Scienza e Tecnologia dei Materiali (Ing. CIVILE) Docente: Prof. Laura Montanaro Appendice 1) Il comportamento al fuoco dei materiali Un materiale, in vicinanza o a contatto con una fiamma, può: - bruciare (il legno, le materie plastiche); - può modificare la sua composizione chimica senza bruciare (i marmi, i leganti aerei ed idraulici, i cementi quando si siano preventivamente idratati); - può modificare in modo più o meno importante le sue dimensioni (gli acciai, i laterizi). I materiali che bruciano sono detti combustibili, gli altri sono denominati incombustibili. Non si sta a sottolineare l’importanza di conoscere il comportamento al fuoco dei materiali e, nel caso che questi siano combustibili, di conoscere le conseguenze della loro combustione. Si ricorda comunque che, per ovvie ragioni di sicurezza, specialmente per quanto attiene i locali pubblici, è importante stabilire se un materiale è incombustibile o meno e, se è combustibile, quali sono le conseguenze della sua combustione. In Italia, inoltre, gli edifici a carattere pubblico debbono essere sottoposti ad uno specifico collaudo, effettuato dai Vigili del fuoco. Per affrontare in modo esaustivo questo argomento, iniziamo a ricordare cosa si intende per combustione. 1.1. La combustione Si indicano con il nome di combustibili tutte le sostanze che, in opportune condizioni, sono capaci di combinarsi con un comburente. Le reazioni di combustione sono quindi processi esotermici e di ossidazione, nel corso dei quali il combustibile agisce da sostanza ossidabile ed il comburente (in genere, l’ossigeno dell’aria) da sostanza ossidante. L’esotermicità della combustione fa sì che elevate siano le temperature raggiunte dalle specie reagenti in quanto i fenomeni di trasferimento del calore (conduzione, convezione ed irraggiamento) non sono in grado di disperdere così efficacemente l’elevata quantità di energia termica rilasciata. La conduzione termica può avvenire per trasferimento di energia nel materiale, attraverso il moto elettronico oppure per trasferimento di fononi, tramite vibrazioni reticolari. Il trasferimento per irraggiamento si manifesta attraverso l’emissione, da parte del corpo caldo, di radiazioni a lunghezza d’onda caratteristica (UV, visibile, IR). Il trasferimento per convezione è il trasferimento di calore da parte di un fluido, in genere un gas, che, a causa del riscaldamento varia di densità e quindi migra. Condizione necessaria alla combustione è che combustibile e comburente siano presenti nelle proporzioni corrette ed a una opportuna temperatura per divenire sorgenti di accensione (o ignizione). Per temperatura di accensione od ignizione si intende la temperatura minima alla quale si deve trovare la miscela combustibile-comburente affinché inizi la reazione di combustione. Generalmente un preriscaldamento del combustibile è necessario all’innesco di fiamma: si formano così specie volatili che possono avere parte attiva nella combustione (come si vedrà nel caso dei materiali polimerici). Un processo di combustione può essere schematizzato come segue: Combustibile + Comburente Æ Prodotti di combustione Un semplice esempio di combustione è quello che coinvolge il gas metano: CH4 + 2 O2 Æ CO2 + 2 H2O 1 Scienza e Tecnologia dei Materiali (Ing. CIVILE) Docente: Prof. Laura Montanaro La maggior parte dei processi reali di combustione avviene in aria (miscela gassosa costituita essenzialmente dal 21% in volume di ossigeno e dal 79% in volume di azoto, ovverosia nell’aria esiste un rapporto molare di 1 mole di O2 per ogni 3,8 moli di N2). Pertanto, la reazione precedente potrebbe essere integrata come segue: CH4 + 2 O2 + 7,6 N2Æ CO2 + 2 H2O+ 7,6 N2 L’azoto è pertanto un diluente del comburente ossigeno, non partecipa cioè alla reazione di combustione, ma partecipa a dissipare, riscaldandosi, parte dell’energia termica prodotta dalla combustione. La combustione può avvenire in presenza della quantità di ossigeno stechiometricamente necessaria a pervenire ad una combustione completa del combustibile: si definisce la combustione completa come quel fenomeno di combustione nel corso del quale tutto il carbonio, presente in qualunque forma nel combustibile, si trasforma in anidride carbonica (CO2), tutto l’idrogeno in acqua (H2O), tutto lo zolfo combustibile in anidride solforosa (SO2), tutto l’azoto in azoto molecolare (N2). Sulla base della combustione completa si può valutare il cosiddetto potere calorifico del combustibile, inteso come la quantità di calore sviluppata nel corso della combustione completa dell’unità di massa, nel caso dei combustibili solidi (alcuni materiali, ad esempio) e dei liquidi (espresso in kJ/kg), e dell’unità di volume valutata in condizioni normali (0°C, 1 atm), nel caso dei combustibili gassosi (espresso in kJ/Nm3). Sovente la combustione può avvenire in eccesso di ossigeno, che può favorire l’alimentazione di fiamma, portare alla formazione di nuovi prodotti di combustione (formazione di ossidi di azoto, NOx), agire anch’esso come diluente, assorbendo parte del calore di combustione. Si può anche manifestare combustione in difetto di comburente: questo può da un lato portare ad un più facile spegnimento della fiamma, ma può anche condurre alla formazione di nuovi prodotti di combustione particolarmente pericolosi. Si consideri l’esempio prima riportato della combustione del metano; in difetto di ossigeno si forma il prodotto monossido di carbonio CO, che ha effetti anche mortali per inalazione: CH4 + 3/2 O2 Æ CO + 2 H2O Occorre pertanto, di volta in volta, considerare il sistema in combustione, per poterne prevedere le conseguenze di maggior pericolosità. A seconda delle condizioni di combustione e dei materiali combusti, infatti, possono essere individuate nell’atmosfera dell’incendio molte nuove specie gassose e tossiche, che comunemente vengono suddivise nelle due categorie seguenti: a) i gas narcotici (quali CO – monossido di carbonio, HCN – acido cianidrico, Benzene, Acetone,…), che inducono riduzione delle funzioni motorie e delle capacità di reazione, perdita di conoscenza fino alla morte, in quanto agiscono sul sistema nervoso e cardio-vascolare; b) i gas irritanti (quale HCl), che offendono gli occhi e le prime vie respiratorie, fino ad indurre danni polmonari gravi ed anche la morte. La reazione al fuoco dei materiali deve essere certificata secondo le procedure previste nel D.M. 26 giugno 1984. 1. 2. Prove di combustibilità dei materiali Per valutare se un materiale è incombustibile si esegue la prova d’incombustibilità secondo la norma internazionale EN ISO 1182, che consente di stabilire se un materiale 2 Scienza e Tecnologia dei Materiali (Ing. CIVILE) Docente: Prof. Laura Montanaro contribuisce direttamente od indirettamente all’incendio. L’apparecchio di misura consiste di un forno elettrico con velocità di salita in temperatura programmabile, entro il quale si posiziona il campione, e di tre termocoppie, quella del forno, quella posta sulla superficie del campione, quella posta dentro il campione (Figura 1.1). Figura 1.1. Apparecchio per la prova d’incombustibilità Si riscalda il forno e, durante il riscaldamento, si verifica se le tre termocoppie segnalano la stessa temperatura; se ciò avviene significa che né sulla superficie del provino né al suo interno sono avvenute reazioni di combustione: il materiale è quindi giudicato incombustibile. In caso contrario, il materiale è giudicato combustibile. Per valutare il grado di pericolosità di un materiale combustibile, in Italia sono stati normati tre metodi: la prova di reazione al fuoco (CSE RF 1/75, ora recepita dalla UNI 8456) dei materiali sospesi (i quali possono essere investiti dal fuoco su entrambe le facce) e quella dei materiali che possono essere investiti dal fuoco su una sola faccia (CSE RF 2/75, ora recepita dalla UNI 8457), nonché la prova di reazione al fuoco dei materiali sottoposti all’azione di una fiamma d’innesco in presenza di calore radiante (pannello radiante) (CSE RF 3/77, ora recepita dalla UNI 9174). Le prime due sono prove volte alla caratterizzazione del materiale nella fase di innesco dell’incendio, la terza invece è volta a caratterizzarne il comportamento in fase di incendio in propagazione. Il metodo CSE RF 1/75, reazione al fuoco di materiali sospesi e suscettibili di essere investiti dalla fiamma su entrambe le facce (ad esempio, i tendaggi), serve a determinare il tempo di post-combustione, il tempo di incandescenza, l’area danneggiata ed il gocciolamento di un provino del materiale, sottoposto all’azione di una piccola fiamma applicata al suo bordo inferiore. Il metodo fornisce un’indicazione sulla reazione al fuoco del materiale nella fase iniziale dell’incendio, sotto l’azione di una sorgente di ignizione di limitata intensità. Il provino è sospeso verticalmente nella camera di combustione mediante una cornice metallica a forma di U rovesciata. Essa è quindi esposta ad una fiamma definita che investe il suo bordo inferiore per 12 secondi. Il metodo CSE RF 2/75 è la cosiddetta reazione al fuoco dei materiali che possono essere investiti da una piccola fiamma da una sola faccia (ad esempio materiali da rivestimento, a parete, soffitto, pavimento, serramenti,..) e serve anch’esso a determinare il tempo di post-combustione, il tempo di incandescenza, l’area danneggiata ed il gocciolamento di un provino del materiale, sottoposto all’azione di una piccola fiamma applicata su un’unica faccia e si riferisce come prima alla fase iniziale dell’incendio. Il provino è sospeso verticalmente nella camera di combustione entro una cornice a forma di U rovesciata. Essa 3 Scienza e Tecnologia dei Materiali (Ing. CIVILE) Docente: Prof. Laura Montanaro viene esposta ad una fiamma definita che investe un punto della sua superficie, 4 cm sopra il centro del suo bordo inferiore, per 30 secondi. Per avere un’indicazione della reazione al fuoco del materiale in una fase dell’incendio successiva a quella di innesco si applica il metodo CSE RF 3/77, la cosiddetta reazione al fuoco dei materiali sottoposti all’azione di una fiamma di innesco in presenza di calore radiante. Il metodo consiste nel sistemare il provino in una delle tre posizioni previste (parete, pavimento o soffitto) in funzione dell’utilizzazione. Il provino è esposto ad una radiazione termica di 6,2 W/cm2, prodotta da un pannello radiante. L’innesco avviene per mezzo di una piccola fiamma che agisce a 2 cm dal bordo del provino più vicino al pannello radiante. I livelli di pericolosità attribuiti ai singoli parametri (tempo di post-combustione, tempo di incandescenza,…) nelle varie prove vengono moltiplicati per i cosiddetti fattori moltiplicativi di livello (più elevati quanto più è pericoloso il parametro correlato). I risultati vengono sommati e dal valore numerico complessivo si definisce la categoria del materiale per quella specifica prova (Tabella 1.7). Dai numeri di categoria, combinando tra di loro le risposte a vari tipi di prova (ad esempio alle prove CSE RF1 e CSE RF3), seguendo delle condizioni riportate in Tabella 1.8, si definisce la classe di comportamento al fuoco di quello specifico materiale. La classe 0 identifica materiali non combustibili, la classe 1 i cosiddetti non infiammabili, le classi da 2 a 5 i materiali infiammabili. Un’altra prova è volta alla determinazione dell’opacità dei fumi (ASTM – D 284370), una delle cause primarie di panico nelle persone coinvolte in un incendio. E’ principalmente applicato alle materie plastiche. Il metodo consiste nel misurare l’ammontare relativo di fumo, prodotto dalla combustione e decomposizione del materiale in condizioni standard. La misura è fatta relativamente alla perdita di luce trasmessa attraverso un volume di fumo prodotto in condizioni controllate. Il provino è esposto ad una fiamma di gas propano, per tutta la durata della prova (4 minuti), all’interno di una camera standard, chiusa da ogni lato, salvo 4 piccoli fori alla base, necessari per garantire lo sviluppo e l’innalzamento dei fumi. Si possono costruire grafici che riportano la percentuale di luce assorbita o trasmessa in funzione del tempo di combustione. Si può valutare anche la quantità massima di fumi prodotti e la loro densità. 1.3. Effetti dell’incendio sui materiali da costruzione Per il calcestruzzo (cls), si approfondirà più avanti il suo degrado a seguito di incendio. Si inizia qui ad anticipare che, pur essendo il cls un materiale incombustibile, gli effetti dell’incendio su di esso sono molteplici e si possono distinguere in: a. effetti sulla pasta cementizia b. effetti sugli aggregati c. effetti complessivi sul cls. La pasta di cemento si disidrata progressivamente: tale disidratazione porta alla perdita progressiva delle capacità leganti del materiale. Gli aggregati silicei (quarziti) presentano brusche variazioni dimensionali, legate alle transizioni allotropiche (trasformazioni di fase) della silice; gli aggregati calcarei si decompongono termicamente, con perdita anche pronunciata delle resistenze meccaniche. Sul cls, nel complesso, si verificano una serie di variazioni dimensionali, per sovrapposizione agli effetti sopra ricordati, nonché una perdita anche sensibile di resistenza (la resistenza meccanica si riduce progressivamente finché a circa 800°C diviene il 10-25% di quella iniziale). 4 Scienza e Tecnologia dei Materiali (Ing. CIVILE) Docente: Prof. Laura Montanaro Tabella 1.1 – Classificazione di alcuni materiali secondo i metodi CSE RF2 e CSE RF3 5 Scienza e Tecnologia dei Materiali (Ing. CIVILE) Docente: Prof. Laura Montanaro Tabella 1.2 - Classificazione dei materiali da costruzione in base ai metodi di prova CSE-RF1, CSE-RF2, CSE-RF3 La vaporizzazione dell’acqua presente nelle porosità del cls porta allo sviluppo di pressioni interne capaci di causare i cosiddetti scoppi del cls, con espulsione di scaglie; tale fenomeno è tanto più significativo quanto minore è la permeabilità del cls e quanto maggiore è la velocità di riscaldamento. Nel caso di cls armato, anche l’acciaio non è combustibile, pur tuttavia al crescere della temperature, manifestandosi fenomeni di scorrimento viscoso sull’acciaio dell’armatura, il suo limite elastico diminuisce progressivamente. A 500°C la riduzione è pari a circa il 40% della resistenza a temperatura ambiente. Altri danni vengono causati dalla dilatazione termica differenziale tra armatura e cls, che può indurre perdita di aderenza; il copriferro, con il suo spessore, può garantire un certo isolamento all’armatura sottostante. Un altro problema strutturale può manifestarsi in fase di spegnimento dell’incendio: l’idrossido di calcio presente nella pasta di cemento indurita per effetto del calore può disidratarsi ad ossido di calcio. In presenza dell’acqua apportata per lo spegnimento la calce viva si spegne, dando nuovamente vita ad idrossido di calcio. Tale reazione è però fortemente espansiva e può indurre nuovi tensionamenti nella struttura già danneggiata. Il legno è invece un materiale combustibile che brucia a velocità quasi costante con temperature di ignizione che variano, secondo il tipo di legno, tra 275 e 300°C circa. Il gesso non è combustibile ed è un ottimo materiale per la protezione al fuoco in quanto, esposto alla fiamma, rilascia gradualmente l’acqua ad esso chimicamente legata (CaSO4.2H2O) e tale evaporazione consuma significative quantità di calore. La temperatura della superficie in gesso esposta si mantiene pertanto pressoché costante per un periodo di tempo che è funzione dello spessore dell’elemento in gesso. Talora gli intonaci a base gesso applicati per migliorare la resistenza al fuoco contengono fibre di vetro che ne migliorano l’adesione e la coesione. Le materie plastiche sono combustibili e nel comportamento al fuoco possiamo chiaramente distinguere il comportamento dei materiali termoplastici (TP) da quello dei 6 Scienza e Tecnologia dei Materiali (Ing. CIVILE) Docente: Prof. Laura Montanaro termoindurenti (TI). I TP rammolliscono e fondono per effetto del calore, dando vita a gocciolamento; i TI tendono invece a carbonizzarsi ed a prevenire l’ignizione. Il primo stadio della combustione di un polimero è la degradazione termica che si traduce nello svolgimento di gas (in genere idrocarburi) infiammabili. La combustione di tali gas si traduce in uno sviluppo di calore in parte assorbito dal polimero. Il fenomeno tende così ad auto-sostenersi. Ovviamente è importante la natura chimica dei prodotti di degradazione. Certi gas (idrocarburi alifatici derivanti da poliolefine) bruciano con elevata esotermia. Altri gas (come quelli provenienti dalla degradazione del PVC e dei polimeri fluorurati) sono incombustibili e possono pure giocare un ruolo da inibitori della combustione della materia plastica. In Tabella 1.9 sono riportate le temperature di accensione, in presenza di una fiamma di innesco o per autocombustione, di alcuni materiali plastici. In Tabella 1.10 sono invece riportati alcuni calori di combustione. Tabella 1.3 Temperature di ignizione di alcuni polimeri Materiale Polimetilmetacrilato (PMMA) Polietilene (PE) Polistirene (PS) Polivinilcloruro (PVC) T ignizione flash (°C) T autocombustione (°C) 280-300 450-460 340-355 350 345-360 485-495 390 455 Tabella 1.4 Calori di combustione di alcuni polimeri Materiale Calore di combustione (kJ/kg) 46500 46000 42000 20000 26000 Polietilene (PE) Polipropilene (PP) Polistirene (PS) Polivinilcloruro (PVC) Polimetilmetacrilato (PMMA) I materiali polimerici si classificano infiammabili (o combustibili) ed autoestinguenti sulla base della loro indice limite di ossigeno, il tasso limite di ossigeno (riferito ad una miscela azoto + ossigeno, e quindi con riferimento all’aria) al di sotto del quale la combustione non si propaga nel materiale. Dal momento che il tasso di ossigeno nell’aria è del 21% in volume, cioè 0,21, i polimeri che presentano un indice limite inferiore a 0,21 sono detti combustibili od infiammabili, quelli con indice superiore a 0,21 sono detti autoestinguenti, in quanto la loro combustione non si può propagare in aria, a meno di un apporto esterno di ossigeno. L’indice limite (Tabella 1.5) dipende dalla natura chimica e dalla struttura del polimero. Tabella 1.5 Indici limite di ossigeno per alcuni materiali polimerici Materiale Polietilene (PE) Polipropilene (PP) Polistirene (PS) Polimetilmetacrilano (PMMA) Indice 0,17 0,17 0,18 0,17 Materiale Polivinilcloruro (PVC) Politetrafluoroetilene (PTFE) Policarbonato (PC) 7 Indice 0,45 0,95 0,27 Scienza e Tecnologia dei Materiali (Ing. CIVILE) Docente: Prof. Laura Montanaro 1.4. La più recente Normativa italiana ed europea per la “sicurezza al fuoco” Anche a livello europeo la filosofia della prevenzione incendi ha conosciuto negli ultimi anni una notevole evoluzione, attraverso la consapevolezza che è la buona progettazione il fondamentale requisito di sicurezza degli edifici. Ad esempio, l’incendio di un albergo è un evento molto temuto, tanto da essere già stato oggetto di una direttiva europea (22 Dicembre 1986). La progettazione non comporta soltanto, come spesso si ritiene erroneamente, il dimensionamento delle strutture, delle protezioni, delle scale, delle vie di fuga e delle aperture, degli impianti anti-incendio, ma anche una scelta attenta dei materiali di finitura. Sono proprio questi materiali, infatti, che più direttamente riguardano l’innesco e le prime fasi d’incendio e la cui scelta per gli edifici soggetti a prevenzione incendi (come gli alberghi, appunto) non può essere lasciata al caso. La scelta di questi materiali anzi deve riguardare la progettazione stessa. Tale concetto è chiaramente richiamato dal D.M. 9 Aprile 1994 “Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la costruzione e l’esercizio delle attività ricettive turisticoalberghiere”. In tale norma non solo si fa riferimento alla “resistenza al fuoco” delle strutture, ma per tutti i materiali installati vengono definite precise caratteristiche di reazione al fuoco in relazione al tipo di materiale ed al suo impiego, come ad esempio elencato nel seguito: • atri, corridoi, scale: impiego consentito per materiali di classe 1 per il 50% della superficie; di classe 0 per il restante 50%; • altri ambienti: al massimo, pavimentazioni di classe 2 e rivestimenti di classe 1 (può salire a 2 se sono presenti impianti di spegnimento); • imbottitti, di classe 1; • controsoffitti e materiali isolanti, di classe 1; • pavimenti lignei, di classe 1; • riempimenti di intercapedini, di classe 0. La reazione al fuoco deve essere certificata secondo le procedure previste dal D.M. 26 giugno 1984 ed i materiali debbono essere omologati, attraverso l’esecuzione delle prove normalizzate previste da parte di un laboratorio autorizzato dal Ministero dell’Interno. Ricordiamo per inciso che, se scoppia un incendio, ciascuno viene chiamato a rispondere per le sue responsabilità e queste riguardano: o l’esercente che deve aver eseguito correttamente la manutenzione dei locali; o il progettista che deve aver rispettato le norme non dimenticando di prescrivere accuratamente i materiali da impiegare e le modalità di posa; o il costruttore o l’applicatore, che deve dimostrare di aver effettivamente impiegato i materiali prescritti attraverso bolle di consegna; o il direttore dei lavori, che deve dimostrare di avere svolto una effettiva sorveglianza in cantiere, anche sui materiali impiegati e sulle modalità di posa che possono comprometterne l’efficacia; o il produttore sul cui prodotto può venire svolto un controllo di conformità per verificarne l’attestazione dal momento che una campionatura sigillata deve essere custodita dal laboratorio d’analisi ufficiale; o l’ente di sorveglianza a cui è affidato l’onere della prevenzione. Segnaliamo ancora che il D.P.R. 12 Gennaio 1998 e le successive circolari esplicative affidano alla figura del professionista maggiori e più precise responsabilità rispetto al passato. Tale scelta dà maggiore centralità al progetto e maggiore possibilità di intervento alla direzione dei lavori nel contestare lavori mal fatti o capitolati non rispettati (si veda il caso dei materiali definiti “equivalenti”, ma che nella realtà non lo sono!). Le Norme nazionali vedranno ben presto, però, una notevole evoluzione. Fino ad oggi la certificazione, infatti, era legata a norme completamente diverse nei vari paesi dell’Unione 8 Scienza e Tecnologia dei Materiali (Ing. CIVILE) Docente: Prof. Laura Montanaro Europea, comportando conseguentemente un faticoso e costoso lavoro di certificazione presso ciascun Ente di ogni Paese di appartenenza. La Comunità Europea ha pertanto creato una Commissione europea per l’attuazione della direttiva dei prodotti della costruzione (Direttiva 89/106), che ha emanato recentemente due importanti decisioni che riguardano rispettivamente la resistenza al fuoco degli elementi strutturali e la classificazione della reazione al fuoco dei materiali da costruzione. Quest’ultima norma è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee 2000/147 CE e comprende una nuova classificazione (Tabella 1.6), che si basa su metodi di prova unificati, tra i quali il cosiddetto “Single burning item” (SBI), che riscuote ancora molti giudizi discordi e perplessità. Tabella 1.6 Classi di reazione all’azione dell’incendio per materiali da costruzione ad eccezione dei pavimenti (G.U. Comunità Europee 2000/147/CE) Classe Metodo di prova Criterio di classificazione A1 EN ISO 1182 (non combustibilità) Aumento T ≤ 30°C Perdita di massa ≤ 50% Durata incendio = 0 (non persistente) Potere calorifico ≤ 2,0 MJ kg-1 o ≤1,4 MJ m-2 Aumento T ≤ 50°C Perdita di massa ≤ 50% Durata incendio = 20 secondi Potere calorifico ≤ 3,0 MJ kg-1 o ≤4,0MJ m-2 Tasso di incremento di incendio ≤ 120 W s-1 Propagazione laterale del fuoco < margine del campione Rilascio totale di calore dopo 600 s ≤ 7,5 MJ Tasso di incremento di incendio ≤ 120 W s-1 Propagazione laterale del fuoco < margine del campione Rilascio totale di calore dopo 600 s ≤ 7,5 MJ Propagazione del fuoco ≤ 150 mm entro 60 secondi A2 EN ISO 1716 (potere calorifico) EN ISO 1182 (non combustibilità) EN ISO 1716 (potere calorifico) EN 13823 (SBI) B C D E F EN 13823 (SBI) EN ISO 11925-2 (esposizione a piccola fiamma per 30 s) EN 13823 (SBI) EN ISO 11925-2 (esposizione a piccola fiamma per 30 s) EN 13823 (SBI) EN ISO 11925-2 (esposizione a piccola EN ISO 11925-2 (esposizione a piccola Tasso di incremento di incendio ≤ 250 W s-1 Propagazione laterale del fuoco < margine del campione Rilascio totale di calore dopo 600 s ≤ 15 MJ Propagazione del fuoco ≤ 150 mm entro 60 secondi Tasso di incremento di incendio ≤ 750 W s-1 Propagazione del fuoco ≤ 150 mm entro 60 secondi Propagazione del fuoco ≤ 150 mm entro 60 secondi Reazione non determinata Classificazione aggiuntiva -- --- -Produzione di fumo e gocce / particelle ardenti Produzione di fumo e gocce / particelle ardenti Produzione di fumo e gocce / particelle ardenti Produzione di fumo e gocce / particelle ardenti Gocce / particelle ardenti Tale metodo (PR EN 13823) dovrebbe prevedere la valutazione della quantità di calore emesso dal provino, della velocità di sviluppo del calore, della quantità di fumo emessa, della velocità di rilascio e del gocciolamento. Comunque, nella normativa europea, saranno anche previste altre metodologie di prova complementari,nonché procedure diverse 9 Scienza e Tecnologia dei Materiali (Ing. CIVILE) Docente: Prof. Laura Montanaro per settori merceologici o applicazioni specifiche, come ad esempio i materiali per pavimenti, le coperture, gli isolanti per tubazioni, ecc. Per l’Italia questi metodi proposti dalla Comunità Europea dovranno essere recepiti anche come Norme nazionali, portando all’abrogazione delle precedenti (le UNI sopra citate, che a loro volta avevano recepito ed integrato le CSE RF 1, 2 e3) ed alla loro sostituzione anche nei decreti di prevenzione incendi per le diverse attività soggette (Tabella 1.7) . Tabella 1.7 Attività soggette a prevenzione incendi: decreti che fissano le caratteristiche di reazione al fuoco dei materiali Impianti sportivi Alberghi Scuole Biblioteche Pubblico spettacolo Abitazioni Metropolitane Musei D.M. 18.3.1996 D.M. 9.4.1994 D.M. 26.8.1992 D.M. 30.6.1995 D.M. 19.8.1996 D.M. 16.5.1987 D.M. 11.1.1988 D.M. 20.5.1992 Il Ministero dell’Interno italiano, pertanto, dovrà modificare questi decreti attualmente in vigore, inserendo le nuove classi: ad esempio, accadrà che i materiali attualmente di classe 1 finiscano in futuro in classe D o F. 10
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