollevato
pesanti critiche sul funzionamento delle istituzioni dell’Ue e sulla loro capacità
di gestire la governance economica europea, ma hanno anche messo in
discussione i valori di fondo e quanto sin qui realizzato del processo di
integrazione. L’assenza, tanto a livello europeo che nei singoli paesi membri, di
segnali incoraggianti che possano indurre a fare sperare in una definitiva uscita
dalla crisi e nell’avvio di modifiche significative nella governance europea rende
il quadro evolutivo di riferimento ancora più incerto.
Appare pertanto necessario – dato anche l’approssimarsi di importanti
eventi, quali le prossime elezioni del Parlamento europeo, la presidenza
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Realizzare l’Unione economica
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
semestrale dell’Italia del Consiglio dell’Ue, nonché l’annunciata Convenzione
per la riforma dei trattati attuali - richiamare l’attenzione delle autorità di
governo italiane e dell’Unione sulla necessità di definire una strategia di
rilancio delle politiche dell’Ue che possa a sua volta essere di aiuto ai paesi
membri, contribuendo a portare a termine le riforme strutturali concordate e a
trovare le risorse finanziare necessarie per far ripartire la crescita, il progresso
tecnologico e l’innovazione.
Al tempo stesso risulta assolutamente urgente richiamare il valore della
cittadinanza europea, coinvolgendo in primo luogo i giovani, gli studenti, gli
intellettuali, gli operatori, gli organi di informazione e l’opinione pubblica nel
suo insieme, al fine di rilanciare l’impegno di partecipazione alla dimensione
europea, nella consapevolezza che l’Unione europea è in primo luogo il
progetto di un più alto grado di civiltà, come annunciato nel Manifesto di
Ventotene1. E dunque un obiettivo eminentemente politico ispirato ai principi
democratici e alla cultura della tutela dei diritti dell’uomo, suscitatrice di
energie solidali, garantiste e creative. Tale obiettivo costituisce il necessario, e
non opzionale, compimento dei processi di emancipazione delle nazionalità
europee, riscattandoli dalle colpe sanguinarie dei nazionalismi novecenteschi e
proponendosi come modello di pace e di progresso per il resto del pianeta 2. La
Costituisce un dato culturale assai significativo che la figura di Altiero Spinelli, notoriamente
uno degli autori del Manifesto (scritto al confino insieme a Ernesto Rossi ed altri antifascisti), poi
commissario e parlamentare europeo, venga ormai considerata riferimento prioritario per molti
esponenti politici europei, come dimostra la costituzione dello “Spinelli Group” a Bruxelles, cui
aderiscono importanti personalità di vari paesi dell’Unione. Non a caso, dal seno dello “Spinelli
Group”, per iniziativa dell’eurodeputato inglese Andrew Duff, è emersa la proposta di Legge
Fondamentale da sottoporre all’annunciata Convenzione per la riforma degli attuali trattati
dell’Unione, in base all’art. 48 del trattato sull’Unione europea. Nella premessa si afferma che la
Fundamental Law risulta inevitabile e necessaria - pur tenendo conto delle resistenze che
potrebbero venire opposte, come accaduto con il trattato costituzionale – al fine di stabilizzare
l’unione monetaria, nonché trasformare l’eurozona “into a fiscal union run by a federal
economic government”. In caso contrario verrebbe addirittura minacciato “the Eu’s very
survival”.
2 L’esistenza dell’Unione, richiamandosi a Ernest Renan e alla sua concezione della nazione, è
un plebiscito di tutti i giorni. Ed è anche il giorno della memoria tutti i giorni, non di uno
soltanto. L’aspetto suggestivo, ma anche problematico - come è stato richiamato in un recente
convegno tenutosi all’università di Padova per iniziativa di Gilberto Muraro, con la
partecipazione di Romano Prodi - è che la coscienza della necessità del completamento del
processo di emancipazione delle nazionalità nell’unità dell’Europa è stata presente fin dagli
anni Trenta dell’Ottocento, ovvero al momento della fondazione della “Giovane Europa” di
Giuseppe Mazzini, cui aderirono patrioti di diversi paesi. Per non dire del celebre discorso di
Victor Hugo al congresso internazionale per la pace di Parigi del 1849 (“Un jour viendra…”) o
del congresso per la pace e per gli Stati Uniti d’Europa, tenutosi a Ginevra nel 1867 con
1
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Realizzare l’Unione economica
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
federazione europea come presupposto per il mantenimento della pace
costituisce infatti parte integrante della Dichiarazione Schuman, a partire dalla
quale è iniziato il percorso di unificazione: rinunciare ad essa significherebbe
non tener fede ai patti sottoscritti3. Di qui il dovere di proseguire sulla strada
intrapresa e di adottare soluzioni idonee e rigorose, tanto nei singoli paesi che a
livello dell’Unione, miranti al progressivo raggiungimento del traguardo
additato dai padri fondatori, nonché prefigurato dagli spiriti più nobili delle età
precedenti.
Il presente documento viene proposto all’interno dell’iniziativa
denominata “L’Università per l’Europa. Verso l’Unione politica”, che raccoglie
docenti e ricercatori di numerose università italiane, i quali hanno concordato
di dedicare singole iniziative di approfondimento in merito ai “nodi” strategici
attorno a cui si registra l’attuale impasse dell’Unione, nonché ai possibili
strumenti per risolverli positivamente. L’iniziativa viene realizzata in
collaborazione con la Rappresentanza in Italia della Commissione europea,
l’Istituto Affari Internazionali, l’Associazione Universitaria di Studi Europei,
EurActiv ed altri enti e associazioni (come si desume dal sito dedicato).
L’approccio complessivo condivide la convinzione che l’oggetto
prioritario su cui oggi concentrare l’attenzione sia l’Unione economica e
monetaria, ovvero l’attuazione di quell’impegno assunto dai trattati europei di
cui è stata realizzata la parte monetaria, mentre quella economica resta ancora
largamente disattesa, con le conseguenze che tutti conoscono. Tale convinzione,
lungi dal limitarsi alla valutazione degli aspetti strettamente economici, esige
che l’Uem venga realizzata con adeguati strumenti istituzionali di tipo
democratico, come assicurato dai trattati stessi. E che pertanto l’obiettivo
comporti un decisivo passo in avanti, di tipo che si direbbe monnettianospinelliano, sul terreno dell’unione politica, di naturale federale. Del resto, i
valori fondanti dell’integrazione europea risultano più volte ricordati nei
Trattati istitutivi e ripresi più di recente dagli obiettivi definiti in Europa 2020.
Senza omettere quindi di indicare le soluzioni raggiungibili a trattati
attuali, si ritiene che l’istituzione di un vero governo dell’economia europea sia
Garibaldi alla presidenza. Per parte sua, Kant stesso, nel rinomato Per la pace perpetua, aveva
individuato i pericoli non solo dei conflitti di potenza, ma anche del colonialismo.
3 Il significato del patto originario convenuto negli anni Cinquanta, cui Jean Monnet diede un
contributo insostituibile, è confermato dall’impegno profuso dall’ideatore delle Comunità
all’interno del Comitato per gli Stati Uniti d’Europa, da lui fondato e promosso. Chi oggi
rinunci all’obiettivo o intenda metterlo in forse, fosse anche per ragioni di occasionale
convenienza politica, rischia di ledere il rapporto di fiducia reciproca instaurato fin dalle origini
del processo di unificazione, mirante in ultima istanza alla federazione europea. Un azzardo, in
definitiva, molto pericoloso quanto disorientante per l’opinione pubblica. Pacta sunt servanda.
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Realizzare l’Unione economica
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
essenziale per porre le basi verso le tappe successive, quali la federalizzazione
di tutte le politiche di interesse comune, nonché della politica estera e di
sicurezza, su cui i trattati rivelano le maggiori resistenze avanzate dagli stati
membri. Taluni significativi obiettivi possono tuttavia essere perseguiti nel
frattempo anche in questo campo.
Un Paese quale l’Italia, purché consapevole e motivato – grazie anche ad
un intensificato dialogo fra istituzioni, università, media e opinione pubblica –
sarà auspicabilmente in grado di esprimere un’intelligente e decisiva
mediazione, come già avvenuto in passato in altri momenti decisivi della
costruzione europea.
I dati di fatto e i perché di una crisi
In via prioritaria, vanno tenuti in considerazione i seguenti aspetti:
1) Gli attuali trattati dell’Unione contengono delle fondamentali ed inequivoche
affermazioni di principio e di intenti, fra cui:
- democrazia, uguaglianza, stato di diritto
- libertà, sicurezza, giustizia senza frontiere interne, libera circolazione
delle persone, prevenzione delle criminalità e lotta contro di essa
- economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena
occupazione, al progresso sociale
- tutela dell’ambiente, promozione del progresso scientifico e tecnologico
- promozione della coesione economica, sociale e territoriale e solidarietà
fra gli Stati membri, nel cui contesto “L’unione istituisce un’unione economica e
monetaria la cui moneta è l’euro”.
- esercizio di una politica estera e di sicurezza comune.
In ambito istituzionale si afferma inoltre che il funzionamento
dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa, in cui i cittadini sono
direttamente rappresentati nel Parlamento europeo, mentre gli stati sono
rappresentati nel Consiglio europeo e nel Consiglio, laddove “i partiti politici a
livello europeo contribuiscono a formare una coscienza politica europea e ad
esprimere la volontà dei cittadini dell’Unione”.
2) Al tempo stesso, malgrado i fini suddetti e la dichiarata adesione ai principi
della democrazia, l’attuale assetto istituzionale si presenta carico di non poche
contraddizioni, con il risultato di concorrere pesantemente a generare l’impasse
che è alla base della crisi attuale di fiducia e della condizione economica
complessiva. Infatti, come si può spiacevolmente constatare:
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Realizzare l’Unione economica
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
- a fronte di un pur imperfetto bicameralismo Parlamento-Consiglio, non
esiste un governo dell’Unione adeguatamente legittimato e dotato di poteri
decisori, il quale possa attuare una politica per l’UeM ed assolvere agli altri
compiti previsti dai trattati, o tanto meno assicurare una coerente politica estera
e di sicurezza comune, se non quella guidata dall’Alto rappresentante per la
stessa, nonché vicepresidente della Commissione, definito dai trattati
“mandatario del Consiglio”
- la struttura istituzionale dell'Ue non rispetta il principio della
separazione dei poteri poiché la Commissione europea partecipa ai tre poteri
(legislativo, esecutivo e, in parte, giudiziario), il PE non ha il diritto di iniziativa
legislativa, ci sono due esecutivi (Commissione e Consiglio) ed il Consiglio
europeo agisce al di là delle sue funzioni, in materie al di fuori delle
competenze Ue (decisioni di politica economica su pensioni, salari, impieghi
pubblici, ecc..)
- il processo decisionale e legislativo è ostacolato da ben 82 diritti di veto, a
disposizione dei governi nazionali, i quali possono esercitati in ambiti
semplicemente strategici4
- tutte le istituzioni dell’Unione, anche per effetto dei successivi
allargamenti, restano troppo pletoriche e poco efficaci nell’esercizio delle
proprie funzioni5
Tra gli altri: le nomine per le istituzioni europee, le cooperazioni rafforzate e le clausole dette
“passerelle; lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia; i diritti di cittadinanza e i diritti
fondamentali; la politica sociale e la protezione dell'ambiente; la fiscalità; la politica estera, di
sicurezza e difesa comune; gli accordi internazionali. Si allega in proposito un testo preparato
da Paolo Ponzano e Silvia Polidori.
5 La Commissione, potenziale governo dell’Unione, è composta di un membro per ogni stato
dell’Unione, con la conseguenza di una configurazione assembleare non compatibile con le
esigenze e l’esercizio di un potere esecutivo. Tanto più che, come osservato anche recentemente
dall’eurodeputata Sylvie Goulard, 22 commissari su 28 rappresentano meno di un terzo della
popolazione europea. Quand’anche ciò fosse relativamente significativo per via del fatto che i
commissari non rappresentano giuridicamente i propri paesi e raramente votano all’interno
della Commissione, resta indubitabile l’esigenza di ridurne il numero per rafforzarne la
collegialità, attribuendo al presidente della Commissione la scelta dei propri “ministri”, da
sottoporre all’approvazione parlamentare. Anche la Csu bavarese ha recentemente posto nel
suo programma la riduzione del numero dei commissari; né il principio della rotazione,
peraltro recentemente disapplicato, appare adeguato all’esigenza di rappresentatività ed
efficienza. Recentemente l’importante federazione di imprenditori inglesi Eef ha
costruttivamente lamentato l’inefficienza derivante dall’eccessivo numero di commissari,
operanti spesso senza coordinamento anche su materie fra loro overlapping.
Lo stesso vale per organismi fondamentali come la Corte di Giustizia e la Corte dei Conti, con il
risultato di scoraggiare ulteriori passi in avanti nel processo di unificazione e di incentivare le
resistenze a causa degli evidenti difetti nella composizione di tali istituzioni.
4
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Realizzare l’Unione economica
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
- - i partiti politici risultano ancora realtà piuttosto informi e non regolate
da statuti a livello dell’Unione, anche in tema di finanziamenti e uso delle
risorse, tali da accreditarli e metterli in condizione di contribuire pienamente
all’espressione della volontà generale6
- manca oltretutto una procedura elettorale uniforme, benché prevista già
al momento della costituzione della Comunità economica europea, né le forze
politiche nazionali operano per avvicinare le diverse legislazioni all’obiettivo
comune.
3) Tutto ciò concorre a spiegare perché, anche al di là della buona o cattiva
volontà nel procedere sulla strada dell’integrazione:
- l’unione economica, pur istituita, non è stata realizzata7
- benché l’euro sia la moneta dell’Unione, solo 18 stati ad oggi ne fanno
parte, con evidenti effetti distorsivi sui processi decisionali
- il bilancio dell’Unione resta risibile, né si prevedono strumenti finanziari
comuni per fronteggiare la grave crisi attuale e per rilanciare gli investimenti ai
fini dello sviluppo tecnologico, della ricerca di nuove fonti energetiche e della
crescita8
- la politica estera e di sicurezza comune (Pesc), nonché la politica di
sicurezza e di difesa comune (Psdc), quale parte integrante della prima,
appaiono fortemente compromesse da quanto si afferma nell’articolo 4, c. 2, del
trattato sull’Unione, in base al quale “la sicurezza nazionale resta di esclusiva
Infine, il Parlamento europeo, come sottolineato dalla Corte costituzionale tedesca, potrebbe
risultare sminuito nella sua rappresentatività democratica dal principio della proporzionalità
degressiva; per cui l’elezione stessa del presidente della Commissione può esprimere esponenti
non realmente rispondenti alla volontà generale, con conseguente potenziale discredito delle
istituzioni dell’Unione da parte del populismo antieuropeo, nonché con pericoli di
condizionamento da parte dei paesi grandi nei confronti dei paesi piccoli nel corso delle
campagne elettorali. Il tema richiede una specifica riflessione, per il perseguimento di
miglioramenti equilibrati e costruttivi.
6 Il tema dei partiti politici europei è stato affrontato in un articolato convegno organizzato
presso l’università di Genova nei giorni 30 e 31 gennaio 2014, ai cui risultati si rimanda per
ulteriori approfondimenti.
7 Le tessere mancanti alla realizzazione di una piena unione economica sono molteplici:
dall’armonizzazione del sistema fiscale alla definizione di un modello unico di protezione
sociale, alla vigilanza uniforme sul sistema bancario e finanziario, a nuove risorse proprie
gestite da un commissario-ministro ad hoc e controllate dal Parlamento europeo.
8 In tema di bilancio dell’Unione, gli atti del seminario organizzato il 29 novembre 2013,
nell'ambito de "L'università per l'Europa. Verso l’Unione Politica", dal Dipartimento di
Economia e Diritto della Sapienza, e in particolare dai docenti Maurizio Franzini, Francesca
Angelini
e
Elena
Paparella,
sono
consultabili
su
«Aperta
Contrada»
<http://www.apertacontrada.it/>.
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Realizzare l’Unione economica
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
competenza di ciascuno Stato membro”, come se la sicurezza dei singoli stati e
quella dell’Unione potessero venire nettamente separate9
- la prospettiva di nuovi allargamenti, alle condizioni attuali, rende ancora
più incerto il futuro delle istituzioni comuni, se non come luogo di confronto fra
stati sovrani, oltretutto estremamente eterogenei fra loro, con il risultato di
riaccreditare i cosiddetti direttòri e l’egemonia dei più forti. Al tempo stesso, e a
titolo di esempio, in base al principio di sovranità, stati minori come Malta
hanno potuto mettere in vendita la cittadinanza del proprio paese, che consente
la libera circolazione nell’Unione10
- i governi rivendicano un ruolo sempre più ingombrante, avvalendosi
delle attuali disfunzioni e aggravando pertanto la stasi istituzionale.
Recentemente il governo olandese, sulla scia di quello britannico, ha persino
avanzato richieste di rientro di competenze a favore degli stati nazionali, sia
pure senza mettere in discussione gli aspetti essenziali dell’Unione 11
- addirittura, sul piano propagandistico, prendendo occasione dal
semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione, per un verso si accredita
l’esistenza di una presidenza dell’Unione che non esiste 12, per l’altro si promette
ai cittadini di esercitare mediante tale mezzo un’improbabile influenza a livello
europeo, con il risultato di disorientare l’opinione pubblica 13
Eppure il quadro globale complessivo, tanto economico che della sicurezza, mostra un
indebolimento evidente della leadership americana, sotto cui l’Europa si è finora largamente
adagiata, avvalorando la convinzione di nuovi e maggiori doveri spettanti all’Unione (si pensi
al ruolo crescente della Russia, sia nella vicenda siriana che ucraina, ma anche alle
incomprensioni fra India ed Italia, oltre che con gli Usa, indizio di crescenti ambizioni nei
Nuovi Mondi, se non di risentimenti verso il Vecchio).
10 Per quanto cara, l’isola venderà la cittadinanza maltese e di conseguenza europea a 650 mila
euro a richiedente. La Commissione ha fatto sapere di non poter impedire tale pratica né a La
Valletta né ad altri paesi, in «EuObserver» del 14 novembre 2013, anche se la controversia è
ancora in corso.
11 Il ministro degli Esteri olandese Frans Timmermans si è fatto notoriamente portatore di tali
istanza, convocando tra l’altro una riunione di rappresentanti dei vari governi europei, forse
anche allo scopo di fronteggiare il populismo interno al suo paese.
12 Wikipedia si è sentita in dovere di creare un’apposita voce per smentire l’esistenza della
dizione “Presidenza dell’Unione europea”, erroneamente ricorrente anche nella stampa
anglosassone, oltre che persino ai massimi vertici della politica italiana: “There is, simply, no
President
of
the
European
Union
as
a
whole”,
http://en.wikipedia.org/wiki/President_of_the_European_Union. Eppure anche i notiziari del
Ministero degli Affari Esteri continuano a decantare una supposta presidenza italiana della Ue
(su cui una lettera aperta alla ministra Mogherini consultabile sul sito
www.universitapereuropa.eu).
13 Cfr. nella rivista on-line «Federalismi.it» l’intervento in proposito di Carlo Curti Gialdino
(Editoriale del 06/11/2013 - Sommario Nr. 22 - Anno 2013), nonché Rocco Cangelosi in
9
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Realizzare l’Unione economica
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
- la complicazione istituzionale dell’Unione, che è frutto di successivi
trattati mai evoluti in una carta costituzionale, oltre che della contaminazione
fra modelli (federalismo, funzionalismo, confederalismo), mantiene i cittadini
europei in uno stato di grave misconoscenza nei confronti di un livello pur così
determinante, quanto inafferrabile (l’Europa…) della vita collettiva
- Le forze politiche e di governo, per lo meno in Italia, non incoraggiano
una diffusa formazione alla dimensione europea, né a livello scolastico, né nei
programmi universitari, né nelle attività di comunicazione (di qui tra l’altro i
pesanti effetti negativi prodotti al momento del cambio della lira con l’euro, che
hanno aggravato la crisi al momento del suo prodursi14). Tanto meno
configurano le proprie scelte politico-istituzionali interne, ivi comprese le leggi
elettorali, in modo da adattarsi al meglio alla partecipazione alla dimensione
europea
- A ciò si aggiunga il pressapochismo dei media, che diffusamente non
distinguono, a titolo di esempio, fra Unione europea e Consiglio d’Europa: un
dato di fatto inaccettabile per un paese che esige maggiore attenzione da parte
dell’Unione e aspira al tempo stesso a ruoli da protagonista15
- Di fatto, manca a tutt’oggi, soprattutto in Italia - dove si trascurano con
estrema superficialità le proposte provenienti da altri paesi (se non altro per
rinfacciare loro il mancato impegno nell’attuazione delle medesime16) - un serio
http://www.unita.it/mondo/breve-guida-al-semestre-europeo-br-meglio-non-farsi-troppeillusioni-1.527083.
14 Oltre agli effetti negativi sulla crescita dei prezzi al minuto, va ricordato che la “filosofia”
dell’euro, ostile all’inflazione e all’aumento della massa monetaria, si basa sull’estrema
efficienza di ogni livello della macchina amministrativa e produttiva, tenendo conto del fatto
che, in assenza di crescita di produttività, risorse aggiuntive possono essere reperite soltanto
con spending review e/o con il trasferimento di risorse da taluni ad altri, con evidenti pericoli di
conflittualità sociale. Salvo il ricorso al debito da parte degli stati, con il rischio di bancarotta,
per scongiurare la quale è stato introdotto tra gli altri il fiscal compact, da recepire nei dettati
costituzionali, almeno in Italia.
15 Come segnalato da docenti e ricercatori di “Università per l’Europa. Verso l’Unione politica”
ai rispettivi direttori, un giornale come «Il Corriere della Sera» ha confuso più volte il tribunale
di Strasburgo con quello di Lussemburgo, mentre «La Repubblica» lo ha fatto mostrando la foto
del primo e citandolo come se fosse il secondo. Ue, Ue, Ue: sotto la sigla di sapore
spensieratamente partenopeo vengono scambiate con disinvoltura, anche da parte delle agenzie
di stampa, realtà del tutto diverse. L’anomalia è stata rilevata anche da Giuliano Amato in una
recente commemorazione di Altiero Spinelli, davanti a giovani delle scuole romane, invitati
nell’Auletta della Camera.
16 Negli anni scorsi, la cancelliera tedesca Angela Merkel si è detta più volte ispirata all’obiettivo
dell’unione politica europea, ripiegando successivamente, anche per ragioni elettorali, su
posizioni più moderate. Varrebbe tuttavia la pena di insistere nel mantenimento degli impegni
da parte del paese più influente dell’Unione almeno dal punto di vista economico, e tale
comunque da poter esercitare una pressione forse determinante sul partner più importante a
14
Realizzare l’Unione economica
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
dibattito sul modello istituzionale ottimale, al fine di assicurare la credibilità e
la legittimità dell’assetto istituzionale dell’Unione. Carenze evidenti si
riscontrano peraltro anche in paesi decisivi come la Germania e la Francia 17.
- Come conseguenza, tanto da noi che altrove, si deve lamentare uno
scarso grado di europeizzazione della campagne elettorali europee: molto
spesso prevalgono temi di carattere nazionale, i candidati risultano sovente
poco idonei (oltretutto manca un dialogo fra eletti ed elettori nel corso delle
legislature) e le consultazioni europee finiscono per rivelare tratti da “elezioni
di secondo ordine”. Di qui e per le ragioni suddette un calo costante del tasso di
partecipazione alle elezioni europee18). Vanno peraltro accolte con
soddisfazione e partecipazione, quale concreto inizio di cambiamento, le
candidature alla presidenza della Commissione avanzate da alcuni partiti
europei.
Resta pertanto indispensabile chiamare tutte le componenti della società
europea, non solo i tecnici o gli esperti, a “pensare l’Europa”, contribuendo ad
elaborare un progetto credibile e di ampio respiro per rafforzare l’Unione,
rispondendo alle esigenze dei cittadini e responsabilizzandoli al tempo stesso di
fronte al dovere che può essere definito etico dell’unità europea, contribuendo
al progresso economico e scientifico, nonché al governo pacifico del mondo nel
contesto delle Nazioni Unite.
livello internazionale e militare, e dunque oggettivamente più restio a cessioni di sovranità,
quale la Francia.
17 Come recentemente rilevato da J. Habermas, all’interno delle forze di governo tedesche, la
pretesa di conduzione semi-egemonica degli affari europei si accompagna alla difficoltà di
comprendere che “il metodo intergovernativo deve essere sostituito col metodo della
comunità”. Prosegue l’autorevole studioso: “Mentre l’assemblea dei capi di governo, legittimati
solo da elettori nazionali, è fatta per negoziare compromessi tra inamovibili interessi nazionali,
la formazione della volontà politica in un parlamento europeo diviso tra gruppi parlamentari,
rende possibile controbilanciare gli interessi nazionali con comunità d’interessi oltre le
frontiere”. Quanto alla Francia, l’accennata resistenza a cedere parti della sovranità, anche per
salvaguardare lo status internazionale e militare ereditato dall’ultimo conflitto mondiale, sia
pure rivelandosi contraddittoria con l’eredità monnettiana e del 9 maggio 1950, produce una
serie di annunci in favore del processo di unificazione, cui fanno seguito scarse proposte
concrete. Di fatto si procede con il metodo intergovernativo. Un quadro cui si è recentemente
aggiunta la dichiarazione tedesca di voler svolgere, per la prima volta dalla fine della guerra, un
ruolo maggiore nel campo della difesa, anche a livello internazionale.
18 La partecipazione è scesa dal 63% nella Comunità a 9, nel 1979, al 43% nell’Unione a 27, nel
2009. Il tasso risulta molto basso nei paesi dell’Europa centro-orientale, ma un calo di circa il
20% si è verificato anche nei tre principali paesi fondatori della Comunità europea: in Germania
(dal 65,7% al 43,3%), in Francia (dal 60,7% al 40,6%), in Italia (dall’84,9% al 65%).
15
Realizzare l’Unione economica
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
In tale modo si potrà oltretutto fronteggiare il rischio che ad europeizzare
la campagna elettorale del 2014 risultino alla fine soprattutto le forze
antieuropee, portatrici di un messaggio populista di rifiuto del processo di
integrazione.
Che fare? Proposte in campo economico
Agire immediatamente
I paesi dell’Eurozona sono chiamati ad attuare, a norma del Trattato sul
contenimento del disavanzi pubblici, politiche di rigore fiscale che,
comprimendo la domanda, contribuiscono a contrarre ulteriormente i livelli
produttivi ed occupazionali allontanando nel tempo le possibilità di una ripresa
economica. Inoltre, come dimostrano i dati, quelle politiche producono l'effetto
di peggiorare il rapporto tra debito pubblico e Prodotto Interno Lordo, che è
uno degli indicatori principali della situazione critica della finanza pubblica. Se
i paesi dell’Ue non riprendono la via della crescita - di fatto l’unica strada che
può aiutare ad attuare le politiche di rigore e dare fiducia agli operatori e ai
mercati sulla sostenibilità delle politiche economiche nazionali di rientro dal
debito - nessuno degli impegni assunti dai paesi membri e richiesti dalla
Commissione potrà essere mantenuto.
Nell’immediato, e come segnale di un effettivo cambiamento nella
direzione delle politiche dell’Ue, occorre dare vita ad un patto per la crescita,
l’occupazione e la stabilità, che può essere finanziato con l’emissione di euroobbligazioni da parte del gruppo Bei (iniziative analoghe, se pure con importi
ancora modesti, sono state già avviate con i project bond). Il piano potrebbe
prevedere che ai paesi più virtuosi nelle politiche di contenimento del deficit di
bilancio sia consentito, anche prima della sua entrata in vigore, di effettuare
investimenti pubblici al di sopra della soglia del 3% 19. Nell’accordare questa
deroga si potrebbe, sulla base di un sistema di regole comuni (golden rules),
tenere conto anche dell'occupazione di ciascun paese, in particolare quella
giovanile.
I paesi membri, da parte loro, devono avviare gli aggiustamenti diretti a
rimuovere gli eventuali ostacoli strutturali ad una crescita continua ed
Per quanto “stupidi” possano essere criteri numerici rigidi e precostituiti per assicurare la
stabilità, va tuttavia riconosciuto che, al di là dei momenti di crisi, che richiedono prontezza di
intervento, il rispetto di tali criteri costituisce una difesa della vita pubblica democratica rispetto
al prevalere delle forze finanziarie, di cui la prima rischia altrimenti di venire fin troppo
pesantemente condizionata. Ciò non toglie la necessità di un impegno, anch’esso, per così dire,
di tipo costituzionale, per lo sviluppo e l’occupazione, quale compare nello statuto della Banca
federale americana, nonché a suo tempo patrocinato da Jacques Delors.
19
16
Realizzare l’Unione economica
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
equilibrata, oltre che al miglioramento del benessere sociale. Ciò vale in
particolar modo per l'Italia, con riferimento soprattutto alla razionalizzazione
della spesa pubblica e al miglior funzionamento della Pubblica
Amministrazione (che, insieme, dovrebbero consentire tra l'altro guadagni di
efficienza, e quindi liberazione di risorse da investire nei settori ove la spesa è
meno comprimibile, quali la sanità, la sicurezza, l’istruzione, le infrastrutture)
oltre che nel miglioramento dei sistemi formativi, da cui molto dipendono le
prospettive di successo competitivo delle imprese, in particolare quelle di
dimensione media e piccola.
E subito dopo
Meno urgenti ma non meno importanti sono una serie di interventi diretti a
dotare l'Unione europea di strumenti più efficaci per il governo dell'economia e
per garantire essenziali interventi in ambito sociale. Tali interventi possono
essere realizzati a trattati invariati o, in alcuni casi, con riforme o accordi
specifici.
Il governo dell’economia
Le misure dirette a migliorare il governo dell’economia dovrebbero mirare a
realizzare un sistema in grado, a livello macroeconomico, di far fronte in modo
efficace ai rischi di instabilità economica e finanziaria e, a livello
microeconomico, di rinforzare le caratteristiche strutturali del sistema
produttivo. In particolare, sono necessari i seguenti interventi:
a) Per la politica monetaria è necessario completare il mandato della Bce,
mettendola alla pari delle altre banche centrali, affinché possa agire come
creditore, federale20, di ultima istanza, come soggetto alla pari nei consessi
internazionali, come promotore della crescita e l’occupazione, come attore
dell’emergenza non solo per la salvaguardia delle banche, ma anche per
favorire gli investimenti, specie nelle Pmi.
b) Per la politica creditizia e finanziaria, occorre invece accelerare le procedure
per l’attuazione dell’Unione bancaria e del meccanismo unico di
sorveglianza europea, mentre per il meccanismo di intervento in presenza di
crisi bancarie, oltre ad anticiparne i tempi di attuazione, occorre rivedere le
Per il confronto fra Banca Federale Usa e Banca Centrale Europea può risultare utile, anche
per evitare facili semplificazioni, il documento allegato al sito di “Università per l’Europa”,
scritto da Giacomo Mazzei con la supervisione di Francesco Papadia, direttore generale per le
operazioni di mercato della Bce fra il 1998 e il 2012. In estrema sintesi, si può affermare che la
Fed è tenuta, come accennato, a promuovere l’occupazione, ma non sempre a sanare il debito
dei singoli stati.
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Realizzare l’Unione economica
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
modalità di intervento del Fondo di garanzia unico Srf (Single Resolution
Fund), che, così come approvato al vertice di dicembre 2013 per le situazioni
di “tail risk”, verrebbe a disporre di risorse insufficienti.
c) Per la governance economica in senso proprio relativamente all’Eurozona
occorre superare il metodo del coordinamento, che non ha prodotto i
risultati attesi, allo scopo di favorire una maggiore convergenza tra i sistemi
economici dei paesi membri. In particolare, occorre rafforzare il
coordinamento delle politiche fiscali in modo da affiancare a una politica
monetaria unica, una politica fiscale il più possibile unitaria e coordinata con
la politica monetaria. Una maggiore armonizzazione dei sistemi fiscali, in
particolare per quello che riguarda la fiscalità di impresa, è parte di questo
insieme di interventi.
d) Per rafforzare le caratteristiche strutturali occorre rilanciare, in modo
coordinato, politiche micro-economiche che finora hanno ricevuto scarsa
attenzione. In particolare occorre disegnare un sistema efficace e non
distorsivo di politiche industriali che individui alcuni settori strategici e
definisca le fonti di finanziamento; inoltre, appare necessario un rilancio
delle politiche per l’innovazione legato anche alla riconversione ecologica
del sistema economico, di cui è parte essenziale la politica energetica.
e) Per affrontare definitivamente il problema del debito sovrano, occorre
realizzare un meccanismo che, senza eliminare la responsabilità dei singoli
paesi sul debito, contribuisca ad “isolarlo” dalla speculazione finanziaria,
diversamente da come è avvenuto di recente con la crisi, una crisi solo per
ora sospesa, vista l’insufficienza dello Esm (European Solidarity Mechanism)
ad intervenire. Il debito nazionale viene convertito progressivamente fino ad
una quota massima del 60%, o per la parte eccedente il 60%, e detenuto in
un «conto debito consolidato», ma non negoziato (a diritto costante).
Politiche sociali e redistributive
Il principio di responsabilità, non solo degli Stati, ma anche dei cittadini
contribuenti, non può essere separato da quello di solidarietà, che deve
intervenire nel momento in cui viene meno per i cittadini il principio di
sussistenza. Infatti non può essere solo un problema della Grecia, o di altri paesi
in crisi, quello di far fronte alla sussistenza per una vita decorosa o di avere un
lavoro dignitoso. È un problema che deve coinvolgere tutti i cittadini e tutti i
paesi, in particolare quelli che maggiormente hanno beneficiato e beneficiano
dei limiti attuali dell’Uem.
Inoltre l’Unione, in particolare l’Eurozona, se sarà completata, non potrà
continuare ad ignorare le conseguenze sociali delle politiche economiche messe
18
Realizzare l’Unione economica
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
in atto, lasciandole a totale carico degli Stati. Sia per gli interventi economici che
sociali, occorrerà tener conto non solo dei parametri del patto di stabilità, ma di
una gamma più ampia di parametri macroeconomici (es. tasso di
disoccupazione, tasso di crescita, bilancia dei pagamenti, tasso di occupazione,
indicatori di povertà ecc.), sviluppando ulteriormente l’approccio introdotto
dalla Commissione nella sua Comunicazione del 2 ottobre 2013 sul
Rafforzamento della Dimensione Sociale dell’Uem. Le politiche sociali devono
procedere di pari passo con quelle economiche, anche perché è impossibile
garantire la stabilità dell’Uem senza interventi di protezione sociale e senza un
meccanismo redistributivo. Né si può pensare che le misure di austerità
diventino la regola, invece dell’eccezione. Occorre perciò un «meccanismo
assicurativo» dell’Eurozona, come proposto dal «Glienicker Group» 21, che possa
far fronte alle conseguenze delle drammatiche recessioni economiche e/o degli
squilibri. Ad esempio:
- creazione di un sistema comune di sussidi alla disoccupazione,
complementare ai sistemi nazionali, eventualmente legato alla creazione di
regole comuni per il mercato del lavoro dell’Eurozona ed alla mobilità della
manodopera
- concessione di un reddito minimo per alcune fasce di persone al di sotto
della soglia di povertà22
- l’assicurazione e la fornitura di beni pubblici comuni e servizi nell’Eurozona
per garantirne la tenuta, in particolare nei periodi di crisi.
Agenda per la Convenzione. Le riforme dell’unione politica
Si veda il testo proposto dagli undici autorevoli economisti tedeschi, che ribadiscono la
persistente gravità della crisi, la non adozione di soluzioni adeguate e la necessità di procedere
nell’integrazione europea, in http://www.bruegel.org/nc/blog/detail/article/1173-towards-aeuro-union. Detto da loro: “1. Responsible debtors need responsible creditors; 2. Responsibility
and solidarity go hand in hand, 3. Democracy and rule of law must be strengthened, 4.
Cohesion: Public goods must be provided”. Pertanto: “A Euro-Treaty for the Euro-Union”.
22 In tema di immigrazione si richiede attenzione alla gestione dei flussi migratori in ingresso
nell’Unione perché non sia declinata solo in termini di blocchi agli ingressi illegali, rispetti la
dignità delle persone mediante la creazione di corridoi umanitari, l’effettivo controllo del
rispetto dei diritti umani da parte dei paesi terzi partner negli accordi di rimpatrio, il controllo
effettivo del rispetto da parte di tutti gli stati membri del divieto delle pratiche di respingimento
collettivo, la trasformazione del mandato dell’Agenzia FRONTEX incrementando le sue
responsabilità e funzioni in termini di soccorso ed accoglienza.
21
19
Realizzare l’Unione economica
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
In considerazione di tutto ciò, e in vista della Convenzione per la riforma degli
attuali trattati, dichiarata “Convenzione costituente” dall’Unione europea dei
federalisti e preannunciata per la legislatura europea che si aprirà dopo le
elezioni del prossimo maggio (in particolare per la primavera 2015), è
indispensabile introdurre precise innovazioni istituzionali, sostanzialmente
concordi con la proposta di Legge Fondamentale avanzata dallo Spinelli Group.
Vale a dire:
- la trasformazione della Commissione in un potere esecutivo, compatibile
con il modello federale, e tale da attuare come compito prioritario l’auspicato
governo dell’economia europea23.
- il rafforzamento del dialogo tra la Commissione e il Parlamento europeo
in tutti i settori della vita dell’Unione, concedendo al P. E. un esplicito diritto di
iniziativa legislativa24
- la progressiva eliminazione del diritto di veto non solo per l’Uem, ma
anche per le altre politiche dell’Unione
Tale obiettivo richiede, in alternativa: l’elezione popolare diretta del presidente della
Commissione, in grado di formare un governo proprio, con un ristretto numero di ministri,
come proposto dalla Cdu già nel congresso di Lipsia del 2011 (senza però precisare le modalità,
cosa del resto che nessuno si è finora peritato di chiedere), oppure l’elezione del presidente da
parte del Parlamento europeo sulla base dei risultati elettorali, con il Consiglio europeo nel
ruolo di presidente collettivo. Una specifica attenzione, al fine di valutarne gli aspetti più
rilevanti, può essere rivolta anche al modello svizzero, che vede tutte le componenti politiche
presenti nell’esecutivo e una presidenza a rotazione.
A proposito del ruolo della Commissione come “guardiano dei trattati” che, secondo taluni,
dovrebbe sconsigliarne la “politicizzazione”, Riccardo Perissich ha recentemente commentato
nel modo seguente in uno scambio di mail fra i partecipanti a “L’Università per l’Europa. Verso
l’Unione Politica”: “I Presidenti e i Commissari sono sempre stati non solo politici, ma
politicizzati. Tutti i Commissari, anche quelli che non avevano origini politiche, si sono sempre
affrettati a stabilire un’affiliazione con un gruppo del PE; i più attivi e visibili essendo i
britannici. Non è frequente, ma succede che la Commissione si divida secondo criteri partitici.
Del resto, anche quando le nomine venivano fatte esclusivamente dai governi tenevano conto di
un equilibrio politico; altrimenti lady Ashton non sarebbe dov’è. La nuova delicata procedura
lanciata dai partiti in vista delle elezioni aggiunge solo un carattere di pubblicità (e quindi di
legittimità) ad una situazione già esistente”. Si veda in argomento anche
http://www.csfederalismo.it/images/stories/discussion_papers/02_p.d.tortola_en.pdf,
che
risponde alle obiezioni sopra accennate, riscontrabili tra l’altro nel paper di Heather Grabbe e
Stefan Lehne: "The 2014 European elections: Why a partisan Commission president would be
bad
for
the
EU",
in
http://www.cer.org.uk/sites/default/files/publications/attachments/pdf/2013/esy_commissionpr
es_11oct13-7937.pdf , del Centre for European Reform.
24 Da parte delle forze di governo tedesche è stato proposto qualche tempo addietro il diritto di
iniziativa anche per il Consiglio, così come del resto asserito nella Fundamental Law elaborata da
Andrew Duff.
23
20
Realizzare l’Unione economica
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- il completamento dell’adesione all’euro, che a norma dei Trattati è la
moneta di tutta l’Unione, da parte dei paesi che hanno preso l’impegno ad
adottarlo. Non possono esistere tre categorie: i paesi dell’euro, gli incerti, i paesi
in opting-out. Per questi ultimi vanno adottate precise disposizioni25
- la modifica del sistema di rappresentanza del Parlamento europeo, in
modo da rispettare tendenzialmente il principio “one man, one vote”, come
richiesto dalla Corte costituzionale tedesca, sia pure elaborando le formule
meno punitive per la rappresentanza dei paesi più piccoli26. Tale soluzione
renderebbe proponibile un “patto con il popolo tedesco”, in base al quale ad
una rappresentanza più equa farebbe riscontro il progresso dell’unione politica,
del resto preannunciato dalla stessa cancelliera, a cui si chiede di tener fede alle
sua stessa parola
- la ricomposizione della Corte di Giustizia e della Corte dei Conti, in
modo tale da renderle simili ad analoghe istituzioni federali, come quella
statunitense, emancipandole dal principio “one state, one vote”, per attribuirle
ad un numero ristretto di magistrati, di estrema competenza, visibili e noti al
pubblico, e dunque dotati dell’affidabilità necessaria ad esprimersi su tematiche
cruciali di comune interesse27. L’accesso alle Corti da parte dei singoli deve
essere reso più agevole
- la trasformazione del Consiglio in un Senato degli Stati, in grado di
rappresentare nella sua composizione anche le realtà regionali o subnazionali
sottostanti gli stati nazionali più grandi, avvalorando così il principio di
sussidiarietà, mentre il Consiglio europeo potrà divenire il presidente collettivo
dell’Unione28
Vanno messe a punto soluzioni per la fase di transizione e per i rapporti con gli opting-out,
evitandone i condizionamenti. Stando alla premessa della Fundamental Law dello Spinelli
Group: “Membership of the euro is taken as given once the convergence criteria are met.
Methods are proposed to closely associate the ‘pre-ins’ with the decisions of the eurozone. The
scope for opt-outs and derogations is minimised”.
26 A tal fine anche il Parlamento europeo, almeno nei momenti più importanti, potrebbe
decidere in base a maggioranze qualificate, tenendo conto della popolazione rappresentata dai
deputati, analogamente a quanto previsto per il Consiglio.
27 Un seminario sul tema “one state, one vote” è stato promosso all’università di Bologna, da
Lucia Serena Rossi, in data 6 novembre 2013.
28 La Fundamental Law propone che il presidente del Consiglio europeo venga scelto per
votazione all’interno del Consiglio stesso, per la durata di mezza legislatura, come accade per il
Parlamento, mentre oggi il presidente stabile è persona di provenienza esterna. Un’ipotesi da
valutare, tenendo peraltro conto di come verrà configurata la presidenza della Commissione.
Un’altra ipotesi prevede la fusione della carica di presidente della Commissione con quella di
presidente del Consiglio europeo.
25
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Realizzare l’Unione economica
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- la regolamentazione del sistema dei partiti attraverso l’approvazione di
appositi statuti, anche in tema procedure interne e di finanziamenti, tale da
legittimarne pienamente il ruolo di vettori della volontà generale, anche
attraverso la formulazione dei “programmi di legislatura”, atti ad accrescere
l’interesse degli elettori, nonché di liste europee, come proposto nel progetto di
Fundamental Law29. A tale regolamentazione va aggiunta la procedura elettorale
uniforme per le elezioni del Parlamento europeo
- la realizzazione di politiche comuni rispetto all’energia, alla ricerca,
all’immigrazione e alla tutela dei diritti sociali, con la previsione di sanzioni per
gli stati inadempienti, come oggi avviene per le questioni di bilancio
- il previsto inserimento del fiscal compact nel contesto istituzionale
dell’Unione, il quale richiede tuttavia talune modifiche ai trattati per
assicurarne le basi giuridiche
- la promozione del multilinguismo e di una lingua franca comune, come
auspicato dallo stesso presidente tedesco, Joachim Gauck, nel febbraio 2013, al
fine di favorire la comprensione reciproca nella res publica europea30
- il rafforzamento della Politica estera e di sicurezza comune e della
Politica di sicurezza e difesa comune, prevedendo la presenza unica
dell’Unione negli organismi internazionali, il coordinamento della difesa, la
gestione dell’Agenzia degli armamenti sotto il controllo delle istituzioni
comuni, in vista dei doverosi passi successivi, secondo linee già prefigurate nel
congresso della Cdu di Lipsia del 201131
La proposta di liste politiche europee, avanzata dal cosiddetto progetto Duff, potrebbe
risultare in grado di rafforzare la qualità dei partiti come attori politici sovranazionali, dando
risalto ai loro progetti.
30 Discorso tenuto al castello di Bellevue. Il presidente ha anche affermato: “Wir brauchen eine
weitere innere Vereinheitlichung. Denn ohne gemeinsame Finanz- und Wirtschaftspolitik kann
eine gemeinsame Währung nur schwer überleben. Wir brauchen auch eine weitere
Vereinheitlichung unserer Außen-, Sicherheits- und Verteidigungspolitik, um gegen neue
Bedrohungen gewappnet zu sein und einheitlich und effektiver auftreten zu können. Wir
brauchen auch gemeinsame Konzepte auf ökologischer, gesellschaftspolitischer - Stichwort
Migration - und nicht zuletzt demografischer Ebene”. Il concetto di Lingua franca,
presumibilmente identificabile con l’inglese, che permetterà di intensificare la comunanza con
gli Usa e molte aree del mondo, richiede una standardizzazione della lingua usata in comune ed
una regolamentazione dell’uso della stessa, al fine di consentirne la piena comprensione al
pubblico più vasto possibile. Un compito assai suggestivo per linguisti, traduttori ed esperti cui
dedicarsi da subito.
31 Come si legge nel documento congressuale della Cdu del 2011, “The political union includes a
common foreign, security and defence policy that should lead to joint European defence and, in
the long-term, to a defence union using European armed forces. We want to strengthen
Europe’s role as a force for peace in the world. For the European Union, as for its Member
29
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Realizzare l’Unione economica
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- Appare infine indispensabile avviare un riflessione sul ruolo e
sull’auspicabile rafforzamento istituzionale del Consiglio d’Europa, come sede
di condivisione delle decisioni fra i partner di un’Europa che comprende tanto la
Ue che la Russia, che la Turchia; nonché in merito a forme di
istituzionalizzazione dei rapporti fra Usa ed Ue, al di là dell’instaurazione di
un’area di libero scambio, oggi in fase di negoziazione.
Unione politica. Non meno
Vale la pena di convincersi. La difesa dei legittimi interessi degli individui e
delle nazioni europee passa attraverso la realizzazione dell’Unione economica e
monetaria nel quadro dell’unione politica. Le esigenze di progresso, gli
spostamenti di forza nel contesto internazionale, l’aspirazione ad un più alto
livello di civiltà lo impongono.
L’unione politica, infatti, è la condizione indispensabile per poter
sostenere in modo non subalterno il confronto con i poteri in ascesa del XXI
secolo; al tempo stesso, è la premessa per un rafforzamento del ruolo
dell'Europa come potenza civile, in grado di promuovere partnership
economiche e politiche con il resto del mondo nel quadro di un "dialogo tra le
civiltà" che eviti il sorgere di nuovi conflitti e l'aggravamento di quelli attuali32.
La Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 – vale la pena di ripeterlo ha indicato la federazione europea come obiettivo imprescindibile per gli
europei usciti dai devastanti conflitti mondiali e li ha impegnati a perseguirlo
come firmatari dei trattati successivamente sottoscritti. Il perseguimento dello
stato federale europeo, pur nella diversità delle soluzioni istituzionali che
potranno essere adottate, malgrado colpevole la lentezza dei tempi della sua
realizzazione, non può e non deve essere rinnegato da nessuno che intenda
assumere compiti di guida nell’Unione.
In caso contrario si perde la stella polare che ha guidato e deve continuare
a guidare generazioni di europei. Essa esige pertanto di radicarsi anche in ogni
singolo cittadino come impegno etico, intellettuale, civile e politico.
States, domestic and foreign policy issues are intertwined. The European Union is our answer to
globalisation, so that Europe can assert itself both at home and abroad”.
Non può esser nemmeno passato sotto silenzio quanto dichiarato dal presidente Obama in un
recente intervista al «Corriere della Sera»: in sintesi (e lasciando stare la solite asserzioni
dell’intervistatore su un’Italia che avrebbe preso la “guida” della Ue, assumendone la
“presidenza” per un semestre..) per il presidente Usa la paura peggiore nasce, ancora più che
per le tensioni in Ucraina, dal pericolo di un possibile attacco terroristico di natura nucleare (o
almeno con dispersione di uranio) nella città di New York. Dopodiché nessuno esclude, si deve
aggiungere, che il pericolo possa incombere anche su qualunque metropoli europea.
32
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Realizzare l’Unione economica
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
24
Realizzare l’Unione economica
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
Unanimity in the Lisbon Treaty and way forward to boost
European Integration
di Silvia Polidori
Legal Advisor at the European GNSS Agency
Introduction
Nowadays Council and European Council decisions are still adopted in part
upon unanimity vote legal basis.
Even though this represents an exception in the Treaties and member
states generally tend not to exercise their veto right also in reality, the
unanimity still represents a decisional blocking threat. It can be a serious
obstacle against the correct functioning of the institutions, linked to the risks of
corruption and blackmail that it allows, especially in moments of crisis.
For this reason, a step forward to boost European integration through an
increase of the majority decision method would imply avoiding this kind of
inconvenient.
Legal overview and analysis
The provisions of the Lisbon Treaty33 which foresee a unanimous vote by the
Council, or in other limited cases by the European Council, are 68 (13 as to TEU;
55 as to TFEU). They rise to 82 if we consider all the matters under unanimity,
e.g. Article 153.2 on social policy foresees four different matters to which
unanimity applies. A complete overview of those legal bases is provided below
per each Treaty, including their legal reference, subject and some specific
Including the Treaty on the European Union (TEU) and Treaty on the functioning of the
European Union (TFEU).
33
24
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
comments, justifying the current use of the unanimity and supporting a
possible switch to the majority decisional method.
The matters mostly related to the unanimity decision rule are the
institutional ones, the enhanced cooperation and “passerelle” clauses, freedom,
security and justice space, citizenship and fundamental rights, and common
foreign, security and defence policy.
The decisions adopted by qualified majority by the Council represent only
20% of the measures with a legal majority basis. Nevertheless, this remaining
80% of decisions are often adopted by unanimous vote. This provides two
advantages: on one side, those decisions are adopted more rapidly; on the
other, the content of such decisions is generally more ambitious than the one
related to the decisions taken unanimously according to a legal unanimity basis.
Such consensus is the concrete expression of European integration,
meaning to allow various interests converging in a common aim, which is
translated in the legal measure adopted.
Reasons in support of a switch from unanimity to majority decisional method
Already 10 years ago, during the preparatory works of the Convention on the
Constitutional Treaty, several reasons supporting the majority votes have been
highlighted in a reflection note by the European Commission34 .
They can be summarised as follows:
- The progressive introduction of the majority vote was already
foreseen in the Treaty of Rome, representing its legal basis. Nevertheless,
the “empty chair” crisis in 1966 and the related Luxembourg compromise
confirmed the unanimity exception for decisions involving a very important
interest of a member state. This proves that trends of protection by the
member states of their own decisional powers have been recurrent in the
history of the European Union.
- The qualified majority is implicit in the Community method.
- The more the number of member states increases, the more the
qualified majority is needed, in order to shorten the decisional timing.
- Unanimity rule doesn’t necessarily answer better to the interest of
a member state, because it can be the result of pressure by a certain national
group, or by a certain category of citizens only. It can also be
disadvantageous for the blocked member state.
- Normally decisions foreseeing the majority vote are taken
unanimously. In fact they are the result of enhanced negotiations.
Ref. Bruxelles, 07/07/2003 – Reflection note on the qualified majority vote: questions and
answers, submitted by the Task Force on the future of the Union and institutional matters.
34
25
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
In this last case, it is demonstrated in practice that the majority vote
represents a “dissuasive measure” to reach more easily a unanimous consensus.
In fact, in a decision on majority vote basis, the member state which opposes to
its content generally negotiates the withdrawal of the matters it refuses, in
exchange of the acceptance by others of one or more amendments on different
points of major interest for it. In that case, the member state votes within the
minority, or even in favour of the decision after having obtained the approval of
those points essential for it.
I would like to add another reason to the ones expressed above, as a useful
example in support of the majority vote. The common foreign and security
policy (CFSP) represents one of the areas where unanimity is mostly foreseen. A
next radical step for a more integrated Europe would be to overcome veto in
this sector. In fact there are other policy sectors under majority decisions which
are very linked to the CFSP. An example is one of the future applications of the
Galileo satellite navigation programme, i.e. the Public Regulated Service
(PRS)35. Decisions concerning the Global Navigation Satellite System (GNSS) 36
are generally adopted by qualified majority, including the one on the rules for
access to the PRS37. But the application of this decision follows measures
decided unanimously by the Council, which shall adopt necessary instructions
to the European GNSS Agency and the concession holder of the system38. This is
justified by the security aspects involved in the PRS, also linked to member
states’ defence. A coherent approach would be to extend the qualified majority
also to the security area of the Treaties. In the specific Galileo-PRS case, not only
the whole legislative framework on GNSS would remain under majority
decision by the Council, including the rules establishing and regulating the
functioning of the European GNSS Agency39, but also those measures with
Ref.
http://ec.europa.eu/enterprise/policies/satnav/galileo/applications/public-regulatedservices/index_en.htm.
36 REGULATION (EU) No 1285/2013 OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE
COUNCIL of 11 December 2013 on the implementation and exploitation of European satellite
navigation systems and repealing Council Regulation (EC) No 876/2002 and Regulation (EC) No
683/2008 of the European Parliament and of the Council.
37 DECISION No 1104/2011/EU OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL
of 25 October 2011 on the rules for access to the public regulated service provided by the global
navigation satellite system established under the Galileo programme - L 287/1.
38 COUNCIL JOINT ACTION 2004/552/CFSP of 12 July 2004 on aspects of the operation of the
European satellite radio-navigation system affecting the security of the European Union.
39 Established by REGULATION (EU) No 912/2010 OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND
OF THE COUNCIL of 22 September 2010 setting up the European GNSS Agency, repealing
Council Regulation (EC) No 1321/2004 on the establishment of structures for the management of
the European satellite radio navigation programmes and amending Regulation (EC) No
35
26
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
security impact. They would imply a possible full consent through a qualified
majority decision, avoiding veto rights in crucial situations affecting the
security of the member states.
In the perspective of a more integrated European Union, the unanimity
vote represents a brake. Instead of exercising the veto right and defending its
own prerogatives in an exclusive way, the majority vote allows a member state
to confront its position with others and to find a better outcome, fruit of a
stimulating debate.
If a new impetus is necessary to re-launch the European integration
process, this can be possible through the establishment of new rules which
increasingly replace the legal unanimity basis with the majority vote.
Confrontation of different positions and open debate can bring to a more
constructive result than a blocking veto!
683/2008 of the European Parliament and of the Council. A draft Regulation repealing the one in
force is under approval.
27
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
LIST OF PROVISIONS
UNANIMITY VOTE
IN
THE
LISBON
TREATY
REQUIRING
Treaty on the European Union
TEU Legal Reference and Subject
1
TITLE I - Common Provisions
Article 7.2
FUNDAMENTAL RIGHTS
Determination by the European Council of
the existence of a serious and persistent
breach by a Member State of the values of
respect for human dignity, freedom,
democracy, equality, rule of law and respect
for human rights, including the rights of
persons belonging to minorities (ref. Article
2 TEU).
2
TITLE III - PROVISIONS
INSTITUTIONS
Article 17.5
Comments
The ex ante determination
of “risk of breach” and
subsequent decision of
suspension of certain rights
deriving from the Treaties
to the MS in question are
taken by the Council by
majority (majority of four
fifths of its members in
the
first
case
and
qualified majority in the
second case). Moreover,
as the determination of the
“existence of a serious and
persistent breach” is the
condition for the decision
of suspension of certain MS
rights, a veto on the
“determination of existence”
can
also
block
the
“suspension of the rights.”
ON
THE The European Council
has already decided to
modify the number of
Commissioners and has
INSTITUTIONAL MATTERS
maintained the current
Decisions by the European Council on:
provision
of
one
1.
Alteration of the number of
Commissioner per MS.
Commission members;
This was a sine qua non
2.
Establishment of the rotation
condition to obtain the
system of the Commission members.
ratification of the Treaty
by Ireland.
Therefore, a decision
28
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
related to the rotation
system is not necessary
anymore.
3
TITLE V
GENERAL
PROVISIONS
ON
THE
UNION'S EXTERNAL ACTION AND
SPECIFIC
PROVISIONS
ON
THE
COMMON FOREIGN AND SECURITY
POLICY
Chapter 1
General provisions on the Union's external
action
Article 22
CFSP
Decisions of the European Council on the
strategic interests and objectives of the
Union, i.e. related
to the common foreign and security policy
and to other areas of the external action of
the Union.
4
TITLE V
The
definition
and
Chapter 2
implementation of the
Specific provisions on the common foreign CFSP is
still
interand security policy
governmental.
This
Section1
element, together with the
Common provisions
delicate strategic issues
involved, has justified
Article 24
until now the use of
CFSP
unanimity.
Definition and implementation of the
common foreign and security policy by the
European Council and the Council, except
cases where the Treaties provide otherwise.
5
TITLE V
Chapter 2
Section 1
Article 31.1
Here
the
specific
provision of “constructive
abstention”
appears,
where the abstaining MS
29
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
doesn’t block the decision
CFSP
committing the Union.
Decisions on the common foreign and This happens only below
security policy by the European Council and the ceiling of one third of
the Council, outside exceptions provided in the MS comprising at
the same Chapter.
least one third of the
population of the Union,
which implies, above this
ceiling, the exercise of
actual veto right.
6
TITLE V
Chapter 2
Section 1
Article 31.3
Here the provision opens
to further possibilities of
qualified
majority,
instead of the regular
unanimity.
CFSP
The European Council may unanimously
adopt a decision stipulating that the Council
shall act by a qualified majority in cases
other than those referred to in paragraph 2.
Decision of the European Council stipulating
the qualified majority for the Council
decisions in cases other than those referred
to in paragraph 2.
7
TITLE V
Chapter 2
Section 1
Article 41.2
Here the unanimity is
used to reinforce the
intergovernmental
activity on the individual
states side.
CFSP
Decision of the Council on:
1.
Cases where operating
expenditure related to CFSP shall not
be charged to the Union budget.
2.
Cases where the gross national
product scale is not used as the
reference to charge the Member
States.
30
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
8
TITLE V
The
subject
of
the
Chapter 2
decision represents a
Section 2
relevant step foreword,
Provisions on the common security and though the unanimity is
defence policy
used.
Article 42.2
CFSP
Decision of the European Council on a
common Union defence.
9
TITLE V
Chapter 2
Section 2
Article 42.4
CFSP
Decisions relating to the common security
and defence policy, including those
initiating a mission.
10
TITLE V
Chapter 2
Section 2
Article 46.6
CFSP
Decisions and recommendations of the
Council within the framework of permanent
structured
cooperation,
other
than
determination
of
participating
and
withdrawing Member States.
11
TITLE VI
FINAL PROVISIONS
Article 48.6
Simplified revision procedures
INSTITUTIONAL MATTERS
The unanimity to amend
the provisions of Part III
of the TFEU which don’t
imply increase of Union
competences allows to
avoid the call of an inter-
31
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
Decision by the European Council amending
all or part of the provisions of Part Three of
the Treaty on the Functioning of the
European Union relating to the internal
policies and action of the Union.
12
13
governmental
but doesn’t
double
(approval
governments
ratification
parliaments.
conference,
avoid the
unanimity
by
28
and
by
28
TITLE VI
Article 48.7
The "passerelle" clause
allows the transition from
the unanimity to the
INSTITUTIONAL MATTERS
qualified
majority
Decisions of the European Council:
without modification of
1. authorising the Council to act by a the Treaties.
qualified majority in a given area or
case, except decisions with military
implications or those in the area of
defence.
2. Where the Treaty on the
Functioning of the European Union
provides for legislative acts to be
adopted by the Council in accordance
with a special legislative procedure,
the European Council may adopt a
decision allowing for the adoption of
such acts in accordance with the
ordinary legislative procedure.
3.
TITLE VI
Article 49
INSTITUTIONAL MATTERS
Decision of the Council on the application by
a new candidate member state of the Union.
Treaty on the Functioning of the European Union
32
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
TFEU Legal Reference and Subject
1
PART TWO
NON-DISCRIMINATION
CITIZENSHIP OF THE UNION
Article 19.1
AND
FUNDAMENTAL RIGHTS
Actions taken by the Council to combat
discrimination based on sex, racial or
ethnic origin, religion or belief, disability,
age or sexual orientation.
2
Comments
The Council has already
adopted instruments of
secondary legislation on
non-discrimination
matters. In particular, the
Council has already
adopted by unanimity
vote various directives on
matters of nondiscrimination for reasons
of sex, racial origin, age or
religion. Nevertheless,
these directives have
foreseen various
derogations in favor of
some member states (in
particular UK) taking into
account their national
specificities (e.g. UK can
discriminate women for
some working activities,
as police or military
forces). This demonstrates
that unanimity vote can
reduce the content of
European law for the
benefit of some member
states.
PART TWO
Article 21.3
CITIZENSHIP RIGHTS
Adoption by the Council of measures
concerning social security or social
protection, for the purposes to move and
reside freely within the territory of the
Member States.
33
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
3
PART TWO
Article 22.1
4
PART TWO
Article 22.2
The Council has already
adopted an instrument of
secondary legislation on
CITIZENSHIP RIGHTS
the matter of vote to
Arrangements adopted by the Council on municipal elections.
the exercise of every citizen’s right to vote
and to stand as a candidate at municipal
elections in the Member State in which he
resides, under the same conditions as
nationals of that State.
CITIZENSHIP RIGHTS
Arrangements adopted by the Council on
the exercise of every citizen’s right to vote
and to stand as a candidate in elections to
the European Parliament in the Member
State in which he resides, under the same
conditions as nationals of that State.
5
PART TWO
Article 25
There are not yet acts
adopted by the Council
on the attribution of new
CITIZENSHIP RIGHTS
citizenship rights. On this
Adoption by the Council of provisions to matter, the necessity of
strengthen or to add to the rights listed in unanimity is reinforced
Article 20(2), i.e.:
by the necessity of 28
(a) the right to move and reside freely national ratifications.
within the territory of the Member States;
(b) the right to vote and to stand as
candidates in elections to the European
Parliament and in municipal elections in
their Member State of residence, under the
same conditions as nationals of that State;
(c) the right to enjoy, in the territory of a
third country in which the Member State of
which they are nationals is not represented,
34
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
6
the protection of the diplomatic and
consular authorities of any Member State
on the same conditions as the nationals of
that State;
(d)
the right to petition the European
Parliament, to apply to the European
Ombudsman, and to address the
institutions and advisory bodies of the
Union in any of the Treaty languages and
to obtain a reply in the same language.
PART THREE
UNION POLICIES AND INTERNAL
ACTIONS
TITLE IV
FREE MOVEMENT OF PERSONS,
SERVICES AND CAPITAL
Chapter 4
Capital and payments
Article 64.3
This provision reinforces
the current status and
related steps forward
achieved, as regards the
liberalisation
of
the
movement of capital. In
this
case,
unanimity
guarantees that steps
backwards on the subject
FREE MOVEMENT OF CAPITAL
are taken upon common
Adoption by the Council of measures agreement only.
which constitute a step backwards in
Union law as regards the liberalisation of
the movement of capital to or from third
countries.
7
PART THREE
TITLE IV
Chapter 4
Article 65.4
All decisions on fiscal
matters
require
unanimity.
FREE MOVEMENT OF CAPITAL
In the absence of measures ex Article 64(3),
and in the absence of a Commission
decision within three months from the
request of the Member State concerned,
decision by the Council, stating that
restrictive tax measures adopted by a
Member State concerning one or more
35
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
third countries are to be considered
compatible with the Treaties in so far as
they are justified by one of the objectives of
the Union and compatible with the proper
functioning of the internal market.
8
PART THREE
TITLE V
AREA OF FREEDOM, SECURITY AND
JUSTICE
Chapter 2
Policies on border checks, asylum and
immigration
Article 77.3
AREA OF FREEDOM
Adoption by the Council of provisions
concerning passports, identity cards,
residence permits or any other such
document to facilitate
the right to move and reside freely within
the territory of the Member States -Ref.
Article 20(2)(a)-.
9
PART THREE
TITLE V
Chapter 3
Judicial cooperation in civil matters
Article 81.3
AREA OF JUSTICE
Adoption by the Council of:
1. measures concerning family law with
cross-border implications;
2. decision determining those aspects of
family law with cross-border implications
which may be the subject of acts adopted
by the ordinary legislative procedure.
10
The unanimity is justified
by family law differences
in the 28 MS. In fact, it is
not by chance that the
first
enhanced
cooperation has been
adopted on transnational
divorce matter.
PART THREE
36
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
TITLE V
Chapter 4
Judicial cooperation in criminal matters
Article 82.2
AREA OF JUSTICE
Decision by the Council on any specific
aspects of criminal procedure other than:
(a) mutual admissibility of evidence
between Member States;
(b) the rights of individuals in criminal
procedure;
(c) the rights of victims of crime;
on which it establishes minimum rules
together with the Parliament.
11
PART THREE
TITLE V
Chapter 4
Article 83.1
AREA OF JUSTICE
On the basis of developments in crime,
decision by the Council identifying other
areas of crime in the areas of particularly
serious crime with a cross-border
dimension resulting from the nature or
impact of such offences or from a special
need to combat them on a common basis.
12
A proposal for aCouncil
Regulation
on
the
establishment
of
the
European
Public
Prosecutor's Office has
been adopted by the
AREA OF JUSTICE
Regulations by the Council to establish a Commission in 2013 ( Ref.
17.7.2013
European Public Prosecutor’s Office from Brussels,
COM(2013) 534 final)
Eurojust.
PART THREE
TITLE V
Chapter 4
Article 86.1
37
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
13
PART THREE
TITLE V
Chapter 4
Article 86.4
AREA OF JUSTICE
Decision by the European Council to
extend the powers of the European Public
Prosecutor's Office to include serious crime
having a cross-border dimension.
14
PART THREE
TITLE V
Chapter 5
Police cooperation
Article 87.3
AREA OF JUSTICE
Measures established by the Council
concerning
operational
cooperation
between Member States' competent
authorities, including police, customs and
other specialised law enforcement services
in relation to the prevention, detection and
investigation of criminal offences.
15
PART THREE
TITLE V
Chapter 5
Article 89
AREA OF JUSTICE
Conditions and limitations laid down by
the Council, under which the competent
authorities of the Member States (ref. in
Articles 82 and 87) may operate in the
territory of another Member State in liaison
and in agreement with the authorities of
that State.
38
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
16
PART THREE
TITLE VI
TRANSPORT
Article 92
AREA OF FREEDOM
Measure adopted by the Council granting a
derogation to the rule that no Member
State may make the various provisions
governing the subject on 1 January 1958 or,
for acceding States, the date of their
accession less favourable in their direct or
indirect effect on carriers of other Member
States as compared with carriers who are
nationals of that State.
17
PART THREE
TITLE VII
COMMON RULES ON COMPETITION,
TAXATION AND APPROXIMATION OF
LAWS
Chapter 1
Rules on competition
Section 2
Aids granted by States
Article 108
STATE AID
Decision by the Council stating that aid
granted or intended to be granted by a
State shall be considered compatible with
the internal market, in derogation from the
provisions of Article 107 or from the
regulations provided for in Article 109, if
such a decision is justified by exceptional
circumstances.
18
PART THREE
TITLE VII
Chapter 2
Second provision on fiscal
matters.
39
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
Tax provisions
Article 113
TAXATION
Provisions adopted by the Council for the
harmonisation of legislation concerning
turnover taxes, excise duties and other
forms of indirect taxation to the extent that
such harmonisation is necessary to ensure
the establishment and the functioning of
the internal market and to avoid distortion
of competition.
19
PART THREE
TITLE VII
Chapter 3
Approximation of laws
Article 115
20
PART THREE
TITLE VII
Chapter 3
Approximation of laws
Article 118
The unanimity foreseen in
this provision intends to
protect the interests of all
MS at the general level of
the directives, which will
leave each of them
APPROXIMATION OF LAWS
discretion
on
their
Directives issued for the approximation of implementation.
such laws, regulations or administrative
provisions of the Member States as directly
affect the establishment or functioning of
the internal market.
APPROXIMATION OF LAWS
Regulations of the Council establishing
language arrangements for the European
intellectual property rights.
21
PART THREE
TITLE VIII
ECONOMIC AND MONETARY POLICY
The peculiar content of
those provisions justifies
the unanimity.
40
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
Chapter 1
Economic policy
Article 126
ECONOMIC POLICY
Appropriate provisions adopted by the
Council relating to the implementation of
the procedure on excessive government
deficits, to replace the Protocol on the
excessive deficit procedure.
22
PART THREE
TITLE VIII
Chapter 2
Monetary policy
Article 127
Unanimity justified by
attribution of new specific
institutional tasks to the
ECB.
MONETARY POLICY
Regulations by the Council conferring
specific tasks upon the European Central
Bank concerning policies relating to the
prudential supervision of credit institutions
and other financial institutions with the
exception of insurance undertakings.
23
PART THREE
TITLE VIII
Chapter 5
Transitional provisions
Article 140
Unanimity justified by
important
financial
repercussions on MS.
MONETARY POLICY
In case of decisions to abrogate a
derogation: the Council shall, acting with
the unanimity of the Member States whose
currency is the euro and the Member State
concerned, irrevocably fix the rate at which
the euro shall be substituted for the
currency of the Member State concerned,
and take the other measures necessary for
41
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
the introduction of the euro as the single
currency in the Member State concerned.
24
PART THREE
TITLE X
SOCIAL POLICY
Article 153
SOCIAL POLICY
1. Actions by the Council in the fields of:
(c) social security and social protection of
workers;
(d) protection of workers where their
employment contract is terminated;
(f) representation and collective defence
of the interests of workers and employers,
including co-determination, subject to
paragraph 5;
(g) conditions of employment for thirdcountry nationals legally residing in Union
territory.
2. Decision by the Council to render the
ordinary legislative procedure applicable
to:
(d) protection of workers where their
employment contract is terminated;
(f) representation and collective defence
of the interests of workers and employers,
including co-determination, subject to
paragraph 5;
(g) conditions of employment for thirdcountry nationals legally residing in Union
territory.
25
PART THREE
TITLE X
Article 155
SOCIAL POLICY
42
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
26
Actions by the Council where the
agreement stemming from a dialogue
between management and labour contains
one or more provisions relating to one of
the areas for which unanimity is required
pursuant to Article 153(2).
PART THREE
TITLE XX
ENVIRONMENT
Article 192.2
ENVIRONMENTAL POLICY
1. Adoption by the Council of:
(a) provisions primarily of a fiscal nature;
(b) measures affecting:
town and country planning,
quantitative management of water
resources or affecting, directly or
indirectly, the availability of those
resources,
land use, with the exception of waste
management;
(c) measures significantly affecting a
Member State's choice between different
energy sources and the general structure of
its energy supply.
2. Application by the Council of the
ordinary legislative procedure to the
decision on actions by the Union to achieve
the following objectives (ref. Article 191):
–
preserving, protecting and improving
the quality of the environment,
–
protecting human health,
–
prudent and rational utilisation of
natural resources,
–
promoting measures at international
level to deal with regional or worldwide
environmental problems, and in particular
combating climate change.
43
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
27
PART THREE
TITLE XXI
ENERGY
Article 194
ENERGY POLICY
Measures established by the Council to
achieve the following objectives when they
are primarily of a fiscal nature:
a) ensure the functioning of the energy
market;
(b) ensure security of energy supply in
the Union;
(c) promote energy efficiency and energy
saving and the development of new and
renewable forms of energy; and
(d) promote the interconnection of energy
networks.
28
PART FOUR
ASSOCIATION OF THE OVERSEAS
COUNTRIES AND TERRITORIES
Article 203
ASSOCIATION
Provisions laid down by the Council on
detailed rules and the procedure for the
association of the countries and territories
with the Union.
29
PART FIVE
THE UNION'S EXTERNAL ACTION
TITLE II
COMMON COMMERCIAL POLICY
Article 207.4
COMMON COMMERCIAL POLICY
1. Negotiation and conclusion of
agreements in the fields of trade in services
and the commercial aspects of intellectual
44
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
property, as well as foreign direct
investment, where such agreements
include provisions for which unanimity is
required for the adoption of internal rules.
2. Negotiation and conclusion of
agreements:
(a) in the field of trade in cultural and
audiovisual
services,
where
these
agreements risk prejudicing the Union's
cultural and linguistic diversity;
(b) in the field of trade in social, education
and
health
services,
where
these
agreements risk seriously disturbing the
national organisation of such services and
prejudicing the responsibility of Member
States to deliver them.
30
31
PART FIVE
TITLE V
INTERNATIONAL AGREEMENTS
Article 218.8
INTERNATIONAL AGREEMENTS
1. Negotiation and conclusion of
agreements between the Union and third
countries or international organisations
which cover a field for which unanimity is
required for the adoption of a Union act as
well as of association agreements and the
agreements referred to in Article 212 with
the States which are candidates for
accession.
2. Agreement on accession of the Union to
the European Convention for the
Protection of Human Rights and
Fundamental Freedoms.
PART FIVE
TITLE V
Article 219.1
45
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
INTERNATIONAL AGREEMENTS
Formal agreements concluded by the
Council on an exchange-rate system for the
euro in relation to the currencies of third
States, in an endeavour to reach a
consensus consistent with the objective of
price stability.
32
PART FIVE
TITLE VII
SOLIDARITY CLAUSE
Article 222.3
SOLIDARITY CLAUSE
Council
decisions
with
defence
implications on arrangements for the
implementation by the Union of the
solidarity clause (ref. Article 222.1: “the
Union and its Member States shall act
jointly in a spirit of solidarity if a Member
State is the object of a terrorist attack or the
victim of a natural or man-made disaster.”)
33
PART SIX
INSTITUTIONAL AND FINANCIAL
PROVISIONS
TITLE I
INSTITUTIONAL PROVISIONS
Chapter 1
The institutions
Section1
The European Parliament
Article 223.1
INSTITUTIONAL MATTERS
Provisions laid down by the Council and
necessary for the election of Members of
the Parliament by direct universal suffrage
in accordance with a uniform procedure in
all Member States or in accordance with
46
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
principles common to all Member States.
34
PART SIX
TITLE I
Chapter 1
Section 1
Article 223.2
INSTITUTIONAL MATTERS
Approval by the Council of all rules or
conditions relating to the taxation of
Members or former Members of the
Parliament.
35
PART SIX
TITLE I
Chapter 1
Section 4
The Commission
Article 246
Institutional decision
INSTITUTIONAL MATTERS
Council decision establishing that a
vacancy of a Member of the Commission
caused
by
resignation,
compulsory
retirement or death needs not be filled, in
particular when the remainder of the
Member's term of office is short.
36
PART SIX
Institutional measure
TITLE I
Chapter 1
Section 5
The Court of Justice of the European
Union
Article 252
INSTITUTIONAL MATTERS
Increase by the Council of the number of
Advocates-General of the Court of Justice
47
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
of the EU.
37
PART SIX
TITLE I
Chapter 1
Section 5
Article 257
Institutional decision
INSTITUTIONAL MATTERS
Appointment by the Council of
members of the specialised courts.
38
the
PART SIX
TITLE I
Chapter 1
Section 5
Article 262
INSTITUTIONAL MATTERS
Provisions by the Council to confer
jurisdiction, to the extent that it shall
determine, on the Court of Justice of the
European Union in disputes relating to the
application of acts adopted on the basis of
the Treaties which create European
intellectual property rights.
39
PART SIX
TITLE I
Chapter 2
Legal acts of the Union, adoption
procedures and other provisions
Section 1
The legal acts of the Union
Article 292
INSTITUTIONAL MATTERS
(General
provision:)
Recommendations
adopted by the Council in those areas in
which unanimity is required for the
48
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
adoption of a Union act.
40
PART SIX
TITLE I
Chapter 2
Section 2
Procedures for the adoption of acts and
other provisions
Article 293
INSTITUTIONAL MATTERS
Council amendment of a proposal from the
Commission, except in the cases referred to
in paragraphs 10 and 13 of Article 294, in
Articles 310, 312 and 314 and in the second
paragraph of Article 315.
41
PART SIX
TITLE I
Chapter 2
Section 2
Article 294
INSTITUTIONAL MATTERS
Adoption by the Council of amendments
on which the Commission has delivered a
negative opinion.
42
PART SIX
TITLE I
Chapter 3
The Union's advisory bodies
Section 1
The Economic and Social Committee
Article 301
Institutional decision
INSTITUTIONAL MATTERS
Decision by the Council determining the
Economic
and
Social
Committee's
composition.
49
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
43
PART SIX
TITLE I
Chapter 3
Section 2
The Committee of the Regions
Article 305
Institutional decision
INSTITUTIONAL MATTERS
Decision by the Council determining the
Committee of the Regions composition.
44
PART SIX
TITLE I
Chapter 4
The European Investment Bank
Article 308
Institutional decision
INSTITUTIONAL MATTERS
Amendment by the Council of the Statute
of the Investment Bank.
45
PART SIX
TITLE II
FINANCIAL PROVISIONS
Chapter 1
The Union's own resources
Article 311
FINANCIAL MATTERS
Council decision laying down the
provisions relating to the system of own
resources of the Union, where it may
establish new categories of own resources
or abolish an existing category.
46
PART SIX
TITLE II
Chapter 2
The multiannual financial framework
50
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
Article 312
FINANCIAL MATTERS
1. Council regulation laying down the
multiannual financial framework.
2. Adoption by the European Council of a
decision authorising the Council to act by a
qualified majority when adopting the
multiannual
financial
framework
regulation.
47
PART SIX
TITLE III
ENHANCED COOPERATION
Article 329
ENHANCED COOPERATION
Council decision on authorisation
proceed with enhanced cooperation.
48
to
PART SIX
TITLE III
Article 331.2
ENHANCED COOPERATION
Actions taken by the Council in the field of
participation of a Member State in
enhanced cooperation in progress in the
framework of the common foreign and
security policy and adoption of any
transitional measures necessary on the
application of acts already adopted within
the framework of enhanced cooperation.
49
PART SIX
TITLE III
Article 332
ENHANCED COOPERATION
Council decision deviating from
This provision is justified
by the nature of the
enhanced
cooperation
itself,
which
is
implemented by some MS
the only and on their own
51
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
provision which foresees that expenditure initiative.
resulting from implementation of enhanced
cooperation, other than administrative
costs entailed for the institutions, shall be
borne by the participating Member States.
50
PART SIX
TITLE III
Article 333.1
ENHANCED COOPERATION
Council decision stipulating that it will act
by a qualified majority, where a provision
of the Treaties which may be applied in the
context of enhanced cooperation stipulates
that the Council shall act unanimously.
51
PART SIX
TITLE III
Article 333.2
ENHANCED COOPERATION
Council decision stipulating that it will act
by the ordinary legislative procedure,
where a provision of the Treaties which
may be applied in the context of enhanced
cooperation stipulates that the Council
shall adopt acts under a special legislative
procedure.
52
PART SEVEN
GENERAL AND FINAL PROVISIONS
Article 342
These are "passerelle"
clauses, which allow the
transition
from
the
unanimity to the qualified
majority and from the
special
legislative
procedure to the ordinary
legislative
procedure
without modification of
the Treaties.
These are "passerelle"
clauses, which allow the
transition
from
the
unanimity to the qualified
majority and from the
special
legislative
procedure to the ordinary
legislative
procedure
without modification of
the Treaties.
Institutional measure
INSTITUTIONAL MATTERS
Council regulations determining the rules
governing the languages of the institutions
of the Union.
53
PART SEVEN
52
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
Article 346.2
SECURITY
Changes made by the Council to the list of
the following products:
arms, munitions and war material -Ref.
Article 346.1 (b)- for which any Member
State may take measures as it considers
necessary for the protection of the essential
interests of its security.
54
PART SEVEN
Article 352
The unanimity decision
procedure replaces in fact
in these cases the regular
MEASURES TO ATTAIN OBJECTIVES
procedure foreseen for
1. Appropriate measures adopted by the the revision of the
Council if action by the Union is necessary, Treaties.
within the framework of the policies
defined in the Treaties, to attain one of the
objectives set out in the Treaties, and the
Treaties have not provided the necessary
powers.
2. Where the measures in question are
adopted by the Council in accordance with
a special legislative procedure, it shall also
act unanimously on a proposal from the
Commission and after obtaining the
consent of the European Parliament.
55
PART SEVEN
Article 355
STATUS OF A DANISH, FRENCH OR
NETHERLANDS
COUNTRY
OR
TERRITORY
Decision of the European Council
amending the status, with regard to the
Union, of a Danish, French or Netherlands
country or territory referred to in
53
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
paragraphs 1 and 2 of Article 355.
List of acronyms and abbreviations
TUE: Treaty on the European Union
TFUE: Treaty on the functioning of the European Union
MS: member state/s
CFSP: common foreign and security policy
PRS: Public Regulated Service
GNSS: Global Navigation Satellite Systems
Acknowledgments:
I would like to thank Prof. Paolo Ponzano (European University Institute) and
Prof. Francesco Gui (Universita’ la Sapienza di Roma) for the valuable inputs
provided.
Disclaimer: the ideas and opinions expressed in this article strictly belong to the
author and shall not be referred to the European GNSS Agency.
54
S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
Approfondimenti e proposte
di Paolo Ponzano
Disposizioni del Trattato di Lisbona che richiedono il voto unanime.
Le disposizioni del Trattato di Lisbona (TUE + TFUE) che prevedono il voto
unanime per le decisioni del Consiglio (o, in certi casi limitati, del Consiglio
europeo) sono 68 (che salgono a 82 se si calcolano tutte le materie sottoposte al
voto unanime : per esempio, l'art 153, par 2, in materia di politica sociale
prevede quattro diverse materie a cui si applica il voto all'unanimità).
Le disposizioni del TUE che prevedono il voto unanime sono contenute
negli articoli 7,2, 17,5, 22, 24, 31,1, 31,3, 41,2, 42,2, 42,4, 46,6, 48,6, 48,7 e 49 ( in
tutto 13 casi).
Le disposizioni del TFUE che prevedono il voto unanime sono contenute
negli articoli 19, 21,3, 22,1, 22,2, 25, 64, 65, 77,3, 81,3, 82,2, 83,1, 86,1, 86,4, 87,3,
89, 92, 108, 113, 115, 118, 126, 127, 140,3, 153,2, 155,2, 192,2, 194,3, 203, 207,4,
218,8, 219,1, 222,3, 223,1, 223,2, 246, 252, 257, 262, 292, 293, 294,9, 301, 305, 308,
311, 312, 329,2, 331,2, 332, 333,1, 333,2, 342, 346,2, 352 e 355 ( per un totale di 55
casi).
Le materie maggiormente sottoposte alla regola del voto unanime sono le
seguenti :
a) 15 disposizioni riguardano decisioni di natura istituzionale (nomine,
competenze delle Istituzioni europee, ecc...);
b) 9 disposizioni riguardano le cooperazioni rafforzate e le clausole dette
“passerelle”;
c) 8 disposizioni riguardano lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia;
d) 6 disposizioni riguardano i diritti di cittadinanza e i diritti
fondamentali;
e) 5 disposizioni riguardano la politica estera, di sicurezza e difesa
comune;
f) 3 disposizioni riguardano la politica sociale e la protezione
dell'ambiente (che si applicano tuttavia a circa 11/12 materie);
g) 3 disposizioni riguardano gli accordi internazionali ( che si applicano
tuttavia a sette materie);
h) 3 disposizioni riguardano la fiscalità;
55
P. Ponzano, Approfondimenti e proposte
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
i) 2 disposizioni riguardano le risorse proprie ed il quadro finanziario
pluriennale;
l) 2 disposizioni riguardano la politica economica e monetaria.
Va ricordato che le decisioni prese a maggioranza qualificata dal Consiglio
riguardano solo il 20% circa delle disposizioni che dispongono di una base
giuridica maggioritaria. Tuttavia, le decisioni prese di fatto all'unanimità anche
in presenza di una base giuridica maggioritaria (vale a dire il restante 80 %)
presentano due vantaggi : da un lato, esse sono prese più rapidamente,
dall'altro, il contenuto di tali decisioni è in regola generale più ambizioso delle
decisioni prese all'unanimità in presenza di una base giuridica unanime.
56
P. Ponzano, Approfondimenti e proposte
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
Revising the European Treaties
The proliferation of crisis of national debts (Greek, Ireland, Spain, Portugal, and
Cyprus) has proved that we cannot overcome the current difficulties of the
single currency without the achievement of a genuine economic and monetary
Union.
As already asserted by several scholars, a monetary Union cannot survive
without a political Union or an economic Union equipped with an automatic
mechanism of safeguard in order to thwart any asymmetric shock between
national economies.
For this purpose, the European Council has decided, in principle, to
achieve a genuine economic and monetary Union which could provide the
European Union, in the next two or three years, with new competences in the
field of economic policy, create a true European Treasury (or a European
Minister of Treasury), establish new European mechanisms of solidarity (such
as Eurobills, "Redemption Fund" or others mechanisms) and create a distinct
European budget for Euro Area.
The European Commission has adopted in November 2012 a Blueprint for
a deep and genuine EMU, which contain a set of measures at short, medium
and longer term in order to achieve this objective. Some of these measures can
be adopted by the secondary law of the Union, while others (as a proper fiscal
capacity for the Euro-area, a Redemption Fund and the Eurobills) will require
Treaty changes.
From a legal point of view, this review of the Lisbon Treaty will require
the use of the procedures established by the same Treaty, in particular the
requirement of unanimity of the 28 Member States for ratifying the new Treaty
(following either a parliamentary or referendum way). This requirement
cannot be overcome, except for the case in which the Member States would
decide a "constitutional break-down" which would require the use of
procedures not provided for by the Treaty, for instance:
1) the appeal for a majority of Member States to the provision "rebus
sic stantibus" of the Vienna Convention to adopt a new Treaty among them;
2) the use of a majority procedure for the ratification of a new Treaty
deleting the current one, on the model of the “Penelope project”;
3) the appeal for the withdrawal provision provided for by the article
50 of the Lisbon Treaty in favour of a Member State, but exercised together
57
P. Ponzano, Approfondimenti e proposte
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
by a majority of Member States willing to conclude a new Treaty for Euro
Area countries.
Up to now, a political will of the Member States of the Euro-Area to resort
one of these exceptional procedures does not seem to exist (as confirmed by the
cautious reactions of Euro Area governments to the recent speech of the British
Prime Minister).
In this situation, the necessary review of European Treaties to achieve a
genuine EMU will require the ratification from 28 Member States and,
therefore, the agreement of the United Kingdom on the new Treaty (including
the possible change of the art. 48 TEU in order to introduce a majority
procedure for the future changes of the Treaties). Unless a future Labour
government would change completely the current approach of Mr. Cameron,
the British government will ask in the negotiation of 2015 the repatriation of
some competences of the European Union in social, migration and others fields.
As this request is unlikely to be accepted by others Member States, we could
expect that European Council will decide to grant to the United Kingdom a set
of new derogations or “opting-out” provisions. This solution could constitute a
“deal” for establishing, in exchange, the Euro-Area as a permanent “enhanced
cooperation” which could deepen its integration and pursue the way towards a
political Union without the British agreement. By the way, this new situation
could be consistent with the statement of British Prime Minister following
which the United Kingdom does not want to prevent the Member States of Euro
Area from deepen their integration.
Such a review of European Treaties (assuming the agreement of the British
people in a possible referendum) would allow the United Kingdom to maintain
the benefits of the European Union (notably of the single market), while having
a special status not very different, in terms of content of policies, of the status
existing during the years 1993-1997 (when the United Kingdom was not
participating neither to the establishment of the EMU nor to the Schengen
system nor to the Social Protocol).
Of course, from an institutional point of view, such a review of the
European Treaties would establish a “two-speed Europe” in which some MS
would maintain for some years the current level of integration, while others MS
would deepen their integration and create a genuine EMU. However, this
solution does not imply that the Euro-zone become necessarily the first class of
a permanent “two-class” European Union, but could remain the temporary
vanguard of a whole Union, playing the role of a locomotive and showing the
way to all other Member States willing to be part of it.
58
P. Ponzano, Approfondimenti e proposte
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
CICLO DI SEMINARI SPECIALISTICI SULLE POLITICHE EUROPEE
Seminario “Semestre di Presidenza italiana dell’Ue (Luglio – Dicembre 2014):
funzioni della Presidenza, priorità italiane e opportunità per le Regioni”
Venerdi 13 dicembre 2013, ore 10.30 – 13.30
CINSEDO, Roma
Intervento Prof. Paolo Ponzano - Consigliere speciale del Vicepresidente della
Commissione europea Šefčovič; European University Institute Senior Fellow.
Le funzioni della Presidenza.
Abstract
La funzione principale della Presidenza semestrale del Consiglio dell'Unione
europea (e non, come si usa dire, dell'Unione europea tout court) è quella di
presiedere le attuali nove formazioni del Consiglio (Affari generali; Affari
Economici e Finanziari; Giustizia e Affari Interni; Politica sociale, Occupazione,
Sanità e Consumatori; Competitività (Mercato interno, Industria e Ricerca);
Trasporti, Telecomunicazioni ed Energia; Agricoltura e Pesca; Ambiente;
Istruzione, Gioventù e Cultura). Anche se il Consiglio dei Ministri dell'UE è
un'Istituzione unica, i Ministri si riuniscono nelle formazioni suddette in
funzione delle materie trattate. La Presidenza del Consiglio “Affari generali” è
la più importante in quanto tale formazione prepara i lavori del Consiglio
europeo (composto dai Capi di Stato o di governo dei 28 paesi dell'UE).
Contrariamente alla situazione anteriore al Trattato di Lisbona, la Presidenza
semestrale non presiede più il Consiglio europeo (che dispone di un Presidente
semi-permanente per due anni e mezzo, rinnovabile fino a cinque anni) né il
Consiglio “Affari esteri” presieduto dall'Alto Rappresentante per la politica
estera. Lo Stato che esercita la presidenza semestrale presiede sempre gli
organi preparatori del Consiglio (Comitato dei Rappresentanti permanenti e
gruppi di lavoro) nonché le riunioni con il Parlamento europeo per la
procedura legislativa (Comitato di conciliazione, riunioni dette “triloghi”
formali e informali). Contrariamente alla situazione pre-Lisbona, la Presidenza
semestrale non esercita più la rappresentanza esterna dell'UE (esercitata dalla
Commissione europea per le materie di competenza dell'UE e dal Presidente
del Consiglio europeo o dall'Alto Rappresentante per la politica estera e di
sicurezza). Inoltre, la Presidenza semestrale deve concordare un programma di
61
P. Ponzano, Approfondimenti e proposte
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
lavoro con le due Presidenze che la seguono e/o la precedono (Presidenza
collettiva per diciotto mesi).
La Presidenza italiana del secondo semestre 2014 sarà una Presidenza di
cerniera nella misura in cui dovrà gestire una serie di scadenze istituzionali che
impattano sul periodo Luglio-Dicembre 2014. Tali scadenze riguardano :
-
le elezioni del nuovo PE nel Maggio 2014 : l'elezione del nuovo Presidente
del PE, dei Vice-Presidenti e delle Commissioni parlamentari avranno luogo
nei mesi di Luglio e Settembre 2014; l'attività legislativa e di controllo del
PE comincerà effettivamente nell'Ottobre 2014.
-
la nomina della nuova Commissione : il Presidente designato dal Consiglio
europeo sarà eletto dal PE nel Luglio 2014. Dopo le proposte per la nomina
dei Commissari da parte dei governi e le audizioni da parte del PE, la
nuova Commissione sarà votata dal PE ed entrerà in carica il 1/11/2014.
-
Occorrerà nominare il nuovo Presidente permanente del Consiglio europeo,
il nuovo Alto Rappresentante ed il nuovo Presidente dell'Euro-gruppo.
Spetterà alla Presidenza italiana gestire questo pacchetto di nomine.
-
Il Trattato di Lisbona prevede il passaggio al sistema della “doppia
maggioranza” per i voti in seno al Consiglio a partire dal 1/11/2014.
Come già ricordato, la Presidenza italiana non comporterà più la
Presidenza del Consiglio europeo, del Consiglio “Affari esteri” e
dell'Eurogruppo. In senso contrario, la Presidenza semestrale italiana avrà un
aggravio di compiti rispetto a quella del 2003 a causa della :
-
“istituzionalizzazione” del ruolo della “Troika” (vale a dire del trio di
Presidenze semestrali). L'Italia dovrà coordinare il suo programma di
lavoro con la Lettonia ed il Lussemburgo.
-
Maggiore attività legislativa in “codecisione” poiché il 90% delle leggi
europee dovrà essere deciso di comune accordo tra il Consiglio ed il PE.
-
Maggiore presenza della Presidenza alle sedute plenarie ed alle
Commissioni del PE.
-
Necessità di supplire l'Alto Rappresentante per la politica estera.
Sul piano dei contenuti, non è escluso che la Presidenza italiana sia
chiamata a prendere l'iniziativa di convocare una nuova Conferenza
intergovernativa per la modifica dei Trattati in base all'articolo 48 del Trattato e,
62
P. Ponzano, Approfondimenti e proposte
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
in conseguenza, decidere di convocare una nuova Convenzione analoga a
quella del 2002/2003 presieduta da Valery Giscard d''Estaing. Infatti, non è
escluso che la Commissione europea proponga nuove iniziative in materia di
governance economica della zona Euro e che tali iniziative richiedano
modifiche dei Trattati. Inoltre, il governo britannico ha chiesto delle modifiche
del Trattato nel 2015 al fine di rimpatriare a livello nazionale alcune
competenze dell'Unione europea. Se tali modifiche dovessero entrare in vigore
nel corso del 2015, sarebbe indispensabile convocare una Conferenza
intergovernativa prima della fine del 2014.
63
P. Ponzano, Approfondimenti e proposte
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
ALLEGATI
Note de réflexion
Bases juridiques prévoyant le vote à l’unanimité
64
P. Ponzano, Approfondimenti e proposte
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
La fondazione della città di L’Aquila
di Andrea Casalboni
Introduzione
L’obiettivo di questo testo è quello di analizzare la situazione che ha portato
alla nascita della città di L’Aquila, attraverso lo studio degli elementi presenti
nella regione al momento della fondazione e delle fonti che trattano della storia
della città prima e dopo la sua creazione, nella speranza di gettare luce su
quanto accadde allora. Si cercherà dunque di produrre un’analisi dei primi
cinquant’anni di vita della città, durante i quali L’Aquila si sviluppa fino a
raggiungere una fisionomia stabile e consolidata. Le fonti più importanti cui ci
dedicheremo sono una lettera di Gregorio IX, il privilegio di Corrado IV, una
lettera di Alessandro IV, la lettera del Comune aquilano al re d’Inghilterra, le
cronache dello pseudo-Iamsilla e di Saba Malaspina e per finire la Cronica di
Buccio da Ranallo; studieremo inoltre la posizione dei cistercensi in Abruzzo in
rapporto alla città di L’Aquila e al suo territorio – confrontandola con quella
tenuta dall’ordine in Aquitania; vedremo infine la crescita dell’autonomia
cittadina sotto Carlo I e Carlo II d’Angiò.
La situazione precedente la fondazione
Quella che sarà la vallata di L’Aquila era, alla fine della prima metà del XIII
secolo, divisa tra due diocesi: Amiterno e Forcona, entrambe facenti parte del
Regno di Sicilia. I loro territori erano un perfetto esempio di frammentazione
feudale, spartiti tra i baroni locali40 in lotta contro l’imperatore Federico II – il
40
Di cui i più importanti erano i baroni di Ocre, di Poppleto, di Carapelle e di Celano.
65
A. Casalboni, La fondazione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
quale fece costruire diverse fortezze41 nella regione allo scopo di contenerne le
ribellioni –, e le terre in possesso delle abbazie cistercensi recentemente
installatesi in Abruzzo, filiazioni di Santa Maria di Casanova 42. Erano inoltre
presenti dei castella diocesana43: dei borghi dotati di una chiesa e di un castello,
situati unicamente nella diocesi di Forcona – ed erano dei borghi sui quali il
vescovo aveva anche giurisdizione civile.
Le fonti sulla fondazione: la lettera di Gregorio IX
La prima menzione della possibile fondazione di una città in località Acculi è
contenuta in una lettera di papa Gregorio IX risalente al 7 settembre 122944 e
indirizzata agli abitanti delle diocesi di Amiterno e Forcona, in risposta
all’ambasciata da loro inviata al pontefice. La regione era in quel momento
attraversata dal conflitto tra i baroni locali e Federico II: i signori feudali si
erano ribellati ed avevano subito una severa repressione. Gregorio IX, da
sempre schierato contro l’imperatore, acconsente alla richiesta degli abitanti dei
castelli delle diocesi di Amiterno e Forcona di costruire la città – la concessione
avviene in virtù dei diritti feudali di cui il pontefice dispone sul Regno di Sicilia
fin dalla sua nascita ad opera di Ruggero II. A dispetto degli sforzi di Gregorio
IX, tuttavia, e della volontà degli abitanti della regione, la città non sarà
edificata, presumibilmente per via della netta vittoria riportata da Federico II
sui
baroni
ribelli.
41
Un documento del 1239 contiene l’elenco delle fortezze che l’imperatore ordina di
riparare o per le quali nomina nuovi responsabili – nel contesto di una generale
riorganizzazione della giurisdizione imperiale –: Leporanica, Pizzoli, S. Vittorino, Arischia,
Croce S. Nicola, Machilone, Stiffe, Fontecchio, S. Stefano di Sessanio, Rocca Calascio,
Castelnuovo, Caporciano, Rocca Preturo, Ofena; sono tutti castelli situati nella futura vallata
aquilana. Il documento è edito in E. Sthamer, Bauten der Hohenstaufen in Unteritalien – Die
Verwaltung der Kastelle im Königreich Sizilien unter Friedrich II und Karl I von Anjou, Verlag von
Karl W. Hiersemann, Leipzig 1914, pp. 119 e 122.
42
Fondata nel 1191: cfr. A.L. Antinori, Annali degli Abruzzi, Bologna s.d., VIII, 127.
43
Nominati per la prima volta in una bolla di Alessandro III diretta al vescovo di
Forcona, datata 1178.
44
Ed. C. Radenberg, in Monumenta Germaniae Historica, Epistolae saeculi XIII e regestis
pontificum romanorum selectae, Ex Gregorii IX Registro, I, München 1982, n. 402, pp. 321-322.
66
A. Casalboni, La fondazione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
Le fonti sulla fondazione: il privilegio di Corrado IV
Risale al 1254 il privilegio di Corrado IV45. Il testo è mutilo all’inizio e alla fine,
per cui l’attribuzione è sempre risultata difficile e il diploma è stato per lungo
tempo incluso tra quelli di Federico II, ma la paternità di Corrado è provata da
un atto notarile del 125546. Il termine ante quem per la sua datazione è dato dalla
morte di Corrado IV il 20 maggio 1254; il termine post quem è definito invece
dalla supplica rivolta il 6 maggio 1253 dalle popolazioni di Amiterno e Forcona
al consigliere regio Tommaso da Marerio, per richiedere la sua intercessione "ad
constructionem civitatis Aquilae faciendam"47.
Il diploma è evidentemente volto ad ostacolare i baroni locali: i riferimenti
ai ribelli e ai briganti, la confisca delle foreste e dei boschi, la liberazione dagli
obblighi feudali per quanti fossero andati a stabilirsi entro i confini della nuova
città, l’autorizzazione ad abbattere tutti i castelli e i fortilizi all’interno degli
stessi confini, il permesso di trasferirsi a L’Aquila anche per quanti venissero da
altre regioni ed infine il divieto di costruire torri all’interno della città – tutte
queste indicazioni testimoniano la precisa volontà del sovrano attenuata, ma
non troppo, dall’obbligo per i nuovi cittadini di pagare un indennizzo ai loro
signori d’un tempo, tanto per i servizi feudali quanto per i beni che questi
perdevano. Tale requisito induce a pensare che si volesse evitare una massiccia
presenza in città del ceto più basso della popolazione, quelli che Buccio chiama
“i villani” – e la prudenza in tal senso è perfettamente motivata, come dimostra
la vicenda di Ramotto48. A stabilirsi nella nuova città sono tanto contadini
quanto artigiani, commercianti, perfino baroni49.
Non sappiamo se il primo nucleo cittadino sia nato precedentemente
rispetto al diploma di Corrado IV o ne sia una conseguenza, ma il privilegio è
costruito in modo estremamente logico, con precise ragioni ed intenzioni
chiaramente esposte dal sovrano, e non contiene cenni a borghi precedenti – il
45
L’edizione critica moderna del Privilegium concessum de Constructione Aquile è ad opera
di G.M. Monti, Lo stato normanno svevo, Trani 1945, pp. 311-317, ed è essenziale per l’attribuzione
del documento a Corrado IV e per la sua datazione.
46
"Nos Raynaldus et Thadeus filii quondam Don. Thomasii Berardi Gherardi de Rocca de
Medio cives Aquile … Liberamus et absolvimus … secundum tenorem Sacri Regii Privilegii
Domini Regis Chonradi ex hominibus et universitati Civitatis Aquile indulti", contenuto in L.A.
Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, Milano 1742, VI, col. 516.
47
L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, VI, col. 516.
48
Il quale, stando al racconto di Buccio, si mette alla guida dei villani e li conduce in città,
dove provoca una sollevazione. Ramotto finirà impiccato, e con lui saranno uccisi molti suoi
seguaci. Il personaggio che non è menzionato da nessun altro documento o testimonianza
dell’epoca: cfr. A.L. Antinori, Annali, IX, p. 497; cfr. anche A. Clementi, Momenti del medioevo
abruzzese, Roma 1976, nota 38 pp. 72-77.
49
A.L. Antinori, Annali degli Abruzzi dalle origini all’anno 1777, vol. IX, p. 247.
67
A. Casalboni, La fondazione
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suo essere mutilo non aiuta tuttavia a chiarire i discrepanze tra la situazione in
esso illustrata e la storia narrata nella Cronica di Buccio da Ranallo, che avremo
modo di studiare più avanti.
Le fonti sulla fondazione: la lettera di Alessandro IV
Il 22 dicembre 1256, ossia poco più di due anni dopo la morte di Corrado IV, la
città di L’Aquila viene eletta sede episcopale attraverso una lettera di
Alessandro IV50. Il pontefice è nipote di Gregorio IX, ed era stato nominato
cardinale nel 1227. La sua politica era in contrasto con quella di Manfredi,
fratellastro di Corrado IV, e la lettera del pontefice è probabilmente volta a far
schierare la nuova città con la "pars ecclesiae" nel conflitto contro il sovrano
svevo – obiettivo peraltro raggiunto, dal momento che L’Aquila si opporrà a
Manfredi, presumibilmente proprio in cambio dei vantaggi, soprattutto in
termini di attrattiva sulle popolazioni circostanti, conseguiti divenendo sede
vescovile.
Le fonti sulla fondazione: la lettera al re d’Inghilterra
Nel 1258 Manfredi, eletto da poco sovrano del Regno – in seguito alla diffusione
ad arte della notizia della morte di Corradino, figlio di Corrado IV e legittimo
erede al trono –, intraprende una serie di spedizioni militari al fine di affermare
la sua autorità e porre fine alle ribellioni. L’Aquila, nemica del re, non può
sperare di difendersi militarmente ma tenta ugualmente di approntare delle
difese diplomatiche inviando una lettera al re d’Inghilterra. Enrico III risponde
nel luglio del 1258, ma fin dall’anno precedente aveva messo a disposizione
della città 540 marchi da utilizzare per la sua difesa51. Tale aiuto ad opera di
Enrico III può essere spiegato attraverso il cosiddetto “negotium Siciliae”:
Innocenzo IV nel 1253 aveva offerto la corona del Regno di Sicilia al re
d’Inghilterra, e l’interesse inglese per il Regno doveva essersi mantenuto alto.
L’intervento di Enrico III ci mostra l’importanza che la città di L’Aquila doveva
aver già raggiunto negli equilibri geopolitici locali – importanza che ne
giustifica la distruzione da parte di Manfredi.
Le fonti sulla fondazione: lo pseudo-Iamsilla e Saba Malaspina
50
Ed. C. Radenberg, Monumenta Germaniae Historica, Epistolae saeculi XIII e regestis
pontificum romanorum selectae, III, Berolini 1894, Ex Alexandri IV Registro, 448, p. 413.
51
Cfr. G. Marinangeli, L’Aquila e il “negotium Siciliae”, in «Bollettino della Deputazione
Aquilana di Storia Patria», 70 (1980), pp. 373-405.
68
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Le cronache dello pseudo-Iamsilla52 e di Saba Malaspina53 menzionano
entrambe L’Aquila, e solo per raccontarne la distruzione ad opera di Manfredi.
Lo pseudo-Iamsilla narra la vicenda nei capitoli finali della sua cronica:
Usque ad idem quoque tempus civitas Aquilae, quae a quondam Rege Conrado in confinibus
Regni condita fuerat, magna populi numerositate plena, etiam in rebellione duraverat, ad quam
Terram evincendam multum laboris hactenus fuerat exactum, nec ullo modo poterat expugnari.
Statutae autem erant circa Territorium civitatis ipsius multae familiae militum, et aliorum
armatorum, quibus civitas ipsa aliquantulum arctabatur, non tamen adeo, quod non possent
cives quocumque vellent ad suas necessitates exire. Audientes autem ipsius Civitatis incolae
victoriam Principis, et praesertim qualiter Terram Laboris de facili recuperasset, qualiter etiam
tota Sicilia ad suum mandatum redierat, non inconsulte considerantes, quod difficile erat eis
ultra resistere Principi, cui tota Sicilia, et Terra Laboris resistere non potuit, miserunt Nuntios
ad Principem, per quos se, et civitatem ipsam ad mandatum Principis humiliter obtulerunt. 54
Saba Malaspina ci racconta invece una storia in parte differente:
[…] Rex Mandfredus, curas exercituales aggrediens cum magnifico et prepotenti exercitu versus
regni confinia consilio deliberato procedit. Erat enim in extremis regni partibus olim rege
Corrado favente civitas Aquile in odium baronum de illa contrata per ipsorum villanos de novo
constructa, in qua de diversis castrorum circumadiacencium incolis, non absque quamplurium
exprovincialium iactura nobilium et predictorum baronum, rusticorum adunata congeries in
tantum iam multidudine populosa concreverat, quod de suarum virium temeritate superbiens
se vicinis exhibebat horribilem et dominantis in regno dominio suis operibus indevotam, quin
pocius velut pars universo non congruens generalibus regni statutis reputebat indecens colla
submittere et singulares sibi vivendi formulas conficere presumebat. Sperabant enim in
presumpte libertatis statu contra eorum dominos apostolice sedis auxilio confoveri. Et ideo
contra Manfredum, eciam post sue coronationis tempora pertinax in rebellione iam facta, sub
velamine devotionis ecclesie regi parere contumaciter contempnebat. Ad rusticorum itaque
domandam proterviam et per hec restituenda lesis quampluribus iura sua Manfredus
victoriosus accingitur. Sed antequam civitatis menibus eius se vicinaret exercitus, tanquam
populorum difformibus erecta particulis maceria ruinosa dispergitur, et dum volare super
vicinos nititur Aquila, plumis nudata solo deprimitur, universis habitatoribus, quibus tutele
veniam in personis et rebus clemencia regalis indulsit, subito vacuata deseritur, et que dudum
plena populo stare nescierat, in combustionem et cibum ignis illico tradita sola sedet. Ea sic
52
La prima notizia su questa cronica risale al 1662, nel tomo IX dell’Italia Sacra di
Ferdinando Ughelli, dove compare anonima. Nel 1725, Muratori l’attribuì a Niccolò Iamsilla. Il
titolo, De Rebus Gestis Frederici II. Imperatoris ejusque filiorum Conradi et Manfredi et Apuliae Siciliae
regum, illustra la portata temporale dell’opera, che va dal 1210 al 1258. Recenti studi mostrano
tuttavia che la cronica è in realtà composta da frammenti di altre opere, cfr. F. Delle Donne, Gli
usi e i riusi della storia. Funzioni, struttura, parti, fasi compositive e datazione dell’Historia del
cosiddetto Iamsilla, in «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo», 113, Roma 2011.
53
Ed. W. Koller, MGH, Scriptores, 35, Hannoverae 1999.
54
G. Del Re, Cronisti e scrittori sincroni napoletani, Napoli 1868, volume II, p. 103.
69
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itaque redacta in nichilum rex Manfredus in Apuliam exercitu dissoluto revertitur, ut membra
bellicis fatigata laboribus quietis grate dulcedine placidisque solaciis restauraret. 55
Il simbolismo adottato dal Malaspina mostra bene la visione che della
questione aquilana dovevano avere i suoi contemporanei. Quel "plumis nudata
solo deprimitur" rappresenta chiaramente la razionalizzazione compiuta da
Manfredi nel risolvere un problema, un’anomalia: la città nuova che, sottrattasi
al giogo dei baroni, forte del numero dei suoi abitanti, de suarum virium
temeritate superbiens, se vicinis exhibebat horribilem. Esattamente come lo pseudoIamsilla, Malaspina identifica tra le ragioni del supporto di Corrado IV alla
nascita della città una chiara funzione anti-baronale, condivisa peraltro da tutte
le fonti a eccezione del diploma di Corrado stesso – nel quale questo intento
non è mai espresso esplicitamente. Altra informazione importante che ci è
trasmessa dalla cronica di Saba Malaspina è l’ampia partecipazione popolare
alla nascita della città. Malaspina, proveniente da una famiglia aristocratica,
non può evitare di sottolineare il carattere sociale dei protagonisti della
fondazione, con una descrizione decisamente negativa. La città, creata in odium
baronum – e per questa ragione supportata da Corrado –, finisce per sgretolarsi,
abitato troppo recente e poco coeso, non appena l’armata di Manfredi si
avvicina.
Allo stesso modo dello pseudo-Iamsilla, quindi, Malaspina racconta come
gli abitanti di L’Aquila, raccolti i loro beni ed abbandonata la città, siano stati
graziati da Manfredi: il solo particolare in cui le due cronache differiscono è la
distruzione della città, peraltro troppo recente per essere giunta ad uno stadio
di edificazione realmente avanzato. A giustificare tale distruzione è senza
dubbio la necessità di Manfredi di assicurarsi la fedeltà dei baroni. Il fatto che la
rivolta sociale da cui era nata L’Aquila rappresentasse un evento straordinario,
stando ai canoni del tempo, sarà raccontato ancora meglio da Buccio, il quale
sarà tuttavia meno critico verso i cittadini: se Saba Malaspina, aristocratico
romano, condanna la ribellione di per sé stessa, il cronista aquilano ne limita le
connotazioni rivoluzionarie indicando come i rivoltosi non cercassero
l’autonomia, bensì l’emancipazione dai signori feudali per passare sotto il
controllo diretto del sovrano, ritenuto evidentemente più mite. Buccio
condivide, nondimeno, la visione di Malaspina sui villani, da entrambi criticati
aspramente e descritti come facili alla superbia.
Le fonti sulla fondazione: la lettera di Clemente IV
La distruzione causata da Manfredi mette fine alla prima esperienza cittadina.
Gli abitanti tornano a disperdersi tra i castelli del contado, e di quanto avevano
55
Liber II, pp. 120-121.
70
A. Casalboni, La fondazione
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edificato non rimane niente. Tutto ciò che sappiamo di questa prima esperienza
è che la città aveva un reggimento municipale, con sindaco e consiglio cittadino,
come dimostra la bolla di Alessandro IV e la lettera che la città invia a Enrico III
d’Inghilterra56. Il primo vescovo aquilano, Berardo da Padula, trasferitosi
insieme alla diocesi nel 1257, torna a Forcona, dove sarà seppellito nel 1264.
L’arrivo di Carlo I d’Angiò, che sbarca a Roma il 14 maggio 1265, cambia tutto:
gli abitanti della vallata inviano ambasciatori per trattare la ricostruzione di
L’Aquila. In questo contesto va ad inserirsi la lettera di Clemente IV a Carlo,
nella quale il pontefice rivendica l’appartenenza dell’antica diocesi di Amiterno
al territorio della diocesi di Rieti, esprimendosi altresì in modo caustico sulla
vicenda della prima fondazione e muovendo pesanti accuse contro quanti
avevano fondato la città:
[…] Dudum siquidem multitudinis hominum eisdem Ecclesiis et nobiliibus subditorum de
Diocesi Reatina, et aliis vicinis partibus, ex diversis Castris, Villis et locis cospirantis in unum
factiosa praesumptio, in eam spiravit, et tandem prorupit temeritatis audaciam, quod iidem
satagentes jugum originariae condicionis abdijcere, et Ecclesias et nobiles praedictos, quibus
tenebantur ad varia, non solum debitis defraudare servitiis, verum etiam de multitudine
confidentes, sicut evidens indicavit effectus, opprimere, illisque praeesse, quibus et diu
subfuerant, et subesse, de suae conditionis debito tenebantur; a quondam Conrado nato
quondam Frederici olim Romanorum Imperatoris, qui Regnum Siciliae post sententiam
depositionis, et privationis latam in Imperatorem eundem; occupatum tunc temporis detinebat,
iniquis et fraudolentis persuasionibus obtenta licentia, Civitatem construere praesumpserunt;
cui Aquila imposito nomine, se pullos Aquilae operibus exhibentes, lamberunt Ecclesiarum et
nobilium sanguinem: non solum Ecclesias et Nobiles ipsos spoliantes, et ad pauperiem
deducentes extremam; immo Sacordotes et alios varios Clericos, Nobiles quoque suos etiam
Dominos, immaniter, ut multorum habet assertio, trucidantes. 57
Questa lettera, che supporta l’opposizione dei baroni alla ricostruzione di
L’Aquila, dimostra altresì l’intenzione del pontefice di migliorare il proprio
controllo sull’amiternino. Ma Carlo I non accetterà le pretese del papa: dopo la
battaglia di Benevento, il 26 febbraio 1266, L’Aquila sarà ricostruita.
Carlo I d’Angiò
Le modalità della ricostruzione non ci sono pervenute se non attraverso il
diploma di Carlo II58, il quale tuttavia sostiene di aver visto il privilegio paterno,
del quale conferma diverse parti. Buccio da Ranallo elenca, tra gli accordi stretti
56
Alessandro IV si rivolge nella sua bolla a "consilio et communi Aquilensibus"; la lettera a
Enrico III è invece inviata da "Potestas et Commune Aquilensium".
57
L. A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, vol. VI, coll. 524-525.
58Vedi
il Diploma di Carlo II del 28 settembre 1294 in S.A., Regia Munificentia erga
aquilanam urbem variis privilegis exornatam, Aquila 1639, pp. 1-3.
71
A. Casalboni, La fondazione
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con il sovrano: l’appartenenza del territorio cittadino al demanio reale e il
diritto dei nuovi abitanti della città a un appezzamento di terra per ciascun
fuoco. Ogni appezzamento sarebbe stato lungo sette canne 59 e mezzo per
quattro canne di larghezza; ciascun appezzamento avrebbe avuto il valore di
dodici carlini – un fiorino d’oro –, da versare al re. Pur essendo andato perduto
il diploma di Carlo I, di questo sovrano rimane l’Ordine60 rivolto al suo capitano
a L’Aquila, Ponzio di Villanova, per la taxatio annuale. L’Ordine contiene la lista
dei castelli componenti la città e le somme che ciascuno di essi deve versare, e
rappresenta pertanto una fonte importante sui primi anni della città.
Questo periodo non fu peraltro privo di problemi: i signori feudali si
opposero alla ricostruzione cittadina; anche dopo la riedificazione della città, i
contadini non furono sempre in grado di pagare l’appezzamento ed
emanciparsi; la paura e l’odio verso i baroni portò inoltre i cittadini a
distruggere tutte le fortezze della regione. La Corona non poté opporsi a questa
spedizione né punirne gli autori: nel 1267, appena un anno dopo la battaglia di
Benevento, chiamato dai ghibellini italiani era arrivato dalla Germania
Corradino, figlio di Corrado IV. Carlo I d’Angiò aveva bisogno di tutto l’aiuto
possibile per salvaguardare il trono. E L’Aquila soccorse il nuovo re contro
l’ultimo esponente degli Svevi. «
Due sono fondamentalmente le ragioni di questa scelta di campo: anzitutto il fatto che un
ritorno degli Svevi avrebbe rimesso in forse le acquisizioni di fondo; inoltre che le colpe da farsi
perdonare dal re erano troppe per non prendere al volo l’occasione di giovargli in qualche
modo e attenuare la sua ira. Ma evidentemente gli Aquilani dovettero far pesare questa loro
scelta, poiché altrimenti non si giustifica l’apprensione di Carlo I circa la posizione politica che
avrebbe scelto la città. 61
Carlo II e Celestino V
In seguito alla vittoria contro Corradino a Tagliacozzo, il 23 agosto 1268, la città
conobbe un periodo di espansione rapida, dovuta principalmente
all’immigrazione dai castelli circostanti. L’afflusso di popolazione, tuttavia,
rallenta ben presto, in parte a causa della ricostruzione delle rocche da parte dei
baroni, che ostacolano l’immigrazione. Ancora una volta i cittadini di L’Aquila
prendono le armi, guidati dal "cavalero" Nicola dell’Isola, e distruggono le
fortezze62, tra cui quelle di Ocre, Leporanica, Pizzoli, Barete e Preturo – per
59
Una canna equivale a circa 2 metri.
60
L’ordine è edito in A. De Matteis, L’Aquila e il contado – Demografia e fiscalità nei secoli
XV-XVIII, Napoli 1973.
61
A. Clementi, E. Piroddi, L’Aquila, Roma-Bari 1988, p. 20.
62
Cronica di Buccio di Ranallo, a cura di C. De Matteis, Firenze 2008, stanze 146-148, p. 48.
72
A. Casalboni, La fondazione
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limitarsi a quelle menzionate da Buccio. Temendo forse la popolarità di Nicola,
Carlo II (succeduto a suo padre, morto il 7 gennaio 1285) invia il figlio, Carlo
Martello, in città, con l’incarico di uccidere Nicola. Carlo Martello non portò
tuttavia a compimento quest’ordine, forse convinto da Nicola della bontà delle
sue azioni, forse per timore di una sollevazione popolare, ma il cavaliere morì
comunque poco tempo dopo, avvelenato.
Dopo la morte di Nicola dell’Isola la città fu attraversata da lotte intestine,
divisa tra molteplici anime, tante quanti erano i castelli d’origine. Le faide
crebbero ad un livello tale che gli abitanti di interi quartieri vennero esiliati,
come quelli di Paganica, banditi nel 1293 nel corso di un conflitto con Bazzano.
A scatenare tali lotte erano dispute sui confini territoriali dei castelli, e ad
aggravare la situazione contribuirono le alleanze tra quartieri. Il 28 settembre
1294 Carlo II "emana un diploma63 col quale perdona agli Aquilani tutti gli
eccessi, che sembrano consistere nella diruzione delle rocche e nelle furibonde
lotte di fazioni. Che cosa poteva averlo determinato? Senza dubbio la
incoronazione avvenuta all’Aquila del papa Pietro da Morrone ovvero di
Celestino V"64. La scelta della città per l’incoronazione del pontefice dipese in
parte, senza dubbio, dal fatto che Carlo II, che aveva fortemente sostenuto
Pietro da Morrone, voleva che l’incoronazione avesse luogo nel Regno.
Celestino V, già eletto papa, scrive ai cardinali riuniti a Perugia per informarli
che non era in grado di compiere l’intero viaggio, pregando perciò il collegio di
venirgli incontro a metà strada. A L’Aquila, per l’appunto. Nel piazzale di
Collemaggio, per la precisione, davanti al re Carlo II e a suo figlio Carlo
Martello, re d’Ungheria. Assieme a loro giungono in città le più alte cariche del
regno.
Si tratta di un’occasione unica per la crescita della città e per ristabilire la
concordia interna. I boni homini chiedono al papa di mediare per la pace, tanto
tra i quartieri che tra la città ed il sovrano. Presumibilmente dietro sua richiesta
Carlo II infatti includerà nel diploma regio del 1294 la concessione che la città
non sia più censita né tassata per singoli locali, bensì come unica entità da
riconoscere con il nome di Aquila65. Il diploma di Carlo II è una fonte
63
Il Diploma di Carlo II del 28 septembre 1294 si trova in Regia Munificentia erga aquilanam
urbem variis privilegis exornatam, Aquila 1638, pp. 1-3.
64
A. Clementi, E. Piroddi, L’Aquila, cit., p. 21.
65
La città era divisa tra i castelli fondatori, e gli abitanti di un castello che si erano
trasferiti in città avevano gli stessi diritti, rispetto agli abitanti che non si erano trasferiti, sulle
terre del castello di provenienza. L’insieme degli abitanti di un castello trasferitisi dentro la città
era chiamato locale, ed aveva il nome del castello con l’aggiunta della particella “intus”, e il
castello esterno era chiamato con il suo nome più “extra”. Dunque si aveva, per esempio, la
comunità di Paganica intus che aveva diritti sul territorio di Paganica extra, e lo stesso valeva
73
A. Casalboni, La fondazione
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importante in quanto, dopo questa concessione, presenta la lista dei castelli che
fanno parte della città, forse tratta dal privilegio paterno. Il numero di questi
castelli ammonta a settantuno66: si tratta evidentemente di un territorio assai
grande. Ma non sono questi i soli vantaggi portati dalla venuta di Celestino V: il
papa stesso concede in occasione della sua elezione una "perdunanza" a poena et
culpa. Le magistrature cittadine sfrutteranno abilmente quest’indulgenza,
prolungandone gli effetti nel tempo: nasce così una fiera67 allo scopo di attirare
a L’Aquila, nel giorno di S. Giovanni, mercanti e pellegrini.
Buccio da Ranallo
Le fonti più importanti riguardo alla vita di Buccio da Ranallo sono le sue stesse
opere – la Leggenda di S. Caterina d’Alessandria e la Cronica, con i sonetti
contenuti al suo interno – in quanto l’esistenza stessa di Buccio è altrimenti
documentata solo da alcuni atti notarili. Il luogo di nascita, "Poppleto de
Aquila", è annotato dal cronista aquilano Alessandro De Ritiis nella sua
prosecuzione della Cronica di Buccio68. Poppleto (Coppito), nell’ex contado
amiternino, era un locale compreso in quella parte della città ancora legata alla
vecchia aristocrazia terriera, quella piccola nobiltà le cui rocche erano state
distrutte e i cui esponenti erano stati costretti a inurbarsi. Probabilmente un
piccolo proprietario terriero69, Buccio ha senza dubbio ricevuto un’educazione
per quasi tutti i castelli fondatori. Fino al diploma del 1294 ciascuno dei castelli fondatori della
città era stato censito e tassato separatamente rispetto agli altri.
66
S. Silvestro, Vigliano, Rocca di Corno, Scoppito, Rascino, Corno, Civitatomassa,
Preturo, Forcella, Cascina, Cagnano, Barete, Villa di Cese, Pizzoli, Vio o Pedicino, Rocca delle
Vene, Porcinari, Chiarino, Arischia, S. Vittorino, Coppito, Sant’Anza, Pile, Roccapreturo, Beffi,
Goriano Valle, Tione con S. Maria del Ponte, Fontecchio, Fagnano, Campana, Stiffe, Barile,
Rocca di Mezzo, Ocre, Fossa, Rocca di Cambio, Rocca di Mezzo, S. Eusanio, Civita di Bagno,
Bagno con Le Ville, Bazzano, Torre, Poggio Roio, Sassa, Poggio S. Maria, Tornimparte, S. Vito di
Sassa, Lucoli, Collimento, Rocca S. Stefano, Paganica, Collebrincione, Tempera con Aragno,
Gignano, il Vasto, Genca, S. Pietro della Genca, Assergi, Filetto, Camarda, Pescomaggiore, Terra
di Sinizzo e Fuscolina, Bominaco, Caporciano con S. Pio delle Camere, Civita Retenga, Navelli,
Colle Pietro, S. Benedetto in Perillis, Torre di Maiardone.
67
A. Clementi, Statuta Civitatis Aquile, in «Fonti per la Storia d’Italia» n. 102, Istituto
Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 1977, pp. 13-15.
68
A. De Ritiis, Chronica civitatis Aquilae, a cura di Leopoldo Cassese, in «Archivio storico
napoletano» XXVII, Napoli 1941.
69
Ipotesi avanzata da C. Mutini, La «Cronaca aquilana» nella poesia di Buccio di Ranallo,
«Bollettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo e Archivio Muratoriano», 74, Roma
1962, pp. 175-211.
74
A. Casalboni, La fondazione
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elevata e in almeno due occasioni partecipa alla vita politica della città 70.
L’appartenenza di Buccio a un tale ceto è peraltro consonante con l’ideologia
prettamente conservatrice che traspare dalla sua cronaca, ideologia che ha i suoi
punti forti nella difesa dell’ordine costituito, degli interessi locali, delle
gerarchie consolidate. Eppure, pur non riuscendo a prescindere da questi
valori, Buccio ha cura di ritagliarsi la figura di moderato al di sopra delle parti,
e se riesce a farlo senza ipocrisia è perché ciò che più gli sta a cuore – e la cosa
traspare palesemente dalla lettura della Cronica – è la sua città.
Pur propendendo per forme di governo allargate, a partecipazione
cittadina – proprio in contrasto con il ceto signorile e magnatizio – non è un
fautore delle Arti, e non a caso nel corso della sua opera si lamenta più volte di
come le magistrature degli ultimi anni, che appartengono al governo delle Arti,
siano deboli e pavide di fronte alla Corona oppure semplicemente rese miopi
dai loro interessi, e non riescano pertanto a garantire a L’Aquila
quell’autonomia e quella libertà che i suoi fondatori avevano cercato.
Nato nell’ultimo decennio del XIII secolo, Buccio di Ranallo muore di
peste nel 1363.
Le fonti sulla fondazione: la Cronica
La Cronica di Buccio non ebbe particolare fortuna nei secoli seguenti71, ma
rimane la fonte narrativa aquilana più vicina alla fondazione della città. Morto
nel 1363, Buccio ha avuto senza dubbio modo di vedere con i propri occhi gli
anni di governo di Carlo II (durato fino alla morte del re, nel 1309), ed è
probabile che abbia avuto occasione di parlare con testimoni oculari se non
della prima, almeno della seconda fondazione. Quanto alle vicende del 1254,
essendo passati cent’anni – esatti, se si considera la data di inizio della
composizione della Cronica, il 1354, ma è probabile che Buccio ne abbia sentito
parlare fin da bambino – è presumibile che la tradizione orale abbia tinto di un
alone leggendario gli eventi: l’assenza di altre fonti ci impone comunque di
tenere in una certa considerazione la non verificabile versione di Buccio.
È nella terza stanza che Buccio comincia davvero la sua storia, con le strofe
forse più famose della poco conosciuta Cronica:
70
Fa più volte parte del "consillio d’Aquila" (stanza 1182, p. 367 della Cronica), ma è
anche membro di un’assemblea "più de persone duecento, le melliuri che ‘n Aquila trovammo"
(sonetto IX, pp. 354-356 della Cronica).
71
Sulla fortuna dell’opera e per un’analisi dei dettagli tecnico-stilistici della stessa, cfr.
"Introduzione", pp. XLV-CXXIX. Sulla storia dell’interpretazione di Buccio nei secoli successivi,
cfr. il capitolo Buccio nel tempo in C. De Matteis, Buccio di Ranallo: critica e filologia. Per la storia
letteraria dell’Italia mediana, Roma, 1990, («Culture regionali d’Italia. Saggi e testi», II), pp. 293311. Cfr. anche R. Colapietra, Buccio di Ranallo: dalla cronaca alla storia, Roma, 1992, pp. 4-21.
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A. Casalboni, La fondazione
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El conto sarrà d’Aquila, magnifica citade, / e de quilli che la ficero con gran sagacitade, / per non
eser vassalli cercaro la libertade, / e non volere singiore se nno la magestade. 72
Queste strofe sono un esempio assai chiaro della lettura che Buccio dà
della rivolta che portò alla fondazione di L’Aquila, un esempio confermato in
ogni passo della Cronica. Gli abitanti dei contadi di Amiterno e Forcona si
incontrano di notte, rispettivamente in un luogo definito "Grocta Populi" a S.
Vittorino, e a "Santa Justa" di Bazzano, ma un traditore informa i baroni. La
repressione e il massacro indiscriminato tuttavia non sortiscono l’effetto
sperato: anzi, per reazione il popolo si arma e la rivolta prende vita. Sconfitti i
baroni e distrutte le fortezze, gli abitanti delle due diocesi inviano ambasciatori
a Jacopo da Sinizzo, cancelliere del papa e nativo della regione, pregandolo
d’intercedere presso il pontefice e presso il re.
Re Corrado della Mangia c’allora era singiore, / a stanzia de lu papa acectò farli honore; /
concedio lu asenzio, le carti e lu faore; / perché durò sì poco fo in tristi punti e ore. 73
All’epoca il papa era Innocenzo IV, che proprio in quel periodo aveva
offerto la corona del Regno al re d’Inghilterra: pertanto il suo rapporto con
Corrado IV rende difficile considerare affidabile una sua intercessione presso il
re di Sicilia, soprattutto considerando che Corrado IV era a quel tempo
scomunicato. È anche possibile, tuttavia, che dichiarando la concordanza tra
pontefice e sovrano Buccio abbia intenzionalmente voluto evitare di porre il
problema della legittimità del diploma di Corrado IV: essendo il Regno fin dalla
sua nascita feudo pontificio, evidenziare i dissapori tra Innocenzo IV e gli Svevi
avrebbe fatto sorgere dubbi sulla validità del documento; inoltre era così
possibile dipingere il reale interesse nella depressione del potere feudale che
univa papa e sovrano, un vantaggio comune conseguito attraverso la
fondazione della nuova città. Da segnalare in ogni caso il fatto che, nel
resoconto di Buccio, l’autorità deputata a concedere l’assenso ultimo
all’edificazione della città pare essere il sovrano più che il pontefice. Il privilegio
di Corrado IV sarebbe ad ogni modo una ratifica di un processo già in corso,
cominciato con la rivolta, la distruzione delle rocche e l’ambasciata a Jacopo da
Sinizzo.
La morte di Corrado interrompe il clima di gioia ed entusiasmo che aveva
portato alla rapida costruzione della città:
Ficiro la citade solliciti e uniti, / anni mille duecento cinquanta quatro giti, / benché più non ci
stectero che cinque anni forniti; / alli cinquanta nove fo sconcia e fore osciti. // Perché llu re
72
Cronica, stanza 3, p. 4.
73
Cronica, stanza 20, p. 4.
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A. Casalboni, La fondazione
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Manfreda poi venne in singioria, / e contra della clesia, con forza e tirannia, / co lli mali
rendicoli, che gra’ copia n’avia: / qual era per offizio e quale per lecconia. // Tanto co’ re
Manfreda tucti s’aoperaro, / con tucti quanti li altri che d’Abruczo canparo, / perché sconciasse
l’Aquila giamai no refinaro, / fi’ che, a llor petizione, tucta la deruparo. // Se’ anni stecte sconcia,
sì come trovo iscricto, / né casa vi remase, né pésele, né ticto; / credo che fo iudizio como di mal
tollicto / che Dio ci concedio a tanto menesdicto. 74
I feudatari sopravvissuti alla ribellione, quindi, spingono Manfredi a
distruggere la città. Nondimeno, la distruzione della città è per il cronista
dovuta al giudizio divino, una punizione per la ribellione all’ordine costituito e
per la mancata restituzione dei beni tolti ai feudatari. Rilevante, anche se per
noi senza possibilità di riscontri nelle fonti rimaste, è la menzione nella stanza
25 di testi scritti da cui il cronista apprende che la città "se’ anni stecte sconcia".
All’arrivo di "Re Carllo primo di Francia, dalla ecclesia chiamato", Jacopo da
Sinizzo ottiene nuovamente "la grazia de refare Aquila", rivelandosi ancora una
volta fondamentale per l’edificazione della città. Prima, però, bisogna attendere
che Carlo sconfigga Manfredi, a Benevento. Dopo la battaglia ha luogo davanti
al sovrano un confronto tra coloro che si oppongono alla ricostruzione della
città e quanti invece ne sono partigiani. A difendere – dietro compenso – le
motivazioni dei cittadini è un nobile della schiera di Carlo, e il suo discorso
pare convincere il re: "Re Carllo, odenno questo, se mosse a pïetate, / disse:
“Refaite l’Aquila, ch’io vollio in veritate; / la moneta promessa per termine
trovate, / e faiteli le carti, che scian bene cautelate”"75. Dopo aver descritto la
sollevazione popolare guidata da tale Ramotto, repressa nel sangue, Buccio
narra la battaglia di Tagliacozzo, in cui Carlo affronta Corradino di Svevia,
mostrando forse di conoscere la cronica di Saba Malaspina76. Dubitando della
fedeltà di L’Aquila77, Carlo si reca in città in incognito, di notte, ed entra dalla
porta di Bazzano chiedendo del capitano cittadino. Una volta scoperta l’identità
74
Cronica, stanze 22-25, pp. 9-11.
75
Cronica, stanza 66, p. 22.
76
Buccio riporta un discorso di un barone di Carlo che riprende l’esortazione che Saba
Malaspina III, 6 racconta fatta da Carlo stesso ai suoi uomini prima della battaglia di Benevento
contro Manfredi.
77
Cfr. G. Villani, Nuova Cronica, a cura di Giuseppe Porta, Parma 1990-1991, VIII, XXVI
51-60: "i baroni del Regno ribelli del re Carlo fittiziamente, per fare isbigottire lo re Carlo e sua
gente, feciono venire nel campo di Curradino falsi ambasciadori molto parati, con chiavi in
mano e con grandi presenti, dicendo ch’egli erano mandati dal Comune dell’Aquila per dargli
le chiavi e signoria della terra, sì come suoi uomini e fedeli, acciò che gli traesse dalla tirannia
del re Carlo. Per la qual cosa l’oste di Curradino e egli medesimo, stimando fosse vero, feciono
grande allegrezza".
77
A. Casalboni, La fondazione
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di Carlo, il capitano manda a chiamare i Dodici78, a cui il sovrano chiede aiuto
per la battaglia imminente. Con l’aiuto degli abitanti della città 79 ("No tanto,
dico, li omini, ma le femene gero / dereto a lloro omini che geano volentero, /
portanno carcchi in capo chi non avea somero, / sì che abero fodero quanto fece
mistero"80), i francesi ottengono la vittoria. Terminata la descrizione della
battaglia, Buccio torna a dedicarsi agli avvenimenti della città, con la
costruzione della fontana della Riviera – sola fonte di approvvigionamento
idrico per L’Aquila –, delle mura e delle porte.
Dopo aver narrato la vicenda di Nicola dell’Isola, Buccio riferisce quindi
dell’arrivo di Celestino V, della sua incoronazione e dell’aiuto che il pontefice
dà alla città: l’entusiastica acclamazione di Celestino V da parte di Buccio non è
dovuta alle qualità morali o pastorali del pontefice, mai menzionate, ma al fatto,
affermato dal cronista stesso, che il pontefice esalta L’Aquila, e per questo è da
ritenersi meritevole di benedizioni e lodi. Non appena il papa lascia la città,
infatti, Buccio passa oltre: l’attenzione dedicata al pontefice è, dunque, legata
puramente alla sfera di interesse cittadino, e Buccio passa a raccontare la
spedizione di L’Aquila contro il castello di Machilone81, avvenuta nel 1299.
L’avvenimento testimonia della grande autonomia conseguita nei confronti
della Corona: Machilone aveva avuto intenzione di fondare insieme ai castelli
circostanti, a nord di L’Aquila, una nuova città chiamata Laposta, con
l’appoggio di Carlo II. Questa nuova fondazione avrebbe tuttavia limitato lo
spazio decisionale di L’Aquila, che ne sarebbe stata condizionata nelle scelte
politiche e ne avrebbe inoltre dovuto subire la concorrenza – e pertanto gli
78
Presumibilmente la magistratura cittadina dell’epoca, ma non ne abbiamo alcuna prova
documentaria.
79
Una fonte francese, la Chronique anonyme des rois de France finissant en MCCLXXXVI, p.
89 (in Recueil des historiens de Gaule et de France, voll. 23, Paris 1869-1876, t. XXI, pp. 80-102),
conferma il ruolo giocato dalla città nella battaglia: "Et si vous comment il avint, par la volonté
de Dieu, que message vindrent en la vile de l’Agle que li rois Karlles avoit la victoire du champ,
et que Conradins et sa bataille estoit desconfis, et qu’il estoit assamblés a la bataille dan Henri
d’Espaigne. Et lors cil de la vile de l’Aigle et les fuianz de la première bataille retournèrent el
champ, pour secourre et aidier le roi Karlle, encontie dant Henri et sa gent; et sachiez qu’il ne se
porrent tant haster que danz Henris et sa bataile ne fust toute desconfite".
80
Cronica, stanza 124, p. 40.
81
Ci sono pervenuti due diplomi di Carlo II relativi alla grazia accordata alla città dopo la
distruzione di Machilone, uno del 24 settembre 1299, XIII ind. 15 di regno, l’altro del 28 agosto
1301, XIV ind. 20 di regno. L’evento è anche menzionato nel diploma del 22 gennaio 1304. Si
trovano in Regia Munificentia erga aquilanam urbem variis privilegis exornatam, pp. 4-8. Il castello di
Machilone aveva cercato di fondare una città sull’esempio di L’Aquila, ma più a nord,
rischiando così di limitarne l’autonomia. Gli abitanti di L’Aquila distrussero, di conseguenza,
Machilone.
78
A. Casalboni, La fondazione
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aquilani distruggeranno Machilone. Ma l’aspetto più importante della
questione è che il sovrano si asterrà dal punire gli aquilani, accordando la
grazia alla città ed anzi vendendogli i terreni di Machilone, di Antrodoco e di
Laposta nel 1304. È questo l’apice dell’autonomia aquilana, la cui posizione di
forza è dovuta, senza dubbio, alla crescita delle risorse economiche e
all’ubicazione strategica assai prossima al confine, che permetteva a L’Aquila
anche di nutrirsi degli influssi culturali e giuridici provenienti dai comuni
dell’Italia centrale e settentrionale. Tutto ciò che Carlo II può fare è
accontentarsi di trarre un ritorno economico dagli indulti.
Poi Buccio narra di Guelfo da Lucca, capitano regio dal 1307 al 1308, delle
sue battaglie contro Roio, uno dei castelli fondatori della città, e della
costruzione dell’acquedotto necessario alla città, divenuta troppo grande perché
la sola fonte della Riviera ne soddisfacesse il fabbisogno.
Non se porria contare per null’alma vivente, / non se vennia in Aquila nulla cosa nïente, / tucta
giva ne’ colli a vennere a la gente: / stavano como l’osste che stesse ascisamente. / Loco era
panicocole e multi tavernari, / piczecariole assaj, sarturi e calzulari, / e tromme e altri soni co’
milti gïullari, / de ciò che tu volivi s’aviva per denari. 82
Degna di particolare interesse è la descrizione degli abitanti che presero
parte, direttamente o indirettamente, a quest’impresa: Buccio descrive un
evento comparabile, per partecipazione cittadina e vividezza del racconto, alla
marcia compiuta dagli aquilani per aiutare Carlo d’Angiò nella battaglia di
Tagliacozzo. Il cronista menziona le diverse professioni di chi affianca la grande
opera di costruzione dell’acquedotto: "panicocole", "tavernari", "piczecariole",
"sarturi", "calzulari", "tromme" e "giullari", in una sorta di festa o di mercato che
segue i lavoranti, spiegabile forse con l’entusiasmo popolare per quest’iniziativa
di non secondaria importanza.
Anche la descrizione della stanza 223 ("Tanto dissero e fecero che ecco
l’acqua menaro / con cànnoli de lino, de pedi li ferraro / e co lle funti facte de
ligno comenzaro / a modo de tinaco e multi anni duraro"83) è significativa, per la
presenza dei dettagli tecnici della costruzione dell’acquedotto che induce a
pensare che Buccio avesse osservato di persona quantomeno il risultato finale.
La Cronica continua fino al 1362, ma la parte relativa all’edificazione della
città, alla costruzione delle sue infrastrutture e dei luoghi più importanti,
termina qui. E L’Aquila ha già raggiunto il suo apogeo politico sotto Carlo II:
dopo di allora l’autonomia cittadina va sempre più affievolendosi a causa delle
lotte intestine alla città ed alla miopia del ceto dirigente.
82
Cronica, stanze 221-222, pp. 68-69.
83
Cronica, stanza 223, p. 69.
79
A. Casalboni, La fondazione
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La struttura urbana e la composizione sociale
Le fonti non ci forniscono molte informazioni riguardo alla composizione
sociale della prima fondazione: lo pseudo-Iamsilla dice solamente che L’Aquila
era "magna populi numerositate plena"; Saba Malaspina, con più precisione,
afferma che L’Aquila era stata costruita da villani, e parla di "rusticorum
adunata congeries". Anche Clemente IV, nella sua lettera a Carlo d’Angiò,
descrive i primi abitanti della città come uomini intenzionati a liberarsi della
condizione servile. Buccio stesso nel raccontare gli eventi della prima
fondazione si asterrà dallo specificare la condizione sociale dei primi abitanti
della città, sottolineando unicamente come questi non volessero essere vassalli;
e questo è tutto per quanto riguarda le fonti letterarie.
Il privilegio di Corrado IV può darci invece qualche informazione in più:
fin dall’obbligo di pagare una tassa al signore feudale per emanciparsi, è
evidente che non tutti gli abitanti della regione potevano permettersi di
trasferirsi in città. Il divieto di costruire torri – disposizione chiaramente intesa
ad ostacolare la creazione di torri signorili – può indicare che Corrado temeva,
al momento di concedere il privilegio, che qualcuno potesse edificarle. Infine
l’autorizzazione a tenere mercati generali due volte l’anno può significare
quanto meno il desiderio o l’intenzione che la villa divenisse un polo
commerciale di una certa importanza; allo stesso modo l’istituzione di tre
mercati settimanali speciali, ai quali i cittadini potevano partecipare "cum
mercimoniis et rebus eorum", può indicare la presenza di non meglio
identificati mercanti o artigiani. Con l’arrivo di Manfredi, in ogni caso, la città si
sgretola.
Un destino differente avrà la seconda fondazione, presumibilmente grazie
ad una maggiore pianificazione: il diploma di Carlo II, che conferma le
concessioni paterne, contiene informazioni interessanti, a partire dalla
suddivisione della terra. Se la divisione in locali tipica dell’epoca di Carlo I e
Carlo II – divenuta desueta a livello ufficiale in seguito al diploma di Carlo II
del 1298, ma mantenuta ufficiosamente fino al XVI secolo – risolve tutti i
problemi amministrativi che potevano risultare dal confluire di numerosi
castelli in una sola città, la spartizione del territorio cittadino in lotti da
edificare, secondo il diploma, ciascuno con una casa ed un orto, indica la
preminenza ancora una volta dei contadini tra la popolazione. La mappa della
città in questo primo periodo include dunque numerosi spazi verdi,
diversamente da come dovevano apparire a quel tempo la maggior parte delle
città di antica fondazione, solitamente caratterizzate da un centro edificato
circondato da terreni coltivabili lungo il perimetro esterno delle mura.
La situazione evolve tuttavia rapidamente, assecondando i cambiamenti
che la nascita di una città doveva scatenare in un territorio economicamente
80
A. Casalboni, La fondazione
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depresso come l’Abruzzo della prima metà del XIII secolo. Alcuni lotti vengono
così edificati utilizzando lo spazio destinato all’orto per costruire edifici più
grandi, dotati di bottega e talvolta di magazzino. La fontana della Riviera, che
assicura un flusso costante di acqua, oltre a soddisfare le esigenze dei cittadini
fornisce uno stimolo prezioso alle attività commerciali, per esempio quelle
legate alla lana o al cuoio, che necessitavano di grandi quantità d’acqua per il
processo di lavorazione.
A questi bisogni – e dunque non solamente alla crescita della popolazione
– può essere ricondotta anche la costruzione dell’acquedotto negli anni 13071308, in occasione della quale Buccio descrive uno spaccato della società
aquilana decisamente significativo: "panicocole", "tavernari", "piczecariole", ma
anche "sarturi", "calzulari", e "tromme" e "giullari", prova che l’articolazione
sociale è giunta ad un livello piuttosto avanzato. Allo stesso modo gli interessi
commerciali devono aver condizionato la decisione della città, nel 1309, di
pavimentare la piazza del Mercato e le strade adiacenti: l’operazione deve
essere stata considerata un buon investimento per la città, a dimostrazione
dell’importanza crescente che la piazza del Mercato (su cui si trova anche la
Cattedrale) doveva avere per la vita e l’economia della città. Gli interventi di
allargamento delle strade principali (fino alla larghezza di almeno tre canne),
nel 1315, ci portano a supporre che il traffico commerciale fosse aumentato: a
cinquant’anni dalla sua seconda fondazione, L’Aquila è divenuta un polo
commerciale ed economico di grande importanza per la regione.
Non bisogna dimenticare, inoltre, che fin dagli anni ’80 del XIII secolo è
segnalata da Buccio la presenza di baroni in città. In breve, grazie all’accresciuta
importanza degli artigiani e dei mercanti, L’Aquila si trasforma in una città con
una società complessa e articolata e nel 1327 (in occasione della traslazione in
città del corpo di Celestino V) vi è la prima menzione delle Arti da parte della
Cronica di Buccio.
La città materiale
Abbiamo visto che le prime fonti a ventilare la possibilità della fondazione di
una città sono le lettere di Gregorio IX del 27 luglio e del 7 settembre 1229, che
individuano in "Acculi" il luogo deputato al sorgere della città84. Il nome di
questa località viene dalla presenza di molte sorgenti, ma l’assonanza con il
nome del rapace simbolo degli Svevi deve aver contribuito alla definitiva scelta
del nome Aquila per identificare la città, anche perché questa si venne a
84
La concessione della città è del tutto astratta, essendo il territorio in questione sotto il
controllo imperiale: cfr. G. Spagnesi, P. Properzi, L’Aquila. Problemi di forma e storia della città,
App. 1, p. 91.
81
A. Casalboni, La fondazione
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stabilire sulla cima di un colle in posizione tale da sovrastare l’originario
insediamento di Acculi. Insediamento che consisteva in un monastero – la cui
chiesa era stata consacrata alla beata Maria, poi detta de Aquila nel 1095 dal
vescovo Odorisio di Forcona85 – intorno al quale era sorto un piccolo borgo.
Dimensione e origine di questo insediamento sono tuttavia ignote e lungamente
dibattute86, ma non sembrano essere state in alcun modo rilevanti. A provarlo
implicitamente è il linguaggio adoperato da Gregorio IX nelle sue lettere: Acculi
è un luogo in cui far sorgere una città. Nondimeno, questo villaggio ha
ugualmente una sua influenza sulla città a venire: il prolungamento della sua
strada principale diventerà infatti uno dei principali assi viari di L’Aquila. Altre
preesistenze nell’area che ospiterà la città sono l’ospedale di Santo Spirito,
"Spedale per i proietti"87, o orfani, fin dal 1121, e l’ospedale di S. Matteo "che si
vuole fondato all’epoca di Federico II"88 – la loro presenza è tuttavia non
confermata, per quanto verosimile. Ultimo fattore forse degno di nota è il
tracciato della strada romana Claudia Nova, la cui localizzazione non è tuttavia
certa, per quanto il suo passaggio lungo il fiume Aterno sia molto improbabile a
causa della natura acquitrinosa del terreno89.
Appare verosimile che, prima della rinascita della città sotto Carlo I
d’Angiò, non vi fosse alcuna divisione in locali e la disposizione delle case fosse
indipendente dal castello di provenienza degli abitanti90. In seguito vengono a
formarsi dei "quarti" che permangono anche dopo il diploma di Carlo II come
articolazione territoriale tanto interna che esterna alla città. La divisione in
quarti tuttavia non trova alcun riscontro negli assi urbani primari.
85
A.L. Antinori, Annali, VIII, p. 158. Vedi anche L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii
Aevi, VI, col. 522, contenente la bolla del 1 maggio 1256 del vescovo di Forcona Berardo diretta
sororibus inclusis Monasterii S. Mariae Virginis iuxta fontes de Aquila Ordinis S. Damiani.
86
Cfr. S. Massonio, Dialogo della origine della città dell’Aquila, L’Aquila 1594, che afferma si
trattasse di un insediamento potenziato da Federico II, una sorta di L’Aquila in nuce – la tesi è
ripresa anche da A. Signorini, La Diocesi di Aquila descritta e illustrata, L’Aquila 1868. A. De
Stefano, Le origini di Aquila e il privilegio attribuito a Federico II, in «Bullettino della Deputazione
Abruzzese di Storia Patria», serie III, XIV, L’Aquila 1923, contesta tale tesi, supportato nei suoi
studi da C. Franchi, Difesa per la fedelissima città dell’Aquila contro le pretensioni de’ Castelli, Terre e
Villaggi che componevano l’antico contado aquilano. Intorno al peso della buonatenenza, Napoli 1752.
Cfr. anche A. De Nino, Nuove congetture sull’origine dell’Aquila, in «Bullettino della Deputazione
Abruzzese di Storia Patria», L’Aquila 1905, che propone l’ipotesi di un’origine romana, sia pure
con una dimensione non urbana.
87
A. Signorini, La Diocesi dell’Aquila, vol. II, p. 7.
88
Ibidem.
89
Cfr. A. Clementi, E. Piroddi, L’Aquila, nota 29 p. 28. La tesi era stata avanzata da R.
Gardner, The Via Claudia Nova, in «Journal of Roman Studies», III, 1913, pp. 205-232.
90
B. Cirillo, Annali della città dell’Aquila, Roma 1570, p. 7.
82
A. Casalboni, La fondazione
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Particolare degno di nota, reso evidente nella cartina del Vandi 91, è che la
piazza del Mercato non fa parte di nessun quarto: e se l’area della piazza era già
delimitata nella sua forma regolare quando la città non era ancora stata divisa
per locali è possibile che la piazza del Mercato sia una traccia della città
originaria92, quella antecedente la distruzione da parte di Manfredi. È anche
possibile, tuttavia, che si tratti semplicemente di un caposaldo della città nuova,
innestatosi su di un preesistente percorso che collegava in epoca sveva Acculi e
il versante orientale della conca, dove si trova Bazzano.
Inoltre, sebbene la divisione in locali e quarti sia da attribuire al periodo
angioino, è chiaramente possibile identificare "nella pianta della città (di cui v’è
certezza di “permanenza” nel tempo), la presenza di due componenti, l’una
organica e naturalistica; l’altra razionalistica e geometrica, le quali convivono e
talvolta si sovrappongono […] ma non possono essere contemporanee"93. La
componente organica, come di regola precedente a quella geometrica, "non si
può materializzare in tempi troppo brevi, poiché procede per aggiustamenti
successivi e per scelte graduali"94. Tale componente appare quando si
presuppone l’esistenza di alcuni elementi e li si mette in correlazione tra loro a
seconda delle esigenze reciproche nell’ottica di un’ipotesi di città: tali elementi,
nel nostro caso, sono il villaggio di Acculi, la piazza del Mercato, l’accesso da
Bazzano (il castello più vicino e più popolato tra quelli fondatori) e l’accesso
alla principale via del territorio, l’ex Claudia Nova, situato peraltro in
corrispondenza della futura porta di Lavareto o Barete. Collegando tra loro
questi elementi si ottiene un percorso che da Bazzano arriva all’ospedale di S.
Spirito in prossimità di porta Barete, passando per la piazza prima e per Acculi
poi – il tutto indipendentemente dall’effettiva costruzione o meno di Porta
Bazzano e Porta Barete, impossibile da verificare data l’assenza di mura,
motivata o dalla mancanza del tempo necessario a costruirle o dalla presenza di
steccati e fossi scomparsi in seguito all’edificazione della città angioina.
Appare pertanto plausibile che l’insediamento originario sia di qualche
tempo precedente al diploma di Corrado IV, altrimenti non avrebbe avuto
91
Compilata nel 1753 e allegata dall'avvocato C. Franchi alla sua Difesa per la fedelissima città
dell'Aquila.
92
S. Gizzi, La città dell’Aquila, fondazione e preesistenza, in «Storia della città», 29, Firenze
1984, p. 12, sostiene che potrebbe esservi stato uno "spazio segnato": "una staccionata, secondo
noi, se non addirittura una possibile presenza militare o un accampamento, che spiegherebbe il
successivo riuso […] e il conseguente stratificarsi e consolidarsi […] di un largo spazio che
resterà sempre quasi fuori scala rispetto alle dimensioni degli sviluppi urbani futuri".
93
A. Clementi, E. Piroddi, L’Aquila, p. 30.
94
Ibidem.
83
A. Casalboni, La fondazione
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modo di svilupparsi questa componente organica entro il 1259, quando la città
venne distrutta da Manfredi.
Figura 1: gli elementi costitutivi della città organica, riconoscibile dalle
connessioni tra le preesistenze, tra le quali va annoverata la piazza, secondo
percorsi che seguono l’andamento del terreno; la prima trama urbana,
determinata dai tracciati in quota e di compluvio, è ancora oggi riconoscibile
(immagine presa da A. Clementi, E. Piroddi, L’Aquila, fig. 20 p. 30).
84
A. Casalboni, La fondazione
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Figura 2: la lottizzazione angioina va a situarsi sopra le preesistenze sveve,
senza tuttavia cancellarle, anzi integrandole nel nuovo sistema, il quale tuttavia
propone nuove assialità che si riveleranno dominanti rispetto ai percorsi di
epoca precedente: risulta ad esempio evidente come la piazza si trovi relegata in
una posizione marginale rispetto alle principali vie dell’età angioina (immagine
presa da A. Clementi, E. Piroddi, L’Aquila, fig. 21 p. 31).
85
A. Casalboni, La fondazione
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Figure 3: La pianta di Città Ducale, in cui è chiaramente visibile l'impianto
cardo-decumanico (immagine presa da A. Clementi, E. Piroddi, L'Aquila, fig. 27
p. 34).
Per quanto riguarda la città angioina, invece, si basa su di una griglia
modulare ad assi ortogonali, tipica dell’epoca romana ma riscoperta nel tardo
medioevo e adoperata poi dagli Angioini nel 1309, più rigorosamente rispetto a
quanto fatto a L’Aquila – a causa delle peculiarità geografiche e delle
preesistenze sopra analizzate –, nell’edificazione di Città Ducale, a pochi
chilometri dal capoluogo abruzzese. E "la struttura organizzativa radicalmente
diversa dalla precedente, le peculiarità per le quali il ben noto modello
urbanistico a griglia rettangolare si specifica e si personalizza, le modalità di
crescita fisica della nuova città, hanno la loro origine comune nel fatto che, con
la ricostruzione, viene affrontato per la prima volta in termini concreti il
problema del rapporto tra la città e il territorio di pertinenza"95, attraverso una
pianificazione che consentisse non solo la creazione di una città, ma anche il
risolversi delle complicazioni amministrative e fiscali che indubbiamente
dovevano sorgere tanto a livello interno quanto nei rapporti con la Corona a
causa dell’affluire in un unico luogo di genti provenienti da una moltitudine di
castelli tra loro distanti e indipendenti. La crescita demografica della città,
proprio in quanto desiderata e ricercata attivamente, doveva essere pianificata e
organizzata.
Per questo sorge forse la "città dei locali", divisa al suo interno tra le
comunità dei vari castelli fondatori, ciascuna con uno spazio a sé riservato
(probabilmente proporzionale al suo peso demografico), che prende il nome dal
95
A. Clementi, E. Piroddi, L’Aquila, p. 34.
86
A. Casalboni, La fondazione
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rispettivo castello e ne diviene omologo – i suoi abitanti godono dei diritti sulle
terre del castello di provenienza, e la chiesa ha la stessa dedicazione della
parrocchia del castello –; questo vale anche per il posizionamento interno alla
città: i locali rispecchiano, nei limiti del possibile, la configurazione geografica
del territorio, rimanendo orientati verso le terre di origine 96. Le uniche eccezioni
sono rappresentate dai castelli più importanti e più ricchi – uno su tutti San
Vittorino, la ex Amiternum, che va a stabilirsi nella parte centrale della città 97 –;
dai castelli aggregati dopo qualche tempo dalla fondazione della città, come
Machilone; e dai castelli sulle cui terre è stata edificata la città vera e propria,
come Acculi, Pile e Santanza, che risultano decentrati rispetto alla loro
posizione originaria.
Viene così a formarsi una struttura cittadina policentrica, con ciascun
locale gravitante intorno ad una piazza interna con una chiesa e una fontana.
I cistercensi
Abbiamo finora esaminato due possibili spiegazioni della nascita della città: la
fondazione dall’alto, in seguito al diploma di Corrado IV, e la creazione dal
basso, con la rivolta popolare narrata da Buccio. Esamineremo adesso una terza
possibilità, forse più improbabile delle altre due nello spiegare, da sola, il
sorgere di L’Aquila, ma che nondimeno vale la pena studiare. È l’ipotesi
dell’influenza cistercense.
Ad avanzarla con prudenza è Alessandro Clementi, uno dei più insigni
studiosi della storia cittadina, il quale, nella prefazione al suo Storia dell’Aquila98,
dopo aver descritto la penetrazione cistercense nella vallata aquilana e le
influenze culturali che questa presenza porta con sé, dice:
si tratta di ricercare modelli culturali per spiegare un fenomeno dalle ampie proporzioni,
ovvero il fenomeno per cui da una frammentata realtà feudale si passa ad una città demaniale
rilevantissima e cospicua. Pensare una città non è cosa da poco. Ma i cisterciensi non erano forse
esperti di fondazioni di città? 99
Analizzando l’espansione cisterciense in Aquitania, e in particolare il
fenomeno delle sauvetés e delle bastides, e le fondazioni cisterciensi in Abruzzo
(a partire dalla creazione di Santa Maria di Casanova nel 1191 e dalla sua
filiazione Santo Spirito d’Ocre nel 1222, nel territorio su cui sorgerà L’Aquila –
96
G. Budelli, C. Camponeschi, F. Fiorentino, M.C. Marolda, "L’Aquila. Nota sul rapporto
tra «castelli» e «locali» nella formazione di una capitale territoriale", in Città contado e feudi
nell’urbanistica medievale, a cura di E. Guidoni, Roma 1974, p. 187.
97
Ivi, pp. 187-188.
98
A. Clementi, Storia dell’Aquila, Roma 1998.
99
Ivi, p. 14.
87
A. Casalboni, La fondazione
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nella vallata aquilana si avranno diversi insediamenti cisterciensi prima della
nascita della città, e Santo Spirito d’Ocre possiederà anche delle terre all’interno
delle mura cittadine) si possono scorgere dei punti in comune tra le due
situazioni, determinati senza dubbio dalle strette connessioni interne all’ordine
di Citeaux – dovute ai sinodi annuali e alla solidarietà tra le abbazie –, che
garantiscono tanto in Francia quanto in Italia un’omogeneità di metodi,
obiettivi e comportamenti resi difformi solo dalle particolarità locali.
Tra le analogie possibili troviamo il sistema delle grange, l’uso dei
conversi, la diffusione capillare, le bonifiche, i disboscamenti, la transumanza,
l’integrazione economica tra le varie abbazie. Anche lo stato di dispersione
demica rurale, segnata dalla presenza di numerosi signori feudali, è simile,
come pure il tentativo di riduzione delle autonomie portato avanti in una terra
di confine da un potere centrale forte, da un lato i sovrani di Francia, dall’altro
gli Svevi. Ancora, l’impianto urbano delle bastides si struttura secondo uno
schema ad assi ortogonali, spesso partendo da una base quadrata o rettangolare
– tuttavia la piazza è sempre situata al centro della città, contrariamente a
quanto accade a L’Aquila – e la distribuzione del terreno prevede per gli
abitanti un lotto su cui edificare una casa ed un orto (di qui probabilmente la
forma rettangolare del lotto, esattamente come a L’Aquila), cui si accompagna
la gestione in comune dei terreni circostanti.
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A. Casalboni, La fondazione
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Figura 4: piante di bastides prese da P. Lavedan e J. Hugueney, L’Urbanisme au
Moyen Age, Paris 1974 (immagine presa da A. Clementi, E. Piroddi, L’Aquila, fig.
13 p. 15).
Perché, dunque, l’Aquitania ha sperimentato il fenomeno delle bastides
mentre in l’Abruzzo non abbiamo assistito a niente di simile? I capitoli annuali
dell’ordine cistercense hanno consentito l’esportazione di modelli culturali,
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A. Casalboni, La fondazione
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tecnologici, architettonici dalla Francia all’Italia: dunque non è la distanza a
determinare la differenza. Vero è tuttavia che solo due anni passano tra la
fondazione di Villefranche-de-Rouergue (1252) e quella di L’Aquila (1254), e, se
il diploma di Corrado IV arrivò davvero a sancire un processo già in corso,
potrebbe non esserci stato il tempo materiale per la diffusione di quest’idea,
anche se va detto che il contado forconese aveva già sperimentato un
movimento simile o quanto meno finalizzato a uno scopo analogo, quello dei
castella diocesana: e si trattava di un esempio importante e conosciuto tra gli
abitanti della vallata.
Tra le differenze che non permettono di assimilare L’Aquila alle bastides
bisogna senza dubbio annoverare l’assenza del contratto tra i cistercensi e il
sovrano, o quanto meno la mancanza di riferimenti ad esso nelle carte e nelle
concessioni da parte del re (com’è consuetudine invece per i documenti che
regolano la nascita delle bastides): menzioni che il privilegio di Corrado IV
(purtroppo mutilo) non contiene.
In aggiunta a ciò, bisogna ricordare che neanche il primo documento a
parlare della possibilità di una fondazione, la lettera di Gregorio IX del 1229,
accenna in alcun modo ai cistercensi, all’epoca già stabilitisi a S. Spirito d’Ocre.
Inoltre, pur essendo presente una peculiarissima organizzazione territoriale100, è
assente anche la struttura a scacchiera tipica delle bastides – pur se questa
differenza potrebbe dipendere dalle diverse dimensioni e popolamento di
L’Aquila rispetto alle cittadine aquitane, o dalle caratteristiche geografiche
locali.
Nell’impossibilità dunque di affermare con certezza se la creazione di
L’Aquila sia da improntare al metodo che diede vita alle bastide o meno – e anzi
propendendo per questa seconda possibilità –, dobbiamo limitarci a considerare
che una delle ragioni della sua immediata crescita e del suo grande sviluppo
deve ricercarsi nell’assenza di concorrenti nella regione circostante:
contrariamente alle bastide aquitane L’Aquila è l’unico o comunque il maggiore
polo di attrazione per gli abitanti dei contadi abruzzesi – tale considerazione
deve essere peraltro stata anche una finalità cosciente degli aquilani fin dal XIII
secolo, e può aver senza dubbio concorso a motivarli nella loro spedizione
contro Machilone. Ma questa riflessione non ci aiuta a gettare luce sull’evento
stesso della fondazione.
Tenendo conto di quanto visto finora, la mia valutazione è che, pur
essendo improbabile che L’Aquila sia nata come bastide, o seguendo un
procedimento analogo, è tuttavia verosimile che la diffusa e imponente
presenza delle abbazie cistercensi e delle loro grange nella vallata abbia
100
Vedi nota 65.
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A. Casalboni, La fondazione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
comunque avuto il suo peso nel fermento che precedette la fondazione della
città, seppur agendo su di essa in modo indiretto – mediante, per esempio, la
massa di uomini e capitali gestiti dalle abbazie e dalle loro grange, la ripresa
della transumanza, il modello di integrazione economica.
In ogni caso, il legame tra l’ordine cistercense e L’Aquila è innegabile:
basti pensare che il secondo vescovo della città, successore di Berardo da
Padula, è Nicola da Sinizzo (vescovo dal 1267 al 1294), cistercense,
probabilmente proveniente da S. Spirito d’Ocre; è un indizio importante anche
la presenza di numerosi insediamenti cistercensi nel territorio dei castelli del
contado aquilano, come anche la continua compravendita di terreni nella
vallata da parte di S. Spirito d’Ocre tanto prima che dopo la fondazione.
Conclusioni
Come abbiamo avuto modo di osservare, tra gli elementi preesistenti alla
nascita della città la presenza cistercense è l’unica che possa aver in qualche
modo influito e agevolato l’evento, se non altro in maniera indiretta, scuotendo
con il suo dinamismo economico il panorama stagnante dell’Abruzzo feudale.
L’assenza di prove al riguardo di una partecipazione attiva dell’Ordine di
Citeaux basta peraltro a definire tale ipotesi come improbabile.
Anche nella controversia sulla fondazione della città mancano elementi
conclusivi in grado di spostare in modo definitivo la paternità della stessa sul
diploma di Corrado IV o sulla rivolta popolare (come suggerisce Buccio).
Bisogna tuttavia rendere merito a Corrado IV, nel suo diploma, di aver prodotto
argomentazioni perfettamente coerenti e convincenti in favore dell’idea di una
fondazione ideata e non solo patrocinata dall’alto: la permanenza di Corrado in
Germania, dove le città imperiali erano ancor più che in Italia contrapposte ai
baroni come simbolo di fedeltà all’imperatore e di lotta al brigantaggio,
avvalora questa tesi; la presenza al fianco di Corrado di Gualtieri d’Ocre –
consigliere anche di Federico II prima e di Manfredi poi –, uno dei più
importanti baroni della regione (come dimostra il fatto che la rocca d’Ocre
venne più volte distrutta dagli aquilani), darebbe a Corrado IV anche la
conoscenza della zona necessaria a comprendere l’importanza e il valore che
una città situata in questa vallata poteva avere al fine di una stabilizzazione e di
un miglioramento del controllo della Corona su tale area, soggetta a ribellioni
anche ai tempi di Federico II.
Eppure anche il racconto di Buccio è plausibile, e si avvale della
testimonianza (unica prova concreta dell’intera querelle) data dalla componente
organica della pianta cittadina, che se L’Aquila fosse stata edificata solo in
seguito al diploma di Corrado IV difficilmente avrebbe avuto a disposizione il
tempo per strutturarsi. Le due ipotesi non sono peraltro necessariamente in
91
A. Casalboni, La fondazione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
conflitto, in quanto Buccio non stabilisce una data anteriore al 1254 per la
fondazione, limitandosi a fornire con la sua narrazione un retroscena sociale,
che si avvale del diploma per mettere in atto un progetto che le popolazioni
della vallata avevano già concepito da tempo, come dimostrano le lettere di
Gregorio IX. Le ragioni per cui tale progetto era fallito nel 1229 sono da
ricercarsi, forse, nello scarso potere effettivo che il pontefice poteva avere in
Abruzzo: a maggior ragione in un momento in cui Federico II aveva stroncato le
ribellioni locali, rinsaldando così il suo controllo sulla regione. Corrado IV,
contrariamente a Gregorio IX, dispone invece sia dell’autorità che dell’interesse
necessari a far sì che l’idea si tramuti in realtà e che si tratti di una realtà – per
quanto non duratura – in grado di lasciarsi alle spalle delle tracce evidenti, su
cui andrà poi ad impiantarsi la rifondazione angioina. Nulla sappiamo della
reale strutturazione interna di questa città, fatta eccezione per il suo reggimento
di tipo comunale, ed è possibile che anche all’epoca vi fosse una, seppur
rudimentale, divisione in locali, ma lo stato delle fonti non ci permette di
andare oltre la semplice ipotesi al riguardo.
La pausa inevitabile dovuta alla distruzione della città da parte di
Manfredi non è che una vittoria di Pirro per tutti coloro che volevano L’Aquila
distrutta: la battaglia di Benevento che mette la corona del Regno sul capo di
Carlo I d’Angiò sancisce al contempo la rinascita della città. Ma è una città
cambiata, così com’è cambiato il sovrano, e forse non c’è da stupirsi che rispetto
all’esperienza sveva, nata in odium baronum e sgretolatasi alla prima difficoltà
per mancanza di coesione interna, la seconda fondazione sia assai più stabile,
forte della sua ben strutturata organizzazione in locali e di un ceto dirigente
capace in più occasioni di compiere scelte risolute, anche contrapponendosi alla
Corona, pur di garantire a L’Aquila quello spazio di manovra e
quell’autonomia di cui la città aveva disperatamente bisogno per crescere e
affermarsi. E L’Aquila saprà inizialmente sfruttare le debolezze e i problemi dei
sovrani angioini. Eppure poco a poco, almeno stando al racconto di Buccio, la
sua classe dirigente si farà miope e incapace di perseguire gli interessi cittadini,
presa da avidità o timorosa di fronte ai rappresentanti del re, cosa di cui Buccio
non manca di lamentarsi a più riprese. È ipotizzabile che le cause di tale
cambiamento siano da ricercarsi nel mutamento sociale che attraversa la città
man mano che questa si fa, per così dire, più moderna: la supremazia del ceto
borghese, mercantile e artigiano, delle Arti, rispetto al ceto contadino e dei
proprietari terrieri che era inizialmente preponderante, porta sconvolgimenti
nelle istituzioni cittadine, nuovi interessi, nuove priorità per il governo
aquilano.
Fattore di grande interesse potrebbe essere dunque un’analisi della
composizione sociale degli abitanti di L’Aquila, che abbiamo avuto qui modo di
92
A. Casalboni, La fondazione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
illustrare solo superficialmente: un’analisi più dettagliata, dedicata a un lasso
temporale più ampio, da compiersi attraverso i testi e i documenti dell’Antinori
e del Muratori e con l’ausilio dei regesti delle chiese e dei monasteri della
vallata, potrebbe indubbiamente produrre risultati interessanti e permettere di
verificare le impressioni che abbiamo avuto nello studio delle trasformazioni,
anche rilevanti, avvenute nella compagine cittadina e nelle sue principali
attività economiche nel primo secolo della vita della città.
Il nostro cronista rimane inoltre uno dei più grandi punti interrogativi
sulla questione: pur essendo la sua vita ormai sufficientemente delineata,
almeno nei suoi capisaldi, la questione degli studi da lui compiuti e più in
generale del suo non indifferente livello culturale sarebbe senza dubbio degna
di ulteriore approfondimento.
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A. Casalboni, La fondazione
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Mario Pani, Augusto e il Principato, Bologna, Il Mulino, 2013.
di Giampiero Brunelli
La ricorrenza del bimillenario della morte (avvenuta il 19 agosto 14 d. C.) ha
posto nuovamente la figura di Augusto al centro di riflessioni e di iniziative
culturali. Nel volume Augusto e il Principato, Mario Pani ne ripercorre la vicenda
dal punto di vista della storia delle istituzioni politiche.
Un primo capitolo è dedicato alla crisi del sistema repubblicano romano e
alle premesse della transizione morbida attuata da Augusto in direzione di una
nuova "rei publicae forma" (p. 22, nota 2). Il passaggio fu favorito da un nuovo
clima culturale, dalla progressiva affermazione, cioè, di una società civile
incline a rifugiarsi nella vita privata pronta a delegare le funzioni di governo. Di
questa netta separazione fra governanti e governati, Cicerone - avverte Pani - fu
un deciso fautore, che la percepiva come sostanzialmente virtuosa. Nel suo
immaginare un uomo di Stato dal profilo morale e politico straordinario era già
in nuce l'esito inedito della crisi repubblicana del I secolo a.C. Anche
indipendentemente dalle elaborazioni della cultura politica, le fonti - nota Pani confermano la fortuna della soluzione autocratica auspicata da più parti, a
partire dal periodo successivo a Silla (cioè a partire dal 70 a.C. circa). Prima
Pompeo, poi lo stesso Giulio Cesare godettero di favore e di aspettative diffuse.
Quando poi la transizione istituzionale voluta da Cesare fu abbattuta dalla
congiura, l'istituzione del secondo triumvirato, formalizzata con la lex Titia del
43 a.C., rese manifesta la necessità di un restauro dell'ordinamento pubblico
romano ma non coincise con la soddisfazione di quelle attese di un "salvatore"
della repubblica. Solo la contesa militare fra i triumviri, con la sconfitta di
Antonio, aprì le porte a quella ipotesi di un uomo nuovo, di un monarca, che
molti (come l'epicureo Filodemo di Gadara autore dell’opera Il buon re secondo
Omero) auspicavano. Fu appunto Ottaviano ad emergere: la sua azione trovò in
quella cornice di aspettative un humus non ostile a cambiamenti anche radicali
dell'ordinamento pubblico romano.
Il secondo capitolo è appunto dedicato alla "novità statuale del Principato"
(p. 45). Pani - non convinto dalle tesi storiografiche continuiste sui rapporti fra
repubblica e principato eppure pronto a riassumere velocemente i termini del
dibattito (p. 48) - fa vedere che nella progettualità, come nella concreta prassi di
governo, il confine fra tradizione e innovazione istituzionale subito si fece
sfumato. Nonostante rivendicasse di non avere mai detenuto poteri non
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G. Brunelli, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
compresi fra quelli previsti dai mores maiorum, Ottaviano non si limitò a
restaurare la res publica, cioè a rimettere in piedi le forme di organizzazione
politica consolidate, travolte dai lunghi anni di guerra civile. Consapevolmente,
egli assunse un ruolo di fondatore - auctor - di una nuova forma di stato. Se ne
trovano tracce evidenti addirittura nel linguaggio utilizzato nei provvedimenti
normativi da lui emanati.
Un primo cambiamento di rilievo riguardò il rapporto dei singoli attori
con la vita politica e amministrativa. Impiegarsi nelle istituzioni repubblicane
non coincideva più con un definito cursus honorum: piuttosto diventò, fra gli
"amici" del principe, un alternarsi di otium e negotium. Gli incarichi pubblici
furono sempre meno formalizzati e presero la forma di incombenze (munera)
assegnate "dal princeps e dalla sua indulgentia" (p. 53). Si formò così una élite di
governo, la quale diede vita alle prime esperienze di un vero e proprio
gabinetto con compiti esecutivi e di elaborazione normativa: l'attività di
governo non era più, ormai, segmentata fra consoli, senato e comizi (come
avveniva nell'età repubblicana matura); essa fu progressivamente concentrata
in una stabile configurazione di attori politici legati personalmente al principe.
Si trattò di una vera cesura: tutto il complesso delle istituzioni politiche e
amministrative romane cambiò. Mutò innanzi tutto la "mentalità" (il termine
ricorre ripetutamente nel corso della trattazione, a partire da p. 21). Il principe,
nel corso del I secolo, fu il solo soggetto cui era attribuito un pieno profilo
"pubblico": tutti gli altri appartenenti al corpo politico, non esclusi i detentori di
incarichi più o meno istituzionalizzati, erano percepiti come "privati". Se la res
publica aveva dapprima coinciso con il senato e i comizi, nella nuova stagione
del principato lo Stato - con la maiuscola, scrive chiaramente Pani - prese ad
esprimersi nel solo attore rimasto sulla scena politica, ad identificarsi cioè con il
principe, cui erano delegate ad un tempo la rappresentanza dell’intero populus
romano e il complesso delle iniziative politico-amministrative per il suo
governo. La cultura, la storiografia danno di questo fenomeno tracce a tal punto
evidenti da rendere meno impellente il ricorso all'analisi della titolarità
giuridica del potere in quel primo secolo dell'età imperiale. E comunque
innovazioni normative quali la lex Iulia maestatis (che vedeva nell'offesa al
principe un'offesa alla maestà del popolo romano) trovano coerentemente posto
nello scenario delineato. Augusto stesso contribuì in modo determinante alla
riscrittura della figura del principe. Il titolo assunto da lui, quello di Imperator
Caesar Augustus, passò a tutti i successivi imperatori. Venne parimenti da
Augusto formalizzato il ruolo del principe, definito in termini di statio: una
posizione e insieme una funzione, da tenere con impegno e fatica.
L'assoluta politicizzazione della figura del principe si riverberò - avverte
Pani - su tutto l'apparato. Funzioni amministrative furono assunte dai liberti
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G. Brunelli, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
che raccoglievano le suppliche inviate al principe e formavano le istruttorie dei
casi più disparati da sottoporre alla sua attenzione. Procuratori, figure mutuate
dall'esercizio del diritto privato, iniziarono a tenere in mano le leve
fondamentali dell'amministrazione, innanzi tutto nel campo della fiscalità (nel
principato è ormai il fiscus, la cassa con le entrate spettanti agli imperatori a
prevalere sull'erarium, termine con cui si definiva la cassa statale già in età
repubblicana). Gli stessi amici del principe - anche le monarchie ellenistiche
avevano avuto i φίλοι del sovrano - da spie della personalizzazione dell'assetto
istituzionale romano nel corso del I secolo diventarono una sorta di titolo
ufficiale, capaci addirittura di operare in continuità, scavalcando diverse
successioni imperiali.
In questa cornice, il luogo fisico sovrapposto al luogo istituzionale venne
ormai solidamente identificato con il palazzo del principe.
Furono statalizzate anche le immagini linguistiche: l'indulgentia principis
che muoveva i provvedimenti dall'alto non era più una spinta personale,
morale quasi degli atti di governo, era una formula amministrativa.
L'obsequium, da virtù quasi servile, divenne sinonimo di senso della carica, di
adesione ai compiti di un ufficio. L'evoluzione successiva fu la nascita di un
vero e proprio funzionariato: al centro, con le segreterie imperiali germinate
nella cornice della domus e con l'amministrazione della città di Roma e in
periferia, innanzi tutto nella Penisola, dove iniziarono prime forme di
coinvolgimento delle amministrazioni locali nella manutenzione delle strade,
nel mantenimento dei servizi postali, nella cura dell'approvvigionamento
alimentare, nell'esazione dei tributi. Pani analizza queste curatele e prefetture
attraverso il corredo concettuale della sociologia di Max Weber: personale
nominato dall'alto specificamente per determinate funzioni, a suo giudizio, non
può che appartenere ad una vera e propria burocrazia. Le promozioni però
avvenivano attraverso i legami con il principe: anzi le clientele gradatamente
furono capaci di sostituirsi agli antichi criteri di accesso alle cariche (status
sociale, meriti pregressi). Resta da chiarire in che misura una forma di premio
del merito fosse ancora presente. Di sicuro, l'esperienza militare sul campo e la
preparazione giuridica erano qualità capaci di determinare il balzo della
carriera di un "amico del principe". Questi funzionari avevano anche un
salarium, altra innovazione decisiva del principato di Ottaviano Augusto.
Procuratori e prefetti dell'Impero furono al massimo, nel III secolo, meno di 200:
se dunque, a giudizio di Pani, per l'età di Augusto non si può parlare di uno
Stato burocratico (weberianamente inteso), certamente ci si trova di fronte a una
"presenza burocratica nello Stato" (p. 110). Ad Augusto risalgono, da questo
punto di vista, quelle innovazioni nelle forme di organizzazione pubblica che la
storiografia faceva risalire all'età dei Severi. Anche il concetto degli officia -
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G. Brunelli, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
"sorta di contenitori funzionali e impersonali nei quali reclutare poi un maggior
numero di persone nell'amministrazione pubblica" (p. 113) - si può far risalire a
quei decenni cruciali sulla soglia del primo millennio.
Pani prosegue la sua rassegna con un colpo di zoom sugli ordinamenti
militari. Il passaggio dall'esercito repubblicano di leva al servizio volontario ben
retribuito di età imperiale, è a suo giudizio, un chiaro indizio del rafforzamento
delle strutture statuali avvenuto con il principato. Di più: ripetendo i giudizi di
Pier Paolo Portinaro e - più a monte - di Federico Chabod, la formazione di un
esercito permanente è considerata tout court come il segnale della nascita "di
uno Stato moderno" (p. 113). Chi allora viveva sotto il dominio di Roma si
sentiva legittimato a vivere nell'otium, delegando al principe il governo e
l'amministrazione, soltanto perché ai confini esistevano corpi armati
professionalmente deputati alla sua protezione, stipendiati attraverso una
sempre più generalizzata leva fiscale. Iniziava così ad operare un "meccanismo
che non ha più nulla a che vedere con la mentalità della forma di Stato
repubblicana. Lo Stato si gonfia, si astrattizza e diventa più pervasivo nelle sue
articolazioni" (p. 116).
Anche un'idea di un governo del territorio, "nozione base nella formazione
dello «Stato moderno»" (p. 117), si formò secondo Pani all'avvio del principato.
Fu Augusto, nelle Res gestae, a far vedere per primo una concezione di imperium
coincidente con una concreta entità spaziale: qualcosa che era diviso in
provinciae, ognuna con confini (fines) potenzialmente in espansione.
In modo più esplicito, quando passa in rassegna le diverse aree di
intervento sottoposte all'iniziativa degli imperatori romani, l'Autore propone le
sue tesi storiografiche di fondo. I primi tre secoli del primo millennio pongono
"di fronte una situazione che sappiamo si evolve verso una condizione di
sempre maggiore articolata statualità" (p. 120). Nacque l'attenzione per quella
che con lessico contemporaneo si chiamano le politiche di bilancio. Già Augusto
sviluppò una sua politica monetaria: il suo immenso patrimonio personale
divenne parte dell'erario pubblico. L'economia reale fu a sua volta influenzata
dalla nuova forma che lo stato stava prendendo: i principi non solo garantivano
la sicurezza del commercio, non solo stimolavano l'industria con le loro
commesse, ma prendevano anche iniziative di politica economica - ad esempio
in campo agrario - e varavano misure da "Stato sociale" (questo il sintagma
utilizzato a p. 143). I soggetti deboli (donne, minori, schiavi e liberti) furono
protetti da una legislazione emanata ad hoc; fu promossa la scuola pubblica;
l'amministrazione della giustizia si fece più capillare e si fece strada la necessità
di una moltiplicazione dei gradi di giudizio. Chi era risultato soccombente
poteva ricorrere al principe: anche questo era un portato della sua posizione
straordinariamente in primo piano. L'auctoritas dei giuristi, già con Augusto, fu
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G. Brunelli, Recensione
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sottomessa all'auctoritas del principe, che non si attribuiva arbitrariamente
maggiore competenza: soltanto, rivendicava la più ampia visuale offertagli
dall'istituzionalizzazione dei suoi poteri.
Conclude il volume l'epilogo intitolato "Una evoluzione delle forme di
Stato". Il principe, agli inizi dell'età imperiale, non era un despota che
governava in modo personalistico e arbitrario; il primato della legge era ormai
radicato. L'Autore non teme di lanciare letture in parallelo "se lasciamo da parte
il tabù del cosiddetto «anacronismo»" (p. 183). Non solo parla di
"accentramento e di statalizzazione" (ad esempio alle pp. 184-185), ma arriva
esplicitamente alla conclusione che in quel primo secolo "si cercò piuttosto una
sorta di monarchia costituzionale che collegava le due grandi esperienze
statuali che si erano avute nel Mediterraneo, la monarchia del regno e la
democrazia (più o meno “aristocratica”) dell'ordinamento cittadino" (pp. 179180). Vengono così pienamente alla luce le implicazioni dei risultati presentati:
l'esperienza del principato nella Roma del I secolo fu un preciso stadio
dell'evoluzione dello stato, vale a dire del processo di istituzionalizzazione delle
forme di organizzazione politica avvenuto in Occidente fra l'antichità e il XIX
secolo. La connotazione teleologica di questa evoluzione è riconosciuta
esplicitamente: anche se Pani non intende ammettere l'idea di un progresso
lineare culminante nello Stato cosiddetto "moderno" , anche se egli ricorda le
continue commistioni di "antico" e di "moderno" all'interno delle diverse
declinazioni della statualità, la sua proposta di definire il punto terminale di
quella evoluzione "Stato pienamente compiuto" (p. 17) rivela nelle stesse scelte
terminologiche l'impianto finalistico di questo modello di spiegazione.
Cadono così le distanze che da più parti (un nome per tutti: António
Manuel Hespanha101) si sono viste tra le diverse esperienze e forme di
regolamentazione della vita sociale: restano inascoltati quegli avvertimenti che
ormai sembravano del tutto pleonastici a non leggere la dimensione politica dei
secoli antecedenti il XIX con categorie, modi di dire, concetti utilizzati per l’età
contemporanea. A partire dal III millennio, se si guarda ad opere come quella di
Geoffrey Parker, di Pier Paolo Portinaro, di Francis Fukujama102, la storia delle
istituzioni politiche punta a valorizzare di più le linee di continuità che i
momenti di rottura, più le scene di riconoscimento che i momenti di
Cfr. António M. Hespanha, Storia delle istituzioni politiche, Milano, Editoriale Jaca Book, 1993
ed ora Id., La cultura giuridica europea, Bologna, Il Mulino, 2013 (in particolare il paragrafo II.2: Il
modello statalista e la sua crisi).
102 Geoffrey Parker, Sovereign City. The City-State through History, London, Reaktion Books, 2004;
Pier Paolo Portinaro, Il labirinto delle istituzioni nella storia europea, Bologna, Il Mulino, 2007;
Francis Fukuyama, The Origins of Political Order: from Prehuman Times to the French Revolution,
London, Profile Books, 2011.
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spaesamento teorico, anche rintracciando in un passato remoto (addirittura, nel
caso di Fukujama, più in Cina che in Europa) i momenti fondativi di una storia
del potere ancora perdurante. È una storia che si vuole vedere, nel suo concreto
svolgersi, come un processo – certo con le sue fasi e le sue contraddizioni, ma
certamente concettualizzata come un “processo” - di razionalizzazione dei
meccanismi decisionali e della regolamentazione esecutiva: nell’alveo di un
primato della legge (e in particolare della legge fondamentale, la costituzione)
precocemente raggiunto in Occidente.
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G. Brunelli, Recensione
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G. Lacerenza (a cura di), 1510 – 2010 Cinquecentenario dell’espulsione
degli ebrei dall’Italia meridionale. Atti del Convegno internazionale,
Napoli, Università “L’Orientale”, 22-23 novembre 2010
di Massimiliano Venditti
Il 31 marzo 1992 (anniversario fatidico!) nella sinagoga di Madrid, il presidente
dello stato d’Israele, Haim Herzog, ha detto:
Mi trovo qui nella Sinagoga di Madrid, come rappresentante dello Stato d’Israele e del popolo
ebreo, e mi sento come un emissario che segue le sue preghiere in un libro le cui orazioni e
melodie sono state scritte, in gran parte, in Spagna, dalla lunga e meravigliosa lista dei suoi geni
e studiosi della Torah nelle più pure tradizioni del nostro popolo. Oggi, in questa eccezionale ed
emotiva assemblea, commemoriamo un evento che ha lasciato un ricordo incancellabile nel
popolo ebreo, nella sua vita culturale e nella sua coscienza storica, dal giorno in cui avvenne
fino ai nostri giorni. I dolorosi avvenimenti di quello stesso anno che segnarono un’epoca con il
viaggio di Colombo, il 1492, segnarono un punto decisivo di grandissima importanza nelle
cronache del nostro popolo… Nella nostra memoria collettiva ricordiamo non solo la Spagna
dell’Inquisizione, ma la Spagna in cui, per centinaia di anni, fiorì una magnifica cultura ebraica,
creando opere fondamentali in teologia, filosofia, letteratura, tuttora inerenti alla nostra
cultura… Maestà, abbiamo avuto il privilegio di essere a capo di due nazioni che hanno avuto
tanto in comune nel passato, e di guidarle verso un nuovo orgoglioso futuro… Non possiamo
cambiare il passato. Ciò che possiamo fare è imparare le sue lezioni e assicurare così un futuro
migliore a noi e a tutta l’umanità. 1
L’anno 2010 costituiva il termine ad quem, rievocare, nella città di Napoli, i
cinquecento anni dal primo editto di espulsione degli israeliti, promulgato nel
novembre 1510 sotto la sovranità di Ferdinando il Cattolico.
La politica di espulsione delle minoranze religiose non cristiane, iniziata in
Spagna nel 1492, si protraeva sino ai domini soggetti alla corona, e quindi
interessava tutta la realtà del regno di Napoli, citra Farum, essendo la Sicilia,
come è noto, già Corona annessa a quella spagnola e per ciò stesso epurata dalla
presenza israelita, a seguito dell’editto del 1492.
Unica possibilità per gli israeliti era offerta dalla conversione al
cristianesimo; possibilità che, a dire il vero, fu concessa solo in ultima istanza,
contemplando il bando di espulsione anche il folto gruppo dei Novelli Cristiani,
sospettati di criptogiudaismo.
1
Cfr. G. Martina SJ, Il problema ebraico nella storia della Chiesa, Pontificia Università Gregoriana,
1996, p. 86.
100
M. Venditti, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
A ridosso del 1492, soggetti a forti pressioni e condizionamenti,
probabilmente gruppi di ebrei scelsero la conversione, per non dover perdere la
stabilità millenaria e la propria identità; certamente, molti altri, fermi nella fede
dei padri, dovettero lasciare la Spagna; Napoli, come in generale il regno citra
Farum, costituì un asilo accogliente, essendo manifesta la liberalità di Ferrante II
d’Aragona, cugino del Cattolico.
De jure et de facto (corsivo di chi scrive), ad eccezione della Sicilia, anche
l’Italia meridionale peninsulare rientrava però ormai a pieno titolo nella
giurisdizione del regno iberico. Per questa ragione l’editto di espulsione del
1510 non fu che una ripetizione della politica adottata nel ’92, sia pure con
effetti almeno inizialmente più attenuati.
Tale premessa, resa necessaria per contestualizzare il teatro politico
presente nell’Europa mediterranea, in cui fu rinnovato per gli ebrei l’invito a
lasciare i domini spagnoli, ci permette di prendere in esame i differenti
contributi degli studiosi che nel recente 2010 convennero a Napoli, presentando,
ciascuno per il proprio ambito di interesse, le relazioni che sono state raccolte e
pubblicate all’interno degli Atti del Convegno che è oggetto della presente
recensione.
Gioverà almeno rammentare che altre due occasioni di dibattito condiviso,
circa il tema oggetto del convegno ultimo, videro la luce negli anni 1992 e 2002,
rispettivamente con i due convegni su “L’Ebraismo dell’Italia Meridionale
Peninsulare dalle origini al 1541”, e “Carlo V Napoli e il Mediterraneo”; in
questo secondo contributo la questione della presenza ed espulsione dal regno
di Napoli fu curata da David Abulafia.
Compito specifico del presente lavoro di recensione è quello di presentare
gli orientamenti storiografici emergenti dai differenti contributi.
Ci sembra di poter rilevare uno spostamento dell’interesse degli studiosi
convenuti, dall’interpretazione in chiave politico/economica, comunque sottesa
e acquisita, a riflessioni e considerazioni di carattere storico ma di profilo
letterario e giuridico, o forse meglio sarebbe dire di attenzione alle fonti
normative da analizzare allo scopo di presentare una ricostruzione dei fatti
quanto più aderente alla realtà.
Elemento ormai acquisito dalla storiografia d’argomento è la percezione
della natura politico-religiosa alla base della risoluzione della monarchia
cattolica di configurare la Spagna come una realtà totalmente ed esclusivamente
cristiana; dunque il nuovo scenario territoriale, ottenuto con la conquista del
meridione d’Italia, Sicilia esclusa, offriva una realtà ulteriore su cui estendere le
decisioni e la politica adottate nella madrepatria.
Premesso questo, il profilo delle relazioni presentate è senza dubbio la
precisazione dei dati storici, e storico–normativi, non meno che metodologici,
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M. Venditti, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
da un lato, e la proposta, nuova, di una lettura in chiave letteraria di fonti coeve
agli eventi che fanno da sfondo alla ricostruzione degli studiosi; ulteriore
caratteristica, soprattutto apprezzabile nel contributo di Francesco Lucrezi, è
quella di offrire una radiografia della presenza ebraica nel meridione italiano e
nella Spagna, dalle lontane origini romane, per Napoli, e dal regno dei Visigoti,
per la Spagna.
Lucrezi, in una relazione di agile approccio, chiarissima sotto l’aspetto dei
passaggi normativi che caratterizzano a più riprese le dinamiche di
accoglienza/rifiuto della realtà israelita in Spagna, non meno che nel meridione
d’Italia, pone bene l’accento anche sull’autorità della Chiesa nel dettare norme
di “gestione” della diversità confessionale, come appare dall’esempio citato del
Concilio di Elvira, risalente al 306 d.C.
Originale, e destinata a segnare il passo della futura storiografia
d’argomento, la posizione (da noi condivisa con convinzione) dell’autore sui
concetti di antiebraismo e antisemitismo.
Il secondo, avvalorato da una lettura attenta del termine “limpieza de
sangre”, più volte incontrato nei numerosi contributi storiografici, non meno che
nella letteratura, di varia confezione, sulla propaganda di intolleranza verso
ebrei e marrani, starebbe alla base della autentica e più veritiera aggressività dei
limpidi spagnoli discendenti dei visigoti.
In ragione di ciò, se la Spagna dei cattolici doveva assumere l’abito della
fede cristiana, secondo una possibile formula “una Spagna un’unica fede”,
allora è comprensibile che la fede ebraica, osservata dai discendenti dei semiti,
doveva apparire agli occhi dei sovrani spagnoli e di una maggioranza del ceto
dirigente come una macchia in cui non era possibile separare l’essere umano
dalla propria fede di appartenenza; l’ebreo costituiva quindi tutt’altra
dimensione ontologica. A riprova, si potrebbe osservare, l’intolleranza della
monarchia si indirizzava anche verso la presenza morisca sul suolo del regno.
Di profilo analogo l’intervento di Cesare Colafemmina, che restituisce alla
storiografia di settore la certezza delle fonti normative relative ai bandi di
espulsione promulgati a Napoli dal 1510 al ‘41.
L’autore chiarisce l’equivoco circa la presenza di un solo editto a carico
degli ebrei, in base al quale quello riservato ai cristiani novelli sarebbe stato
emesso nel 1515; equivoco presente in Ferorelli e Stock, e destinato quindi a
“condizionare”, per così dire, la storiografia successiva.
Sanzione definitiva della verità storica, quindi, nell’ambito delle fonti di
carattere normativo, che porta alla conferma della presenza di due editti,
distinti, ma simultanei, promulgati nel 1510, e relativi alla presenza di israeliti e
novelli cristiani, su territorio spagnolo nel meridione peninsulare italiano.
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M. Venditti, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
Analisi raffinata, quella offerta dalla proposta di Paola Avallone,
incentrata su uno studio condotto relativamente all’apparire della realtà dei
Monti di Pietà, nel torno di tempo successivo al 1541.
Centro della relazione di Avallone è la interpretazione del sorgere dei
Monti di Pietà nel regno di Napoli non in stretta relazione alla partenza degli
ebrei dopo il 1541. L’equazione “espulsione degli ebrei = apertura dei monti di
pietà” non risulta dunque rispondere con precisione alla realtà storica; una
analisi e lettura del fenomeno creditizio-assistenziale, almeno stando ad una
osservazione della realtà a lunga gittata, se pensiamo alla istituzione dei monti
già durante il sec. XV, al loro ulteriore sviluppo nel XVII e alla decrescita degli
stessi nel secolo XIX, fanno ritenere quella relazione non direttamente
consequenziale; la proliferazione, dunque, dei centri creditizi, tutti di natura
privata e laicale, è da riconnettersi alla più generale crisi economica di fine ‘500,
non quindi all’espulsione degli ebrei dal regno.
Finalizzata a chiarire le dinamiche ed i momenti del processo migratorio
degli ebrei dopo il 1510, nel ribadire l’importanza del metodo di ricerca e
verifica del dato storico–documentale, la relazione di Anna Esposito pone anche
l’accento sulla minore approssimazione dei dati acquisiti, grazie a rigorosi
riscontri incrociati, circa la definizione della identità degli ebrei profughi negli
stati pontifici. Dati, quali presenza, provenienza, professioni, sulla base dei
documenti d’archivio, di natura pubblica e privata, dagli atti notarili ai riscontri
presenti nei contributi di K. Stow, A. Scandaliato, S. Simonsohn, chiariscono
maggiormente la biografia individuale, familiare e i legami parentali della
“collettività” degli esiliati.
Materia antropo/toponomastica dunque è l’alveo da cui si rende meno
approssimativa la ricostruzione della fisionomia dei protagonisti dell’esilio.
Tuttavia, viene raccomandata da parte della Esposito l’attenzione a non cadere
nell’“inganno” che talvolta riserva l’acquisizione del dato toponomastico e
toponimico, dietro al quale possono celarsi identità differenti da quelle
“accertate” e dichiarate negli atti notarili stessi; non sempre regnicoli sono gli
ebrei dichiarati tali, ma possono nascondere identità precedenti e rivelare
provenienze diverse dal regno.
La questione dell’esilio degli israeliti siciliani, dopo il ‘92, verso Napoli o
semplicemente verso altre regioni del meridione peninsulare e la loro contromigrazione, di nuovo verso la Sicilia, dopo il 1541, loro antica e diretta
madrepatria, assume nell’ottica di Francesco Paolo Tocco una valutazione
squisitamente culturale di profilo identitario.
Identità specifica, quella siciliana, e ribadita con orgoglio sino all’ultimo:
non solo la scelta di tornare, ed affrontare così la conversione e la possibilità di
essere indagati dall’Inquisizione, ma anche l’accettazione del distacco dai
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M. Venditti, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
legami familiari con la generazione degli anziani, rimasti nella fede dei padri,
rendono gli ebrei siciliani tornati nella loro patria, la Sicilia, un ”unicum” nel
loro genere. Controprova ne sia la dichiarazione di appartenenza identitaria
degli ebrei greci, di Ioannina, che negli anni ‘50 del secolo XX si dichiararono
appunto siciliani.
Tema questo, come sottolinea l’autore della relazione, che merita un
attento approfondimento. Dare voce ad una identità muta ma non dissolta,
all’interno del tessuto apparentemente omogeneo della cultura siciliana di età
contemporanea, coesa a partire dall’età moderna dalla pratica del culto
mariano, sarebbe come recuperare la vera e più convincente fisionomia di una
dimensione culturale siciliana che molto deve al contributo ebraico.
Giungiamo ora al contributo di Nadia Zeldes; la distinzione tra convertiti
fu oggetto di riflessione e normazione da parte delle autorità rabbiniche
allorquando - considerati i momenti storici che videro l’alternanza di tolleranza
e rifiuto ostinato della minoranza ebraica - cristiani novelli, in maggioranza
donne, chiedevano di rientrare nella comunità di fede dei padri.
L’esame di alcuni casi, in modo particolare riferiti a donne convertite, fa
emergere la competenza esclusiva del rabbino della comunità nel decretare i
criteri di possibile rientro, o, in alcuni casi, di rifiuto.
Le direttive dei “responsa” rabbinici, sulla base della lettura e
interpretazione della Halakah, ponevano in rilievo l’animus operandi del
convertito poi pentito; se la conversione era scelta deliberatamente e
convintamente, prova ne fosse stata la costanza della fede nuova vissuta
pubblicamente, non meno che privatamente, il ritorno non era consentito;
diversamente, se la conversione risultava dettata da motivazioni cogenti, da
circostanze costrittive e quindi rivelava una adesione solo giuridico-formale,
diremmo canonica, secondo la dottrina della Chiesa, allora il rientro nella
comunità era approvato.
Tuttavia, a ridosso della espulsione del 1510-1511, i criteri di giudizio di
reinserimento o rifiuto risultano diversi; rileva, per l’autorità rabbinica, solo ed
esclusivamente se i convertiti abbiano vissuto assieme agli ebrei, nel luogo del
loro insediamento, oppure se abbiano voluto separarsene in un atteggiamento
di “rinnegamento”; per i primi, come nel caso delle donne di cui l’autrice ci
informa, l’inserimento nella comunità fu accettato, nel secondo rifiutato.
Probabilmente, almeno a carico di chi scrive, la presenza di casi di donne,
maggiormente che di uomini, potrebbe essere messo in relazione al principio
per il quale, nella Halakah, l’appartenenza al popolo d’Israele, quindi alla sua
fede, passa attraverso la discendenza matrilineare.
La presenza dei novelli cristiani, partiti dalla Spagna a più riprese,
costituiva probabilmente, almeno durante il viceregno di don Pedro de Toledo,
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M. Venditti, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
una realtà “ambigua”, come la definisce P.A. Mazur: lo studioso assume le
dinamiche di relazione tra élite dei neofiti e autorità vicereale come dimensione,
appunto, di alleanza ambigua.
Ovvero, nonostante la pubblica distanza tra Toledo e le famiglie di novelli
cristiani, ufficiosamente il viceré adottò un comportamento di favore,
soprattutto nel trattare il caso dei Sanchez, oggetto di ripetute iniziative
giudiziarie, in modo molto leggero, mantenendo i due membri di questa
famiglia tra le alte cariche del regno. Eppure i Sanchez avevano gestito in modo
assai disinvolto risorse che chiameremmo pubbliche.
Lo scopo del viceré, come sottolinea Mazur, fu quello di crearsi una
compagine di ricchi cristiani novelli che potessero gestire le proprie finanze in
modo utile alla nuova realtà napoletana, in cui si cercava di portare il modello
di stato spagnolo, favorendo l’ingresso di tali famiglie, o di elementi di esse tra i
vertici del governo vicereale, nelle branche delle istituzioni di stato. Ottica,
questa, nuova e differente da quella proposta da Viviana Bonazzoli in un suo
saggio, apparso in «Archivio storico italiano», risalente ai primi anni Ottanta
del secolo scorso.
Avviandoci alla conclusione, assolutamente originali i contributi di Cedrik
Cohen Skally e Rav Roberto Bonfil. Oggetto della loro attenzione la figura di
Yishaq Abravanel, ma soprattutto dell’Abravanel Teologo.
Bonfil prende l’avvio dal commento di Abravanel al libro di Giobbe; come
è noto Giobbe è il modello, contenuto nella Sacra Scrittura, della sopportazione
degli accadimenti più tragici, non ultimo quello dell’essere allontanato dalla
propria famiglia e giudicato responsabile della propria sventura, dai suoi stessi
amici.
Giobbe, nonostante tutto, non giudica nessuno e non rinuncia alla fede nel
Dio dei padri; così Abravanel legge gli eventi a lui contemporanei, e dalla Sacra
Scrittura, parola ispirata e rivelata dall’Altissimo, trae la forza per accettare
l’inevitabile, senza per questo indulgere a giudizi morali contro i cristiani o
l’autorità regia, ma assumendo tutto con la fede nella prova che la propria
vicenda, unita a quella della comunità tutta, vive nella Scrittura, è presente allo
sguardo di Dio, che non mancherà di manifestarsi a favore del popolo eletto.
Sulla stessa linea interpretativa l’approccio di Cohen Skally ai commenti di
Abravanel su 1/Samuele e su come egli vede l’istituzione monarchica, seppure
mirato ad auspicare la formazione di una coscienza giuridica circa la questione
della cittadinanza mai concessa agli ebrei, perché ritenuti non facenti parte del
popolo originario delle realtà territoriali in cui, seppure da secoli, essi vivevano
stabilmente.
Tale contributo sembrerebbe evidenziare una relazione tra il concettorealtà del dispositivo “editto-espulsione” e la forma di governo di stampo
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M. Venditti, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
monarchico, a differenza di realtà modellate sull’esempio repubblicano,
particolarmente amato e ripreso nel Rinascimento, almeno sino ai primi due
lustri del Cinquecento, in cui gli ebrei furono accolti e resi parte integrante del
tessuto sociale.
Concludiamo questa avventura, ponendo dinanzi a noi, come suggerisce
Giancarlo Lacerenza, per quanto l’immaginazione possa consentirlo, gli
affreschi di Belisario Corenzio, all’interno del Palazzo Reale di Napoli. La
raffigurazione della cacciata degli ebrei dalla Spagna, seppure figurativamente
resa con abiti secenteschi, coevi quindi all’artista, indica una memoria
particolare, ovvero una memoria di stato. Accanto a quell’evento, anche
l’ingresso di Alfonso il Magnanimo, protettore degli ebrei, suggerirebbe una
lettura comprensiva e più ampia che potrebbe indicare novità anche
apprezzabili sotto il profilo della ricerca storiografica.
_____________
S.M.Cattolica, Juan Carlos di Borbone, Sinagoga di Madrid, 31 marzo 1992, in
risposta alla prolusione del presidente dello Stato d’Israele Haim Herzog:
Può sembrare paradossale che si sia scelta la commemorazione di uno scontro per propiziare un
incontro di così profondo significato. Ma la storia dei popoli, e , naturalmente, la storia di
Spagna è piena di luci e di ombre….Evocare oggi quei secoli di storia condivisa è un omaggio
che voglio rendere alla forza di spirito e alla capacità di conservare le proprie radici culturali
degli ebrei spagnoli, che, fedeli alla propria fede e alle proprie tradizioni, dovettero uscire dalla
Spagna in forza di una ragion di Stato che vedeva il fondamento della propria unità nella
uniformità religiosa…500 anni dopo, viviamo con norme costituzionali che hanno consacrato la
unità nel pluralismo e nella libertà religiosa e di coscienza. Il ritorno a Sefaràd, iniziato già
timidamente nel secolo passato, comincia a colmare il vuoto prodotto dalla vostra
assenza….Dobbiamo riconoscere che fu ammirevole, malgrado le circostanze della loro
partenza, la fedeltà che le comunità sefardite hanno conservato, pur con logici ed opposti
sentimenti, alla loro patria di tanti secoli. Abbiamo ora la possibilità di fare di questo
appuntamento e di questo paese un vero luogo di incontro per le future generazioni. Che mai
più l’odio e l’intolleranza provochino la desolazione o l’esilio. Al contrario dobbiamo essere
capaci di costruire una Spagna prospera e in pace con se stessa sulla base della concordia e del
rispetto mutuo. Una spagna di cittadini liberi, in collaborazione con tutti i paesi amanti della
pace… 2
2
Ivi, pp. 86-87.
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M. Venditti, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
Breve storia del futuro, un libro di Jacques Attali,
Fazi Editore, Roma, 2007
di Maria Antonietta Del Boccio Prosperi
“A memoria di rosa non si è mai visto un giardiniere morire”: il sofisma
dell’effimero di Bernard le Bovier de Fontenelle è “quello di un essere
passeggero che crede nell’immutabilità delle cose”. Così lo definisce Eugenio
Scalfari nel libretto Il sogno di una rosa, dove si parla dell’immagine di un
universo che finisce, di un futuro vuoto dopo l’umanità, di incubi che il filosofo
Diderot – personaggio del libro – commenta:
... nessuna mente può contenerli, perchè noi siamo una parte e non possiamo pensare al futuro.
Il sofisma dell’effimero è la nostra sola possibile dimensione: sappiamo che è un sofisma, ma è
la nostra unica realtà. Perciò trovo bellissimo il vostro sogno: siete nata rosa, fiorite come rosa e
vi addormentate nella vostra radice in attesa che passi l’inverno. Arriverà il momento che vi
addormenterete senza più risvegliarvi, ma voi non sentirete la mancanza del vostro risveglio. Il
vostro effimero riguarda gli altri; per voi, per me, per ciascuno di noi il nostro effimero è la
nostra eternità.
Struggente definizione dell’effimero nelle sue conseguenze, quella di
Fontenelle nella versione data da Diderot/Scalfari. C’è l’affettuosa derisione
della pretesa estrapolazione all’universale di un’esperienza continuata ed
eternamente confermata ma sempre entro un suo invisibile e non
sperimentabile limite.
C’è la falsa sicurezza del futuro generata dalla falsa certezza di
un’immutabilità che è inesistente, ma che tale ci appare perché è l’unica che
possiamo concepire.
C’è l’esperienza che si moltiplica e traguarda attraverso le vite delle
generazioni passate e che si estrapola alle generazioni future, che nella sua
continuità diventa certezza del singolo pur non provenendo dal singolo, ma
dalla specie.
È bello provare il desiderio di godere del nostro effimero in tutte le sue
piccole certezze: la brevità della vita, l’ignoranza del futuro, la continuità della
storia, lo scorrere immutabile delle generazioni umane e delle stagioni.
Ma di fronte a questa tenera filosofia profetica – in qualche modo
rassicurante – che viene dal passato si schiera la previsione del futuro nei
macroscenari dell’“Iperimpero”, “Iperconflitto” e “Iperdemocrazia”: scenari che
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M.A. Del Boccio Prosperi, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
dal passato attingono una credibilità orripilante….sono gli scenari di Breve storia
del futuro...
È certamente facile definire Jacques Attali un genio della nostra epoca
(www.attali.com/), con le sue lauree (Ingegneria, Studi politici, Economia), la
sua specializzazione in Economia della pubblica amministrazione, la sua
variegata attività di scrittore (pubblicista per «L’express», libri per ragazzi e
testi politici e di economia), la sua docenza di Economia nelle maggiori
università di Francia e la professione di consulente di multinazionali e stati in
materia di strategia e ingegneria finanziaria. Ma la sua fama mondiale è legata a
quando viene nominato da Mitterand nell’1981 "consigliere speciale" in
economia e poi, lasciato l’Eliseo, fonda la Banca Europea per la Ricostruzione e
lo Sviluppo, istituto dei governi occidentali e ne diventa presidente. Il
presidente Sarkozy, nel 1991, gli affida la presidenza della Commissione
Internazionale per la Liberazione della Crescita (ricordiamo che i componenti
italiani furono Franco Bassanini e Mario Monti e che fu pubblicato un
interessante Rapporto Finale nel 2008). Nel 1980 fonda Action Contre la Faim e
poi il programma europeo Eurêka; poi avvia un piano a favore del Bangladesh,
quindi un progetto contro la proliferazione nucleare ed uno per
l’armonizzazione degli insegnamenti nelle scuole europee. Insomma, un
personaggio irrefrenabile ed eclettico che condensa i suoi ideali, la sua storia e
la sua cultura nel libriccino Une brève histoire de l'avenir, uscito in Francia nel
2006, subito bestseller tradotto in tutte le lingue: una storia dell’umanità, che
ripercorre i milestones evolutivi dei poteri religiosi, politici ed economici,
sintetizzandone i meccanismi e, da qui, estrapolando le caratteristiche della
società globalizzata che ci attende nel prossimo cinquantennio. “Pagine
profetiche e visionarie e al tempo stesse realistiche.” (così dice la quarta pagina
di copertina) che disegnano scenari di fronte ai quali, la “conoscenza” acquista
il sapore di una maledizione biblica, il “non esserci” di un auspicio angoscioso e
l’effimero di un’oasi dove far riposare il pensiero.
Già, perché questo libro a me ha fatto questo effetto, segno inequivocabile
della mia età. Eppure, per nessun motivo vorrei essermelo perso. Ci sono
almeno tre buone ragioni per dirlo: la prima perché questo libro offre il piacere
della cultura, la seconda perché offre l’adrenalina di una terribile
verosimiglianza, la terza perché fa pensare: cerco di spiegarmi, senza raccontare
il libro dato che merita la lettura completa senza intermediari e senza riassunti.
Colto perché
È un classico, nel senso più puro del termine. È scritto con la semplicità, la
logica, la stringatezza dei grandi filosofi del Settecento. Di essi recupera anche
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M.A. Del Boccio Prosperi, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
la costruzione del pensiero, adotta il tipo di ragionamento, racchiude il metodo
fino a sembrare loro naturale epigono. Quel suo traguardare l’esperienza
umana attraverso macro eventi la cui essenza rivoluzionaria è visibile solo ad
un occhio che è insieme critico, analitico e sintetico del lungo periodo spaziotempo racchiude un’abilità che è figlia di secoli di cultura francese, europea ed
occidentale. Questo suo scrutare la storia più lontana per distillarne verità
essenziali da estrapolare al futuro condensa tutto un metodo che è un altalenare
tra empirismo e teoria, tra psicologia umana – nelle sue eterne e ripetitive
manifestazioni – e fatti storici.
Affascina in Attali il metodo classico del ragionamento. Come Condorcet
ne I progressi dello spirito umano, rilegge il passato fin dove può spingersi per
estrarre da esso principi, esperienze e conclusioni a cui la reiterazione consente
di attribuire un valore universale o almeno una verità che supera l’esperienza
effimera di una generazione o l’annotazione storiografica di un’epoca limitata.
Ma anche le fondazioni del ragionamento, le ipotesi del teorema che viene
poi sviluppato fino alle sue tesi più estreme traggono dalla nostra cultura. La
catena logica, sequenziale e bidirezionale di tre affermazioni (uso qui parole
mie): “il motore dell’umanità è la ricerca del benessere” – “l’ambiente in cui
sviluppa il benessere è la democrazia” – “il risultato del benessere è la pace” ci
appare così ottimisticamente scontata, infatti, solo in quanto noi apparteniamo
al nostro mondo e in quanto – più o meno consciamente – vi ritroviamo la
lezione dei nostri grandi maestri.
Come Spinoza (Trattato teologico politico) che nel 1670 afferma che in
Amsterdam (esemplare città di liberismo commerciale e liberalismo politico) “vi
convivono in perfetta concordia uomini di tutte le nazioni e di tutte le religioni”
e ciò è ragione di prosperità economica. Come Voltaire che, sulla stessa
lunghezza d’onda, nel 1733 (Lettere Inglesi, ovvero lettere filosofiche) dice che alla
Borsa di Londra, ancora città pilota dell’esperienza politica e commerciale:
il giudeo, il maomettano ed il cristiano trattano l’uno con l’altro come se fossero della medesima
religione e non danno l’appellativo di infedeli se non a coloro che fanno bancarotta… Se in
Inghilterra vi fosse una sola religione si dovrebbe temere il dispotismo, se ve ne fossero due si
scannerebbero a vicenda, ma ve ne sono trenta e vivono felici e in pace.
In Kant il liberalismo antiassolutistico si unisce all’idea della necessità dei
Lumi in una concezione politica ed etica che fa coincidere il benessere
economico dello stato con la libertà di commercio che lo alimenta, con la libertà
di pensiero che lo consente e con una qualche forma di democrazia che lo
promuove: siamo nel 1793 quando tutto ciò appare in Critica della ragione pura e
nell’articolo Che cosa è l’Illuminismo.
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M.A. Del Boccio Prosperi, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
E come non cogliere nel concetto del “buon tempo” di Attali, la stretta
parentela con quella “dolcezza di vivere” che in Condorcet rappresenta il fine
dell’umanità e, quindi, il motore della sua corsa millenaria e perigliosa? E l’
”Abitudine a sentimenti dolci che fondono la nostra felicità con quella degli
altri” che pronostica Condorcet, quanto assomiglia all’ “economia
dell’altruismo della disponibilità gratuita, del dono reciproco, del servizio
pubblico, dell’interesse generale” che potrebbe, forse, governare il mondo di
dopodomani?
E come non sentire la vicinanza culturale, quindi profondamente classica
ed occidentale e per così dire “illuministica”, tra lo scenario della “Decima
epoca” di Condorcet nella sua meravigliosa utopia, e l’Iperdemocrazia di Attali?
Le profezie sociali del filosofo settecentesco circa l’istruzione universale,
l’industrializzazione rispettosa delle materie prime della natura, l’aumento
della popolazione umana per effetto del benessere e dell’allungamento della
vita, la diffusione delle arti e dei saperi nel rispetto delle diverse culture, la
ridistribuzione delle accresciute fortune materiali resa possibile da un sapere
universalmente condiviso trovano la loro proiezione in Attali in equivalenti
“futuri possibili”. Persino le profezie tecnologiche di Attali trovano in
Condorcet un predecessore di pari audacia visionaria, laddove delinea uno
strumento di conoscenza universale che sembra avere tutte le caratteristiche di
Internet.
Ma se metodo ed ipotesi del teorema di Attali sono radicate nella nostra
storia culturale e nei nostri schemi logici, così che le tesi ne risultano dimostrate,
l’esito è opposto: non all’utopia di Condorcet sostanzialmente ottimista ed
illuminista, ma a visioni terribili e purtroppo credibili ci conduce questo nuovo
profeta di oggi.
Verosimile perché
Come Socrate, Attali ti prende per mano e ti accompagna su un ragionamento
che si snocciola logico e sequenziale, inattaccabile passo per passo, fino alle sue
conclusioni. Maieuticamente il suo non esplicito dialogo filosofico-socratico, ti
conduce lungo un suo cammino cosparso di esperienze antiche trasferite
all’oggi, estrapolazioni credibili perché già avvenute.
Nella caduta dell’impero romano, nella caduta delle istituzioni i singoli
della classe senatoria si sono allontanati dagli impegni governo perché privi
della cultura specialistica della guerra e della politica. I tempi stavano
cambiando, la complessità del mondo nascente richiedeva una classe
professionale: la nobiltà antica – in un processo che si ripeterà infinite volte
nella storia – orgogliosamente e volontariamente andò a segregarsi, mentre
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M.A. Del Boccio Prosperi, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
contemporaneamente la nuova classe di potere agiva positivamente
sull’emarginazione definitiva. Il loro nemico era prima di tutto il cristianesimo
che avanzava nelle classi degli ultimi e che scuoteva con il vigore della gioventù
un politeismo non possessivo né fanatico e per questo più fragile. Ma il
senatore, questo pilastro della vecchia società, non trovava difesa neppure dai
nemici esterni: non dai barbari che aggredivano proprio la sua essenza di vita
volendosene impadronire, non dai Generali né dai soldati, ormai stranieri
difensori dello stato che non si riconoscevano nelle icone storiche, neppure dal
loro stesso stato che sfibrato dai costi aveva rinunciato alla difesa dei principi
per limitarsi al territorio ed ai brandelli di potere. Privati di ruolo e di difesa,
sconosciuti o invisi o comunque non “riconosciuti”, i ricchi proprietari terrieri
(coincidenti con la nobiltà intellettuale caratterizzata da una cultura che è di
tipo filosofico non produttivo né operativo o utilitaristico) si sono chiusi nei
loro interessi di sopravvivenza e di “qualità di vita”, aspirando piuttosto ad un
gottammerung che ad un rilancio partecipativo che avrebbe modificato
irrimediabilmente il loro mondo.
Dalla disgregazione, le unità produttive frantumate e le istituzioni
spezzate si condensano in liberi Comuni, o in poteri feudali.
Questo caos di anarchia, questo vuoto delle istituzioni tradizionali a
favore di forme in evoluzione non ancora finite, questa rinuncia
dell’intellighenzia alla partecipazione in nome del rifiuto del nuovo mondo e
dei nuovi protagonisti, dei loro metodi e dei loro principi, è troppo simile
all’idea della società per così dire “residuale” del nostro oggi che dovrà
convivere con l’”iperimpero” di Attali dove la scomparsa delle forme
istituzionali nazionali avviene a favore degli imperi economici transnazionali o
delocalizzati, a favore di culture più aggressive, di soggetti dotati di armi ed
istinti di sopravvivenza più sviluppati e potenti.
La società multietnica e multireligiosa che nascerà dal mescolamento di
popoli diversi tra loro non solo nelle tradizioni e nei credi, ma soprattutto nel
livello di civilizzazione e di acculturamento raggiunto, nella sensibilità e
conoscenza della propria cultura, nel senso di identificazione di sé con la
propria storia, sarà – ce lo dice il buon senso – inevitabile ed irreversibile, ma
sarà anche – ce lo dice la storia – foriera di nuovi moti vitali per la civiltà
umana. Ma – e questo ce lo dice ancora la storia – in questo guado, il transitorio
verso tale nuova era realizzerà probabilmente tutto il catalogo dell’immaginario
delle nostre paure.
Diaspore e migrazioni, comunicazione immediata e generalizzata, mercato
globale, omologazione universale dei bisogni e dei prodotti, della domanda e
dell’offerta porterà inevitabilmente al raggiungimento di un equilibrio socioculturale collocato in un punto il più vicino alla più gran massa numerica dei
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M.A. Del Boccio Prosperi, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
popoli mescolati, in un punto che sarà quello in cui il maggior numero di
persone della nuova società sarà capace di riconoscersi servendosi solo del
bagaglio culturale proprio individuale o del proprio gruppo etnico. Allora
dovremo aspettarci che solo i valori elementari abbiano un riconoscimento
allargato se non universale, e solo le pulsioni più semplici abbiano la
predominanza. Dovremo aspettarci che la lingua comune universale parlerà di
cibo, di musica orecchiabile, di divertimenti e di piaceri elementari. Dovremo
pensare che parlerà di soldi, di potere e fama facile: di tutto ciò che da sempre è
costituito il linguaggio, le motivazioni, le spinte, più semplificate e ineducate
dell’uomo.
Come i grandi mammiferi preistorici, i senatori sono scomparsi volendo
salvare solo ciò che credevano che fosse – ed era – l’essenza della loro civiltà.
Come loro anche noi, uomini vissuti nell’ultimo tratto del XX secolo ancora
europeo e nazionale, noi ancora studenti dei classici greci e dei filosofi
settecenteschi, ancora amanti di un certo tipo di musica e di un certo tipo di
bellezza, saremo sopraffatti e vorremo forse, lasciare nelle biblioteche, nelle
cineteche, nelle emeroteche e nelle discoteche, il nostro nostalgico “come
eravamo”. Come Isidoro di Siviglia, come Cassiodoro, come in Farhenait 451.
Allora in questa società dovremo supporre che ancora qualche nucleo si
formerà per difendere, proteggere e conservare la grande cultura dell’occidente
europeo, la grande cultura dell’oriente cinese o arabo o indiano o giapponese
cioè di tutte quelle grandi culture individuali, “artigianali”, legate alla nozione,
allo studio, al tempo di apprendimento ed alla conoscenza del passato che non
troveranno spazio né tempo condivisi da un numero economicamente
significativo nel mondo globalizzato. Tutto questo, questo gottamerung e
insieme questa contemporanea nascita di forme sociali mixate e dotate delle
energie della giovinezza e dell’aggressività che ha tutta la vita nuova, è
terribilmente credibile perché è già successo, perché si annusa nell’aria come la
pioggia quando ancora non piove.
Guardiamo i “segni” di questo futuro: osserviamo come, a fianco della
scomparsa dei controlli statali ed istituzionali sotto le spinte delle
multinazionali e dell’aggregarsi federativo degli stati per rafforzare i mercati, a
fianco del fine mescolarsi fisico o anche solo virtuale delle popolazioni, si attiva
il movimento opposto dell’individualismo con spinta alla frantumazione degli
stati in meteoriti indipendentisti, movimenti a cui risponderanno quei
movimenti di auto-segregazione cui si è accennato sopra. Già oggi, mentre le
nostre città si affollano di stranieri e le nostre legislazioni inseguono principi e
metodi di integrazione laica obsoleti già al loro apparire, vediamo svilupparsi
in diverse parti del mondo (USA, Israele) le “città private”. Fenomeno morituro
solo ad un occhio disattento, dal momento che queste strutture – misto di
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M.A. Del Boccio Prosperi, Recensione
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medioevo e di fantascienza – rispondono perfettamente ad una certa domanda
che è destinata a crescere.
Osserviamo come gli eserciti nazionali già ora stanno disegnando sotto i
nostri occhi una parabola già vissuta: l’esercito repubblicano romano, costituito
da cittadini romani che difendevano il sacro suolo patrio, si trasformò in un
esercito di schiavi per mancanza tanto di denaro pubblico quanto di uomini
abbastanza poveri o abbastanza patriottici. Come allora, gli eserciti mercenari
sono oggi una realtà: una comoda soluzione per chi accetta che il proprio paese
conduca affari guerreschi senza dover modificare la propria vita, per chi non
voglia obblighi rispetto a convenzioni noiose come quella di Ginevra, per chi
voglia gente disposta a morire senza chiedere monumenti. Soluzione talmente
comoda, talmente funzionale alla società di oggi e “rispondente alla domanda”,
che non si può dubitare che questi deplorati ed ancora rari esemplari abbiano in
futuro massimo sviluppo, vitalità ed estensione.
Anche le anteprime del futuro culturale sono già presenti nella nostra vita
di oggi. Trasmissioni come ALL MUSIC, già mostrano una società in cui pochi
delle generazioni degli anni ‘40-‘70 si riconoscono: le immagini, i gesti, le
situazioni, gli abiti, ci appaiono riconducibili più ad un certo tipo di
fantascienza da day-after che ad un quotidiano sia pure aggressivo o
spregiudicato o trasgressivo o innovativo. E quelle immagini nel loro apparire
senza “luogo”, non collocabili neppure in un’epoca precisa perché dense di
manifestazioni tanto primordiali quanto avveniristiche, che non recano neppure
il più lontano tentativo di ricerca della bellezza o dell’ortodossia – valori
intrinsecamente legati a culture specifiche – appaiono le immagini concrete di
una società per così dire transnazionale e transculturale, addirittura trasversale
rispetto al tempo, proprio come si può immaginare la società dell’Iperimpero.
Anche i segni di un’altra evoluzione si avvertono nel momento in cui si
accendono discussioni feroci sulle libertà individuali, in cui vediamo i grandi
principi etici che ci hanno guidato fino ad oggi come cardini delle nostre scelte,
sgretolarsi davanti a domande come “Perché no?”, “Cosa c’è di male?”, “Chi
può decidere al mio posto?”, “Chi siamo per giudicare?”. Il nostro povero caro
cuore, unico ed insostituibile sede dell’amore e della personalità, ha già da
molto tempo perso la sua unicità violato come la Luna dall’Apollo. Oggi, ben
altri sono i limiti superandi: procreazione e trapianti sempre più audaci,
clonazione ed eutanasia. Tutto ciò è troppo comodo, è troppo funzionale ad una
società che ha fame di soldi e di tempo e che non vuole pensare: come i pezzi
del nostro corpo, i pezzi della nostra etica perdono la loro unicità e divengono
riproducibili ed intercambiabili.
Persino l’Iperconflitto ci appare credibile, visto con gli occhi di un altro
profeta della nostra epoca Italo Svevo:
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M.A. Del Boccio Prosperi, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
A differenza delle altre malattie, la vita è sempre mortale. Non sopporta cure. […] La vita
attuale è inquinata alle radici. L’uomo si è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha
inquinato l’aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. Il triste ed attivo animale
potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio delle altre forze. V’è la minaccia di questo genere
in aria. Ne seguirà una grande ricchezza … nel numero degli uomini. Ogni metro quadrato sarà
occupato da un uomo. Chi ci guarirà dalla mancanza d’aria e di spazio? Solamente al pensarci
soffoco! Ma non è questo, questo soltanto […].
Ma l’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori dal suo corpo e se c’è stata salute e
nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si vendono si comprano e
si rubano e l’uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi, si capisce che la sua furbizia
cresce in proporzione alla sua debolezza, i primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo
braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma ormai, l’ordigno non ha
più alcuna relazione con l’arto. Ed è l’ordigno che crea la malattia con l’abbandono della legge
che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione salutare.
Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni
prospereranno malattie ed ammalati.
Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i
gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di
questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi
attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo, fatto anche
lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà
al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà
un’esplosione enorme che nessuno udirà e la terra ritornata alla forma nebulosa errerà nei cieli
priva di parassiti e di malattie.
Scritto a cavallo tra le due guerre, il libro di Svevo rivela tutta l’angoscia di
chi, emerso da una tragedia, ne attenda un’altra peggiore e definitiva. La sua
profezia è tetra nella lucidità con cui si aggrappa a oggettività scientifiche
decodificate con pseudo scientificità (la lenta e benefica evoluzione darwiniana
a confronto con la freneticamente tragica crescita delle tecnologie umane) e
nell’intuizione con cui estrapola da fatti appena delineabili al momento in cui
viveva, tutta la gravità che oggi viviamo: l’inquinamento, la
sovrappopolazione... L’Ultima Lotta con il male, l’ultima prova temuta ed attesa
da Svevo sembra stranamente consonante con la psicologia dell’uomo tipo
dell’Iperconflitto di Attali, di quell’uomo giunto alla capacità di dotarsi dei più
inimmaginabili “dispositivi di autoriparazione” di cui l’occhiale sveviano è
precorritore e splendida sintesi simbolica: nella totale disponibilità degli ordigni
tecnologici, nella totale diaspora individualistica dell’umanità, nella totale
libertà da vincoli culturali, tradizionali o etnici o etici, ci sarà qualche comunità
o associazione o aggregazione umana – ma potrebbe bastare a ciò anche un solo
uomo – che chiuderà la storia umana in una unica immensa fiammata per
ragioni sue proprie che nessun altro capirà né saprà mai.
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M.A. Del Boccio Prosperi, Recensione
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Fa pensare
Guardando gli scenari di Attali, c’è da chiedersi se vi è ancora spazio per l’etica,
perché sembra che non vi sia speranza nella progressione del mondo verso
un’entropia totale in cui il mescolamento di società e di civiltà aventi un diverso
grado di maturazione, diversi livelli di sviluppo e collocati su diversi traguardi
raggiunti, non può che creare una omogeneizzazione di valori riconosciuti
come comuni e condivisibili posti al minimo comune denominatore, quei valori
indipendenti dalla civiltà, dalle culture, dalle nozioni, dai credo e dai
pregiudizi, cioè da tutta quel software che si è formato attraverso i secoli nelle
epoche “beate” – diremmo forse – delle società chiuse o comunque limitate,
della culture “nazionali” o regionali.
Potrebbe accadere che i valori che si istalleranno e consolideranno perché
percepibili ed accettabili al maggior numero di persone siano quelli posti sulla
linea di demarcazione tra l’essere umano e l’animale, che i bisogni elementari
dell’uomo siano quelli che condizioneranno i comportamenti umani tra singoli
e nella società. Potrebbe accadere che parleremo di cibo, di sesso, di
divertimento, di denaro e di potere in un modo sempre più staccato dai principi
che ogni civiltà del mondo ha da sempre incollato ad essi per esorcizzarne la
potenza e diminuirne l’imperio. Potrebbe accadere che quei principi saranno –
in quanto patrimonio di gruppi etnici ristretti – diventati incomprensibili alla
grande massa della società. Potrebbe accadere che questa materia culturale
porti all’Iperconflitto.
Ognuno di noi dovrà fare le sue scelte.
Fermarsi e godere dell’effimero, come la rosa di Fontenelle con cui ho
aperto questo commento.
Fermarsi e rimpiangere, come l’aristocratico Charles-Joseph de Ligne
(1795) dopo il passaggio dell’ondata rivoluzionaria:
Ho visto in tutto il loro splendore i paesi e le corti in cui ci si diverte di più… Ho visto Luigi XV
ancora intriso della grandeur di Luigi XIV e M.me de Pompadour di quella di M.me de
Montespan. Ho visto tre settimane di feste favolose a Chantilly, spettacoli e soggiorni a VillersCotteret in cui si trovava quanto vi era di più piacevole. Ho visto i viaggi magici dell’Isle-Adam,
ho visto le delizie del Petit Trianon, le passeggiate sulla terrazza, le musiche all’Orangerie, le
magnificenze di Fontainebleau, le cacce di Saint-Hubert e di Choisy, ho visto tutto affievolirsi
per poi scomparire completamente.
Fermarsi orgogliosi e rassegnati
nell’Iperconflitto come Paul Valery
ed
aspettare
la
fine
catartica
Io sono l'Impero alla fine della decadenza,
che guarda passare i grandi Barbari bianchi
componendo acrostici indolenti
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M.A. Del Boccio Prosperi, Recensione
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in uno stile dorato in cui danza il languore del sole.
Eppure ci piacerebbe davvero pensare che l’umanità non finirà né per il
mercato né per la scienza né per la stupidità. Ci piace pensare che le forze
positive della ragione, della cultura, della bellezza, della solidarietà di tutti i
popoli del mondo confluiscano a formare un’unica grande forza dirompente,
che distrugga i nuovi mostri e strappi gli applausi proprio come la scena finale
del film Meteor.
Ci piacerebbe che altri giungano a vedere la Decima Epoca. Ognuno di noi
deve fare oggi le sue scelte.
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M.A. Del Boccio Prosperi, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
Perché sono europeo. Studi per Giulio Guderzo, a cura di Simona Negruzzo e
Daniela Preda, Unicopli 2013, pp. 538
di Francesco Gui
Felice iniziativa quella dell’edizione - con il contributo dell’università di Pavia,
della Fondazione Cariplo e della Fondazione Comunitaria della Provincia di
Pavia – di una corposa raccolta di studi in onore di Giulio Guderzo, emerito di
Storia del Risorgimento presso l’università di Pavia. Un emerito meritevole per
davvero, stante la quantità di titoli al suo attivo: fra gli altri, di fondatore, dal
’79, e a lungo direttore degli «Annali di storia pavese»; di direttore, poi
presidente dell'Istituto pavese di storia della Resistenza e dell'età
contemporanea; di promotore del dottorato di ricerca in Storia del federalismo e
dell'unificazione europea presso l’università di Pavia; di direttore, ancora, di
una collana del Mulino dedicata alle suddette tematiche; di direttore, ovvio, poi
presidente, del Centro per la storia dell'Università; di fondatore del Centro per
la storia del Novecento; di direttore, infine, si fa per dire, dell'Istituto di Storia
moderna e contemporanea, sempre a Pavia.
Un lungo elenco che è stato giusto enumerare anche perché le tante voci si
intersecano con le esperienze formative e i sentimenti di riconoscenza di una
vera folla di colleghi, allievi e seguaci: precisamente lo stesso stuolo che anima
con decine e decine di contributi le pagine del volume dalla copertina verdina edito nella Collana di Storia del Novecento, fondata anch’essa da Guderzo e
diretta da Fabio Zucca - su cui spicca il longilineo signore in giacca e cravatta,
ritratto a colloquio con anziani reduci della Resistenza. Come a dire, per andare
subito al punto, che attorno alla figura del docente emerito insediato nello
Studium Papiense si profila la nota vivacità di uno dei centri di riflessione
sull’Europa - dal livello comunale al continente nel suo insieme - non soltanto
fra i più rilevanti d’Italia, ma anche in grado di produrre un’intera “scuola, di
ispirazione gloriosamente federalista, votata ad esercitare una considerevole
influenza sul mondo accademico e ben oltre.
Non a caso, accorpato lungo quattro sezioni, da “I luoghi” a “I maestri e
gli amici”, a “Il metodo”, nonché, per finire in gloria, a “Dall’Europa moderna
all’Europa unita” (previa evocativa rassegna fotografica resistenzialfederalistico-accademica), il folto assembramento degli adepti agli Studi
(sottotitolo) per il Maestro non lascia dubbi su quanto l’elegante longilineo in
oggetto abbia contato. Contato tanto per la causa dell’unità europea che per
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F. Gui, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
ognuno di loro. Il Magister, in breve, è stato determinante sia nell’indicazione
delle direttrici di ricerca scientifica, sia nella proposta di prospettive ideali su
cui impegnarsi, e sia ancora, almeno per molti, per la carriera stessa, accademica
e non solo.
A segnalarlo in modo affettuoso sono le curatrici, Simona Negruzzo,
docente di Storia moderna all’Università Cattolica, sede di Brescia, e la pavese
(!) Daniela Preda, ordinaria di Storia contemporanea a Genova, studiosa del
federalismo europeo e della figura di Alcide De Gasperi. Ma quanti saranno
mai perbacco coloro che, fra tesi di laurea, corsi di dottorato, collaborazioni
scientifiche, didattica, semplice amicizia, hanno beneficiato del multiforme
attivismo guderziano? Veramente una schiera, appunto, e al giorno d’oggi tutti
lodevolmente operativi sulla scena culturale, specie in tema di federalismo,
ovviamente.
Sicché, prima di passare ai singoli contributi e relativi autori del volume,
sarà semplicemente doveroso riservare qualche intimidito sguardo al
protagonista, nonché dedicatario della cospicua intrapresa editoriale. E
soprattutto a quel “Perché sono europeo” inalberato a lettere maiuscole dalla
copertina verdina. Impresa non facile, almeno di primo acchito. Ma perché? il
prof. Guderzo non è forse l’autore di metodiche ricerche sulle ferrovie, o sulle
poste, o sulle banche a metà dell’Ottocento? Non è forse l’appassionato
indagatore delle vicende secolari della Lombardia, non meno di Pavia, della sua
università e della sua provincia, Voghera inclusa? E che dire di tante altre
monografie dedicate a specifici argomenti di storia politico-economica,
culturale e sociale?
Innegabile, sicuro come la nebbia, anzi “scarnebbia”, ché così la chiamano
a Pavia, suggerisce Guido Affini. Dopodiché, però, per farsi un’idea precisa sul
perché l’Europa resti comunque al primo posto nella multiforme, eppur
coerente panoplia guderziana, è indispensabile ricorrere a quella che potrebbe
definirsi l’autopresentazione del Maestro, apposta subito dopo la “Premessa”
delle gentili curatrici. Tra quei fitti paragrafi, tanto appassionati quanto pervasi
di accenti di delusione grondanti di vita vissuta; lungo i percorsi narrativi dello
strenuo consultatore di biblioteche ed archivi; all’ombra della capigliatura
signorilmente ravviata e composta, si profila uno scenario ancora più vasto, più
problematico, più esistenziale, più disorientato e più fermo e determinato al
tempo stesso. “Perché sono europeo”: precisamente. Ovverossia il titolo
dell’articolo, a firma Guderzo, comparso su «Tempo presente» nel gennaio del
’58, che guadagnò all’autore una lettera di Altiero Spinelli esondante di
“fierezza paterna” e di stima sincera per “l’impegno d’azione” federalista
professato dal giovane studioso ventiseienne, già carico di esperienze politiche,
confessionali e soprattutto interiori.
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Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
Manifestazione di consenso non priva di risonanze problematiche, quella
rivolta da Spinelli al nostro Guderzo, tenendo conto di certi dissensi interni al
federalismo italiano, alimentati precisamente da effervescenze pavesi e destinati
a sortire di lì a poco alla luce del sole. Ma non è questo, almeno per ora, il punto
più importante. L’aspetto suggestivo è costituito dal percorso politicointellettuale che il precoce laureato di nascita udinese aveva compiuto fino a
quel momento, nonché dalle decisioni che si era risolto ad adottare con grande
determinazione.
“Venni alla politica dall’esperienza religiosa”. Formatosi nell’Azione
cattolica, con la memoria degli amici un po’ più grandi scomparsi in montagna
negli anni della Resistenza, il precoce giovanotto Guido aveva creduto nella
fede e nell’organizzazione a caratura religiosa come fattori di superamento
degli egoismi nazionali consacrati dal fascismo. In più vi aveva aggiunto il
rifiuto dei miti dello stato nazione ereditati dall’età liberale (a suo dire intinti di
protezionismo e di collusioni imprenditorial-sindacali), cui contrapporre la
valorizzazione delle istituzioni e delle autonomie comunali, locali e regionali, di
conserva con una tendenziale aspirazione universalistica, aperta a tutto il
mondo, Europa in primis, non c’è dubbio. Qualcosa insomma come una
vocazione vibrante, desiderosa di azione e consapevolmente ritenuta più
commendevole - si direbbe non del tutto a torto - rispetto all’adesione al
comunismo capeggiato dall’Urss staliniana. Eppure eppure, già nell’anno 1954
non ancora concluso, il poco più che ventenne Guderzo – come ricordato anche
nel contributo di Virginio Rognoni – concludeva la sua breve stagione di
militanza nella Democrazia cristiana, sì, la Dc, rinunciando a rinnovare la
tessera. E cosa mai doveva essere successo, al di là della pur significativa
coincidenza con la scomparsa dell’Alcide, morto addolorato per il fallimento
della Ced?
Da leggere, ovvero da rileggere con attenzione, fra lo sgomento e il
partecipe, quelle pagine persino rancorose affidate a «Tempo presente» a meno
di quattro anni di distanza dal gran rifiuto (nel frattempo era diventato
dirigente della Gioventù federalista) e riproposte oggi all’attenzione del lettore
senza rimpianti, attenuazioni, o tanto meno ripensamenti. “Questa era dunque
la vera Italia cattolica: l’Italia di sempre, degli sfruttati e degli sfruttatori…”. E
via così, con un tono più che mai invelenito (“Odiai questa Italia”), con accessi
presumibilmente ipercritici che lasciano un minimo interdetti (uno fra i tanti: la
riforma agraria sarebbe servita soltanto a rimborsare i proprietari assenteisti e a
creare una massa di piccoli proprietari “capaci di vivere solo al riparo dei dazi
protettivi”, laddove il rilancio, fallimentare, del Sud veniva perseguito
soprattutto per introdurvi le forniture industriali del Nord), ma anche rivelando
precise convinzioni, affilate come lame sulla pietra abrasiva. L’odioso Stato
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Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
nazionale, detto in estrema sintesi, costituiva il frutto di una lotta secolare per la
conquista di tutto il potere, a cui anche la Chiesa aveva finito per prender parte.
Pur di difendersi dal laicismo, il cattolicesimo curiale si era infatti organizzato
in modo sempre più accentrato, trattando da pari a pari con gli Stati attraverso
una sua diplomazia e “preparando partiti cattolici con cui conquistarli
dall’interno”.
Basta allora! Basta sul serio: “Per tagliare il male alla radice bisognava
rendere impossibile la ragion di Stato sul continente: federando gli stati”. La
Resistenza stessa non aveva capito che stava ricostruendo il vecchio Stato
nazionale, di cui il fascismo era solo una “necessaria espressione”. Onde per
cui, al punto da suscitare nel pur coriaceo Spinelli compiaciuti quanto
autogratificanti (proprio modesto in effetti non era) sentimenti di tenerezza
paterna: “Fui allora decisamente europeo, quando essere europeo significava
escludersi dal quadro politico (e dalle opportunità…)”. Ovvero, ribadito con
forza a conclusione: comportava tentare, pur “senza mezzi”, pur “senza aiuti”,
avviandosi da soli per “la nostra strada”, di unire “tutti gli europei di buona
volontà perché prendano posizione contro gli Stati-nazione e chiedano la
Costituente”.
Da soli, senza aiuti, rinunciando ai vantaggi personali, cercando per
l’Europa gli uomini, i compagni di strada, gli allievi (le allieve) di buona
volontà e soprattutto perseguendo l’obiettivo tutto spinelliano della
Costituente. “Per questo sono europeo. E in questo modo”. Finis. Fine
dell’epocale articolo del ’58, fine irrevocabile di un’esperienza amaramente
sofferta, e inizio, peraltro già energicamente avviato, di una nuova epopea,
determinata, schiva, metodica, perseguita per tutta la vita successiva.
Lasciando in angolo, per scaramanzia, la preveggente invocazione della
Costituente (cui si augura tutt’oggi un pur tortuoso itinerario vincente), non
resta a questo punto che dedicarsi a constatare, contributo dopo contributo,
pupillo riconoscente dopo pupillo riconoscente, l’effettivo, sincero
concretizzarsi dell’impegno professato dal signorile Maestro. Un procedere
pluri e monodirezionale insieme, quello di Guderzo, che, valga il vero, nel tener
fede al disinteresse per il potere partitico, risultava orientato a mantenere in
armonica connessione: a) la valorizzazione del patrimonio comunale e
provinciale della terra di appartenenza di ciascuno (d’accordo, lui era di Udine,
ma adottato da Pavia); b) la rivendicazione del valore indiscutibile
dell’istituzione universitaria, a cominciare dallo Studium Papiense, con quel
minimo di complesso di superiorità presumibilmente perpetuantesi dalla
stagione longobarda; c) l’investigazione assai concreta e fattuale del processo di
unificazione dell’odiato/amato(?) Stato nazionale; d) e infine, last but - si è capito
- niente affatto least, la promozione del processo di unificazione europea e della
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F. Gui, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
coscienza della necessità del medesimo, nonché delle elaborazioni scientifiche,
intellettuali e spirituali che ne sono l’irrinunciabile nutrimento e premessa.
Ed eccoci così dunque di nuovo alla fittissima teoria di colleghi,
ammiratori e seguaci, dei cui pregevoli apporti, suddivisi nelle quattro sezioni
più sopra elencate, si nutre il tomo affidato a Unicopli e spintosi di necessità,
non fosse altro per la cospicua bibliografia annessa, oltre la pagina cinquecento.
Un libro bello massiccio che fornisce senza dubbio scorci illuminanti sulle
vicende e sui contenuti politico-intellettuali, e le atmosfere ambientali no?, del
federalismo europeo così come evolutosi nel nostro Paese a partire dagli anni
Cinquanta sotto la spinta della scuola pavese, con influenze tutt’altro che
trascurabili anche al di là delle Alpi.
Entrando nel vivo della raccolta, all’interno de “I luoghi” si va dai ricordi
di Mario Rigoni Stern sulla nutrita emigrazione montanaro-contadina verso la
Germania e la Boemia ottocentesche alle dissertazioni di Dario Mantovani sui
tanti e cangianti nomi dell’Almum Studium Papiense nel corso del tempo, alle
rimembranze personali di Fulco Lanchester, stato allievo di Guderzo e del suo
“metodo basato sull’analisi del documento della più varia natura e fonte”. Lo
stesso Lanchester che, emigrato più tardi a Roma e oggi vagamente disorientato
(non da solo) causa la sparizione del “tradizionale panorama universitario”, si
ascrive fra coloro che si trovano costretti a darsi “molto da fare per mantenere
un ruolo non marginale nell’ambito della ricerca e della didattica e per non
trasformarsi in conservatori sterili che rimpiangono il bel tempo che fu”.
Un “bel tempo che fu” dal grembo assai accogliente, per lo meno quello
parecchio lontano, in cui Luisa Erba ravviva le memorie dell’ormai estinta
cappella dell’università di Pavia, ospitata nel complesso domenicano della città.
Un convento a sua volta occupato fino al Duecento dalle monache benedettine,
per essere poi, in tempi recenti, dopo incessanti, secolari e alterne vicende,
trasformato nella sede della facoltà di Lettere, con archivio annesso. Bel tempo
davvero quello d’antan, anche per la precoce considerazione tributata alle
facoltà intellettuali femminili, così come confermato dalla scelta dell’Alma di
proclamare protettrice dello Studium santa Caterina d’Alessandria d’Egitto, la
venerata vergine e martire di conclamata cultura filosofica. Precisamente a lei,
anno 1391, venne dedicata la cappella suddetta, destinata peraltro alla
distruzione, si direbbe non a caso, ad opera degli Asburgo d’età tardo
illuministica.
Ma a proposito di Pavia, dovendo proseguire di fretta, forse che al tempo
dei romani la città del Ponte Coperto non si chiamava Ticinum? Certo, e sarà
probabilmente per questo che Sandro Brogini, a conclusione della prima
sezione del volume, si è incaricato di tratteggiare i rapporti del Canton Ticino
con quella che i suoi abitanti, parole dell’autore, considerano come la propria
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F. Gui, Recensione
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“capitale morale” almeno dall’epoca dei Longobardi, ma forse anche prima.
Pavia, ovvero Ticinum, appunto.
Troppo impegnativo sarebbe invece soffermarsi sulle personalità di Luigi
Bulferetti e Mario Bendiscioli, nei loro rapporti con Guderzo, illustrate
rispettivamente da Luigi Zanzi e Danilo Veneruso all’interno de “I maestri e gli
amici”. Le pagine di Zanzi forniscono in ogni caso un contributo prezioso sul
ruolo esercitato dal Maestro nella rifondazione, parole dell’allievo, di una
storiografia risorgimentale liberata dai dogmi nazionalistici. Il nuovo corso
procedeva alla “delineazione di una idea storica d’Europa” individuata in un
retaggio di civiltà assai diverso da quello delle rivalità nazionali e “in un
comune concorso di molteplici [eccoli di nuovo!] fattori regionali”.
Con il che la strada si trova a questo punto spalancata per la rivisitazione
di quel gruppo di intellettuali fondatori della schola federalista pavese, vero
fermento effervescente fra le piazze e le aule universitarie della città, di cui
Mario Albertini, ritratto nell’occasione dal discepolo Giovanni Vigo, fu il
detentore della leadership. Con Guderzo ovviamente posizionato al suo fianco,
fin dall’epoca, se non prima, della delusione per la Dc. Del coltissimo libraiocattedratico Albertini, o capostipite progressivamente trasferitosi dagli scaffali
dello Spettatore in via del Corso all’insegnamento di scienza e filosofia della
politica nello Studium, va subito ricordato il dato fondamentale: inizi anni
Sessanta avrebbe preso a soppiantare con successo, ai vertici dell’intero
Movimento federalista, il fondatore Altiero Spinelli, per parte sua avviatosi
lungo un percorso tanto solitario quanto “machiavellicamente” aspirante – di
qui il dissenso con i pavesi - a non perdere i contatti con il mondo del potere. Se
ne riparlerà fra poco sempre in questa sede.
Eppure, sia Spinelli che Albertini, che Guderzo, che compagnia avevano
partecipato assieme all’esaltante avventura del Congresso del popolo europeo.
Una campagna di mobilitazione dell’opinione pubblica concepita dopo l’acerba
dissoluzione della Comunità europea di difesa (e Comunità politica) dell’estate
’54: un capitombolo non abbastanza compensato, a loro avviso, dalla Cee e
dall’Euratom del 25 marzo ’57. Peccato però che anche quella stagione di
rivendicazione del ruolo costituente del “popolo europeo” e di opposizione alle
soluzioni algidamente funzionalistiche adottate dai governi non avesse sortito
effetti travolgenti. Figurarsi, nel frattempo era arrivato al potere De Gaulle… Di
qui il dramma intestino, giunto ad una svolta cruciale nel febbraio del ’62,
anche con toni aspri e reciprocamente accusatori, su cui Vigo non indulge a
reticenze.
Da allora in poi, l’estromesso Spinelli avrebbe seppur lentamente ripreso
la sua strada di lungimirante, pressante, immaginifico “consigliere del
principe”, già perseguita ai tempi della Ced, nonché di realistico utilizzatore
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F. Gui, Recensione
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degli spazi di movimento possibili all’interno delle istituzioni esistenti, al fine,
ovviamente, di modificarle a suo gusto. Difatti, l’antico galeotto antifascista,
nonché fondatore, metà anni Sessanta, del prestigioso Istituto Affari
Internazionali, sarebbe approdato alla Commissione europea con l’appoggio di
Nenni, per poi ascendere, anno Domini ’79, da indipendente di sinistra (con il
sostegno di Amendola e Berlinguer) al primo Parlamento europeo eletto
direttamente, che tentò di trasformare – vecchio vizio mai abbandonato - in
assemblea pressappoco costituente. Materia suggestiva sulla quale si invita a
consultare il preciso, equilibrato contributo di Pietro Graglia, arricchito di
realistiche riflessioni sullo stato nazionale e la sua tenace resistenza all’istanza
federalista. Viceversa, Albertini e il suo già autorevole seguace, ovvero il
giovane-anziano Guderzo con la schola al seguito, avrebbero caparbiamente
mantenuto il punto. Il punto su quella professione di fede senza compromessi
annunciata, neanche a dirlo, nel vibrante “Perché sono europeo” di fine ’58.
Troppo lungo sarebbe qui addentrarsi nell’analisi del federalismo
albertiniano, con i suoi meriti di dedizione indefettibile all’obiettivo pienamente
federale, di perpetuazione del rigore intellettuale kantiano, di tenace fedeltà
all’organizzazione perdurante nel tempo. Per saperne di più, detto per incidens,
tutti gli scritti del segretario, poi presidente del Mfe, sono stati pubblicati dal
Mulino in vari volumi, precisamente con tale titolo. Altrettanto arduo
risulterebbe poi soffermarsi ad obiettare su talune astrattezze della scuola
albertiniana, su certe durezze che avrebbero portato a ingiustificate esclusioni
di validissimi dirigenti anche in seno al federalismo pavese, su ferree chiusure
destinate a limitare l’impatto delle concezioni e delle attività federaliste nella
vita pubblica nazionale ed europea. Sia sufficiente in questa sede apprezzare la
pur sintetica ricostruzione offerta da Vigo in merito all’operato, allo spirito
animatore, alle concezioni di fondo dell’accolita pavese ispirata da Albertini.
Curiosa annotazione a margine: nel ’61, il prossimo leader del Mfe si
compiaceva delle acute proposte del solito Guderzo. Quest’ultimo si era fatto
sostenitore di una raccolta di firme fra la gente per sostenere la rivendicazione
della Costituente europea (le firme! già allora!, come oggi, nel novero delle
azioni del Mfe tuttora a guida pavese…). Con un tocco ulteriore di
consapevolezza accademica: al nostro, cioè “al” Giulio - perché così si articola
oltre l’Appennino - l’idea non era sorta d’incanto, bensì studiando esemplari
esperienze di partecipazione alla vita pubblica dell’Ottocento inglese. Lo studio,
ancora una volta. Sì, perché lo studio, magari né matto né disperatissimo,
viceversa serio e attentissimo, avrebbe comunque occupato sempre di più lo
scholar federalista, con la schiera di studiosi-militanti appresso. Ma non che
serio e attentissimo significasse, quod Europa avertat, immersioni senza ritorno
nelle penombre vagamente polverose degli archivi (da leggere comunque la
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F. Gui, Recensione
Eurostudium3w gennaio-marzo 2014
rievocazione di Davide Maffi sulla riproduzione sistematica e sulla
conservazione nell’Alma mater pavese dei documenti dell’archivio di Simancas
riguardanti la storia lombarda) o tanto meno inabissamenti spasmodici fra le
scartoffie dell’attività didattico-amministrativa. Non così, dioneguardi.
In proposito, l’apporto di Andrea Bosco proietta sprazzi di luce su un
originale, se non paradossale scambio delle parti fra italiani ed inglesi, reso
possibile dall’attivismo del solito “Sono europeo”, ancora una volta attento agli
esempi d’Oltremanica. Sta proprio a Guderzo, infatti, il merito di aver
promosso l’istituzione della Lothian Foundation in Inghilterra. Una storia persino
divertente che merita di essere ripercorsa, in un mescolio di suggestioni
politico-intellettuali potentemente irraggianti dal federalismo inglese su tutto il
continente (Ventotene spinelliana compresa, come si sottolinea nel contributo
su federalismo e pace di Ernesto Bettinelli), di sdegnose reticenze di marca
thatcheriana vagamente nostalgiche dell’Impero e, neanche a dirlo, di stupori
britannici nel sentirsi impartire lezioni di federalismo inglese a casa propria,
oltretutto ad opera di personaggi provenienti da latitudini invariabilmente
sospettate di provocare arricciamenti del naso. Le nostre, s’intende. Racconto
godibilissimo, davvero, con Guderzo signorilmente al centro.
Peccato soltanto che al giorno d’oggi, dopo tante lodevoli pubblicazioni, la
fondazione dedicata al pioniere del federalismo e padre nobile di Federal Union
Movement (su cui vari volumi di Bosco medesimo, per parte sua direttore della
Foundation) risenta alquanto dei rinnovati arricciamenti britannici, non solo nei
confronti della penisola, bensì verso l’intero continente al di là della Manica. O
vai a vedere invece che il riflesso condizionato trova le sue ragioni nel fatto che
il lord, cioè Philip Henry Kerr, alias undicesimo marchese di Lothian, traeva il
suo titolo dalla Scozia? Chissà.
Volendo sottrarsi all’arduo dilemma, assai consigliata risulta la
ricognizione dello Chabod di convinzioni, diciamo così, oggettivamente
federaliste – salvo parentesi suggestionata dalla mascella quadrata e pugni sui
fianchi – su cui si esercita con efficacia Luigi Vittorio Majocchi. Per gli amici
Gino, proprio lui: uno dei dirigenti-accademici più emergenti della scuola
albertiniana, salvo estemporanee deposizioni da segretario del Mfe nei tardi
anni Ottanta. Nel commentare una ricerca di Antonella Dallou su Idea d’Europa e
federalismo, di cui Chabod risulta protagonista in prima fila, Majocchi ha
occasione di riproporre le concezioni del caposcuola Albertini in merito alla
nazione. Un messaggio forte, di cui si è già percepita l’eco – e ora lo si capisce
ancora meglio - nel “Perché sono europeo” del Giulio giovanotto: la nazione
altro non sarebbe “se non la giustificazione ideologica dello Stato burocratico
accentrato post-industriale…”, divenuto talmente autocrate da imporre ai suoi
cittadini di uccidere e morire per il suo interesse, nonché – attenzione! – “di
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cancellare ogni altro lealismo nei confronti di altre comunità territoriali
spontanee (quartiere, città, regione…)”. Il nocciolo, l’hard core di pensiero
fondante delle convinzioni incrollabili dell’accolita pavese, senza dubbio.
Sicché dalla dissertazione del Gino all’allievo Fabio Zucca, autore, fra gli
altri, di un recentissimo Le relazioni internazionali degli enti locali, la falcata risulta
quasi naturale. Uguale a dire che, addentrandosi lungo i “percorsi personali e di
ricerca” dell’attuale sindaco di Belgioioso, riversati all’ultima tappa della
sezione “Il metodo”, ci ritrova precisamente al centro, nel vivo, fra i rampolli
più prosperi dell’allevamento guderziano, con tutto quel brulicare di tesi e
laureandi, dottorati e dottorandi, biblioteche, collegi di docenti, centri e fondi di
ricerca, archivi!, più cetera a seguire, che danno veramente l’appercezione di
almeno due dati indiscutibili. Primo: che l’Alma di Pavia ha conservato a lungo,
forse anche oggi, la coscienza di essere, Zucca scripsit, “la più antica università
lombarda, fino ai primi del Novecento unica università della Lombardia, fra le
più prestigiose e antiche del mondo occidentale”. Secondo: che il Maestro
Guderzo, non a caso direttore del Centro per la Storia dell’Università di Pavia,
campeggia veramente nell’occhio del sistema, in un vortice di iniziative, con
Zucca attivissimo,al pari dei colleghi animatori del volume verdino, che è
veramente arduo persino riassumere.
Ottima ragione per prendere a questo punto una decisione, per quanto
sofferta. La quarta parte della raccolta, “Dall’Europa moderna all’Europa
unita”, non potrà essere percorsa punto per punto, semmai al massimo a grandi
balzi. Bella, però, quasi sognante, quella foto di Guderzo ritratto in primo
piano, anno ’85, nell’aula magna della Mater. Niente da fare, il tempo incalza. E
la strada è lunga. Chiedendo perciò venia a Pietro Borzomati, soffermatosi su
san Francesco da Paola alla corte di Luigi XI di Francia; citando con colpevole
fuggevolezza le pur suggestive visitazioni della Lombardia spagnola e degli
studi di ingegneria settecenteschi affidate rispettivamente a Mario Rizzo e
Alessandra Ferraresi; sottolineando la personale curiosità suscitata dalla
rilettura foscoliana dello Stato politico delle Isole Jonie, vivacemente condotta da
Alberto Milanesi; e via così con le popolazioni lombarde in età napoleonica di
Xenio Toscani, con Maria Cosway educatrice europea di Annibale Zambarbieri,
con il Cattaneo municipale tratteggiato a “brevi note” da Antonio Padoa
Schioppa; e ancora avanti fra John Henry Newman e l’università (Massimo
Marcocchi), l’ultramontanesimo – così, salvo errorini nei titoli in alto pagina francese e l’universalismo italiano (Agostino Giovagnoli), l’internazionalismo
cattolico in Europa (Francesco Malgeri), tutte trattazioni, dati i nomi - e quanti
di ispirazione cattolica come il Maestro! - davvero egregie; per non dire degli
approfondimenti su Ettore Rota compiuti da Simona Negruzzo, del contributo
(che ci commuove) di Giuseppe Talamo, in tema di “Europa delle nazionalità e
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delle culture”, fornito all’amico Guderzo, della lettera di Gallarati Scotti a
Giovanni Gentile, ministro dell’Istruzione, commentata da Luciano Pazzaglia,
dell’appeasement italo-britannico fra le due guerre, su cui Ennio di Nolfo
(laureato a Pavia…); ebbene, non potendo spiccicare qualcosa in più su tutto
questo, non resta che tributare un grazie minimamente inorgoglito ad Antonella
Braga.
Anche lei, infatti, apprezzata biografa di Ernesto Rossi, ritiene ormai
doveroso pensare ad un’edizione critica del Manifesto di Ventotene, in grado di
superare le “interpretazioni di stampo militante” non meno che le
“politologiche”, fra le quali, opportuna punzecchiatura dell’autrice, compaiono
aciduli commenti alla Galli della Loggia, ovvero accuse di scarso liberalismo
provenienti da Gaetano Quagliariello (in effetti, nel 2008, da esponente
berlusconiano di punta al Senato…). Anche lei, Antonella, vale la pena di
ripeterlo, l’edizione critica, la considera proprio necessaria. E sta qui, appunto,
sia concesso, la minimale motivazione di rigonfiamento del petto: tant’è che la
valente biografa, oltre ad associarsi a Moris Frosio Roncalli nel fervore
preparatorio dell’edizione suddetta, non manca di segnalare l’analoga istanza a
carattere scientifico avanzata da Giulia Vassallo, con ampia documentazione
acclusa, sulla rivista on-line «EuroStudium3w», di conserva con il sottoscritto.
Crocevia di apporti intellettuali, condensato di filoni di pensiero europei e italiani, sintesi
efficace di mediazioni filosofico‐culturali, scoperte, riletture, il Manifesto di Ventotene si impone a
tutt’oggi come documento da sottoporre a un’analisi seria e rigorosa, volta sia a far luce sulle
questioni aperte di carattere filologico, variamente presenti nel testo e da più studiosi
evidenziate, sia a ricostruire con precisione la molteplicità e l’eterogeneità degli influssi
intellettuali di cui rappresentò una sapiente rielaborazione.
Proseguendo ora nella corsa, merito indiscutibile del contributo
storiografico di Daniela Preda, che compare di seguito alla Braga, è di aver
riportato nuovamente in primo piano l’epoca dell’impegno anni CinquantaSessanta del Maestro dedicatario della raccolta, ricostruendo le vicende della
Gioventù federalista proprio negli anni della disillusione per la caduta della
Ced e della maturazione della campagna per il Congresso del popolo europeo.
Una rievocazione alla quale si associa il limpido, pregevolissimo racconto di
Franco Praussello dedicato al non dimenticato Claus Schöndube, compagno di
tante avventure federaliste (era poco più grande di Guderzo) vissute in
notevole simbiosi tra Germania e Italia.
I due apporti permettono di puntualizzare meglio le tre fasi del periodo
fondativo delle Comunità, dal punto di vista federalista, laddove: a) fino alla
caduta della Ced, gli europeisti legati ai partiti andavano piuttosto a braccetto
con il federalisti più motivati, mentre: b) nella fase successiva si sarebbe fatta
strada la posizione “autonomista”, patrocinata da Spinelli e Albertini al seguito,
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che rivendicava il ruolo costituente del popolo europeo, a dispetto del
moderatismo funzionalistico degli uomini di partito, finché: c) la maggiore
duttilità di Spinelli avrebbe finito per costringerlo, come già ricordato, a cedere
le redini del Movimento a chi, come Albertini, e Guderzo con lui, condivideva
tenacemente una sorta di concezione virginale del federalista militante.
La quale concezione non soltanto disdegnava la politica politicata,
quand’anche fungesse da legittima fonte di retribuzione/sussistenza per chi si
dedicava alla causa, ma rifiutava persino qualunque contiguità o sostegno
economico proveniente al Movimento da bande siffatte. Da cui la teorizzazione
indefettibile del federalista come rivoluzionario non già di professione, alla
Spinelli, bensì “part time”, nel senso che il generoso soggetto doveva
innanzitutto trovarsi da mangiare (o digiunare) per conto suo, dedicandosi nel
tempo che rimaneva, con tutte le proprie forze, e in assoluta libertà/fedeltà, alla
“battaglia” federalista. “Battaglia”: un termine forse fin troppo in voga, a nostro
avviso, nel circolo albertiniano, dal momento che il Movimento avrebbe
mantenuto sempre un carattere pacifico e prevalentemente intellettuale, pur
nella perenne, intransigente dedizione alla propria missione – asserita
comunque come “rivoluzionaria” – al fine dar vita alla Costituente incaricata di
istituire lo stato federale europeo.
Con una punta di realismo potrebbe peraltro osservarsi che la scelta di
vita più confacente al menzionato approccio sovvertitore - a tempo parziale dello stato nazionale sovrano risultava probabilmente la carriera universitaria, o
simile. Il che rende condivisibile, rebus sic stantibus, la scelta esistenzialprofessionale di un Albertini (che del resto la teorizzava) e di un Guderzo,
tutore indefesso del valore autonomia, dall’universitaria alla comunale, alla
provinciale, al pari del poderoso fermentare della scuola, dei discepoli, delle
attività di ricerca e via così affollandosi. Di sicuro, l’integrità e la serietà della
militanza federalista sarebbero rimaste pienamente salvaguardate, insieme alla
qualità del “prodotto” accademico-intellettuale. Chissà però se forse, a volerci
rimuginare un attimo, una soluzione “terza”, rispetto all’illibatezza albertiniana
e al solipsismo spinelliano, non potesse essere cercata in soluzioni, per dire, alla
Partito radicale: ovvero mediante una struttura organizzata più estesa e
penetrante nel sociale, senza dubbio dotata di un proprio patrimonio culturale,
in grado però di portare sulla scena politico-istituzionale, magari in alleanza
occasionale con partiti congeniali, uno o più esponenti dichiaratamente
federalisti. In tal modo questi ultimi avrebbero potuto lanciare alto e forte il
messaggio “rivoluzionario” all’opinione pubblica, rimasta sempre piuttosto
all’oscuro dell’esistenza del Movimento e dei suoi fini, per non dire persino
dello “abc” minimale della realtà comunitaria, poi divenuta Unione.
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Chissà, giacché sia pure a modo suo, ovvero agendo per conto proprio,
Spinelli si comportò più o meno così in occasione della salita sul proscenio
strasburghese come “indipendente di sinistra”, con esiti epocalmente
importanti, cui lo stesso Movimento federalista non poté non assicurare il suo
appoggio e consenso. Chissà, ancora una volta, stante che questa fugace
recensione non può essere la sede per un ulteriore approfondimento del “nodo”
sempre stretto alla cintura del federalismo pavese e italiano in generale. Eppure
eppure, in questa Italia, di una forza organizzata, motivata nel profondo,
preparata e consapevole, con istanze risorgimentali di compimento di un’unità
nazionale capace al tempo stesso di promuovere la federazione continentale
insieme a tutti gli europei di buona volontà, ci sarebbe proprio bisogno ancora
oggi. Che sarebbe oltretutto un bel modo per sanare divergenze e rivalità
interne ai movimentisti di Ventotene perpetuatesi ormai troppo a lungo,
laddove la costruzione, minimo minimo, di una “rete” solidale, orientata ad
operare diffusamente nella scuola e nelle università, nei media più avvertiti,
nell’associazionismo più generoso, negli interessi più qualificati, nell’opinione
più responsabile, potrebbe produrre effetti di notevole incisività. Perché, valga
il vero, le ragioni per creare consenso, sia pure con un certo realismo nelle
proposte del giorno per giorno, ma senza dimenticare che la federazione
europea stava scritta, e ci resta sempre, nella dichiarazione del 9 maggio ‘50,
sono davvero tante. E proprio solide, naturalmente.
Dalle ricostruzioni di Preda e di Praussello (lui un po’ se le ricorda)
spiccano comunque, interessante rievocazione, alcune personalità del
federalismo della prima fase e poco oltre, quella contaminata, per così dire,
dalle militanze partitiche. Fra gli altri, fa piacere ricordare Tullio Gregory, il
filosofo membro della direzione del Pri, poi aggregatosi anch’egli agli
“indipendenti di sinistra”, o Ludovico Gatto, parimenti repubblicano, divenuto
affermato medievista, e studioso dell’Europa, presso la Sapienza di Roma come
il suo collega. Quanto al Claus, complimenti sinceri al suo “autonomismo”
praticato in Germania con difficoltà e solitudini sicuramente maggiori di quelle
riscontrate in Italia. Tanto più, annota sempre il lucido e amichevole Praussello,
che l’ottimo promotore della Charte der europäischen Identität (una fra le tante)
rifiutò persino la soluzione accademico-professionale pur di dedicarsi
pienamente alla causa, evitando al tempo stesso compromissorie contiguità
partitiche.
Si impone a questo punto di concludere il saltellante excursus fra le pagine
del tomo verdino, dedicato al compassato eppur vibrante Maestro, accennando
all’ultimo contributo della ricchissima serie: quello affidato a Daniele
Pasquinucci, dialogante a distanza con Antonio Varsori in merito all’Italia
“cenerentola” d’Europa (su cui un recente volume del secondo). Davvero
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penosa e inconcludente la classe dirigente nostrana, sovente dileggiata dalla
letteratura d’Oltralpe? No, non in toto, specie se si pensa alle notevoli
personalità che hanno partecipato alla costruzione europea nell’intervallo fra il
ventennio della mascella quadrata, a destinazione piazzale Loreto, e quello
recente, della sceneggiata mediasettica con esito servizi sociali (ma che sia finita
per davvero?). In mezzo, per la verità, ci starebbe anche il Sessantotto e
dintorni. Vale a dire, non solo la vivace stagione vissuta all’università di Pavia,
come narrato da Elisa Signori, bensì quella che segnò un’epoca intera, con le sue
ulteriori, non trascurabili complicazioni. Sia come sia: a conti fatti, la poverella
cenerina dei De Gasperi, dei La Malfa, dei Moro e persino degli Andreotti e di
Bettino ha avuto più meriti di quel che non si voglia ammettere, pur tenendo
conto del solido asse franco-tedesco sprangato fra destra e sinistra del Reno.
La serenità di giudizio dei due dialoganti (a distanza) si spinge persino ad
una mezza assoluzione del vituperato Franco Malfatti, dimessosi nel 1970 dalla
presidenza della Commissione per ritornare alla vita pubblica nazionale. In
fondo, gli effetti della crisi della “sedia vuota”, ennesimo sfregio gallico alla
costruzione comune pur vaticinata da Schuman e Monnet, avevano reso il
meccanismo brussellese davvero poco gestibile, con il tedesco sapiente Ralf
Dahrendorf, commissario anche lui, che vi aggiungeva dileggi euroscettici di
fattura sua. Vecchio vizio del personaggio, evidentemente.
Dopodiché, però, volendo stringere insieme a Pasquinucci: “Se l’Italia non
è mai stata Cinderella, non è nemmeno riuscita a trasformarsi in una vera
principessa”. Appunto, precisamente. Ma con un ulteriore quesito: partita persa
per sempre? O resta invece legittima la speranza di un tempo in cui sia concesso
contemplarla aggirarsi per l’Europa con sicura e volitiva eleganza, tale da
intimidire persino il magister Guderzo?
Presumibilmente no. E però magari ce ne fossero mille di Guderzo a
sbucar fuori dalle tante comunità universitarie italiane, rinnovate nelle loro
tradizioni di scienza, di didattica e di dedizione, con il desiderio di riscattare
finalmente, una volta per tutte, la principessa cenerella! L’università per
l’Europa… Non solo e non tanto per un interesse nazionale egocentrico e
introflesso, bensì perché in una fase come l’attuale, nella confusione
istituzionale aggravata dai recenti allargamenti, condotti secondo il solito
principio della sovranità assoluta in ambiti strategici riservata ai ben 28 membri
(se bastano) dell’Unione europea, la gamba Italia non può restare zoppa.
Soltanto se la costruzione comune sarà in grado di poggiare su un treppiede
solido (3, per lo meno 3 di zampe; ma ci sono anche Spagna, Polonia e via
dicendo) potrà esibire abbastanza stabilità per proseguire precisamente sulla
strada dell’integrazione politica, oltre che economica e monetaria, s’intende. Il
tutto in vista dell’edificazione - mediante metodo costituzionale, beninteso, e in
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costante dialogo istituzionalizzato con la sorella grande d’Oltreatlantico - di
quella democrazia sovranazionale che risponde alle necessità di una superiore,
responsabile civilizzazione. Un salto qualitativo, senza esagerazione,
nell’esistenza umana che sia erede di tutti i valori descritti non solo nel
Manifesto pontino del ‘41, bensì nel celebre preambolo smontato pezzo a pezzo
in cima al trattato costituzionale del 2004, anch’esso peraltro finito in stracci. Un
tentativo, ci si augura, ci si spera, ci si crede, che dovrà essere ripreso
necessariamente. Con in più, si raccomanda, un maggiore ricorso alla memoria
inestinguibile per i delitti compiuti nel continente, anche in epoche di fatto assai
recenti.
Qualcosa insomma che investa a fondo l’identità dell’uomo europeo (e
non solo) con tutta la sua storia, la sua cultura e i suoi vertiginosi misfatti da
non ripetere. Niente a che fare, invece, e qui ci verrebbero in mente parole
grosse, con l’aspettativa di crescita voluttuaria all’infinito, quale ci viene
continuamente proposta dalla politica esibizionista, o dalla pubblicità dei volti
ebeti (tralasciando il sotto) sempre più inondanti le pagine dei media di gran
sussiego. Viceversa va perseguito un impegno di civiltà che non escluda di
certo, anzi incoraggi profondamente la vocazione a grandi progetti scientifici e
produttivi, specie nel campo dell’energia e delle nuove tecnologie, in grado di
contribuire all’interesse generale dell’umanità, cristianamente o laicamente
intesa che sia.
Ebbene, una personalità come quella di Giulio Guderzo, con scuole,
colleghi, allievi, militanti, scambi culturali alla Lothian, ricerche storiche,
archivi, Alma pavese e il resto annesso, ci propone un patrimonio e una
dedizione che incoraggiano a crederci. Magari rischiando un tantino di più.
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