Appartamenti Reali al piano nobile

Appartamenti Reali al piano nobile
Sommario
Prefazioni
29
28
36
27
30
22
24
71
MICHELA DI MACCO
37
34
31
23
Corrado Giaquinto a Villa della Regina
35
38
26
3
32
33
25
Storie di quadri e altro: Giaquinto
e gli arredi di Villa della Regina
da Torino al Quirinale
Un progetto per la Villa del XXI secolo:
prove di allestimento
Le Storie di Enea di Corrado Giaquinto
Evocazioni nell’Appartamento del Re
di Villa della Regina
LUISA MOROZZI
11
Vita di corte negli Appartamenti Reali
21
LAURA D’AGOSTINO
In tema di “vero” e “falso”:
completamenti e suggestioni
95
103
PAOLA TRAVERSI
Sovrane tappezzerie
115
LAURA D’AGOSTINO
26
MARIA CARLA VISCONTI CHERASCO
Gli arredi tra la Villa e il Quirinale
Le boiseries della Villa al Quirinale
attraverso il rilievo
GIORGIO ROLANDO PERINO
CRISTINA MOSSETTI
Le tappezzerie nelle stanze del Re
tra storia e suggestioni
83
30
LUISA MOROZZI
Il restauro della tappezzeria chiné
della Villa
124
ESTER GIOVACCHINI
Le porcellane cinesi a Villa della Regina
127
LUCIA CATERINA
Numerazione attuale delle sale seguita dalla denominazione dell’inventario del 1755, nell’ordine delle ricognizioni settecentesche
Tavole a colori
33
22 Salone
133
SILVANA PETTENATI
Appartamento di S.M.tà
Appartamento di S.M.tà la Regina
23
24
30
27
25
26
28
29
31
32
35
33
34
36
37
38
Anticamera verso Ponente
Camera del letto verso Ponente
Camera verso Levante detta del Trucco
Anticamera verso Levante
Gabinetto verso mezza notte, e Ponente alla China
Gabinetto attiguo della Guardarobba
Gabinetto verso Levante alla China
Gabinetto della Libreria verso mezza notte, e Ponente
Arredi e porcellane negli Appartamenti
settecenteschi
Anticamera verso Ponente
Camera del letto verso Ponente
Anticamera verso Levante
Gabinetto verso mezzo giorno, e Ponente
Gabinetto della Guardarobba
Gabinetto verso Levante detto delle Ventaglyne
Gabinetto verso mezzo giorno, e Ponente alla China
Cappella, e Tribuna.
Idee juvarriane per il Giardino
di Villa della Regina
La “rimodernazione” juvarriana
di Villa della Regina.
Dipinti, arredi, tessuti e porcellane
Il gusto di vivere in villa: Crosato con Juvarra
PAOLA MANCHINU
51
ANDREINA GRISERI
Due disegni di Juvarra per la “rimodernazione”
di Villa della Regina
GIUSEPPE DARDANELLO
141
Evocazioni per Villa della Regina
145
LUISELLA ITALIA e MASSIMO VENEGONI
59
Bibliografia
149
7
Un progetto per la Villa del XXI secolo: prove di allestimento
Juvarra a Villa della Regina
Sulla scorta delle esperienze maturate nel corso dei restauri dei “Gabinetti alla China” e
delle tappezzerie in taffetas chiné à la branche, abbiamo approfondito la riflessione sugli
ambienti nel loro insieme e sulle linee percorribili per suggerire – in adesione al programma di restaurare non un museo ma una residenza regia – la presenza di arredi non più ricollocabili per motivi diversi: spostamenti, riallestimenti, furti e danni di guerra.
Sono aspetti d’altra parte sempre più frequentemente dibattuti, a livelli diversi, a proposito sia delle restrizioni alla visita del pubblico negli ambienti a rischio conservativo sia della
decontestualizzazione delle opere e del loro ritorno reale o virtuale nei luoghi per cui furono create. Problemi cruciali strettamente legati alla metodologia del restauro ma che ormai,
per la disponibilità di nuove tecnologie, impegnano addetti ai lavori e pubblico ad interrogarsi su modalità e limiti non solo di riproduzioni e copie, ma anche di cloni e facsimili e
del rapporto con il visitatore1.
Il problema delle “assenze” degli arredi fissi è stato pertanto affrontato alla Villa con interventi di natura e peso diversi, ma comunque sempre con l’intento di evocare, sulla base dei
dati tecnici e storici acquisiti, la presenza di tessili, boiseries e altri arredi.
La manifestazione, di cui questo quaderno è commento, costituisce la prima di una auspicata “serie di ritorni temporanei”, individuati per studio e confronto, e di “evocazioni” di
opere che propongono al pubblico di (ri)conoscere l’Appartamento del Re attraverso una
articolata serie di interventi di “avvicinamento” all’arredo e all’uso di alcune sale.
Gli aspetti distinti di un problema complessivo risolto coralmente emergono dalle pagine di
Laura d’Agostino, Maria Carla Visconti Cherasco, Luisa Morozzi e mie, in questa prima
parte del volume come “responsabili delle prove di allestimento”.
Torino, Villa della Regina,
Asse del Belvedere.
12
Quale identità per la Villa. Studi e ricerche.
La Villa, come tanti altri luoghi, nel corso
del tempo ha cambiato arredo, è stata
aggiornata ma ha mutato anche funzione,
diventando, come noto, sede di un collegio
femminile, l’Istituto Nazionale per le Figlie
dei Militari Italiani. Ha poi subito ripristini
frettolosi dettati da necessità contingenti di
uso dopo i danni della seconda guerra mondiale, smembramenti di arredo con la soppressione del collegio e danni insanabili con
l’abbandono di poco più di un decennio
(1980-1994) aggravato da ulteriori impropri
lavori.
Nello smarrimento della identità storica dei
luoghi Sandra Pinto nel 1993 aveva individuato il problema conservativo di molti
musei e residenze, nel tempo piegati ad usi
diversi. Villa della Regina ne era esempio
emblematico fino al 1994, quando ci fu affidata per il restauro ormai quasi sopraffatta
dal degrado.
Abbiamo ricucito pazientemente la storia del
Compendio e delle sue trasformazioni, tra
documentazione archivistica e fotografica,
analisi di tecniche e materiali, nella stratificazione che il restauro via via ci ha consentito
problematicamente di conoscere, facendo
tesoro della consolidata tradizione di lavoro fondata su studi e ricerche, propria della nostra
Soprintendenza. Dal lavoro territoriale ad ampio raggio avviato dagli anni Settanta, con il coordinamento di Giovanni Romano, a quello nelle residenze abbiamo tratto spunti di metodo, dati
e conoscenze.
Proprio questi studi hanno fondato tanti restauri e hanno suggerito occasioni di esposizioni per rievocare modifiche temporanee o definitive di ambienti e complessi. L’insieme del
progetto del cardinale Carlo Vittorio Amedeo delle Lanze per gli altari di San Benigno
Canavese, nel corso degli scavi dell’Abbazia, era stato suggerito dalla esposizione delle pale
d’altare alla mostra dedicata alla cultura figurativa del Regno sardo2. Le mostre Diana
Trionfatrice (1989), Le delizie di Stupinigi (1997), Porcellane e argenti del Palazzo Reale di
Torino (1986), e Il Tesoro della Città (1996) hanno invece individuato e riunito oggetti ed
arredi in spazi neutri o storici e rievocato così fasi di arredo, occasioni di committenza e
nuclei collezionistici sulla base di strutturate campagne di schedatura archivistica e catalogazione di oggetti, cui ancora oggi attingiamo con sicurezza.
Scopo del restauro di Villa della Regina (1994-2006) era dunque innanzitutto il recupero
della identità complessiva della proprietà, una Vigna collinare, oggi nuovamente evocata,
con il restauro delle parti auliche, dei giardini all’italiana e del Teatro d’acque e di quelle
produttive nell’assetto giunto fino a noi, pur nella decurtazione dei terreni agricoli che ne
mortifica l’impatto paesaggistico ed ambientale.
13
Torino, Villa della Regina,
veduta dall’Asse
del Belvedere nel 1994
(in alto) e nel 2006
(in basso).
Un progetto per la Villa del XXI secolo: prove di allestimento
Juvarra a Villa della Regina
J. David, Allieve
e insegnanti dell’Istituto
Nazionale per le Figlie
dei Militari Italiani
al Padiglione dei Solinghi
di Villa della Regina,
1898-1899.
Torino, Archivio di Stato.
G. B. Crosato, Medea
fa ringiovanire Esone,
sovrapporta, 1733 ca.,
Torino, Villa della Regina,
Appartamento di S.M.,
Anticamera verso Levante
(27). Tela rubata nel 1979.
Ci si è misurati con scelte non sempre facili
proprio per la compresenza di fasi diverse nei
giardini come negli edifici, con apparati decorativi ed arredi di varie epoche che concorrono a comporre quella che oggi è “l’ultima fase
progettata”: la Villa tardo settecentesca, con
interventi decorativi di primo Ottocento, poi
abitata da allieve ed insegnanti del collegio
che avevano utilizzato il Salone, le Camere da
letto e i “Gabinetti alla China” come aule e
sale da ricevimento. Certo siamo consapevoli
di quanto, ovviamente, anche questa definizione sia piena di sfaccettature, proprio per le
assenze di arredi che si segnalano immediatamente al visitatore.
Proprio la contrastata storia degli usi della
Villa sopra suggerita impedisce all’arredo rimasto di comporsi in una fase unitaria: incompleto è comunque anche l’ultimo assetto, assunto dalla Villa come sede del collegio femminile fra il 1868 e il 1975, dopo i danni di guerra e i furti.
Non solo il “Gabinetto alla China” (28) e la Libreria di Piffetti (29), portati a Roma dai sovrani, hanno lasciato pareti bianche ma i “rifacimenti in stile” degli anni Cinquanta pesano
(soprattutto nell’Appartamento della Regina, colpito dagli spezzoni incendiari nel 1942-1943)
ed i furti successivi alla chiusura del collegio hanno aggiunto sciaguratamente altri vuoti, solo
in parte colmati con i ritrovamenti dei Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico.
Tessuti colorati per pareti, finestre e porte, letti e sedute arredavano invece gli ambienti
completati da tavoli con piani in marmi policromi o in scagliola e porcellane e maioliche
orientali e occidentali, e tanti dipinti, nella tradizione d’arredo sei-settecentesca. Ne seguiamo in parte l’avvicendamento grazie alle precise descrizioni inventariali, che hanno guidato al riconoscimento di singoli oggetti dopo la pubblicazione di Angela Griseri3.
Evocazioni.
Non tutti possono attingere, per confronti e riconoscimenti, a memoria storica e visiva per
raccogliere indizi materiali, tecnici, storici e stilistici utili ad immaginare le diverse storie
della Villa che vediamo coesistere in modo frammentario in ogni sala.
Da qui la decisione di “evocare l’arredo fisso”, non più presente nel periodo di uso della Villa
da parte dell’Istituto, e di proporre un “programma di ritorni temporanei”.
Si intende suggerire da una parte, con il
“ritorno temporaneo” degli arredi originari,
l’assetto delle sale e dall’altra evocarne gli
usi (fino a quelli a noi più vicini) con materiali di confronto, con l’avvertenza che si
tratta sempre di spunti per ricucire idealmente ambienti parzialmente compromessi.
Video e dépliants abitualmente offerti a supporto della visita, pur apprezzati dal pubblico, forniscono “informazioni” storiche e
14
ill.
XXXXXXV
ill.
I
fotografiche, ma non mirano e comunque
non sono sufficienti a restituire l’atmosfera
della residenza, documentata ancora da fotografie fra il 1940 e il 1960. Le sale dopo il
restauro sono nuovamente arricchite dalla
luce e dalle viste sui giardini e sulla città, ma
denunciano anche ferite di pareti e cornici
vuote4.
La strada che abbiamo percorso tiene conto
di esperienze che hanno evocato temporaneamente la mancanza di dipinti o arredi anche se
il caso della Villa è sostanzialmente diverso,
come indicano più oltre Laura d’Agostino e
Maria Carla Visconti Cherasco. La straordinaria suggestione orchestrata da Paolo Venturoli
riproducendo fotograficamente i dipinti ospitati nella Galleria Beaumont di Palazzo Reale fino all’allestimento dell’Armeria carloalbertina è
stato un regalo a tempo: ha permesso di immaginare la grande Galleria della Regina prima del
suo utilizzo come museo di armi5. Anche la collocazione di riproduzioni in bianco e nero dei
dipinti della Chambre des chiens del Castello di Versailles colma una mancanza che il restauro
dei dipinti risarcirà e che comunque nel rapporto grisailles seppiate - arredi bianchi e oro ricorda la decorazione di altre sale della reggia6. Tutta speciale è la storia del ritorno delle tele nella
grande sala di Diana di Venaria Reale, dove il passare del tempo ha lasciato il solo Seicento raccontato dalle Cacce di Tesauro7. Evocazione di una realtà storica indagata sulla base delle ricerche, della catalogazione e dei restauri è invece alla base dei progetti per il Museo della Frutta a
Torino, nell’ambito del Progetto dei Musei scientifici8.
Bisogna ricordare invece che alla Villa non solo non esiste una fase da privilegiare ma, anzi,
le fasi sette e ottocentesche in qualche modo oggi convivono frammentariamente al piano
nobile. Gli oggetti e gli arredi rimossi inoltre sono diventati “altri”, parti di contesti definiti che hanno determinato modifiche, non solo cromatiche e dimensionali, e tali da renderli
estranei ai progetti settecenteschi così attentamente realizzati.
Non va dimenticato che i documenti, i dati stilistici, tecnici e materiali hanno confermato
che chi ha operato alla Villa si è sempre posto in confronto con il preesistente, innovando
senza modificare la struttura della proprietà.
Il rinvenimento di dorature e finiture, ad esempio, ha reso evidente quanto contasse per
Juvarra la luce in questo luogo speciale (lo recuperiamo pur con la perdita della volta nel
grande Salone centrale) e come la meraviglia offerta dai “Gabinetti alla China” fosse stata
attentamente preparata.
Le pagine di Giuseppe Dardanello ne offrono un’illuminante testimonianza a conferma che
“per Juvarra l’architettura non è mai stata questione che riguardava semplicemente muri,
piante e alzati ma che è sempre stata un allestimento figurativo, una messa in scena o un’ambientazione che portava le arti a cooperare di concerto secondo modalità e gerarchie finalizzate a definire il carattere appropriato al luogo e all’occasione”9.
Siamo sempre più consapevoli della progettazione di Juvarra alla Villa anche grazie al rilievo sistematico di pareti ed apparati decorativi condotto a supporto del restauro: per tutti
valga l’esempio del “Gabinetto verso mezza notte e Ponente alla China” (25) studiato per
questi aspetti da Giorgio Rolando Perino10.
15
Torino, Villa della Regina,
Appartamento di S.M.,
“Gabinetto verso mezza
notte, e Ponente alla
China” (25).
Pagina precedente:
I. G. Dallamano,
Quadrature architettoniche
con dipinti murali
di C. Giaquinto, 1733,
su progetto di F. Juvarra.
Torino, Villa della Regina,
Salone (22).
II
II. C. Giaquinto, Apollo
e Dafne, 1733. Torino,
Villa della Regina,
Salone (22), parete nord.
A destra:
IV. C. Giaquinto, I Quattro
Elementi, studio per Villa
della Regina. Napoli,
Certosa e Museo
di San Martino, Gabinetto
dei Disegni e delle Stampe.
III. C. Giaquinto, Venere
che scopre il corpo senza
vita di Adone, 1733.
Torino, Villa della Regina,
Salone (22), parete sud.
III
34
IV
35
C. Giaquinto, Storie di Enea, 1735 ca.,
sovrapporte già a Villa della Regina, Appartamento di S.M.,
“Camera del letto verso Ponente” (24).
XI
X
X. Enea sacrifica ad Apollo.
Roma, Palazzo del Quirinale, Sala di Ercole.
XI. Mercurio appare ad Enea.
Roma, Palazzo del Quirinale, Sala di Ercole.
XII. Partenza di Enea da Cartagine.
Roma, Palazzo del Quirinale, Sala di Ercole.
XIII. Venere consegna le armi ad Enea.
Roma, Palazzo del Quirinale, Sala di Ercole.
XIV. Enea e Didone colti dalla tempesta.
Roma, Palazzo del Quirinale, Sala di Ercole.
XII
IX. Venere appare ad Enea.
Roma, Palazzo del Quirinale, Sala di Ercole.
38
XIII
XIV
39
Due disegni di Juvarra per la “rimodernazione” di Villa della Regina
Juvarra a Villa della Regina
J. David, Veduta
del compendio di Villa
della Regina, 1898-1899.
Torino, Archivio di Stato.
F. Juvarra, Veduta
prospettica del progetto
per un regio palazzo in
villa per tre personaggi,
Concorso Clementino
(prima classe di
architettura, primo
premio) 1705, particolare.
Berlino, Staatliche
Museen, Kunstbibliothek,
Hdz 1151.
classe di committenza avvicinata dall’architetto, il quale però arrivò a cogliere presto le
potenzialità da valorizzare in quel tipo di
fabbrica “alla piemontese”. Nel progetto di
rifacimento e ampliamento del Castello di
Rivoli, messo in cantiere dalla fine del 1716,
Juvarra configurava a scala del grandioso il
prototipo del palazzo reale sulla traccia di
un impianto prossimo a quello che si era
trovato di fronte nella residenza di Anna
d’Orléans12. La ripresa fotografica di Villa
della Regina scattata da J. David tra 1898 e
1899 mette in luce gli stretti rapporti nell’articolazione dei volumi e nell’aspetto
62
esterno tra la residenza collinare e il Castello
di Rivoli13, come siamo abituati a figurarlo
nella sua forma compiuta grazie alla spettacolare veduta verso sud dipinta da Giovanni
Paolo Panini tra 1723 e 1724, sulla scorta
del disegno preparatorio approntato da
Juvarra14. Fatto salvo il salto di scala, i due
edifici propongono un analogo modello
architettonico, in entrambi i casi esaltato nel
rapporto con lo scenario paesistico. Per il
corpo centrale del progetto per Rivoli come
per l’intervento di “rimodernazione” della
Villa – concentrato nella veste esterna sull’affaccio della zona mediana, dove alla loggia seicentesca furono date le forme della
facciata di un palazzo a due ordini sovrapposti, sormontati da un attico coronato da
balconata con statue – Juvarra ricorse ad
una immagine messa a punto in una precedente occasione ufficiale: il prospetto del
“regio palazzo in villa per tre personaggi”
preparato per il Concorso Clementino del
1705, che gli era valso il primo premio nella
prima classe di architettura e ne aveva fatto
conoscere al mondo romano le superbe
qualità di disegnatore e architetto15.
Al modello di Rivoli e di Villa della Regina
appartiene ancora un altro progetto di
Juvarra per un palazzo in villa, presentato
intorno al 1725 al marchese Giuseppe
Gaetano Giacinto Carron di San Tommaso
e rimasto sulla carta16. Delle quattro proposte offerte al nobile funzionario dello Stato
Sabaudo, interpretate come un saggio sui
più aggiornati esempi residenziali che si
potessero confrontare sulla scena europea,
l’architetto ne sviluppò una nel gusto elaborato a partire dalla tradizione piemontese:
paramenti di facciata piani e pausati, solo
solcati da sottili fasce marcapiano e serrati
da angolari a bugnato, incorniciature delle
aperture semplici, padiglioni di testata trasversali alla manica principale, con coperture in coppi a spioventi, come il corpo centrale del salone, sopraelevato da una loggiabelvedere. Egualmente ai precedenti del
Concorso Clementino e di Rivoli, e come
ill.
I
ill.
XVII
sarà per Villa della Regina, la facciata del
padiglione centrale è nobilitata dall’ordine
architettonico: per i primi due piani un
composito gigante nella cui trabeazione si
insinuano i vuoti delle finestre superiori,
esteso lateralmente di due campate per
parte, sormontato da uno ionico più contenuto e coronato da una balaustra con statue,
limitato alla sola zona tripartita mediana. In
rapporto alla Villa, il progetto per i Carron
di San Tommaso è indicativo in una doppia
direzione: conseguenza della riflessione
sulla fabbrica esistente della residenza collinare, ne influenzerà sensibilmente la rimodernazione della facciata, come nel disegno
per l’aristocratica famiglia torinese intelaiata dagli ordini in due livelli di tre campate e
conclusa da balaustra con statue.
Le poche informazioni documentarie disponibili e la voce nel catalogo del Sacchetti
orientano a datare il rinnovamento del
Salone della Villa a ridosso del 1729, ma
prima di allora Juvarra dovette essere interpellato per gli allestimenti decorativi che,
scaglionati nel tempo, ne interessarono l’interno. Si è proposto di riferire il disegno
sicuro della linea di cornice che compone e
impagina ornati in stucco e storie dipinte
della Camera da letto del Re (24), secondo
un modo di governare la decorazione della
volta estraneo alle abitudini torinesi di
primo Settecento, ad un suggerimento di
Juvarra da collocare intorno al 1718-1720,
le date indicate dai biografi di Claudio
Francesco Beaumont per gli interventi del
pittore in quella sala: la tela dell’Aurora con
il carro di Apollo eseguita durante il soggiorno bolognese nel 1718-1719, integrata dalle
Quattro Stagioni, dipinte sulla volta al
momento del successivo rientro a Torino17.
Se così fosse si tratterebbe della prima collaborazione di concerto tra il regio architetto e il giovane pittore, la cui formazione in
ambito romano sarà affidata alla sua tutela.
Beaumont è qui impegnato a sfoggiare una
pittura da classica accademia, improntata ad
un aggiornamento del gusto barocco di
Daniel Seyter, che poteva risultare apprezzata da Juvarra, pur nelle scoperte citazioni
letterali, come la figura dell’Inverno, il vecchio accovacciato ripreso pari pari dall’Apollo che accorda a Fetonte la guida del
carro, di Nicolas Poussin18, o quella di
Zefiro, tratta da un’elaborata composizione
di Carlo Maratti19.
Con l’intervento messo in cantiere al Salone
circa il 1730, Juvarra ne ampliò il corpo di
fabbrica a doppia altezza verso la città, integrandovi la loggia seicentesca: lo spazio
rimodernato fu configurato come un’ampia
sala, introdotta al primo livello da due vesti63
G. P. Panini, Veduta
del Castello di Rivoli
verso sud, 1723-1724, particolare. Racconigi,
Castello.
F. Juvarra, Prospetto
e sezione per il Palazzo
in villa del Marchese
Carron di San Tommaso,
progetto A, 1725 ca.,
particolare del prospetto.
Santena, Fondazione
Camillo Cavour, Fondo
Carron di San Tommaso,
m. 89, n. 1425.
ill.
I
Corrado Giaquinto a Villa della Regina
Juvarra a Villa della Regina
C. Giaquinto, Bacco con
satiri e ninfe e Nettuno con
tritoni e nereidi, 1733,
particolari della volta
ante 1943. Torino,
Villa della Regina,
Appartamento
di S.M. la Regina,
“Camera del letto verso
Ponente” (32).
Fondazione Torino Musei,
Archivio Fotografico.
esterno oggi pienamente recuperato nell’accordo tra architettura, pittura, quadrature
architettoniche e decoro dall’esemplare restauro di questo splendido monumento.
Insieme alla fonte ovidiana, mai abbandonata, godono di rinnovata fortuna altri temi:
tratti dalla Storia sacra, a Roma scelti per i
Concorsi Clementini dell’Accademia di San
Luca, governata in consonanza con l’Arcadia, e temi virgiliani, tutti scelti a Torino distintamente per le stanze del Re a rispecchiare e sollecitare le virtù sovrane.
Sono ancora anonime e ancora da rintracciare (qualcuna magari rimasta in Palazzo
Reale, altre coinvolte nei trasferimenti d’arredo da Torino a Roma30) le sovrapporte in78
ventariate nel 1755 nella “Camera del letto
verso Ponente” (la stessa con la volta dipinta
da Giaquinto) dove Storie bibliche che illustravano fatti di grandi protagonisti del
buon governo, come Noè, Giuseppe, Mosè,
erano soggetti allusivi alle doti regie: per gli
stessi motivi temi analoghi verranno richiesti
a Giaquinto per l’arredo della Sala di Conversazione del Palazzo Reale di Aranjuez31.
Sono assai note, invece, e considerate tra le
più esplicite testimonianze della eccellente
qualità pittorica di Giaquinto e della sua
piena adesione alla cultura d’Arcadia, le sovrapporte e sovrafinestre con Storie di Enea,
divise tra il Quirinale e la Villa e ora, temporaneamente, ricongiunte a Torino.
La fortuna settecentesca dell’eroe virgiliano, è
noto, viene avviata in Arcadia con la traduzione ad opera di Bartolomeo Beverini dell’Eneide in “ottava rima Toscana” edita nel 1700 a
Roma dallo stesso tipografo Bernabò che 26
anni più tardi pubblicherà la Didone abbandonata di Metastasio, ovvero l’opera tra le più
rappresentative della cultura arcadica32.
Prima ancora di venire a contatto con la fioritura romana, Giaquinto poteva aver conosciuto la nuova stagione virgiliana già a Napoli dove, fin dal 1699, l’Eneide veniva “trasportata in ottava Rima napoletana” da
Giancola Sitillo, che dedicava l’opera agli
“Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori
Eletti della Nobiltà e Popolo”napoletano33.
Sulla fortuna del tema, insomma, Giaquinto
poteva aver già meditato, per i soggetti e
per il ritmo compositivo che la critica ha
sempre riconosciuto in sintonia con la poetica di Metastasio, seguendone forse l’elaborazione che dalla Didone abbandonata
(1724) si completa nell’Enea nel Lazio di
Porpora, su libretto di Paolo Rolli eseguito
a Londra nel 173434.
Alla corte di Torino il successo di Metastasio
è decretato già dal 1727 quando la Didone
abbandonata viene replicata per ben quattro
volte al Teatro Regio dove, poco dopo, si esibisce anche il cantante Farinello, l’amico che
Giaquinto raffigura nello sfarzoso ritratto
ill.
IX-XIVXV-XVI
realizzato nel 1753 quando ambedue si ritrovano acclamati alla corte di Spagna35. Interrotte per la morte di Vittorio Amedeo II e
per la guerra di successione polacca, a Torino le rappresentazioni della Didone vengono
riprese nel 173636, una data significativa per
confermarne il successo nell’età di Carlo
Emanuele III.
Già riconosciuta da Metastasio come sede
ideale per l’uomo di corte37, Torino negli anni Trenta avviava verso più assestati ordinamenti la vivacità sperimentale che aveva caratterizzato saperi e cultura figurativa rinnovati dopo l’acquisizione del titolo regio.
È probabile che nella veste di Enea si volesse rappresentare Carlo Emanuele III uscito
vittorioso dalla battaglia di Guastalla (1734)
che pose fine alla guerra di successione polacca. Più tardi infatti, proprio per celebrare
il Re e la nuova stagione di pace, Claudio
Francesco Beaumont dipingerà in Palazzo
Reale le Storie di Enea nella volta del Galleria della Regina, detta appunto Galleria del
Beaumont (1738-1743), già trasformata su
progetto di Filippo Juvarra.
Se, come pare verosimile, le Storie di Enea
furono dipinte durante il secondo soggiorno
torinese di Giaquinto, ovvero intorno al
1735, quando il cantiere decorativo della
Villa si avviava a conclusione e quando il pittore poteva con agio avere il tempo di dividere l’impegno tra la Cappella di San Giuseppe in Santa Teresa e le tele predisposte
per il sinuoso telaio sagomato, verosimile è
pure che il responsabile del programma iconografico fosse stato ancora Juvarra38.
Una probabile conferma si trova in una “memoria” di Juvarra per la decorazione interna
del palazzo di Sant’Ildefonso dove uno dei
due progetti alternativi per il decoro della camera da letto prevedeva sovrapporte di Locatelli e quadri, ripartiti tra Costanzi, Giaquinto,
Monti e Van Loo (tutti pittori impegnati a Torino), raffiguranti “L’Istoria o i Fatti d’Enea o
vero la Gerusalemme Liberata del Tasso”. Juvarra, insomma, proponeva a Madrid soggetti
analoghi a quelli scelti a Torino, dove dipinge-
vano, Giaquinto, per Villa della Regina le Sto- C. Giaquinto, Venere
ad Enea,
rie di Enea e Carle Van Loo, nel 1733, per il appare
sovrapporta, 1735 ca.
Gabinetto del Re in Palazzo Reale le undici te- Roma, Palazzo
del Quirinale,
lette con fatti della Gerusalemme Liberata39.
Sala di Ercole,
Le esigenze della cultura di corte e gli esiti già a Villa della Regina,
Appartamento di S.M.,
felici della sperimentazione torinese muove- “Camera del letto
vano le scelte di Juvarra, ma anche di Gia- verso Ponente” (24).
quinto verso la ripetizione variata di soggetti
e composizioni nel passaggio da Torino a
Madrid. Nella pratica dell’autocitazione, del
resto, Giaquinto era maestro: come si vede
nella tela con Venere e Adone, forse progetto
per un arazzo non realizzato (San Lorenzo
dell’Escorial, Casita del Principe40) e nella
Nascita del Sole e Trionfo di Bacco, l’affresco
del Salone delle Colonne nel Palazzo Reale
di Madrid.
La cernita degli episodi virgiliani da rappresentare nelle tele di Villa della Regina sembra
concentrata sulla forza d’amore e indicare virtù, investimento divino e missione dell’eroe.
La collocazione data dall’inventario del
1755 fa vedere un allestimento che inserisce
sulle porte d’ingresso dall’anticamera i temi
ill.
amorosi (Venere appare ad Enea, Enea e Di- IX, XIV
79
Sovrane tappezzerie
Juvarra a Villa della Regina
Nichelino, Stupinigi,
Palazzina di caccia,
Appartamento di Levante,
Gabinetto degli Specchi.
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XVII
ill.
XXI,
XXIV,
XXXIV
Prima della tappezzeria chiné, alla metà del
Settecento, le stanze del Re erano arredate
da un “taffetas alla China” con decoro di alberi di palme e barche su fondo bianco, come registra puntualmente l’inventario del
1755. Trattandosi di un tessuto leggero e
dalla superficie liscia, è legittimo immaginarlo dipinto. La raffinata stoffa rivestiva le
pareti soltanto nella Camera da letto (24),
dove era impiegata anche per le tende delle
finestre, le portiere e il rivestimento del monumentale letto all’imperiale; nelle altre
stanze esposte a Ponente (23 e 25) e nell’Anticamera e Gabinetto di Levante (27 e 28)
essa confezionava soltanto le portiere e il rivestimento delle suppellettili. Per il suo pregio e per meglio suggerire l’apertura dell’ambiente su un paesaggio fantastico, era
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lasciata libera alla vista: la stanza presentava
infatti solo due dipinti, strettamente di soggetto sacro, a fronte degli ottanta disposti
sulle pareti della contigua Anticamera.
Verosimilmente prodotta in Oriente, la tappezzeria doveva risultare di particolare raffinatezza, per l’impiego di una materia prima preziosa come la seta e la luminosità dovuta alla prevalenza dei fondi bianchi, cui si
accompagnavano tocchi di verde nelle passamanerie. Il motivo decorativo, sinteticamente descritto nell’inventario, evoca la tipologia dei paesaggi cinesi, così come ci è
stata tramandata soprattutto attraverso le
carte dipinte, largamente diffuse dalla metà
del XVIII secolo: sinuosi corsi d’acqua sono
solcati da imbarcazioni in giunco e sotto gli
alberi, o all’interno di padiglioni, i personaggi sono assorti in tranquille, quotidiane
occupazioni. Il riferimento tipologico più
immediato, anche per la provenienza dal
Palazzo Reale di Torino, è la serie di pannelli cinesi in seta dipinta oggi conservati a Roma presso il Palazzo del Quirinale e attribuiti da Lucia Caterina, che ne ripercorre le
vicende storiche piuttosto complesse, a manifattura cinese della metà del XVIII secolo11.
Le ventitre tele, oggi divise tra gli Appartamenti Imperiali e il Salone della Palazzina,
provengono da Torino ma, tra il 1891 e il
1919, arredavano gli appartamenti dell’imperatore e dell’imperatrice di Germania nella Villa Reale di Monza. Raffigurano scene
di vita cinese, inserite in un paesaggio con
picchi montuosi sullo sfondo e corsi d’acqua solcati da leggere imbarcazioni; il disegno è molto preciso e tra i colori vivaci domina il verde, insieme all’azzurro e al marrone.
La tentazione di identificare questi pannelli
con le sete perdute dell’Appartamento del
Re è forte, per la rispondenza delle misure
(m. 4 x 0.80) e della tipologia di tessuto, del
decoro e dei colori, ma lo stato attuale degli
studi permette soltanto di avanzare un’affascinante ipotesi.
ill.
XXVI
ill.
XXV
Come un’ampia letteratura spiega, dal fondamentale saggio di Hugh Honour in poi12,
questi prodotti orientali importati in Europa
attraverso le Compagnie delle Indie -tessuti,
lacche, porcellane- vengono in breve tempo
imitati per rispondere, con misure protezionistiche, alle crescenti richieste del mercato13. Si formano figure di pittori specializzati
nel genere esotico e circolano veri e propri
repertori figurativi, talvolta difficilmente distinguibili dagli originali: una particolare similitudine è emersa ad esempio, nel corso di
questo studio, fra i teli conservati al Quirinale e alcuni disegni dal Livre de desseins chinois di Jean-Antoine Fraisse, del 173514.
Nell’Appartamento della Regina, sempre in
base all’inventario del 1755, le stoffe esotiche impiegate nell’arredamento presentavano il secondo decoro tipicamente orientale,
quello con ramages, fiori e uccelli su fondo
chiaro, bianco o giallo. I cosiddetti “pechini”, termine equivalente del francese péquins e del tedesco pekingtapeten (o pekin),
sono prodotti in Oriente per l’esportazione,
spesso su disegni forniti dagli stessi committenti europei e già nel XVII secolo approdano sui mercati inglesi e francesi attraverso le Compagnie delle Indie, come evoca
l’affresco di Tiepolo a Villa Valmarana.
Quelli di migliore qualità arrivano dalla Cina, da Canton in particolare e dalla costa
indiana del Coromandel; in base alle dimensioni più o meno grandi del decoro sono impiegati nell’arredo estivo di eleganti
ambienti privati o nell’abbigliamento. Sulle
superfici lisce di taffetas o raso il disegno è
eseguito solitamente con una tecnica mista,
cioè con l’esecuzione a stampa, o con l’uso
di mascherine, dei profili del disegno, successivamente dipinto a mano. Nei teli destinati alle pareti il modulo decorativo può essere anche molto grande, a volte quanto
l’intero telo, per suggerire l’impressione di
naturalezza e libertà esecutiva.
In Europa, la domanda crescente e le elevate tasse per l’importazione stimolano la
produzione autoctona di pechini a imitazione di quelli cinesi, decorati con repertori
ispirati ad un Oriente fantastico, comuni
anche alle carte dipinte e alle porcellane.
L’impiego di queste stoffe in un interno arredato “alla China”, con porcellane cinesi,
tappeto turco e trompe-l’oeil con stipo laccato e singeries , è reso efficacemente nel dipinto di Olof Fridsberg (1728-1795) La contessa
Ulla Tessin nel suo studio di Åkerö, conservato nel Nationalmuseum di Stoccolma. Qui il
tessuto dipinto a piccoli fiori e volatili confeziona un “mobile” completo, come indicano
le tende riflesse nelle ante della libreria-scrittoio15, ed è simile ai frammenti di tessuto della stessa tipologia conservati ad esempio a
Lione e a Modena.
Nell’Appartamento della Regina le sete dipinte si trovavano originariamente in quasi
tutte le stanze, sotto forma di portiere o sedute delle numerose suppellettili, ma rivestivano le pareti, com’era peraltro consuetudine, solo nella Camera da letto (32) e nel
contiguo “Gabinetto verso mezzo giorno e
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Manifattura cinese,
Tappezzeria in seta
dipinta con barche
e figure cinesi,
dinastia Qing, metà
del XVIII secolo.
Roma, Palazzo
del Quirinale,
primo Appartamento
Imperiale, Salottino da tè.
ill.
XXIX,
XXVIIXXVIII
G. Tiepolo, Il mercante
cinese di stoffe,
particolare. Vicenza, Villa
Valmarana, Foresteria.