Poliuretani

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accumulo di Liquidi caldi e refrigerati.
Termoformatura. Fustellatura.
Trasformazione e stampaggio materiali plastici espansi.
Trasformazione e stampaggio poliuretani tecnici.
POLIURETANI
1. DEFINIZIONE DI POLIURETANO
Il poliuretano è un materiale plastico che contiene nella sua catena polimerica unità ripetitive
costituite da gruppi chiamati “uretanici”.
1.1 CENNI STORICI
La reazione che dà luogo al legame uretanico è nota dal secolo XIX, ma solo verso la fine degli anni
30, quasi per una curiosità di laboratorio si scoprì la sua potenziale applicazione in campo
industriale.
Il merito della scoperta è attribuito a Otto Bayer e come per tutte le scoperte destinate al
successo, faticosa fu la strada per la realizzazione in sede industriale dei primi polimeri
poliuretanici.
Alla fine della seconda guerra mondiale comparvero i primi granuli elastomerici e i primi adesivi.
Bisogna aspettare fino alla metà degli anni 50 per vedere i primi espansi flessibili realizzati con
apposite macchine “schiumatrici” impiegando polioli poliestere con TDI (toluendiisocianato). Solo
alla fine degli anni 50 comparvero le prime schiume rigide a base di MDI polimerico (4,4’
difenilmetan diisocianato e suoi omologhi superiori).
Quasi contemporaneamente si introdusse l’impiego dei clorofluorocarburi (CFC) come agenti
espandenti. La scelta, a quei tempi ottimale per la versatilità dei CFC dal punto di vista economico,
prestazionale e tossicologico, nascondeva una insidia che solo alla fine degli anni ‘80 è stata
compresa nella sua potenzialità di contributo alla distruzione della fascia di ozono stratosferico
che ci protegge dai raggi ultravioletti. Da allora è nata la sigla ODP ed è stato assegnato il valore
massimo = 1 al più noto e usato membro della famiglia: il Freon 11. L’impiego come espandente
per gli espansi poliuretanici rappresentava solo una piccola parte del consumo mondiale nel
settore della solvenza e dei propellenti per le bombolette spray per citarne solo alcuni dei più noti.
Il buco nell’ozono è diventata così una preoccupazione del mondo scientifico e gli operatori del
settore poliuretano hanno dedicato studi e risorse per eliminare i CFC senza peggiorare
irreparabilmente le prestazioni degli espansi da essi derivati. La ricerca è stata lunga ed ha
occupato tutto il decennio di fine secolo.
Oggi si può affermare che è stato raggiunto un buon compromesso tra prestazioni ed impatto
ambientale: i CFC non vengono più utilizzati e anche i loro sostituti, gli HCFC, stanno per essere
definitivamente abbandonati per evitare anche quel piccolo impatto ambientale (il 5% rispetto ai
CFC) che ancora li caratterizza.
La reazione di espansione per via chimica, affidata alla CO2, che si libera per reazione chimica tra
isocianati e acqua od acidi organici, è stata maggiormente utilizzata.
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Nei casi in cui è necessario un abbinamento con espansione di natura fisica si ricorre agli HFA, agli
idrocarburi alifatici con punto di ebollizione adatto e CO2 liquida (che in alcuni settori è già una
realtà consolidata), o come prodotto di decomposizione di particolari composti instabili
nell’intervallo di temperatura creato dalla esotermia della reazione.
In tutti questi casi gli espandenti hanno un ODP = 0.
1.2 NATURA DEI POLIURETANI
Con la parola poliuretano si definisce normalmente una famiglia di materie plastiche molto
eterogenea.
Si spazia dai termoplastici, agli spalmati, alle finte pelli, alle vernici ed agli espansi.
In questa sede ci occuperemo principalmente degli espansi cominciando a definire che cosa
intendiamo per “espanso”.
“Un espanso è un materiale che presenta una struttura cellulare ovvero dove la fase solida,
generalmente chiamata matrice polimerica, costituisce le pareti di un insieme più o meno ordinato
di celle. Queste ultime possono essere chiuse o aperte e contengono una fase gassosa di varia
composizione.”
Gli espansi poliuretanici si presentano sotto le più svariate applicazioni e fanno parte della nostra
vita quotidiana.
Si passa da materiali estremamente morbidi e confortevoli come le imbottiture dei divani, a
materiali strutturali come i paraurti delle nostre auto, a manufatti in cosiddetto finto legno e
sempre più spesso camminiamo, lavoriamo e pratichiamo sport utilizzando calzature le cui suole
sono costituite da elastomeri poliuretanici microcellulari.
Tra questi esempi estremi ci sono infinite variazioni nelle caratteristiche di morbidezza, elasticità,
resistenza meccanica, densità, durezza superficiale.
Tutti i poliuretani espansi sono il prodotto di reazione tra due o più componenti liquidi che,
opportunamente miscelati tra loro, danno origine, in un tempo relativamente breve, al prodotto
finito.
Cercheremo di seguito di illustrare in modo molto schematico
 Cosa sono e come si chiamano questi componenti,
 I meccanismi generali che regolano le loro reazioni,
 Le tecnologie di trasformazione
E infine
 Le caratteristiche peculiari che contraddistinguono il prodotto finito.
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1.3 TIPOLOGIE DI POLIMERI POLIURETANICI
La vasta gamma di materie prime a disposizione è la ragione per la quale, come già detto in
apertura, la famiglia dei poliuretani abbraccia una grande varietà di settori merceologici.
Possiamo cercare di raggrupparli in quattro grandi gruppi:
Poliuretani elastomeri: natura termoplastica o termoindurenti con caratteristiche di elasticità
tipiche degli elastomeri derivati da diisocianati aromatici. Assume un ruolo storico il naftilen 1,5
diisocianato per la preparazione del “Vulkollan” legato agli albori della nascita del poliuretano ed
al nome di Otto Bayer.
Poliuretani termoplastici: struttura lineare derivante dai diisocianati della serie alifatica. Grande
importanza riveste al riguardo l’esametilendiisocianato nella sua reazione di addizionarsi ai dioli.
La scelta di questi ultimi determina l’ottenimento di termoplastici ad alto peso molecolare e con
caratteristiche diverse.
Poliuretani in dispersione: idonei alla spalmatura su tessuti o supporti di altra natura. Essi
solitamente sono costituiti da soluzioni o dispersioni di poliesteri preaddotti con diisocianati
aromatici. I preaddotti, sono suscettibili, per i gruppi NCO liberi, di reagire successivamente in fase
di trattamento definitivo.
Poliuretani espansi: derivati da diisocianati aromatici e da polioli di tipo poliestere o polietere.
Questi espansi possono essere flessibili o rigidi, e formano senza dubbio la categoria più
interessante e più affermata dei poliuretani.
2. COMPOSIZIONE DEI FORMULATI POLIURETANICI
Generalmente parlando i poliuretani vengono considerati come il prodotto di reazione di due
componenti chiamati:
Componente A = miscela poliolica/poliolo (caratterizzato dal n° di OH )
Componente B = isocianato (caratterizzato dal contenuto in NCO)
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ATTENZIONE !! La consuetudine di far corrispondere al componente A il poliolo e al componente B
l’isocianato non è universalmente valida.
Alcuni produttori di macchine ed impianti, rifacendosi ad una consuetudine tipica in uso nel nord
America, usano una terminologia invertita per le lettere A e B.
Al fine di non dare luogo a confusioni, alla definizione A e B faremo sempre seguire rispettivamente
la parola poliolo o isocianato.
2.1 COMPONENTE A - POLIOLO
La miscela poliolica è composta oltre che da polioli, da catalizzatori, intermedi di reazione ed
espandenti.
Polioli: composti chimici caratterizzati dalla presenza nella loro molecola di gruppi cosiddetti
“ossidrili” (Gruppi -OH).
Sono dei polimeri con peso molecolare e struttura variabile; derivano dalla reazione tra ossidi di
propilene ed etilene con ammine, glicoli, zuccheri o tra acidi bicarbossilici con di- o poli-alcoli.
Catalizzatori: fungono da promotori della reazione di polimerizzazione e/o di espansione a
seconda della loro natura. In genere si tratta di ammine alifatiche che intervengono nella
formulazione in quantità relativamente bassa rispetto al poliolo.
Stabilizzanti: comunemente chiamati siliconi, svolgono il loro compito di emulsionanti e regolatori
della struttura cellulare sul nascere per conferirle dimensioni cellulari minime e uniformi.
Antifiamma: composti alogenati, fosforati o cariche organiche e inorganiche che regolano la
reazione al fuoco dell’espanso quando è sottoposto all’azione della fiamma o di una fonte elevata
di calore radiante.
Espandenti: responsabili della formazione della struttura cellulare, si dividono in due famiglie a
seconda che l’espansione coinvolga una reazione chimica o una semplice trasformazione fisica di
un liquido in un gas.
Si parlerà quindi rispettivamente di:
Espandenti chimici ed espandenti fisici
2.1.1 POLIOLI
I più importanti partners nella reazione con isocianati sono i composti poliossidrilati comunemente
chiamati “polioli”.
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Sono caratterizzati dalla presenza nella macromolecola del gruppo reattivo ossidrile OH e
- La natura primaria o secondaria del legame C—OH
- Il numero di ossidrile
- La natura chimica del legame O—C: polietere o poliestere
- La funzionalità espressa come numero di OH per macromolecola.
Condizionano il processo di schiumatura e le proprietà dell’espanso risultante.
Sono raggruppabili in due grandi categorie:
Polioli polietere
Polioli poliestere
2.1.1.1 POLIOLI POLIETERE
Sono il prodotto della reazione di polimerizzazione con catalisi basica di ossidi di etilene e/o
propilene.
Come starter vengono utilizzati poliglicoli a basso peso molecolare o ammine. Servono come
partner di reazione con gli ossidi alchilici e anche come terminali alla catena polietere che si sta
formando.
La struttura del poliolo e di conseguenza la processabilità e il profilo di proprietà del prodotto
finito poliuretanico può essere controllata all’interno di un ampio intervallo selezionando la
lunghezza e la composizione della catena nonché la funzionalità e la struttura della molecola
starter.
Per gli espansi flessibili sono generalmente usati polieteri basati su starter trifunzionali come
glicerina e trimetilolpropano, fino a raggiungere un peso molecolare di 6.000.
Il polimero poliuretanico che ne deriva risulta poco reticolato nello spazio e acquista il carattere di
flessibilità ed elasticità.
Per gli espansi rigidi vengono usati starter a più elevata funzionalità dirigendo la reazione verso
catene molecolari più corte con peso molecolare più basso (500 – 600 g/mol) e numero di OH più
alto (200 – 800 g/mol).
Come starter vengono usati molti prodotti naturali contenenti gruppi OH e facenti parte, ad
esempio, della famiglia degli zuccheri.
La struttura del polimero poliuretanico è più reticolata nello spazio con conseguente perdita di
proprietà elastiche, ma incremento della rigidità con tutte le variazioni fisico meccaniche ad essa
collegabili.
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2.1.1.2 POLIOLI POLIESTERE
Vengono prodotti dalla reazione di policondensazione tra acidi bicarbossilici o loro anidridi con dio poli-alcoli.
I polioli poliestere più usati sono il prodotto di reazione tra acido adipico o anidride ftalica con dioli
della serie alifatica contenenti da 2 a 4 atomi di carbonio, trioli o trimetilolpropano. Sono
principalmente utilizzati negli elastomeri e negli espansi microcellulari per calzature, ma li
troviamo anche nelle schiume flessibili e rigide sempre in maggior quantità.
Le caratteristiche principali degli espansi prodotti con polioli poliestere sono le buone qualità
meccaniche influenzate però dalla modesta stabilità all’idrolisi del legame estere.
Nel settore degli espansi rigidi permettono riduzioni di costi formulativi ed il raggiungimento di
elevate caratteristiche di reazione al fuoco, ma compromettono la lavorabilità del formulato e
alcune caratteristiche meccaniche dell’espanso.
2.1.2 CATALIZZATORI
Fra i tipi di catalizzatori più usati ricordiamo quelli appartenenti alla categoria delle ammine
aromatiche e alifatiche o composti organometallici generalmente a base di stagno.
Le ammine terziarie sono i catalizzatori più comuni e l’effetto catalitico dipende dalla basicità, e
dall’impedimento sterico della struttura alla quale è legato l’atomo di azoto amminico.
Generalmente vengono impiegate miscele di catalizzatori di varia natura e composizione per
guidare nella direzione desiderata le molteplici reazioni che avvengono nelle fasi di formazione dei
poliuretani Alcuni, detti catalizzatori di polimerizzazione favoriscono principalmente la reazione di
polimerizzazione, mentre altri, detti catalizzatori di blowing, sono più adatti per la reazione tra
isocianato ed acqua che, oltre a giocare una importante ruolo nella reazione di reticolazione, ha
come effetto primario lo sviluppo di CO2 responsabile della reazione di espansione.
2HOH + OCN—R’—NCO
acqua
+
H2N—R’—NH2 + CO2
diisocianato
diamina
anidride carbonica
+ 2(OCN—R’—NCO)
diisocianato
OCN—R’—N—C—N—R’—N—C—N—R’—NCO
  
  
H O H
H O H
Urea bisostituita
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Una particolare famiglia di catalizzatori ha fondamentale importanza per gli espansi rigidi a base di
poliisocianurati.
Si usa in questo caso distinguere tra reazione PUR e reazione PIR.
Questi catalizzatori sono generalmente a base di sali metallici di acidi carbossilici, fenoli e derivati
di triazine simmetriche.
2.1.3 ALLUNGATORI DI CATENA E RETICOLANTI
Sono polioli o poliammine a basso peso molecolare e sono spesso chiamate “curing agent” con
una terminologia presa in prestito dalla vulcanizzazione (cure) della gomma.
Gli allungatori di catena sono delle sostanze bifunzionali come glicoli, diammine e idrossiammine.
Vengono usati principalmente per schiume flessibili ed elastomeri microcellulari.
Reagiscono con gli isocianati per formare dei segmenti poliuretanici o poliureici nella catena
polimerica.
I reticolanti sono per lo più molecole a funzionalità superiore a due.
2.1.4 STABILIZZANTI SILICONICI
Abbiamo visto che la miscela poliolica è costituita da molti componenti di natura eterogenea e non
sempre l’un l’altro solubili.
Per ottenere una sufficiente compatibilità fra tutti questi componenti in molti casi è necessario
utilizzare delle sostanze che agiscano come tensioattivi ed emulsionanti. Solo così la reazione di
formazione dell’espanso può procedere in modo controllato verso una struttura cellulare ottimale.
Non va inoltre dimenticato che poliolo ed isocianato sono difficilmente solubili e che pertanto
possono separarsi pochi secondi dopo la fase di miscelazione e dare luogo ad una reazione di
polimerizzazione disordinata.
Questi importanti additivi esplicano così anche la funzione del mantenimento dello stato
termodinamicamente instabile dell’espanso nella fase della espansione, prima che la tensioni
cellulari vengano contrastate da una sufficiente polimerizzazione della matrice polimerica: in caso
contrario la tensione creata dai gas di espansione farebbe rompere la parete cellulare e si
arriverebbe ad una struttura grossolana e non uniforme fino addirittura al collasso della schiuma.
Gli agenti stabilizzanti maggiormente utilizzati appartengono alla famiglia dei copolimeri a blocco
polidimetilsilossanici/poliossialchilenici.
La presenza ed il tipo di stabilizzanti risulta fondamentale per le caratteristiche finali dell’espanso
perché, come abbiamo visto, prendono parte a tutte le fasi del processo chimico-fisico della sua
formazione e si inseriscono in una serie di meccanismi legati tra di loro a catena con una
interazione che non sempre è facilmente e totalmente interpretabile.
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2.1.5 AGENTI ESPANDENTI
L’agente espandente è un gas che nel corso della reazione di polimerizzazione, grazie a complessi
processi di enucleazione e solubilità, è responsabile della formazione della struttura cellulare degli
espansi.
L’anidride carbonica, prodotta in-situ dalla reazione tra isocianato ed acqua.
È il più vecchio e ancora più importante agente di espansione nella produzione di schiume
flessibili, ma anche in quelle rigide gioca un ruolo di primaria importanza soprattutto oggi con le
restrizioni sempre più cogenti in campo ecologico ed ambientale.
Accanto a questa espansione di natura chimica, è altrettanto importante quella di natura fisica che
fondamentalmente implica il passaggio dallo stato liquidi allo stato gassoso di un liquido a basso
punto di ebollizione o il rilascio di gas disciolti nel poliolo. Questi ultimi, a causa dell’inizio della
reazione di polimerizzazione e della esotermia del processo, diventano meno solubili, si liberano
nella massa reagente e innescano la fase di espansione.
L’espandente è dunque il responsabile della natura cellulare dell’espanso. Questa caratteristica
morfologica gli conferisce una serie di applicazioni che sono legate alla sua leggerezza, ma
soprattutto alle sue caratteristiche prestazionali che coinvolgono aspetti meccanici, quali proprietà
elastiche, resistenza alla compressione e stabilità dimensionale, o aspetti fisici come densità,
isolamento acustico e termico senza trascurare qualità di carattere puramente estetico o di
comfort.
Gli espandenti di natura fisica hanno rappresentato un valido aiuto per raggiungere tutte le
prestazioni richieste ai poliuretani ed i primi ad essere impiegati sono stati i CFC grazie ad una
serie di vantaggi indiscutibili fino alla scoperta della loro negativa influenza sullo strato di ozono
stratosferico.
L’agente espandente ideale è quello che assicura:
- Assenza di effetti tossicologici.
- Ininfiammabilità.
- Bassissima conducibilità termica.
- Punto di ebollizione compatibile con la esotermia del processo.
- Solubilità nel poliolo.
- Basso coefficiente di diffusione attraverso la matrice delle schiume a celle chiuse.
- Inerzia chimica in tutti gli strati dell’atmosfera.
- Costi compatibili con le applicazioni.
Da alcuni anni, nei paesi firmatari del protocollo di Montreal, la produzione e l’utilizzo dei CFC è
vietato e l’industria del settore ha trovato dei validi sostituti senza mai però trovare il candidato
ideale a soddisfare tutte insieme le condizioni appena elencate. Il tema dell’impatto ambientale ha
avuto la precedenza e per ogni applicazione è stata scelta la soluzione più idonea.
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L’espansione per via chimica, tramite acqua o acidi o sali di natura organica, potrebbe essere la
soluzione ecologica al problema, ma purtroppo in alcuni casi le controindicazioni di processabilità
e di prestazioni del prodotto finale non ne permettono l’uso esclusivo.
Dopo la fase transitoria dell’introduzione degli HCFC, che si sta concludendo in questi primi anni
del 2000, si affacciano sulla scena espandenti appartenenti alla categoria degli HFA, i quali, non
avendo nella molecola atomi di cloro, possono vantare un ODP=0 ed un bassissimo impatto
ambientale. Il loro uso è considerato ecocompatibile ancora per molti anni e i produttori stanno
ampliando la gamma di prodotti da quelli bassobollenti attuali (p. eb <0 °C) a quelli liquidi a
temperatura ambiente e quindi più idonei ad essere immessi in formulazione in forma stabile
senza limiti di concentrazione.
Dall’inizio degli anni 90 si è sviluppato l’uso degli idrocarburi della serie alifatica con punto di
ebollizione idoneo. Il loro funzionamento nella chimica della reazione è ideale, come quasi tutte le
altre caratteristiche necessarie, ad eccezione della nota infiammabilità e pericolosità di esplosione
in combinazione con l’ossigeno atmosferico. Questa intrinseca pericolosità è stata brillantemente
risolta con opportuni accorgimenti impiantistici, ma a scapito di importanti investimenti e
complicati iter burocratici per l’ottenimento dei permessi da parte delle autorità competenti.
Questi motivi sono la ragione principale della loro introduzione solo nei settori che possono
permettersi investimenti ammortizzabili dal volume produttivo come l’industria del frigorifero e
del pannello per isolamento termico o poche altre eccezioni.
L’utilizzo di CO2 liquida è un altro fronte sul quale stanno lavorando i costruttori di impianti di
schiumatura con la collaborazione dei produttori di formulati. L’idea ha già avuto successo nella
produzione di blocco flessibile in continuo e si stanno affacciando interessanti sviluppi in altri
settori che richiederanno ancora tempi lunghi per testarne l’effettiva applicabilità.
In seguito a queste considerazioni introduttive sul tema “espandente” è evidente che le schiume
rigide, che devono affidare alla composizione del gas cellulare le loro prestazioni di isolamento
termico, sono condizionate dalla scelta proprio in termini prestazionali.
2.1.6 RITARDANTI DI FIAMMA
I poliuretani, in virtù della loro natura organica, non possono mai essere considerati materiali non
infiammabili. La loro infiammabilità è legata alla composizione chimica e esistono additivi che
agiscono come ritardanti di fiamma a diversi livelli in funzioni delle richieste specifiche dei vari
campi applicativi. A questo proposito esistono delle normative internazionali che stabiliscono dei
test per mezzo dei quali è possibile operare delle distinzioni tra svariate classi di reazione al fuoco
e di conseguenza di idoneità o meno a certi usi.
L’infiammabilità e la velocità di combustione possono essere ridotte per mezzo dei ritardanti di
fiamma che agiscono attraverso i seguenti meccanismi:
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Trasformazione e stampaggio poliuretani tecnici.
-
-
Abbassamento del calore di combustione con l’impiego di cariche incombustibili per ritardare
l’innesco o ridurre la velocità di propagazione della fiamma.
Abbassamento dell’energia termica in gioco, diluendo i gas di combustione con l’aiuto di
sostanze che sotto l’azione del calore si decompongono in prodotti incombustibili come acqua
e CO2.
Modificazione del meccanismo di combustione con additivi, come i ritardanti di fiamma a base
di alogeni, che si decompongono dando luogo a radicali liberi.
Formazione di residui carboniosi passivanti per mezzo di additivi fosforati.
Formazione di residui carboniosi passivanti con l’uso di polioli base poliestere e con catalisi che
inducano la formazione di legami poliisocianurato mediante trimerizzazione (PIR).
I ritardanti di fiamma più comunemente usati sono esteri clorurati e fosfatati.
Essi hanno un marcato effetto sulla infiammabilità e velocità di combustione con deboli effetti
negativi sulla processabilità del sistema e sulle proprietà del prodotto finito entro certi limiti di
concentrazione.
Richieste di reazioni al fuoco estreme si possono ottenere solo con massiccio impiego di additivi
che oltre a diminuire la processabilità hanno una influenza negativa sulle caratteristiche del
prodotto finito, sulla composizione e quantità dei fumi nelle fasi critiche della combustione. Le
modifiche alla struttura polimerica, come l’uso di polioli poliestere e trimerizzazione portano ad
eccellenti risultati anche in presenza di ridotte quantità di additivi, ma non sono applicabili a tutte
le produzioni a causa di difficoltà di processo.
2.2 COMPONENTE B - ISOCIANATO
Gli isocianati sono prodotti chiave nella chimica dei poliuretani.
Differiscono tra di loro per la struttura della parte di molecola che supporta il gruppo reattivo
isocianato, indicato normalmente come “NCO”.
Esistono numerosi tipi di isocianati, ma noi parlando di poliuretani espansi ci limiteremo alla
categoria degli aromatici ed in particolare a quelli che fanno capo a due abbreviazioni
universalmente adottate:
MDI: difenilmetandiisocianato
TDI: toluendiisocianato
Gli isocianati oltre che dalla formula chimica vengono caratterizzati dalla “% di NCO” o numero di
NCO e dalla funzionalità.
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La produzione degli isocianati segue la reazione di sintesi in due stadi scoperta da Henschel nel
1884.
Nel primo stadio si forma un intermedio costituito da un cloruro dell’acido carbammico derivante
dalla reazione di una ammina primaria con il fosgene e la conseguente eliminazione di una
molecola di acido cloridrico.
Il cloruro dell’acido carbammico non viene isolato, ma porta ad un isocianato dopo l’eliminazione
di una seconda molecola di acido cloridrico.
2.2.1 ISOCIANATI MDI
L’MDI viene ottenuto come miscela di MMDI (MDI monomerico detto anche “MDI puro”) e
poliisocianati policiclici PMDI (MDI polimerico detto anche “MDI crudo”).
L’MDI monomerico viene separato dalla miscela di omologhi per distillazione ed esiste in due
forme isomeriche che si differenziano per posizione dei gruppi NCO nella molecola.
Il 4,4’ a temperatura ambiente è un solido cristallino con una spiccata tendenza a dimerizzare. Per
evitare il processo di dimerizzazione che dà luogo in modo irreversibile ad un sedimento solido,
l’MDI puro deve essere stoccato in particolari condizioni di temperatura controllate: inferiore a 0
°C nella forma solida o in un ristretto intervallo intorno ai +40 °C nella forma liquida. Ovviamente
queste condizioni vanno rispettate anche nella delicata fase di trasporto.
La criticità allo stoccaggio rende praticamente impossibile il suo utilizzo come prodotto puro e
nella totalità delle sue applicazioni negli espansi viene commercializzato sotto forma di
“prepolimero”.
L’impiego dei prepolimeri a base MMDI è tipico nelle schiume flessibili microcellulari (formulati
per suole da scarpe) e poliuretani termoplastici (TPU).
Si trova anche in miscela con altri isocianati (TDI e PMDI) in molti altri tipi di schiume fatta
eccezione per quelle rigide a bassa densità dove vengono esclusivamente impiegati i PMDI.
Fra i vari tipi di isocianati, il PMDI diventa così il più importante in termini di volumi e in
commercio si trovano varianti, con diversa funzionalità media e rapporto tra le % degli omologhi,
derivate dai vari processi di produzione e distillazione.
Si presentano sotto forma di liquidi giallo-bruni e possono essere stoccati in un vasto campo di
temperature positive (+5 / +40 °C) senza incorrere in processi di degradazione.
Tutti gli isocianati sono estremamente reattivi nei confronti della miscela aria/umidità e pertanto
gli stoccaggi devono prevedere l’uso di aria deumidificata o, meglio ancora, di azoto come
battente del liquido nelle cisterne di stoccaggio. I contenitori, di qualsiasi volume essi siano, vanno
tenuti il più possibile pieni ed ermeticamente chiusi.
L’inosservanza di queste semplici, ma irrinunciabili precauzioni, porta a formazione di composti
ureici solidi nella lenta ed inesorabile reazione con l’umidità. La presenza di impurità solide o di
“croste” compromette poi l’intero processo di schiumatura.
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Un grammo di acqua stechiometricamente reagisce con 15 g di PMDI con formazione di prodotto
solido, ma con contemporaneo sviluppo di gas secondo una reazione che ha un andamento
fortemente esotermico: sono quindi ovvie le conseguenze derivanti da inquinamento accidentale
e se i volumi in gioco sono notevoli le proporzioni dell’incidente possono essere rilevanti.
2.2.2 ISOCIANATI TDI
Il TDI viene prodotto seguendo la stessa reazione di sintesi illustrata in precedenza dove la materia
prima amminica di base è la toluendiammina (TDA).
Si presenta sotto forma di liquido incolore e bassissima viscosità a temperatura ambiente. La sua
elevata tensione di vapore lo rende estremamente volatile e pertanto è molto facile raggiungere le
concentrazioni massime ammesse negli ambienti dove viene stoccato e lavorato. A causa della sua
tossicità è tassativo osservare tutte le precauzioni possibili per evitare operazioni a ciclo aperto od
in locali non sufficientemente aerati. Esistono a proposito norme molto severe che ne regola
l’impiego.
Viene commercializzato come miscela dell’isomero 2,4- e 2,6- in rapporto 80/20 o 65/35 e i
corrispondenti nomi commerciali diventano nella terminologia comune T80 e T65.
Il TDI viene impiegato in grandi quantità allo stato puro per la produzione in continuo della
cosiddetta “schiuma da blocco”.
Il secondo campo di impiego in ordine di importanza e quello degli espansi flessibili stampati a
freddo o a caldo. In questo caso il TDI è sotto forma di prepolimero o di miscela con PMDI e/o
prepolimeri da MDI.
Anche il TDI viene utilizzato in settori aggiuntivi a quelli menzionati ma mai negli espansi rigidi per
isolamento.
2.2.3 PREPOLIMERI
I prepolimeri, da TDI e da MDI sono dei composti che rappresentano uno stadio intermedio del
processo di polimerizzazione e vengono utilizzati per conferire determinate caratteristiche
all’andamento della reazione ed al prodotto finito. Permettono inoltre di utilizzare TDI e MDI sugli
impianti di schiumatura senza le grosse limitazioni di processabilità dei rispettivi prodotti puri.
Si ottengono facendo reagire un eccesso di isocianato con uno o più componenti ossidrilati (polioli,
glicoli, ecc.). La stechiometria e le condizioni di reazione abbinate alla scelta delle materie prime di
base permettono una differenziazione quasi senza limite dei tipi di prepolimero.
Si possono individuare due principali vantaggi nell’uso dei prepolimeri:
- Il loro più elevato peso molecolare comporta una minore tensione di vapore che favorisce la
sicurezza dell’ambiente di lavoro.
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- Il processo di schiumatura può essere meglio controllato. Si conferiscono, allo stesso tempo, più
facilmente proprietà mirate al processo ed al prodotto finale.
3. REAZIONI PRINCIPALI DEI POLIURETANI
Il gruppo uretanico deriva dalla reazione chimica tra un alcool ed un isocianato.
R-N=C=O
+
isocianato +
O

R-N-C-O-R’

H
uretano
R’-O-H
idrossiderivato
I poliuretani sono il prodotto di una polimerizzazione per poliaddizione tra un alcool con due o più
ossidrili reattivi per molecola (dioli o polioli) e isocianati che hanno più di un gruppo funzionale
NCO per molecola (diisocianati o poliisocianati).
I gruppi funzionali attivi sono principalmente gli ossidrili “OH” di determinati polioli ed i gruppi
“NCO” dei poliisocianati; reagiscono tra loro secondo una reazione di poliaddizione che può essere
schematizzata come segue
OH-R-OH
poliolo
+
OCN-R’-NCO
--C--N-R’-N--C-O-R-O- 
 
O H
H O
diisocianato
n
poliuretano
dove compare il “gruppo uretanico”
O

- N – C -- O –

H
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in cui l’atomo di idrogeno attivo si è collegato con quello di azoto per trasposizione dall’ossidrile
del poliolo.
Quando le molecole di isocianato e di poliolo sono bifunzionali (hanno cioè due gruppi NCO e due
gruppi OH ciascuna) la reazione procede secondo il meccanismo della poliaddizione illustrata e si
viene a formare una catena, in tal caso lineare, punteggiata da “n” gruppi uretanici e perciò
chiamata “poliuretanica”.
I polimeri che si ottengono, chiamati anche poliaddotti, i possono presentarsi, in funzione delle
caratteristiche delle materie prime di partenza, sotto forma di materiali rigidi o flessibili.
4. PROCESSI DI TRASFORMAZIONE
I processi di trasformazione dei poliuretani avvengono sempre con l’impiego di una “macchina
schiumatrice”.
Accanto a serbatoi di contenimento dei componenti, ad organi di controllo della temperatura e dei
parametri tipici del processo di schiumatura, la macchina è principalmente costituita da due o più
pompe dosatrici che hanno il compito di portare alla testa miscelatrice (in alta o bassa pressione) i
componenti nel rapporto voluto.
Sempre limitatamente al settore degli espansi rigidi a bassa densità individuiamo due processi
base:
 Processi in discontinuo dove fra i piani di una pressa o le pareti di uno stampo vengono inserite
le superfici di rivestimento o una cavità preassemblata di contenimento. Nell’intercapedine che
si viene così a creare viene colata una quantità predeterminata di materiale e dopo un tempo di
attesa, variabile in funzione dello spessore e della geometria (tempo di destampaggio o tempo
di estrazione), si ottiene, aprendo i piani della pressa o le pareti dello stampo, un manufatto
finito. Se nello stampo non vengono inserite delle cavità preassemblate si possono ottenere dei
particolari stampati con le superfici di PUR a vista come ad esempio le coppelle per tubi o
scaldabagni.
 Processi in continuo dove le superfici di rivestimento profilate o semplicemente srotolate in
continuo sono portate in prossimità della testa miscelatrice. Quest’ultima provvede a
distribuire sulla superficie di rivestimento inferiore la quantità voluta di materiale nel modo più
uniforme possibile.
Il tutto arriva nell’arco di pochi metri al doppio nastro che ha la funzione di contenere le spinte che
il materiale in reazione eserciterà.
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Nel corso della permanenza nel doppio nastro si completerà quella parte di polimerizzazione
necessaria perché il pannello o il blocco possano essere sottoposti alle fasi di processo successive.
La prima di esse è rappresentata dal taglio nella lunghezza e/o spessori previsti dalla commessa in
corso.
Quanto è stato sommariamente descritto per il processo in discontinuo, che è quello di nostro
interesse in questo momento, necessita di essere scomposto nei dettagli perché una corretta
conduzione delle condizioni di processo è un fattore determinante per ottenere un prodotto di
qualità.
Prima di procedere a questa scomposizione diamo per scontato che tutto il processo a monte
dell’impianto di schiumatura e concernente l’assemblaggio dei corpi cavi da isolare sia sotto
controllo.
Dovrà essere garantita, oltre ad una costante rispondenza alle dimensioni di progetto una
sufficiente sigillatura.
4.1 MACCHINA SCHIUMATRICE.
Normalmente una macchina schiumatrice per processo in discontinuo gestisce due componenti:
- formulato poliolico pronto all’uso (polioli + catalizzatori + stabilizzanti + espandenti)
- isocianato generalmente costituito da PMDI
La macchina sarà quindi dotata di tutti quei dispositivi, manuali o automatici, atti a poter
predeterminare e controllare gli opportuni rapporti di miscelazione dei due componenti e la
portata totale nonché il peso di colata.
Le pompe dosatrici sono volumetriche e quindi la loro portata è direttamente legata al peso
specifico del liquido che le attraversa.
Poiché sappiamo che il peso specifico cambia al variare della temperatura comprendiamo quanto
sia importante il controllo della medesima in intervalli prefissati e generalmente compresi tra 20 25 °C.
Alla testa miscelatrice giungono quindi i componenti nel dosaggio voluto e qui avviene
l’importante processo di miscelazione che può essere:
- a bassa pressione, ovvero per mezzo di un agitatore meccanico che provvede alla
omogeneizzazione dei componenti tra loro.
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- ad alta pressione, dove la miscelazione avviene grazie alla nebulizzazione cui i componenti vanno
incontro dopo essere stati iniettati nella camera di miscelazione attraverso ugelli di vario genere e
sotto l’azione di pressioni comprese tra 100 e 200 bar.
Anche in questo caso la temperatura, avendo una influenza notevole sulla viscosità dei
componenti, può condizionare la bontà della miscelazione e pertanto deve essere tenuta sotto
controllo.
Il materiale miscelato nel corretto rapporto e con la dovuta efficacia deve essere colato nella
cavità da isolare.
Il miglior modo per ottenere una corretta ed uniforme distribuzione in fase di colata e di reazione
consiste nel posizionare il punto di colata e l’inclinazione dello stampo secondo regole dettate
dall’esperienza e da prove pratiche.
Riassumendo, in questa fase riveste fondamentale importanza:
- il controllo del rapporto tra i componenti
- il controllo delle portate e/o pesi di riempimento
- il controllo delle temperature dei materiali
- l’efficacia della miscelazione
- la scelta di opportuno sistemi e condizioni di colata
4.2 PRODUZIONE DI SCALDABAGNI ISOLATI
L’isolamento con PUR degli scaldabagni segue tre principali processi produttivi:
1 - colata nell’intercapedine di scaldabagni cilindrici preassemblati e senza impiego di stampo di
contenimento.
2 - colata nell’intercapedine di scaldabagni preassemblati inseriti totalmente o parzialmente in uno
stampo di contenimento
2
- colata in stampo per ottenere delle coppelle con PUR a vista.
4.2.1 COLATA SENZA STAMPO DI CONTENIMENTO.
E’ il caso più comune in Italia per ovvi motivi di costi e produttività e riguarda quasi tutti gli
scaldabagni cilindrici.
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Presenta degli inconvenienti che sono legati alla pressione che la schiuma in fase di reazione
esercita sulle pareti del rivestimento ed alla impossibilità di ottenere una corretta distribuzione
della densità in ogni punto dell’isolamento proprio a causa della mancanza di “spinta” (il termine
più corretto sarebbe overpacking).
La centratura del rivestimento nei confronti della caldaia è precaria con conseguente variazione
casuale dello spessore di isolamento.
Tutti questi fattori limitano fortemente le scelte formulative del produttore di sistemi PUR e non
permettono di sfruttare al massimo le potenzialità del PUR in fatto di isolamento.
4.2.2 COLATA CON STAMPO DI CONTENIMENTO.
Lo stampo di contenimento diventa obbligatorio nel caso di forme geometriche differenti da
quella cilindrica.
La forma cilindrica permette di sopportare elevate spinte del materiale in espansione senza subire
antiestetiche deformazioni del rivestimento esterno.
In questo caso è facile raggiungere un overpacking corretto per riempire completamente
l’intercapedine da isolare e garantire una corretta distribuzione della densità.
Contemporaneamente la centratura della caldaia e del rivestimento è sicura e di conseguenza
viene sempre garantito lo spessore di isolamento progettato.
I due fattori contribuiscono notevolmente a contenere i consumi energetici assicurando un
isolamento ottimale.
4.2.3 PRODUZIONE DI COPPELLE.
In una serie di stampi, che permette di produrre coppelle atte ad essere montate sulla superficie
della caldaia e poi coperte con il mantello di rivestimento estetico, viene colata una quantità
predeterminata di materiale.
Il risultato è un pezzo finito con geometria ed incastri di vario tipo e con il PUR a vista.
Per poter estrarre dallo stampo coppelle qualitativamente accettabili è necessario:
- scegliere un idoneo distaccante
Il distaccante è una soluzione in solvente, ed ora anche in acqua, di un composto ceroso che ha
proprietà di eliminare la naturale tendenza alla adesione del PUR con le pareti dello stampo. Un
distaccante non adatto provoca difficoltà nella estrazione o interazione con la superficie.
Conseguenze sono il danneggiamento della definizione dei bordi ad incastro delle coppelle e
incrostazioni sullo stampo che provocano a loro volta difficoltà come in una reazione a catena.
La scelta del distaccante è legata alla natura dello stampo, ai parametri di processo e al formulato
poliuretanico impiegato.
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Normalmente sono in commercio prodotti sufficientemente collaudati che soddisfano le esigenze
della produzione: si tratta solo di fare delle prove di omologazione dopo aver sottoposto il
problema specifico ai produttori presenti sul mercato.
Nel caso delle coppelle parametri come densità, tempo di estrazione, corretto posizionamento
dello stampo e punto di colata diventano più importanti che nei punti 6.4.1 e 6.4.2 in quanto alle
caratteristiche meccaniche e di isolamento si aggiungono anche quelle estetiche.
L’impiego delle coppelle permette un riciclo più agevole degli scaldabagni da rottamare: la
separazione tra i vari componenti metallici e plastici diventa estremamente facile per la mancanza
di adesione con il PUR.
Lo svantaggio è rappresentato dai costi di produzione sicuramente più elevati e alla necessità di
aumentare gli spessori di espanso per compensare la perdita di isolamento nei confronti della
schiumatura diretta. L’assemblaggio delle coppelle e l’assenza di adesione alle superfici della
caldaia lasciano sempre la possibilità di ponti termici.
L’uso delle coppelle permette però l’isolamento di grossi scaldabagni o bollitori senza dover
affrontare tecnologie di riempimento diretto che richiederebbero una impiantistica molto
complessa e non compatibile con i costi che il mercato è disposto ad accettare.
5. PUR RIGIDO PER ISOLAMENTO
5.1 CARATTERISTICHE DEL PUR RIGIDO PER ISOLAMENTO
Gli espansi poliuretanici rigidi sono in assoluto gli isolanti termici più efficienti oggi sul mercato. Le
loro caratteristiche non si limitano però al solo isolamento, ma riguardano una vasta gamma di
proprietà che ne permettono l’applicazione in molti settori merceologici.
Di seguito ne elencheremo le più importanti soffermandoci brevemente su definizioni e valori che
mediamente si trovano sul mercato.
Trattandosi di materiale che prevede sempre un rivestimento estetico e protettivo tralasciamo
volutamente le qualità estetiche che non sono influenti se non quando sopravvengono difetti di
stampaggio così macroscopici da pregiudicare il suo impiego.
5.1 DENSITA’
La densità è il primo parametro oggettivo che incontriamo prendendo in mano un manufatto in
rigido a bassa densità. Occorre distinguere tra densità al cuore e densità totale per non incorrere
in facili errori o imprecisioni.
La densità totale si riferisce al volume totale di espanso.
Per un qualsiasi manufatto si ottiene sottraendo al suo peso quello dei rivestimenti/inserti e
dividendo il valore ricavato per il volume occupato dal solo espanso.
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accumulo di Liquidi caldi e refrigerati.
Termoformatura. Fustellatura.
Trasformazione e stampaggio materiali plastici espansi.
Trasformazione e stampaggio poliuretani tecnici.
La densità al cuore si ricava eliminando dall’espanso, la zona di pelle o addensamento superficiale
per uno spessore di circa 5mm.
La densità al cuore ancor più di quella totale, è un parametro molto importante perché ha una
influenza diretta sulla maggior parte delle caratteristiche fisico-meccaniche del pezzo finito.
Per ogni tipo di manufatto è fondamentale garantire che l’espanso abbia una densità minima al di
sopra di valori che vengono stabiliti in fase di prova o per confronto con produzioni analoghe già
sufficientemente collaudate.
La densità finale è direttamente collegata a fattori formulativi e quantità di espandente, ma anche
a condizioni di processo.
I valori di densità che si incontrano nel settore isolamento sono collegati a fattori dimensionali dei
vari manufatti e al tipo di formulato impiegato, ma sono quasi sempre comprese nell'intervallo
35–45 g/l per la densità totale e 30–40 g/l per la densità al cuore. L’isolamento degli scaldabagni
generalmente si pone verso la parte alta dell’intervallo a causa di scelte formulative dettate dalla
tecnologia in uso e dagli orientamenti del mercato.
5.2 STRUTTURA CELLULARE
La struttura cellulare è caratterizzata dal diametro delle celle, dalla loro forma e uniformità.
Per un espanso rigido è implicito parlare di struttura prevalentemente a celle chiuse.
Il diametro cellulare è valutabile in modo approssimativo per confronto visivo con un campione
standard e in modo esatto con immagini al microscopio e con successiva analisi computerizzata.
Nella maggior parte dei casi, quando forma e uniformità sono nella norma, è compreso tra 150 e
300 micron.
In questo intervallo è un parametro secondario in quanto il suo valore ha una influenza sulla
conducibilità termica, ma con variazioni che per un frigorifero sono importanti mentre per uno
scaldabagno sono quasi trascurabili.
La forma e l’uniformità delle celle sono invece delle caratteristiche da tenere in debito conto in
quanto possono essere responsabili di apprezzabili carenze prestazionali del prodotto finito in
termini di caratteristiche meccaniche e isolamento.
Sono inoltre un indice inequivocabile che qualche condizione di processo non è sotto controllo o
che il formulato impiegato non è conforme a specifica.
Gli espansi in genere sono caratterizzati da una marcata anisotropia della struttura cellulare: le
celle infatti hanno una forma ellissoidale con l’asse maggiore orientato nella direzione di crescita.
Ne segue che alcune proprietà meccaniche, ed in particolar modo la resistenza a compressione,
sono notevolmente influenzate dalla direzione secondo la quale si effettua la misura.
In definitiva possiamo dire che una buona struttura cellulare è caratterizzata da:
 Aspetto uniforme
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 Assenza di zone di discontinuità facilmente rilevabili ad occhio nudo (striature di diverso colore,
croste superficiali ecc.)
 Assenza di celle molto allungate ovvero come si usa dire “stirate”.
5.3 RESISTENZA A COMPRESSIONE.
L’applicazione di una forza esterna deforma la struttura cellulare fino al suo completo collasso.
Normalmente, per un espanso rigido, si parla sempre di forza necessaria per indurre una
deformazione del 10% e si esprime in kg/cm2 o in unità di misura dimensionalmente equivalenti.
In pratica, un provino di dimensioni standard, genericamente 50x50x50 mm, viene sottoposto a
compressione tra due superfici piane, collegate ad un dinamometro, che si muovono a velocità
prefissata.
Si elabora un grafico la cui curva riporta la dipendenza della deformazione dalla forza applicata.
La resistenza a compressione è condizionata da:
- caratteristiche intrinseche alla formulazione
- valore della densità
- orientamento delle celle
- qualità della struttura cellulare
E’ una caratteristica molto importante perché ad essa è direttamente collegata la stabilità
dimensionale dell’espanso quando è sottoposto a determinate condizioni di esercizio.
La struttura a celle chiuse fa sì che la pressione all’interno delle celle vari in funzione della
temperatura del gas presente al loro interno.
Ad esempio, quando una schiuma è portata a temperatura tale che il gas contenuto nelle celle
condensi completamente, può essere raggiunta una differenza massima di pressione di 1 bar
rispetto all’ambiente stesso. In questo caso è raccomandabile una resistenza a compressione di
almeno 1 kg/cm2.
L’esperienza ormai consolidata fa ritenere che, nel campo dell’isolamento si debba sempre
garantire una resistenza a compressione superiore a 1 kg/cm2.
5.4 STABILITA’ DIMENSIONALE
Per stabilità dimensionale si intende la capacità dell’espanso di mantenere inalterate le sue
dimensioni nel tempo e in condizioni di esercizio.
Le differenze di temperatura, la diffusione del gas contenuto nelle celle, la permeabilità all’aria e le
condizioni di esercizio sono dei fattori che sottopongono l’espanso a delle forze che agiscono nelle
tre dimensioni e che, se non sufficientemente contrastate, portano a deformazioni irreversibili.
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In genere la valutazione della stabilità dimensionale si effettua con test accelerati che prevedono
di sottoporre provini di dimensioni note ad alte temperature (70-80°C a volte associate a forte
umidità relativa dell’aria) e basse temperature (-25 / -30°C) per un periodo di tempo dalle 24 alle
48h o oltre e di registrare le variazioni subite nelle tre dimensioni o nel volume, per esprimerle poi
in %.
5.5 REAZIONE AL FUOCO
Per gli espansi rigidi si definisce reazione al fuoco il comportamento dell’espanso sottoposto
all’azione di una fiamma o di calore radiante.
Mentre per resistenza al fuoco si definisce l’attitudine di un manufatto a conservare, durante un
periodo prefissato di tempo, stabilità tenuta e/o isolamento termico richiesto. E’ una prerogativa
tipica degli elementi da costruzione e serve per definire quanto a lungo può o deve essere
confinato un incendio senza che si propaghi in locali o costruzioni adiacenti.
Per limitare la reazione al fuoco si deve intervenire a livello formulativo con opportuni additivi, i
ritardanti di fiamma, di cui abbiamo già brevemente parlato. (cfr. 2.1.6)
Secondo precise norme, che purtroppo ancora variano da paese a paese e addirittura in ambito
CEE, vengono definite delle simulazioni di esposizione al fuoco od al calore radiante effettuate su
provini di dimensioni e forme prefissate.
La normativa italiana (D.M. 26.6.84 con le norme CSE RF1, CSE RF2 e CSE RF3) ha fissato una serie
di prove atte a descrivere il comportamento del materiale nelle fasi di innesco e di sviluppo
dell’incendio quando viene sottoposto all’azione di una fiamma e contemporaneo calore radiante.
Nel corso dei test si valuta
-
Durata della fiamma provocata dall’innesco
Durata dell’incandescenza
Lunghezza della zona danneggiata
Eventuale gocciolamento di parti infiammate
Velocità di propagazione della fiamma
I risultati dell’esame di ciascun parametro determinano le categorie di appartenenza. Dalla
combinazione delle categorie ottenute si risale alla classe di reazione al fuoco.
La normativa tedesca DIN 4102 svolge test con la sola applicazione di una fiamma standard e
valuta l’altezza della fiamma che si sviluppa e l’estensione della zona danneggiata limitandosi alla
ben nota distinzione in tre classi B1, B2, B3 che vengono riferite rispettivamente a materiale
difficilmente infiammabile, infiammabile, facilmente infiammabile aggiungendo che alla classe
B3 appartengono tutti i materiali che non sono almeno B2.
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5.6 ASSORBIMENTO D’ACQUA
E’ la misura della quantità di acqua che l’espanso può assorbire per immersione diretta in acqua.
Trattandosi di materiale a celle prevalentemente chiuse tale valore è sempre molto basso e si
potrebbe facilmente verificare che riguarda quasi esclusivamente le celle tagliate nel corso della
preparazione del provino.
5.7 CONDUCIBILITA’ TERMICA.
La conducibilità termica di un materiale è caratterizzata dalla sua capacità di trasportare il calore
dal una superficie all’altra.
Si esprime attraverso il valore lambda , utilizzando come unità di misura W/m°K e indica: la
quantità di calore che attraversa un m2 di superficie di un corpo dello spessore di 1 m in 1 h di
tempo e per una differenza di temperatura unitaria tra le sue facce opposte.
E’ legata alla composizione del gas contenuto nelle celle, alle loro dimensioni ed alla natura della
matrice polimerica.
La composizione del gas contenuto nelle celle è il fattore più importante e possiamo affermare
che, dopo il vuoto, il CFC 11 è il miglior isolante (7.4 mW/m°K). Fra i peggiori troviamo CO2 (15.3
mW/m°K) e aria (25 mW/m°K).
La permeabilità delle pareti cellulari alla diffusione del gas in esse contenuto e il conseguente
scambio con l’aria sono fattori che determinano il peggioramento delle proprietà isolanti nel
tempo.
Siamo quindi sempre in presenza di almeno due valori di :
 Iniziale: valore ottenuto dalla misurazione di un campione ricavato da un pannello stampato da
poche ore
 Invecchiato: valore ottenuto dalla misurazione di un campione nel quale lo scambio gas
cellulari/aria è già sicuramente avvenuto. Lo scambio si può completare per mezzo di test
accelerati che prevedono la permanenza della schiuma nuda a temperature alte (ca. 70 °C) per
alcune settimane o fintanto che il grafico tempo/conducibilità tende ad un valore limite.
Il valore misurato si riferisce ad un espanso dove lo scambio CO 2 aria è avvenuto completamente e
la piccola deriva verso il valore limite è dovuta alla diffusione dell’eventuale espandente fisico o ad
altri fattori di scarsa importanza.
Tradotta in termini pratici questa misura corrisponde ad un invecchiamento naturale di un periodo
valutabile intorno ai 7 – 10 anni.
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