Appartamenti Reali al piano nobile Sommario Prefazioni 29 28 36 27 30 22 24 71 MICHELA DI MACCO 37 34 31 23 Corrado Giaquinto a Villa della Regina 35 38 26 3 32 33 25 Storie di quadri e altro: Giaquinto e gli arredi di Villa della Regina da Torino al Quirinale Un progetto per la Villa del XXI secolo: prove di allestimento Le Storie di Enea di Corrado Giaquinto Evocazioni nell’Appartamento del Re di Villa della Regina LUISA MOROZZI 11 Vita di corte negli Appartamenti Reali 21 LAURA D’AGOSTINO In tema di “vero” e “falso”: completamenti e suggestioni 95 103 PAOLA TRAVERSI Sovrane tappezzerie 115 LAURA D’AGOSTINO 26 MARIA CARLA VISCONTI CHERASCO Gli arredi tra la Villa e il Quirinale Le boiseries della Villa al Quirinale attraverso il rilievo GIORGIO ROLANDO PERINO CRISTINA MOSSETTI Le tappezzerie nelle stanze del Re tra storia e suggestioni 83 30 LUISA MOROZZI Il restauro della tappezzeria chiné della Villa 124 ESTER GIOVACCHINI Le porcellane cinesi a Villa della Regina 127 LUCIA CATERINA Numerazione attuale delle sale seguita dalla denominazione dell’inventario del 1755, nell’ordine delle ricognizioni settecentesche Tavole a colori 33 22 Salone 133 SILVANA PETTENATI Appartamento di S.M.tà Appartamento di S.M.tà la Regina 23 24 30 27 25 26 28 29 31 32 35 33 34 36 37 38 Anticamera verso Ponente Camera del letto verso Ponente Camera verso Levante detta del Trucco Anticamera verso Levante Gabinetto verso mezza notte, e Ponente alla China Gabinetto attiguo della Guardarobba Gabinetto verso Levante alla China Gabinetto della Libreria verso mezza notte, e Ponente Arredi e porcellane negli Appartamenti settecenteschi Anticamera verso Ponente Camera del letto verso Ponente Anticamera verso Levante Gabinetto verso mezzo giorno, e Ponente Gabinetto della Guardarobba Gabinetto verso Levante detto delle Ventaglyne Gabinetto verso mezzo giorno, e Ponente alla China Cappella, e Tribuna. Idee juvarriane per il Giardino di Villa della Regina La “rimodernazione” juvarriana di Villa della Regina. Dipinti, arredi, tessuti e porcellane Il gusto di vivere in villa: Crosato con Juvarra PAOLA MANCHINU 51 ANDREINA GRISERI Due disegni di Juvarra per la “rimodernazione” di Villa della Regina GIUSEPPE DARDANELLO 141 Evocazioni per Villa della Regina 145 LUISELLA ITALIA e MASSIMO VENEGONI 59 Bibliografia 149 7 Un progetto per la Villa del XXI secolo: prove di allestimento Juvarra a Villa della Regina Sulla scorta delle esperienze maturate nel corso dei restauri dei “Gabinetti alla China” e delle tappezzerie in taffetas chiné à la branche, abbiamo approfondito la riflessione sugli ambienti nel loro insieme e sulle linee percorribili per suggerire – in adesione al programma di restaurare non un museo ma una residenza regia – la presenza di arredi non più ricollocabili per motivi diversi: spostamenti, riallestimenti, furti e danni di guerra. Sono aspetti d’altra parte sempre più frequentemente dibattuti, a livelli diversi, a proposito sia delle restrizioni alla visita del pubblico negli ambienti a rischio conservativo sia della decontestualizzazione delle opere e del loro ritorno reale o virtuale nei luoghi per cui furono create. Problemi cruciali strettamente legati alla metodologia del restauro ma che ormai, per la disponibilità di nuove tecnologie, impegnano addetti ai lavori e pubblico ad interrogarsi su modalità e limiti non solo di riproduzioni e copie, ma anche di cloni e facsimili e del rapporto con il visitatore1. Il problema delle “assenze” degli arredi fissi è stato pertanto affrontato alla Villa con interventi di natura e peso diversi, ma comunque sempre con l’intento di evocare, sulla base dei dati tecnici e storici acquisiti, la presenza di tessili, boiseries e altri arredi. La manifestazione, di cui questo quaderno è commento, costituisce la prima di una auspicata “serie di ritorni temporanei”, individuati per studio e confronto, e di “evocazioni” di opere che propongono al pubblico di (ri)conoscere l’Appartamento del Re attraverso una articolata serie di interventi di “avvicinamento” all’arredo e all’uso di alcune sale. Gli aspetti distinti di un problema complessivo risolto coralmente emergono dalle pagine di Laura d’Agostino, Maria Carla Visconti Cherasco, Luisa Morozzi e mie, in questa prima parte del volume come “responsabili delle prove di allestimento”. Torino, Villa della Regina, Asse del Belvedere. 12 Quale identità per la Villa. Studi e ricerche. La Villa, come tanti altri luoghi, nel corso del tempo ha cambiato arredo, è stata aggiornata ma ha mutato anche funzione, diventando, come noto, sede di un collegio femminile, l’Istituto Nazionale per le Figlie dei Militari Italiani. Ha poi subito ripristini frettolosi dettati da necessità contingenti di uso dopo i danni della seconda guerra mondiale, smembramenti di arredo con la soppressione del collegio e danni insanabili con l’abbandono di poco più di un decennio (1980-1994) aggravato da ulteriori impropri lavori. Nello smarrimento della identità storica dei luoghi Sandra Pinto nel 1993 aveva individuato il problema conservativo di molti musei e residenze, nel tempo piegati ad usi diversi. Villa della Regina ne era esempio emblematico fino al 1994, quando ci fu affidata per il restauro ormai quasi sopraffatta dal degrado. Abbiamo ricucito pazientemente la storia del Compendio e delle sue trasformazioni, tra documentazione archivistica e fotografica, analisi di tecniche e materiali, nella stratificazione che il restauro via via ci ha consentito problematicamente di conoscere, facendo tesoro della consolidata tradizione di lavoro fondata su studi e ricerche, propria della nostra Soprintendenza. Dal lavoro territoriale ad ampio raggio avviato dagli anni Settanta, con il coordinamento di Giovanni Romano, a quello nelle residenze abbiamo tratto spunti di metodo, dati e conoscenze. Proprio questi studi hanno fondato tanti restauri e hanno suggerito occasioni di esposizioni per rievocare modifiche temporanee o definitive di ambienti e complessi. L’insieme del progetto del cardinale Carlo Vittorio Amedeo delle Lanze per gli altari di San Benigno Canavese, nel corso degli scavi dell’Abbazia, era stato suggerito dalla esposizione delle pale d’altare alla mostra dedicata alla cultura figurativa del Regno sardo2. Le mostre Diana Trionfatrice (1989), Le delizie di Stupinigi (1997), Porcellane e argenti del Palazzo Reale di Torino (1986), e Il Tesoro della Città (1996) hanno invece individuato e riunito oggetti ed arredi in spazi neutri o storici e rievocato così fasi di arredo, occasioni di committenza e nuclei collezionistici sulla base di strutturate campagne di schedatura archivistica e catalogazione di oggetti, cui ancora oggi attingiamo con sicurezza. Scopo del restauro di Villa della Regina (1994-2006) era dunque innanzitutto il recupero della identità complessiva della proprietà, una Vigna collinare, oggi nuovamente evocata, con il restauro delle parti auliche, dei giardini all’italiana e del Teatro d’acque e di quelle produttive nell’assetto giunto fino a noi, pur nella decurtazione dei terreni agricoli che ne mortifica l’impatto paesaggistico ed ambientale. 13 Torino, Villa della Regina, veduta dall’Asse del Belvedere nel 1994 (in alto) e nel 2006 (in basso). Un progetto per la Villa del XXI secolo: prove di allestimento Juvarra a Villa della Regina J. David, Allieve e insegnanti dell’Istituto Nazionale per le Figlie dei Militari Italiani al Padiglione dei Solinghi di Villa della Regina, 1898-1899. Torino, Archivio di Stato. G. B. Crosato, Medea fa ringiovanire Esone, sovrapporta, 1733 ca., Torino, Villa della Regina, Appartamento di S.M., Anticamera verso Levante (27). Tela rubata nel 1979. Ci si è misurati con scelte non sempre facili proprio per la compresenza di fasi diverse nei giardini come negli edifici, con apparati decorativi ed arredi di varie epoche che concorrono a comporre quella che oggi è “l’ultima fase progettata”: la Villa tardo settecentesca, con interventi decorativi di primo Ottocento, poi abitata da allieve ed insegnanti del collegio che avevano utilizzato il Salone, le Camere da letto e i “Gabinetti alla China” come aule e sale da ricevimento. Certo siamo consapevoli di quanto, ovviamente, anche questa definizione sia piena di sfaccettature, proprio per le assenze di arredi che si segnalano immediatamente al visitatore. Proprio la contrastata storia degli usi della Villa sopra suggerita impedisce all’arredo rimasto di comporsi in una fase unitaria: incompleto è comunque anche l’ultimo assetto, assunto dalla Villa come sede del collegio femminile fra il 1868 e il 1975, dopo i danni di guerra e i furti. Non solo il “Gabinetto alla China” (28) e la Libreria di Piffetti (29), portati a Roma dai sovrani, hanno lasciato pareti bianche ma i “rifacimenti in stile” degli anni Cinquanta pesano (soprattutto nell’Appartamento della Regina, colpito dagli spezzoni incendiari nel 1942-1943) ed i furti successivi alla chiusura del collegio hanno aggiunto sciaguratamente altri vuoti, solo in parte colmati con i ritrovamenti dei Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico. Tessuti colorati per pareti, finestre e porte, letti e sedute arredavano invece gli ambienti completati da tavoli con piani in marmi policromi o in scagliola e porcellane e maioliche orientali e occidentali, e tanti dipinti, nella tradizione d’arredo sei-settecentesca. Ne seguiamo in parte l’avvicendamento grazie alle precise descrizioni inventariali, che hanno guidato al riconoscimento di singoli oggetti dopo la pubblicazione di Angela Griseri3. Evocazioni. Non tutti possono attingere, per confronti e riconoscimenti, a memoria storica e visiva per raccogliere indizi materiali, tecnici, storici e stilistici utili ad immaginare le diverse storie della Villa che vediamo coesistere in modo frammentario in ogni sala. Da qui la decisione di “evocare l’arredo fisso”, non più presente nel periodo di uso della Villa da parte dell’Istituto, e di proporre un “programma di ritorni temporanei”. Si intende suggerire da una parte, con il “ritorno temporaneo” degli arredi originari, l’assetto delle sale e dall’altra evocarne gli usi (fino a quelli a noi più vicini) con materiali di confronto, con l’avvertenza che si tratta sempre di spunti per ricucire idealmente ambienti parzialmente compromessi. Video e dépliants abitualmente offerti a supporto della visita, pur apprezzati dal pubblico, forniscono “informazioni” storiche e 14 ill. XXXXXXV ill. I fotografiche, ma non mirano e comunque non sono sufficienti a restituire l’atmosfera della residenza, documentata ancora da fotografie fra il 1940 e il 1960. Le sale dopo il restauro sono nuovamente arricchite dalla luce e dalle viste sui giardini e sulla città, ma denunciano anche ferite di pareti e cornici vuote4. La strada che abbiamo percorso tiene conto di esperienze che hanno evocato temporaneamente la mancanza di dipinti o arredi anche se il caso della Villa è sostanzialmente diverso, come indicano più oltre Laura d’Agostino e Maria Carla Visconti Cherasco. La straordinaria suggestione orchestrata da Paolo Venturoli riproducendo fotograficamente i dipinti ospitati nella Galleria Beaumont di Palazzo Reale fino all’allestimento dell’Armeria carloalbertina è stato un regalo a tempo: ha permesso di immaginare la grande Galleria della Regina prima del suo utilizzo come museo di armi5. Anche la collocazione di riproduzioni in bianco e nero dei dipinti della Chambre des chiens del Castello di Versailles colma una mancanza che il restauro dei dipinti risarcirà e che comunque nel rapporto grisailles seppiate - arredi bianchi e oro ricorda la decorazione di altre sale della reggia6. Tutta speciale è la storia del ritorno delle tele nella grande sala di Diana di Venaria Reale, dove il passare del tempo ha lasciato il solo Seicento raccontato dalle Cacce di Tesauro7. Evocazione di una realtà storica indagata sulla base delle ricerche, della catalogazione e dei restauri è invece alla base dei progetti per il Museo della Frutta a Torino, nell’ambito del Progetto dei Musei scientifici8. Bisogna ricordare invece che alla Villa non solo non esiste una fase da privilegiare ma, anzi, le fasi sette e ottocentesche in qualche modo oggi convivono frammentariamente al piano nobile. Gli oggetti e gli arredi rimossi inoltre sono diventati “altri”, parti di contesti definiti che hanno determinato modifiche, non solo cromatiche e dimensionali, e tali da renderli estranei ai progetti settecenteschi così attentamente realizzati. Non va dimenticato che i documenti, i dati stilistici, tecnici e materiali hanno confermato che chi ha operato alla Villa si è sempre posto in confronto con il preesistente, innovando senza modificare la struttura della proprietà. Il rinvenimento di dorature e finiture, ad esempio, ha reso evidente quanto contasse per Juvarra la luce in questo luogo speciale (lo recuperiamo pur con la perdita della volta nel grande Salone centrale) e come la meraviglia offerta dai “Gabinetti alla China” fosse stata attentamente preparata. Le pagine di Giuseppe Dardanello ne offrono un’illuminante testimonianza a conferma che “per Juvarra l’architettura non è mai stata questione che riguardava semplicemente muri, piante e alzati ma che è sempre stata un allestimento figurativo, una messa in scena o un’ambientazione che portava le arti a cooperare di concerto secondo modalità e gerarchie finalizzate a definire il carattere appropriato al luogo e all’occasione”9. Siamo sempre più consapevoli della progettazione di Juvarra alla Villa anche grazie al rilievo sistematico di pareti ed apparati decorativi condotto a supporto del restauro: per tutti valga l’esempio del “Gabinetto verso mezza notte e Ponente alla China” (25) studiato per questi aspetti da Giorgio Rolando Perino10. 15 Torino, Villa della Regina, Appartamento di S.M., “Gabinetto verso mezza notte, e Ponente alla China” (25). Pagina precedente: I. G. Dallamano, Quadrature architettoniche con dipinti murali di C. Giaquinto, 1733, su progetto di F. Juvarra. Torino, Villa della Regina, Salone (22). II II. C. Giaquinto, Apollo e Dafne, 1733. Torino, Villa della Regina, Salone (22), parete nord. A destra: IV. C. Giaquinto, I Quattro Elementi, studio per Villa della Regina. Napoli, Certosa e Museo di San Martino, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe. III. C. Giaquinto, Venere che scopre il corpo senza vita di Adone, 1733. Torino, Villa della Regina, Salone (22), parete sud. III 34 IV 35 C. Giaquinto, Storie di Enea, 1735 ca., sovrapporte già a Villa della Regina, Appartamento di S.M., “Camera del letto verso Ponente” (24). XI X X. Enea sacrifica ad Apollo. Roma, Palazzo del Quirinale, Sala di Ercole. XI. Mercurio appare ad Enea. Roma, Palazzo del Quirinale, Sala di Ercole. XII. Partenza di Enea da Cartagine. Roma, Palazzo del Quirinale, Sala di Ercole. XIII. Venere consegna le armi ad Enea. Roma, Palazzo del Quirinale, Sala di Ercole. XIV. Enea e Didone colti dalla tempesta. Roma, Palazzo del Quirinale, Sala di Ercole. XII IX. Venere appare ad Enea. Roma, Palazzo del Quirinale, Sala di Ercole. 38 XIII XIV 39 Due disegni di Juvarra per la “rimodernazione” di Villa della Regina Juvarra a Villa della Regina J. David, Veduta del compendio di Villa della Regina, 1898-1899. Torino, Archivio di Stato. F. Juvarra, Veduta prospettica del progetto per un regio palazzo in villa per tre personaggi, Concorso Clementino (prima classe di architettura, primo premio) 1705, particolare. Berlino, Staatliche Museen, Kunstbibliothek, Hdz 1151. classe di committenza avvicinata dall’architetto, il quale però arrivò a cogliere presto le potenzialità da valorizzare in quel tipo di fabbrica “alla piemontese”. Nel progetto di rifacimento e ampliamento del Castello di Rivoli, messo in cantiere dalla fine del 1716, Juvarra configurava a scala del grandioso il prototipo del palazzo reale sulla traccia di un impianto prossimo a quello che si era trovato di fronte nella residenza di Anna d’Orléans12. La ripresa fotografica di Villa della Regina scattata da J. David tra 1898 e 1899 mette in luce gli stretti rapporti nell’articolazione dei volumi e nell’aspetto 62 esterno tra la residenza collinare e il Castello di Rivoli13, come siamo abituati a figurarlo nella sua forma compiuta grazie alla spettacolare veduta verso sud dipinta da Giovanni Paolo Panini tra 1723 e 1724, sulla scorta del disegno preparatorio approntato da Juvarra14. Fatto salvo il salto di scala, i due edifici propongono un analogo modello architettonico, in entrambi i casi esaltato nel rapporto con lo scenario paesistico. Per il corpo centrale del progetto per Rivoli come per l’intervento di “rimodernazione” della Villa – concentrato nella veste esterna sull’affaccio della zona mediana, dove alla loggia seicentesca furono date le forme della facciata di un palazzo a due ordini sovrapposti, sormontati da un attico coronato da balconata con statue – Juvarra ricorse ad una immagine messa a punto in una precedente occasione ufficiale: il prospetto del “regio palazzo in villa per tre personaggi” preparato per il Concorso Clementino del 1705, che gli era valso il primo premio nella prima classe di architettura e ne aveva fatto conoscere al mondo romano le superbe qualità di disegnatore e architetto15. Al modello di Rivoli e di Villa della Regina appartiene ancora un altro progetto di Juvarra per un palazzo in villa, presentato intorno al 1725 al marchese Giuseppe Gaetano Giacinto Carron di San Tommaso e rimasto sulla carta16. Delle quattro proposte offerte al nobile funzionario dello Stato Sabaudo, interpretate come un saggio sui più aggiornati esempi residenziali che si potessero confrontare sulla scena europea, l’architetto ne sviluppò una nel gusto elaborato a partire dalla tradizione piemontese: paramenti di facciata piani e pausati, solo solcati da sottili fasce marcapiano e serrati da angolari a bugnato, incorniciature delle aperture semplici, padiglioni di testata trasversali alla manica principale, con coperture in coppi a spioventi, come il corpo centrale del salone, sopraelevato da una loggiabelvedere. Egualmente ai precedenti del Concorso Clementino e di Rivoli, e come ill. I ill. XVII sarà per Villa della Regina, la facciata del padiglione centrale è nobilitata dall’ordine architettonico: per i primi due piani un composito gigante nella cui trabeazione si insinuano i vuoti delle finestre superiori, esteso lateralmente di due campate per parte, sormontato da uno ionico più contenuto e coronato da una balaustra con statue, limitato alla sola zona tripartita mediana. In rapporto alla Villa, il progetto per i Carron di San Tommaso è indicativo in una doppia direzione: conseguenza della riflessione sulla fabbrica esistente della residenza collinare, ne influenzerà sensibilmente la rimodernazione della facciata, come nel disegno per l’aristocratica famiglia torinese intelaiata dagli ordini in due livelli di tre campate e conclusa da balaustra con statue. Le poche informazioni documentarie disponibili e la voce nel catalogo del Sacchetti orientano a datare il rinnovamento del Salone della Villa a ridosso del 1729, ma prima di allora Juvarra dovette essere interpellato per gli allestimenti decorativi che, scaglionati nel tempo, ne interessarono l’interno. Si è proposto di riferire il disegno sicuro della linea di cornice che compone e impagina ornati in stucco e storie dipinte della Camera da letto del Re (24), secondo un modo di governare la decorazione della volta estraneo alle abitudini torinesi di primo Settecento, ad un suggerimento di Juvarra da collocare intorno al 1718-1720, le date indicate dai biografi di Claudio Francesco Beaumont per gli interventi del pittore in quella sala: la tela dell’Aurora con il carro di Apollo eseguita durante il soggiorno bolognese nel 1718-1719, integrata dalle Quattro Stagioni, dipinte sulla volta al momento del successivo rientro a Torino17. Se così fosse si tratterebbe della prima collaborazione di concerto tra il regio architetto e il giovane pittore, la cui formazione in ambito romano sarà affidata alla sua tutela. Beaumont è qui impegnato a sfoggiare una pittura da classica accademia, improntata ad un aggiornamento del gusto barocco di Daniel Seyter, che poteva risultare apprezzata da Juvarra, pur nelle scoperte citazioni letterali, come la figura dell’Inverno, il vecchio accovacciato ripreso pari pari dall’Apollo che accorda a Fetonte la guida del carro, di Nicolas Poussin18, o quella di Zefiro, tratta da un’elaborata composizione di Carlo Maratti19. Con l’intervento messo in cantiere al Salone circa il 1730, Juvarra ne ampliò il corpo di fabbrica a doppia altezza verso la città, integrandovi la loggia seicentesca: lo spazio rimodernato fu configurato come un’ampia sala, introdotta al primo livello da due vesti63 G. P. Panini, Veduta del Castello di Rivoli verso sud, 1723-1724, particolare. Racconigi, Castello. F. Juvarra, Prospetto e sezione per il Palazzo in villa del Marchese Carron di San Tommaso, progetto A, 1725 ca., particolare del prospetto. Santena, Fondazione Camillo Cavour, Fondo Carron di San Tommaso, m. 89, n. 1425. ill. I Corrado Giaquinto a Villa della Regina Juvarra a Villa della Regina C. Giaquinto, Bacco con satiri e ninfe e Nettuno con tritoni e nereidi, 1733, particolari della volta ante 1943. Torino, Villa della Regina, Appartamento di S.M. la Regina, “Camera del letto verso Ponente” (32). Fondazione Torino Musei, Archivio Fotografico. esterno oggi pienamente recuperato nell’accordo tra architettura, pittura, quadrature architettoniche e decoro dall’esemplare restauro di questo splendido monumento. Insieme alla fonte ovidiana, mai abbandonata, godono di rinnovata fortuna altri temi: tratti dalla Storia sacra, a Roma scelti per i Concorsi Clementini dell’Accademia di San Luca, governata in consonanza con l’Arcadia, e temi virgiliani, tutti scelti a Torino distintamente per le stanze del Re a rispecchiare e sollecitare le virtù sovrane. Sono ancora anonime e ancora da rintracciare (qualcuna magari rimasta in Palazzo Reale, altre coinvolte nei trasferimenti d’arredo da Torino a Roma30) le sovrapporte in78 ventariate nel 1755 nella “Camera del letto verso Ponente” (la stessa con la volta dipinta da Giaquinto) dove Storie bibliche che illustravano fatti di grandi protagonisti del buon governo, come Noè, Giuseppe, Mosè, erano soggetti allusivi alle doti regie: per gli stessi motivi temi analoghi verranno richiesti a Giaquinto per l’arredo della Sala di Conversazione del Palazzo Reale di Aranjuez31. Sono assai note, invece, e considerate tra le più esplicite testimonianze della eccellente qualità pittorica di Giaquinto e della sua piena adesione alla cultura d’Arcadia, le sovrapporte e sovrafinestre con Storie di Enea, divise tra il Quirinale e la Villa e ora, temporaneamente, ricongiunte a Torino. La fortuna settecentesca dell’eroe virgiliano, è noto, viene avviata in Arcadia con la traduzione ad opera di Bartolomeo Beverini dell’Eneide in “ottava rima Toscana” edita nel 1700 a Roma dallo stesso tipografo Bernabò che 26 anni più tardi pubblicherà la Didone abbandonata di Metastasio, ovvero l’opera tra le più rappresentative della cultura arcadica32. Prima ancora di venire a contatto con la fioritura romana, Giaquinto poteva aver conosciuto la nuova stagione virgiliana già a Napoli dove, fin dal 1699, l’Eneide veniva “trasportata in ottava Rima napoletana” da Giancola Sitillo, che dedicava l’opera agli “Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori Eletti della Nobiltà e Popolo”napoletano33. Sulla fortuna del tema, insomma, Giaquinto poteva aver già meditato, per i soggetti e per il ritmo compositivo che la critica ha sempre riconosciuto in sintonia con la poetica di Metastasio, seguendone forse l’elaborazione che dalla Didone abbandonata (1724) si completa nell’Enea nel Lazio di Porpora, su libretto di Paolo Rolli eseguito a Londra nel 173434. Alla corte di Torino il successo di Metastasio è decretato già dal 1727 quando la Didone abbandonata viene replicata per ben quattro volte al Teatro Regio dove, poco dopo, si esibisce anche il cantante Farinello, l’amico che Giaquinto raffigura nello sfarzoso ritratto ill. IX-XIVXV-XVI realizzato nel 1753 quando ambedue si ritrovano acclamati alla corte di Spagna35. Interrotte per la morte di Vittorio Amedeo II e per la guerra di successione polacca, a Torino le rappresentazioni della Didone vengono riprese nel 173636, una data significativa per confermarne il successo nell’età di Carlo Emanuele III. Già riconosciuta da Metastasio come sede ideale per l’uomo di corte37, Torino negli anni Trenta avviava verso più assestati ordinamenti la vivacità sperimentale che aveva caratterizzato saperi e cultura figurativa rinnovati dopo l’acquisizione del titolo regio. È probabile che nella veste di Enea si volesse rappresentare Carlo Emanuele III uscito vittorioso dalla battaglia di Guastalla (1734) che pose fine alla guerra di successione polacca. Più tardi infatti, proprio per celebrare il Re e la nuova stagione di pace, Claudio Francesco Beaumont dipingerà in Palazzo Reale le Storie di Enea nella volta del Galleria della Regina, detta appunto Galleria del Beaumont (1738-1743), già trasformata su progetto di Filippo Juvarra. Se, come pare verosimile, le Storie di Enea furono dipinte durante il secondo soggiorno torinese di Giaquinto, ovvero intorno al 1735, quando il cantiere decorativo della Villa si avviava a conclusione e quando il pittore poteva con agio avere il tempo di dividere l’impegno tra la Cappella di San Giuseppe in Santa Teresa e le tele predisposte per il sinuoso telaio sagomato, verosimile è pure che il responsabile del programma iconografico fosse stato ancora Juvarra38. Una probabile conferma si trova in una “memoria” di Juvarra per la decorazione interna del palazzo di Sant’Ildefonso dove uno dei due progetti alternativi per il decoro della camera da letto prevedeva sovrapporte di Locatelli e quadri, ripartiti tra Costanzi, Giaquinto, Monti e Van Loo (tutti pittori impegnati a Torino), raffiguranti “L’Istoria o i Fatti d’Enea o vero la Gerusalemme Liberata del Tasso”. Juvarra, insomma, proponeva a Madrid soggetti analoghi a quelli scelti a Torino, dove dipinge- vano, Giaquinto, per Villa della Regina le Sto- C. Giaquinto, Venere ad Enea, rie di Enea e Carle Van Loo, nel 1733, per il appare sovrapporta, 1735 ca. Gabinetto del Re in Palazzo Reale le undici te- Roma, Palazzo del Quirinale, lette con fatti della Gerusalemme Liberata39. Sala di Ercole, Le esigenze della cultura di corte e gli esiti già a Villa della Regina, Appartamento di S.M., felici della sperimentazione torinese muove- “Camera del letto vano le scelte di Juvarra, ma anche di Gia- verso Ponente” (24). quinto verso la ripetizione variata di soggetti e composizioni nel passaggio da Torino a Madrid. Nella pratica dell’autocitazione, del resto, Giaquinto era maestro: come si vede nella tela con Venere e Adone, forse progetto per un arazzo non realizzato (San Lorenzo dell’Escorial, Casita del Principe40) e nella Nascita del Sole e Trionfo di Bacco, l’affresco del Salone delle Colonne nel Palazzo Reale di Madrid. La cernita degli episodi virgiliani da rappresentare nelle tele di Villa della Regina sembra concentrata sulla forza d’amore e indicare virtù, investimento divino e missione dell’eroe. La collocazione data dall’inventario del 1755 fa vedere un allestimento che inserisce sulle porte d’ingresso dall’anticamera i temi ill. amorosi (Venere appare ad Enea, Enea e Di- IX, XIV 79 Sovrane tappezzerie Juvarra a Villa della Regina Nichelino, Stupinigi, Palazzina di caccia, Appartamento di Levante, Gabinetto degli Specchi. ill. XVII ill. XXI, XXIV, XXXIV Prima della tappezzeria chiné, alla metà del Settecento, le stanze del Re erano arredate da un “taffetas alla China” con decoro di alberi di palme e barche su fondo bianco, come registra puntualmente l’inventario del 1755. Trattandosi di un tessuto leggero e dalla superficie liscia, è legittimo immaginarlo dipinto. La raffinata stoffa rivestiva le pareti soltanto nella Camera da letto (24), dove era impiegata anche per le tende delle finestre, le portiere e il rivestimento del monumentale letto all’imperiale; nelle altre stanze esposte a Ponente (23 e 25) e nell’Anticamera e Gabinetto di Levante (27 e 28) essa confezionava soltanto le portiere e il rivestimento delle suppellettili. Per il suo pregio e per meglio suggerire l’apertura dell’ambiente su un paesaggio fantastico, era 120 lasciata libera alla vista: la stanza presentava infatti solo due dipinti, strettamente di soggetto sacro, a fronte degli ottanta disposti sulle pareti della contigua Anticamera. Verosimilmente prodotta in Oriente, la tappezzeria doveva risultare di particolare raffinatezza, per l’impiego di una materia prima preziosa come la seta e la luminosità dovuta alla prevalenza dei fondi bianchi, cui si accompagnavano tocchi di verde nelle passamanerie. Il motivo decorativo, sinteticamente descritto nell’inventario, evoca la tipologia dei paesaggi cinesi, così come ci è stata tramandata soprattutto attraverso le carte dipinte, largamente diffuse dalla metà del XVIII secolo: sinuosi corsi d’acqua sono solcati da imbarcazioni in giunco e sotto gli alberi, o all’interno di padiglioni, i personaggi sono assorti in tranquille, quotidiane occupazioni. Il riferimento tipologico più immediato, anche per la provenienza dal Palazzo Reale di Torino, è la serie di pannelli cinesi in seta dipinta oggi conservati a Roma presso il Palazzo del Quirinale e attribuiti da Lucia Caterina, che ne ripercorre le vicende storiche piuttosto complesse, a manifattura cinese della metà del XVIII secolo11. Le ventitre tele, oggi divise tra gli Appartamenti Imperiali e il Salone della Palazzina, provengono da Torino ma, tra il 1891 e il 1919, arredavano gli appartamenti dell’imperatore e dell’imperatrice di Germania nella Villa Reale di Monza. Raffigurano scene di vita cinese, inserite in un paesaggio con picchi montuosi sullo sfondo e corsi d’acqua solcati da leggere imbarcazioni; il disegno è molto preciso e tra i colori vivaci domina il verde, insieme all’azzurro e al marrone. La tentazione di identificare questi pannelli con le sete perdute dell’Appartamento del Re è forte, per la rispondenza delle misure (m. 4 x 0.80) e della tipologia di tessuto, del decoro e dei colori, ma lo stato attuale degli studi permette soltanto di avanzare un’affascinante ipotesi. ill. XXVI ill. XXV Come un’ampia letteratura spiega, dal fondamentale saggio di Hugh Honour in poi12, questi prodotti orientali importati in Europa attraverso le Compagnie delle Indie -tessuti, lacche, porcellane- vengono in breve tempo imitati per rispondere, con misure protezionistiche, alle crescenti richieste del mercato13. Si formano figure di pittori specializzati nel genere esotico e circolano veri e propri repertori figurativi, talvolta difficilmente distinguibili dagli originali: una particolare similitudine è emersa ad esempio, nel corso di questo studio, fra i teli conservati al Quirinale e alcuni disegni dal Livre de desseins chinois di Jean-Antoine Fraisse, del 173514. Nell’Appartamento della Regina, sempre in base all’inventario del 1755, le stoffe esotiche impiegate nell’arredamento presentavano il secondo decoro tipicamente orientale, quello con ramages, fiori e uccelli su fondo chiaro, bianco o giallo. I cosiddetti “pechini”, termine equivalente del francese péquins e del tedesco pekingtapeten (o pekin), sono prodotti in Oriente per l’esportazione, spesso su disegni forniti dagli stessi committenti europei e già nel XVII secolo approdano sui mercati inglesi e francesi attraverso le Compagnie delle Indie, come evoca l’affresco di Tiepolo a Villa Valmarana. Quelli di migliore qualità arrivano dalla Cina, da Canton in particolare e dalla costa indiana del Coromandel; in base alle dimensioni più o meno grandi del decoro sono impiegati nell’arredo estivo di eleganti ambienti privati o nell’abbigliamento. Sulle superfici lisce di taffetas o raso il disegno è eseguito solitamente con una tecnica mista, cioè con l’esecuzione a stampa, o con l’uso di mascherine, dei profili del disegno, successivamente dipinto a mano. Nei teli destinati alle pareti il modulo decorativo può essere anche molto grande, a volte quanto l’intero telo, per suggerire l’impressione di naturalezza e libertà esecutiva. In Europa, la domanda crescente e le elevate tasse per l’importazione stimolano la produzione autoctona di pechini a imitazione di quelli cinesi, decorati con repertori ispirati ad un Oriente fantastico, comuni anche alle carte dipinte e alle porcellane. L’impiego di queste stoffe in un interno arredato “alla China”, con porcellane cinesi, tappeto turco e trompe-l’oeil con stipo laccato e singeries , è reso efficacemente nel dipinto di Olof Fridsberg (1728-1795) La contessa Ulla Tessin nel suo studio di Åkerö, conservato nel Nationalmuseum di Stoccolma. Qui il tessuto dipinto a piccoli fiori e volatili confeziona un “mobile” completo, come indicano le tende riflesse nelle ante della libreria-scrittoio15, ed è simile ai frammenti di tessuto della stessa tipologia conservati ad esempio a Lione e a Modena. Nell’Appartamento della Regina le sete dipinte si trovavano originariamente in quasi tutte le stanze, sotto forma di portiere o sedute delle numerose suppellettili, ma rivestivano le pareti, com’era peraltro consuetudine, solo nella Camera da letto (32) e nel contiguo “Gabinetto verso mezzo giorno e 121 Manifattura cinese, Tappezzeria in seta dipinta con barche e figure cinesi, dinastia Qing, metà del XVIII secolo. Roma, Palazzo del Quirinale, primo Appartamento Imperiale, Salottino da tè. ill. XXIX, XXVIIXXVIII G. Tiepolo, Il mercante cinese di stoffe, particolare. Vicenza, Villa Valmarana, Foresteria.
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