Direttore: Francesco Gui (dir. resp.). Comitato scientifico: Antonello Biagini, Luigi Cajani, Francesco Dante, Anna Maria Giraldi, Francesco Gui, Giovanna Motta, Pèter Sarkozy. Comitato di redazione: Andrea Carteny, Stefano Lariccia, Chiara Lizzi, Daniel Pommier Vincelli, Vittoria Saulle, Luca Topi, Giulia Vassallo. Proprietà: “Sapienza” - Università di Roma. Sede e luogo di trasmissione: Dipartimento di Storia moderna e contemporanea, P. le Aldo Moro, 5 - 00185 Roma tel. 0649913407 – e - mail: [email protected] Decreto di approvazione e numero di iscrizione: Tribunale di Roma 388/2006 del 17 ottobre 2006 Codice rivista: E195977 Codice ISSN 1973-9443 Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Indice della rivista gennaio - marzo 2014, n. 30 UNIONE EUROPEA: UNA RIFLESSIONE DI ATTUALITÀ À Presentazione di FG p. 4 Realizzare l’Unione Economica. Preparare la Convenzione. Agire subito Un contributo di “l’Università per l’Europa. Verso l’Unione Politica” p. 7 Unanimity in the Lisbon Treaty and way forward to boost European Integration di Silvia Polidori p. 24 Approfondimenti e proposte di Paolo Ponzano p. 55 *** SAGGI E RICERCHE La fondazione della città di L’Aquila p. 65 di Andrea Casalboni *** RECENSIONI Mario Pani, Augusto e il Principato, Bologna, Il Mulino, 2013 di Giampiero Brunelli p. 94 G. Lacerenza (a cura di), 1510 – 2010 Cinquecentenario dell’espulsione degli ebrei dall’Italia meridionale. Atti del Convegno internazionale, Napoli, Università “L’Orientale”, 22-23 novembre 2010 di Massimiliano Venditti p. 100 2 Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Breve storia del futuro, un libro di Jacques Attali, Fazi Editore, Roma, 2007 di Maria Antonietta Del Boccio Prosperi p. 107 Perché sono europeo. Studi per Giulio Guderzo, a cura di Simona Negruzzo e Daniela Preda, Unicopli 2013, pp. 538 di Francesco Gui p. 117 3 Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Presentazione Nell’imminenza delle elezioni a suffragio universale diretto per il rinnovo del Parlamento europeo, questo numero di «EuroStudium3w» riserva in apertura una sezione dedicata ai temi per così dire strategici dell’Unione europea e in particolare dell’unione politica. In tale contesto, il primo documento, intitolato “Realizzare l’Unione Economica. Preparare la Convenzione. Agire subito”, esprime gli orientamenti emersi all’interno dell’iniziativa “L’Università per l’Europa. Verso l’Unione Politica”, promossa da docenti di varie università italiane, ivi compresa la Sapienza. Il significato e le attività della suddetta iniziativa, con indicazione dei partecipanti, sono consultabili sul sito www.universitapereuropa.eu, curato in particolare da Franca Gusmaroli, a cui vanno sentiti ringraziamenti. Il documento è stato preparato con il contributo, fra gli altri, di Carmelo Cedrone, Umberto Triulzi, Maurizio Franzini, Sandro Guerrieri, Francesca Longo e Francesco Gui. Il testo verrà sinteticamente presentato in occasione dell’incontro, consultabile nel sito, previsto per il giorno 8 maggio alla facoltà di Lettere della Sapienza, a cui interverranno, come graditi ospiti, il presidente Giuliano Amato e il dirigente della Presidenza del Consiglio, Francesco Tufarelli, oltre a numerosi docenti e ricercatori. La finalità dell’elaborato è di fornire un contributo sia in vista della prossima legislatura, caratterizzata dal nuovo sistema di nomina/elezione del presidente della Commissione, sia dell’auspicata nuova Convenzione della riforma dei trattati attuali, che dovrebbe prendere le mosse nell’anno 2015. Al tempo stesso, il documento propone misure che dovrebbero essere adottate a trattati invariati, sempre al fine di contribuire a realizzare, in primo luogo, il completamento dell’Unione economica e monetaria (Uem), ancora in fase di lenta e travagliata attuazione, a causa delle resistenze che vi si oppongono, ma anche delle inadeguatezza istituzionale dell’Unione. Il secondo documento, in lingua inglese, dal titolo “Unanimity in the Lisbon Treaty and way forward to boost European Integration”, è dovuto alla cortese, graditissima collaborazione della dottoressa Silvia Polidori, legal advisor presso la Commissione europea, che si è avvalsa della consulenza del collega Paolo Ponzano, oggi docente all’Istituto universitario europeo di Firenze. L’esposizione affronta precisamente il “nodo” problematico forse più importante per il funzionamento delle istituzioni europee, ovvero l’esercizio del diritto di veto, concesso ai singoli Stati membri in ambiti di vitale importanza. Malgrado le obiezioni di coloro che ritengono il diritto di veto non ostativo, di 4 Presentazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 fatto, dei processi decisionali, perché, ove si riscontri un consenso di fondo, ed anche per evitare ritorsioni, raramente i governi vi fanno ricorso, tuttavia il problema sussiste: dato il numero dei paesi membri dell’Unione ed anche in previsione di possibili momenti di grave dissenso, tale diritto risulta un fattore negativo e potenzialmente ricattatorio rispetto ad un processo di unione politica, ormai invocato da ogni parte, che deve necessariamente risultare efficiente, ovvero in grado di produrre decisioni nei tempi e nei modi più efficaci. Il testo curato da Silvia Polidori mette pertanto in evidenza tutti gli articoli dei trattati di unione attualmente vigenti, a seguito della ratifica dei trattati di Lisbona, che prevedono il diritto di veto. Un diritto che, andando a cumularsi con la presenza dei rappresentanti di ogni stato membro in tutte le istituzioni dell’Unione, contribuisce ad accrescerne le attuali difficoltà di funzionamento. Di qui una ragione non secondaria di quella che oggi viene considerata la crisi dell’Unione. A conferma, nonché a titolo di curiosa quanto significativa constatazione in argomento, si può ricordare come proprio recentemente il commissario europeo alla fiscalità e all’unione doganale, il lituano Algirdas Šemeta (eppure la piccola Lituania dovrebbe tenerci ai diritti di veto, che le danno un’importanza straordinaria per essere un paese di meno di tre milioni di abitanti…), si è rivolto al Senato francese con espressioni molto appassionate: “Il convoglio va alla velocità del più lento – ha lamentato – perché le decisioni all’unanimità consentono a certi paesi di rimandare le decisioni per anni e anni! Ma come si fa andare avanti in questo modo, man mano che l’integrazione si approfondisce?”. In effetti, se lo dice persino Šemeta… Al testo di Polidori fanno seguito, opera di Paolo Ponzano, che ringraziamo altrettanto sentitamente: 1) una scheda sintetica, in italiano, sul voto unanime nel Trattato di Lisbona; 2) la copia (in allegato “cliccabile”) di una ricognizione dei diritti di veto previsti dal trattato costituzionale approvato nel 2004, ma rimasto privo di attuazione a causa dei referendum negativi francesi e olandesi; 3) la copia, sempre in link, di una nota sulle ragioni del voto a maggioranza, fornita alla Commissione; 4) una nota in tema di riforma dei Trattati Ue; 5) l’introduzione al seminario tenutosi a Fiesole l’11 novembre 2013, presso l’Istituto universitario europeo, dal titolo: “Revising Europea Treaties”, promosso sempre da Ponzano insieme ai colleghi europei Adrienne Héritier e Bruno de Witte. Nell’augurare buona lettura, sia consentita un’annotazione, o giustificazione conclusiva. L’importanza fondamentale dei prossimi appuntamenti per l’Unione europea ha consigliato un simile sconfinamento nel presente, e nel futuro, da parte di una rivista storica come «EuroStudium3w», 5 Presentazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 anche perché, almeno così si spera, la consapevolezza delle imponenti sfide dell’oggi potrà forse incoraggiare lo studio e soprattutto la didattica! della storia e della cultura dell’integrazione europea nelle scuole e nelle università. Una bonanza a tutt’oggi ancora largamente negata ai giovani cittadini europei di nascita italica, anche negli ambienti assai vicini a questa pubblicazione. Eppure le elezioni del parlamento continentale, a suffragio universale diretto, non sono nuovamente alle porte? Ma come si farà poi a prendersela con l’Europa se neanche la si conosce? fg 6 Presentazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Realizzare l’Unione Economica. Preparare la Convenzione. Agire subito Un contributo di “l’Università per l’Europa. Verso l’Unione Politica” «…cette proposition réalisera les premières assises concrètes d'une Fédération européenne indispensable à la préservation de la paix» Dichiarazione Schuman, 9 maggio 1950 “Il metodo intergovernativo deve essere sostituito con il metodo della comunità” Jürgen Habermas Premessa L’Unione europea sta attraversando uno dei periodi più difficili del suo percorso ultracinquantenario. Le politiche di rigore imposte, in particolare nell’area Euro, per il contenimento dei disavanzi pubblici e la grave crisi recessiva in cui versa la gran parte dei paesi membri non solo hanno sollevato pesanti critiche sul funzionamento delle istituzioni dell’Ue e sulla loro capacità di gestire la governance economica europea, ma hanno anche messo in discussione i valori di fondo e quanto sin qui realizzato del processo di integrazione. L’assenza, tanto a livello europeo che nei singoli paesi membri, di segnali incoraggianti che possano indurre a fare sperare in una definitiva uscita dalla crisi e nell’avvio di modifiche significative nella governance europea rende il quadro evolutivo di riferimento ancora più incerto. Appare pertanto necessario – dato anche l’approssimarsi di importanti eventi, quali le prossime elezioni del Parlamento europeo, la presidenza 7 Realizzare l’Unione economica Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 semestrale dell’Italia del Consiglio dell’Ue, nonché l’annunciata Convenzione per la riforma dei trattati attuali - richiamare l’attenzione delle autorità di governo italiane e dell’Unione sulla necessità di definire una strategia di rilancio delle politiche dell’Ue che possa a sua volta essere di aiuto ai paesi membri, contribuendo a portare a termine le riforme strutturali concordate e a trovare le risorse finanziare necessarie per far ripartire la crescita, il progresso tecnologico e l’innovazione. Al tempo stesso risulta assolutamente urgente richiamare il valore della cittadinanza europea, coinvolgendo in primo luogo i giovani, gli studenti, gli intellettuali, gli operatori, gli organi di informazione e l’opinione pubblica nel suo insieme, al fine di rilanciare l’impegno di partecipazione alla dimensione europea, nella consapevolezza che l’Unione europea è in primo luogo il progetto di un più alto grado di civiltà, come annunciato nel Manifesto di Ventotene1. E dunque un obiettivo eminentemente politico ispirato ai principi democratici e alla cultura della tutela dei diritti dell’uomo, suscitatrice di energie solidali, garantiste e creative. Tale obiettivo costituisce il necessario, e non opzionale, compimento dei processi di emancipazione delle nazionalità europee, riscattandoli dalle colpe sanguinarie dei nazionalismi novecenteschi e proponendosi come modello di pace e di progresso per il resto del pianeta 2. La Costituisce un dato culturale assai significativo che la figura di Altiero Spinelli, notoriamente uno degli autori del Manifesto (scritto al confino insieme a Ernesto Rossi ed altri antifascisti), poi commissario e parlamentare europeo, venga ormai considerata riferimento prioritario per molti esponenti politici europei, come dimostra la costituzione dello “Spinelli Group” a Bruxelles, cui aderiscono importanti personalità di vari paesi dell’Unione. Non a caso, dal seno dello “Spinelli Group”, per iniziativa dell’eurodeputato inglese Andrew Duff, è emersa la proposta di Legge Fondamentale da sottoporre all’annunciata Convenzione per la riforma degli attuali trattati dell’Unione, in base all’art. 48 del trattato sull’Unione europea. Nella premessa si afferma che la Fundamental Law risulta inevitabile e necessaria - pur tenendo conto delle resistenze che potrebbero venire opposte, come accaduto con il trattato costituzionale – al fine di stabilizzare l’unione monetaria, nonché trasformare l’eurozona “into a fiscal union run by a federal economic government”. In caso contrario verrebbe addirittura minacciato “the Eu’s very survival”. 2 L’esistenza dell’Unione, richiamandosi a Ernest Renan e alla sua concezione della nazione, è un plebiscito di tutti i giorni. Ed è anche il giorno della memoria tutti i giorni, non di uno soltanto. L’aspetto suggestivo, ma anche problematico - come è stato richiamato in un recente convegno tenutosi all’università di Padova per iniziativa di Gilberto Muraro, con la partecipazione di Romano Prodi - è che la coscienza della necessità del completamento del processo di emancipazione delle nazionalità nell’unità dell’Europa è stata presente fin dagli anni Trenta dell’Ottocento, ovvero al momento della fondazione della “Giovane Europa” di Giuseppe Mazzini, cui aderirono patrioti di diversi paesi. Per non dire del celebre discorso di Victor Hugo al congresso internazionale per la pace di Parigi del 1849 (“Un jour viendra…”) o del congresso per la pace e per gli Stati Uniti d’Europa, tenutosi a Ginevra nel 1867 con 1 8 Realizzare l’Unione economica Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 federazione europea come presupposto per il mantenimento della pace costituisce infatti parte integrante della Dichiarazione Schuman, a partire dalla quale è iniziato il percorso di unificazione: rinunciare ad essa significherebbe non tener fede ai patti sottoscritti3. Di qui il dovere di proseguire sulla strada intrapresa e di adottare soluzioni idonee e rigorose, tanto nei singoli paesi che a livello dell’Unione, miranti al progressivo raggiungimento del traguardo additato dai padri fondatori, nonché prefigurato dagli spiriti più nobili delle età precedenti. Il presente documento viene proposto all’interno dell’iniziativa denominata “L’Università per l’Europa. Verso l’Unione politica”, che raccoglie docenti e ricercatori di numerose università italiane, i quali hanno concordato di dedicare singole iniziative di approfondimento in merito ai “nodi” strategici attorno a cui si registra l’attuale impasse dell’Unione, nonché ai possibili strumenti per risolverli positivamente. L’iniziativa viene realizzata in collaborazione con la Rappresentanza in Italia della Commissione europea, l’Istituto Affari Internazionali, l’Associazione Universitaria di Studi Europei, EurActiv ed altri enti e associazioni (come si desume dal sito dedicato). L’approccio complessivo condivide la convinzione che l’oggetto prioritario su cui oggi concentrare l’attenzione sia l’Unione economica e monetaria, ovvero l’attuazione di quell’impegno assunto dai trattati europei di cui è stata realizzata la parte monetaria, mentre quella economica resta ancora largamente disattesa, con le conseguenze che tutti conoscono. Tale convinzione, lungi dal limitarsi alla valutazione degli aspetti strettamente economici, esige che l’Uem venga realizzata con adeguati strumenti istituzionali di tipo democratico, come assicurato dai trattati stessi. E che pertanto l’obiettivo comporti un decisivo passo in avanti, di tipo che si direbbe monnettianospinelliano, sul terreno dell’unione politica, di naturale federale. Del resto, i valori fondanti dell’integrazione europea risultano più volte ricordati nei Trattati istitutivi e ripresi più di recente dagli obiettivi definiti in Europa 2020. Senza omettere quindi di indicare le soluzioni raggiungibili a trattati attuali, si ritiene che l’istituzione di un vero governo dell’economia europea sia Garibaldi alla presidenza. Per parte sua, Kant stesso, nel rinomato Per la pace perpetua, aveva individuato i pericoli non solo dei conflitti di potenza, ma anche del colonialismo. 3 Il significato del patto originario convenuto negli anni Cinquanta, cui Jean Monnet diede un contributo insostituibile, è confermato dall’impegno profuso dall’ideatore delle Comunità all’interno del Comitato per gli Stati Uniti d’Europa, da lui fondato e promosso. Chi oggi rinunci all’obiettivo o intenda metterlo in forse, fosse anche per ragioni di occasionale convenienza politica, rischia di ledere il rapporto di fiducia reciproca instaurato fin dalle origini del processo di unificazione, mirante in ultima istanza alla federazione europea. Un azzardo, in definitiva, molto pericoloso quanto disorientante per l’opinione pubblica. Pacta sunt servanda. 9 Realizzare l’Unione economica Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 essenziale per porre le basi verso le tappe successive, quali la federalizzazione di tutte le politiche di interesse comune, nonché della politica estera e di sicurezza, su cui i trattati rivelano le maggiori resistenze avanzate dagli stati membri. Taluni significativi obiettivi possono tuttavia essere perseguiti nel frattempo anche in questo campo. Un Paese quale l’Italia, purché consapevole e motivato – grazie anche ad un intensificato dialogo fra istituzioni, università, media e opinione pubblica – sarà auspicabilmente in grado di esprimere un’intelligente e decisiva mediazione, come già avvenuto in passato in altri momenti decisivi della costruzione europea. I dati di fatto e i perché di una crisi In via prioritaria, vanno tenuti in considerazione i seguenti aspetti: 1) Gli attuali trattati dell’Unione contengono delle fondamentali ed inequivoche affermazioni di principio e di intenti, fra cui: - democrazia, uguaglianza, stato di diritto - libertà, sicurezza, giustizia senza frontiere interne, libera circolazione delle persone, prevenzione delle criminalità e lotta contro di essa - economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione, al progresso sociale - tutela dell’ambiente, promozione del progresso scientifico e tecnologico - promozione della coesione economica, sociale e territoriale e solidarietà fra gli Stati membri, nel cui contesto “L’unione istituisce un’unione economica e monetaria la cui moneta è l’euro”. - esercizio di una politica estera e di sicurezza comune. In ambito istituzionale si afferma inoltre che il funzionamento dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa, in cui i cittadini sono direttamente rappresentati nel Parlamento europeo, mentre gli stati sono rappresentati nel Consiglio europeo e nel Consiglio, laddove “i partiti politici a livello europeo contribuiscono a formare una coscienza politica europea e ad esprimere la volontà dei cittadini dell’Unione”. 2) Al tempo stesso, malgrado i fini suddetti e la dichiarata adesione ai principi della democrazia, l’attuale assetto istituzionale si presenta carico di non poche contraddizioni, con il risultato di concorrere pesantemente a generare l’impasse che è alla base della crisi attuale di fiducia e della condizione economica complessiva. Infatti, come si può spiacevolmente constatare: 10 Realizzare l’Unione economica Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 - a fronte di un pur imperfetto bicameralismo Parlamento-Consiglio, non esiste un governo dell’Unione adeguatamente legittimato e dotato di poteri decisori, il quale possa attuare una politica per l’UeM ed assolvere agli altri compiti previsti dai trattati, o tanto meno assicurare una coerente politica estera e di sicurezza comune, se non quella guidata dall’Alto rappresentante per la stessa, nonché vicepresidente della Commissione, definito dai trattati “mandatario del Consiglio” - la struttura istituzionale dell'Ue non rispetta il principio della separazione dei poteri poiché la Commissione europea partecipa ai tre poteri (legislativo, esecutivo e, in parte, giudiziario), il PE non ha il diritto di iniziativa legislativa, ci sono due esecutivi (Commissione e Consiglio) ed il Consiglio europeo agisce al di là delle sue funzioni, in materie al di fuori delle competenze Ue (decisioni di politica economica su pensioni, salari, impieghi pubblici, ecc..) - il processo decisionale e legislativo è ostacolato da ben 82 diritti di veto, a disposizione dei governi nazionali, i quali possono esercitati in ambiti semplicemente strategici4 - tutte le istituzioni dell’Unione, anche per effetto dei successivi allargamenti, restano troppo pletoriche e poco efficaci nell’esercizio delle proprie funzioni5 Tra gli altri: le nomine per le istituzioni europee, le cooperazioni rafforzate e le clausole dette “passerelle; lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia; i diritti di cittadinanza e i diritti fondamentali; la politica sociale e la protezione dell'ambiente; la fiscalità; la politica estera, di sicurezza e difesa comune; gli accordi internazionali. Si allega in proposito un testo preparato da Paolo Ponzano e Silvia Polidori. 5 La Commissione, potenziale governo dell’Unione, è composta di un membro per ogni stato dell’Unione, con la conseguenza di una configurazione assembleare non compatibile con le esigenze e l’esercizio di un potere esecutivo. Tanto più che, come osservato anche recentemente dall’eurodeputata Sylvie Goulard, 22 commissari su 28 rappresentano meno di un terzo della popolazione europea. Quand’anche ciò fosse relativamente significativo per via del fatto che i commissari non rappresentano giuridicamente i propri paesi e raramente votano all’interno della Commissione, resta indubitabile l’esigenza di ridurne il numero per rafforzarne la collegialità, attribuendo al presidente della Commissione la scelta dei propri “ministri”, da sottoporre all’approvazione parlamentare. Anche la Csu bavarese ha recentemente posto nel suo programma la riduzione del numero dei commissari; né il principio della rotazione, peraltro recentemente disapplicato, appare adeguato all’esigenza di rappresentatività ed efficienza. Recentemente l’importante federazione di imprenditori inglesi Eef ha costruttivamente lamentato l’inefficienza derivante dall’eccessivo numero di commissari, operanti spesso senza coordinamento anche su materie fra loro overlapping. Lo stesso vale per organismi fondamentali come la Corte di Giustizia e la Corte dei Conti, con il risultato di scoraggiare ulteriori passi in avanti nel processo di unificazione e di incentivare le resistenze a causa degli evidenti difetti nella composizione di tali istituzioni. 4 11 Realizzare l’Unione economica Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 - - i partiti politici risultano ancora realtà piuttosto informi e non regolate da statuti a livello dell’Unione, anche in tema di finanziamenti e uso delle risorse, tali da accreditarli e metterli in condizione di contribuire pienamente all’espressione della volontà generale6 - manca oltretutto una procedura elettorale uniforme, benché prevista già al momento della costituzione della Comunità economica europea, né le forze politiche nazionali operano per avvicinare le diverse legislazioni all’obiettivo comune. 3) Tutto ciò concorre a spiegare perché, anche al di là della buona o cattiva volontà nel procedere sulla strada dell’integrazione: - l’unione economica, pur istituita, non è stata realizzata7 - benché l’euro sia la moneta dell’Unione, solo 18 stati ad oggi ne fanno parte, con evidenti effetti distorsivi sui processi decisionali - il bilancio dell’Unione resta risibile, né si prevedono strumenti finanziari comuni per fronteggiare la grave crisi attuale e per rilanciare gli investimenti ai fini dello sviluppo tecnologico, della ricerca di nuove fonti energetiche e della crescita8 - la politica estera e di sicurezza comune (Pesc), nonché la politica di sicurezza e di difesa comune (Psdc), quale parte integrante della prima, appaiono fortemente compromesse da quanto si afferma nell’articolo 4, c. 2, del trattato sull’Unione, in base al quale “la sicurezza nazionale resta di esclusiva Infine, il Parlamento europeo, come sottolineato dalla Corte costituzionale tedesca, potrebbe risultare sminuito nella sua rappresentatività democratica dal principio della proporzionalità degressiva; per cui l’elezione stessa del presidente della Commissione può esprimere esponenti non realmente rispondenti alla volontà generale, con conseguente potenziale discredito delle istituzioni dell’Unione da parte del populismo antieuropeo, nonché con pericoli di condizionamento da parte dei paesi grandi nei confronti dei paesi piccoli nel corso delle campagne elettorali. Il tema richiede una specifica riflessione, per il perseguimento di miglioramenti equilibrati e costruttivi. 6 Il tema dei partiti politici europei è stato affrontato in un articolato convegno organizzato presso l’università di Genova nei giorni 30 e 31 gennaio 2014, ai cui risultati si rimanda per ulteriori approfondimenti. 7 Le tessere mancanti alla realizzazione di una piena unione economica sono molteplici: dall’armonizzazione del sistema fiscale alla definizione di un modello unico di protezione sociale, alla vigilanza uniforme sul sistema bancario e finanziario, a nuove risorse proprie gestite da un commissario-ministro ad hoc e controllate dal Parlamento europeo. 8 In tema di bilancio dell’Unione, gli atti del seminario organizzato il 29 novembre 2013, nell'ambito de "L'università per l'Europa. Verso l’Unione Politica", dal Dipartimento di Economia e Diritto della Sapienza, e in particolare dai docenti Maurizio Franzini, Francesca Angelini e Elena Paparella, sono consultabili su «Aperta Contrada» <http://www.apertacontrada.it/>. 12 Realizzare l’Unione economica Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 competenza di ciascuno Stato membro”, come se la sicurezza dei singoli stati e quella dell’Unione potessero venire nettamente separate9 - la prospettiva di nuovi allargamenti, alle condizioni attuali, rende ancora più incerto il futuro delle istituzioni comuni, se non come luogo di confronto fra stati sovrani, oltretutto estremamente eterogenei fra loro, con il risultato di riaccreditare i cosiddetti direttòri e l’egemonia dei più forti. Al tempo stesso, e a titolo di esempio, in base al principio di sovranità, stati minori come Malta hanno potuto mettere in vendita la cittadinanza del proprio paese, che consente la libera circolazione nell’Unione10 - i governi rivendicano un ruolo sempre più ingombrante, avvalendosi delle attuali disfunzioni e aggravando pertanto la stasi istituzionale. Recentemente il governo olandese, sulla scia di quello britannico, ha persino avanzato richieste di rientro di competenze a favore degli stati nazionali, sia pure senza mettere in discussione gli aspetti essenziali dell’Unione 11 - addirittura, sul piano propagandistico, prendendo occasione dal semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione, per un verso si accredita l’esistenza di una presidenza dell’Unione che non esiste 12, per l’altro si promette ai cittadini di esercitare mediante tale mezzo un’improbabile influenza a livello europeo, con il risultato di disorientare l’opinione pubblica 13 Eppure il quadro globale complessivo, tanto economico che della sicurezza, mostra un indebolimento evidente della leadership americana, sotto cui l’Europa si è finora largamente adagiata, avvalorando la convinzione di nuovi e maggiori doveri spettanti all’Unione (si pensi al ruolo crescente della Russia, sia nella vicenda siriana che ucraina, ma anche alle incomprensioni fra India ed Italia, oltre che con gli Usa, indizio di crescenti ambizioni nei Nuovi Mondi, se non di risentimenti verso il Vecchio). 10 Per quanto cara, l’isola venderà la cittadinanza maltese e di conseguenza europea a 650 mila euro a richiedente. La Commissione ha fatto sapere di non poter impedire tale pratica né a La Valletta né ad altri paesi, in «EuObserver» del 14 novembre 2013, anche se la controversia è ancora in corso. 11 Il ministro degli Esteri olandese Frans Timmermans si è fatto notoriamente portatore di tali istanza, convocando tra l’altro una riunione di rappresentanti dei vari governi europei, forse anche allo scopo di fronteggiare il populismo interno al suo paese. 12 Wikipedia si è sentita in dovere di creare un’apposita voce per smentire l’esistenza della dizione “Presidenza dell’Unione europea”, erroneamente ricorrente anche nella stampa anglosassone, oltre che persino ai massimi vertici della politica italiana: “There is, simply, no President of the European Union as a whole”, http://en.wikipedia.org/wiki/President_of_the_European_Union. Eppure anche i notiziari del Ministero degli Affari Esteri continuano a decantare una supposta presidenza italiana della Ue (su cui una lettera aperta alla ministra Mogherini consultabile sul sito www.universitapereuropa.eu). 13 Cfr. nella rivista on-line «Federalismi.it» l’intervento in proposito di Carlo Curti Gialdino (Editoriale del 06/11/2013 - Sommario Nr. 22 - Anno 2013), nonché Rocco Cangelosi in 9 13 Realizzare l’Unione economica Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 - la complicazione istituzionale dell’Unione, che è frutto di successivi trattati mai evoluti in una carta costituzionale, oltre che della contaminazione fra modelli (federalismo, funzionalismo, confederalismo), mantiene i cittadini europei in uno stato di grave misconoscenza nei confronti di un livello pur così determinante, quanto inafferrabile (l’Europa…) della vita collettiva - Le forze politiche e di governo, per lo meno in Italia, non incoraggiano una diffusa formazione alla dimensione europea, né a livello scolastico, né nei programmi universitari, né nelle attività di comunicazione (di qui tra l’altro i pesanti effetti negativi prodotti al momento del cambio della lira con l’euro, che hanno aggravato la crisi al momento del suo prodursi14). Tanto meno configurano le proprie scelte politico-istituzionali interne, ivi comprese le leggi elettorali, in modo da adattarsi al meglio alla partecipazione alla dimensione europea - A ciò si aggiunga il pressapochismo dei media, che diffusamente non distinguono, a titolo di esempio, fra Unione europea e Consiglio d’Europa: un dato di fatto inaccettabile per un paese che esige maggiore attenzione da parte dell’Unione e aspira al tempo stesso a ruoli da protagonista15 - Di fatto, manca a tutt’oggi, soprattutto in Italia - dove si trascurano con estrema superficialità le proposte provenienti da altri paesi (se non altro per rinfacciare loro il mancato impegno nell’attuazione delle medesime16) - un serio http://www.unita.it/mondo/breve-guida-al-semestre-europeo-br-meglio-non-farsi-troppeillusioni-1.527083. 14 Oltre agli effetti negativi sulla crescita dei prezzi al minuto, va ricordato che la “filosofia” dell’euro, ostile all’inflazione e all’aumento della massa monetaria, si basa sull’estrema efficienza di ogni livello della macchina amministrativa e produttiva, tenendo conto del fatto che, in assenza di crescita di produttività, risorse aggiuntive possono essere reperite soltanto con spending review e/o con il trasferimento di risorse da taluni ad altri, con evidenti pericoli di conflittualità sociale. Salvo il ricorso al debito da parte degli stati, con il rischio di bancarotta, per scongiurare la quale è stato introdotto tra gli altri il fiscal compact, da recepire nei dettati costituzionali, almeno in Italia. 15 Come segnalato da docenti e ricercatori di “Università per l’Europa. Verso l’Unione politica” ai rispettivi direttori, un giornale come «Il Corriere della Sera» ha confuso più volte il tribunale di Strasburgo con quello di Lussemburgo, mentre «La Repubblica» lo ha fatto mostrando la foto del primo e citandolo come se fosse il secondo. Ue, Ue, Ue: sotto la sigla di sapore spensieratamente partenopeo vengono scambiate con disinvoltura, anche da parte delle agenzie di stampa, realtà del tutto diverse. L’anomalia è stata rilevata anche da Giuliano Amato in una recente commemorazione di Altiero Spinelli, davanti a giovani delle scuole romane, invitati nell’Auletta della Camera. 16 Negli anni scorsi, la cancelliera tedesca Angela Merkel si è detta più volte ispirata all’obiettivo dell’unione politica europea, ripiegando successivamente, anche per ragioni elettorali, su posizioni più moderate. Varrebbe tuttavia la pena di insistere nel mantenimento degli impegni da parte del paese più influente dell’Unione almeno dal punto di vista economico, e tale comunque da poter esercitare una pressione forse determinante sul partner più importante a 14 Realizzare l’Unione economica Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 dibattito sul modello istituzionale ottimale, al fine di assicurare la credibilità e la legittimità dell’assetto istituzionale dell’Unione. Carenze evidenti si riscontrano peraltro anche in paesi decisivi come la Germania e la Francia 17. - Come conseguenza, tanto da noi che altrove, si deve lamentare uno scarso grado di europeizzazione della campagne elettorali europee: molto spesso prevalgono temi di carattere nazionale, i candidati risultano sovente poco idonei (oltretutto manca un dialogo fra eletti ed elettori nel corso delle legislature) e le consultazioni europee finiscono per rivelare tratti da “elezioni di secondo ordine”. Di qui e per le ragioni suddette un calo costante del tasso di partecipazione alle elezioni europee18). Vanno peraltro accolte con soddisfazione e partecipazione, quale concreto inizio di cambiamento, le candidature alla presidenza della Commissione avanzate da alcuni partiti europei. Resta pertanto indispensabile chiamare tutte le componenti della società europea, non solo i tecnici o gli esperti, a “pensare l’Europa”, contribuendo ad elaborare un progetto credibile e di ampio respiro per rafforzare l’Unione, rispondendo alle esigenze dei cittadini e responsabilizzandoli al tempo stesso di fronte al dovere che può essere definito etico dell’unità europea, contribuendo al progresso economico e scientifico, nonché al governo pacifico del mondo nel contesto delle Nazioni Unite. livello internazionale e militare, e dunque oggettivamente più restio a cessioni di sovranità, quale la Francia. 17 Come recentemente rilevato da J. Habermas, all’interno delle forze di governo tedesche, la pretesa di conduzione semi-egemonica degli affari europei si accompagna alla difficoltà di comprendere che “il metodo intergovernativo deve essere sostituito col metodo della comunità”. Prosegue l’autorevole studioso: “Mentre l’assemblea dei capi di governo, legittimati solo da elettori nazionali, è fatta per negoziare compromessi tra inamovibili interessi nazionali, la formazione della volontà politica in un parlamento europeo diviso tra gruppi parlamentari, rende possibile controbilanciare gli interessi nazionali con comunità d’interessi oltre le frontiere”. Quanto alla Francia, l’accennata resistenza a cedere parti della sovranità, anche per salvaguardare lo status internazionale e militare ereditato dall’ultimo conflitto mondiale, sia pure rivelandosi contraddittoria con l’eredità monnettiana e del 9 maggio 1950, produce una serie di annunci in favore del processo di unificazione, cui fanno seguito scarse proposte concrete. Di fatto si procede con il metodo intergovernativo. Un quadro cui si è recentemente aggiunta la dichiarazione tedesca di voler svolgere, per la prima volta dalla fine della guerra, un ruolo maggiore nel campo della difesa, anche a livello internazionale. 18 La partecipazione è scesa dal 63% nella Comunità a 9, nel 1979, al 43% nell’Unione a 27, nel 2009. Il tasso risulta molto basso nei paesi dell’Europa centro-orientale, ma un calo di circa il 20% si è verificato anche nei tre principali paesi fondatori della Comunità europea: in Germania (dal 65,7% al 43,3%), in Francia (dal 60,7% al 40,6%), in Italia (dall’84,9% al 65%). 15 Realizzare l’Unione economica Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 In tale modo si potrà oltretutto fronteggiare il rischio che ad europeizzare la campagna elettorale del 2014 risultino alla fine soprattutto le forze antieuropee, portatrici di un messaggio populista di rifiuto del processo di integrazione. Che fare? Proposte in campo economico Agire immediatamente I paesi dell’Eurozona sono chiamati ad attuare, a norma del Trattato sul contenimento del disavanzi pubblici, politiche di rigore fiscale che, comprimendo la domanda, contribuiscono a contrarre ulteriormente i livelli produttivi ed occupazionali allontanando nel tempo le possibilità di una ripresa economica. Inoltre, come dimostrano i dati, quelle politiche producono l'effetto di peggiorare il rapporto tra debito pubblico e Prodotto Interno Lordo, che è uno degli indicatori principali della situazione critica della finanza pubblica. Se i paesi dell’Ue non riprendono la via della crescita - di fatto l’unica strada che può aiutare ad attuare le politiche di rigore e dare fiducia agli operatori e ai mercati sulla sostenibilità delle politiche economiche nazionali di rientro dal debito - nessuno degli impegni assunti dai paesi membri e richiesti dalla Commissione potrà essere mantenuto. Nell’immediato, e come segnale di un effettivo cambiamento nella direzione delle politiche dell’Ue, occorre dare vita ad un patto per la crescita, l’occupazione e la stabilità, che può essere finanziato con l’emissione di euroobbligazioni da parte del gruppo Bei (iniziative analoghe, se pure con importi ancora modesti, sono state già avviate con i project bond). Il piano potrebbe prevedere che ai paesi più virtuosi nelle politiche di contenimento del deficit di bilancio sia consentito, anche prima della sua entrata in vigore, di effettuare investimenti pubblici al di sopra della soglia del 3% 19. Nell’accordare questa deroga si potrebbe, sulla base di un sistema di regole comuni (golden rules), tenere conto anche dell'occupazione di ciascun paese, in particolare quella giovanile. I paesi membri, da parte loro, devono avviare gli aggiustamenti diretti a rimuovere gli eventuali ostacoli strutturali ad una crescita continua ed Per quanto “stupidi” possano essere criteri numerici rigidi e precostituiti per assicurare la stabilità, va tuttavia riconosciuto che, al di là dei momenti di crisi, che richiedono prontezza di intervento, il rispetto di tali criteri costituisce una difesa della vita pubblica democratica rispetto al prevalere delle forze finanziarie, di cui la prima rischia altrimenti di venire fin troppo pesantemente condizionata. Ciò non toglie la necessità di un impegno, anch’esso, per così dire, di tipo costituzionale, per lo sviluppo e l’occupazione, quale compare nello statuto della Banca federale americana, nonché a suo tempo patrocinato da Jacques Delors. 19 16 Realizzare l’Unione economica Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 equilibrata, oltre che al miglioramento del benessere sociale. Ciò vale in particolar modo per l'Italia, con riferimento soprattutto alla razionalizzazione della spesa pubblica e al miglior funzionamento della Pubblica Amministrazione (che, insieme, dovrebbero consentire tra l'altro guadagni di efficienza, e quindi liberazione di risorse da investire nei settori ove la spesa è meno comprimibile, quali la sanità, la sicurezza, l’istruzione, le infrastrutture) oltre che nel miglioramento dei sistemi formativi, da cui molto dipendono le prospettive di successo competitivo delle imprese, in particolare quelle di dimensione media e piccola. E subito dopo Meno urgenti ma non meno importanti sono una serie di interventi diretti a dotare l'Unione europea di strumenti più efficaci per il governo dell'economia e per garantire essenziali interventi in ambito sociale. Tali interventi possono essere realizzati a trattati invariati o, in alcuni casi, con riforme o accordi specifici. Il governo dell’economia Le misure dirette a migliorare il governo dell’economia dovrebbero mirare a realizzare un sistema in grado, a livello macroeconomico, di far fronte in modo efficace ai rischi di instabilità economica e finanziaria e, a livello microeconomico, di rinforzare le caratteristiche strutturali del sistema produttivo. In particolare, sono necessari i seguenti interventi: a) Per la politica monetaria è necessario completare il mandato della Bce, mettendola alla pari delle altre banche centrali, affinché possa agire come creditore, federale20, di ultima istanza, come soggetto alla pari nei consessi internazionali, come promotore della crescita e l’occupazione, come attore dell’emergenza non solo per la salvaguardia delle banche, ma anche per favorire gli investimenti, specie nelle Pmi. b) Per la politica creditizia e finanziaria, occorre invece accelerare le procedure per l’attuazione dell’Unione bancaria e del meccanismo unico di sorveglianza europea, mentre per il meccanismo di intervento in presenza di crisi bancarie, oltre ad anticiparne i tempi di attuazione, occorre rivedere le Per il confronto fra Banca Federale Usa e Banca Centrale Europea può risultare utile, anche per evitare facili semplificazioni, il documento allegato al sito di “Università per l’Europa”, scritto da Giacomo Mazzei con la supervisione di Francesco Papadia, direttore generale per le operazioni di mercato della Bce fra il 1998 e il 2012. In estrema sintesi, si può affermare che la Fed è tenuta, come accennato, a promuovere l’occupazione, ma non sempre a sanare il debito dei singoli stati. 20 17 Realizzare l’Unione economica Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 modalità di intervento del Fondo di garanzia unico Srf (Single Resolution Fund), che, così come approvato al vertice di dicembre 2013 per le situazioni di “tail risk”, verrebbe a disporre di risorse insufficienti. c) Per la governance economica in senso proprio relativamente all’Eurozona occorre superare il metodo del coordinamento, che non ha prodotto i risultati attesi, allo scopo di favorire una maggiore convergenza tra i sistemi economici dei paesi membri. In particolare, occorre rafforzare il coordinamento delle politiche fiscali in modo da affiancare a una politica monetaria unica, una politica fiscale il più possibile unitaria e coordinata con la politica monetaria. Una maggiore armonizzazione dei sistemi fiscali, in particolare per quello che riguarda la fiscalità di impresa, è parte di questo insieme di interventi. d) Per rafforzare le caratteristiche strutturali occorre rilanciare, in modo coordinato, politiche micro-economiche che finora hanno ricevuto scarsa attenzione. In particolare occorre disegnare un sistema efficace e non distorsivo di politiche industriali che individui alcuni settori strategici e definisca le fonti di finanziamento; inoltre, appare necessario un rilancio delle politiche per l’innovazione legato anche alla riconversione ecologica del sistema economico, di cui è parte essenziale la politica energetica. e) Per affrontare definitivamente il problema del debito sovrano, occorre realizzare un meccanismo che, senza eliminare la responsabilità dei singoli paesi sul debito, contribuisca ad “isolarlo” dalla speculazione finanziaria, diversamente da come è avvenuto di recente con la crisi, una crisi solo per ora sospesa, vista l’insufficienza dello Esm (European Solidarity Mechanism) ad intervenire. Il debito nazionale viene convertito progressivamente fino ad una quota massima del 60%, o per la parte eccedente il 60%, e detenuto in un «conto debito consolidato», ma non negoziato (a diritto costante). Politiche sociali e redistributive Il principio di responsabilità, non solo degli Stati, ma anche dei cittadini contribuenti, non può essere separato da quello di solidarietà, che deve intervenire nel momento in cui viene meno per i cittadini il principio di sussistenza. Infatti non può essere solo un problema della Grecia, o di altri paesi in crisi, quello di far fronte alla sussistenza per una vita decorosa o di avere un lavoro dignitoso. È un problema che deve coinvolgere tutti i cittadini e tutti i paesi, in particolare quelli che maggiormente hanno beneficiato e beneficiano dei limiti attuali dell’Uem. Inoltre l’Unione, in particolare l’Eurozona, se sarà completata, non potrà continuare ad ignorare le conseguenze sociali delle politiche economiche messe 18 Realizzare l’Unione economica Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 in atto, lasciandole a totale carico degli Stati. Sia per gli interventi economici che sociali, occorrerà tener conto non solo dei parametri del patto di stabilità, ma di una gamma più ampia di parametri macroeconomici (es. tasso di disoccupazione, tasso di crescita, bilancia dei pagamenti, tasso di occupazione, indicatori di povertà ecc.), sviluppando ulteriormente l’approccio introdotto dalla Commissione nella sua Comunicazione del 2 ottobre 2013 sul Rafforzamento della Dimensione Sociale dell’Uem. Le politiche sociali devono procedere di pari passo con quelle economiche, anche perché è impossibile garantire la stabilità dell’Uem senza interventi di protezione sociale e senza un meccanismo redistributivo. Né si può pensare che le misure di austerità diventino la regola, invece dell’eccezione. Occorre perciò un «meccanismo assicurativo» dell’Eurozona, come proposto dal «Glienicker Group» 21, che possa far fronte alle conseguenze delle drammatiche recessioni economiche e/o degli squilibri. Ad esempio: - creazione di un sistema comune di sussidi alla disoccupazione, complementare ai sistemi nazionali, eventualmente legato alla creazione di regole comuni per il mercato del lavoro dell’Eurozona ed alla mobilità della manodopera - concessione di un reddito minimo per alcune fasce di persone al di sotto della soglia di povertà22 - l’assicurazione e la fornitura di beni pubblici comuni e servizi nell’Eurozona per garantirne la tenuta, in particolare nei periodi di crisi. Agenda per la Convenzione. Le riforme dell’unione politica Si veda il testo proposto dagli undici autorevoli economisti tedeschi, che ribadiscono la persistente gravità della crisi, la non adozione di soluzioni adeguate e la necessità di procedere nell’integrazione europea, in http://www.bruegel.org/nc/blog/detail/article/1173-towards-aeuro-union. Detto da loro: “1. Responsible debtors need responsible creditors; 2. Responsibility and solidarity go hand in hand, 3. Democracy and rule of law must be strengthened, 4. Cohesion: Public goods must be provided”. Pertanto: “A Euro-Treaty for the Euro-Union”. 22 In tema di immigrazione si richiede attenzione alla gestione dei flussi migratori in ingresso nell’Unione perché non sia declinata solo in termini di blocchi agli ingressi illegali, rispetti la dignità delle persone mediante la creazione di corridoi umanitari, l’effettivo controllo del rispetto dei diritti umani da parte dei paesi terzi partner negli accordi di rimpatrio, il controllo effettivo del rispetto da parte di tutti gli stati membri del divieto delle pratiche di respingimento collettivo, la trasformazione del mandato dell’Agenzia FRONTEX incrementando le sue responsabilità e funzioni in termini di soccorso ed accoglienza. 21 19 Realizzare l’Unione economica Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 In considerazione di tutto ciò, e in vista della Convenzione per la riforma degli attuali trattati, dichiarata “Convenzione costituente” dall’Unione europea dei federalisti e preannunciata per la legislatura europea che si aprirà dopo le elezioni del prossimo maggio (in particolare per la primavera 2015), è indispensabile introdurre precise innovazioni istituzionali, sostanzialmente concordi con la proposta di Legge Fondamentale avanzata dallo Spinelli Group. Vale a dire: - la trasformazione della Commissione in un potere esecutivo, compatibile con il modello federale, e tale da attuare come compito prioritario l’auspicato governo dell’economia europea23. - il rafforzamento del dialogo tra la Commissione e il Parlamento europeo in tutti i settori della vita dell’Unione, concedendo al P. E. un esplicito diritto di iniziativa legislativa24 - la progressiva eliminazione del diritto di veto non solo per l’Uem, ma anche per le altre politiche dell’Unione Tale obiettivo richiede, in alternativa: l’elezione popolare diretta del presidente della Commissione, in grado di formare un governo proprio, con un ristretto numero di ministri, come proposto dalla Cdu già nel congresso di Lipsia del 2011 (senza però precisare le modalità, cosa del resto che nessuno si è finora peritato di chiedere), oppure l’elezione del presidente da parte del Parlamento europeo sulla base dei risultati elettorali, con il Consiglio europeo nel ruolo di presidente collettivo. Una specifica attenzione, al fine di valutarne gli aspetti più rilevanti, può essere rivolta anche al modello svizzero, che vede tutte le componenti politiche presenti nell’esecutivo e una presidenza a rotazione. A proposito del ruolo della Commissione come “guardiano dei trattati” che, secondo taluni, dovrebbe sconsigliarne la “politicizzazione”, Riccardo Perissich ha recentemente commentato nel modo seguente in uno scambio di mail fra i partecipanti a “L’Università per l’Europa. Verso l’Unione Politica”: “I Presidenti e i Commissari sono sempre stati non solo politici, ma politicizzati. Tutti i Commissari, anche quelli che non avevano origini politiche, si sono sempre affrettati a stabilire un’affiliazione con un gruppo del PE; i più attivi e visibili essendo i britannici. Non è frequente, ma succede che la Commissione si divida secondo criteri partitici. Del resto, anche quando le nomine venivano fatte esclusivamente dai governi tenevano conto di un equilibrio politico; altrimenti lady Ashton non sarebbe dov’è. La nuova delicata procedura lanciata dai partiti in vista delle elezioni aggiunge solo un carattere di pubblicità (e quindi di legittimità) ad una situazione già esistente”. Si veda in argomento anche http://www.csfederalismo.it/images/stories/discussion_papers/02_p.d.tortola_en.pdf, che risponde alle obiezioni sopra accennate, riscontrabili tra l’altro nel paper di Heather Grabbe e Stefan Lehne: "The 2014 European elections: Why a partisan Commission president would be bad for the EU", in http://www.cer.org.uk/sites/default/files/publications/attachments/pdf/2013/esy_commissionpr es_11oct13-7937.pdf , del Centre for European Reform. 24 Da parte delle forze di governo tedesche è stato proposto qualche tempo addietro il diritto di iniziativa anche per il Consiglio, così come del resto asserito nella Fundamental Law elaborata da Andrew Duff. 23 20 Realizzare l’Unione economica Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 - il completamento dell’adesione all’euro, che a norma dei Trattati è la moneta di tutta l’Unione, da parte dei paesi che hanno preso l’impegno ad adottarlo. Non possono esistere tre categorie: i paesi dell’euro, gli incerti, i paesi in opting-out. Per questi ultimi vanno adottate precise disposizioni25 - la modifica del sistema di rappresentanza del Parlamento europeo, in modo da rispettare tendenzialmente il principio “one man, one vote”, come richiesto dalla Corte costituzionale tedesca, sia pure elaborando le formule meno punitive per la rappresentanza dei paesi più piccoli26. Tale soluzione renderebbe proponibile un “patto con il popolo tedesco”, in base al quale ad una rappresentanza più equa farebbe riscontro il progresso dell’unione politica, del resto preannunciato dalla stessa cancelliera, a cui si chiede di tener fede alle sua stessa parola - la ricomposizione della Corte di Giustizia e della Corte dei Conti, in modo tale da renderle simili ad analoghe istituzioni federali, come quella statunitense, emancipandole dal principio “one state, one vote”, per attribuirle ad un numero ristretto di magistrati, di estrema competenza, visibili e noti al pubblico, e dunque dotati dell’affidabilità necessaria ad esprimersi su tematiche cruciali di comune interesse27. L’accesso alle Corti da parte dei singoli deve essere reso più agevole - la trasformazione del Consiglio in un Senato degli Stati, in grado di rappresentare nella sua composizione anche le realtà regionali o subnazionali sottostanti gli stati nazionali più grandi, avvalorando così il principio di sussidiarietà, mentre il Consiglio europeo potrà divenire il presidente collettivo dell’Unione28 Vanno messe a punto soluzioni per la fase di transizione e per i rapporti con gli opting-out, evitandone i condizionamenti. Stando alla premessa della Fundamental Law dello Spinelli Group: “Membership of the euro is taken as given once the convergence criteria are met. Methods are proposed to closely associate the ‘pre-ins’ with the decisions of the eurozone. The scope for opt-outs and derogations is minimised”. 26 A tal fine anche il Parlamento europeo, almeno nei momenti più importanti, potrebbe decidere in base a maggioranze qualificate, tenendo conto della popolazione rappresentata dai deputati, analogamente a quanto previsto per il Consiglio. 27 Un seminario sul tema “one state, one vote” è stato promosso all’università di Bologna, da Lucia Serena Rossi, in data 6 novembre 2013. 28 La Fundamental Law propone che il presidente del Consiglio europeo venga scelto per votazione all’interno del Consiglio stesso, per la durata di mezza legislatura, come accade per il Parlamento, mentre oggi il presidente stabile è persona di provenienza esterna. Un’ipotesi da valutare, tenendo peraltro conto di come verrà configurata la presidenza della Commissione. Un’altra ipotesi prevede la fusione della carica di presidente della Commissione con quella di presidente del Consiglio europeo. 25 21 Realizzare l’Unione economica Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 - la regolamentazione del sistema dei partiti attraverso l’approvazione di appositi statuti, anche in tema procedure interne e di finanziamenti, tale da legittimarne pienamente il ruolo di vettori della volontà generale, anche attraverso la formulazione dei “programmi di legislatura”, atti ad accrescere l’interesse degli elettori, nonché di liste europee, come proposto nel progetto di Fundamental Law29. A tale regolamentazione va aggiunta la procedura elettorale uniforme per le elezioni del Parlamento europeo - la realizzazione di politiche comuni rispetto all’energia, alla ricerca, all’immigrazione e alla tutela dei diritti sociali, con la previsione di sanzioni per gli stati inadempienti, come oggi avviene per le questioni di bilancio - il previsto inserimento del fiscal compact nel contesto istituzionale dell’Unione, il quale richiede tuttavia talune modifiche ai trattati per assicurarne le basi giuridiche - la promozione del multilinguismo e di una lingua franca comune, come auspicato dallo stesso presidente tedesco, Joachim Gauck, nel febbraio 2013, al fine di favorire la comprensione reciproca nella res publica europea30 - il rafforzamento della Politica estera e di sicurezza comune e della Politica di sicurezza e difesa comune, prevedendo la presenza unica dell’Unione negli organismi internazionali, il coordinamento della difesa, la gestione dell’Agenzia degli armamenti sotto il controllo delle istituzioni comuni, in vista dei doverosi passi successivi, secondo linee già prefigurate nel congresso della Cdu di Lipsia del 201131 La proposta di liste politiche europee, avanzata dal cosiddetto progetto Duff, potrebbe risultare in grado di rafforzare la qualità dei partiti come attori politici sovranazionali, dando risalto ai loro progetti. 30 Discorso tenuto al castello di Bellevue. Il presidente ha anche affermato: “Wir brauchen eine weitere innere Vereinheitlichung. Denn ohne gemeinsame Finanz- und Wirtschaftspolitik kann eine gemeinsame Währung nur schwer überleben. Wir brauchen auch eine weitere Vereinheitlichung unserer Außen-, Sicherheits- und Verteidigungspolitik, um gegen neue Bedrohungen gewappnet zu sein und einheitlich und effektiver auftreten zu können. Wir brauchen auch gemeinsame Konzepte auf ökologischer, gesellschaftspolitischer - Stichwort Migration - und nicht zuletzt demografischer Ebene”. Il concetto di Lingua franca, presumibilmente identificabile con l’inglese, che permetterà di intensificare la comunanza con gli Usa e molte aree del mondo, richiede una standardizzazione della lingua usata in comune ed una regolamentazione dell’uso della stessa, al fine di consentirne la piena comprensione al pubblico più vasto possibile. Un compito assai suggestivo per linguisti, traduttori ed esperti cui dedicarsi da subito. 31 Come si legge nel documento congressuale della Cdu del 2011, “The political union includes a common foreign, security and defence policy that should lead to joint European defence and, in the long-term, to a defence union using European armed forces. We want to strengthen Europe’s role as a force for peace in the world. For the European Union, as for its Member 29 22 Realizzare l’Unione economica Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 - Appare infine indispensabile avviare un riflessione sul ruolo e sull’auspicabile rafforzamento istituzionale del Consiglio d’Europa, come sede di condivisione delle decisioni fra i partner di un’Europa che comprende tanto la Ue che la Russia, che la Turchia; nonché in merito a forme di istituzionalizzazione dei rapporti fra Usa ed Ue, al di là dell’instaurazione di un’area di libero scambio, oggi in fase di negoziazione. Unione politica. Non meno Vale la pena di convincersi. La difesa dei legittimi interessi degli individui e delle nazioni europee passa attraverso la realizzazione dell’Unione economica e monetaria nel quadro dell’unione politica. Le esigenze di progresso, gli spostamenti di forza nel contesto internazionale, l’aspirazione ad un più alto livello di civiltà lo impongono. L’unione politica, infatti, è la condizione indispensabile per poter sostenere in modo non subalterno il confronto con i poteri in ascesa del XXI secolo; al tempo stesso, è la premessa per un rafforzamento del ruolo dell'Europa come potenza civile, in grado di promuovere partnership economiche e politiche con il resto del mondo nel quadro di un "dialogo tra le civiltà" che eviti il sorgere di nuovi conflitti e l'aggravamento di quelli attuali32. La Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 – vale la pena di ripeterlo ha indicato la federazione europea come obiettivo imprescindibile per gli europei usciti dai devastanti conflitti mondiali e li ha impegnati a perseguirlo come firmatari dei trattati successivamente sottoscritti. Il perseguimento dello stato federale europeo, pur nella diversità delle soluzioni istituzionali che potranno essere adottate, malgrado colpevole la lentezza dei tempi della sua realizzazione, non può e non deve essere rinnegato da nessuno che intenda assumere compiti di guida nell’Unione. In caso contrario si perde la stella polare che ha guidato e deve continuare a guidare generazioni di europei. Essa esige pertanto di radicarsi anche in ogni singolo cittadino come impegno etico, intellettuale, civile e politico. States, domestic and foreign policy issues are intertwined. The European Union is our answer to globalisation, so that Europe can assert itself both at home and abroad”. Non può esser nemmeno passato sotto silenzio quanto dichiarato dal presidente Obama in un recente intervista al «Corriere della Sera»: in sintesi (e lasciando stare la solite asserzioni dell’intervistatore su un’Italia che avrebbe preso la “guida” della Ue, assumendone la “presidenza” per un semestre..) per il presidente Usa la paura peggiore nasce, ancora più che per le tensioni in Ucraina, dal pericolo di un possibile attacco terroristico di natura nucleare (o almeno con dispersione di uranio) nella città di New York. Dopodiché nessuno esclude, si deve aggiungere, che il pericolo possa incombere anche su qualunque metropoli europea. 32 23 Realizzare l’Unione economica Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 24 Realizzare l’Unione economica Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Unanimity in the Lisbon Treaty and way forward to boost European Integration di Silvia Polidori Legal Advisor at the European GNSS Agency Introduction Nowadays Council and European Council decisions are still adopted in part upon unanimity vote legal basis. Even though this represents an exception in the Treaties and member states generally tend not to exercise their veto right also in reality, the unanimity still represents a decisional blocking threat. It can be a serious obstacle against the correct functioning of the institutions, linked to the risks of corruption and blackmail that it allows, especially in moments of crisis. For this reason, a step forward to boost European integration through an increase of the majority decision method would imply avoiding this kind of inconvenient. Legal overview and analysis The provisions of the Lisbon Treaty33 which foresee a unanimous vote by the Council, or in other limited cases by the European Council, are 68 (13 as to TEU; 55 as to TFEU). They rise to 82 if we consider all the matters under unanimity, e.g. Article 153.2 on social policy foresees four different matters to which unanimity applies. A complete overview of those legal bases is provided below per each Treaty, including their legal reference, subject and some specific Including the Treaty on the European Union (TEU) and Treaty on the functioning of the European Union (TFEU). 33 24 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 comments, justifying the current use of the unanimity and supporting a possible switch to the majority decisional method. The matters mostly related to the unanimity decision rule are the institutional ones, the enhanced cooperation and “passerelle” clauses, freedom, security and justice space, citizenship and fundamental rights, and common foreign, security and defence policy. The decisions adopted by qualified majority by the Council represent only 20% of the measures with a legal majority basis. Nevertheless, this remaining 80% of decisions are often adopted by unanimous vote. This provides two advantages: on one side, those decisions are adopted more rapidly; on the other, the content of such decisions is generally more ambitious than the one related to the decisions taken unanimously according to a legal unanimity basis. Such consensus is the concrete expression of European integration, meaning to allow various interests converging in a common aim, which is translated in the legal measure adopted. Reasons in support of a switch from unanimity to majority decisional method Already 10 years ago, during the preparatory works of the Convention on the Constitutional Treaty, several reasons supporting the majority votes have been highlighted in a reflection note by the European Commission34 . They can be summarised as follows: - The progressive introduction of the majority vote was already foreseen in the Treaty of Rome, representing its legal basis. Nevertheless, the “empty chair” crisis in 1966 and the related Luxembourg compromise confirmed the unanimity exception for decisions involving a very important interest of a member state. This proves that trends of protection by the member states of their own decisional powers have been recurrent in the history of the European Union. - The qualified majority is implicit in the Community method. - The more the number of member states increases, the more the qualified majority is needed, in order to shorten the decisional timing. - Unanimity rule doesn’t necessarily answer better to the interest of a member state, because it can be the result of pressure by a certain national group, or by a certain category of citizens only. It can also be disadvantageous for the blocked member state. - Normally decisions foreseeing the majority vote are taken unanimously. In fact they are the result of enhanced negotiations. Ref. Bruxelles, 07/07/2003 – Reflection note on the qualified majority vote: questions and answers, submitted by the Task Force on the future of the Union and institutional matters. 34 25 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 In this last case, it is demonstrated in practice that the majority vote represents a “dissuasive measure” to reach more easily a unanimous consensus. In fact, in a decision on majority vote basis, the member state which opposes to its content generally negotiates the withdrawal of the matters it refuses, in exchange of the acceptance by others of one or more amendments on different points of major interest for it. In that case, the member state votes within the minority, or even in favour of the decision after having obtained the approval of those points essential for it. I would like to add another reason to the ones expressed above, as a useful example in support of the majority vote. The common foreign and security policy (CFSP) represents one of the areas where unanimity is mostly foreseen. A next radical step for a more integrated Europe would be to overcome veto in this sector. In fact there are other policy sectors under majority decisions which are very linked to the CFSP. An example is one of the future applications of the Galileo satellite navigation programme, i.e. the Public Regulated Service (PRS)35. Decisions concerning the Global Navigation Satellite System (GNSS) 36 are generally adopted by qualified majority, including the one on the rules for access to the PRS37. But the application of this decision follows measures decided unanimously by the Council, which shall adopt necessary instructions to the European GNSS Agency and the concession holder of the system38. This is justified by the security aspects involved in the PRS, also linked to member states’ defence. A coherent approach would be to extend the qualified majority also to the security area of the Treaties. In the specific Galileo-PRS case, not only the whole legislative framework on GNSS would remain under majority decision by the Council, including the rules establishing and regulating the functioning of the European GNSS Agency39, but also those measures with Ref. http://ec.europa.eu/enterprise/policies/satnav/galileo/applications/public-regulatedservices/index_en.htm. 36 REGULATION (EU) No 1285/2013 OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL of 11 December 2013 on the implementation and exploitation of European satellite navigation systems and repealing Council Regulation (EC) No 876/2002 and Regulation (EC) No 683/2008 of the European Parliament and of the Council. 37 DECISION No 1104/2011/EU OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL of 25 October 2011 on the rules for access to the public regulated service provided by the global navigation satellite system established under the Galileo programme - L 287/1. 38 COUNCIL JOINT ACTION 2004/552/CFSP of 12 July 2004 on aspects of the operation of the European satellite radio-navigation system affecting the security of the European Union. 39 Established by REGULATION (EU) No 912/2010 OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL of 22 September 2010 setting up the European GNSS Agency, repealing Council Regulation (EC) No 1321/2004 on the establishment of structures for the management of the European satellite radio navigation programmes and amending Regulation (EC) No 35 26 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 security impact. They would imply a possible full consent through a qualified majority decision, avoiding veto rights in crucial situations affecting the security of the member states. In the perspective of a more integrated European Union, the unanimity vote represents a brake. Instead of exercising the veto right and defending its own prerogatives in an exclusive way, the majority vote allows a member state to confront its position with others and to find a better outcome, fruit of a stimulating debate. If a new impetus is necessary to re-launch the European integration process, this can be possible through the establishment of new rules which increasingly replace the legal unanimity basis with the majority vote. Confrontation of different positions and open debate can bring to a more constructive result than a blocking veto! 683/2008 of the European Parliament and of the Council. A draft Regulation repealing the one in force is under approval. 27 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 LIST OF PROVISIONS UNANIMITY VOTE IN THE LISBON TREATY REQUIRING Treaty on the European Union TEU Legal Reference and Subject 1 TITLE I - Common Provisions Article 7.2 FUNDAMENTAL RIGHTS Determination by the European Council of the existence of a serious and persistent breach by a Member State of the values of respect for human dignity, freedom, democracy, equality, rule of law and respect for human rights, including the rights of persons belonging to minorities (ref. Article 2 TEU). 2 TITLE III - PROVISIONS INSTITUTIONS Article 17.5 Comments The ex ante determination of “risk of breach” and subsequent decision of suspension of certain rights deriving from the Treaties to the MS in question are taken by the Council by majority (majority of four fifths of its members in the first case and qualified majority in the second case). Moreover, as the determination of the “existence of a serious and persistent breach” is the condition for the decision of suspension of certain MS rights, a veto on the “determination of existence” can also block the “suspension of the rights.” ON THE The European Council has already decided to modify the number of Commissioners and has INSTITUTIONAL MATTERS maintained the current Decisions by the European Council on: provision of one 1. Alteration of the number of Commissioner per MS. Commission members; This was a sine qua non 2. Establishment of the rotation condition to obtain the system of the Commission members. ratification of the Treaty by Ireland. Therefore, a decision 28 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 related to the rotation system is not necessary anymore. 3 TITLE V GENERAL PROVISIONS ON THE UNION'S EXTERNAL ACTION AND SPECIFIC PROVISIONS ON THE COMMON FOREIGN AND SECURITY POLICY Chapter 1 General provisions on the Union's external action Article 22 CFSP Decisions of the European Council on the strategic interests and objectives of the Union, i.e. related to the common foreign and security policy and to other areas of the external action of the Union. 4 TITLE V The definition and Chapter 2 implementation of the Specific provisions on the common foreign CFSP is still interand security policy governmental. This Section1 element, together with the Common provisions delicate strategic issues involved, has justified Article 24 until now the use of CFSP unanimity. Definition and implementation of the common foreign and security policy by the European Council and the Council, except cases where the Treaties provide otherwise. 5 TITLE V Chapter 2 Section 1 Article 31.1 Here the specific provision of “constructive abstention” appears, where the abstaining MS 29 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 doesn’t block the decision CFSP committing the Union. Decisions on the common foreign and This happens only below security policy by the European Council and the ceiling of one third of the Council, outside exceptions provided in the MS comprising at the same Chapter. least one third of the population of the Union, which implies, above this ceiling, the exercise of actual veto right. 6 TITLE V Chapter 2 Section 1 Article 31.3 Here the provision opens to further possibilities of qualified majority, instead of the regular unanimity. CFSP The European Council may unanimously adopt a decision stipulating that the Council shall act by a qualified majority in cases other than those referred to in paragraph 2. Decision of the European Council stipulating the qualified majority for the Council decisions in cases other than those referred to in paragraph 2. 7 TITLE V Chapter 2 Section 1 Article 41.2 Here the unanimity is used to reinforce the intergovernmental activity on the individual states side. CFSP Decision of the Council on: 1. Cases where operating expenditure related to CFSP shall not be charged to the Union budget. 2. Cases where the gross national product scale is not used as the reference to charge the Member States. 30 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 8 TITLE V The subject of the Chapter 2 decision represents a Section 2 relevant step foreword, Provisions on the common security and though the unanimity is defence policy used. Article 42.2 CFSP Decision of the European Council on a common Union defence. 9 TITLE V Chapter 2 Section 2 Article 42.4 CFSP Decisions relating to the common security and defence policy, including those initiating a mission. 10 TITLE V Chapter 2 Section 2 Article 46.6 CFSP Decisions and recommendations of the Council within the framework of permanent structured cooperation, other than determination of participating and withdrawing Member States. 11 TITLE VI FINAL PROVISIONS Article 48.6 Simplified revision procedures INSTITUTIONAL MATTERS The unanimity to amend the provisions of Part III of the TFEU which don’t imply increase of Union competences allows to avoid the call of an inter- 31 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Decision by the European Council amending all or part of the provisions of Part Three of the Treaty on the Functioning of the European Union relating to the internal policies and action of the Union. 12 13 governmental but doesn’t double (approval governments ratification parliaments. conference, avoid the unanimity by 28 and by 28 TITLE VI Article 48.7 The "passerelle" clause allows the transition from the unanimity to the INSTITUTIONAL MATTERS qualified majority Decisions of the European Council: without modification of 1. authorising the Council to act by a the Treaties. qualified majority in a given area or case, except decisions with military implications or those in the area of defence. 2. Where the Treaty on the Functioning of the European Union provides for legislative acts to be adopted by the Council in accordance with a special legislative procedure, the European Council may adopt a decision allowing for the adoption of such acts in accordance with the ordinary legislative procedure. 3. TITLE VI Article 49 INSTITUTIONAL MATTERS Decision of the Council on the application by a new candidate member state of the Union. Treaty on the Functioning of the European Union 32 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 TFEU Legal Reference and Subject 1 PART TWO NON-DISCRIMINATION CITIZENSHIP OF THE UNION Article 19.1 AND FUNDAMENTAL RIGHTS Actions taken by the Council to combat discrimination based on sex, racial or ethnic origin, religion or belief, disability, age or sexual orientation. 2 Comments The Council has already adopted instruments of secondary legislation on non-discrimination matters. In particular, the Council has already adopted by unanimity vote various directives on matters of nondiscrimination for reasons of sex, racial origin, age or religion. Nevertheless, these directives have foreseen various derogations in favor of some member states (in particular UK) taking into account their national specificities (e.g. UK can discriminate women for some working activities, as police or military forces). This demonstrates that unanimity vote can reduce the content of European law for the benefit of some member states. PART TWO Article 21.3 CITIZENSHIP RIGHTS Adoption by the Council of measures concerning social security or social protection, for the purposes to move and reside freely within the territory of the Member States. 33 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 3 PART TWO Article 22.1 4 PART TWO Article 22.2 The Council has already adopted an instrument of secondary legislation on CITIZENSHIP RIGHTS the matter of vote to Arrangements adopted by the Council on municipal elections. the exercise of every citizen’s right to vote and to stand as a candidate at municipal elections in the Member State in which he resides, under the same conditions as nationals of that State. CITIZENSHIP RIGHTS Arrangements adopted by the Council on the exercise of every citizen’s right to vote and to stand as a candidate in elections to the European Parliament in the Member State in which he resides, under the same conditions as nationals of that State. 5 PART TWO Article 25 There are not yet acts adopted by the Council on the attribution of new CITIZENSHIP RIGHTS citizenship rights. On this Adoption by the Council of provisions to matter, the necessity of strengthen or to add to the rights listed in unanimity is reinforced Article 20(2), i.e.: by the necessity of 28 (a) the right to move and reside freely national ratifications. within the territory of the Member States; (b) the right to vote and to stand as candidates in elections to the European Parliament and in municipal elections in their Member State of residence, under the same conditions as nationals of that State; (c) the right to enjoy, in the territory of a third country in which the Member State of which they are nationals is not represented, 34 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 6 the protection of the diplomatic and consular authorities of any Member State on the same conditions as the nationals of that State; (d) the right to petition the European Parliament, to apply to the European Ombudsman, and to address the institutions and advisory bodies of the Union in any of the Treaty languages and to obtain a reply in the same language. PART THREE UNION POLICIES AND INTERNAL ACTIONS TITLE IV FREE MOVEMENT OF PERSONS, SERVICES AND CAPITAL Chapter 4 Capital and payments Article 64.3 This provision reinforces the current status and related steps forward achieved, as regards the liberalisation of the movement of capital. In this case, unanimity guarantees that steps backwards on the subject FREE MOVEMENT OF CAPITAL are taken upon common Adoption by the Council of measures agreement only. which constitute a step backwards in Union law as regards the liberalisation of the movement of capital to or from third countries. 7 PART THREE TITLE IV Chapter 4 Article 65.4 All decisions on fiscal matters require unanimity. FREE MOVEMENT OF CAPITAL In the absence of measures ex Article 64(3), and in the absence of a Commission decision within three months from the request of the Member State concerned, decision by the Council, stating that restrictive tax measures adopted by a Member State concerning one or more 35 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 third countries are to be considered compatible with the Treaties in so far as they are justified by one of the objectives of the Union and compatible with the proper functioning of the internal market. 8 PART THREE TITLE V AREA OF FREEDOM, SECURITY AND JUSTICE Chapter 2 Policies on border checks, asylum and immigration Article 77.3 AREA OF FREEDOM Adoption by the Council of provisions concerning passports, identity cards, residence permits or any other such document to facilitate the right to move and reside freely within the territory of the Member States -Ref. Article 20(2)(a)-. 9 PART THREE TITLE V Chapter 3 Judicial cooperation in civil matters Article 81.3 AREA OF JUSTICE Adoption by the Council of: 1. measures concerning family law with cross-border implications; 2. decision determining those aspects of family law with cross-border implications which may be the subject of acts adopted by the ordinary legislative procedure. 10 The unanimity is justified by family law differences in the 28 MS. In fact, it is not by chance that the first enhanced cooperation has been adopted on transnational divorce matter. PART THREE 36 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 TITLE V Chapter 4 Judicial cooperation in criminal matters Article 82.2 AREA OF JUSTICE Decision by the Council on any specific aspects of criminal procedure other than: (a) mutual admissibility of evidence between Member States; (b) the rights of individuals in criminal procedure; (c) the rights of victims of crime; on which it establishes minimum rules together with the Parliament. 11 PART THREE TITLE V Chapter 4 Article 83.1 AREA OF JUSTICE On the basis of developments in crime, decision by the Council identifying other areas of crime in the areas of particularly serious crime with a cross-border dimension resulting from the nature or impact of such offences or from a special need to combat them on a common basis. 12 A proposal for aCouncil Regulation on the establishment of the European Public Prosecutor's Office has been adopted by the AREA OF JUSTICE Regulations by the Council to establish a Commission in 2013 ( Ref. 17.7.2013 European Public Prosecutor’s Office from Brussels, COM(2013) 534 final) Eurojust. PART THREE TITLE V Chapter 4 Article 86.1 37 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 13 PART THREE TITLE V Chapter 4 Article 86.4 AREA OF JUSTICE Decision by the European Council to extend the powers of the European Public Prosecutor's Office to include serious crime having a cross-border dimension. 14 PART THREE TITLE V Chapter 5 Police cooperation Article 87.3 AREA OF JUSTICE Measures established by the Council concerning operational cooperation between Member States' competent authorities, including police, customs and other specialised law enforcement services in relation to the prevention, detection and investigation of criminal offences. 15 PART THREE TITLE V Chapter 5 Article 89 AREA OF JUSTICE Conditions and limitations laid down by the Council, under which the competent authorities of the Member States (ref. in Articles 82 and 87) may operate in the territory of another Member State in liaison and in agreement with the authorities of that State. 38 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 16 PART THREE TITLE VI TRANSPORT Article 92 AREA OF FREEDOM Measure adopted by the Council granting a derogation to the rule that no Member State may make the various provisions governing the subject on 1 January 1958 or, for acceding States, the date of their accession less favourable in their direct or indirect effect on carriers of other Member States as compared with carriers who are nationals of that State. 17 PART THREE TITLE VII COMMON RULES ON COMPETITION, TAXATION AND APPROXIMATION OF LAWS Chapter 1 Rules on competition Section 2 Aids granted by States Article 108 STATE AID Decision by the Council stating that aid granted or intended to be granted by a State shall be considered compatible with the internal market, in derogation from the provisions of Article 107 or from the regulations provided for in Article 109, if such a decision is justified by exceptional circumstances. 18 PART THREE TITLE VII Chapter 2 Second provision on fiscal matters. 39 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Tax provisions Article 113 TAXATION Provisions adopted by the Council for the harmonisation of legislation concerning turnover taxes, excise duties and other forms of indirect taxation to the extent that such harmonisation is necessary to ensure the establishment and the functioning of the internal market and to avoid distortion of competition. 19 PART THREE TITLE VII Chapter 3 Approximation of laws Article 115 20 PART THREE TITLE VII Chapter 3 Approximation of laws Article 118 The unanimity foreseen in this provision intends to protect the interests of all MS at the general level of the directives, which will leave each of them APPROXIMATION OF LAWS discretion on their Directives issued for the approximation of implementation. such laws, regulations or administrative provisions of the Member States as directly affect the establishment or functioning of the internal market. APPROXIMATION OF LAWS Regulations of the Council establishing language arrangements for the European intellectual property rights. 21 PART THREE TITLE VIII ECONOMIC AND MONETARY POLICY The peculiar content of those provisions justifies the unanimity. 40 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Chapter 1 Economic policy Article 126 ECONOMIC POLICY Appropriate provisions adopted by the Council relating to the implementation of the procedure on excessive government deficits, to replace the Protocol on the excessive deficit procedure. 22 PART THREE TITLE VIII Chapter 2 Monetary policy Article 127 Unanimity justified by attribution of new specific institutional tasks to the ECB. MONETARY POLICY Regulations by the Council conferring specific tasks upon the European Central Bank concerning policies relating to the prudential supervision of credit institutions and other financial institutions with the exception of insurance undertakings. 23 PART THREE TITLE VIII Chapter 5 Transitional provisions Article 140 Unanimity justified by important financial repercussions on MS. MONETARY POLICY In case of decisions to abrogate a derogation: the Council shall, acting with the unanimity of the Member States whose currency is the euro and the Member State concerned, irrevocably fix the rate at which the euro shall be substituted for the currency of the Member State concerned, and take the other measures necessary for 41 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 the introduction of the euro as the single currency in the Member State concerned. 24 PART THREE TITLE X SOCIAL POLICY Article 153 SOCIAL POLICY 1. Actions by the Council in the fields of: (c) social security and social protection of workers; (d) protection of workers where their employment contract is terminated; (f) representation and collective defence of the interests of workers and employers, including co-determination, subject to paragraph 5; (g) conditions of employment for thirdcountry nationals legally residing in Union territory. 2. Decision by the Council to render the ordinary legislative procedure applicable to: (d) protection of workers where their employment contract is terminated; (f) representation and collective defence of the interests of workers and employers, including co-determination, subject to paragraph 5; (g) conditions of employment for thirdcountry nationals legally residing in Union territory. 25 PART THREE TITLE X Article 155 SOCIAL POLICY 42 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 26 Actions by the Council where the agreement stemming from a dialogue between management and labour contains one or more provisions relating to one of the areas for which unanimity is required pursuant to Article 153(2). PART THREE TITLE XX ENVIRONMENT Article 192.2 ENVIRONMENTAL POLICY 1. Adoption by the Council of: (a) provisions primarily of a fiscal nature; (b) measures affecting: town and country planning, quantitative management of water resources or affecting, directly or indirectly, the availability of those resources, land use, with the exception of waste management; (c) measures significantly affecting a Member State's choice between different energy sources and the general structure of its energy supply. 2. Application by the Council of the ordinary legislative procedure to the decision on actions by the Union to achieve the following objectives (ref. Article 191): – preserving, protecting and improving the quality of the environment, – protecting human health, – prudent and rational utilisation of natural resources, – promoting measures at international level to deal with regional or worldwide environmental problems, and in particular combating climate change. 43 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 27 PART THREE TITLE XXI ENERGY Article 194 ENERGY POLICY Measures established by the Council to achieve the following objectives when they are primarily of a fiscal nature: a) ensure the functioning of the energy market; (b) ensure security of energy supply in the Union; (c) promote energy efficiency and energy saving and the development of new and renewable forms of energy; and (d) promote the interconnection of energy networks. 28 PART FOUR ASSOCIATION OF THE OVERSEAS COUNTRIES AND TERRITORIES Article 203 ASSOCIATION Provisions laid down by the Council on detailed rules and the procedure for the association of the countries and territories with the Union. 29 PART FIVE THE UNION'S EXTERNAL ACTION TITLE II COMMON COMMERCIAL POLICY Article 207.4 COMMON COMMERCIAL POLICY 1. Negotiation and conclusion of agreements in the fields of trade in services and the commercial aspects of intellectual 44 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 property, as well as foreign direct investment, where such agreements include provisions for which unanimity is required for the adoption of internal rules. 2. Negotiation and conclusion of agreements: (a) in the field of trade in cultural and audiovisual services, where these agreements risk prejudicing the Union's cultural and linguistic diversity; (b) in the field of trade in social, education and health services, where these agreements risk seriously disturbing the national organisation of such services and prejudicing the responsibility of Member States to deliver them. 30 31 PART FIVE TITLE V INTERNATIONAL AGREEMENTS Article 218.8 INTERNATIONAL AGREEMENTS 1. Negotiation and conclusion of agreements between the Union and third countries or international organisations which cover a field for which unanimity is required for the adoption of a Union act as well as of association agreements and the agreements referred to in Article 212 with the States which are candidates for accession. 2. Agreement on accession of the Union to the European Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms. PART FIVE TITLE V Article 219.1 45 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 INTERNATIONAL AGREEMENTS Formal agreements concluded by the Council on an exchange-rate system for the euro in relation to the currencies of third States, in an endeavour to reach a consensus consistent with the objective of price stability. 32 PART FIVE TITLE VII SOLIDARITY CLAUSE Article 222.3 SOLIDARITY CLAUSE Council decisions with defence implications on arrangements for the implementation by the Union of the solidarity clause (ref. Article 222.1: “the Union and its Member States shall act jointly in a spirit of solidarity if a Member State is the object of a terrorist attack or the victim of a natural or man-made disaster.”) 33 PART SIX INSTITUTIONAL AND FINANCIAL PROVISIONS TITLE I INSTITUTIONAL PROVISIONS Chapter 1 The institutions Section1 The European Parliament Article 223.1 INSTITUTIONAL MATTERS Provisions laid down by the Council and necessary for the election of Members of the Parliament by direct universal suffrage in accordance with a uniform procedure in all Member States or in accordance with 46 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 principles common to all Member States. 34 PART SIX TITLE I Chapter 1 Section 1 Article 223.2 INSTITUTIONAL MATTERS Approval by the Council of all rules or conditions relating to the taxation of Members or former Members of the Parliament. 35 PART SIX TITLE I Chapter 1 Section 4 The Commission Article 246 Institutional decision INSTITUTIONAL MATTERS Council decision establishing that a vacancy of a Member of the Commission caused by resignation, compulsory retirement or death needs not be filled, in particular when the remainder of the Member's term of office is short. 36 PART SIX Institutional measure TITLE I Chapter 1 Section 5 The Court of Justice of the European Union Article 252 INSTITUTIONAL MATTERS Increase by the Council of the number of Advocates-General of the Court of Justice 47 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 of the EU. 37 PART SIX TITLE I Chapter 1 Section 5 Article 257 Institutional decision INSTITUTIONAL MATTERS Appointment by the Council of members of the specialised courts. 38 the PART SIX TITLE I Chapter 1 Section 5 Article 262 INSTITUTIONAL MATTERS Provisions by the Council to confer jurisdiction, to the extent that it shall determine, on the Court of Justice of the European Union in disputes relating to the application of acts adopted on the basis of the Treaties which create European intellectual property rights. 39 PART SIX TITLE I Chapter 2 Legal acts of the Union, adoption procedures and other provisions Section 1 The legal acts of the Union Article 292 INSTITUTIONAL MATTERS (General provision:) Recommendations adopted by the Council in those areas in which unanimity is required for the 48 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 adoption of a Union act. 40 PART SIX TITLE I Chapter 2 Section 2 Procedures for the adoption of acts and other provisions Article 293 INSTITUTIONAL MATTERS Council amendment of a proposal from the Commission, except in the cases referred to in paragraphs 10 and 13 of Article 294, in Articles 310, 312 and 314 and in the second paragraph of Article 315. 41 PART SIX TITLE I Chapter 2 Section 2 Article 294 INSTITUTIONAL MATTERS Adoption by the Council of amendments on which the Commission has delivered a negative opinion. 42 PART SIX TITLE I Chapter 3 The Union's advisory bodies Section 1 The Economic and Social Committee Article 301 Institutional decision INSTITUTIONAL MATTERS Decision by the Council determining the Economic and Social Committee's composition. 49 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 43 PART SIX TITLE I Chapter 3 Section 2 The Committee of the Regions Article 305 Institutional decision INSTITUTIONAL MATTERS Decision by the Council determining the Committee of the Regions composition. 44 PART SIX TITLE I Chapter 4 The European Investment Bank Article 308 Institutional decision INSTITUTIONAL MATTERS Amendment by the Council of the Statute of the Investment Bank. 45 PART SIX TITLE II FINANCIAL PROVISIONS Chapter 1 The Union's own resources Article 311 FINANCIAL MATTERS Council decision laying down the provisions relating to the system of own resources of the Union, where it may establish new categories of own resources or abolish an existing category. 46 PART SIX TITLE II Chapter 2 The multiannual financial framework 50 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Article 312 FINANCIAL MATTERS 1. Council regulation laying down the multiannual financial framework. 2. Adoption by the European Council of a decision authorising the Council to act by a qualified majority when adopting the multiannual financial framework regulation. 47 PART SIX TITLE III ENHANCED COOPERATION Article 329 ENHANCED COOPERATION Council decision on authorisation proceed with enhanced cooperation. 48 to PART SIX TITLE III Article 331.2 ENHANCED COOPERATION Actions taken by the Council in the field of participation of a Member State in enhanced cooperation in progress in the framework of the common foreign and security policy and adoption of any transitional measures necessary on the application of acts already adopted within the framework of enhanced cooperation. 49 PART SIX TITLE III Article 332 ENHANCED COOPERATION Council decision deviating from This provision is justified by the nature of the enhanced cooperation itself, which is implemented by some MS the only and on their own 51 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 provision which foresees that expenditure initiative. resulting from implementation of enhanced cooperation, other than administrative costs entailed for the institutions, shall be borne by the participating Member States. 50 PART SIX TITLE III Article 333.1 ENHANCED COOPERATION Council decision stipulating that it will act by a qualified majority, where a provision of the Treaties which may be applied in the context of enhanced cooperation stipulates that the Council shall act unanimously. 51 PART SIX TITLE III Article 333.2 ENHANCED COOPERATION Council decision stipulating that it will act by the ordinary legislative procedure, where a provision of the Treaties which may be applied in the context of enhanced cooperation stipulates that the Council shall adopt acts under a special legislative procedure. 52 PART SEVEN GENERAL AND FINAL PROVISIONS Article 342 These are "passerelle" clauses, which allow the transition from the unanimity to the qualified majority and from the special legislative procedure to the ordinary legislative procedure without modification of the Treaties. These are "passerelle" clauses, which allow the transition from the unanimity to the qualified majority and from the special legislative procedure to the ordinary legislative procedure without modification of the Treaties. Institutional measure INSTITUTIONAL MATTERS Council regulations determining the rules governing the languages of the institutions of the Union. 53 PART SEVEN 52 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Article 346.2 SECURITY Changes made by the Council to the list of the following products: arms, munitions and war material -Ref. Article 346.1 (b)- for which any Member State may take measures as it considers necessary for the protection of the essential interests of its security. 54 PART SEVEN Article 352 The unanimity decision procedure replaces in fact in these cases the regular MEASURES TO ATTAIN OBJECTIVES procedure foreseen for 1. Appropriate measures adopted by the the revision of the Council if action by the Union is necessary, Treaties. within the framework of the policies defined in the Treaties, to attain one of the objectives set out in the Treaties, and the Treaties have not provided the necessary powers. 2. Where the measures in question are adopted by the Council in accordance with a special legislative procedure, it shall also act unanimously on a proposal from the Commission and after obtaining the consent of the European Parliament. 55 PART SEVEN Article 355 STATUS OF A DANISH, FRENCH OR NETHERLANDS COUNTRY OR TERRITORY Decision of the European Council amending the status, with regard to the Union, of a Danish, French or Netherlands country or territory referred to in 53 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 paragraphs 1 and 2 of Article 355. List of acronyms and abbreviations TUE: Treaty on the European Union TFUE: Treaty on the functioning of the European Union MS: member state/s CFSP: common foreign and security policy PRS: Public Regulated Service GNSS: Global Navigation Satellite Systems Acknowledgments: I would like to thank Prof. Paolo Ponzano (European University Institute) and Prof. Francesco Gui (Universita’ la Sapienza di Roma) for the valuable inputs provided. Disclaimer: the ideas and opinions expressed in this article strictly belong to the author and shall not be referred to the European GNSS Agency. 54 S. Polidori, Unanimity in the Lisbon Treaty Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Approfondimenti e proposte di Paolo Ponzano Disposizioni del Trattato di Lisbona che richiedono il voto unanime. Le disposizioni del Trattato di Lisbona (TUE + TFUE) che prevedono il voto unanime per le decisioni del Consiglio (o, in certi casi limitati, del Consiglio europeo) sono 68 (che salgono a 82 se si calcolano tutte le materie sottoposte al voto unanime : per esempio, l'art 153, par 2, in materia di politica sociale prevede quattro diverse materie a cui si applica il voto all'unanimità). Le disposizioni del TUE che prevedono il voto unanime sono contenute negli articoli 7,2, 17,5, 22, 24, 31,1, 31,3, 41,2, 42,2, 42,4, 46,6, 48,6, 48,7 e 49 ( in tutto 13 casi). Le disposizioni del TFUE che prevedono il voto unanime sono contenute negli articoli 19, 21,3, 22,1, 22,2, 25, 64, 65, 77,3, 81,3, 82,2, 83,1, 86,1, 86,4, 87,3, 89, 92, 108, 113, 115, 118, 126, 127, 140,3, 153,2, 155,2, 192,2, 194,3, 203, 207,4, 218,8, 219,1, 222,3, 223,1, 223,2, 246, 252, 257, 262, 292, 293, 294,9, 301, 305, 308, 311, 312, 329,2, 331,2, 332, 333,1, 333,2, 342, 346,2, 352 e 355 ( per un totale di 55 casi). Le materie maggiormente sottoposte alla regola del voto unanime sono le seguenti : a) 15 disposizioni riguardano decisioni di natura istituzionale (nomine, competenze delle Istituzioni europee, ecc...); b) 9 disposizioni riguardano le cooperazioni rafforzate e le clausole dette “passerelle”; c) 8 disposizioni riguardano lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia; d) 6 disposizioni riguardano i diritti di cittadinanza e i diritti fondamentali; e) 5 disposizioni riguardano la politica estera, di sicurezza e difesa comune; f) 3 disposizioni riguardano la politica sociale e la protezione dell'ambiente (che si applicano tuttavia a circa 11/12 materie); g) 3 disposizioni riguardano gli accordi internazionali ( che si applicano tuttavia a sette materie); h) 3 disposizioni riguardano la fiscalità; 55 P. Ponzano, Approfondimenti e proposte Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 i) 2 disposizioni riguardano le risorse proprie ed il quadro finanziario pluriennale; l) 2 disposizioni riguardano la politica economica e monetaria. Va ricordato che le decisioni prese a maggioranza qualificata dal Consiglio riguardano solo il 20% circa delle disposizioni che dispongono di una base giuridica maggioritaria. Tuttavia, le decisioni prese di fatto all'unanimità anche in presenza di una base giuridica maggioritaria (vale a dire il restante 80 %) presentano due vantaggi : da un lato, esse sono prese più rapidamente, dall'altro, il contenuto di tali decisioni è in regola generale più ambizioso delle decisioni prese all'unanimità in presenza di una base giuridica unanime. 56 P. Ponzano, Approfondimenti e proposte Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Revising the European Treaties The proliferation of crisis of national debts (Greek, Ireland, Spain, Portugal, and Cyprus) has proved that we cannot overcome the current difficulties of the single currency without the achievement of a genuine economic and monetary Union. As already asserted by several scholars, a monetary Union cannot survive without a political Union or an economic Union equipped with an automatic mechanism of safeguard in order to thwart any asymmetric shock between national economies. For this purpose, the European Council has decided, in principle, to achieve a genuine economic and monetary Union which could provide the European Union, in the next two or three years, with new competences in the field of economic policy, create a true European Treasury (or a European Minister of Treasury), establish new European mechanisms of solidarity (such as Eurobills, "Redemption Fund" or others mechanisms) and create a distinct European budget for Euro Area. The European Commission has adopted in November 2012 a Blueprint for a deep and genuine EMU, which contain a set of measures at short, medium and longer term in order to achieve this objective. Some of these measures can be adopted by the secondary law of the Union, while others (as a proper fiscal capacity for the Euro-area, a Redemption Fund and the Eurobills) will require Treaty changes. From a legal point of view, this review of the Lisbon Treaty will require the use of the procedures established by the same Treaty, in particular the requirement of unanimity of the 28 Member States for ratifying the new Treaty (following either a parliamentary or referendum way). This requirement cannot be overcome, except for the case in which the Member States would decide a "constitutional break-down" which would require the use of procedures not provided for by the Treaty, for instance: 1) the appeal for a majority of Member States to the provision "rebus sic stantibus" of the Vienna Convention to adopt a new Treaty among them; 2) the use of a majority procedure for the ratification of a new Treaty deleting the current one, on the model of the “Penelope project”; 3) the appeal for the withdrawal provision provided for by the article 50 of the Lisbon Treaty in favour of a Member State, but exercised together 57 P. Ponzano, Approfondimenti e proposte Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 by a majority of Member States willing to conclude a new Treaty for Euro Area countries. Up to now, a political will of the Member States of the Euro-Area to resort one of these exceptional procedures does not seem to exist (as confirmed by the cautious reactions of Euro Area governments to the recent speech of the British Prime Minister). In this situation, the necessary review of European Treaties to achieve a genuine EMU will require the ratification from 28 Member States and, therefore, the agreement of the United Kingdom on the new Treaty (including the possible change of the art. 48 TEU in order to introduce a majority procedure for the future changes of the Treaties). Unless a future Labour government would change completely the current approach of Mr. Cameron, the British government will ask in the negotiation of 2015 the repatriation of some competences of the European Union in social, migration and others fields. As this request is unlikely to be accepted by others Member States, we could expect that European Council will decide to grant to the United Kingdom a set of new derogations or “opting-out” provisions. This solution could constitute a “deal” for establishing, in exchange, the Euro-Area as a permanent “enhanced cooperation” which could deepen its integration and pursue the way towards a political Union without the British agreement. By the way, this new situation could be consistent with the statement of British Prime Minister following which the United Kingdom does not want to prevent the Member States of Euro Area from deepen their integration. Such a review of European Treaties (assuming the agreement of the British people in a possible referendum) would allow the United Kingdom to maintain the benefits of the European Union (notably of the single market), while having a special status not very different, in terms of content of policies, of the status existing during the years 1993-1997 (when the United Kingdom was not participating neither to the establishment of the EMU nor to the Schengen system nor to the Social Protocol). Of course, from an institutional point of view, such a review of the European Treaties would establish a “two-speed Europe” in which some MS would maintain for some years the current level of integration, while others MS would deepen their integration and create a genuine EMU. However, this solution does not imply that the Euro-zone become necessarily the first class of a permanent “two-class” European Union, but could remain the temporary vanguard of a whole Union, playing the role of a locomotive and showing the way to all other Member States willing to be part of it. 58 P. Ponzano, Approfondimenti e proposte Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 CICLO DI SEMINARI SPECIALISTICI SULLE POLITICHE EUROPEE Seminario “Semestre di Presidenza italiana dell’Ue (Luglio – Dicembre 2014): funzioni della Presidenza, priorità italiane e opportunità per le Regioni” Venerdi 13 dicembre 2013, ore 10.30 – 13.30 CINSEDO, Roma Intervento Prof. Paolo Ponzano - Consigliere speciale del Vicepresidente della Commissione europea Šefčovič; European University Institute Senior Fellow. Le funzioni della Presidenza. Abstract La funzione principale della Presidenza semestrale del Consiglio dell'Unione europea (e non, come si usa dire, dell'Unione europea tout court) è quella di presiedere le attuali nove formazioni del Consiglio (Affari generali; Affari Economici e Finanziari; Giustizia e Affari Interni; Politica sociale, Occupazione, Sanità e Consumatori; Competitività (Mercato interno, Industria e Ricerca); Trasporti, Telecomunicazioni ed Energia; Agricoltura e Pesca; Ambiente; Istruzione, Gioventù e Cultura). Anche se il Consiglio dei Ministri dell'UE è un'Istituzione unica, i Ministri si riuniscono nelle formazioni suddette in funzione delle materie trattate. La Presidenza del Consiglio “Affari generali” è la più importante in quanto tale formazione prepara i lavori del Consiglio europeo (composto dai Capi di Stato o di governo dei 28 paesi dell'UE). Contrariamente alla situazione anteriore al Trattato di Lisbona, la Presidenza semestrale non presiede più il Consiglio europeo (che dispone di un Presidente semi-permanente per due anni e mezzo, rinnovabile fino a cinque anni) né il Consiglio “Affari esteri” presieduto dall'Alto Rappresentante per la politica estera. Lo Stato che esercita la presidenza semestrale presiede sempre gli organi preparatori del Consiglio (Comitato dei Rappresentanti permanenti e gruppi di lavoro) nonché le riunioni con il Parlamento europeo per la procedura legislativa (Comitato di conciliazione, riunioni dette “triloghi” formali e informali). Contrariamente alla situazione pre-Lisbona, la Presidenza semestrale non esercita più la rappresentanza esterna dell'UE (esercitata dalla Commissione europea per le materie di competenza dell'UE e dal Presidente del Consiglio europeo o dall'Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza). Inoltre, la Presidenza semestrale deve concordare un programma di 61 P. Ponzano, Approfondimenti e proposte Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 lavoro con le due Presidenze che la seguono e/o la precedono (Presidenza collettiva per diciotto mesi). La Presidenza italiana del secondo semestre 2014 sarà una Presidenza di cerniera nella misura in cui dovrà gestire una serie di scadenze istituzionali che impattano sul periodo Luglio-Dicembre 2014. Tali scadenze riguardano : - le elezioni del nuovo PE nel Maggio 2014 : l'elezione del nuovo Presidente del PE, dei Vice-Presidenti e delle Commissioni parlamentari avranno luogo nei mesi di Luglio e Settembre 2014; l'attività legislativa e di controllo del PE comincerà effettivamente nell'Ottobre 2014. - la nomina della nuova Commissione : il Presidente designato dal Consiglio europeo sarà eletto dal PE nel Luglio 2014. Dopo le proposte per la nomina dei Commissari da parte dei governi e le audizioni da parte del PE, la nuova Commissione sarà votata dal PE ed entrerà in carica il 1/11/2014. - Occorrerà nominare il nuovo Presidente permanente del Consiglio europeo, il nuovo Alto Rappresentante ed il nuovo Presidente dell'Euro-gruppo. Spetterà alla Presidenza italiana gestire questo pacchetto di nomine. - Il Trattato di Lisbona prevede il passaggio al sistema della “doppia maggioranza” per i voti in seno al Consiglio a partire dal 1/11/2014. Come già ricordato, la Presidenza italiana non comporterà più la Presidenza del Consiglio europeo, del Consiglio “Affari esteri” e dell'Eurogruppo. In senso contrario, la Presidenza semestrale italiana avrà un aggravio di compiti rispetto a quella del 2003 a causa della : - “istituzionalizzazione” del ruolo della “Troika” (vale a dire del trio di Presidenze semestrali). L'Italia dovrà coordinare il suo programma di lavoro con la Lettonia ed il Lussemburgo. - Maggiore attività legislativa in “codecisione” poiché il 90% delle leggi europee dovrà essere deciso di comune accordo tra il Consiglio ed il PE. - Maggiore presenza della Presidenza alle sedute plenarie ed alle Commissioni del PE. - Necessità di supplire l'Alto Rappresentante per la politica estera. Sul piano dei contenuti, non è escluso che la Presidenza italiana sia chiamata a prendere l'iniziativa di convocare una nuova Conferenza intergovernativa per la modifica dei Trattati in base all'articolo 48 del Trattato e, 62 P. Ponzano, Approfondimenti e proposte Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 in conseguenza, decidere di convocare una nuova Convenzione analoga a quella del 2002/2003 presieduta da Valery Giscard d''Estaing. Infatti, non è escluso che la Commissione europea proponga nuove iniziative in materia di governance economica della zona Euro e che tali iniziative richiedano modifiche dei Trattati. Inoltre, il governo britannico ha chiesto delle modifiche del Trattato nel 2015 al fine di rimpatriare a livello nazionale alcune competenze dell'Unione europea. Se tali modifiche dovessero entrare in vigore nel corso del 2015, sarebbe indispensabile convocare una Conferenza intergovernativa prima della fine del 2014. 63 P. Ponzano, Approfondimenti e proposte Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 ALLEGATI Note de réflexion Bases juridiques prévoyant le vote à l’unanimité 64 P. Ponzano, Approfondimenti e proposte Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 La fondazione della città di L’Aquila di Andrea Casalboni Introduzione L’obiettivo di questo testo è quello di analizzare la situazione che ha portato alla nascita della città di L’Aquila, attraverso lo studio degli elementi presenti nella regione al momento della fondazione e delle fonti che trattano della storia della città prima e dopo la sua creazione, nella speranza di gettare luce su quanto accadde allora. Si cercherà dunque di produrre un’analisi dei primi cinquant’anni di vita della città, durante i quali L’Aquila si sviluppa fino a raggiungere una fisionomia stabile e consolidata. Le fonti più importanti cui ci dedicheremo sono una lettera di Gregorio IX, il privilegio di Corrado IV, una lettera di Alessandro IV, la lettera del Comune aquilano al re d’Inghilterra, le cronache dello pseudo-Iamsilla e di Saba Malaspina e per finire la Cronica di Buccio da Ranallo; studieremo inoltre la posizione dei cistercensi in Abruzzo in rapporto alla città di L’Aquila e al suo territorio – confrontandola con quella tenuta dall’ordine in Aquitania; vedremo infine la crescita dell’autonomia cittadina sotto Carlo I e Carlo II d’Angiò. La situazione precedente la fondazione Quella che sarà la vallata di L’Aquila era, alla fine della prima metà del XIII secolo, divisa tra due diocesi: Amiterno e Forcona, entrambe facenti parte del Regno di Sicilia. I loro territori erano un perfetto esempio di frammentazione feudale, spartiti tra i baroni locali40 in lotta contro l’imperatore Federico II – il 40 Di cui i più importanti erano i baroni di Ocre, di Poppleto, di Carapelle e di Celano. 65 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 quale fece costruire diverse fortezze41 nella regione allo scopo di contenerne le ribellioni –, e le terre in possesso delle abbazie cistercensi recentemente installatesi in Abruzzo, filiazioni di Santa Maria di Casanova 42. Erano inoltre presenti dei castella diocesana43: dei borghi dotati di una chiesa e di un castello, situati unicamente nella diocesi di Forcona – ed erano dei borghi sui quali il vescovo aveva anche giurisdizione civile. Le fonti sulla fondazione: la lettera di Gregorio IX La prima menzione della possibile fondazione di una città in località Acculi è contenuta in una lettera di papa Gregorio IX risalente al 7 settembre 122944 e indirizzata agli abitanti delle diocesi di Amiterno e Forcona, in risposta all’ambasciata da loro inviata al pontefice. La regione era in quel momento attraversata dal conflitto tra i baroni locali e Federico II: i signori feudali si erano ribellati ed avevano subito una severa repressione. Gregorio IX, da sempre schierato contro l’imperatore, acconsente alla richiesta degli abitanti dei castelli delle diocesi di Amiterno e Forcona di costruire la città – la concessione avviene in virtù dei diritti feudali di cui il pontefice dispone sul Regno di Sicilia fin dalla sua nascita ad opera di Ruggero II. A dispetto degli sforzi di Gregorio IX, tuttavia, e della volontà degli abitanti della regione, la città non sarà edificata, presumibilmente per via della netta vittoria riportata da Federico II sui baroni ribelli. 41 Un documento del 1239 contiene l’elenco delle fortezze che l’imperatore ordina di riparare o per le quali nomina nuovi responsabili – nel contesto di una generale riorganizzazione della giurisdizione imperiale –: Leporanica, Pizzoli, S. Vittorino, Arischia, Croce S. Nicola, Machilone, Stiffe, Fontecchio, S. Stefano di Sessanio, Rocca Calascio, Castelnuovo, Caporciano, Rocca Preturo, Ofena; sono tutti castelli situati nella futura vallata aquilana. Il documento è edito in E. Sthamer, Bauten der Hohenstaufen in Unteritalien – Die Verwaltung der Kastelle im Königreich Sizilien unter Friedrich II und Karl I von Anjou, Verlag von Karl W. Hiersemann, Leipzig 1914, pp. 119 e 122. 42 Fondata nel 1191: cfr. A.L. Antinori, Annali degli Abruzzi, Bologna s.d., VIII, 127. 43 Nominati per la prima volta in una bolla di Alessandro III diretta al vescovo di Forcona, datata 1178. 44 Ed. C. Radenberg, in Monumenta Germaniae Historica, Epistolae saeculi XIII e regestis pontificum romanorum selectae, Ex Gregorii IX Registro, I, München 1982, n. 402, pp. 321-322. 66 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Le fonti sulla fondazione: il privilegio di Corrado IV Risale al 1254 il privilegio di Corrado IV45. Il testo è mutilo all’inizio e alla fine, per cui l’attribuzione è sempre risultata difficile e il diploma è stato per lungo tempo incluso tra quelli di Federico II, ma la paternità di Corrado è provata da un atto notarile del 125546. Il termine ante quem per la sua datazione è dato dalla morte di Corrado IV il 20 maggio 1254; il termine post quem è definito invece dalla supplica rivolta il 6 maggio 1253 dalle popolazioni di Amiterno e Forcona al consigliere regio Tommaso da Marerio, per richiedere la sua intercessione "ad constructionem civitatis Aquilae faciendam"47. Il diploma è evidentemente volto ad ostacolare i baroni locali: i riferimenti ai ribelli e ai briganti, la confisca delle foreste e dei boschi, la liberazione dagli obblighi feudali per quanti fossero andati a stabilirsi entro i confini della nuova città, l’autorizzazione ad abbattere tutti i castelli e i fortilizi all’interno degli stessi confini, il permesso di trasferirsi a L’Aquila anche per quanti venissero da altre regioni ed infine il divieto di costruire torri all’interno della città – tutte queste indicazioni testimoniano la precisa volontà del sovrano attenuata, ma non troppo, dall’obbligo per i nuovi cittadini di pagare un indennizzo ai loro signori d’un tempo, tanto per i servizi feudali quanto per i beni che questi perdevano. Tale requisito induce a pensare che si volesse evitare una massiccia presenza in città del ceto più basso della popolazione, quelli che Buccio chiama “i villani” – e la prudenza in tal senso è perfettamente motivata, come dimostra la vicenda di Ramotto48. A stabilirsi nella nuova città sono tanto contadini quanto artigiani, commercianti, perfino baroni49. Non sappiamo se il primo nucleo cittadino sia nato precedentemente rispetto al diploma di Corrado IV o ne sia una conseguenza, ma il privilegio è costruito in modo estremamente logico, con precise ragioni ed intenzioni chiaramente esposte dal sovrano, e non contiene cenni a borghi precedenti – il 45 L’edizione critica moderna del Privilegium concessum de Constructione Aquile è ad opera di G.M. Monti, Lo stato normanno svevo, Trani 1945, pp. 311-317, ed è essenziale per l’attribuzione del documento a Corrado IV e per la sua datazione. 46 "Nos Raynaldus et Thadeus filii quondam Don. Thomasii Berardi Gherardi de Rocca de Medio cives Aquile … Liberamus et absolvimus … secundum tenorem Sacri Regii Privilegii Domini Regis Chonradi ex hominibus et universitati Civitatis Aquile indulti", contenuto in L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, Milano 1742, VI, col. 516. 47 L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, VI, col. 516. 48 Il quale, stando al racconto di Buccio, si mette alla guida dei villani e li conduce in città, dove provoca una sollevazione. Ramotto finirà impiccato, e con lui saranno uccisi molti suoi seguaci. Il personaggio che non è menzionato da nessun altro documento o testimonianza dell’epoca: cfr. A.L. Antinori, Annali, IX, p. 497; cfr. anche A. Clementi, Momenti del medioevo abruzzese, Roma 1976, nota 38 pp. 72-77. 49 A.L. Antinori, Annali degli Abruzzi dalle origini all’anno 1777, vol. IX, p. 247. 67 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 suo essere mutilo non aiuta tuttavia a chiarire i discrepanze tra la situazione in esso illustrata e la storia narrata nella Cronica di Buccio da Ranallo, che avremo modo di studiare più avanti. Le fonti sulla fondazione: la lettera di Alessandro IV Il 22 dicembre 1256, ossia poco più di due anni dopo la morte di Corrado IV, la città di L’Aquila viene eletta sede episcopale attraverso una lettera di Alessandro IV50. Il pontefice è nipote di Gregorio IX, ed era stato nominato cardinale nel 1227. La sua politica era in contrasto con quella di Manfredi, fratellastro di Corrado IV, e la lettera del pontefice è probabilmente volta a far schierare la nuova città con la "pars ecclesiae" nel conflitto contro il sovrano svevo – obiettivo peraltro raggiunto, dal momento che L’Aquila si opporrà a Manfredi, presumibilmente proprio in cambio dei vantaggi, soprattutto in termini di attrattiva sulle popolazioni circostanti, conseguiti divenendo sede vescovile. Le fonti sulla fondazione: la lettera al re d’Inghilterra Nel 1258 Manfredi, eletto da poco sovrano del Regno – in seguito alla diffusione ad arte della notizia della morte di Corradino, figlio di Corrado IV e legittimo erede al trono –, intraprende una serie di spedizioni militari al fine di affermare la sua autorità e porre fine alle ribellioni. L’Aquila, nemica del re, non può sperare di difendersi militarmente ma tenta ugualmente di approntare delle difese diplomatiche inviando una lettera al re d’Inghilterra. Enrico III risponde nel luglio del 1258, ma fin dall’anno precedente aveva messo a disposizione della città 540 marchi da utilizzare per la sua difesa51. Tale aiuto ad opera di Enrico III può essere spiegato attraverso il cosiddetto “negotium Siciliae”: Innocenzo IV nel 1253 aveva offerto la corona del Regno di Sicilia al re d’Inghilterra, e l’interesse inglese per il Regno doveva essersi mantenuto alto. L’intervento di Enrico III ci mostra l’importanza che la città di L’Aquila doveva aver già raggiunto negli equilibri geopolitici locali – importanza che ne giustifica la distruzione da parte di Manfredi. Le fonti sulla fondazione: lo pseudo-Iamsilla e Saba Malaspina 50 Ed. C. Radenberg, Monumenta Germaniae Historica, Epistolae saeculi XIII e regestis pontificum romanorum selectae, III, Berolini 1894, Ex Alexandri IV Registro, 448, p. 413. 51 Cfr. G. Marinangeli, L’Aquila e il “negotium Siciliae”, in «Bollettino della Deputazione Aquilana di Storia Patria», 70 (1980), pp. 373-405. 68 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Le cronache dello pseudo-Iamsilla52 e di Saba Malaspina53 menzionano entrambe L’Aquila, e solo per raccontarne la distruzione ad opera di Manfredi. Lo pseudo-Iamsilla narra la vicenda nei capitoli finali della sua cronica: Usque ad idem quoque tempus civitas Aquilae, quae a quondam Rege Conrado in confinibus Regni condita fuerat, magna populi numerositate plena, etiam in rebellione duraverat, ad quam Terram evincendam multum laboris hactenus fuerat exactum, nec ullo modo poterat expugnari. Statutae autem erant circa Territorium civitatis ipsius multae familiae militum, et aliorum armatorum, quibus civitas ipsa aliquantulum arctabatur, non tamen adeo, quod non possent cives quocumque vellent ad suas necessitates exire. Audientes autem ipsius Civitatis incolae victoriam Principis, et praesertim qualiter Terram Laboris de facili recuperasset, qualiter etiam tota Sicilia ad suum mandatum redierat, non inconsulte considerantes, quod difficile erat eis ultra resistere Principi, cui tota Sicilia, et Terra Laboris resistere non potuit, miserunt Nuntios ad Principem, per quos se, et civitatem ipsam ad mandatum Principis humiliter obtulerunt. 54 Saba Malaspina ci racconta invece una storia in parte differente: […] Rex Mandfredus, curas exercituales aggrediens cum magnifico et prepotenti exercitu versus regni confinia consilio deliberato procedit. Erat enim in extremis regni partibus olim rege Corrado favente civitas Aquile in odium baronum de illa contrata per ipsorum villanos de novo constructa, in qua de diversis castrorum circumadiacencium incolis, non absque quamplurium exprovincialium iactura nobilium et predictorum baronum, rusticorum adunata congeries in tantum iam multidudine populosa concreverat, quod de suarum virium temeritate superbiens se vicinis exhibebat horribilem et dominantis in regno dominio suis operibus indevotam, quin pocius velut pars universo non congruens generalibus regni statutis reputebat indecens colla submittere et singulares sibi vivendi formulas conficere presumebat. Sperabant enim in presumpte libertatis statu contra eorum dominos apostolice sedis auxilio confoveri. Et ideo contra Manfredum, eciam post sue coronationis tempora pertinax in rebellione iam facta, sub velamine devotionis ecclesie regi parere contumaciter contempnebat. Ad rusticorum itaque domandam proterviam et per hec restituenda lesis quampluribus iura sua Manfredus victoriosus accingitur. Sed antequam civitatis menibus eius se vicinaret exercitus, tanquam populorum difformibus erecta particulis maceria ruinosa dispergitur, et dum volare super vicinos nititur Aquila, plumis nudata solo deprimitur, universis habitatoribus, quibus tutele veniam in personis et rebus clemencia regalis indulsit, subito vacuata deseritur, et que dudum plena populo stare nescierat, in combustionem et cibum ignis illico tradita sola sedet. Ea sic 52 La prima notizia su questa cronica risale al 1662, nel tomo IX dell’Italia Sacra di Ferdinando Ughelli, dove compare anonima. Nel 1725, Muratori l’attribuì a Niccolò Iamsilla. Il titolo, De Rebus Gestis Frederici II. Imperatoris ejusque filiorum Conradi et Manfredi et Apuliae Siciliae regum, illustra la portata temporale dell’opera, che va dal 1210 al 1258. Recenti studi mostrano tuttavia che la cronica è in realtà composta da frammenti di altre opere, cfr. F. Delle Donne, Gli usi e i riusi della storia. Funzioni, struttura, parti, fasi compositive e datazione dell’Historia del cosiddetto Iamsilla, in «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo», 113, Roma 2011. 53 Ed. W. Koller, MGH, Scriptores, 35, Hannoverae 1999. 54 G. Del Re, Cronisti e scrittori sincroni napoletani, Napoli 1868, volume II, p. 103. 69 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 itaque redacta in nichilum rex Manfredus in Apuliam exercitu dissoluto revertitur, ut membra bellicis fatigata laboribus quietis grate dulcedine placidisque solaciis restauraret. 55 Il simbolismo adottato dal Malaspina mostra bene la visione che della questione aquilana dovevano avere i suoi contemporanei. Quel "plumis nudata solo deprimitur" rappresenta chiaramente la razionalizzazione compiuta da Manfredi nel risolvere un problema, un’anomalia: la città nuova che, sottrattasi al giogo dei baroni, forte del numero dei suoi abitanti, de suarum virium temeritate superbiens, se vicinis exhibebat horribilem. Esattamente come lo pseudoIamsilla, Malaspina identifica tra le ragioni del supporto di Corrado IV alla nascita della città una chiara funzione anti-baronale, condivisa peraltro da tutte le fonti a eccezione del diploma di Corrado stesso – nel quale questo intento non è mai espresso esplicitamente. Altra informazione importante che ci è trasmessa dalla cronica di Saba Malaspina è l’ampia partecipazione popolare alla nascita della città. Malaspina, proveniente da una famiglia aristocratica, non può evitare di sottolineare il carattere sociale dei protagonisti della fondazione, con una descrizione decisamente negativa. La città, creata in odium baronum – e per questa ragione supportata da Corrado –, finisce per sgretolarsi, abitato troppo recente e poco coeso, non appena l’armata di Manfredi si avvicina. Allo stesso modo dello pseudo-Iamsilla, quindi, Malaspina racconta come gli abitanti di L’Aquila, raccolti i loro beni ed abbandonata la città, siano stati graziati da Manfredi: il solo particolare in cui le due cronache differiscono è la distruzione della città, peraltro troppo recente per essere giunta ad uno stadio di edificazione realmente avanzato. A giustificare tale distruzione è senza dubbio la necessità di Manfredi di assicurarsi la fedeltà dei baroni. Il fatto che la rivolta sociale da cui era nata L’Aquila rappresentasse un evento straordinario, stando ai canoni del tempo, sarà raccontato ancora meglio da Buccio, il quale sarà tuttavia meno critico verso i cittadini: se Saba Malaspina, aristocratico romano, condanna la ribellione di per sé stessa, il cronista aquilano ne limita le connotazioni rivoluzionarie indicando come i rivoltosi non cercassero l’autonomia, bensì l’emancipazione dai signori feudali per passare sotto il controllo diretto del sovrano, ritenuto evidentemente più mite. Buccio condivide, nondimeno, la visione di Malaspina sui villani, da entrambi criticati aspramente e descritti come facili alla superbia. Le fonti sulla fondazione: la lettera di Clemente IV La distruzione causata da Manfredi mette fine alla prima esperienza cittadina. Gli abitanti tornano a disperdersi tra i castelli del contado, e di quanto avevano 55 Liber II, pp. 120-121. 70 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 edificato non rimane niente. Tutto ciò che sappiamo di questa prima esperienza è che la città aveva un reggimento municipale, con sindaco e consiglio cittadino, come dimostra la bolla di Alessandro IV e la lettera che la città invia a Enrico III d’Inghilterra56. Il primo vescovo aquilano, Berardo da Padula, trasferitosi insieme alla diocesi nel 1257, torna a Forcona, dove sarà seppellito nel 1264. L’arrivo di Carlo I d’Angiò, che sbarca a Roma il 14 maggio 1265, cambia tutto: gli abitanti della vallata inviano ambasciatori per trattare la ricostruzione di L’Aquila. In questo contesto va ad inserirsi la lettera di Clemente IV a Carlo, nella quale il pontefice rivendica l’appartenenza dell’antica diocesi di Amiterno al territorio della diocesi di Rieti, esprimendosi altresì in modo caustico sulla vicenda della prima fondazione e muovendo pesanti accuse contro quanti avevano fondato la città: […] Dudum siquidem multitudinis hominum eisdem Ecclesiis et nobiliibus subditorum de Diocesi Reatina, et aliis vicinis partibus, ex diversis Castris, Villis et locis cospirantis in unum factiosa praesumptio, in eam spiravit, et tandem prorupit temeritatis audaciam, quod iidem satagentes jugum originariae condicionis abdijcere, et Ecclesias et nobiles praedictos, quibus tenebantur ad varia, non solum debitis defraudare servitiis, verum etiam de multitudine confidentes, sicut evidens indicavit effectus, opprimere, illisque praeesse, quibus et diu subfuerant, et subesse, de suae conditionis debito tenebantur; a quondam Conrado nato quondam Frederici olim Romanorum Imperatoris, qui Regnum Siciliae post sententiam depositionis, et privationis latam in Imperatorem eundem; occupatum tunc temporis detinebat, iniquis et fraudolentis persuasionibus obtenta licentia, Civitatem construere praesumpserunt; cui Aquila imposito nomine, se pullos Aquilae operibus exhibentes, lamberunt Ecclesiarum et nobilium sanguinem: non solum Ecclesias et Nobiles ipsos spoliantes, et ad pauperiem deducentes extremam; immo Sacordotes et alios varios Clericos, Nobiles quoque suos etiam Dominos, immaniter, ut multorum habet assertio, trucidantes. 57 Questa lettera, che supporta l’opposizione dei baroni alla ricostruzione di L’Aquila, dimostra altresì l’intenzione del pontefice di migliorare il proprio controllo sull’amiternino. Ma Carlo I non accetterà le pretese del papa: dopo la battaglia di Benevento, il 26 febbraio 1266, L’Aquila sarà ricostruita. Carlo I d’Angiò Le modalità della ricostruzione non ci sono pervenute se non attraverso il diploma di Carlo II58, il quale tuttavia sostiene di aver visto il privilegio paterno, del quale conferma diverse parti. Buccio da Ranallo elenca, tra gli accordi stretti 56 Alessandro IV si rivolge nella sua bolla a "consilio et communi Aquilensibus"; la lettera a Enrico III è invece inviata da "Potestas et Commune Aquilensium". 57 L. A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, vol. VI, coll. 524-525. 58Vedi il Diploma di Carlo II del 28 settembre 1294 in S.A., Regia Munificentia erga aquilanam urbem variis privilegis exornatam, Aquila 1639, pp. 1-3. 71 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 con il sovrano: l’appartenenza del territorio cittadino al demanio reale e il diritto dei nuovi abitanti della città a un appezzamento di terra per ciascun fuoco. Ogni appezzamento sarebbe stato lungo sette canne 59 e mezzo per quattro canne di larghezza; ciascun appezzamento avrebbe avuto il valore di dodici carlini – un fiorino d’oro –, da versare al re. Pur essendo andato perduto il diploma di Carlo I, di questo sovrano rimane l’Ordine60 rivolto al suo capitano a L’Aquila, Ponzio di Villanova, per la taxatio annuale. L’Ordine contiene la lista dei castelli componenti la città e le somme che ciascuno di essi deve versare, e rappresenta pertanto una fonte importante sui primi anni della città. Questo periodo non fu peraltro privo di problemi: i signori feudali si opposero alla ricostruzione cittadina; anche dopo la riedificazione della città, i contadini non furono sempre in grado di pagare l’appezzamento ed emanciparsi; la paura e l’odio verso i baroni portò inoltre i cittadini a distruggere tutte le fortezze della regione. La Corona non poté opporsi a questa spedizione né punirne gli autori: nel 1267, appena un anno dopo la battaglia di Benevento, chiamato dai ghibellini italiani era arrivato dalla Germania Corradino, figlio di Corrado IV. Carlo I d’Angiò aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile per salvaguardare il trono. E L’Aquila soccorse il nuovo re contro l’ultimo esponente degli Svevi. « Due sono fondamentalmente le ragioni di questa scelta di campo: anzitutto il fatto che un ritorno degli Svevi avrebbe rimesso in forse le acquisizioni di fondo; inoltre che le colpe da farsi perdonare dal re erano troppe per non prendere al volo l’occasione di giovargli in qualche modo e attenuare la sua ira. Ma evidentemente gli Aquilani dovettero far pesare questa loro scelta, poiché altrimenti non si giustifica l’apprensione di Carlo I circa la posizione politica che avrebbe scelto la città. 61 Carlo II e Celestino V In seguito alla vittoria contro Corradino a Tagliacozzo, il 23 agosto 1268, la città conobbe un periodo di espansione rapida, dovuta principalmente all’immigrazione dai castelli circostanti. L’afflusso di popolazione, tuttavia, rallenta ben presto, in parte a causa della ricostruzione delle rocche da parte dei baroni, che ostacolano l’immigrazione. Ancora una volta i cittadini di L’Aquila prendono le armi, guidati dal "cavalero" Nicola dell’Isola, e distruggono le fortezze62, tra cui quelle di Ocre, Leporanica, Pizzoli, Barete e Preturo – per 59 Una canna equivale a circa 2 metri. 60 L’ordine è edito in A. De Matteis, L’Aquila e il contado – Demografia e fiscalità nei secoli XV-XVIII, Napoli 1973. 61 A. Clementi, E. Piroddi, L’Aquila, Roma-Bari 1988, p. 20. 62 Cronica di Buccio di Ranallo, a cura di C. De Matteis, Firenze 2008, stanze 146-148, p. 48. 72 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 limitarsi a quelle menzionate da Buccio. Temendo forse la popolarità di Nicola, Carlo II (succeduto a suo padre, morto il 7 gennaio 1285) invia il figlio, Carlo Martello, in città, con l’incarico di uccidere Nicola. Carlo Martello non portò tuttavia a compimento quest’ordine, forse convinto da Nicola della bontà delle sue azioni, forse per timore di una sollevazione popolare, ma il cavaliere morì comunque poco tempo dopo, avvelenato. Dopo la morte di Nicola dell’Isola la città fu attraversata da lotte intestine, divisa tra molteplici anime, tante quanti erano i castelli d’origine. Le faide crebbero ad un livello tale che gli abitanti di interi quartieri vennero esiliati, come quelli di Paganica, banditi nel 1293 nel corso di un conflitto con Bazzano. A scatenare tali lotte erano dispute sui confini territoriali dei castelli, e ad aggravare la situazione contribuirono le alleanze tra quartieri. Il 28 settembre 1294 Carlo II "emana un diploma63 col quale perdona agli Aquilani tutti gli eccessi, che sembrano consistere nella diruzione delle rocche e nelle furibonde lotte di fazioni. Che cosa poteva averlo determinato? Senza dubbio la incoronazione avvenuta all’Aquila del papa Pietro da Morrone ovvero di Celestino V"64. La scelta della città per l’incoronazione del pontefice dipese in parte, senza dubbio, dal fatto che Carlo II, che aveva fortemente sostenuto Pietro da Morrone, voleva che l’incoronazione avesse luogo nel Regno. Celestino V, già eletto papa, scrive ai cardinali riuniti a Perugia per informarli che non era in grado di compiere l’intero viaggio, pregando perciò il collegio di venirgli incontro a metà strada. A L’Aquila, per l’appunto. Nel piazzale di Collemaggio, per la precisione, davanti al re Carlo II e a suo figlio Carlo Martello, re d’Ungheria. Assieme a loro giungono in città le più alte cariche del regno. Si tratta di un’occasione unica per la crescita della città e per ristabilire la concordia interna. I boni homini chiedono al papa di mediare per la pace, tanto tra i quartieri che tra la città ed il sovrano. Presumibilmente dietro sua richiesta Carlo II infatti includerà nel diploma regio del 1294 la concessione che la città non sia più censita né tassata per singoli locali, bensì come unica entità da riconoscere con il nome di Aquila65. Il diploma di Carlo II è una fonte 63 Il Diploma di Carlo II del 28 septembre 1294 si trova in Regia Munificentia erga aquilanam urbem variis privilegis exornatam, Aquila 1638, pp. 1-3. 64 A. Clementi, E. Piroddi, L’Aquila, cit., p. 21. 65 La città era divisa tra i castelli fondatori, e gli abitanti di un castello che si erano trasferiti in città avevano gli stessi diritti, rispetto agli abitanti che non si erano trasferiti, sulle terre del castello di provenienza. L’insieme degli abitanti di un castello trasferitisi dentro la città era chiamato locale, ed aveva il nome del castello con l’aggiunta della particella “intus”, e il castello esterno era chiamato con il suo nome più “extra”. Dunque si aveva, per esempio, la comunità di Paganica intus che aveva diritti sul territorio di Paganica extra, e lo stesso valeva 73 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 importante in quanto, dopo questa concessione, presenta la lista dei castelli che fanno parte della città, forse tratta dal privilegio paterno. Il numero di questi castelli ammonta a settantuno66: si tratta evidentemente di un territorio assai grande. Ma non sono questi i soli vantaggi portati dalla venuta di Celestino V: il papa stesso concede in occasione della sua elezione una "perdunanza" a poena et culpa. Le magistrature cittadine sfrutteranno abilmente quest’indulgenza, prolungandone gli effetti nel tempo: nasce così una fiera67 allo scopo di attirare a L’Aquila, nel giorno di S. Giovanni, mercanti e pellegrini. Buccio da Ranallo Le fonti più importanti riguardo alla vita di Buccio da Ranallo sono le sue stesse opere – la Leggenda di S. Caterina d’Alessandria e la Cronica, con i sonetti contenuti al suo interno – in quanto l’esistenza stessa di Buccio è altrimenti documentata solo da alcuni atti notarili. Il luogo di nascita, "Poppleto de Aquila", è annotato dal cronista aquilano Alessandro De Ritiis nella sua prosecuzione della Cronica di Buccio68. Poppleto (Coppito), nell’ex contado amiternino, era un locale compreso in quella parte della città ancora legata alla vecchia aristocrazia terriera, quella piccola nobiltà le cui rocche erano state distrutte e i cui esponenti erano stati costretti a inurbarsi. Probabilmente un piccolo proprietario terriero69, Buccio ha senza dubbio ricevuto un’educazione per quasi tutti i castelli fondatori. Fino al diploma del 1294 ciascuno dei castelli fondatori della città era stato censito e tassato separatamente rispetto agli altri. 66 S. Silvestro, Vigliano, Rocca di Corno, Scoppito, Rascino, Corno, Civitatomassa, Preturo, Forcella, Cascina, Cagnano, Barete, Villa di Cese, Pizzoli, Vio o Pedicino, Rocca delle Vene, Porcinari, Chiarino, Arischia, S. Vittorino, Coppito, Sant’Anza, Pile, Roccapreturo, Beffi, Goriano Valle, Tione con S. Maria del Ponte, Fontecchio, Fagnano, Campana, Stiffe, Barile, Rocca di Mezzo, Ocre, Fossa, Rocca di Cambio, Rocca di Mezzo, S. Eusanio, Civita di Bagno, Bagno con Le Ville, Bazzano, Torre, Poggio Roio, Sassa, Poggio S. Maria, Tornimparte, S. Vito di Sassa, Lucoli, Collimento, Rocca S. Stefano, Paganica, Collebrincione, Tempera con Aragno, Gignano, il Vasto, Genca, S. Pietro della Genca, Assergi, Filetto, Camarda, Pescomaggiore, Terra di Sinizzo e Fuscolina, Bominaco, Caporciano con S. Pio delle Camere, Civita Retenga, Navelli, Colle Pietro, S. Benedetto in Perillis, Torre di Maiardone. 67 A. Clementi, Statuta Civitatis Aquile, in «Fonti per la Storia d’Italia» n. 102, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 1977, pp. 13-15. 68 A. De Ritiis, Chronica civitatis Aquilae, a cura di Leopoldo Cassese, in «Archivio storico napoletano» XXVII, Napoli 1941. 69 Ipotesi avanzata da C. Mutini, La «Cronaca aquilana» nella poesia di Buccio di Ranallo, «Bollettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo e Archivio Muratoriano», 74, Roma 1962, pp. 175-211. 74 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 elevata e in almeno due occasioni partecipa alla vita politica della città 70. L’appartenenza di Buccio a un tale ceto è peraltro consonante con l’ideologia prettamente conservatrice che traspare dalla sua cronaca, ideologia che ha i suoi punti forti nella difesa dell’ordine costituito, degli interessi locali, delle gerarchie consolidate. Eppure, pur non riuscendo a prescindere da questi valori, Buccio ha cura di ritagliarsi la figura di moderato al di sopra delle parti, e se riesce a farlo senza ipocrisia è perché ciò che più gli sta a cuore – e la cosa traspare palesemente dalla lettura della Cronica – è la sua città. Pur propendendo per forme di governo allargate, a partecipazione cittadina – proprio in contrasto con il ceto signorile e magnatizio – non è un fautore delle Arti, e non a caso nel corso della sua opera si lamenta più volte di come le magistrature degli ultimi anni, che appartengono al governo delle Arti, siano deboli e pavide di fronte alla Corona oppure semplicemente rese miopi dai loro interessi, e non riescano pertanto a garantire a L’Aquila quell’autonomia e quella libertà che i suoi fondatori avevano cercato. Nato nell’ultimo decennio del XIII secolo, Buccio di Ranallo muore di peste nel 1363. Le fonti sulla fondazione: la Cronica La Cronica di Buccio non ebbe particolare fortuna nei secoli seguenti71, ma rimane la fonte narrativa aquilana più vicina alla fondazione della città. Morto nel 1363, Buccio ha avuto senza dubbio modo di vedere con i propri occhi gli anni di governo di Carlo II (durato fino alla morte del re, nel 1309), ed è probabile che abbia avuto occasione di parlare con testimoni oculari se non della prima, almeno della seconda fondazione. Quanto alle vicende del 1254, essendo passati cent’anni – esatti, se si considera la data di inizio della composizione della Cronica, il 1354, ma è probabile che Buccio ne abbia sentito parlare fin da bambino – è presumibile che la tradizione orale abbia tinto di un alone leggendario gli eventi: l’assenza di altre fonti ci impone comunque di tenere in una certa considerazione la non verificabile versione di Buccio. È nella terza stanza che Buccio comincia davvero la sua storia, con le strofe forse più famose della poco conosciuta Cronica: 70 Fa più volte parte del "consillio d’Aquila" (stanza 1182, p. 367 della Cronica), ma è anche membro di un’assemblea "più de persone duecento, le melliuri che ‘n Aquila trovammo" (sonetto IX, pp. 354-356 della Cronica). 71 Sulla fortuna dell’opera e per un’analisi dei dettagli tecnico-stilistici della stessa, cfr. "Introduzione", pp. XLV-CXXIX. Sulla storia dell’interpretazione di Buccio nei secoli successivi, cfr. il capitolo Buccio nel tempo in C. De Matteis, Buccio di Ranallo: critica e filologia. Per la storia letteraria dell’Italia mediana, Roma, 1990, («Culture regionali d’Italia. Saggi e testi», II), pp. 293311. Cfr. anche R. Colapietra, Buccio di Ranallo: dalla cronaca alla storia, Roma, 1992, pp. 4-21. 75 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 El conto sarrà d’Aquila, magnifica citade, / e de quilli che la ficero con gran sagacitade, / per non eser vassalli cercaro la libertade, / e non volere singiore se nno la magestade. 72 Queste strofe sono un esempio assai chiaro della lettura che Buccio dà della rivolta che portò alla fondazione di L’Aquila, un esempio confermato in ogni passo della Cronica. Gli abitanti dei contadi di Amiterno e Forcona si incontrano di notte, rispettivamente in un luogo definito "Grocta Populi" a S. Vittorino, e a "Santa Justa" di Bazzano, ma un traditore informa i baroni. La repressione e il massacro indiscriminato tuttavia non sortiscono l’effetto sperato: anzi, per reazione il popolo si arma e la rivolta prende vita. Sconfitti i baroni e distrutte le fortezze, gli abitanti delle due diocesi inviano ambasciatori a Jacopo da Sinizzo, cancelliere del papa e nativo della regione, pregandolo d’intercedere presso il pontefice e presso il re. Re Corrado della Mangia c’allora era singiore, / a stanzia de lu papa acectò farli honore; / concedio lu asenzio, le carti e lu faore; / perché durò sì poco fo in tristi punti e ore. 73 All’epoca il papa era Innocenzo IV, che proprio in quel periodo aveva offerto la corona del Regno al re d’Inghilterra: pertanto il suo rapporto con Corrado IV rende difficile considerare affidabile una sua intercessione presso il re di Sicilia, soprattutto considerando che Corrado IV era a quel tempo scomunicato. È anche possibile, tuttavia, che dichiarando la concordanza tra pontefice e sovrano Buccio abbia intenzionalmente voluto evitare di porre il problema della legittimità del diploma di Corrado IV: essendo il Regno fin dalla sua nascita feudo pontificio, evidenziare i dissapori tra Innocenzo IV e gli Svevi avrebbe fatto sorgere dubbi sulla validità del documento; inoltre era così possibile dipingere il reale interesse nella depressione del potere feudale che univa papa e sovrano, un vantaggio comune conseguito attraverso la fondazione della nuova città. Da segnalare in ogni caso il fatto che, nel resoconto di Buccio, l’autorità deputata a concedere l’assenso ultimo all’edificazione della città pare essere il sovrano più che il pontefice. Il privilegio di Corrado IV sarebbe ad ogni modo una ratifica di un processo già in corso, cominciato con la rivolta, la distruzione delle rocche e l’ambasciata a Jacopo da Sinizzo. La morte di Corrado interrompe il clima di gioia ed entusiasmo che aveva portato alla rapida costruzione della città: Ficiro la citade solliciti e uniti, / anni mille duecento cinquanta quatro giti, / benché più non ci stectero che cinque anni forniti; / alli cinquanta nove fo sconcia e fore osciti. // Perché llu re 72 Cronica, stanza 3, p. 4. 73 Cronica, stanza 20, p. 4. 76 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Manfreda poi venne in singioria, / e contra della clesia, con forza e tirannia, / co lli mali rendicoli, che gra’ copia n’avia: / qual era per offizio e quale per lecconia. // Tanto co’ re Manfreda tucti s’aoperaro, / con tucti quanti li altri che d’Abruczo canparo, / perché sconciasse l’Aquila giamai no refinaro, / fi’ che, a llor petizione, tucta la deruparo. // Se’ anni stecte sconcia, sì come trovo iscricto, / né casa vi remase, né pésele, né ticto; / credo che fo iudizio como di mal tollicto / che Dio ci concedio a tanto menesdicto. 74 I feudatari sopravvissuti alla ribellione, quindi, spingono Manfredi a distruggere la città. Nondimeno, la distruzione della città è per il cronista dovuta al giudizio divino, una punizione per la ribellione all’ordine costituito e per la mancata restituzione dei beni tolti ai feudatari. Rilevante, anche se per noi senza possibilità di riscontri nelle fonti rimaste, è la menzione nella stanza 25 di testi scritti da cui il cronista apprende che la città "se’ anni stecte sconcia". All’arrivo di "Re Carllo primo di Francia, dalla ecclesia chiamato", Jacopo da Sinizzo ottiene nuovamente "la grazia de refare Aquila", rivelandosi ancora una volta fondamentale per l’edificazione della città. Prima, però, bisogna attendere che Carlo sconfigga Manfredi, a Benevento. Dopo la battaglia ha luogo davanti al sovrano un confronto tra coloro che si oppongono alla ricostruzione della città e quanti invece ne sono partigiani. A difendere – dietro compenso – le motivazioni dei cittadini è un nobile della schiera di Carlo, e il suo discorso pare convincere il re: "Re Carllo, odenno questo, se mosse a pïetate, / disse: “Refaite l’Aquila, ch’io vollio in veritate; / la moneta promessa per termine trovate, / e faiteli le carti, che scian bene cautelate”"75. Dopo aver descritto la sollevazione popolare guidata da tale Ramotto, repressa nel sangue, Buccio narra la battaglia di Tagliacozzo, in cui Carlo affronta Corradino di Svevia, mostrando forse di conoscere la cronica di Saba Malaspina76. Dubitando della fedeltà di L’Aquila77, Carlo si reca in città in incognito, di notte, ed entra dalla porta di Bazzano chiedendo del capitano cittadino. Una volta scoperta l’identità 74 Cronica, stanze 22-25, pp. 9-11. 75 Cronica, stanza 66, p. 22. 76 Buccio riporta un discorso di un barone di Carlo che riprende l’esortazione che Saba Malaspina III, 6 racconta fatta da Carlo stesso ai suoi uomini prima della battaglia di Benevento contro Manfredi. 77 Cfr. G. Villani, Nuova Cronica, a cura di Giuseppe Porta, Parma 1990-1991, VIII, XXVI 51-60: "i baroni del Regno ribelli del re Carlo fittiziamente, per fare isbigottire lo re Carlo e sua gente, feciono venire nel campo di Curradino falsi ambasciadori molto parati, con chiavi in mano e con grandi presenti, dicendo ch’egli erano mandati dal Comune dell’Aquila per dargli le chiavi e signoria della terra, sì come suoi uomini e fedeli, acciò che gli traesse dalla tirannia del re Carlo. Per la qual cosa l’oste di Curradino e egli medesimo, stimando fosse vero, feciono grande allegrezza". 77 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 di Carlo, il capitano manda a chiamare i Dodici78, a cui il sovrano chiede aiuto per la battaglia imminente. Con l’aiuto degli abitanti della città 79 ("No tanto, dico, li omini, ma le femene gero / dereto a lloro omini che geano volentero, / portanno carcchi in capo chi non avea somero, / sì che abero fodero quanto fece mistero"80), i francesi ottengono la vittoria. Terminata la descrizione della battaglia, Buccio torna a dedicarsi agli avvenimenti della città, con la costruzione della fontana della Riviera – sola fonte di approvvigionamento idrico per L’Aquila –, delle mura e delle porte. Dopo aver narrato la vicenda di Nicola dell’Isola, Buccio riferisce quindi dell’arrivo di Celestino V, della sua incoronazione e dell’aiuto che il pontefice dà alla città: l’entusiastica acclamazione di Celestino V da parte di Buccio non è dovuta alle qualità morali o pastorali del pontefice, mai menzionate, ma al fatto, affermato dal cronista stesso, che il pontefice esalta L’Aquila, e per questo è da ritenersi meritevole di benedizioni e lodi. Non appena il papa lascia la città, infatti, Buccio passa oltre: l’attenzione dedicata al pontefice è, dunque, legata puramente alla sfera di interesse cittadino, e Buccio passa a raccontare la spedizione di L’Aquila contro il castello di Machilone81, avvenuta nel 1299. L’avvenimento testimonia della grande autonomia conseguita nei confronti della Corona: Machilone aveva avuto intenzione di fondare insieme ai castelli circostanti, a nord di L’Aquila, una nuova città chiamata Laposta, con l’appoggio di Carlo II. Questa nuova fondazione avrebbe tuttavia limitato lo spazio decisionale di L’Aquila, che ne sarebbe stata condizionata nelle scelte politiche e ne avrebbe inoltre dovuto subire la concorrenza – e pertanto gli 78 Presumibilmente la magistratura cittadina dell’epoca, ma non ne abbiamo alcuna prova documentaria. 79 Una fonte francese, la Chronique anonyme des rois de France finissant en MCCLXXXVI, p. 89 (in Recueil des historiens de Gaule et de France, voll. 23, Paris 1869-1876, t. XXI, pp. 80-102), conferma il ruolo giocato dalla città nella battaglia: "Et si vous comment il avint, par la volonté de Dieu, que message vindrent en la vile de l’Agle que li rois Karlles avoit la victoire du champ, et que Conradins et sa bataille estoit desconfis, et qu’il estoit assamblés a la bataille dan Henri d’Espaigne. Et lors cil de la vile de l’Aigle et les fuianz de la première bataille retournèrent el champ, pour secourre et aidier le roi Karlle, encontie dant Henri et sa gent; et sachiez qu’il ne se porrent tant haster que danz Henris et sa bataile ne fust toute desconfite". 80 Cronica, stanza 124, p. 40. 81 Ci sono pervenuti due diplomi di Carlo II relativi alla grazia accordata alla città dopo la distruzione di Machilone, uno del 24 settembre 1299, XIII ind. 15 di regno, l’altro del 28 agosto 1301, XIV ind. 20 di regno. L’evento è anche menzionato nel diploma del 22 gennaio 1304. Si trovano in Regia Munificentia erga aquilanam urbem variis privilegis exornatam, pp. 4-8. Il castello di Machilone aveva cercato di fondare una città sull’esempio di L’Aquila, ma più a nord, rischiando così di limitarne l’autonomia. Gli abitanti di L’Aquila distrussero, di conseguenza, Machilone. 78 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 aquilani distruggeranno Machilone. Ma l’aspetto più importante della questione è che il sovrano si asterrà dal punire gli aquilani, accordando la grazia alla città ed anzi vendendogli i terreni di Machilone, di Antrodoco e di Laposta nel 1304. È questo l’apice dell’autonomia aquilana, la cui posizione di forza è dovuta, senza dubbio, alla crescita delle risorse economiche e all’ubicazione strategica assai prossima al confine, che permetteva a L’Aquila anche di nutrirsi degli influssi culturali e giuridici provenienti dai comuni dell’Italia centrale e settentrionale. Tutto ciò che Carlo II può fare è accontentarsi di trarre un ritorno economico dagli indulti. Poi Buccio narra di Guelfo da Lucca, capitano regio dal 1307 al 1308, delle sue battaglie contro Roio, uno dei castelli fondatori della città, e della costruzione dell’acquedotto necessario alla città, divenuta troppo grande perché la sola fonte della Riviera ne soddisfacesse il fabbisogno. Non se porria contare per null’alma vivente, / non se vennia in Aquila nulla cosa nïente, / tucta giva ne’ colli a vennere a la gente: / stavano como l’osste che stesse ascisamente. / Loco era panicocole e multi tavernari, / piczecariole assaj, sarturi e calzulari, / e tromme e altri soni co’ milti gïullari, / de ciò che tu volivi s’aviva per denari. 82 Degna di particolare interesse è la descrizione degli abitanti che presero parte, direttamente o indirettamente, a quest’impresa: Buccio descrive un evento comparabile, per partecipazione cittadina e vividezza del racconto, alla marcia compiuta dagli aquilani per aiutare Carlo d’Angiò nella battaglia di Tagliacozzo. Il cronista menziona le diverse professioni di chi affianca la grande opera di costruzione dell’acquedotto: "panicocole", "tavernari", "piczecariole", "sarturi", "calzulari", "tromme" e "giullari", in una sorta di festa o di mercato che segue i lavoranti, spiegabile forse con l’entusiasmo popolare per quest’iniziativa di non secondaria importanza. Anche la descrizione della stanza 223 ("Tanto dissero e fecero che ecco l’acqua menaro / con cànnoli de lino, de pedi li ferraro / e co lle funti facte de ligno comenzaro / a modo de tinaco e multi anni duraro"83) è significativa, per la presenza dei dettagli tecnici della costruzione dell’acquedotto che induce a pensare che Buccio avesse osservato di persona quantomeno il risultato finale. La Cronica continua fino al 1362, ma la parte relativa all’edificazione della città, alla costruzione delle sue infrastrutture e dei luoghi più importanti, termina qui. E L’Aquila ha già raggiunto il suo apogeo politico sotto Carlo II: dopo di allora l’autonomia cittadina va sempre più affievolendosi a causa delle lotte intestine alla città ed alla miopia del ceto dirigente. 82 Cronica, stanze 221-222, pp. 68-69. 83 Cronica, stanza 223, p. 69. 79 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 La struttura urbana e la composizione sociale Le fonti non ci forniscono molte informazioni riguardo alla composizione sociale della prima fondazione: lo pseudo-Iamsilla dice solamente che L’Aquila era "magna populi numerositate plena"; Saba Malaspina, con più precisione, afferma che L’Aquila era stata costruita da villani, e parla di "rusticorum adunata congeries". Anche Clemente IV, nella sua lettera a Carlo d’Angiò, descrive i primi abitanti della città come uomini intenzionati a liberarsi della condizione servile. Buccio stesso nel raccontare gli eventi della prima fondazione si asterrà dallo specificare la condizione sociale dei primi abitanti della città, sottolineando unicamente come questi non volessero essere vassalli; e questo è tutto per quanto riguarda le fonti letterarie. Il privilegio di Corrado IV può darci invece qualche informazione in più: fin dall’obbligo di pagare una tassa al signore feudale per emanciparsi, è evidente che non tutti gli abitanti della regione potevano permettersi di trasferirsi in città. Il divieto di costruire torri – disposizione chiaramente intesa ad ostacolare la creazione di torri signorili – può indicare che Corrado temeva, al momento di concedere il privilegio, che qualcuno potesse edificarle. Infine l’autorizzazione a tenere mercati generali due volte l’anno può significare quanto meno il desiderio o l’intenzione che la villa divenisse un polo commerciale di una certa importanza; allo stesso modo l’istituzione di tre mercati settimanali speciali, ai quali i cittadini potevano partecipare "cum mercimoniis et rebus eorum", può indicare la presenza di non meglio identificati mercanti o artigiani. Con l’arrivo di Manfredi, in ogni caso, la città si sgretola. Un destino differente avrà la seconda fondazione, presumibilmente grazie ad una maggiore pianificazione: il diploma di Carlo II, che conferma le concessioni paterne, contiene informazioni interessanti, a partire dalla suddivisione della terra. Se la divisione in locali tipica dell’epoca di Carlo I e Carlo II – divenuta desueta a livello ufficiale in seguito al diploma di Carlo II del 1298, ma mantenuta ufficiosamente fino al XVI secolo – risolve tutti i problemi amministrativi che potevano risultare dal confluire di numerosi castelli in una sola città, la spartizione del territorio cittadino in lotti da edificare, secondo il diploma, ciascuno con una casa ed un orto, indica la preminenza ancora una volta dei contadini tra la popolazione. La mappa della città in questo primo periodo include dunque numerosi spazi verdi, diversamente da come dovevano apparire a quel tempo la maggior parte delle città di antica fondazione, solitamente caratterizzate da un centro edificato circondato da terreni coltivabili lungo il perimetro esterno delle mura. La situazione evolve tuttavia rapidamente, assecondando i cambiamenti che la nascita di una città doveva scatenare in un territorio economicamente 80 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 depresso come l’Abruzzo della prima metà del XIII secolo. Alcuni lotti vengono così edificati utilizzando lo spazio destinato all’orto per costruire edifici più grandi, dotati di bottega e talvolta di magazzino. La fontana della Riviera, che assicura un flusso costante di acqua, oltre a soddisfare le esigenze dei cittadini fornisce uno stimolo prezioso alle attività commerciali, per esempio quelle legate alla lana o al cuoio, che necessitavano di grandi quantità d’acqua per il processo di lavorazione. A questi bisogni – e dunque non solamente alla crescita della popolazione – può essere ricondotta anche la costruzione dell’acquedotto negli anni 13071308, in occasione della quale Buccio descrive uno spaccato della società aquilana decisamente significativo: "panicocole", "tavernari", "piczecariole", ma anche "sarturi", "calzulari", e "tromme" e "giullari", prova che l’articolazione sociale è giunta ad un livello piuttosto avanzato. Allo stesso modo gli interessi commerciali devono aver condizionato la decisione della città, nel 1309, di pavimentare la piazza del Mercato e le strade adiacenti: l’operazione deve essere stata considerata un buon investimento per la città, a dimostrazione dell’importanza crescente che la piazza del Mercato (su cui si trova anche la Cattedrale) doveva avere per la vita e l’economia della città. Gli interventi di allargamento delle strade principali (fino alla larghezza di almeno tre canne), nel 1315, ci portano a supporre che il traffico commerciale fosse aumentato: a cinquant’anni dalla sua seconda fondazione, L’Aquila è divenuta un polo commerciale ed economico di grande importanza per la regione. Non bisogna dimenticare, inoltre, che fin dagli anni ’80 del XIII secolo è segnalata da Buccio la presenza di baroni in città. In breve, grazie all’accresciuta importanza degli artigiani e dei mercanti, L’Aquila si trasforma in una città con una società complessa e articolata e nel 1327 (in occasione della traslazione in città del corpo di Celestino V) vi è la prima menzione delle Arti da parte della Cronica di Buccio. La città materiale Abbiamo visto che le prime fonti a ventilare la possibilità della fondazione di una città sono le lettere di Gregorio IX del 27 luglio e del 7 settembre 1229, che individuano in "Acculi" il luogo deputato al sorgere della città84. Il nome di questa località viene dalla presenza di molte sorgenti, ma l’assonanza con il nome del rapace simbolo degli Svevi deve aver contribuito alla definitiva scelta del nome Aquila per identificare la città, anche perché questa si venne a 84 La concessione della città è del tutto astratta, essendo il territorio in questione sotto il controllo imperiale: cfr. G. Spagnesi, P. Properzi, L’Aquila. Problemi di forma e storia della città, App. 1, p. 91. 81 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 stabilire sulla cima di un colle in posizione tale da sovrastare l’originario insediamento di Acculi. Insediamento che consisteva in un monastero – la cui chiesa era stata consacrata alla beata Maria, poi detta de Aquila nel 1095 dal vescovo Odorisio di Forcona85 – intorno al quale era sorto un piccolo borgo. Dimensione e origine di questo insediamento sono tuttavia ignote e lungamente dibattute86, ma non sembrano essere state in alcun modo rilevanti. A provarlo implicitamente è il linguaggio adoperato da Gregorio IX nelle sue lettere: Acculi è un luogo in cui far sorgere una città. Nondimeno, questo villaggio ha ugualmente una sua influenza sulla città a venire: il prolungamento della sua strada principale diventerà infatti uno dei principali assi viari di L’Aquila. Altre preesistenze nell’area che ospiterà la città sono l’ospedale di Santo Spirito, "Spedale per i proietti"87, o orfani, fin dal 1121, e l’ospedale di S. Matteo "che si vuole fondato all’epoca di Federico II"88 – la loro presenza è tuttavia non confermata, per quanto verosimile. Ultimo fattore forse degno di nota è il tracciato della strada romana Claudia Nova, la cui localizzazione non è tuttavia certa, per quanto il suo passaggio lungo il fiume Aterno sia molto improbabile a causa della natura acquitrinosa del terreno89. Appare verosimile che, prima della rinascita della città sotto Carlo I d’Angiò, non vi fosse alcuna divisione in locali e la disposizione delle case fosse indipendente dal castello di provenienza degli abitanti90. In seguito vengono a formarsi dei "quarti" che permangono anche dopo il diploma di Carlo II come articolazione territoriale tanto interna che esterna alla città. La divisione in quarti tuttavia non trova alcun riscontro negli assi urbani primari. 85 A.L. Antinori, Annali, VIII, p. 158. Vedi anche L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, VI, col. 522, contenente la bolla del 1 maggio 1256 del vescovo di Forcona Berardo diretta sororibus inclusis Monasterii S. Mariae Virginis iuxta fontes de Aquila Ordinis S. Damiani. 86 Cfr. S. Massonio, Dialogo della origine della città dell’Aquila, L’Aquila 1594, che afferma si trattasse di un insediamento potenziato da Federico II, una sorta di L’Aquila in nuce – la tesi è ripresa anche da A. Signorini, La Diocesi di Aquila descritta e illustrata, L’Aquila 1868. A. De Stefano, Le origini di Aquila e il privilegio attribuito a Federico II, in «Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria», serie III, XIV, L’Aquila 1923, contesta tale tesi, supportato nei suoi studi da C. Franchi, Difesa per la fedelissima città dell’Aquila contro le pretensioni de’ Castelli, Terre e Villaggi che componevano l’antico contado aquilano. Intorno al peso della buonatenenza, Napoli 1752. Cfr. anche A. De Nino, Nuove congetture sull’origine dell’Aquila, in «Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria», L’Aquila 1905, che propone l’ipotesi di un’origine romana, sia pure con una dimensione non urbana. 87 A. Signorini, La Diocesi dell’Aquila, vol. II, p. 7. 88 Ibidem. 89 Cfr. A. Clementi, E. Piroddi, L’Aquila, nota 29 p. 28. La tesi era stata avanzata da R. Gardner, The Via Claudia Nova, in «Journal of Roman Studies», III, 1913, pp. 205-232. 90 B. Cirillo, Annali della città dell’Aquila, Roma 1570, p. 7. 82 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Particolare degno di nota, reso evidente nella cartina del Vandi 91, è che la piazza del Mercato non fa parte di nessun quarto: e se l’area della piazza era già delimitata nella sua forma regolare quando la città non era ancora stata divisa per locali è possibile che la piazza del Mercato sia una traccia della città originaria92, quella antecedente la distruzione da parte di Manfredi. È anche possibile, tuttavia, che si tratti semplicemente di un caposaldo della città nuova, innestatosi su di un preesistente percorso che collegava in epoca sveva Acculi e il versante orientale della conca, dove si trova Bazzano. Inoltre, sebbene la divisione in locali e quarti sia da attribuire al periodo angioino, è chiaramente possibile identificare "nella pianta della città (di cui v’è certezza di “permanenza” nel tempo), la presenza di due componenti, l’una organica e naturalistica; l’altra razionalistica e geometrica, le quali convivono e talvolta si sovrappongono […] ma non possono essere contemporanee"93. La componente organica, come di regola precedente a quella geometrica, "non si può materializzare in tempi troppo brevi, poiché procede per aggiustamenti successivi e per scelte graduali"94. Tale componente appare quando si presuppone l’esistenza di alcuni elementi e li si mette in correlazione tra loro a seconda delle esigenze reciproche nell’ottica di un’ipotesi di città: tali elementi, nel nostro caso, sono il villaggio di Acculi, la piazza del Mercato, l’accesso da Bazzano (il castello più vicino e più popolato tra quelli fondatori) e l’accesso alla principale via del territorio, l’ex Claudia Nova, situato peraltro in corrispondenza della futura porta di Lavareto o Barete. Collegando tra loro questi elementi si ottiene un percorso che da Bazzano arriva all’ospedale di S. Spirito in prossimità di porta Barete, passando per la piazza prima e per Acculi poi – il tutto indipendentemente dall’effettiva costruzione o meno di Porta Bazzano e Porta Barete, impossibile da verificare data l’assenza di mura, motivata o dalla mancanza del tempo necessario a costruirle o dalla presenza di steccati e fossi scomparsi in seguito all’edificazione della città angioina. Appare pertanto plausibile che l’insediamento originario sia di qualche tempo precedente al diploma di Corrado IV, altrimenti non avrebbe avuto 91 Compilata nel 1753 e allegata dall'avvocato C. Franchi alla sua Difesa per la fedelissima città dell'Aquila. 92 S. Gizzi, La città dell’Aquila, fondazione e preesistenza, in «Storia della città», 29, Firenze 1984, p. 12, sostiene che potrebbe esservi stato uno "spazio segnato": "una staccionata, secondo noi, se non addirittura una possibile presenza militare o un accampamento, che spiegherebbe il successivo riuso […] e il conseguente stratificarsi e consolidarsi […] di un largo spazio che resterà sempre quasi fuori scala rispetto alle dimensioni degli sviluppi urbani futuri". 93 A. Clementi, E. Piroddi, L’Aquila, p. 30. 94 Ibidem. 83 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 modo di svilupparsi questa componente organica entro il 1259, quando la città venne distrutta da Manfredi. Figura 1: gli elementi costitutivi della città organica, riconoscibile dalle connessioni tra le preesistenze, tra le quali va annoverata la piazza, secondo percorsi che seguono l’andamento del terreno; la prima trama urbana, determinata dai tracciati in quota e di compluvio, è ancora oggi riconoscibile (immagine presa da A. Clementi, E. Piroddi, L’Aquila, fig. 20 p. 30). 84 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Figura 2: la lottizzazione angioina va a situarsi sopra le preesistenze sveve, senza tuttavia cancellarle, anzi integrandole nel nuovo sistema, il quale tuttavia propone nuove assialità che si riveleranno dominanti rispetto ai percorsi di epoca precedente: risulta ad esempio evidente come la piazza si trovi relegata in una posizione marginale rispetto alle principali vie dell’età angioina (immagine presa da A. Clementi, E. Piroddi, L’Aquila, fig. 21 p. 31). 85 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Figure 3: La pianta di Città Ducale, in cui è chiaramente visibile l'impianto cardo-decumanico (immagine presa da A. Clementi, E. Piroddi, L'Aquila, fig. 27 p. 34). Per quanto riguarda la città angioina, invece, si basa su di una griglia modulare ad assi ortogonali, tipica dell’epoca romana ma riscoperta nel tardo medioevo e adoperata poi dagli Angioini nel 1309, più rigorosamente rispetto a quanto fatto a L’Aquila – a causa delle peculiarità geografiche e delle preesistenze sopra analizzate –, nell’edificazione di Città Ducale, a pochi chilometri dal capoluogo abruzzese. E "la struttura organizzativa radicalmente diversa dalla precedente, le peculiarità per le quali il ben noto modello urbanistico a griglia rettangolare si specifica e si personalizza, le modalità di crescita fisica della nuova città, hanno la loro origine comune nel fatto che, con la ricostruzione, viene affrontato per la prima volta in termini concreti il problema del rapporto tra la città e il territorio di pertinenza"95, attraverso una pianificazione che consentisse non solo la creazione di una città, ma anche il risolversi delle complicazioni amministrative e fiscali che indubbiamente dovevano sorgere tanto a livello interno quanto nei rapporti con la Corona a causa dell’affluire in un unico luogo di genti provenienti da una moltitudine di castelli tra loro distanti e indipendenti. La crescita demografica della città, proprio in quanto desiderata e ricercata attivamente, doveva essere pianificata e organizzata. Per questo sorge forse la "città dei locali", divisa al suo interno tra le comunità dei vari castelli fondatori, ciascuna con uno spazio a sé riservato (probabilmente proporzionale al suo peso demografico), che prende il nome dal 95 A. Clementi, E. Piroddi, L’Aquila, p. 34. 86 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 rispettivo castello e ne diviene omologo – i suoi abitanti godono dei diritti sulle terre del castello di provenienza, e la chiesa ha la stessa dedicazione della parrocchia del castello –; questo vale anche per il posizionamento interno alla città: i locali rispecchiano, nei limiti del possibile, la configurazione geografica del territorio, rimanendo orientati verso le terre di origine 96. Le uniche eccezioni sono rappresentate dai castelli più importanti e più ricchi – uno su tutti San Vittorino, la ex Amiternum, che va a stabilirsi nella parte centrale della città 97 –; dai castelli aggregati dopo qualche tempo dalla fondazione della città, come Machilone; e dai castelli sulle cui terre è stata edificata la città vera e propria, come Acculi, Pile e Santanza, che risultano decentrati rispetto alla loro posizione originaria. Viene così a formarsi una struttura cittadina policentrica, con ciascun locale gravitante intorno ad una piazza interna con una chiesa e una fontana. I cistercensi Abbiamo finora esaminato due possibili spiegazioni della nascita della città: la fondazione dall’alto, in seguito al diploma di Corrado IV, e la creazione dal basso, con la rivolta popolare narrata da Buccio. Esamineremo adesso una terza possibilità, forse più improbabile delle altre due nello spiegare, da sola, il sorgere di L’Aquila, ma che nondimeno vale la pena studiare. È l’ipotesi dell’influenza cistercense. Ad avanzarla con prudenza è Alessandro Clementi, uno dei più insigni studiosi della storia cittadina, il quale, nella prefazione al suo Storia dell’Aquila98, dopo aver descritto la penetrazione cistercense nella vallata aquilana e le influenze culturali che questa presenza porta con sé, dice: si tratta di ricercare modelli culturali per spiegare un fenomeno dalle ampie proporzioni, ovvero il fenomeno per cui da una frammentata realtà feudale si passa ad una città demaniale rilevantissima e cospicua. Pensare una città non è cosa da poco. Ma i cisterciensi non erano forse esperti di fondazioni di città? 99 Analizzando l’espansione cisterciense in Aquitania, e in particolare il fenomeno delle sauvetés e delle bastides, e le fondazioni cisterciensi in Abruzzo (a partire dalla creazione di Santa Maria di Casanova nel 1191 e dalla sua filiazione Santo Spirito d’Ocre nel 1222, nel territorio su cui sorgerà L’Aquila – 96 G. Budelli, C. Camponeschi, F. Fiorentino, M.C. Marolda, "L’Aquila. Nota sul rapporto tra «castelli» e «locali» nella formazione di una capitale territoriale", in Città contado e feudi nell’urbanistica medievale, a cura di E. Guidoni, Roma 1974, p. 187. 97 Ivi, pp. 187-188. 98 A. Clementi, Storia dell’Aquila, Roma 1998. 99 Ivi, p. 14. 87 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 nella vallata aquilana si avranno diversi insediamenti cisterciensi prima della nascita della città, e Santo Spirito d’Ocre possiederà anche delle terre all’interno delle mura cittadine) si possono scorgere dei punti in comune tra le due situazioni, determinati senza dubbio dalle strette connessioni interne all’ordine di Citeaux – dovute ai sinodi annuali e alla solidarietà tra le abbazie –, che garantiscono tanto in Francia quanto in Italia un’omogeneità di metodi, obiettivi e comportamenti resi difformi solo dalle particolarità locali. Tra le analogie possibili troviamo il sistema delle grange, l’uso dei conversi, la diffusione capillare, le bonifiche, i disboscamenti, la transumanza, l’integrazione economica tra le varie abbazie. Anche lo stato di dispersione demica rurale, segnata dalla presenza di numerosi signori feudali, è simile, come pure il tentativo di riduzione delle autonomie portato avanti in una terra di confine da un potere centrale forte, da un lato i sovrani di Francia, dall’altro gli Svevi. Ancora, l’impianto urbano delle bastides si struttura secondo uno schema ad assi ortogonali, spesso partendo da una base quadrata o rettangolare – tuttavia la piazza è sempre situata al centro della città, contrariamente a quanto accade a L’Aquila – e la distribuzione del terreno prevede per gli abitanti un lotto su cui edificare una casa ed un orto (di qui probabilmente la forma rettangolare del lotto, esattamente come a L’Aquila), cui si accompagna la gestione in comune dei terreni circostanti. 88 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Figura 4: piante di bastides prese da P. Lavedan e J. Hugueney, L’Urbanisme au Moyen Age, Paris 1974 (immagine presa da A. Clementi, E. Piroddi, L’Aquila, fig. 13 p. 15). Perché, dunque, l’Aquitania ha sperimentato il fenomeno delle bastides mentre in l’Abruzzo non abbiamo assistito a niente di simile? I capitoli annuali dell’ordine cistercense hanno consentito l’esportazione di modelli culturali, 89 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 tecnologici, architettonici dalla Francia all’Italia: dunque non è la distanza a determinare la differenza. Vero è tuttavia che solo due anni passano tra la fondazione di Villefranche-de-Rouergue (1252) e quella di L’Aquila (1254), e, se il diploma di Corrado IV arrivò davvero a sancire un processo già in corso, potrebbe non esserci stato il tempo materiale per la diffusione di quest’idea, anche se va detto che il contado forconese aveva già sperimentato un movimento simile o quanto meno finalizzato a uno scopo analogo, quello dei castella diocesana: e si trattava di un esempio importante e conosciuto tra gli abitanti della vallata. Tra le differenze che non permettono di assimilare L’Aquila alle bastides bisogna senza dubbio annoverare l’assenza del contratto tra i cistercensi e il sovrano, o quanto meno la mancanza di riferimenti ad esso nelle carte e nelle concessioni da parte del re (com’è consuetudine invece per i documenti che regolano la nascita delle bastides): menzioni che il privilegio di Corrado IV (purtroppo mutilo) non contiene. In aggiunta a ciò, bisogna ricordare che neanche il primo documento a parlare della possibilità di una fondazione, la lettera di Gregorio IX del 1229, accenna in alcun modo ai cistercensi, all’epoca già stabilitisi a S. Spirito d’Ocre. Inoltre, pur essendo presente una peculiarissima organizzazione territoriale100, è assente anche la struttura a scacchiera tipica delle bastides – pur se questa differenza potrebbe dipendere dalle diverse dimensioni e popolamento di L’Aquila rispetto alle cittadine aquitane, o dalle caratteristiche geografiche locali. Nell’impossibilità dunque di affermare con certezza se la creazione di L’Aquila sia da improntare al metodo che diede vita alle bastide o meno – e anzi propendendo per questa seconda possibilità –, dobbiamo limitarci a considerare che una delle ragioni della sua immediata crescita e del suo grande sviluppo deve ricercarsi nell’assenza di concorrenti nella regione circostante: contrariamente alle bastide aquitane L’Aquila è l’unico o comunque il maggiore polo di attrazione per gli abitanti dei contadi abruzzesi – tale considerazione deve essere peraltro stata anche una finalità cosciente degli aquilani fin dal XIII secolo, e può aver senza dubbio concorso a motivarli nella loro spedizione contro Machilone. Ma questa riflessione non ci aiuta a gettare luce sull’evento stesso della fondazione. Tenendo conto di quanto visto finora, la mia valutazione è che, pur essendo improbabile che L’Aquila sia nata come bastide, o seguendo un procedimento analogo, è tuttavia verosimile che la diffusa e imponente presenza delle abbazie cistercensi e delle loro grange nella vallata abbia 100 Vedi nota 65. 90 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 comunque avuto il suo peso nel fermento che precedette la fondazione della città, seppur agendo su di essa in modo indiretto – mediante, per esempio, la massa di uomini e capitali gestiti dalle abbazie e dalle loro grange, la ripresa della transumanza, il modello di integrazione economica. In ogni caso, il legame tra l’ordine cistercense e L’Aquila è innegabile: basti pensare che il secondo vescovo della città, successore di Berardo da Padula, è Nicola da Sinizzo (vescovo dal 1267 al 1294), cistercense, probabilmente proveniente da S. Spirito d’Ocre; è un indizio importante anche la presenza di numerosi insediamenti cistercensi nel territorio dei castelli del contado aquilano, come anche la continua compravendita di terreni nella vallata da parte di S. Spirito d’Ocre tanto prima che dopo la fondazione. Conclusioni Come abbiamo avuto modo di osservare, tra gli elementi preesistenti alla nascita della città la presenza cistercense è l’unica che possa aver in qualche modo influito e agevolato l’evento, se non altro in maniera indiretta, scuotendo con il suo dinamismo economico il panorama stagnante dell’Abruzzo feudale. L’assenza di prove al riguardo di una partecipazione attiva dell’Ordine di Citeaux basta peraltro a definire tale ipotesi come improbabile. Anche nella controversia sulla fondazione della città mancano elementi conclusivi in grado di spostare in modo definitivo la paternità della stessa sul diploma di Corrado IV o sulla rivolta popolare (come suggerisce Buccio). Bisogna tuttavia rendere merito a Corrado IV, nel suo diploma, di aver prodotto argomentazioni perfettamente coerenti e convincenti in favore dell’idea di una fondazione ideata e non solo patrocinata dall’alto: la permanenza di Corrado in Germania, dove le città imperiali erano ancor più che in Italia contrapposte ai baroni come simbolo di fedeltà all’imperatore e di lotta al brigantaggio, avvalora questa tesi; la presenza al fianco di Corrado di Gualtieri d’Ocre – consigliere anche di Federico II prima e di Manfredi poi –, uno dei più importanti baroni della regione (come dimostra il fatto che la rocca d’Ocre venne più volte distrutta dagli aquilani), darebbe a Corrado IV anche la conoscenza della zona necessaria a comprendere l’importanza e il valore che una città situata in questa vallata poteva avere al fine di una stabilizzazione e di un miglioramento del controllo della Corona su tale area, soggetta a ribellioni anche ai tempi di Federico II. Eppure anche il racconto di Buccio è plausibile, e si avvale della testimonianza (unica prova concreta dell’intera querelle) data dalla componente organica della pianta cittadina, che se L’Aquila fosse stata edificata solo in seguito al diploma di Corrado IV difficilmente avrebbe avuto a disposizione il tempo per strutturarsi. Le due ipotesi non sono peraltro necessariamente in 91 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 conflitto, in quanto Buccio non stabilisce una data anteriore al 1254 per la fondazione, limitandosi a fornire con la sua narrazione un retroscena sociale, che si avvale del diploma per mettere in atto un progetto che le popolazioni della vallata avevano già concepito da tempo, come dimostrano le lettere di Gregorio IX. Le ragioni per cui tale progetto era fallito nel 1229 sono da ricercarsi, forse, nello scarso potere effettivo che il pontefice poteva avere in Abruzzo: a maggior ragione in un momento in cui Federico II aveva stroncato le ribellioni locali, rinsaldando così il suo controllo sulla regione. Corrado IV, contrariamente a Gregorio IX, dispone invece sia dell’autorità che dell’interesse necessari a far sì che l’idea si tramuti in realtà e che si tratti di una realtà – per quanto non duratura – in grado di lasciarsi alle spalle delle tracce evidenti, su cui andrà poi ad impiantarsi la rifondazione angioina. Nulla sappiamo della reale strutturazione interna di questa città, fatta eccezione per il suo reggimento di tipo comunale, ed è possibile che anche all’epoca vi fosse una, seppur rudimentale, divisione in locali, ma lo stato delle fonti non ci permette di andare oltre la semplice ipotesi al riguardo. La pausa inevitabile dovuta alla distruzione della città da parte di Manfredi non è che una vittoria di Pirro per tutti coloro che volevano L’Aquila distrutta: la battaglia di Benevento che mette la corona del Regno sul capo di Carlo I d’Angiò sancisce al contempo la rinascita della città. Ma è una città cambiata, così com’è cambiato il sovrano, e forse non c’è da stupirsi che rispetto all’esperienza sveva, nata in odium baronum e sgretolatasi alla prima difficoltà per mancanza di coesione interna, la seconda fondazione sia assai più stabile, forte della sua ben strutturata organizzazione in locali e di un ceto dirigente capace in più occasioni di compiere scelte risolute, anche contrapponendosi alla Corona, pur di garantire a L’Aquila quello spazio di manovra e quell’autonomia di cui la città aveva disperatamente bisogno per crescere e affermarsi. E L’Aquila saprà inizialmente sfruttare le debolezze e i problemi dei sovrani angioini. Eppure poco a poco, almeno stando al racconto di Buccio, la sua classe dirigente si farà miope e incapace di perseguire gli interessi cittadini, presa da avidità o timorosa di fronte ai rappresentanti del re, cosa di cui Buccio non manca di lamentarsi a più riprese. È ipotizzabile che le cause di tale cambiamento siano da ricercarsi nel mutamento sociale che attraversa la città man mano che questa si fa, per così dire, più moderna: la supremazia del ceto borghese, mercantile e artigiano, delle Arti, rispetto al ceto contadino e dei proprietari terrieri che era inizialmente preponderante, porta sconvolgimenti nelle istituzioni cittadine, nuovi interessi, nuove priorità per il governo aquilano. Fattore di grande interesse potrebbe essere dunque un’analisi della composizione sociale degli abitanti di L’Aquila, che abbiamo avuto qui modo di 92 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 illustrare solo superficialmente: un’analisi più dettagliata, dedicata a un lasso temporale più ampio, da compiersi attraverso i testi e i documenti dell’Antinori e del Muratori e con l’ausilio dei regesti delle chiese e dei monasteri della vallata, potrebbe indubbiamente produrre risultati interessanti e permettere di verificare le impressioni che abbiamo avuto nello studio delle trasformazioni, anche rilevanti, avvenute nella compagine cittadina e nelle sue principali attività economiche nel primo secolo della vita della città. Il nostro cronista rimane inoltre uno dei più grandi punti interrogativi sulla questione: pur essendo la sua vita ormai sufficientemente delineata, almeno nei suoi capisaldi, la questione degli studi da lui compiuti e più in generale del suo non indifferente livello culturale sarebbe senza dubbio degna di ulteriore approfondimento. 93 A. Casalboni, La fondazione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Mario Pani, Augusto e il Principato, Bologna, Il Mulino, 2013. di Giampiero Brunelli La ricorrenza del bimillenario della morte (avvenuta il 19 agosto 14 d. C.) ha posto nuovamente la figura di Augusto al centro di riflessioni e di iniziative culturali. Nel volume Augusto e il Principato, Mario Pani ne ripercorre la vicenda dal punto di vista della storia delle istituzioni politiche. Un primo capitolo è dedicato alla crisi del sistema repubblicano romano e alle premesse della transizione morbida attuata da Augusto in direzione di una nuova "rei publicae forma" (p. 22, nota 2). Il passaggio fu favorito da un nuovo clima culturale, dalla progressiva affermazione, cioè, di una società civile incline a rifugiarsi nella vita privata pronta a delegare le funzioni di governo. Di questa netta separazione fra governanti e governati, Cicerone - avverte Pani - fu un deciso fautore, che la percepiva come sostanzialmente virtuosa. Nel suo immaginare un uomo di Stato dal profilo morale e politico straordinario era già in nuce l'esito inedito della crisi repubblicana del I secolo a.C. Anche indipendentemente dalle elaborazioni della cultura politica, le fonti - nota Pani confermano la fortuna della soluzione autocratica auspicata da più parti, a partire dal periodo successivo a Silla (cioè a partire dal 70 a.C. circa). Prima Pompeo, poi lo stesso Giulio Cesare godettero di favore e di aspettative diffuse. Quando poi la transizione istituzionale voluta da Cesare fu abbattuta dalla congiura, l'istituzione del secondo triumvirato, formalizzata con la lex Titia del 43 a.C., rese manifesta la necessità di un restauro dell'ordinamento pubblico romano ma non coincise con la soddisfazione di quelle attese di un "salvatore" della repubblica. Solo la contesa militare fra i triumviri, con la sconfitta di Antonio, aprì le porte a quella ipotesi di un uomo nuovo, di un monarca, che molti (come l'epicureo Filodemo di Gadara autore dell’opera Il buon re secondo Omero) auspicavano. Fu appunto Ottaviano ad emergere: la sua azione trovò in quella cornice di aspettative un humus non ostile a cambiamenti anche radicali dell'ordinamento pubblico romano. Il secondo capitolo è appunto dedicato alla "novità statuale del Principato" (p. 45). Pani - non convinto dalle tesi storiografiche continuiste sui rapporti fra repubblica e principato eppure pronto a riassumere velocemente i termini del dibattito (p. 48) - fa vedere che nella progettualità, come nella concreta prassi di governo, il confine fra tradizione e innovazione istituzionale subito si fece sfumato. Nonostante rivendicasse di non avere mai detenuto poteri non 94 G. Brunelli, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 compresi fra quelli previsti dai mores maiorum, Ottaviano non si limitò a restaurare la res publica, cioè a rimettere in piedi le forme di organizzazione politica consolidate, travolte dai lunghi anni di guerra civile. Consapevolmente, egli assunse un ruolo di fondatore - auctor - di una nuova forma di stato. Se ne trovano tracce evidenti addirittura nel linguaggio utilizzato nei provvedimenti normativi da lui emanati. Un primo cambiamento di rilievo riguardò il rapporto dei singoli attori con la vita politica e amministrativa. Impiegarsi nelle istituzioni repubblicane non coincideva più con un definito cursus honorum: piuttosto diventò, fra gli "amici" del principe, un alternarsi di otium e negotium. Gli incarichi pubblici furono sempre meno formalizzati e presero la forma di incombenze (munera) assegnate "dal princeps e dalla sua indulgentia" (p. 53). Si formò così una élite di governo, la quale diede vita alle prime esperienze di un vero e proprio gabinetto con compiti esecutivi e di elaborazione normativa: l'attività di governo non era più, ormai, segmentata fra consoli, senato e comizi (come avveniva nell'età repubblicana matura); essa fu progressivamente concentrata in una stabile configurazione di attori politici legati personalmente al principe. Si trattò di una vera cesura: tutto il complesso delle istituzioni politiche e amministrative romane cambiò. Mutò innanzi tutto la "mentalità" (il termine ricorre ripetutamente nel corso della trattazione, a partire da p. 21). Il principe, nel corso del I secolo, fu il solo soggetto cui era attribuito un pieno profilo "pubblico": tutti gli altri appartenenti al corpo politico, non esclusi i detentori di incarichi più o meno istituzionalizzati, erano percepiti come "privati". Se la res publica aveva dapprima coinciso con il senato e i comizi, nella nuova stagione del principato lo Stato - con la maiuscola, scrive chiaramente Pani - prese ad esprimersi nel solo attore rimasto sulla scena politica, ad identificarsi cioè con il principe, cui erano delegate ad un tempo la rappresentanza dell’intero populus romano e il complesso delle iniziative politico-amministrative per il suo governo. La cultura, la storiografia danno di questo fenomeno tracce a tal punto evidenti da rendere meno impellente il ricorso all'analisi della titolarità giuridica del potere in quel primo secolo dell'età imperiale. E comunque innovazioni normative quali la lex Iulia maestatis (che vedeva nell'offesa al principe un'offesa alla maestà del popolo romano) trovano coerentemente posto nello scenario delineato. Augusto stesso contribuì in modo determinante alla riscrittura della figura del principe. Il titolo assunto da lui, quello di Imperator Caesar Augustus, passò a tutti i successivi imperatori. Venne parimenti da Augusto formalizzato il ruolo del principe, definito in termini di statio: una posizione e insieme una funzione, da tenere con impegno e fatica. L'assoluta politicizzazione della figura del principe si riverberò - avverte Pani - su tutto l'apparato. Funzioni amministrative furono assunte dai liberti 95 G. Brunelli, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 che raccoglievano le suppliche inviate al principe e formavano le istruttorie dei casi più disparati da sottoporre alla sua attenzione. Procuratori, figure mutuate dall'esercizio del diritto privato, iniziarono a tenere in mano le leve fondamentali dell'amministrazione, innanzi tutto nel campo della fiscalità (nel principato è ormai il fiscus, la cassa con le entrate spettanti agli imperatori a prevalere sull'erarium, termine con cui si definiva la cassa statale già in età repubblicana). Gli stessi amici del principe - anche le monarchie ellenistiche avevano avuto i φίλοι del sovrano - da spie della personalizzazione dell'assetto istituzionale romano nel corso del I secolo diventarono una sorta di titolo ufficiale, capaci addirittura di operare in continuità, scavalcando diverse successioni imperiali. In questa cornice, il luogo fisico sovrapposto al luogo istituzionale venne ormai solidamente identificato con il palazzo del principe. Furono statalizzate anche le immagini linguistiche: l'indulgentia principis che muoveva i provvedimenti dall'alto non era più una spinta personale, morale quasi degli atti di governo, era una formula amministrativa. L'obsequium, da virtù quasi servile, divenne sinonimo di senso della carica, di adesione ai compiti di un ufficio. L'evoluzione successiva fu la nascita di un vero e proprio funzionariato: al centro, con le segreterie imperiali germinate nella cornice della domus e con l'amministrazione della città di Roma e in periferia, innanzi tutto nella Penisola, dove iniziarono prime forme di coinvolgimento delle amministrazioni locali nella manutenzione delle strade, nel mantenimento dei servizi postali, nella cura dell'approvvigionamento alimentare, nell'esazione dei tributi. Pani analizza queste curatele e prefetture attraverso il corredo concettuale della sociologia di Max Weber: personale nominato dall'alto specificamente per determinate funzioni, a suo giudizio, non può che appartenere ad una vera e propria burocrazia. Le promozioni però avvenivano attraverso i legami con il principe: anzi le clientele gradatamente furono capaci di sostituirsi agli antichi criteri di accesso alle cariche (status sociale, meriti pregressi). Resta da chiarire in che misura una forma di premio del merito fosse ancora presente. Di sicuro, l'esperienza militare sul campo e la preparazione giuridica erano qualità capaci di determinare il balzo della carriera di un "amico del principe". Questi funzionari avevano anche un salarium, altra innovazione decisiva del principato di Ottaviano Augusto. Procuratori e prefetti dell'Impero furono al massimo, nel III secolo, meno di 200: se dunque, a giudizio di Pani, per l'età di Augusto non si può parlare di uno Stato burocratico (weberianamente inteso), certamente ci si trova di fronte a una "presenza burocratica nello Stato" (p. 110). Ad Augusto risalgono, da questo punto di vista, quelle innovazioni nelle forme di organizzazione pubblica che la storiografia faceva risalire all'età dei Severi. Anche il concetto degli officia - 96 G. Brunelli, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 "sorta di contenitori funzionali e impersonali nei quali reclutare poi un maggior numero di persone nell'amministrazione pubblica" (p. 113) - si può far risalire a quei decenni cruciali sulla soglia del primo millennio. Pani prosegue la sua rassegna con un colpo di zoom sugli ordinamenti militari. Il passaggio dall'esercito repubblicano di leva al servizio volontario ben retribuito di età imperiale, è a suo giudizio, un chiaro indizio del rafforzamento delle strutture statuali avvenuto con il principato. Di più: ripetendo i giudizi di Pier Paolo Portinaro e - più a monte - di Federico Chabod, la formazione di un esercito permanente è considerata tout court come il segnale della nascita "di uno Stato moderno" (p. 113). Chi allora viveva sotto il dominio di Roma si sentiva legittimato a vivere nell'otium, delegando al principe il governo e l'amministrazione, soltanto perché ai confini esistevano corpi armati professionalmente deputati alla sua protezione, stipendiati attraverso una sempre più generalizzata leva fiscale. Iniziava così ad operare un "meccanismo che non ha più nulla a che vedere con la mentalità della forma di Stato repubblicana. Lo Stato si gonfia, si astrattizza e diventa più pervasivo nelle sue articolazioni" (p. 116). Anche un'idea di un governo del territorio, "nozione base nella formazione dello «Stato moderno»" (p. 117), si formò secondo Pani all'avvio del principato. Fu Augusto, nelle Res gestae, a far vedere per primo una concezione di imperium coincidente con una concreta entità spaziale: qualcosa che era diviso in provinciae, ognuna con confini (fines) potenzialmente in espansione. In modo più esplicito, quando passa in rassegna le diverse aree di intervento sottoposte all'iniziativa degli imperatori romani, l'Autore propone le sue tesi storiografiche di fondo. I primi tre secoli del primo millennio pongono "di fronte una situazione che sappiamo si evolve verso una condizione di sempre maggiore articolata statualità" (p. 120). Nacque l'attenzione per quella che con lessico contemporaneo si chiamano le politiche di bilancio. Già Augusto sviluppò una sua politica monetaria: il suo immenso patrimonio personale divenne parte dell'erario pubblico. L'economia reale fu a sua volta influenzata dalla nuova forma che lo stato stava prendendo: i principi non solo garantivano la sicurezza del commercio, non solo stimolavano l'industria con le loro commesse, ma prendevano anche iniziative di politica economica - ad esempio in campo agrario - e varavano misure da "Stato sociale" (questo il sintagma utilizzato a p. 143). I soggetti deboli (donne, minori, schiavi e liberti) furono protetti da una legislazione emanata ad hoc; fu promossa la scuola pubblica; l'amministrazione della giustizia si fece più capillare e si fece strada la necessità di una moltiplicazione dei gradi di giudizio. Chi era risultato soccombente poteva ricorrere al principe: anche questo era un portato della sua posizione straordinariamente in primo piano. L'auctoritas dei giuristi, già con Augusto, fu 97 G. Brunelli, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 sottomessa all'auctoritas del principe, che non si attribuiva arbitrariamente maggiore competenza: soltanto, rivendicava la più ampia visuale offertagli dall'istituzionalizzazione dei suoi poteri. Conclude il volume l'epilogo intitolato "Una evoluzione delle forme di Stato". Il principe, agli inizi dell'età imperiale, non era un despota che governava in modo personalistico e arbitrario; il primato della legge era ormai radicato. L'Autore non teme di lanciare letture in parallelo "se lasciamo da parte il tabù del cosiddetto «anacronismo»" (p. 183). Non solo parla di "accentramento e di statalizzazione" (ad esempio alle pp. 184-185), ma arriva esplicitamente alla conclusione che in quel primo secolo "si cercò piuttosto una sorta di monarchia costituzionale che collegava le due grandi esperienze statuali che si erano avute nel Mediterraneo, la monarchia del regno e la democrazia (più o meno “aristocratica”) dell'ordinamento cittadino" (pp. 179180). Vengono così pienamente alla luce le implicazioni dei risultati presentati: l'esperienza del principato nella Roma del I secolo fu un preciso stadio dell'evoluzione dello stato, vale a dire del processo di istituzionalizzazione delle forme di organizzazione politica avvenuto in Occidente fra l'antichità e il XIX secolo. La connotazione teleologica di questa evoluzione è riconosciuta esplicitamente: anche se Pani non intende ammettere l'idea di un progresso lineare culminante nello Stato cosiddetto "moderno" , anche se egli ricorda le continue commistioni di "antico" e di "moderno" all'interno delle diverse declinazioni della statualità, la sua proposta di definire il punto terminale di quella evoluzione "Stato pienamente compiuto" (p. 17) rivela nelle stesse scelte terminologiche l'impianto finalistico di questo modello di spiegazione. Cadono così le distanze che da più parti (un nome per tutti: António Manuel Hespanha101) si sono viste tra le diverse esperienze e forme di regolamentazione della vita sociale: restano inascoltati quegli avvertimenti che ormai sembravano del tutto pleonastici a non leggere la dimensione politica dei secoli antecedenti il XIX con categorie, modi di dire, concetti utilizzati per l’età contemporanea. A partire dal III millennio, se si guarda ad opere come quella di Geoffrey Parker, di Pier Paolo Portinaro, di Francis Fukujama102, la storia delle istituzioni politiche punta a valorizzare di più le linee di continuità che i momenti di rottura, più le scene di riconoscimento che i momenti di Cfr. António M. Hespanha, Storia delle istituzioni politiche, Milano, Editoriale Jaca Book, 1993 ed ora Id., La cultura giuridica europea, Bologna, Il Mulino, 2013 (in particolare il paragrafo II.2: Il modello statalista e la sua crisi). 102 Geoffrey Parker, Sovereign City. The City-State through History, London, Reaktion Books, 2004; Pier Paolo Portinaro, Il labirinto delle istituzioni nella storia europea, Bologna, Il Mulino, 2007; Francis Fukuyama, The Origins of Political Order: from Prehuman Times to the French Revolution, London, Profile Books, 2011. 101 98 G. Brunelli, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 spaesamento teorico, anche rintracciando in un passato remoto (addirittura, nel caso di Fukujama, più in Cina che in Europa) i momenti fondativi di una storia del potere ancora perdurante. È una storia che si vuole vedere, nel suo concreto svolgersi, come un processo – certo con le sue fasi e le sue contraddizioni, ma certamente concettualizzata come un “processo” - di razionalizzazione dei meccanismi decisionali e della regolamentazione esecutiva: nell’alveo di un primato della legge (e in particolare della legge fondamentale, la costituzione) precocemente raggiunto in Occidente. 99 G. Brunelli, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 G. Lacerenza (a cura di), 1510 – 2010 Cinquecentenario dell’espulsione degli ebrei dall’Italia meridionale. Atti del Convegno internazionale, Napoli, Università “L’Orientale”, 22-23 novembre 2010 di Massimiliano Venditti Il 31 marzo 1992 (anniversario fatidico!) nella sinagoga di Madrid, il presidente dello stato d’Israele, Haim Herzog, ha detto: Mi trovo qui nella Sinagoga di Madrid, come rappresentante dello Stato d’Israele e del popolo ebreo, e mi sento come un emissario che segue le sue preghiere in un libro le cui orazioni e melodie sono state scritte, in gran parte, in Spagna, dalla lunga e meravigliosa lista dei suoi geni e studiosi della Torah nelle più pure tradizioni del nostro popolo. Oggi, in questa eccezionale ed emotiva assemblea, commemoriamo un evento che ha lasciato un ricordo incancellabile nel popolo ebreo, nella sua vita culturale e nella sua coscienza storica, dal giorno in cui avvenne fino ai nostri giorni. I dolorosi avvenimenti di quello stesso anno che segnarono un’epoca con il viaggio di Colombo, il 1492, segnarono un punto decisivo di grandissima importanza nelle cronache del nostro popolo… Nella nostra memoria collettiva ricordiamo non solo la Spagna dell’Inquisizione, ma la Spagna in cui, per centinaia di anni, fiorì una magnifica cultura ebraica, creando opere fondamentali in teologia, filosofia, letteratura, tuttora inerenti alla nostra cultura… Maestà, abbiamo avuto il privilegio di essere a capo di due nazioni che hanno avuto tanto in comune nel passato, e di guidarle verso un nuovo orgoglioso futuro… Non possiamo cambiare il passato. Ciò che possiamo fare è imparare le sue lezioni e assicurare così un futuro migliore a noi e a tutta l’umanità. 1 L’anno 2010 costituiva il termine ad quem, rievocare, nella città di Napoli, i cinquecento anni dal primo editto di espulsione degli israeliti, promulgato nel novembre 1510 sotto la sovranità di Ferdinando il Cattolico. La politica di espulsione delle minoranze religiose non cristiane, iniziata in Spagna nel 1492, si protraeva sino ai domini soggetti alla corona, e quindi interessava tutta la realtà del regno di Napoli, citra Farum, essendo la Sicilia, come è noto, già Corona annessa a quella spagnola e per ciò stesso epurata dalla presenza israelita, a seguito dell’editto del 1492. Unica possibilità per gli israeliti era offerta dalla conversione al cristianesimo; possibilità che, a dire il vero, fu concessa solo in ultima istanza, contemplando il bando di espulsione anche il folto gruppo dei Novelli Cristiani, sospettati di criptogiudaismo. 1 Cfr. G. Martina SJ, Il problema ebraico nella storia della Chiesa, Pontificia Università Gregoriana, 1996, p. 86. 100 M. Venditti, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 A ridosso del 1492, soggetti a forti pressioni e condizionamenti, probabilmente gruppi di ebrei scelsero la conversione, per non dover perdere la stabilità millenaria e la propria identità; certamente, molti altri, fermi nella fede dei padri, dovettero lasciare la Spagna; Napoli, come in generale il regno citra Farum, costituì un asilo accogliente, essendo manifesta la liberalità di Ferrante II d’Aragona, cugino del Cattolico. De jure et de facto (corsivo di chi scrive), ad eccezione della Sicilia, anche l’Italia meridionale peninsulare rientrava però ormai a pieno titolo nella giurisdizione del regno iberico. Per questa ragione l’editto di espulsione del 1510 non fu che una ripetizione della politica adottata nel ’92, sia pure con effetti almeno inizialmente più attenuati. Tale premessa, resa necessaria per contestualizzare il teatro politico presente nell’Europa mediterranea, in cui fu rinnovato per gli ebrei l’invito a lasciare i domini spagnoli, ci permette di prendere in esame i differenti contributi degli studiosi che nel recente 2010 convennero a Napoli, presentando, ciascuno per il proprio ambito di interesse, le relazioni che sono state raccolte e pubblicate all’interno degli Atti del Convegno che è oggetto della presente recensione. Gioverà almeno rammentare che altre due occasioni di dibattito condiviso, circa il tema oggetto del convegno ultimo, videro la luce negli anni 1992 e 2002, rispettivamente con i due convegni su “L’Ebraismo dell’Italia Meridionale Peninsulare dalle origini al 1541”, e “Carlo V Napoli e il Mediterraneo”; in questo secondo contributo la questione della presenza ed espulsione dal regno di Napoli fu curata da David Abulafia. Compito specifico del presente lavoro di recensione è quello di presentare gli orientamenti storiografici emergenti dai differenti contributi. Ci sembra di poter rilevare uno spostamento dell’interesse degli studiosi convenuti, dall’interpretazione in chiave politico/economica, comunque sottesa e acquisita, a riflessioni e considerazioni di carattere storico ma di profilo letterario e giuridico, o forse meglio sarebbe dire di attenzione alle fonti normative da analizzare allo scopo di presentare una ricostruzione dei fatti quanto più aderente alla realtà. Elemento ormai acquisito dalla storiografia d’argomento è la percezione della natura politico-religiosa alla base della risoluzione della monarchia cattolica di configurare la Spagna come una realtà totalmente ed esclusivamente cristiana; dunque il nuovo scenario territoriale, ottenuto con la conquista del meridione d’Italia, Sicilia esclusa, offriva una realtà ulteriore su cui estendere le decisioni e la politica adottate nella madrepatria. Premesso questo, il profilo delle relazioni presentate è senza dubbio la precisazione dei dati storici, e storico–normativi, non meno che metodologici, 101 M. Venditti, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 da un lato, e la proposta, nuova, di una lettura in chiave letteraria di fonti coeve agli eventi che fanno da sfondo alla ricostruzione degli studiosi; ulteriore caratteristica, soprattutto apprezzabile nel contributo di Francesco Lucrezi, è quella di offrire una radiografia della presenza ebraica nel meridione italiano e nella Spagna, dalle lontane origini romane, per Napoli, e dal regno dei Visigoti, per la Spagna. Lucrezi, in una relazione di agile approccio, chiarissima sotto l’aspetto dei passaggi normativi che caratterizzano a più riprese le dinamiche di accoglienza/rifiuto della realtà israelita in Spagna, non meno che nel meridione d’Italia, pone bene l’accento anche sull’autorità della Chiesa nel dettare norme di “gestione” della diversità confessionale, come appare dall’esempio citato del Concilio di Elvira, risalente al 306 d.C. Originale, e destinata a segnare il passo della futura storiografia d’argomento, la posizione (da noi condivisa con convinzione) dell’autore sui concetti di antiebraismo e antisemitismo. Il secondo, avvalorato da una lettura attenta del termine “limpieza de sangre”, più volte incontrato nei numerosi contributi storiografici, non meno che nella letteratura, di varia confezione, sulla propaganda di intolleranza verso ebrei e marrani, starebbe alla base della autentica e più veritiera aggressività dei limpidi spagnoli discendenti dei visigoti. In ragione di ciò, se la Spagna dei cattolici doveva assumere l’abito della fede cristiana, secondo una possibile formula “una Spagna un’unica fede”, allora è comprensibile che la fede ebraica, osservata dai discendenti dei semiti, doveva apparire agli occhi dei sovrani spagnoli e di una maggioranza del ceto dirigente come una macchia in cui non era possibile separare l’essere umano dalla propria fede di appartenenza; l’ebreo costituiva quindi tutt’altra dimensione ontologica. A riprova, si potrebbe osservare, l’intolleranza della monarchia si indirizzava anche verso la presenza morisca sul suolo del regno. Di profilo analogo l’intervento di Cesare Colafemmina, che restituisce alla storiografia di settore la certezza delle fonti normative relative ai bandi di espulsione promulgati a Napoli dal 1510 al ‘41. L’autore chiarisce l’equivoco circa la presenza di un solo editto a carico degli ebrei, in base al quale quello riservato ai cristiani novelli sarebbe stato emesso nel 1515; equivoco presente in Ferorelli e Stock, e destinato quindi a “condizionare”, per così dire, la storiografia successiva. Sanzione definitiva della verità storica, quindi, nell’ambito delle fonti di carattere normativo, che porta alla conferma della presenza di due editti, distinti, ma simultanei, promulgati nel 1510, e relativi alla presenza di israeliti e novelli cristiani, su territorio spagnolo nel meridione peninsulare italiano. 102 M. Venditti, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Analisi raffinata, quella offerta dalla proposta di Paola Avallone, incentrata su uno studio condotto relativamente all’apparire della realtà dei Monti di Pietà, nel torno di tempo successivo al 1541. Centro della relazione di Avallone è la interpretazione del sorgere dei Monti di Pietà nel regno di Napoli non in stretta relazione alla partenza degli ebrei dopo il 1541. L’equazione “espulsione degli ebrei = apertura dei monti di pietà” non risulta dunque rispondere con precisione alla realtà storica; una analisi e lettura del fenomeno creditizio-assistenziale, almeno stando ad una osservazione della realtà a lunga gittata, se pensiamo alla istituzione dei monti già durante il sec. XV, al loro ulteriore sviluppo nel XVII e alla decrescita degli stessi nel secolo XIX, fanno ritenere quella relazione non direttamente consequenziale; la proliferazione, dunque, dei centri creditizi, tutti di natura privata e laicale, è da riconnettersi alla più generale crisi economica di fine ‘500, non quindi all’espulsione degli ebrei dal regno. Finalizzata a chiarire le dinamiche ed i momenti del processo migratorio degli ebrei dopo il 1510, nel ribadire l’importanza del metodo di ricerca e verifica del dato storico–documentale, la relazione di Anna Esposito pone anche l’accento sulla minore approssimazione dei dati acquisiti, grazie a rigorosi riscontri incrociati, circa la definizione della identità degli ebrei profughi negli stati pontifici. Dati, quali presenza, provenienza, professioni, sulla base dei documenti d’archivio, di natura pubblica e privata, dagli atti notarili ai riscontri presenti nei contributi di K. Stow, A. Scandaliato, S. Simonsohn, chiariscono maggiormente la biografia individuale, familiare e i legami parentali della “collettività” degli esiliati. Materia antropo/toponomastica dunque è l’alveo da cui si rende meno approssimativa la ricostruzione della fisionomia dei protagonisti dell’esilio. Tuttavia, viene raccomandata da parte della Esposito l’attenzione a non cadere nell’“inganno” che talvolta riserva l’acquisizione del dato toponomastico e toponimico, dietro al quale possono celarsi identità differenti da quelle “accertate” e dichiarate negli atti notarili stessi; non sempre regnicoli sono gli ebrei dichiarati tali, ma possono nascondere identità precedenti e rivelare provenienze diverse dal regno. La questione dell’esilio degli israeliti siciliani, dopo il ‘92, verso Napoli o semplicemente verso altre regioni del meridione peninsulare e la loro contromigrazione, di nuovo verso la Sicilia, dopo il 1541, loro antica e diretta madrepatria, assume nell’ottica di Francesco Paolo Tocco una valutazione squisitamente culturale di profilo identitario. Identità specifica, quella siciliana, e ribadita con orgoglio sino all’ultimo: non solo la scelta di tornare, ed affrontare così la conversione e la possibilità di essere indagati dall’Inquisizione, ma anche l’accettazione del distacco dai 103 M. Venditti, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 legami familiari con la generazione degli anziani, rimasti nella fede dei padri, rendono gli ebrei siciliani tornati nella loro patria, la Sicilia, un ”unicum” nel loro genere. Controprova ne sia la dichiarazione di appartenenza identitaria degli ebrei greci, di Ioannina, che negli anni ‘50 del secolo XX si dichiararono appunto siciliani. Tema questo, come sottolinea l’autore della relazione, che merita un attento approfondimento. Dare voce ad una identità muta ma non dissolta, all’interno del tessuto apparentemente omogeneo della cultura siciliana di età contemporanea, coesa a partire dall’età moderna dalla pratica del culto mariano, sarebbe come recuperare la vera e più convincente fisionomia di una dimensione culturale siciliana che molto deve al contributo ebraico. Giungiamo ora al contributo di Nadia Zeldes; la distinzione tra convertiti fu oggetto di riflessione e normazione da parte delle autorità rabbiniche allorquando - considerati i momenti storici che videro l’alternanza di tolleranza e rifiuto ostinato della minoranza ebraica - cristiani novelli, in maggioranza donne, chiedevano di rientrare nella comunità di fede dei padri. L’esame di alcuni casi, in modo particolare riferiti a donne convertite, fa emergere la competenza esclusiva del rabbino della comunità nel decretare i criteri di possibile rientro, o, in alcuni casi, di rifiuto. Le direttive dei “responsa” rabbinici, sulla base della lettura e interpretazione della Halakah, ponevano in rilievo l’animus operandi del convertito poi pentito; se la conversione era scelta deliberatamente e convintamente, prova ne fosse stata la costanza della fede nuova vissuta pubblicamente, non meno che privatamente, il ritorno non era consentito; diversamente, se la conversione risultava dettata da motivazioni cogenti, da circostanze costrittive e quindi rivelava una adesione solo giuridico-formale, diremmo canonica, secondo la dottrina della Chiesa, allora il rientro nella comunità era approvato. Tuttavia, a ridosso della espulsione del 1510-1511, i criteri di giudizio di reinserimento o rifiuto risultano diversi; rileva, per l’autorità rabbinica, solo ed esclusivamente se i convertiti abbiano vissuto assieme agli ebrei, nel luogo del loro insediamento, oppure se abbiano voluto separarsene in un atteggiamento di “rinnegamento”; per i primi, come nel caso delle donne di cui l’autrice ci informa, l’inserimento nella comunità fu accettato, nel secondo rifiutato. Probabilmente, almeno a carico di chi scrive, la presenza di casi di donne, maggiormente che di uomini, potrebbe essere messo in relazione al principio per il quale, nella Halakah, l’appartenenza al popolo d’Israele, quindi alla sua fede, passa attraverso la discendenza matrilineare. La presenza dei novelli cristiani, partiti dalla Spagna a più riprese, costituiva probabilmente, almeno durante il viceregno di don Pedro de Toledo, 104 M. Venditti, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 una realtà “ambigua”, come la definisce P.A. Mazur: lo studioso assume le dinamiche di relazione tra élite dei neofiti e autorità vicereale come dimensione, appunto, di alleanza ambigua. Ovvero, nonostante la pubblica distanza tra Toledo e le famiglie di novelli cristiani, ufficiosamente il viceré adottò un comportamento di favore, soprattutto nel trattare il caso dei Sanchez, oggetto di ripetute iniziative giudiziarie, in modo molto leggero, mantenendo i due membri di questa famiglia tra le alte cariche del regno. Eppure i Sanchez avevano gestito in modo assai disinvolto risorse che chiameremmo pubbliche. Lo scopo del viceré, come sottolinea Mazur, fu quello di crearsi una compagine di ricchi cristiani novelli che potessero gestire le proprie finanze in modo utile alla nuova realtà napoletana, in cui si cercava di portare il modello di stato spagnolo, favorendo l’ingresso di tali famiglie, o di elementi di esse tra i vertici del governo vicereale, nelle branche delle istituzioni di stato. Ottica, questa, nuova e differente da quella proposta da Viviana Bonazzoli in un suo saggio, apparso in «Archivio storico italiano», risalente ai primi anni Ottanta del secolo scorso. Avviandoci alla conclusione, assolutamente originali i contributi di Cedrik Cohen Skally e Rav Roberto Bonfil. Oggetto della loro attenzione la figura di Yishaq Abravanel, ma soprattutto dell’Abravanel Teologo. Bonfil prende l’avvio dal commento di Abravanel al libro di Giobbe; come è noto Giobbe è il modello, contenuto nella Sacra Scrittura, della sopportazione degli accadimenti più tragici, non ultimo quello dell’essere allontanato dalla propria famiglia e giudicato responsabile della propria sventura, dai suoi stessi amici. Giobbe, nonostante tutto, non giudica nessuno e non rinuncia alla fede nel Dio dei padri; così Abravanel legge gli eventi a lui contemporanei, e dalla Sacra Scrittura, parola ispirata e rivelata dall’Altissimo, trae la forza per accettare l’inevitabile, senza per questo indulgere a giudizi morali contro i cristiani o l’autorità regia, ma assumendo tutto con la fede nella prova che la propria vicenda, unita a quella della comunità tutta, vive nella Scrittura, è presente allo sguardo di Dio, che non mancherà di manifestarsi a favore del popolo eletto. Sulla stessa linea interpretativa l’approccio di Cohen Skally ai commenti di Abravanel su 1/Samuele e su come egli vede l’istituzione monarchica, seppure mirato ad auspicare la formazione di una coscienza giuridica circa la questione della cittadinanza mai concessa agli ebrei, perché ritenuti non facenti parte del popolo originario delle realtà territoriali in cui, seppure da secoli, essi vivevano stabilmente. Tale contributo sembrerebbe evidenziare una relazione tra il concettorealtà del dispositivo “editto-espulsione” e la forma di governo di stampo 105 M. Venditti, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 monarchico, a differenza di realtà modellate sull’esempio repubblicano, particolarmente amato e ripreso nel Rinascimento, almeno sino ai primi due lustri del Cinquecento, in cui gli ebrei furono accolti e resi parte integrante del tessuto sociale. Concludiamo questa avventura, ponendo dinanzi a noi, come suggerisce Giancarlo Lacerenza, per quanto l’immaginazione possa consentirlo, gli affreschi di Belisario Corenzio, all’interno del Palazzo Reale di Napoli. La raffigurazione della cacciata degli ebrei dalla Spagna, seppure figurativamente resa con abiti secenteschi, coevi quindi all’artista, indica una memoria particolare, ovvero una memoria di stato. Accanto a quell’evento, anche l’ingresso di Alfonso il Magnanimo, protettore degli ebrei, suggerirebbe una lettura comprensiva e più ampia che potrebbe indicare novità anche apprezzabili sotto il profilo della ricerca storiografica. _____________ S.M.Cattolica, Juan Carlos di Borbone, Sinagoga di Madrid, 31 marzo 1992, in risposta alla prolusione del presidente dello Stato d’Israele Haim Herzog: Può sembrare paradossale che si sia scelta la commemorazione di uno scontro per propiziare un incontro di così profondo significato. Ma la storia dei popoli, e , naturalmente, la storia di Spagna è piena di luci e di ombre….Evocare oggi quei secoli di storia condivisa è un omaggio che voglio rendere alla forza di spirito e alla capacità di conservare le proprie radici culturali degli ebrei spagnoli, che, fedeli alla propria fede e alle proprie tradizioni, dovettero uscire dalla Spagna in forza di una ragion di Stato che vedeva il fondamento della propria unità nella uniformità religiosa…500 anni dopo, viviamo con norme costituzionali che hanno consacrato la unità nel pluralismo e nella libertà religiosa e di coscienza. Il ritorno a Sefaràd, iniziato già timidamente nel secolo passato, comincia a colmare il vuoto prodotto dalla vostra assenza….Dobbiamo riconoscere che fu ammirevole, malgrado le circostanze della loro partenza, la fedeltà che le comunità sefardite hanno conservato, pur con logici ed opposti sentimenti, alla loro patria di tanti secoli. Abbiamo ora la possibilità di fare di questo appuntamento e di questo paese un vero luogo di incontro per le future generazioni. Che mai più l’odio e l’intolleranza provochino la desolazione o l’esilio. Al contrario dobbiamo essere capaci di costruire una Spagna prospera e in pace con se stessa sulla base della concordia e del rispetto mutuo. Una spagna di cittadini liberi, in collaborazione con tutti i paesi amanti della pace… 2 2 Ivi, pp. 86-87. 106 M. Venditti, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Breve storia del futuro, un libro di Jacques Attali, Fazi Editore, Roma, 2007 di Maria Antonietta Del Boccio Prosperi “A memoria di rosa non si è mai visto un giardiniere morire”: il sofisma dell’effimero di Bernard le Bovier de Fontenelle è “quello di un essere passeggero che crede nell’immutabilità delle cose”. Così lo definisce Eugenio Scalfari nel libretto Il sogno di una rosa, dove si parla dell’immagine di un universo che finisce, di un futuro vuoto dopo l’umanità, di incubi che il filosofo Diderot – personaggio del libro – commenta: ... nessuna mente può contenerli, perchè noi siamo una parte e non possiamo pensare al futuro. Il sofisma dell’effimero è la nostra sola possibile dimensione: sappiamo che è un sofisma, ma è la nostra unica realtà. Perciò trovo bellissimo il vostro sogno: siete nata rosa, fiorite come rosa e vi addormentate nella vostra radice in attesa che passi l’inverno. Arriverà il momento che vi addormenterete senza più risvegliarvi, ma voi non sentirete la mancanza del vostro risveglio. Il vostro effimero riguarda gli altri; per voi, per me, per ciascuno di noi il nostro effimero è la nostra eternità. Struggente definizione dell’effimero nelle sue conseguenze, quella di Fontenelle nella versione data da Diderot/Scalfari. C’è l’affettuosa derisione della pretesa estrapolazione all’universale di un’esperienza continuata ed eternamente confermata ma sempre entro un suo invisibile e non sperimentabile limite. C’è la falsa sicurezza del futuro generata dalla falsa certezza di un’immutabilità che è inesistente, ma che tale ci appare perché è l’unica che possiamo concepire. C’è l’esperienza che si moltiplica e traguarda attraverso le vite delle generazioni passate e che si estrapola alle generazioni future, che nella sua continuità diventa certezza del singolo pur non provenendo dal singolo, ma dalla specie. È bello provare il desiderio di godere del nostro effimero in tutte le sue piccole certezze: la brevità della vita, l’ignoranza del futuro, la continuità della storia, lo scorrere immutabile delle generazioni umane e delle stagioni. Ma di fronte a questa tenera filosofia profetica – in qualche modo rassicurante – che viene dal passato si schiera la previsione del futuro nei macroscenari dell’“Iperimpero”, “Iperconflitto” e “Iperdemocrazia”: scenari che 107 M.A. Del Boccio Prosperi, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 dal passato attingono una credibilità orripilante….sono gli scenari di Breve storia del futuro... È certamente facile definire Jacques Attali un genio della nostra epoca (www.attali.com/), con le sue lauree (Ingegneria, Studi politici, Economia), la sua specializzazione in Economia della pubblica amministrazione, la sua variegata attività di scrittore (pubblicista per «L’express», libri per ragazzi e testi politici e di economia), la sua docenza di Economia nelle maggiori università di Francia e la professione di consulente di multinazionali e stati in materia di strategia e ingegneria finanziaria. Ma la sua fama mondiale è legata a quando viene nominato da Mitterand nell’1981 "consigliere speciale" in economia e poi, lasciato l’Eliseo, fonda la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, istituto dei governi occidentali e ne diventa presidente. Il presidente Sarkozy, nel 1991, gli affida la presidenza della Commissione Internazionale per la Liberazione della Crescita (ricordiamo che i componenti italiani furono Franco Bassanini e Mario Monti e che fu pubblicato un interessante Rapporto Finale nel 2008). Nel 1980 fonda Action Contre la Faim e poi il programma europeo Eurêka; poi avvia un piano a favore del Bangladesh, quindi un progetto contro la proliferazione nucleare ed uno per l’armonizzazione degli insegnamenti nelle scuole europee. Insomma, un personaggio irrefrenabile ed eclettico che condensa i suoi ideali, la sua storia e la sua cultura nel libriccino Une brève histoire de l'avenir, uscito in Francia nel 2006, subito bestseller tradotto in tutte le lingue: una storia dell’umanità, che ripercorre i milestones evolutivi dei poteri religiosi, politici ed economici, sintetizzandone i meccanismi e, da qui, estrapolando le caratteristiche della società globalizzata che ci attende nel prossimo cinquantennio. “Pagine profetiche e visionarie e al tempo stesse realistiche.” (così dice la quarta pagina di copertina) che disegnano scenari di fronte ai quali, la “conoscenza” acquista il sapore di una maledizione biblica, il “non esserci” di un auspicio angoscioso e l’effimero di un’oasi dove far riposare il pensiero. Già, perché questo libro a me ha fatto questo effetto, segno inequivocabile della mia età. Eppure, per nessun motivo vorrei essermelo perso. Ci sono almeno tre buone ragioni per dirlo: la prima perché questo libro offre il piacere della cultura, la seconda perché offre l’adrenalina di una terribile verosimiglianza, la terza perché fa pensare: cerco di spiegarmi, senza raccontare il libro dato che merita la lettura completa senza intermediari e senza riassunti. Colto perché È un classico, nel senso più puro del termine. È scritto con la semplicità, la logica, la stringatezza dei grandi filosofi del Settecento. Di essi recupera anche 108 M.A. Del Boccio Prosperi, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 la costruzione del pensiero, adotta il tipo di ragionamento, racchiude il metodo fino a sembrare loro naturale epigono. Quel suo traguardare l’esperienza umana attraverso macro eventi la cui essenza rivoluzionaria è visibile solo ad un occhio che è insieme critico, analitico e sintetico del lungo periodo spaziotempo racchiude un’abilità che è figlia di secoli di cultura francese, europea ed occidentale. Questo suo scrutare la storia più lontana per distillarne verità essenziali da estrapolare al futuro condensa tutto un metodo che è un altalenare tra empirismo e teoria, tra psicologia umana – nelle sue eterne e ripetitive manifestazioni – e fatti storici. Affascina in Attali il metodo classico del ragionamento. Come Condorcet ne I progressi dello spirito umano, rilegge il passato fin dove può spingersi per estrarre da esso principi, esperienze e conclusioni a cui la reiterazione consente di attribuire un valore universale o almeno una verità che supera l’esperienza effimera di una generazione o l’annotazione storiografica di un’epoca limitata. Ma anche le fondazioni del ragionamento, le ipotesi del teorema che viene poi sviluppato fino alle sue tesi più estreme traggono dalla nostra cultura. La catena logica, sequenziale e bidirezionale di tre affermazioni (uso qui parole mie): “il motore dell’umanità è la ricerca del benessere” – “l’ambiente in cui sviluppa il benessere è la democrazia” – “il risultato del benessere è la pace” ci appare così ottimisticamente scontata, infatti, solo in quanto noi apparteniamo al nostro mondo e in quanto – più o meno consciamente – vi ritroviamo la lezione dei nostri grandi maestri. Come Spinoza (Trattato teologico politico) che nel 1670 afferma che in Amsterdam (esemplare città di liberismo commerciale e liberalismo politico) “vi convivono in perfetta concordia uomini di tutte le nazioni e di tutte le religioni” e ciò è ragione di prosperità economica. Come Voltaire che, sulla stessa lunghezza d’onda, nel 1733 (Lettere Inglesi, ovvero lettere filosofiche) dice che alla Borsa di Londra, ancora città pilota dell’esperienza politica e commerciale: il giudeo, il maomettano ed il cristiano trattano l’uno con l’altro come se fossero della medesima religione e non danno l’appellativo di infedeli se non a coloro che fanno bancarotta… Se in Inghilterra vi fosse una sola religione si dovrebbe temere il dispotismo, se ve ne fossero due si scannerebbero a vicenda, ma ve ne sono trenta e vivono felici e in pace. In Kant il liberalismo antiassolutistico si unisce all’idea della necessità dei Lumi in una concezione politica ed etica che fa coincidere il benessere economico dello stato con la libertà di commercio che lo alimenta, con la libertà di pensiero che lo consente e con una qualche forma di democrazia che lo promuove: siamo nel 1793 quando tutto ciò appare in Critica della ragione pura e nell’articolo Che cosa è l’Illuminismo. 109 M.A. Del Boccio Prosperi, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 E come non cogliere nel concetto del “buon tempo” di Attali, la stretta parentela con quella “dolcezza di vivere” che in Condorcet rappresenta il fine dell’umanità e, quindi, il motore della sua corsa millenaria e perigliosa? E l’ ”Abitudine a sentimenti dolci che fondono la nostra felicità con quella degli altri” che pronostica Condorcet, quanto assomiglia all’ “economia dell’altruismo della disponibilità gratuita, del dono reciproco, del servizio pubblico, dell’interesse generale” che potrebbe, forse, governare il mondo di dopodomani? E come non sentire la vicinanza culturale, quindi profondamente classica ed occidentale e per così dire “illuministica”, tra lo scenario della “Decima epoca” di Condorcet nella sua meravigliosa utopia, e l’Iperdemocrazia di Attali? Le profezie sociali del filosofo settecentesco circa l’istruzione universale, l’industrializzazione rispettosa delle materie prime della natura, l’aumento della popolazione umana per effetto del benessere e dell’allungamento della vita, la diffusione delle arti e dei saperi nel rispetto delle diverse culture, la ridistribuzione delle accresciute fortune materiali resa possibile da un sapere universalmente condiviso trovano la loro proiezione in Attali in equivalenti “futuri possibili”. Persino le profezie tecnologiche di Attali trovano in Condorcet un predecessore di pari audacia visionaria, laddove delinea uno strumento di conoscenza universale che sembra avere tutte le caratteristiche di Internet. Ma se metodo ed ipotesi del teorema di Attali sono radicate nella nostra storia culturale e nei nostri schemi logici, così che le tesi ne risultano dimostrate, l’esito è opposto: non all’utopia di Condorcet sostanzialmente ottimista ed illuminista, ma a visioni terribili e purtroppo credibili ci conduce questo nuovo profeta di oggi. Verosimile perché Come Socrate, Attali ti prende per mano e ti accompagna su un ragionamento che si snocciola logico e sequenziale, inattaccabile passo per passo, fino alle sue conclusioni. Maieuticamente il suo non esplicito dialogo filosofico-socratico, ti conduce lungo un suo cammino cosparso di esperienze antiche trasferite all’oggi, estrapolazioni credibili perché già avvenute. Nella caduta dell’impero romano, nella caduta delle istituzioni i singoli della classe senatoria si sono allontanati dagli impegni governo perché privi della cultura specialistica della guerra e della politica. I tempi stavano cambiando, la complessità del mondo nascente richiedeva una classe professionale: la nobiltà antica – in un processo che si ripeterà infinite volte nella storia – orgogliosamente e volontariamente andò a segregarsi, mentre 110 M.A. Del Boccio Prosperi, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 contemporaneamente la nuova classe di potere agiva positivamente sull’emarginazione definitiva. Il loro nemico era prima di tutto il cristianesimo che avanzava nelle classi degli ultimi e che scuoteva con il vigore della gioventù un politeismo non possessivo né fanatico e per questo più fragile. Ma il senatore, questo pilastro della vecchia società, non trovava difesa neppure dai nemici esterni: non dai barbari che aggredivano proprio la sua essenza di vita volendosene impadronire, non dai Generali né dai soldati, ormai stranieri difensori dello stato che non si riconoscevano nelle icone storiche, neppure dal loro stesso stato che sfibrato dai costi aveva rinunciato alla difesa dei principi per limitarsi al territorio ed ai brandelli di potere. Privati di ruolo e di difesa, sconosciuti o invisi o comunque non “riconosciuti”, i ricchi proprietari terrieri (coincidenti con la nobiltà intellettuale caratterizzata da una cultura che è di tipo filosofico non produttivo né operativo o utilitaristico) si sono chiusi nei loro interessi di sopravvivenza e di “qualità di vita”, aspirando piuttosto ad un gottammerung che ad un rilancio partecipativo che avrebbe modificato irrimediabilmente il loro mondo. Dalla disgregazione, le unità produttive frantumate e le istituzioni spezzate si condensano in liberi Comuni, o in poteri feudali. Questo caos di anarchia, questo vuoto delle istituzioni tradizionali a favore di forme in evoluzione non ancora finite, questa rinuncia dell’intellighenzia alla partecipazione in nome del rifiuto del nuovo mondo e dei nuovi protagonisti, dei loro metodi e dei loro principi, è troppo simile all’idea della società per così dire “residuale” del nostro oggi che dovrà convivere con l’”iperimpero” di Attali dove la scomparsa delle forme istituzionali nazionali avviene a favore degli imperi economici transnazionali o delocalizzati, a favore di culture più aggressive, di soggetti dotati di armi ed istinti di sopravvivenza più sviluppati e potenti. La società multietnica e multireligiosa che nascerà dal mescolamento di popoli diversi tra loro non solo nelle tradizioni e nei credi, ma soprattutto nel livello di civilizzazione e di acculturamento raggiunto, nella sensibilità e conoscenza della propria cultura, nel senso di identificazione di sé con la propria storia, sarà – ce lo dice il buon senso – inevitabile ed irreversibile, ma sarà anche – ce lo dice la storia – foriera di nuovi moti vitali per la civiltà umana. Ma – e questo ce lo dice ancora la storia – in questo guado, il transitorio verso tale nuova era realizzerà probabilmente tutto il catalogo dell’immaginario delle nostre paure. Diaspore e migrazioni, comunicazione immediata e generalizzata, mercato globale, omologazione universale dei bisogni e dei prodotti, della domanda e dell’offerta porterà inevitabilmente al raggiungimento di un equilibrio socioculturale collocato in un punto il più vicino alla più gran massa numerica dei 111 M.A. Del Boccio Prosperi, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 popoli mescolati, in un punto che sarà quello in cui il maggior numero di persone della nuova società sarà capace di riconoscersi servendosi solo del bagaglio culturale proprio individuale o del proprio gruppo etnico. Allora dovremo aspettarci che solo i valori elementari abbiano un riconoscimento allargato se non universale, e solo le pulsioni più semplici abbiano la predominanza. Dovremo aspettarci che la lingua comune universale parlerà di cibo, di musica orecchiabile, di divertimenti e di piaceri elementari. Dovremo pensare che parlerà di soldi, di potere e fama facile: di tutto ciò che da sempre è costituito il linguaggio, le motivazioni, le spinte, più semplificate e ineducate dell’uomo. Come i grandi mammiferi preistorici, i senatori sono scomparsi volendo salvare solo ciò che credevano che fosse – ed era – l’essenza della loro civiltà. Come loro anche noi, uomini vissuti nell’ultimo tratto del XX secolo ancora europeo e nazionale, noi ancora studenti dei classici greci e dei filosofi settecenteschi, ancora amanti di un certo tipo di musica e di un certo tipo di bellezza, saremo sopraffatti e vorremo forse, lasciare nelle biblioteche, nelle cineteche, nelle emeroteche e nelle discoteche, il nostro nostalgico “come eravamo”. Come Isidoro di Siviglia, come Cassiodoro, come in Farhenait 451. Allora in questa società dovremo supporre che ancora qualche nucleo si formerà per difendere, proteggere e conservare la grande cultura dell’occidente europeo, la grande cultura dell’oriente cinese o arabo o indiano o giapponese cioè di tutte quelle grandi culture individuali, “artigianali”, legate alla nozione, allo studio, al tempo di apprendimento ed alla conoscenza del passato che non troveranno spazio né tempo condivisi da un numero economicamente significativo nel mondo globalizzato. Tutto questo, questo gottamerung e insieme questa contemporanea nascita di forme sociali mixate e dotate delle energie della giovinezza e dell’aggressività che ha tutta la vita nuova, è terribilmente credibile perché è già successo, perché si annusa nell’aria come la pioggia quando ancora non piove. Guardiamo i “segni” di questo futuro: osserviamo come, a fianco della scomparsa dei controlli statali ed istituzionali sotto le spinte delle multinazionali e dell’aggregarsi federativo degli stati per rafforzare i mercati, a fianco del fine mescolarsi fisico o anche solo virtuale delle popolazioni, si attiva il movimento opposto dell’individualismo con spinta alla frantumazione degli stati in meteoriti indipendentisti, movimenti a cui risponderanno quei movimenti di auto-segregazione cui si è accennato sopra. Già oggi, mentre le nostre città si affollano di stranieri e le nostre legislazioni inseguono principi e metodi di integrazione laica obsoleti già al loro apparire, vediamo svilupparsi in diverse parti del mondo (USA, Israele) le “città private”. Fenomeno morituro solo ad un occhio disattento, dal momento che queste strutture – misto di 112 M.A. Del Boccio Prosperi, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 medioevo e di fantascienza – rispondono perfettamente ad una certa domanda che è destinata a crescere. Osserviamo come gli eserciti nazionali già ora stanno disegnando sotto i nostri occhi una parabola già vissuta: l’esercito repubblicano romano, costituito da cittadini romani che difendevano il sacro suolo patrio, si trasformò in un esercito di schiavi per mancanza tanto di denaro pubblico quanto di uomini abbastanza poveri o abbastanza patriottici. Come allora, gli eserciti mercenari sono oggi una realtà: una comoda soluzione per chi accetta che il proprio paese conduca affari guerreschi senza dover modificare la propria vita, per chi non voglia obblighi rispetto a convenzioni noiose come quella di Ginevra, per chi voglia gente disposta a morire senza chiedere monumenti. Soluzione talmente comoda, talmente funzionale alla società di oggi e “rispondente alla domanda”, che non si può dubitare che questi deplorati ed ancora rari esemplari abbiano in futuro massimo sviluppo, vitalità ed estensione. Anche le anteprime del futuro culturale sono già presenti nella nostra vita di oggi. Trasmissioni come ALL MUSIC, già mostrano una società in cui pochi delle generazioni degli anni ‘40-‘70 si riconoscono: le immagini, i gesti, le situazioni, gli abiti, ci appaiono riconducibili più ad un certo tipo di fantascienza da day-after che ad un quotidiano sia pure aggressivo o spregiudicato o trasgressivo o innovativo. E quelle immagini nel loro apparire senza “luogo”, non collocabili neppure in un’epoca precisa perché dense di manifestazioni tanto primordiali quanto avveniristiche, che non recano neppure il più lontano tentativo di ricerca della bellezza o dell’ortodossia – valori intrinsecamente legati a culture specifiche – appaiono le immagini concrete di una società per così dire transnazionale e transculturale, addirittura trasversale rispetto al tempo, proprio come si può immaginare la società dell’Iperimpero. Anche i segni di un’altra evoluzione si avvertono nel momento in cui si accendono discussioni feroci sulle libertà individuali, in cui vediamo i grandi principi etici che ci hanno guidato fino ad oggi come cardini delle nostre scelte, sgretolarsi davanti a domande come “Perché no?”, “Cosa c’è di male?”, “Chi può decidere al mio posto?”, “Chi siamo per giudicare?”. Il nostro povero caro cuore, unico ed insostituibile sede dell’amore e della personalità, ha già da molto tempo perso la sua unicità violato come la Luna dall’Apollo. Oggi, ben altri sono i limiti superandi: procreazione e trapianti sempre più audaci, clonazione ed eutanasia. Tutto ciò è troppo comodo, è troppo funzionale ad una società che ha fame di soldi e di tempo e che non vuole pensare: come i pezzi del nostro corpo, i pezzi della nostra etica perdono la loro unicità e divengono riproducibili ed intercambiabili. Persino l’Iperconflitto ci appare credibile, visto con gli occhi di un altro profeta della nostra epoca Italo Svevo: 113 M.A. Del Boccio Prosperi, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 A differenza delle altre malattie, la vita è sempre mortale. Non sopporta cure. […] La vita attuale è inquinata alle radici. L’uomo si è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinato l’aria, ha impedito il libero spazio. Può avvenire di peggio. Il triste ed attivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio delle altre forze. V’è la minaccia di questo genere in aria. Ne seguirà una grande ricchezza … nel numero degli uomini. Ogni metro quadrato sarà occupato da un uomo. Chi ci guarirà dalla mancanza d’aria e di spazio? Solamente al pensarci soffoco! Ma non è questo, questo soltanto […]. Ma l’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori dal suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si vendono si comprano e si rubano e l’uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi, si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione alla sua debolezza, i primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma ormai, l’ordigno non ha più alcuna relazione con l’arto. Ed è l’ordigno che crea la malattia con l’abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattie ed ammalati. Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo, fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udirà e la terra ritornata alla forma nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie. Scritto a cavallo tra le due guerre, il libro di Svevo rivela tutta l’angoscia di chi, emerso da una tragedia, ne attenda un’altra peggiore e definitiva. La sua profezia è tetra nella lucidità con cui si aggrappa a oggettività scientifiche decodificate con pseudo scientificità (la lenta e benefica evoluzione darwiniana a confronto con la freneticamente tragica crescita delle tecnologie umane) e nell’intuizione con cui estrapola da fatti appena delineabili al momento in cui viveva, tutta la gravità che oggi viviamo: l’inquinamento, la sovrappopolazione... L’Ultima Lotta con il male, l’ultima prova temuta ed attesa da Svevo sembra stranamente consonante con la psicologia dell’uomo tipo dell’Iperconflitto di Attali, di quell’uomo giunto alla capacità di dotarsi dei più inimmaginabili “dispositivi di autoriparazione” di cui l’occhiale sveviano è precorritore e splendida sintesi simbolica: nella totale disponibilità degli ordigni tecnologici, nella totale diaspora individualistica dell’umanità, nella totale libertà da vincoli culturali, tradizionali o etnici o etici, ci sarà qualche comunità o associazione o aggregazione umana – ma potrebbe bastare a ciò anche un solo uomo – che chiuderà la storia umana in una unica immensa fiammata per ragioni sue proprie che nessun altro capirà né saprà mai. 114 M.A. Del Boccio Prosperi, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Fa pensare Guardando gli scenari di Attali, c’è da chiedersi se vi è ancora spazio per l’etica, perché sembra che non vi sia speranza nella progressione del mondo verso un’entropia totale in cui il mescolamento di società e di civiltà aventi un diverso grado di maturazione, diversi livelli di sviluppo e collocati su diversi traguardi raggiunti, non può che creare una omogeneizzazione di valori riconosciuti come comuni e condivisibili posti al minimo comune denominatore, quei valori indipendenti dalla civiltà, dalle culture, dalle nozioni, dai credo e dai pregiudizi, cioè da tutta quel software che si è formato attraverso i secoli nelle epoche “beate” – diremmo forse – delle società chiuse o comunque limitate, della culture “nazionali” o regionali. Potrebbe accadere che i valori che si istalleranno e consolideranno perché percepibili ed accettabili al maggior numero di persone siano quelli posti sulla linea di demarcazione tra l’essere umano e l’animale, che i bisogni elementari dell’uomo siano quelli che condizioneranno i comportamenti umani tra singoli e nella società. Potrebbe accadere che parleremo di cibo, di sesso, di divertimento, di denaro e di potere in un modo sempre più staccato dai principi che ogni civiltà del mondo ha da sempre incollato ad essi per esorcizzarne la potenza e diminuirne l’imperio. Potrebbe accadere che quei principi saranno – in quanto patrimonio di gruppi etnici ristretti – diventati incomprensibili alla grande massa della società. Potrebbe accadere che questa materia culturale porti all’Iperconflitto. Ognuno di noi dovrà fare le sue scelte. Fermarsi e godere dell’effimero, come la rosa di Fontenelle con cui ho aperto questo commento. Fermarsi e rimpiangere, come l’aristocratico Charles-Joseph de Ligne (1795) dopo il passaggio dell’ondata rivoluzionaria: Ho visto in tutto il loro splendore i paesi e le corti in cui ci si diverte di più… Ho visto Luigi XV ancora intriso della grandeur di Luigi XIV e M.me de Pompadour di quella di M.me de Montespan. Ho visto tre settimane di feste favolose a Chantilly, spettacoli e soggiorni a VillersCotteret in cui si trovava quanto vi era di più piacevole. Ho visto i viaggi magici dell’Isle-Adam, ho visto le delizie del Petit Trianon, le passeggiate sulla terrazza, le musiche all’Orangerie, le magnificenze di Fontainebleau, le cacce di Saint-Hubert e di Choisy, ho visto tutto affievolirsi per poi scomparire completamente. Fermarsi orgogliosi e rassegnati nell’Iperconflitto come Paul Valery ed aspettare la fine catartica Io sono l'Impero alla fine della decadenza, che guarda passare i grandi Barbari bianchi componendo acrostici indolenti 115 M.A. Del Boccio Prosperi, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 in uno stile dorato in cui danza il languore del sole. Eppure ci piacerebbe davvero pensare che l’umanità non finirà né per il mercato né per la scienza né per la stupidità. Ci piace pensare che le forze positive della ragione, della cultura, della bellezza, della solidarietà di tutti i popoli del mondo confluiscano a formare un’unica grande forza dirompente, che distrugga i nuovi mostri e strappi gli applausi proprio come la scena finale del film Meteor. Ci piacerebbe che altri giungano a vedere la Decima Epoca. Ognuno di noi deve fare oggi le sue scelte. 116 M.A. Del Boccio Prosperi, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Perché sono europeo. Studi per Giulio Guderzo, a cura di Simona Negruzzo e Daniela Preda, Unicopli 2013, pp. 538 di Francesco Gui Felice iniziativa quella dell’edizione - con il contributo dell’università di Pavia, della Fondazione Cariplo e della Fondazione Comunitaria della Provincia di Pavia – di una corposa raccolta di studi in onore di Giulio Guderzo, emerito di Storia del Risorgimento presso l’università di Pavia. Un emerito meritevole per davvero, stante la quantità di titoli al suo attivo: fra gli altri, di fondatore, dal ’79, e a lungo direttore degli «Annali di storia pavese»; di direttore, poi presidente dell'Istituto pavese di storia della Resistenza e dell'età contemporanea; di promotore del dottorato di ricerca in Storia del federalismo e dell'unificazione europea presso l’università di Pavia; di direttore, ancora, di una collana del Mulino dedicata alle suddette tematiche; di direttore, ovvio, poi presidente, del Centro per la storia dell'Università; di fondatore del Centro per la storia del Novecento; di direttore, infine, si fa per dire, dell'Istituto di Storia moderna e contemporanea, sempre a Pavia. Un lungo elenco che è stato giusto enumerare anche perché le tante voci si intersecano con le esperienze formative e i sentimenti di riconoscenza di una vera folla di colleghi, allievi e seguaci: precisamente lo stesso stuolo che anima con decine e decine di contributi le pagine del volume dalla copertina verdina edito nella Collana di Storia del Novecento, fondata anch’essa da Guderzo e diretta da Fabio Zucca - su cui spicca il longilineo signore in giacca e cravatta, ritratto a colloquio con anziani reduci della Resistenza. Come a dire, per andare subito al punto, che attorno alla figura del docente emerito insediato nello Studium Papiense si profila la nota vivacità di uno dei centri di riflessione sull’Europa - dal livello comunale al continente nel suo insieme - non soltanto fra i più rilevanti d’Italia, ma anche in grado di produrre un’intera “scuola, di ispirazione gloriosamente federalista, votata ad esercitare una considerevole influenza sul mondo accademico e ben oltre. Non a caso, accorpato lungo quattro sezioni, da “I luoghi” a “I maestri e gli amici”, a “Il metodo”, nonché, per finire in gloria, a “Dall’Europa moderna all’Europa unita” (previa evocativa rassegna fotografica resistenzialfederalistico-accademica), il folto assembramento degli adepti agli Studi (sottotitolo) per il Maestro non lascia dubbi su quanto l’elegante longilineo in oggetto abbia contato. Contato tanto per la causa dell’unità europea che per 117 F. Gui, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 ognuno di loro. Il Magister, in breve, è stato determinante sia nell’indicazione delle direttrici di ricerca scientifica, sia nella proposta di prospettive ideali su cui impegnarsi, e sia ancora, almeno per molti, per la carriera stessa, accademica e non solo. A segnalarlo in modo affettuoso sono le curatrici, Simona Negruzzo, docente di Storia moderna all’Università Cattolica, sede di Brescia, e la pavese (!) Daniela Preda, ordinaria di Storia contemporanea a Genova, studiosa del federalismo europeo e della figura di Alcide De Gasperi. Ma quanti saranno mai perbacco coloro che, fra tesi di laurea, corsi di dottorato, collaborazioni scientifiche, didattica, semplice amicizia, hanno beneficiato del multiforme attivismo guderziano? Veramente una schiera, appunto, e al giorno d’oggi tutti lodevolmente operativi sulla scena culturale, specie in tema di federalismo, ovviamente. Sicché, prima di passare ai singoli contributi e relativi autori del volume, sarà semplicemente doveroso riservare qualche intimidito sguardo al protagonista, nonché dedicatario della cospicua intrapresa editoriale. E soprattutto a quel “Perché sono europeo” inalberato a lettere maiuscole dalla copertina verdina. Impresa non facile, almeno di primo acchito. Ma perché? il prof. Guderzo non è forse l’autore di metodiche ricerche sulle ferrovie, o sulle poste, o sulle banche a metà dell’Ottocento? Non è forse l’appassionato indagatore delle vicende secolari della Lombardia, non meno di Pavia, della sua università e della sua provincia, Voghera inclusa? E che dire di tante altre monografie dedicate a specifici argomenti di storia politico-economica, culturale e sociale? Innegabile, sicuro come la nebbia, anzi “scarnebbia”, ché così la chiamano a Pavia, suggerisce Guido Affini. Dopodiché, però, per farsi un’idea precisa sul perché l’Europa resti comunque al primo posto nella multiforme, eppur coerente panoplia guderziana, è indispensabile ricorrere a quella che potrebbe definirsi l’autopresentazione del Maestro, apposta subito dopo la “Premessa” delle gentili curatrici. Tra quei fitti paragrafi, tanto appassionati quanto pervasi di accenti di delusione grondanti di vita vissuta; lungo i percorsi narrativi dello strenuo consultatore di biblioteche ed archivi; all’ombra della capigliatura signorilmente ravviata e composta, si profila uno scenario ancora più vasto, più problematico, più esistenziale, più disorientato e più fermo e determinato al tempo stesso. “Perché sono europeo”: precisamente. Ovverossia il titolo dell’articolo, a firma Guderzo, comparso su «Tempo presente» nel gennaio del ’58, che guadagnò all’autore una lettera di Altiero Spinelli esondante di “fierezza paterna” e di stima sincera per “l’impegno d’azione” federalista professato dal giovane studioso ventiseienne, già carico di esperienze politiche, confessionali e soprattutto interiori. 118 F. Gui, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Manifestazione di consenso non priva di risonanze problematiche, quella rivolta da Spinelli al nostro Guderzo, tenendo conto di certi dissensi interni al federalismo italiano, alimentati precisamente da effervescenze pavesi e destinati a sortire di lì a poco alla luce del sole. Ma non è questo, almeno per ora, il punto più importante. L’aspetto suggestivo è costituito dal percorso politicointellettuale che il precoce laureato di nascita udinese aveva compiuto fino a quel momento, nonché dalle decisioni che si era risolto ad adottare con grande determinazione. “Venni alla politica dall’esperienza religiosa”. Formatosi nell’Azione cattolica, con la memoria degli amici un po’ più grandi scomparsi in montagna negli anni della Resistenza, il precoce giovanotto Guido aveva creduto nella fede e nell’organizzazione a caratura religiosa come fattori di superamento degli egoismi nazionali consacrati dal fascismo. In più vi aveva aggiunto il rifiuto dei miti dello stato nazione ereditati dall’età liberale (a suo dire intinti di protezionismo e di collusioni imprenditorial-sindacali), cui contrapporre la valorizzazione delle istituzioni e delle autonomie comunali, locali e regionali, di conserva con una tendenziale aspirazione universalistica, aperta a tutto il mondo, Europa in primis, non c’è dubbio. Qualcosa insomma come una vocazione vibrante, desiderosa di azione e consapevolmente ritenuta più commendevole - si direbbe non del tutto a torto - rispetto all’adesione al comunismo capeggiato dall’Urss staliniana. Eppure eppure, già nell’anno 1954 non ancora concluso, il poco più che ventenne Guderzo – come ricordato anche nel contributo di Virginio Rognoni – concludeva la sua breve stagione di militanza nella Democrazia cristiana, sì, la Dc, rinunciando a rinnovare la tessera. E cosa mai doveva essere successo, al di là della pur significativa coincidenza con la scomparsa dell’Alcide, morto addolorato per il fallimento della Ced? Da leggere, ovvero da rileggere con attenzione, fra lo sgomento e il partecipe, quelle pagine persino rancorose affidate a «Tempo presente» a meno di quattro anni di distanza dal gran rifiuto (nel frattempo era diventato dirigente della Gioventù federalista) e riproposte oggi all’attenzione del lettore senza rimpianti, attenuazioni, o tanto meno ripensamenti. “Questa era dunque la vera Italia cattolica: l’Italia di sempre, degli sfruttati e degli sfruttatori…”. E via così, con un tono più che mai invelenito (“Odiai questa Italia”), con accessi presumibilmente ipercritici che lasciano un minimo interdetti (uno fra i tanti: la riforma agraria sarebbe servita soltanto a rimborsare i proprietari assenteisti e a creare una massa di piccoli proprietari “capaci di vivere solo al riparo dei dazi protettivi”, laddove il rilancio, fallimentare, del Sud veniva perseguito soprattutto per introdurvi le forniture industriali del Nord), ma anche rivelando precise convinzioni, affilate come lame sulla pietra abrasiva. L’odioso Stato 119 F. Gui, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 nazionale, detto in estrema sintesi, costituiva il frutto di una lotta secolare per la conquista di tutto il potere, a cui anche la Chiesa aveva finito per prender parte. Pur di difendersi dal laicismo, il cattolicesimo curiale si era infatti organizzato in modo sempre più accentrato, trattando da pari a pari con gli Stati attraverso una sua diplomazia e “preparando partiti cattolici con cui conquistarli dall’interno”. Basta allora! Basta sul serio: “Per tagliare il male alla radice bisognava rendere impossibile la ragion di Stato sul continente: federando gli stati”. La Resistenza stessa non aveva capito che stava ricostruendo il vecchio Stato nazionale, di cui il fascismo era solo una “necessaria espressione”. Onde per cui, al punto da suscitare nel pur coriaceo Spinelli compiaciuti quanto autogratificanti (proprio modesto in effetti non era) sentimenti di tenerezza paterna: “Fui allora decisamente europeo, quando essere europeo significava escludersi dal quadro politico (e dalle opportunità…)”. Ovvero, ribadito con forza a conclusione: comportava tentare, pur “senza mezzi”, pur “senza aiuti”, avviandosi da soli per “la nostra strada”, di unire “tutti gli europei di buona volontà perché prendano posizione contro gli Stati-nazione e chiedano la Costituente”. Da soli, senza aiuti, rinunciando ai vantaggi personali, cercando per l’Europa gli uomini, i compagni di strada, gli allievi (le allieve) di buona volontà e soprattutto perseguendo l’obiettivo tutto spinelliano della Costituente. “Per questo sono europeo. E in questo modo”. Finis. Fine dell’epocale articolo del ’58, fine irrevocabile di un’esperienza amaramente sofferta, e inizio, peraltro già energicamente avviato, di una nuova epopea, determinata, schiva, metodica, perseguita per tutta la vita successiva. Lasciando in angolo, per scaramanzia, la preveggente invocazione della Costituente (cui si augura tutt’oggi un pur tortuoso itinerario vincente), non resta a questo punto che dedicarsi a constatare, contributo dopo contributo, pupillo riconoscente dopo pupillo riconoscente, l’effettivo, sincero concretizzarsi dell’impegno professato dal signorile Maestro. Un procedere pluri e monodirezionale insieme, quello di Guderzo, che, valga il vero, nel tener fede al disinteresse per il potere partitico, risultava orientato a mantenere in armonica connessione: a) la valorizzazione del patrimonio comunale e provinciale della terra di appartenenza di ciascuno (d’accordo, lui era di Udine, ma adottato da Pavia); b) la rivendicazione del valore indiscutibile dell’istituzione universitaria, a cominciare dallo Studium Papiense, con quel minimo di complesso di superiorità presumibilmente perpetuantesi dalla stagione longobarda; c) l’investigazione assai concreta e fattuale del processo di unificazione dell’odiato/amato(?) Stato nazionale; d) e infine, last but - si è capito - niente affatto least, la promozione del processo di unificazione europea e della 120 F. Gui, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 coscienza della necessità del medesimo, nonché delle elaborazioni scientifiche, intellettuali e spirituali che ne sono l’irrinunciabile nutrimento e premessa. Ed eccoci così dunque di nuovo alla fittissima teoria di colleghi, ammiratori e seguaci, dei cui pregevoli apporti, suddivisi nelle quattro sezioni più sopra elencate, si nutre il tomo affidato a Unicopli e spintosi di necessità, non fosse altro per la cospicua bibliografia annessa, oltre la pagina cinquecento. Un libro bello massiccio che fornisce senza dubbio scorci illuminanti sulle vicende e sui contenuti politico-intellettuali, e le atmosfere ambientali no?, del federalismo europeo così come evolutosi nel nostro Paese a partire dagli anni Cinquanta sotto la spinta della scuola pavese, con influenze tutt’altro che trascurabili anche al di là delle Alpi. Entrando nel vivo della raccolta, all’interno de “I luoghi” si va dai ricordi di Mario Rigoni Stern sulla nutrita emigrazione montanaro-contadina verso la Germania e la Boemia ottocentesche alle dissertazioni di Dario Mantovani sui tanti e cangianti nomi dell’Almum Studium Papiense nel corso del tempo, alle rimembranze personali di Fulco Lanchester, stato allievo di Guderzo e del suo “metodo basato sull’analisi del documento della più varia natura e fonte”. Lo stesso Lanchester che, emigrato più tardi a Roma e oggi vagamente disorientato (non da solo) causa la sparizione del “tradizionale panorama universitario”, si ascrive fra coloro che si trovano costretti a darsi “molto da fare per mantenere un ruolo non marginale nell’ambito della ricerca e della didattica e per non trasformarsi in conservatori sterili che rimpiangono il bel tempo che fu”. Un “bel tempo che fu” dal grembo assai accogliente, per lo meno quello parecchio lontano, in cui Luisa Erba ravviva le memorie dell’ormai estinta cappella dell’università di Pavia, ospitata nel complesso domenicano della città. Un convento a sua volta occupato fino al Duecento dalle monache benedettine, per essere poi, in tempi recenti, dopo incessanti, secolari e alterne vicende, trasformato nella sede della facoltà di Lettere, con archivio annesso. Bel tempo davvero quello d’antan, anche per la precoce considerazione tributata alle facoltà intellettuali femminili, così come confermato dalla scelta dell’Alma di proclamare protettrice dello Studium santa Caterina d’Alessandria d’Egitto, la venerata vergine e martire di conclamata cultura filosofica. Precisamente a lei, anno 1391, venne dedicata la cappella suddetta, destinata peraltro alla distruzione, si direbbe non a caso, ad opera degli Asburgo d’età tardo illuministica. Ma a proposito di Pavia, dovendo proseguire di fretta, forse che al tempo dei romani la città del Ponte Coperto non si chiamava Ticinum? Certo, e sarà probabilmente per questo che Sandro Brogini, a conclusione della prima sezione del volume, si è incaricato di tratteggiare i rapporti del Canton Ticino con quella che i suoi abitanti, parole dell’autore, considerano come la propria 121 F. Gui, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 “capitale morale” almeno dall’epoca dei Longobardi, ma forse anche prima. Pavia, ovvero Ticinum, appunto. Troppo impegnativo sarebbe invece soffermarsi sulle personalità di Luigi Bulferetti e Mario Bendiscioli, nei loro rapporti con Guderzo, illustrate rispettivamente da Luigi Zanzi e Danilo Veneruso all’interno de “I maestri e gli amici”. Le pagine di Zanzi forniscono in ogni caso un contributo prezioso sul ruolo esercitato dal Maestro nella rifondazione, parole dell’allievo, di una storiografia risorgimentale liberata dai dogmi nazionalistici. Il nuovo corso procedeva alla “delineazione di una idea storica d’Europa” individuata in un retaggio di civiltà assai diverso da quello delle rivalità nazionali e “in un comune concorso di molteplici [eccoli di nuovo!] fattori regionali”. Con il che la strada si trova a questo punto spalancata per la rivisitazione di quel gruppo di intellettuali fondatori della schola federalista pavese, vero fermento effervescente fra le piazze e le aule universitarie della città, di cui Mario Albertini, ritratto nell’occasione dal discepolo Giovanni Vigo, fu il detentore della leadership. Con Guderzo ovviamente posizionato al suo fianco, fin dall’epoca, se non prima, della delusione per la Dc. Del coltissimo libraiocattedratico Albertini, o capostipite progressivamente trasferitosi dagli scaffali dello Spettatore in via del Corso all’insegnamento di scienza e filosofia della politica nello Studium, va subito ricordato il dato fondamentale: inizi anni Sessanta avrebbe preso a soppiantare con successo, ai vertici dell’intero Movimento federalista, il fondatore Altiero Spinelli, per parte sua avviatosi lungo un percorso tanto solitario quanto “machiavellicamente” aspirante – di qui il dissenso con i pavesi - a non perdere i contatti con il mondo del potere. Se ne riparlerà fra poco sempre in questa sede. Eppure, sia Spinelli che Albertini, che Guderzo, che compagnia avevano partecipato assieme all’esaltante avventura del Congresso del popolo europeo. Una campagna di mobilitazione dell’opinione pubblica concepita dopo l’acerba dissoluzione della Comunità europea di difesa (e Comunità politica) dell’estate ’54: un capitombolo non abbastanza compensato, a loro avviso, dalla Cee e dall’Euratom del 25 marzo ’57. Peccato però che anche quella stagione di rivendicazione del ruolo costituente del “popolo europeo” e di opposizione alle soluzioni algidamente funzionalistiche adottate dai governi non avesse sortito effetti travolgenti. Figurarsi, nel frattempo era arrivato al potere De Gaulle… Di qui il dramma intestino, giunto ad una svolta cruciale nel febbraio del ’62, anche con toni aspri e reciprocamente accusatori, su cui Vigo non indulge a reticenze. Da allora in poi, l’estromesso Spinelli avrebbe seppur lentamente ripreso la sua strada di lungimirante, pressante, immaginifico “consigliere del principe”, già perseguita ai tempi della Ced, nonché di realistico utilizzatore 122 F. Gui, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 degli spazi di movimento possibili all’interno delle istituzioni esistenti, al fine, ovviamente, di modificarle a suo gusto. Difatti, l’antico galeotto antifascista, nonché fondatore, metà anni Sessanta, del prestigioso Istituto Affari Internazionali, sarebbe approdato alla Commissione europea con l’appoggio di Nenni, per poi ascendere, anno Domini ’79, da indipendente di sinistra (con il sostegno di Amendola e Berlinguer) al primo Parlamento europeo eletto direttamente, che tentò di trasformare – vecchio vizio mai abbandonato - in assemblea pressappoco costituente. Materia suggestiva sulla quale si invita a consultare il preciso, equilibrato contributo di Pietro Graglia, arricchito di realistiche riflessioni sullo stato nazionale e la sua tenace resistenza all’istanza federalista. Viceversa, Albertini e il suo già autorevole seguace, ovvero il giovane-anziano Guderzo con la schola al seguito, avrebbero caparbiamente mantenuto il punto. Il punto su quella professione di fede senza compromessi annunciata, neanche a dirlo, nel vibrante “Perché sono europeo” di fine ’58. Troppo lungo sarebbe qui addentrarsi nell’analisi del federalismo albertiniano, con i suoi meriti di dedizione indefettibile all’obiettivo pienamente federale, di perpetuazione del rigore intellettuale kantiano, di tenace fedeltà all’organizzazione perdurante nel tempo. Per saperne di più, detto per incidens, tutti gli scritti del segretario, poi presidente del Mfe, sono stati pubblicati dal Mulino in vari volumi, precisamente con tale titolo. Altrettanto arduo risulterebbe poi soffermarsi ad obiettare su talune astrattezze della scuola albertiniana, su certe durezze che avrebbero portato a ingiustificate esclusioni di validissimi dirigenti anche in seno al federalismo pavese, su ferree chiusure destinate a limitare l’impatto delle concezioni e delle attività federaliste nella vita pubblica nazionale ed europea. Sia sufficiente in questa sede apprezzare la pur sintetica ricostruzione offerta da Vigo in merito all’operato, allo spirito animatore, alle concezioni di fondo dell’accolita pavese ispirata da Albertini. Curiosa annotazione a margine: nel ’61, il prossimo leader del Mfe si compiaceva delle acute proposte del solito Guderzo. Quest’ultimo si era fatto sostenitore di una raccolta di firme fra la gente per sostenere la rivendicazione della Costituente europea (le firme! già allora!, come oggi, nel novero delle azioni del Mfe tuttora a guida pavese…). Con un tocco ulteriore di consapevolezza accademica: al nostro, cioè “al” Giulio - perché così si articola oltre l’Appennino - l’idea non era sorta d’incanto, bensì studiando esemplari esperienze di partecipazione alla vita pubblica dell’Ottocento inglese. Lo studio, ancora una volta. Sì, perché lo studio, magari né matto né disperatissimo, viceversa serio e attentissimo, avrebbe comunque occupato sempre di più lo scholar federalista, con la schiera di studiosi-militanti appresso. Ma non che serio e attentissimo significasse, quod Europa avertat, immersioni senza ritorno nelle penombre vagamente polverose degli archivi (da leggere comunque la 123 F. Gui, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 rievocazione di Davide Maffi sulla riproduzione sistematica e sulla conservazione nell’Alma mater pavese dei documenti dell’archivio di Simancas riguardanti la storia lombarda) o tanto meno inabissamenti spasmodici fra le scartoffie dell’attività didattico-amministrativa. Non così, dioneguardi. In proposito, l’apporto di Andrea Bosco proietta sprazzi di luce su un originale, se non paradossale scambio delle parti fra italiani ed inglesi, reso possibile dall’attivismo del solito “Sono europeo”, ancora una volta attento agli esempi d’Oltremanica. Sta proprio a Guderzo, infatti, il merito di aver promosso l’istituzione della Lothian Foundation in Inghilterra. Una storia persino divertente che merita di essere ripercorsa, in un mescolio di suggestioni politico-intellettuali potentemente irraggianti dal federalismo inglese su tutto il continente (Ventotene spinelliana compresa, come si sottolinea nel contributo su federalismo e pace di Ernesto Bettinelli), di sdegnose reticenze di marca thatcheriana vagamente nostalgiche dell’Impero e, neanche a dirlo, di stupori britannici nel sentirsi impartire lezioni di federalismo inglese a casa propria, oltretutto ad opera di personaggi provenienti da latitudini invariabilmente sospettate di provocare arricciamenti del naso. Le nostre, s’intende. Racconto godibilissimo, davvero, con Guderzo signorilmente al centro. Peccato soltanto che al giorno d’oggi, dopo tante lodevoli pubblicazioni, la fondazione dedicata al pioniere del federalismo e padre nobile di Federal Union Movement (su cui vari volumi di Bosco medesimo, per parte sua direttore della Foundation) risenta alquanto dei rinnovati arricciamenti britannici, non solo nei confronti della penisola, bensì verso l’intero continente al di là della Manica. O vai a vedere invece che il riflesso condizionato trova le sue ragioni nel fatto che il lord, cioè Philip Henry Kerr, alias undicesimo marchese di Lothian, traeva il suo titolo dalla Scozia? Chissà. Volendo sottrarsi all’arduo dilemma, assai consigliata risulta la ricognizione dello Chabod di convinzioni, diciamo così, oggettivamente federaliste – salvo parentesi suggestionata dalla mascella quadrata e pugni sui fianchi – su cui si esercita con efficacia Luigi Vittorio Majocchi. Per gli amici Gino, proprio lui: uno dei dirigenti-accademici più emergenti della scuola albertiniana, salvo estemporanee deposizioni da segretario del Mfe nei tardi anni Ottanta. Nel commentare una ricerca di Antonella Dallou su Idea d’Europa e federalismo, di cui Chabod risulta protagonista in prima fila, Majocchi ha occasione di riproporre le concezioni del caposcuola Albertini in merito alla nazione. Un messaggio forte, di cui si è già percepita l’eco – e ora lo si capisce ancora meglio - nel “Perché sono europeo” del Giulio giovanotto: la nazione altro non sarebbe “se non la giustificazione ideologica dello Stato burocratico accentrato post-industriale…”, divenuto talmente autocrate da imporre ai suoi cittadini di uccidere e morire per il suo interesse, nonché – attenzione! – “di 124 F. Gui, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 cancellare ogni altro lealismo nei confronti di altre comunità territoriali spontanee (quartiere, città, regione…)”. Il nocciolo, l’hard core di pensiero fondante delle convinzioni incrollabili dell’accolita pavese, senza dubbio. Sicché dalla dissertazione del Gino all’allievo Fabio Zucca, autore, fra gli altri, di un recentissimo Le relazioni internazionali degli enti locali, la falcata risulta quasi naturale. Uguale a dire che, addentrandosi lungo i “percorsi personali e di ricerca” dell’attuale sindaco di Belgioioso, riversati all’ultima tappa della sezione “Il metodo”, ci ritrova precisamente al centro, nel vivo, fra i rampolli più prosperi dell’allevamento guderziano, con tutto quel brulicare di tesi e laureandi, dottorati e dottorandi, biblioteche, collegi di docenti, centri e fondi di ricerca, archivi!, più cetera a seguire, che danno veramente l’appercezione di almeno due dati indiscutibili. Primo: che l’Alma di Pavia ha conservato a lungo, forse anche oggi, la coscienza di essere, Zucca scripsit, “la più antica università lombarda, fino ai primi del Novecento unica università della Lombardia, fra le più prestigiose e antiche del mondo occidentale”. Secondo: che il Maestro Guderzo, non a caso direttore del Centro per la Storia dell’Università di Pavia, campeggia veramente nell’occhio del sistema, in un vortice di iniziative, con Zucca attivissimo,al pari dei colleghi animatori del volume verdino, che è veramente arduo persino riassumere. Ottima ragione per prendere a questo punto una decisione, per quanto sofferta. La quarta parte della raccolta, “Dall’Europa moderna all’Europa unita”, non potrà essere percorsa punto per punto, semmai al massimo a grandi balzi. Bella, però, quasi sognante, quella foto di Guderzo ritratto in primo piano, anno ’85, nell’aula magna della Mater. Niente da fare, il tempo incalza. E la strada è lunga. Chiedendo perciò venia a Pietro Borzomati, soffermatosi su san Francesco da Paola alla corte di Luigi XI di Francia; citando con colpevole fuggevolezza le pur suggestive visitazioni della Lombardia spagnola e degli studi di ingegneria settecenteschi affidate rispettivamente a Mario Rizzo e Alessandra Ferraresi; sottolineando la personale curiosità suscitata dalla rilettura foscoliana dello Stato politico delle Isole Jonie, vivacemente condotta da Alberto Milanesi; e via così con le popolazioni lombarde in età napoleonica di Xenio Toscani, con Maria Cosway educatrice europea di Annibale Zambarbieri, con il Cattaneo municipale tratteggiato a “brevi note” da Antonio Padoa Schioppa; e ancora avanti fra John Henry Newman e l’università (Massimo Marcocchi), l’ultramontanesimo – così, salvo errorini nei titoli in alto pagina francese e l’universalismo italiano (Agostino Giovagnoli), l’internazionalismo cattolico in Europa (Francesco Malgeri), tutte trattazioni, dati i nomi - e quanti di ispirazione cattolica come il Maestro! - davvero egregie; per non dire degli approfondimenti su Ettore Rota compiuti da Simona Negruzzo, del contributo (che ci commuove) di Giuseppe Talamo, in tema di “Europa delle nazionalità e 125 F. Gui, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 delle culture”, fornito all’amico Guderzo, della lettera di Gallarati Scotti a Giovanni Gentile, ministro dell’Istruzione, commentata da Luciano Pazzaglia, dell’appeasement italo-britannico fra le due guerre, su cui Ennio di Nolfo (laureato a Pavia…); ebbene, non potendo spiccicare qualcosa in più su tutto questo, non resta che tributare un grazie minimamente inorgoglito ad Antonella Braga. Anche lei, infatti, apprezzata biografa di Ernesto Rossi, ritiene ormai doveroso pensare ad un’edizione critica del Manifesto di Ventotene, in grado di superare le “interpretazioni di stampo militante” non meno che le “politologiche”, fra le quali, opportuna punzecchiatura dell’autrice, compaiono aciduli commenti alla Galli della Loggia, ovvero accuse di scarso liberalismo provenienti da Gaetano Quagliariello (in effetti, nel 2008, da esponente berlusconiano di punta al Senato…). Anche lei, Antonella, vale la pena di ripeterlo, l’edizione critica, la considera proprio necessaria. E sta qui, appunto, sia concesso, la minimale motivazione di rigonfiamento del petto: tant’è che la valente biografa, oltre ad associarsi a Moris Frosio Roncalli nel fervore preparatorio dell’edizione suddetta, non manca di segnalare l’analoga istanza a carattere scientifico avanzata da Giulia Vassallo, con ampia documentazione acclusa, sulla rivista on-line «EuroStudium3w», di conserva con il sottoscritto. Crocevia di apporti intellettuali, condensato di filoni di pensiero europei e italiani, sintesi efficace di mediazioni filosofico‐culturali, scoperte, riletture, il Manifesto di Ventotene si impone a tutt’oggi come documento da sottoporre a un’analisi seria e rigorosa, volta sia a far luce sulle questioni aperte di carattere filologico, variamente presenti nel testo e da più studiosi evidenziate, sia a ricostruire con precisione la molteplicità e l’eterogeneità degli influssi intellettuali di cui rappresentò una sapiente rielaborazione. Proseguendo ora nella corsa, merito indiscutibile del contributo storiografico di Daniela Preda, che compare di seguito alla Braga, è di aver riportato nuovamente in primo piano l’epoca dell’impegno anni CinquantaSessanta del Maestro dedicatario della raccolta, ricostruendo le vicende della Gioventù federalista proprio negli anni della disillusione per la caduta della Ced e della maturazione della campagna per il Congresso del popolo europeo. Una rievocazione alla quale si associa il limpido, pregevolissimo racconto di Franco Praussello dedicato al non dimenticato Claus Schöndube, compagno di tante avventure federaliste (era poco più grande di Guderzo) vissute in notevole simbiosi tra Germania e Italia. I due apporti permettono di puntualizzare meglio le tre fasi del periodo fondativo delle Comunità, dal punto di vista federalista, laddove: a) fino alla caduta della Ced, gli europeisti legati ai partiti andavano piuttosto a braccetto con il federalisti più motivati, mentre: b) nella fase successiva si sarebbe fatta strada la posizione “autonomista”, patrocinata da Spinelli e Albertini al seguito, 126 F. Gui, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 che rivendicava il ruolo costituente del popolo europeo, a dispetto del moderatismo funzionalistico degli uomini di partito, finché: c) la maggiore duttilità di Spinelli avrebbe finito per costringerlo, come già ricordato, a cedere le redini del Movimento a chi, come Albertini, e Guderzo con lui, condivideva tenacemente una sorta di concezione virginale del federalista militante. La quale concezione non soltanto disdegnava la politica politicata, quand’anche fungesse da legittima fonte di retribuzione/sussistenza per chi si dedicava alla causa, ma rifiutava persino qualunque contiguità o sostegno economico proveniente al Movimento da bande siffatte. Da cui la teorizzazione indefettibile del federalista come rivoluzionario non già di professione, alla Spinelli, bensì “part time”, nel senso che il generoso soggetto doveva innanzitutto trovarsi da mangiare (o digiunare) per conto suo, dedicandosi nel tempo che rimaneva, con tutte le proprie forze, e in assoluta libertà/fedeltà, alla “battaglia” federalista. “Battaglia”: un termine forse fin troppo in voga, a nostro avviso, nel circolo albertiniano, dal momento che il Movimento avrebbe mantenuto sempre un carattere pacifico e prevalentemente intellettuale, pur nella perenne, intransigente dedizione alla propria missione – asserita comunque come “rivoluzionaria” – al fine dar vita alla Costituente incaricata di istituire lo stato federale europeo. Con una punta di realismo potrebbe peraltro osservarsi che la scelta di vita più confacente al menzionato approccio sovvertitore - a tempo parziale dello stato nazionale sovrano risultava probabilmente la carriera universitaria, o simile. Il che rende condivisibile, rebus sic stantibus, la scelta esistenzialprofessionale di un Albertini (che del resto la teorizzava) e di un Guderzo, tutore indefesso del valore autonomia, dall’universitaria alla comunale, alla provinciale, al pari del poderoso fermentare della scuola, dei discepoli, delle attività di ricerca e via così affollandosi. Di sicuro, l’integrità e la serietà della militanza federalista sarebbero rimaste pienamente salvaguardate, insieme alla qualità del “prodotto” accademico-intellettuale. Chissà però se forse, a volerci rimuginare un attimo, una soluzione “terza”, rispetto all’illibatezza albertiniana e al solipsismo spinelliano, non potesse essere cercata in soluzioni, per dire, alla Partito radicale: ovvero mediante una struttura organizzata più estesa e penetrante nel sociale, senza dubbio dotata di un proprio patrimonio culturale, in grado però di portare sulla scena politico-istituzionale, magari in alleanza occasionale con partiti congeniali, uno o più esponenti dichiaratamente federalisti. In tal modo questi ultimi avrebbero potuto lanciare alto e forte il messaggio “rivoluzionario” all’opinione pubblica, rimasta sempre piuttosto all’oscuro dell’esistenza del Movimento e dei suoi fini, per non dire persino dello “abc” minimale della realtà comunitaria, poi divenuta Unione. 127 F. Gui, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 Chissà, giacché sia pure a modo suo, ovvero agendo per conto proprio, Spinelli si comportò più o meno così in occasione della salita sul proscenio strasburghese come “indipendente di sinistra”, con esiti epocalmente importanti, cui lo stesso Movimento federalista non poté non assicurare il suo appoggio e consenso. Chissà, ancora una volta, stante che questa fugace recensione non può essere la sede per un ulteriore approfondimento del “nodo” sempre stretto alla cintura del federalismo pavese e italiano in generale. Eppure eppure, in questa Italia, di una forza organizzata, motivata nel profondo, preparata e consapevole, con istanze risorgimentali di compimento di un’unità nazionale capace al tempo stesso di promuovere la federazione continentale insieme a tutti gli europei di buona volontà, ci sarebbe proprio bisogno ancora oggi. Che sarebbe oltretutto un bel modo per sanare divergenze e rivalità interne ai movimentisti di Ventotene perpetuatesi ormai troppo a lungo, laddove la costruzione, minimo minimo, di una “rete” solidale, orientata ad operare diffusamente nella scuola e nelle università, nei media più avvertiti, nell’associazionismo più generoso, negli interessi più qualificati, nell’opinione più responsabile, potrebbe produrre effetti di notevole incisività. Perché, valga il vero, le ragioni per creare consenso, sia pure con un certo realismo nelle proposte del giorno per giorno, ma senza dimenticare che la federazione europea stava scritta, e ci resta sempre, nella dichiarazione del 9 maggio ‘50, sono davvero tante. E proprio solide, naturalmente. Dalle ricostruzioni di Preda e di Praussello (lui un po’ se le ricorda) spiccano comunque, interessante rievocazione, alcune personalità del federalismo della prima fase e poco oltre, quella contaminata, per così dire, dalle militanze partitiche. Fra gli altri, fa piacere ricordare Tullio Gregory, il filosofo membro della direzione del Pri, poi aggregatosi anch’egli agli “indipendenti di sinistra”, o Ludovico Gatto, parimenti repubblicano, divenuto affermato medievista, e studioso dell’Europa, presso la Sapienza di Roma come il suo collega. Quanto al Claus, complimenti sinceri al suo “autonomismo” praticato in Germania con difficoltà e solitudini sicuramente maggiori di quelle riscontrate in Italia. Tanto più, annota sempre il lucido e amichevole Praussello, che l’ottimo promotore della Charte der europäischen Identität (una fra le tante) rifiutò persino la soluzione accademico-professionale pur di dedicarsi pienamente alla causa, evitando al tempo stesso compromissorie contiguità partitiche. Si impone a questo punto di concludere il saltellante excursus fra le pagine del tomo verdino, dedicato al compassato eppur vibrante Maestro, accennando all’ultimo contributo della ricchissima serie: quello affidato a Daniele Pasquinucci, dialogante a distanza con Antonio Varsori in merito all’Italia “cenerentola” d’Europa (su cui un recente volume del secondo). Davvero 128 F. Gui, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 penosa e inconcludente la classe dirigente nostrana, sovente dileggiata dalla letteratura d’Oltralpe? No, non in toto, specie se si pensa alle notevoli personalità che hanno partecipato alla costruzione europea nell’intervallo fra il ventennio della mascella quadrata, a destinazione piazzale Loreto, e quello recente, della sceneggiata mediasettica con esito servizi sociali (ma che sia finita per davvero?). In mezzo, per la verità, ci starebbe anche il Sessantotto e dintorni. Vale a dire, non solo la vivace stagione vissuta all’università di Pavia, come narrato da Elisa Signori, bensì quella che segnò un’epoca intera, con le sue ulteriori, non trascurabili complicazioni. Sia come sia: a conti fatti, la poverella cenerina dei De Gasperi, dei La Malfa, dei Moro e persino degli Andreotti e di Bettino ha avuto più meriti di quel che non si voglia ammettere, pur tenendo conto del solido asse franco-tedesco sprangato fra destra e sinistra del Reno. La serenità di giudizio dei due dialoganti (a distanza) si spinge persino ad una mezza assoluzione del vituperato Franco Malfatti, dimessosi nel 1970 dalla presidenza della Commissione per ritornare alla vita pubblica nazionale. In fondo, gli effetti della crisi della “sedia vuota”, ennesimo sfregio gallico alla costruzione comune pur vaticinata da Schuman e Monnet, avevano reso il meccanismo brussellese davvero poco gestibile, con il tedesco sapiente Ralf Dahrendorf, commissario anche lui, che vi aggiungeva dileggi euroscettici di fattura sua. Vecchio vizio del personaggio, evidentemente. Dopodiché, però, volendo stringere insieme a Pasquinucci: “Se l’Italia non è mai stata Cinderella, non è nemmeno riuscita a trasformarsi in una vera principessa”. Appunto, precisamente. Ma con un ulteriore quesito: partita persa per sempre? O resta invece legittima la speranza di un tempo in cui sia concesso contemplarla aggirarsi per l’Europa con sicura e volitiva eleganza, tale da intimidire persino il magister Guderzo? Presumibilmente no. E però magari ce ne fossero mille di Guderzo a sbucar fuori dalle tante comunità universitarie italiane, rinnovate nelle loro tradizioni di scienza, di didattica e di dedizione, con il desiderio di riscattare finalmente, una volta per tutte, la principessa cenerella! L’università per l’Europa… Non solo e non tanto per un interesse nazionale egocentrico e introflesso, bensì perché in una fase come l’attuale, nella confusione istituzionale aggravata dai recenti allargamenti, condotti secondo il solito principio della sovranità assoluta in ambiti strategici riservata ai ben 28 membri (se bastano) dell’Unione europea, la gamba Italia non può restare zoppa. Soltanto se la costruzione comune sarà in grado di poggiare su un treppiede solido (3, per lo meno 3 di zampe; ma ci sono anche Spagna, Polonia e via dicendo) potrà esibire abbastanza stabilità per proseguire precisamente sulla strada dell’integrazione politica, oltre che economica e monetaria, s’intende. Il tutto in vista dell’edificazione - mediante metodo costituzionale, beninteso, e in 129 F. Gui, Recensione Eurostudium3w gennaio-marzo 2014 costante dialogo istituzionalizzato con la sorella grande d’Oltreatlantico - di quella democrazia sovranazionale che risponde alle necessità di una superiore, responsabile civilizzazione. Un salto qualitativo, senza esagerazione, nell’esistenza umana che sia erede di tutti i valori descritti non solo nel Manifesto pontino del ‘41, bensì nel celebre preambolo smontato pezzo a pezzo in cima al trattato costituzionale del 2004, anch’esso peraltro finito in stracci. Un tentativo, ci si augura, ci si spera, ci si crede, che dovrà essere ripreso necessariamente. Con in più, si raccomanda, un maggiore ricorso alla memoria inestinguibile per i delitti compiuti nel continente, anche in epoche di fatto assai recenti. Qualcosa insomma che investa a fondo l’identità dell’uomo europeo (e non solo) con tutta la sua storia, la sua cultura e i suoi vertiginosi misfatti da non ripetere. Niente a che fare, invece, e qui ci verrebbero in mente parole grosse, con l’aspettativa di crescita voluttuaria all’infinito, quale ci viene continuamente proposta dalla politica esibizionista, o dalla pubblicità dei volti ebeti (tralasciando il sotto) sempre più inondanti le pagine dei media di gran sussiego. Viceversa va perseguito un impegno di civiltà che non escluda di certo, anzi incoraggi profondamente la vocazione a grandi progetti scientifici e produttivi, specie nel campo dell’energia e delle nuove tecnologie, in grado di contribuire all’interesse generale dell’umanità, cristianamente o laicamente intesa che sia. Ebbene, una personalità come quella di Giulio Guderzo, con scuole, colleghi, allievi, militanti, scambi culturali alla Lothian, ricerche storiche, archivi, Alma pavese e il resto annesso, ci propone un patrimonio e una dedizione che incoraggiano a crederci. Magari rischiando un tantino di più. 130 F. Gui, Recensione
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