La Gazzetta Giuliana

La Gazzetta Giuliana
il Periodico della venezia giulia
Anno II - Numero 2
DIrettore respoNsAbIle: luigi putignano
31 gennaio 2014 € 1,20
Direzione e redazione: via della Geppa, 4 - 34132 Trieste - Tel 040 3473977 Fax 040 3481465 e-mail [email protected]
QUINDICINALE
- Esce il venerdì
IL PUNTO
di Luca Lopardo
La chiusura di un celeberrimo bar in
Via Sant’Ambrogio ha dato il là ad
analisi filosofiche apocalittiche sul tramonto della città di Monfalcone, strutturate al bancone del bar, su facebook
o su fogli di partito. Insomma, è finita
la Belle Epoque dei balli esotici, i cenacoli oxfordiani, le degustazioni di
whiskey torbati e gli incontri di fioretto
per le vie del centro città, rinomata sede
di bon ton e bellezza (come non dimenticarsi le testimonianze, in merito, di
Dario Fo e Paolo Rossi?).
La fine dell’avventura del Caffè in
questione porta con sé la fine della sua
civiltà (verrebbe da dire con Claudio
Magris), certificando secondo taluni,
fini pensatori, il vero dramma di
Monfalcone: il centro vivo e palpitante
della comunità monfalconese si è svuotato di identità monfalconese. La popolazione autoctona avrebbe, secondo
lorsignori, progressivamente abbandonato gli spazi pubblici poiché costretta,
(finalmente qualcuno ha il coraggio di
dirlo), a rintanarsi in casa per via
dell’invasione dei barbari. Notate il
nesso? La correlazione? Insomma,
Monfalcone oramai è terra straniera:
per questo il Caffè chiude, per questo
prima o poi i bianchi saranno cacciati
a pedate dai loro adorati fumi salubri,
le colonne della cultura locale che il
mondo ci invidia, i meravigliosi centri
commerciali – parte integrante di un
secolare processo identitario. Siccome
per le strade ci sono solo “loro”, che
non permettono ai “nostri” di godere
degli spazi comuni, gli esercenti autoctoni si sono visti costretti a chiudere e
molti altri saranno costretti a seguire
la scia. Altro che il calo dei consumi,
le tasse sul lavoro, lo Stato nemico delle
piccole e medie imprese, l’offerta scadente e omologata alla clientela: i bar
italiani del centro hanno chiuso per via
dell’avanzata straniera; l’enoteca e
l’albergo-ristorante che ancora resistono assomigliano a quell’ultimo giapponese a cui non avevano detto che la
guerra era già finita.
Lo stesso discorso vale, ad esempio, per
il campo di via Portorosega: non si vedono più i tornei dei tempi d’oro perché
ogni maledetta domenica ci sono “loro”
che devono giocare a cricket, occupando
il “nostro” campo che noi abbiamo abbandonato da tempo (l’educazione voleva che, in quanto ospitati, non si
allargassero troppo: addirittura giocare
su un campo libero, non si fa).
Baluardi comunitari si sono visti svenduti all’invasore dagli abitanti stessi,
accecati dall’avidità e dal vil denaro,
sguazzanti nell’ingratitudine per antichi eroi che lottarono per la libertà
dei bisiachi.
E le colpe, ci mancherebbe, non sono
affatto da ricondurre al Comune di
Monfalcone. Le istituzioni possono
solo assistere impotenti alla nota Rivoluzione
dell’ArrotolatoPicanto/No Picanto, l’Insurrezione
degli sputacchi e il Movimento Pisciatina Libera. Sempre secondo i pensatori di cui sopra, i problemi legati alla
sanità, all’ordine pubblico e al rispetto
delle norme igieniche basilari sono imputabili sempre e solo a “loro”, i devastatori che hanno inaugurato lo
sbrodolio, le minzioni e pure lo scagazzo libero in questo ex Bengodi ricolmo di bagni pubblici.
CONTINUA A PAG. 13
Vignette slovene,
siamo sicuri che sono legittime?
Una proposta: per tutti i residenti nelle zone di confine contemplate negli accordi di
Osimo andrebbe abolita ogni forma di pagamento nei tratti superstradali H4 e H5
di Luigi Putignano
A PAGINA 2
l’occhio/a naso
Toilettes pubbliche:
Trieste vs. Capodistria
LO SCHMITZ/1
Abbiamo preso in esame le toilettes più centrali delle due
città, non presentano lo stesso grado di pulizia e manutenzione. E di notte sono chiuse, con disagi immaginabili...
di Luigi Putignano
Un Riccardo III
gigantesco quello
di Gasmann
a pag. 14
A PAGINA 4
antropologie/degradi
Post-Monfalconesi
e la questione stranieri
LO SCHMITZ/2
Moni Ovadia
ci racconta
il mondo khassidico
Monfalcone, da potenziale crocevia di popoli
e culture, è diventata la via crucis
infelice di un’integrazione mancata
di DaviDe Stanic
L’OCCHIO
Al n. 6 di Piazza Oberdan si parcheggia “in
deroga”...
a pag. 3
A PAGINA 12
PRESENTE/PASSATO INTERVISTE
Friuli Venezia Giulia,
una regione male
assortita
a pag. 9
a pag. 13
A colloquio
con E. Loukas (Dimar)
a pag. 8
PRESENTE/PASSATO ECONOMIE
Ronchi dei Legionari o
Ronchi dei Partigiani?
a pag. 10
Vacanze
Giuliane
a pag. 10
2 La Gazzetta Giuliana
#(MAL)TRATTATI
venerdì, 31 gennaio 2014
attualità
Una proposta: per tutti i residenti nelle zone di confine contemplate negli accordi di
Osimo andrebbe abolita ogni forma di pagamento nei tratti superstradali H4 e H5
Vignette slovene,
siamo sicuri che sono legittime?
S
di Luigi Putignano
e oggi da Trieste si
vuole andare a Capodistria rapidamente e su
strade a doppia carreggiata,
senza rotatorie e mini tornanti, arrivati a Rabuiese occorre munirsi della vignetta
del Dars, la società delle autostrade slovene: ovvero
sborsare dai 15 euro per
quella settimanale ai 110 euro
per quella annuale. Questo
dal valico di Rabuiese in poi,
perchè, prima, il moderno
raccordo autostradale (ma
con limiti da strada provinciale!) di Lacotisce e tutta la
Grande Viabilità Triestina
sono “toll free”, senza pedaggio. Fin qui tutto sembrerebbe
quadrare: l’ANAS ha deciso
che da Lisert a Rabuiese si
viaggia gratis, l’omologa slovena, semplicemnte no. ma
non è così semplice come appare. e si, perchè siamo in
quel lembo di terra dove tutto
è legato a dei trattati internazionali. Anche in questo caso
è un trattato che ci viene in
soccorso: Il trattato di Osimo,
fra la Repubblica Italiana e la
Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia, firmato
nell’omonima località il 10
novembre 1975. L’articolo 6
dello stesso recita che “le due
Nei pressi del valico
di Rabuiese
Parti confermano la loro volontà di sviluppare ulteriormente la loro cooperazione
economica con l'obiettivo, in
particolare, del miglioramento delle condizioni di vita
delle popolazioni di frontiera
dei due Paesi.
A questo fine, esse hanno simultaneamente stipulato un
Accordo sullo sviluppo della
cooperazione economica”.
Ed è appunto dall’articolo 5
dell’Accordo sulla promozione della Cooperazione
economica tra la Repubblica
Italiana e la Repubblica Socilaista Federativa di Jugoslavia, anche esso firmato lo
stesso giorno e nella stessa località del succitato Trattato,
che così recita: “Al fine di
agevolare il traffico stradale,
le due Parti collegheranno
Lo svincolo della superstrada H5 in
direzione Trieste
l'autostrada Venezia-TriesteGorizia-Tarvisio alle strade
Nuova Gorizia-Postumia-Lubiana, Fernetti-Postumia e
Erpelle-Cosina-Fiume.
Le due Parti esamineranno
anche tutte le possibilità di
agevolare il traffico di frontiera, soprattutto nelle regioni
turistiche, e decideranno di
comune accordo le misure da
adottare al riguardo”, che
vengono fuori i primi legittimi dubbi sulla legittimità del
balzello applicato ai residenti
della provincia di Trieste e di
parte di quella di Gorizia,
nonchè ai cittadini residenti
nei comuni sloveni confinanti
e oggetto del trattato.
In Italia a compimento delle
indicazioni contenute nel trattato è intervenuto il D.P.R. 6
marzo 1978, n. 100, recante
le norme dirette ad assicurare
l'esecuzione degli obblighi
derivanti dagli accordi italojugoslavi di Osimo del 10
novembre 1975 ed a consentire l'attuazione delle misure
connesse.
Una delle arterie previste dal
D.P.R. 6 marzo 1978, n. 100.
è la nuova strada ANAS 326
Raccordo Lacotisce-Rabuiese
(4,6 km), costata solo per la
progettazione, 1,6 milioni di
euro.
(http://www.regione.fvg.it/raf
vg/comunicati/comunicato.ac
t?dir=/rafvg/cms/RAFVG/not
iziedallagiunta&nm=200811
19164437011)
Sul fronte sloveno, per la superstrada H5 (7,8 km) che
collega Nova Gorica (e
quindi l’Italia) a Razdrto e
all’A1, quindi Lubiana, l’Italia ha contribuito per il 25%
dei 221 milioni di euro occorsi.
(http://ava.rtvslo.si/predvajaj/tuttoggi+edizione/ava2.4
1916224/)
In quest’ultimo caso il Trattato di Osimo è stato tirato in
ballo: la dotazione prevista è
stata erogata secondo la for-
mula del mutuo non oneroso,
cioè senza interessi.
Ma ritorniamo al D.P.R. 6
marzo 1978, n. 100.
L’Art. 3 recita testualmente:
“l'Azienda nazionale autonoma delle strade provvederà alla realizzazione:
- della strada di collegamento tra la regione jugoslava del Collio e Salcano
(strada del Monte Sabotino),
secondo il progetto elaborato
dalla commissione mista
italo-jugoslava di cui all'art.
6 dell'accordo sulla promozione economica, la cui
spesa è valutata in complessive L. 1.550 milioni;
- del collegamento autostradale tra l'autostrada VeneziaTrieste-Gorizia-Tarvisio ed il
valico confinario di S. Andrea (Gorizia), mediante il
completamento dello svincolo terminale con la strada
statale 55 e con il valico confinario di S. Andrea e la realizzazione di opere varie
venerdì, 31 gennaio 2014
stero dei lavori pubblici, per
essere
assegnate
all'A.N.A.S., le somme di L.
15.500 milioni nell'anno
1978 e di L. 25.000 milioni
in ciascuno degli anni dal
1979 al 1981”.
conseguenti alla costruzione
di tale svincolo e dell'autoporto di S. Andrea, la cui
spesa complessiva è valutata
in L. 1.500 milioni.
L'Azienda nazionale autonoma delle strade provvederà inoltre, anche a mezzo
di enti locali o loro consorzi,
oppure di società o consorzi
a prevalente capitale pubblico, tramite stipulazione di
apposita convenzione, alla
realizzazione dei collegamenti autostradali, senza pedaggio, fra l'autostrada
Venezia-Trieste-Gorizia-Tarvisio ed i valichi confinari di
Fernetti (Trieste), di Pese
(Trieste) e di Rabuiese (Trieste) al cui scopo viene destinato
un
contributo
complessivo di L. 87.500
milioni.
A tale fine sono iscritte nello
stato di previsione del Mini-
La Gazzetta Giuliana 3
attualità
Dalla lettura del succitato articolo si evince che l’Italia
ha, quindi, recepito in toto
gli auspici del Trattato di
Osimo, comprese “tutte le
possibilità di agevolare il traffico di frontiera, soprattutto
nelle regioni turistiche”. La
Slovenia non reputa che questo passaggio dell’articolo 5
dell’accordo indichi la possibilità o meno di esigere pedaggi sulla propria rete. E,
quindi, anche se si tratta di
superstrade, senza corsia
d’emergenza e quindi non
equiparate alle vere e proprie
autostrade, indica le due arterie tra le tratte soggette all’esposizione della vignetta.
Personalmente credo che si
tratti di una forzatura. L’annullamento del pedaggio nel
territorio sloveno, così come
indicato dagli accordi, porterebbe benefici sia di là che di
quà, in primis un deciso incremento del pendolarismo
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italiano verso le strutture
commerciali e turistiche del
litorale sloveno; inoltre agevolerebbe non poco il tragitto che i tanti pendolari
sloveni devono percorrere
quotidianamente per raggiungere Trieste.
Ma sarebbe anche un gesto
di reale apertura nei confronti delle minoranze presenti nei territori.
Sarà dura, tra l’altro ci ha già
provato la Provincia di Trieste alcuni anni fa: il sottosegretario Jakomin, in risposta
all'iniziativa della Bassa Poropat in un primo momento
aveva spiegato che il Ministero dei Trasporti della Repubblica di Slovenia, in
collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri,
stava valutando la possibilità
menzionata nella Sua nota, al
fine di garantire anche alla
popolazione residente nella
Provincia di Trieste il transito gratuito sul determinato
territorio della Repubblica di
Slovenia secondo i principi
di reciprocità. Sappiamo poi
che, quando i cordoni euro-
pei si sono allentati, la valutazione a dato esito negativo.
Ad oggi non c’è reciprocità
di trattamento. E di questo
‘Iitalia deve tenerne conto.
Studio
dott. Flavio Giordani
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4 La Gazzetta Giuliana
#SOSTE
V
di giorgio De coLa
ogliamo porre all’attenzione l’annoso
problema rappresentato dalla presenza di alcune
auto “diversamente” parcheggiate in aree in cui non è permesso. Il normale cittadino
che, in caso si sosta in piazza
Oberdan, è costretto al pagamento di una tariffa oraria,
può notare, con sorpresa, che
lo spazio antistante la sede
della Regione è affollato permanentemente da vetture, nonostante il divieto assoluto di
sosta con tanto di minaccia di
rimozione forzata - come appare sull’immagine riportata.
La sorpresa, poi, si accentua
con la constatazione che la
trasgressione al severo divieto
non viene sanzionata con la
prevista multa. La soluzione
del mistero è data dalla lettura
di un foglietto esibito sul cruscotto delle vetture posteggiate. In esso si legge, scritto
a caratteri ben leggibili “Permesso di Transito e fermata
operativa", permesso concesso in "deroga al divieto vigente (comma 4 art.7 del
C.d.S. (Codice della Strada)”,
emesso dall’Ufficio Permessi
del Comune di Trieste. Inoltre, sempre in grandi caratteri,
appare chiara la dicitura "Regione Friuli Venezia Giulia
Consiglio Regionale" con
l’esplicazione "in deroga ai
divieti di circolazione e di sosta stabiliti dall'art.7 C.d.S.
Zona P.zza Oberdan - attività:
Servizio Pubblico". Traducendo il burocratese in un linguaggio comune si desume
che l'autorità comunale ritenga che avere a che fare con
il Consiglio Regionale, o perchè eletti o per qualsivoglia
servizio ad esso connesso,
deve essre considerato "Servizio Pubblico". E' una opinione degna di rispetto, ma
non si comprende come possa
essere tutelata dal vigente Codice della Strada in deroga ai
divieti stabiliti dalla stessa autorità comunale. Per la precisione il richiamato comma 4
art.7 del C.d.S. recita: "Nel
caso di sospensione della circolazione per motivi di sicurezza pubblica o di sicurezza
della circolazione o per esigenze di carattere militare, ovvero laddove siano stati sta-
venerdì, 31 gennaio 2014
l’occhio/1
Permessi concessi in "deroga al divieto vigente (comma 4 art.7 del C.d.S. (Codice della Strada)”,
ed emessi dall’Ufficio Permessi del Comune di Trieste
Al n. 6 di Piazza Oberdan
si parcheggia “in deroga”...
biliti obblighi, divieti o limitazioni di carattere temporaneo o permanente, possono
essere accordati, per accertate
necessità, permessi subordinati a speciali necessità e cautele. Nei casi in cui sia stata
vietata o limitata la sosta, possono essere accordati permessi subordinati a speciali
condizioni e cautele ai veicoli
riservati a servizi di polizia e
a quelli utilizzati dagli esercenti la professione sanitaria,
nell'espletamento delle proprie mansioni, nonchè delle
persone con limitata o impedita capacità motoria, muniti
del contrassegno speciale."
Dalla attenta lettura del testo
di legge, espressamente citato
nei permessi in questione, non
si riesce a ravvisare alcun
nesso tra gli addetti, a qualsivoglia titolo, al Consiglio
Rgionale, e i previsti "servizi
di polizia" o "gli esercenti la
professione sanitaria", ne
tanto meno "le persone con limitata capacitè motoria". La
realtà, in verità, è molto più
banale e censurabile. Si è voluto riservare, con discutibile
privilegio, delle aree pubbliche a una particolare categoria
di persone, legate in qualche
modo alle attività regionali,
per non avere avuto il coraggio, o forse per un residuo pudore, di apporre una bella,
sfacciata e fuori norma segnaletica con la dicitura “Riservato ai Consiglieri Regionali”,
in aggiunta agli amplissimi
spazi già esistenti all'interna
del complesso regionale.
Ai menzionati comuni cittadini và, comunque, fornita
qualche spiegazione.
colophon
La Gazzetta Giuliana
Pubblicazione periodica registrata presso il Tribunale di Trieste il 08/03/2013, nr. 1264
Edito da GIULIANA EDITRICE S.A.R.L.
Direzione e redazione: via della Geppa, 4 - 34132 Trieste Tel 040 3473977 Fax 040 3481465 e-mail [email protected]
DIRETTORE RESPONSABILE
Luigi Putignano
COORDINAMENTO REDAZIONALE
Luca Lopardo
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO
Mario Cotta, Giorgio De Cola, Matteo Di Bari, Norberto Fragiacomo, Alice Gregori, Lorenzo Natural, Piero Rosso, Davide Stanic
IMPAGINAZIONE GRAFICA:
Ellepi
STAMPA Edigraf, Via dei Montecchi, 6 Trieste
chiuso per la stampa il 16 gennaio 2014
venerdì, 31 gennaio 2014
#A NASO
l’occhio/2
La Gazzetta Giuliana 5
Abbiamo preso in esame le toilettes più centrali delle due città: entrambe gratuite (cosa
di per sè ammirevole) non presentano lo stesso grado di pulizia e manutenzione. E di
notte sono chiuse, con disagi immaginabili...
Toilettes pubbliche:
Trieste vs. Capodistria
V
di Luigi Putignano
ogliamo affrontare il
problema delle pubbliche toilettes, un
argomento sicuramente sui
generis ma che spesso non
viene affrontato con la giusta
attenzione. Il problema dei
bagni pubblici è particolarmente sentito in quelle città
che, per tradizione, clima,
cultura, tendono a prolungare
la sosta, il passeggio lungo e
verso i centri d’aggregazione
cittadini anche a notte tarda,
in special modo con la bella
stagione (ma anche durante le
frequenti belle serate invernali e autunnali).
Cominciamo con Trieste. La
pubblica toilette presa in
esame è quella che insiste in
Piazza Ponterosso, lato BNL.
Si tratta di una struttura sotterranea, con due ambienti
separati divisi per genere.
Non è utilizzabile da persone
diversamente abili per la presenza di barriere architettoniche; difatti non esiste un
ambiente dedicato. L’interno,
non adeguatamente pulito, e
presenta alcuni servizi fuori
uso. Ma la cosa che salta più
“al naso” (nel vero senso del
termine!) è l’olezzo nauseante che vi si respira. Non
consigliabile ai deboli di stomaco. Non abbiamo rintracciato alcun custode o
inserviente. Un’ambiente assolutamente inospitale per
bambini. Ciliegina sulla torta,
l’orario: dalle 9:00 alle 19:00.
Dopo le sette di sera occorre
andare in giro per locali a
chiedere di uilizzare i loro
servizi (spesso previa obbligatoria consumazione). Di
notte, arrangiatevi. Ma attenti
che le multe per chi viene
beccato a farla per strada
sono salate. Multe che in
mancanza di vespasiani
aperti 24ore su 24 sarebbero
illeggittime in quanto, in una
determinata fascia notturna,
non viene garantita la minzione in ambienti appositi. E,
non essendo soggetti a coprifuoco notturno, ai cittadini
“nottambuli” deve essere garantita la possibilità di espletare i propri bisogni
fisiologici in locali appositi.
Eppure anni orsono Trieste
aveva in varie zone della città
vespasiani (in realtà spesso
maleodoranti) che servivano
alla bisogna.
In conclusione il servizio
pubblico “underground” di
Piazza Ponterosso è decisamente da migliorare, sia per
quel che concerne la pulizia
che per quel che riguarda la
fruibilità e gli orari.
Passiamo ora ad analizzare la
toilette di Capodistria.
Abbiamo preso in esame il
bagno pubblico situato nel
fabbricato posto tra Pristaniska ulica e Semedelska
Cesta. Si tratta di una struttura posta a livello della piazzetta a giardino. L’interno,
curatissimo e pulito, consta di
ambienti diversificati per uomini, per donne, per persone
diversamente abili e anche di
uno spazio dedicato a famiglie con bambini piccoli (con
consolle fasciatoio). Si avverte un senso di pulizia e decoro
encomiabili.
Al
contrario non si avvertono
olezzi ma profumo di detergenti sanitari. Presente nella
struttura un’addetta alle pulizie che ci ha confermato la
ciclicità quotidiana della pulizia. Le dotazioni sono tutte
in perfetto stato e allestite con
buon gusto, con un occhio all’estetica e al design. Promossa, quindi, la toilette di
Capodistria, e a pieni voti.
Unica nota stonata (ma sempre meglio che in quel di trieste): l’orario di apertura va
dalle 7:00 alle 22:00. Di notte
anche a Capodistria c’è da arrangiarsi.
In conclusione, che dire, oggi
a Capodistria fare la pipì è
più piacevole che farla a Trieste.
... e a Capodistria
... a Trieste (le foto in basso)
6 La Gazzetta Giuliana
#STATI
interviste
venerdì, 31 gennaio 2014
Il membro greco-triestino del Comitato centrale di Sinistra Democratica auspica, per la Grecia, un governo di cambiamento con SYRIZA, che dovrà però abbandonare le proprie “posizioni populiste”
E. Loukas (Dimar): non si può
governare un Paese in crisi senza
una grande alleanza politica e sociale
I
di norberto Fragiacomo
ncontro l’ingegner Efstathios “Stathis” Loukas al
Caffè S. Marco, storico
luogo di ritrovo di artisti e
letterati triestini (Claudio
Magris ha combattuto un’appassionata battaglia per scongiurarne la chiusura). Tutto,
in questo locale, richiama la
Trieste cosmopolita di cent’anni fa: le decorazioni art
noveau, la compostezza degli
avventori, la presenza, tra
loro, di un rabbino e di un regista greco che, accompagnato dallo sceneggiatore, illustra la sua ultima opera,
presentata proprio in questi
giorni al Trieste Film Festival. Qui dentro, insomma, si
respira un’aria vivace, multiculturale; fuori la strada intona la monotona canzone
d’un presente gramo. E proprio di attualità – e più precisamente di quanto sta avvenendo in Grecia – parliamo
Stathis ed io, davanti ad un
caffè nero e ad un tè.
Gli chiedo di presentarsi ai
lettori, ma lui mi precede,
consegnandomi un foglio
word che contiene, oltre ai
dati fondamentali, una sua
analisi della situazione politica ellenica: vengo così a sapere che dal ’72 al ’74 è stato
segretario della Federazione
italiana del Partito Comunista Greco dell’interno (nato
da una scissione del KKE e
molto vicino al PCI italiano);
nel frattempo dirigeva la rivista “Quaderni della Resistenza Greca”. Di particolare
rilievo è il conferimento della
medaglia al valor civile per
la Resistenza contro la dittatura dei colonnelli. Di altri
fatti ero già al corrente: dopo
la laurea all’Università di Bologna, Loukas, già sposato
con un’italiana, si è stabilito
a Trieste; dal 2011 fa parte
del Comitato centrale di DIMAR/Sinistra Democratica,
una formazione politica che,
dopo aver contribuito a dar
sta alleanza di sinistra per
un governo di cambiamento?
Si intravvedono, allo stato
embrionale, gli elementi di
che dicono: mai più un governo con Nuova Democrazia (la destra europeista di
Samaras, ndr). La sopravvivenza del partito è ormai solo
vello europeo, e pare che
Schultz se ne renda conto.
vita al gabinetto Samaras
(2012), ne è uscita la scorsa
estate per incomponibili divergenze (sabotaggio della
Nuova Legge Antirazzista da
parte di Samaras e suo colpo
di mano con la chiusura della
RadioTV). Precisa, a voce,
che “un compromesso non
può reggersi con radici unidirezionali”, ed aggiunge di
essere “esponente di una corrente di pensiero che all’ultimo congresso del partito, a
metà dicembre, ha ottenuto
il 25% dei voti in seno al Comitato centrale – 26 su 111 –
per uno spostamento più a sinistra, nella prospettiva di
un’alleanza con SYRIZA per
un governo di cambiamento.”
formazione di un blocco alternativo di potere, che per
governare il Paese deve comprendere SYRIZA, Sinistra
Democratica ed il partito che
verrà fuori dalla fase di purgatorio che attraversa il PASOK. Il PASOK è in dissoluzione, perché è venuto
meno il blocco sociale che lo
ha portato e mantenuto al potere per 24 anni. C’è un movimento, detto dei 58, formato da gente proveniente
dal PASOK e gente che migrava tra sinistra e Pasok, che
chiede lo scioglimento del
partito, in modo da potersi
presentare alle elezioni europee. All’interno del movimento c’è pure un’ala che fa
capo a quadri di DIMAR.
Inoltre, oltre ai 58 vi sono
quadri e correnti del PASOK
formale, per l’estrema frammentazione al suo interno: i
58, assieme agli altri contestatori e all’ex Primo Ministro Simitis, il “padre protettore”, hanno come punto di
riferimento il PSE.
domanda è: davvero ci si
può fidare del PSe? gli
esecutivi socialisti in Spagna e Portogallo, l’ex
Primo ministro Papandreou da voi, non mi sembra abbiano opposto
grande resistenza ai diktat
della troika… cosa vi fa
credere che sia cambiato
qualcosa?
Quello della credibilità dei
socialisti è, in effetti, un
grosso problema. Voglio però
citare le parole del socialista
portoghese Mario Soares,
quando dice: “qui non si
tratta di numeri o dati statistici, si tratta della vita reale.
Lavoro o disoccupazione, un
letto all’ospedale oppure polmoniti sotto i ponti. Qua è in
gioco la politica e l’etica.”
Una citazione che può senza
come la immaginate que-
come è possibile conciliare
questo legame con il PSe
con il sostegno alla candidatura di alexis tsipras a
Presidente della commissione avanzata dalla Sinistra
europea
contro
Schultz, l’uomo indicato
dal PSe?
Secondo la mia opinione, se
Tsipras non vince direttamente e gli serve un’alleanza
– cosa ovvia - appoggerà
Schultz, ponendo precise
condizioni programmatiche.
Urgono cambiamenti a li-
Per quanto riguarda l’urgenza, nessun dubbio. La
difficoltà riguardare la Grecia
attuale.
a proposito di letti all’ospedale, qual è oggi la situazione in grecia? Si parla,
nei media mainstream, di
un miglioramento dei conti
pubblici…
La disoccupazione giovanile
è al 58%, il dato dichiarato
di quella complessiva supera
il 27… ma se si contano anche quelli che non cercano
più lavoro, siamo oltre il 30
(secondo l’Istituto di ricerche
della Confederazione Generale del Lavoro), mentre il
debito ha superato il 170%
del PIL. In più, bisogna considerare la dissoluzione del
sistema sanitario, l’attacco a
tappeto contro i diritti dei lavoratori e quelli di cittadinanza ecc. La situazione è
drammatica: ci sono circa
400 mila famiglie senza lavoro, la gente, cui è stata tagliata l’elettricità, muore per
l’emissione di gas tossici
dalle stufe… per scaldarsi si
utilizza qualsiasi cosa bruci,
anche sostanze proibite. Ad
Atene sopra la città c’è una
coltre di smog come a Londra fino agli anni ’50. Attraverso la crisi viene in superficie il ruolo sociale dei
grandi enti di produzione di
energia elettrica. Il governo,
su pressioni del PASOK, dei
Sindaci e dell’opposizione di
sinistra, ha costretto l’Enel
greco a riallacciare l’elettricità dove era stata tagliata,
per rispondere alla strage sociale. Tra l’altro, si è creato
un movimento che si oppone
alla privatizzazione totale
dell’ENEL greco e per la difesa dei Beni Comuni. Per
quanto riguarda la sanità,
quella pubblica non esiste
più: l’unica differenza con gli
Stati Uniti è che chi non può
“
venerdì, 31 gennaio 2014
permettersi di pagare viene
accolto in ospedale e gli si
dà un letto… ma solo per
morire, le cure sono riservate
a chi ha i soldi. Si voleva introdurre un ticket di entrata
di 25 euro, poi il provvedimento è stato lasciato cadere
per l’opposizione sociale.
C’è però un aspetto positivo:
molti medici usano il loro
tempo libero per aiutare le
persone invece che per lucrare. Il miglioramento dei
conti pubblici? C’è stato per
la prima volta un avanzo primario, ma è fittizio: dipende
dai tagli pesantissimi.
un quadro terrificante, anche se la nostra tv non ne
parla. e la questione degli
espropri delle abitazioni,
imposti dalla troika?
C’è già una legge del 201011, che pone delle limitazioni
legate al reddito. La troika
l’ha chiesto, ma la richiesta
non è ancora stata formalizzata. C’è un problema: non
esiste il tavolare che copra
tutta la Grecia e neppure una
piena conoscenza dei redditi,
perciò procedere sarebbe in
ogni caso difficile, l’abusivismo è diffusissimo, e nella
parte nord-orientale di Atene
riguarda abitazioni di pregio.
Il governo fa resistenza passiva, perché il PASOK è contrario, ed anche l’opposizione, ovviamente, avversa il
provvedimento. Cercano un
escamotage…
L’interesse mediatico per la
grecia era anche frutto dei
continui scioperi di massa.
c’è meno fermento oggi nel
Paese?
Sì, non ci sono più grandi
manifestazioni come un anno
e mezzo fa. Questo per due
ordini di ragioni: la prima è
che, a fronte di un taglio delle
retribuzioni del 30-40%, i lavoratori non possono permettersi di perdere 50-70 euro al
giorno per uno sciopero.
L’altro ostacolo è il discredito che circonda il sindacato. Fino agli ’80 il sindacalismo era “giallo”; i
sindacalisti veri, tutti comunisti, erano banditi dallo
Stato, con l’unica eccezione
del comparto edilizio. Col
PASOK al potere si crea un
sindacalismo dello scambio
corporativo, cui venivano garantiti privilegi economici e
sociali. Faccio un esempio:
secondo informazioni giornalistiche, il reddito del se-
gretario generale della Federazione del Lavoro greca è
intorno ai 180 mila euro annui, quattro-cinque volte lo
stipendio di Landini qua in
Italia. Quindi è sputtanato.
Quando ancora lavoravo i
colleghi giovani mi dicevano
che al sindacato mancava la
La disoccupazione
giovanile è al 58%, il
dato dichiarato di quella
complessiva supera il
27… ma se si contano
anche quelli che non
cercano più lavoro,
siamo oltre il 30
Alexis Tsipras
credibilità, poi però su questioni concrete si impegnavano. Io creai un rapporto su
questo punto: se chiediamo
un aumento dobbiamo dimostrare che qui si costruisce
qualcosa che dà un risparmio
energetico ecc. Insomma, se
fai ai giovani un discorso alla
Landini a proposito del come
si produce il consenso lo ottieni.
torniamo alle prossime elezioni europee, che potrebbero fare da prologo a
quelle nazionali, se il governo dovesse cadere. tsipras è un candidato che
piace, ci sono delle personalità, in italia, che vorrebbero indicarlo come capolista anche qui da noi. cosa
ne pensate, in grecia?
Premesso che il mio partito,
DIMAR, si presenterà da
solo alla consultazione e che
ha già fatto domanda di adesione al gruppo europarlamentare del PSE, su Tsipras
capolista devono decidere le
forze italiane. Certo, l’appoggio offerto a Tsipras da personaggi come Barbara Spi-
interviste
nelli, il padre della quale è
molto conosciuto in Grecia
tra chi segue la politica, Camilleri e Gallino ecc. – ed
anche da parte di intellettuali
belgi – ha avuto una ricaduta
positiva sui sondaggi: in
quello odierno (22/1) SYRIZA supera per la prima
volta il 31% delle intenzioni
di voto, ultimamente con un
vantaggio di 2-3,5 punti su
Nuova Democrazia. Queste
aperture, insieme alla scelta
pro euro e pro Europa fatta
nel congresso dell’estate
scorsa, hanno rafforzato anche dentro SYRIZA la posizione europeista. La questione
è
che
contemporaneamente alle europee si svolgeranno le elezioni regionali e comunali e
alle amministrative per SYRIZA si presentano gli stessi
problemi che, in Italia, ha il
M5S: passando in pochissimo tempo dal 5 al 30% non
è riuscita a formare quadri
locali, e questo rischia di pagarlo in termini di voti, perché potrebbe vincere le europee e non vincere le
consultazioni locali. In ogni
caso, venendo alle consultazioni nazionali, che potrebbero tenersi in autunno in
caso di pesante sconfitta, a
maggio, delle forze governative, il problema per SYRIZA, anche in caso di vittoria, è che non si può
governare un Paese senza
una grande alleanza politica
e sociale, quindi è indispensabile un accordo programmatico con le forze intermedie. L’ingresso in Parlamento
di DIMAR servirà a spronare
SYRIZA ad abbandonare alcune posizioni populistiche.
Riaggregando la forza che
viene dal purgatorio del PASOK si potrebbe arrivare a
quei 160 deputati (su 300)
necessari per una maggioranza ampia, e magari superare la soglia. Non va tra l’altro sottovalutato il pericolo
Alba Dorata (terzo partito nei
sondaggi, oltre il 10%), che
continua a crescere nelle intenzioni di voto malgrado un
terzo dei suoi deputati stia in
carcere.
Parli di populismo, ma per
quale motivo escludi dal
novero delle possibilità (e
lo stesso fa SYriZa, a
quanto pare) un’uscita
dalla ue e dall’euro? La
posizione del KKe sul
punto è immutata, imma-
gino.
Sì, il KKE resta aprioristicamente contrario all’Europa e
continua a proporre il potere
popolare e la nazionalizzazione dell’economia; nel penultimo congresso hanno riabilitato Stalin. Recentemente
hanno criticato il defunto segretario Florakis, accusato di
essere stato troppo pragmatico. Lui era stato nei lager,
cercava collaborazioni e
compromessi con le altre
forze di sinistra. Uscire oggi
dall’euro, come pretendono
loro, comporterebbe per il
Paese un costo enorme, maggiore di quello pagato sin qui.
Nonostante la crisi, i sondaggi dicono che la stragrande maggioranza dei greci
è contraria all’uscita dall’Unione, anche perché noi
abbiamo problemi geopolitici
(le tensioni con la Turchia,
ndr) che l’Italia non ha.
Senza lo strumento di pressione di un possibile abbandono dell’euro non rischia
un eventuale governo tsipras di risultare contrattualmente debolissimo nei
confronti della troika, e di
fare quindi la fine dell’esecutivo Papandreou, che
pure aveva proposto agli
elettori un programma di
sinistra?
Sì, ma a livello europeo riconoscono che il debito
greco non è estinguibile,
come conferma lo stesso
FMI. Secondo me, Tsipras
punterà ad entrare in trattative con la UE perché la maggior parte del debito è oggi
nelle mani delle istituzioni
europee. Urgono trattative, la
crisi sociale è gravissima, lo
vedono tutti. Noi pensiamo
che un governo debba proporre un programma condiviso, che tenga conto della
situazione creatasi. I Memorandum hanno peggiorato la
crisi endogena senza costruire soluzioni di uscita, destrutturando economia reale
e società, polverizzando il lavoro e limitando la Democrazia. Non va dimenticato
che le eventuali elezioni politiche potranno tenersi solo
dopo le europee, che perciò
ci diranno quale sarà la futura
politica della UE. In ogni
caso, la nascita di un fronte
mediterraneo che prema sulla
Germania agevolerebbe il
nostro compito: la candidatura Tsipras va in questa direzione.
La Gazzetta Giuliana 7
Quindi un’europa a guida
socialista potrebbe, secondo te, offrire maggiori
spazi di manovra al
(nuovo) governo greco; se
invece vincessero le destre
a primavera ci sarebbe
tempo per escogitare le opportune contromisure. La
domanda che segue si riallaccia alla turbolenta storia
ellenica del dopoguerra: c’è
il rischio di un colpo di
stato militare, nell’eventualità di una affermazione
elettorale delle sinistre a livello nazionale?
In Grecia, dopo la caduta dei
colonnelli anche durante il
dominio di Karamanlis (’74’81) e con le gestioni PASOK
e ND c’è stato un repulisti
nelle Forze Armate. Capo
delle FFAA è diventato un
ammiraglio che, nel ’73, era
fuggito in Italia (cacciatorpediniere Velos). Il problema
non è là, anche se si sono trovati nella polizia simpatizzanti di Alba Dorata: dagli
anni ’70 è fortissimo il sindacato di polizia. Non vedo
in Italia rappresentanti dei
sindacati di polizia che parlano con altrettanta chiarezza. Elementi reazionari
nelle FFAA ci sono, ma
l’esercito è democratico, di
leva. No, non vedo rischi di
un colpo di stato… il vero rischio è quello di un colpo di
stato economico, anche se
l’ex membro greco del FMI
ha riconosciuto – e ci sono
state discussioni all’interno
del FMI - che nel 2009-2010
sarebbe bastato un piccolo
intervento per salvare la Grecia. Ma non si è voluto farlo.
appunto, non si è voluto. il
mantenimento di un esercito di leva mostra comunque che i politici greci sono
stati più saggi – o meno farabutti – di quelli italiani.
mi pare di aver capito che,
al di là della politica, la popolazione greca sta sviluppando un senso di solidarietà
che
potremmo
definire “socialista”, è così?
Sì, c’è un forte movimento
di solidarietà locale influenzato da tutti i gruppi e le
forze politiche di Sinistra
KKE, DIMAR, SYRIZA:
pensiamo ai medici che
fanno ambulatori collettivi,
dove curano gratis chi non
può permettersi l’assistenza,
ad esempio. Anche la Chiesa
Ortodossa partecipa alla
campagna di solidarietà con
atteggiamento esplicito: i ristoranti di proprietà ecclesiastica lavorano molto, al pari
delle mense comunali, per
sfamare i cittadini impoveriti.
Molti supermarket hanno
promosso una catena di solidarietà: i clienti forniti di denaro possono lasciare un’offerta – di merci - in un
recipiente per contribuire alle
spese delle mense.
*
*
*
Queste ultime – l’affidabilità
delle Forze Armate ed il diffondersi di una solidarietà
che, senza volerlo, assomiglia tanto al Socialismo - mi
paiono le uniche note squillanti in una sinfonia tragica.
Ringrazio il compagno Stathis per la consueta disponibilità e gentilezza (ormai è
una vecchia conoscenza del
sottoscritto!) e risistemo velocemente gli appunti. C’è
qualcosa che non mi persuade nella strategia della sinistra greca, così come è stata
delineata… non so, una sorta
di “ottimismo della volontà”
che stride con la descrizione
impietosa e drammatica della
situazione odierna. Misurarsi
con un baro conclamato seguendo scrupolosamente le
regole – cioè, rinunciando sin
dal principio a nascondere
nella manica gli “assi” no
euro/via dall’Unione/sospensione del pagamento dei contributi alla UE/ripudio dei
trattati capestro/rifiuto di pagare il debito, e persino a
bluffare - mi sembra un po’
da ingenui, e nonostante le
lacrime di coccodrillo versate
ultimamente da alcuni funzionari dubito che la troika
possa mutare rotta, “umanizzarsi”: il recentissimo diktat
riguardante la vendita all’asta
delle prime case induce al
pessimismo. Fidarsi del PSE,
poi, è un atto di fede nei confronti di una “divinità” che,
a giudicare dai comportamenti tenuti dal ’90 ad oggi,
merita più disprezzo che
preci. Mi auguro insomma
che, perlomeno a livello europeo, Tsipras e SYRIZA
non cedano all’esiziale logica
del “non c’è alternativa” –
logica che ha propiziato questo killeraggio definito
“crisi” da esperti e media.
Non sta a me, d’altra parte,
suggerire ai greci quel che
debbono fare.
8 La Gazzetta Giuliana
#TOPONOMASTICA
presente/passato
venerdì, 31 gennaio 2014
Marco Barone, che ha chiesto la revoca della cittadinanza onoraria conferita
a Benito Mussolini nel 1924, ci spiega perché “Ronchi dei Partigiani” sarebbe una denominazione certamente più giusta di “Ronchi dei Legionari”
Ronchi dei Legionari o Ronchi dei
Partigiani? E perchè no Ronchi e basta?
I
di Piero roSSo
l 14 gennaio è uscito sul
blog Giap del collettivo
di scrittura Wu Ming un
intervento di Marco Barone,
blogger e attivista, intitolato
“Da Ronchi «dei Legionari»
a Ronchi dei Partigiani. Di
cos’è il nome un nome?” a
riguardo del quale gli poniamo alcune domande.
Potremmo dire: fare la Storia e interpretarla non sembrano essere due attività
così differenti. il grumo di
significati che circonda un
termine, quando lo pronunciamo, è l'effetto di una politica culturale. ad esempio,
quando parliamo di impresa,
a
proposito
di Fiume, in qualche modo
sottintendiamo anche eroismo, audacia, conquista,
Popolo nemico, Diverso; il
nostro modo di pensare
s’incaglia sui significati dati
da una certa epoca, come
quella fascista, a una parola
o a un evento. nel caso di
ronchi, uno dei temi da lei
evidenziati è stato quello relativo alla 'razza'. cosa diciamo, in realtà, ogni volta
che pronunciamo quel «dei
Legionari»?
«Dei Legionari», con la vera
identità sociale e culturale di
Ronchi, non ha alcun elemento minimo di condivisione: all’impresa di D’Annunzio non parteciparono i
cittadini di Ronchi. La città
fu niente più che una base logistica temporanea e i ronchesi, per quello che ho potuto verificare, non ebbero
alcun legame con i Legionari.
A conferma di ciò sembra esserci la vicenda del monumento a D’Annunzio non voluto a Ronchi, perché
considerato come una esaltazione ad una impresa fascista, ed eretto alla fine a Monfalcone. Non posso che
reputare figlia della cultura
fascista la denominazione
«Dei Legionari», correlata
Marco Barone
“
alla vendetta della ‘vittoria
dolorosa’ e all'impresa che
racchiude tutti i caratteri
dello spirito risorgimentale,
irredentista, imperialista
epico fatto proprio dal fascismo e da D'Annunzio. Lo
stesso vale per lo spirito di
Tra alcuni cittadini di
Monfalcone, per fortuna
oggi solo una minoranza – da non sottovalutare – si diffondono
leggende che fomentano l’odio razziale,
superiorità della civiltà latina
nei confronti di quelli che venivano chiamati dallo stesso
D'annunzio ‘barbari’ o
‘schiaveria bastarda’ o ‘mandrie di porci’, in altre parole
gli sloveni, i croati, i serbi,
ecc. Non a caso, la deliberazione con la quale si aggiunse al nome Ronchi quel
«Dei Legionari» è avvenuta
sotto il fascismo. Per ottenerla, il consiglio comunale
di quel tempo decise di conferire la cittadinanza onoraria
a Mussolini.
Il fascismo, insomma, fece
proprio l'evento, la marcia su
Fiume, pericoloso per la pace
e gli equilibri appena maturati dopo la prima guerra
mondiale, impresa che ha
reso reale il rischio di isolamento politico ed economico
per l'intero Paese, il rischio
di un conflitto con la Jugoslavia, una “bomba” che
ispirò nei gesti, nei simboli e
nel linguaggio la marcia su
Roma. E' interessante a tal
proposito riportare anche
quanto scrisse D'Annunzio
nel “Libro segreto” (1935):
“Cursore leale ho trasmesso
con tutti i miei segni la face
all’uomo novo che l'Orbo
veggente aveva annunziato
nei suoi Canti della Ricordanza e dell'Aspettazione”.
L'uomo novo è Mussolini, e
D'Annunzio consegna la “vittoria non più mutilata” a
Mussolini.
narrazione storica che la riguarda entro nuovi confini? Penso, a questo proposito, alla proposta di
rinominarla "ronchi dei
Partigiani".
Ogni evento, ogni circostanza, ogni fatto, non può rimanere immutato nella rigidità del tradizionalismo,
poiché ogni evento condiziona il presente e il futuro.
Per il futuro più immediato,
vogliamo revocare la cittadinanza onoraria di Mussolini
a Ronchi, grazie alla denuncia che ho effettuato nel novembre del 2013, raccolta dal
Sindaco di Ronchi, dall'Anpi,
Prc, movimenti e tantissimi
cittadini e cittadine; inoltre
vogliamo proporre, in via democratica, l'eliminazione
della denominazione «Dei
Legionari», non legata all’identità sociale e culturale
della cittadina, e incompatibile con la Medaglia d’Argento al valor militare assegnata a Ronchi per l’attività
partigiana svolta dai suoi cittadini dopo l’8 settembre
1943.
La proposta nasce come provocazione culturale, politica
e sociale e storica, ha lo
scopo di mettere in discussione il nome attuale. A parer
mio, visto l'impegno dei cittadini nella storia della Resistenza, la proposta è certamente più consona alla storia
di Ronchi. Mi accontenterei
dell’eliminazione della denominazione «dei Legionari»,
ma se si riuscisse ad aggiungere «dei partigiani», cosa a
cui anche miriamo come
gruppo, sarebbe importante e
significativo, potrebbe esser
il primo Comune d'Italia intitolato formalmente ai Partigiani. Una forma di dignità.
D'altronde il nome di una
città - come più in generale,
ogni nome - sarà sempre incompleto, non potrà mai
dire tutto della storia di un
paese, né accontentare
tutti. cambiare nome alla
città non rischia di diventare un’altra selezione di significati, di richiudere la
Questo ovviamente rimanda a una questione più
grande e ancora attuale che
è quella identitaria. Le migrazioni sul territorio
hanno rimesso in discussione l'identità di chi ci abitava. che lezione si potrebbe apprendere dalla
questione di Fiume nella
gestione dei rapporti con i
nuovi cittadini? esiste
un'altra maniera di gestire
la cultura che non si limiti
al tentativo di imporre i
propri canoni e che prenda
le distanze da quello "spi-
rito imperialista epico" di
cui lei parlava?
Monfalcone è un caso sociale
che sta implodendo; sono intervenuto più volte a riguardo: spesso forme esistenti di razzismo sono state
celate sotto il politicamente
(s)corretto, o con la discriminante dello sfogo. Si legittima la caccia allo straniero;
si organizzano ronde che fotografano atti di presunta inciviltà da parte degli immigrati;
si
analizzano
addirittura, come mi è stato
segnalato, i rifiuti lasciati per
strada e se ne attribuisce la
provenienza agli immigrati,
con una presunzione incredibile.
Tra alcuni cittadini di Monfalcone, per fortuna oggi solo
una minoranza – da non sottovalutare – si diffondono
leggende che fomentano
l’odio razziale, anche tra la
maggioranza dei monfalconesi, che ancora cerca di rifiutare questi discorsi. A
Roma, forze di estrema destra, hanno realizzato il ‘Bangla Tour’: squadre neofasciste sono partite per dare la
caccia ai bengalesi, vittime
perfette per le spedizioni punitive perché soggetti socialmente indifesi. Pestaggi, insulti, offese, ronde, riti
violenti, che hanno trovato
legittimazione nelle dicerie
popolari, e che sono sfociate
in assalti razzisti.
L'integrazione è possibile,
Fiume deve insegnare che
non è tanto la maggioranza
della popolazione a determinare l'identità di una città, ma
il confronto di tutte le parti,
e le Istituzioni devono fungere da tramite. Non serve la
repressione, perché rischia di
peggiorare i rapporti, ma la
prevenzione, la cultura,
l'istruzione e la reciprocità:
bisogna saper cogliere le
cose positive dalle situazioni
multietniche; d'altronde se si
parla di “Europa dei popoli”
c’è un motivo. Certo, il modo
in cui funziona l'Europa oggi
– male – è altra storia, però
alla speranza non c’è mai
fine.
venerdì, 31 gennaio 2014
#DIGRESSIONI
presente/passato
La Gazzetta Giuliana 9
Nel resto d’Italia e, talvolta, persino nel confinante Veneto, il Friuli-Venezia
Giulia non è considerato una regione con due componenti distinte
Friuli Venezia Giulia,
una regione male assortita
M
di mario cotta
ussolini sosteneva
che gli italiani
non conoscono la
geografia e c’è da pensare
che in questo avesse ragione.
E’ di pochi giorni fa la notizia
che la nuova legge elettorale
prevede, nella nostra regione,
collegi elettorali con accorpamenti “a capocchia”: Trieste fa collegio con Codroipo,
ad esempio, e Gorizia con
Sacile. Questo dipende dal
fatto che nel resto d’Italia e
talvolta persino nel confinante Veneto, il Friuli-Venezia Giulia non è considerato
una regione con due componenti distinte, come il Trentino-Alto
Adige
o
l’Emilia-Romagna, ma come
un tutto unico ed uniforme.
Anni addietro, l’allora ministro leghista Castelli, in visita
a Trieste, dichiarò di essere
lieto di trovarsi nella nostra
città, in Friuli. Corretto da alcuni presenti, chiese candidamente: “Ma Friuli e
Venezia Giulia, non sono la
stessa cosa?”
E’ lecito ritenere che i politici
attualmente al governo non
ne sappiano di più, visto il
pasticcio che hanno combinato con i collegi elettorali.
In televisione, politici e giornalisti anche importanti,
come il direttore del TG7 Enrico Mentana, parlano semplicemente di Regione Friuli
ed è successo che Gerri
Scotti, in una sua trasmissione, volendo essere gentile
con un gruppo di spettatori
giunti da Ronchi, abbia rivolto loro un saluto in friulano
e
sia
rimasto
meravigliato di non essere
capito.
All’origine di equivoci, incomprensioni, antagonismi e
risentimenti c’è l’errore iniziale del governo italiano che
ha voluto unire in un’unica
regione due popolazioni, vicine, ma tanto diverse per
usi, modo di pensare e di vi-
vere, lingua e cultura. E
adesso rimediare è difficilissimo, per più ragioni. Prima
di tutto c’è l’opposizione dei
partiti maggiori, i cui esponenti, nel caso di una qualsiasi forma di divisione,
perderebbero peso politico a
Roma (già ne hanno poco) e,
soprattutto, poltrone. Poi c’è
il problema delle province di
Gorizia e Pordenone, favorevoli allo status quo perché temono l’eventuale egemonia
di Udine e, per quel che ri-
forniscono molte risorse alla
regione: le Generali e l’Allianz. Va ricordato che l’Amregionale
ministrazione
mantiene il segreto più rigoroso sul contributo finanziario che ciascuna provincia
fornisce alla regione.
Una soluzione analoga a
quella delle province autonome di Trento e Bolzano
nell’ambito della Regione
Trentino-Alto Adige, proposta
nel settembre dello
scorso anno in un articolo del
Graziadio Isaia Ascoli
guarda Gorizia, anche quella
di Trieste. C’è pure il problema delle finanze. Com’è
noto, lo Stato restituisce al
Friuli-Venezia Giulia i sei decimi del gettito fiscale prodotto e probabilmente anche
il timore di perdere i soldi di
Trieste induce i politici friulani a non dar seguito alle
forti istanze di separazione
che provengono dalla loro
base. Perché a Trieste, data
l’esiguità del territorio provinciale, per giunta in gran
parte inquinato dai petrolieri,
ci sono poche industrie rispetto al Friuli, però c’è il
porto e ci sono due colossi
assicurativo-finanziari che
hanno la loro sede a Trieste e
nostro periodico è stata definita “delirante” dal Monestier,
direttore
del
Messaggero Veneto, quotidiano di Udine. Si possono
capire i suoi timori. Consentirebbe a ciascuna delle componenti regionali, Friuli e
Venezia Giulia, di legiferare
autonomamente e di gestire
altrettanto autonomamente le
proprie risorse finanziarie.
Non ci sarebbe più la possibilità di dirottarle da una
parte all’altra e, secondo i
dati raccolti tempo addietro
dal benemerito comm. Primo
Rovis, non sarebbe Trieste a
rimetterci. E infatti i friulani
scartano questa soluzione e
propongono quella di Trieste
città metropolitana, che cela
una grossa insidia: se la legge
regionale seguisse la falsariga del progetto di legge statale, lascerebbe in mano ad
un Consiglio regionale a
maggioranza friulana, oltre
alla facoltà di legiferare,
anche quella di decidere il
fondo da assegnare a Trieste,
che risulterebbe sicuramente
inferiore ai sei decimi del
gettito fiscale della nostra
città. In più, ci troveremmo
di fronte alla rivolta (già cominciata) dei comuni circonvicini,
i
quali,
legittimamente, intendono
continuare ad autogovernarsi
e rifiutano l’ipotesi di trovarsi, in posizione minoritaria, in un Consiglio
metropolitano che avrebbe il
potere di decidere sui loro
problemi.
La prevista abolizione delle
province e la costituzione di
Trieste come città metropolitana, negli intendimenti dei
friulani, o meglio, dei friulanisti udinesi, tende ad isolare
Trieste nell’ambito della regione e a costituire un’unica,
grossa provincia udinecentrica, comprendente i territori
delle soppresse province di
Pordenone e Gorizia. Passo
successivo, l’attribuzione a
Udine del ruolo di capoluogo
regionale.
A questo punto bisogna
aprire il discorso sul Friuli e
cercar di capire.
Terra dalla storia tormentata,
spesso tragica, come la Venezia Giulia e Trieste, al confine di tre mondi: quello
latino, di cui è parte, quello
tedesco e quello slavo. Ha
conosciuto, nel corso dei secoli, invasioni e guerre
cruente; è stata divisa tra signorotti stranieri o italiani
che si succedevano; in tempi
meno lontani si è trovata
spartita tra stati diversi: la Serenissima e l’Austria asburgica prima, l’Austria e l’Italia
poi, con l’intermezzo della
Francia napoleonica. Nell’ul-
timo dopoguerra, quando in
Italia si cominciò a parlare
dell’istituzione delle regioni,
i friulani sperarono legittimamente di vedersi riconosciuta
la loro particolare identità etnica e culturale e di avere,
nell’ambito dello Stato italiano, quella che con affetto,
anzi, con attaccamento ammirevole e con amore autentico chiamano “la piccola
Patria”, finalmente tutta per
loro. Ed invece si trovarono
a dover convivere con quello
che restava della Venezia
Giulia e con una città più
grande e di maggior tradizione come Trieste, che toglieva a Udine il primato cui
ambiva. Questo è stato l’errore di cui si è parlato all’inizio. Ad occidente l’Italia ha
una piccola Regione a Statuto speciale: la Valle d’Aosta. Poteva averne un’altra ad
oriente, la Venezia Giulia, e
non ci sarebbero stati i contrasti attuali.
C’è anche un problema…
confinario tra Friuli e Venezia Giulia. Quasi tutti i friulanisti che hanno trattato la
questione, storiografi, intellettuali e politici, parlano di
Friuli storico, territorialmente compreso tra due
fiumi: il Livenza ad occidente ed il Timavo ad
oriente, con qualche rimpianto per il mandamento di
Portogruaro, oggi stabilmente parte della provincia
di Venezia. Francamente
sembra si stiano allargando
troppo. Qualche autore, ma si
tratta di rare eccezioni, sostiene che il Friuli arriva all’
Isonzo o alle porte di Monfalcone. Nessuno che riconosca validità alle conclusioni
dell’illustre studioso e glottologo Graziadio Isaia Ascoli,
friulano di Gorizia, il quale,
dopo aver studiato in modo
approfondito non solo la parlata, ma anche usi e costumi
delle genti di queste terre, ritenne che le popolazioni di
Trieste, dell’Istria ed anche di
Gorizia avessero caratteristiche comuni e che dovessero
far parte della stessa regione,
la Venezia Giulia.
L’Istria ormai è divisa tra le
due vicine repubbliche slave
e Trieste è troppo grande e
scomoda, altrimenti rischierebbero di essere rivendicate
dal Friuli, dal momento che,
in passato, anche da queste
parti si parlava un idioma ladino molto simile al friulano,
che non piaceva per niente al
padre Dante, il quale, nell’undicesimo capitolo del
libro primo del De vulgari
eloquentia, cita tre parole che
curiosamente si possono sentire ancora nel friulano parlato oggi:
… Post hos, Aquilegienses et
Ystrianos cribremus, qui
« Ce fas-tu ? » crudeliter accentuando eructant.
(.. Setacciamo via, poi, Aquileiesi e Istriani, che con il
loro accento orribile eruttano : « Ce fas-tu ? »).
10 La Gazzetta Giuliana
#TURISTI PER CASO
economia
Scarsa pianificazione, assenza di strategie di marketing e affidamento di compiti
specifici a figure prive di competenze specifiche: sono tre dei grandi problemi
che affliggono il turismo nazionale e locale
Vacanze Giuliane
N
di aLice gregori
e Luca LoParDo
plice week end bisognava
prenotare con largo anticipo
per telefono, e soprattutto partire alla cieca, senza possibilità di verificare dove stavamo
andando.
Componente fondamentale
era la reciproca fiducia. Da
una parte il viaggiatore non
sapeva dove sarebbe capitato,
se non indirizzato da amici o
conoscenti, dall'altra parte gli
esercenti dovevano sperare di
convertire le prenotazioni telefoniche da virtuali a reali.
Al giorno d'oggi tutte queste
barriere sono state rimosse
anche grazie alla rete (basti
vanno risolti al più presto in
modo radicale e intelligente.
pensare alla facilità di prenotare e pagare online), di conseguenza le offerte si sono
moltiplicate e il mercato si è
allargato a dismisura. I diretti
concorrenti non sono più l'albergo in fondo alla strada, o
lo stabilimento balneare a 10
km, ma il mondo intero. Questo comporta una consegnuenza ben precisa: bisogna
avere l'abilità, la competenza
e la sfrontatezza di sfidare il
mercato mondiale.
Ora, chi parte sconfitto presumendo che il Friuli Venezia
Giulia non possa competere
nel mercato globale deve
cambiare mentalità; se invece
onostante le enormi
potenzialità della
nostra regione, fra le
più economiche del nord Italia per i vacanzieri di tutta Europa, privati e istituzioni locali non riescono ad ottenere
il benché minimo risultato.
Scarsa pianificazione, assenza
di strategie di marketing e affidamento di compiti specifici
a figure prive di competenze
specifiche: sono tre dei grandi
problemi che affliggono il turismo nazionale e locale, e
Da qualche anno stiamo assistendo ad un continuo e veloce mutamento dell'offerta
turistica. Complici di questo
sicuramente internet e i voli
low cost. Se pensiamo agli
spostamenti di qualche anno
fa sembrano essere passati decenni, quando viaggiare era
un'attività dispendiosa e che
richiedeva una pianificazione
elaborata. Senza andare
troppo indietro basti pensare
a prima della diffusione di internet, quando per spostare la
famiglia o anche per un sem-
venerdì, 31 gennaio 2014
è già occupato nel settore turistico, è meglio che cambi
proprio mestiere. Bisogna riflettere su come il FVG e tutta
l'Italia potrebbero e dovrebbero campare di turismo.
Il disfacimento e il declino
dell'offerta turistica regionale
è cosa evidente e sotto gli occhi di tutti, anche dei meno
attenti. Dietro la crisi economica e dietro il collettivo piagnisteo che ha assunto la
forma del mantra "la gente
non ha più soldi per andare
in vacanza" si nascondono i
soliti noti: politici e istituzioni. Perché?
La risposta è semplice ed è
mutuabile in numerosissimi
aspetti della nostra società: i
nostri amministratori e la nostra macchina pubblica non
sono sufficientemente elastici
e veloci per riuscire ad adattarsi ai cambiamenti della società e del mercato.
Per fare un esempio concreto,
proviamo a dare un’occhiata
a Italia.it, il sito costato quarantacinque (45) milioni di
euro lanciato nel 2007 tra lo
schifo degli addetti ai lavori.
Un sito “nato vecchio”, dicevano. Ad oggi è invecchiato
ancora: con piattaforme come
Wordpress è possibile creare,
gratis, siti migliori. Italia.it è
lento, poco accattivante, propone idee e itinerari tutt’altro
che brillanti, e in prima pagina cosa troviamo? La pubblicità a Eataly, l’azienda di
Oscar Farinetti (prima della
Cappella Sistina o dei Bronzi
di Riace, il che dovrebbe dare
qualche input sul binomio
Renzi-Farinetti, ovvero il futuro Premier e un papabile
Ministro dell’Agricoltura). Si
privatizza persino la cultura
gastronomica italiana. Non è
davvero un caso se Roma ha
ogni anno un terzo dei turisti
che ha Berlino: la presentazione è quasi tutto, e noi ci
presentiamo malissimo. Per
non parlare di quello che c’è
dietro, che è molto, molto
peggio.
In proporzione, il turismo
della nostra regione ha gli
stessi problemi dell’assetto
turistico nazionale. Presentazione scialba, infrastrutture e
trasporti decisamente migliorabili e, soprattutto, manca
l’elemento fondamentale
senza il quale nessun turismo
è possibile: la pianificazione.
Si decida una volta per tutte
cosa si vuole fare della nostra
regione a livello turistico, si
prenda una decisione sensata
e coerente, e da quella si parta
per tutto ciò che segue.
Inutile addentrarsi nella banale retorica su quello che il
Friuli - Venezia Giulia ha da
offrire. Parliamo di un'offerta
stesso posto; in qualche
agenda, in qualche programma elettorale mai realizzato e purtroppo mai nella testa
di
molti,
troppi
"amministratori".
Manca una pianificazione regionale sensata, un progetto
razionale e sviluppato sul medio-lungo periodo.
Gli organi preposti a fare tutte
queste attività esistono già,
con tanto di assessorato e enti
satellitari, che a questo dovrebbero provvedere. Eppure
ciò che emerge è la totale assenza di una chiara visione
del futuro, a fronte di una rin-
potenziale che copre complessivamente tutti i 365
giorni dell'anno. Mare, montagna, colline, laghi, fiumi,
pianure. Certo, i più pignoli
obietteranno che il turismo
non è solo geografia o natura,
ma esiste anche anche il turismo diverso da quello di solo
svago, ma in sostanza non ci
manca nulla.
Allora si ripropone la stessa
domanda. Dov'è l'inghippo?
Perché tutte queste potenzialità non sono adeguatamente
sfruttate, ma sembrano addirittura trascurate prima e abbandonate poi?
La risposta è sempre nello
frescata qua e là di qualche
logo, una moltiplicazione di
enti, uffici e consorzi, tanti tagli di nastri, strette di mano e
pacche sulle spalle tra i soliti
noti.
La domanda sorge dunque
spontanea. Perché avendo
tutti gli uffici e il personale
destinato a queste attività le
cose non funzionano? Perché
non manca solo una pianificazione seria: manca una strategia. E chi dovrebbe farla
questa strategia? Dovrebbero
farla gli esperti di settore:
esperti di marketing ed esperti
di comunicazione, non i soliti
parenti messi ad occuparsi di
comunicazione e marketing
perché tanto è un mestiere che
possono fare tutti. Non è così.
Bisogna ridare il giusto valore
ai professionisti, affrontare
con serietà il settore del turismo, avere l'umiltà di capire
che si è fallito e che un intero
settore economico è stato affossato dall'incompetenza di
pochi presuntuosi. Nel contempo, in questi anni di buio
e totale assenza di strategia si
sono moltiplicati gli avvoltoi
delle opportunità, i furbastri
che hanno volato in cerchio
sopra il corpo agonizzante del
turismo, aspettando l'ultimo
sussulto per lanciarsi in picchiata sul boccone più succulento.
Abbiamo assistito alla moltiplicazione di "progetti" provinciali, comunali e camerali,
alla moltiplicazione di enti,
consorzi e "associazioni".
Tutto allo scopo di accaparrarsi fondi pubblici (quasi
sempre europei) mascherandoli da progetti per rilanciare
il turismo e gestiti ancora una
volta da chi ha la presunzione
di credere che pinificare e
creare una strategia sia un mestiere alla portata di tutti.
Il risultato è sempre lo stesso:
tanti tagli di nastri, strette di
mano e pacche sulle spalle dei
soliti (un po' meno) noti. Un
marasma di progetti, iniziative, idee buttate sulla mappa
della regione in maniera disorganica e superficiale, mascherati da iniziative virtuose
da parte di coloro che si rimboccano le maniche al posto
di quelli pagati per farlo.
Tutti questi enti hanno creato
un nuovo livello di parassitismo sociale, una vita in un
ecosistema che non è nient'altro che una bolla di autoreferenzialità in cui ci sguazzano
e campano. Muovono una
rete di poche realtà che ad
ogni "progetto" rinascono e
spostano di qualche mese o
anno quello che dovrebbe essere il loro destino, ovvero il
non esistere più negli assetti
economici del territorio. Una
ricerca spasmodica del finanziamento pubblico per dare
da vivere a pochi e avanzare
qualche soldo per qualche
"iniziativa" che non ha alcun
impatto sul territorio.
Tutto ciò viene fatto passare
come un gesto nobile, a fa-
venerdì, 31 gennaio 2014
vore della comunità e dei cittadini. L'eroe è servito.
Avanti con il prossimo bando,
il prossimo ente, il prossimo
consorzio, che vivrà, anzi sopravviverà autoalimentato da
se stesso (e dai soldi di tutti).
E dopo la pianificazione e la
strategia, la terza parola
chiave. Il grande assente: il
controllo.
Tutte queste iniziative virtuose non hanno mai una fine,
un'analisi dei risultati, una tabella dei benefici. Finiti i
soldi del bando finisce anche
il progetto, nell'indifferenza
di tutti e senza curarsi se l'ennesimo progetto ha portato
qualche beneficio reale, oltre
che l'incasso di quei personaggi e quelle aziende che basano la loro economia sul finanziamento pubblico.
“
Manca una pianificazione regionale sensata,
un progetto razionale e
sviluppato sul mediolungo periodo
Tutto da buttare? Dipende.
Attualmente è in piedi un progetto, realizzato con fondi europei e denominato “90km
quadrati di esperienze”, che
si propone di stimolare l’afflusso turistico di dieci comuni in provincia di Gorizia.
Il sito, realizzato da due fotografi professionisti, si pre-
senta in effetti con delle belle
foto. Per il resto, però, c’è la
percezione, magari sbagliata
ma netta, che manchino sempre gli elementi essenziali:
pianificazione, comunicazione efficace e strategie di
marketing.
Sono chiare le finalità del progetto ma non le modalità di
esecuzione. C’è una confusione di base nell’attribuzione
dei ruoli: fotografi che fanno
il sito, associazione di commercianti che si occupano di
marketing turistico, l’associazione di riferimento legata ad
architetti. Sembra mancare,
insomma, una coerenza di
fondo. Infatti, sarà un caso ma
il sito non funziona su rete
mobile (smartphone et similia); i “contastorie” non sono
professionisti delle relazioni
con il pubblico ma sono gli
abitanti del luogo, “protagonisti assoluti” che sicuramente hanno buona volontà
ma forse non hanno carte vincenti da giocarsi con gruppi
turistici organizzati (per
esempio: sono tutti capaci di
comunicare in modo eccellente in almeno una lingua
straniera tra inglese, tedesco,
sloveno?); infine, a oggi la sezione “Eventi” è ancora
vuota, il che si capirà bene
come possa indurre potenziali
turisti a farsi togliere ogni voglia.
Le biografie e le competenze
di alcuni “contastorie” non
paiono strepitose, forse perché si punta tutto sulla loro
spontaneità nel presentarsi.
La comunicazione in generale
è poco curata, neutra e addirittura quasi formale, mentre
per attirare clienti e turisti è
ormai imprescindibile un pro-
La Gazzetta Giuliana 11
economia
fessionista formato nel ramo
del marketing, capace di gestire una comunicazione fresca, seducente e accattivante
sui social network e sul sito
stesso. Insomma, la sensazione è che a non andare bene
non sia l’idea in sé (che è
buona), quanto piuttosto lo
sviluppo di quest’idea attraverso tecniche poco efficaci
e figure tecnicamente non
preposte ad occuparsi di pianificazione turistica, marke-
territorio meraviglioso che,
prima o poi, dovrà imparare
a valorizzarsi.
ting territoriale o comunicazione pubblicitaria. Tuttavia
potrebbe darsi che chi legga
queste nostre considerazioni
in libertà colga al volo una
splendida occasione per fornire un ottimo servizio a un
La Gazzetta Giuliana.com
il periodico on line della Venezia Giulia
La Gazzetta Giuliana
Anno I - Numero 11
scritto dai cittadini per i cittadini
Il Periodico della Venezia Giulia
DIRETTORE RESPONSABILE: Luigi Putignano
Direzione e redazione: via della Geppa, 4 - 34132 Trieste - Tel 040 3473977 Fax 040 3481465 e-mail [email protected]
22 novembre 2013 € 1,00
QUINDICINALE
- Esce il venerdì
Come danneggiare i porti di Trieste
e Monfalcone, con sperpero di pubblico denaro
Trieste capitale della
cultura? Nel 2033...
Venezia con il Nordest esclusa dalla
short list delle città candidate a Capitale
Europea della Cultura 2019. Francamente penso che sia giusto così. E ne
spiego il motivo. L'estensione della candidatura a tre regioni e sei enti ha grandemente superato i limiti di “città” diciamolo, Venezia e il Nordest non
sono la Regione Parigina o la Grande
Londra - e ha mostrato in pieno che
quella “unione” d’intenti mai realmente
è apparsa tale, con frizioni, scricchiolii
e j’accuse di varia provenienza. Ma
penso che sia stata una saggia decisione
tenendo soprattutto conto della storia di
questa iniziativa europea. Lo scorso
anno Maribor (non Maribor più la
Carniola e la Stiria slovena) ha superato brillantemente la prova di cimentarsi nel ruolo di “capitale culturale”
del vecchio continente. Così come, sicuramente, farà la sua parte una delle
città italiane che ha avuto il coraggio
(passatemi l’esagerazione) di presentarsi
per quello che è, e parlo di Cagliari,
Lecce, Matera, Perugia (con Assisi),
Ravenna e Siena. Trieste non ha voluto
provarci quando, alcuni mesi orsono, la
candidatura esapartita nordestina ha
vacillato pesantemente. Pur avendone le
potenzialità - almeno pari a “metropoli” quali le già capitali Linz (si,
quella dell’acciaio pulito), Pécs (Ungheria), Turku (Finlandia), o Košice (Slovacchia), o a quelle delle future tali,
quali Umeå (Svezia), Mons (Belgio),
San Sebastián (Spagna), Pafo (Cipro)
o la “universalmente” nota Leeuwarden (Paesi Bassi).
Troppa poca spina dorsale per un città
che ambisce ad un ruolo internazionale,
che, spesso suo malgrado, ha avuto e ha
tuttora, un ruolo considerevole nella storia culturale del nostro continente e che
potrebbe ambire a diventare la vera e
nuova capitale della young Europe, per
l’assoluta baricentricità, per il suo passato di città-stato internazionale (altro
che l’ormai periferica Bruxelles, ragazzi!). Invece no. La serenissima e i
suoi Dogi rientrano in gioco, dopo aver
spocchiosamente rinunciato all’agone,
quindi si ritorna nei ranghi, come una
Portogruaro qualsiasi. Ben vi-ci-stà!
Ma tanto il 2033 è vicino, abbiamo
tutto il tempo di riorganizzarci, magari
con tutta la Padania, questa volta...
Il previsto raccordo ferroviario Cormons-Redipuglia avrebbe favorito i traffici da e per i
due scali giuliani, con tracciato lineare in direzione della Pontebbana. Oggi, della linea, restano i costosi ruderi, e si punta sul potenziamento della Udine - Cervignano...
di GIORGIO DE COLA
A PAGINA 2
interventi/repliche/2
La replica di A2A
sul caso “Monfalcone”
LE NAZIONI TRIESTINE
Serbi a Trieste:
storie di una comunità
(terza parte)
Pubblichiamo una nota di A2A riguardante
l’intervista ad Alessandro Vescovini
di REDAZIONE
a pag. 11
C’era una volta
l’Unione
A PAGINA 5
I ricordi di papà
focus/sedute vuote
L’insostenibile
disastro del TAV
a pag. 10
Nell’indifferenza della politica regionale e locale e di
una parte consistente dei cittadini, si è tenuto un incontro dal titolo “TAV: non solo Val di Susa”
di DAVIDE STANIC
7,3 milioni dalla
Giunta regionale
per bonifiche al
SIN di Trieste
a pag. 3
A PAGINA 7
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coi Marta sui Tubi
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I metalli pesanti
al vaglio
della magistratura
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Riflessioni
sul mecenatismo
locale
a pag. 16
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sezione ABBONAMENTI
12 La Gazzetta Giuliana
#DEGRADI
antropologie
Monfalcone, da potenziale crocevia di popoli e culture, è diventata la via crucis
infelice di un’integrazione mancata
Post-Monfalconesi
e la questione stranieri
C
di DaviDe Stanic
os’è successo a Monfalcone? Da potenziale crocevia di popoli e culture è diventata la via
crucis infelice di un’integrazione mancata. I cittadini locali, in parte, si sentono derubati della loro identità. I nuovi
abitanti si sono progressivamente creati attività commerciali e luoghi di ritrovo là dove
i monfalconesi hanno liberamente deciso di abdicare; per
starsene a casa, magari su facebook, a scrivere che non
escono perché, tanto, in centro
“ghe xe solo che lori”. Così,
tra un articoletto e un silenzio
stonato, si scrive la cronaca
quotidiana di una città provvisoria in tutto, fuorché in una
decadenza senza fine.
“Mofalcon no xe più quela/
che i veci ga lasado… “. Ecco,
appunto. Ora mi chiedo se
pure io sia rimasto lo stesso
di un tempo. O se gli anni, il
mondo, le abitudini non mi
abbiano cambiato perché esse
stesse sono cambiate.
Ha chiuso uno storico caffè
monfalconese, ubicato nella
via più antica della città dei
cantieri. Le serrande abbassate
hanno portato parole, invettive, ragionamenti autorevoli
o da osmiza. Così ci provo,
ragionando o scrivendo a voce
alta per dire la mia a chi vorrà
onorarmi dedicandomi un po’
di tempo.
Vivo qui da sempre, neppure
il pendolarismo è riuscito finora a strapparmi da questo
lembo di nordest maltrattato
come pochi, la Capo Nord del
Mediterraneo. Nel 1994 la mia
famiglia traslocò nella prima
casa di proprietà posseduta, in
piazza Falcone Borsellino. Di
lì a pochi mesi il mio babbo
morirà a 52 anni per aver respirato amianto, per diciassette
mesi, nel cantiere monfalconese. Quella casa, acquistata
con sacrifici enormi, fatta
venerdì, 31 gennaio 2014
come avevamo sognato, desiderata al punto che, per due
anni, pagammo sia l’affitto
che il mutuo per via di un ritardo di consegna, era quanto
di più bello avessimo realizzato. Quel ritardo cambiò destinazione d’uso a un locale
della piazzetta, non più negozio ma bar. Seguirono anni di
segnalazioni ai vigili urbani,
esposti alla Procura, chiamate
a Polizia e Carabinieri perché
qualche simpaticone scambiava la piazza come un ring,
un orinatoio, un campo di
rugby dove la palla ovale era
sostituita da escrementi o bottiglie di birra. E poi quel bar,
aperto senza orario e senza re-
e della cosa pubblica. Più volte
ospitammo anche la Digos che
faceva gli appostamenti agli
spacciatori nel nostro soggiorno! Stravolti svendemmo
la casa e ce ne andammo, con
le pive nel sacco: era il 1996.
Per me il degrado ha una data
ben impressa nella mia memoria. A nulla valsero le proteste, gli incontri col sindaco
di Monfalcone, le forze dell’ordine: non volevano o non
potevano far nulla? Così il
cuore di Monfalcone registra
oggi un’altra ferita. Eppure
una cessazione di attività non
dovrebbe colpire, in un’epoca
di crisi globale, economica e
di valori. Colpisce invece i
vastante. Soprattutto non è
stato ammortizzato da azioni
di buon senso, anzi. Davanti
alle denunce la risposta è sempre stata duplice: “no se pol,
no xe vero”. Quali sono state
le politiche di integrazione
messe in atto dalla nostra amministrazione? Ci sono state,
saranno anche state meravigliose o meno di quelle che
servivano a causa della mancanza di fondi - alibi universale - però i risultati sono imbarazzanti. Eppure queste
persone vengono qui in base
ad accordi, alla possibilità di
smantellare a mani nude e per
pochi centesimi, le navi del
mondo ricco, piene di
bandonati. Stanchi di vedere
che il cuore della città ha i
muri imbrattati, è teatro di
risse, è stato abbandonato dai
monfalconesi e non solo da
loro. Siamo stanchi di vederci
appioppare multe se non
usiamo una pista ciclabile
quando cerchiamo di lasciare
a casa l’auto ma poi, svoltato
l’angolo, pagata la gabella per
i nostri vergognosi crimini a
pedali, ci vediamo i ladri entrare nel garage di casa per
portarci via una bicicletta che
avevamo comprato con sacrificio e rinunce. Siamo stanchi
di rispettare regole quando, intorno, assistiamo al degrado e
all’inciviltà nella silenziosa
complicità di chi, confondendo il dovere istituzionale
e l’accoglienza sacrosanta con
la connivenza, ostinatamente
nega l’evidente.
Si sfregarono le mani i ricchi
monfalconesi che, all’arrivo
di tanti trasferisti, poterono
loro affittare i tanti apparta-
gole. A pochi passi si consumava l’indifferenza- impotenza dei vigili urbani che
avevano la loro sede. Non dormivamo né di giorno né di
notte e intanto il mio babbo,
agonizzante, si spegneva in
mezzo agli schiamazzi, l’incuria, la mancanza di regole,
lo scempio degli arredi urbani
monfalconesi che hanno assistito in questi anni a un declino
costante, una deriva della
quale non si intravvede la fine,
la cui unica soluzione per i
più, per chi poteva e può, è
stata ed è la fuga. Non giriamoci intorno, l’impatto degli
stranieri, così tanti, su una comunità così piccola, è stato de-
amianto, anche da bambini di
pochi anni.
Eravamo e siamo tutti populisti, visionari, razzisti? Forse,
forse anche io. Oppure siamo
semplicemente stanchi. Stanchi di assistere alla privatizzazione di utili e alla collettivizzazione dei costi e dei
debiti. Stanchi di sentirci ab-
menti del centro, ormai datati,
facendoglieli pagare un occhio
della testa. Così finalmente,
con qualche aiutino, le zone
agricole si trasformavano in
edificabili e poi in residenziali.
E gli affitti costringevano i
nuovi arrivati a ingegnarsi:
dieci persone e anche più, stipate in una casa, a fare i turni:
un gruppo dorme, un gruppo
lavora, un terzo se ne sta a
ciondolare nel cuore della
città. Così chi abitava in quei
condomini e non aveva denaro
sufficiente per andarsene ha
iniziato a deprezzare quelle
case. Dov’erano i controlli sanitari? E ancora, il rapporto
con le aziende locali, autorizzate a perseguire il ricatto occupazionale e senza alcun
controllo sulle ditte appaltatrici tra le cui fila, spesso, si
sono infiltrati interessi tutt’altro che legali. Quali sono state
le compensazioni? La cura del
territorio? Maggiori servizi ai
cittadini? Una scrupolosa cura
della città? No, niente, possibile che la politica locale, monocolore da sempre, non abbia
alcuna responsabilità?
E il commercio? I negozi
hanno iniziato a chiudere, magari per trasferirsi all’Emisfero
o all’Outlet di Palmanova, con
alcuni commercianti però
pronti a scatenarsi contro il degrado, la desertificazione del
centro, la chiusura degli esercizi commerciali e la pedonalizzazione, unica realtà mondiale che penalizzerebbe il
commercio. E passeggiando
per le strade della mia città,
col mio amico a quattro
zampe, mi sento ridicolo a raccogliere i suoi escrementi se
poi devo fargli fare lo slalom
tra quelli umani o i cocci di
vetro, le lattine e il sudiciume
gettato a terra.
Perché sono stati spesi i denari
pubblici per rifare la Piazza
della Repubblica con successivo trattamento antiscivolo
(chi l’avrebbe mai detto che
sul marmo bagnato si rischia
di ammazzarsi), la ripavimentazione del Corso del Popolo
al quale da mesi mancano gli
arredi urbani, la realizzazione
di pseudo ciclabili o marciapiedi ciclabili a senso unico
dai costi stratosferici o ancora,
ultima perla, per scavare un
pozzo alla ricerca di acqua termale (418 mila euro, pare)
dopo aver ristrutturato delle
Terme Romane che di termale
hanno ben poco e dove l’acqua manca? Qualche soldo per
un po’ di pulizia delle strade,
per sistemare il Municipio che
cade a pezzi, per corsie ciclabili decenti no? Altro che
Terme e cattedrali nel deserto,
venerdì, 31 gennaio 2014
antropologie
Il bancone del vecchio Caffè
Sant’Ambrogio
1
***
E come non notare le differenze fra invasori e invasi? Per dire, è risaputo – stufa
anche ripeterlo per l’ennesima volta – che
quando un bisiaco sputa per terra lo fa
perché ha notato una certa secchezza
nelle zone verdi che ossigenano l’agorà
monfalconese. Chi penserebbe, altrimenti,
agli alberelli? Per non parlare del concime rilasciato gratuitamente sui marciapiedi comunali dai loro quadrupedi. Non
scherziamo.
I filosofi locali, cullandosi nel nostalgismo
per la Monfalcone che fu, inconsapevolmente e nell’imbarazzo generale pongono
una questione estetica reale, al di là dell’ironia: vanno stabiliti per legge dei criteri
basilari
che
permettano
un’armonizzazione fra le strutture delle
nuove attività e l’ambiente architettonico
in cui si sono instaurate. Non è accettabile
che al titolare di un bar in Piazza Unità
vengano indicati solo due colori possibili
per le sedie all’esterno del locale (due co-
continua Da Pag
lori ritenuti adeguati), e al contempo si
permetta il proliferare, in tutti i locali, italiani e stranieri, di quelle porcherie lampeggianti con scritto “Aperto”, a due o tre
colori, che soverchiano persino bar storici
di Trieste passati di mano a imprenditori
cinesi. Piccoli capolavori pluri-secolari,
nascosti da luci intermittenti che stonerebbero persino sul retro di un tir di rifiuti
tossici.
L’imbarbarimento anti-estetico è generalizzato, trasversale: denota una perdita di
gusto sia da parte dei bisiachi, sia dagli
immigrati che arredano i vecchi locali seguendo la trasandatezza del casual più
brutale, che non fa parte della loro cultura
ma della sub-cultura creata dalla globalizzazione. In mezzo a invettive idiote o
pseudo-analisi d’accatto, l’unica certezza
da mettersi in zucca è che in un ambiente
disarmonico è impossibile armonizzare le
tante identità smarrite di Monfalcone, una
città alla quale mancano solo i rotolacampo per diventare davvero fantasma.
Corso del Popolo nell’elegante assetto permanentemente provvisorio
anzi, a due passi dal carbone,
quello sì termale e curativo.
E poi questo snobismo dei
monfalconesi arricchiti, che a
Monfalcone non ci vanno più
a fare nemmeno una passeggiata, nemmeno fosse una favela o una bidonville da terzo
mondo? E i commercianti che
La Gazzetta Giuliana 13
sotto Natale manco avevano
decorato le vetrine? Dove
stanno le colpe? Nei morti che
hanno barattato un tozzo di
pane con uno stipendio da
fame e che con sacrificio si
sono comprati casa per poi
assistere a tutto questo? Negli
stranieri che scappano dalla
fame, dalla morte e dalla disperazione, spesso mal pagati
e sfruttati, pronti a diventare
i nuovi martiri dei giganti del
mare come tanti padri monfalconesi?
Perché Monfalcone è anche
questo. Una città dove il lavoro è ancora ricatto e dove
chi doveva alzare la voce per
difendere i cittadini ha taciuto,
negando e ridicolizzando le
voci fuori dal coro; una città
dove il carbone oggi come
l’amianto ieri (ma anche
oggi), viene giustificato in
cambio di un piatto di minestra. Oggi cittadini, rischiamo
di perdere anche una fetta di
Sanità pubblica. L’ho scritto
nello scorso numero raccontando un po’ come funzioni
questo settore. Perché la perderemo? Perché non abbiamo
chiesto con forza che le decisioni fossero prese in modo
trasparente e oggettivo. E
quando non si seguono logica,
numeri, buonsenso e trasparenza, il disastro è inevitabile.
Ritorniamo a essere cittadini.
Ritorniamo a popolare queste
strade che ci appartengono.
Facciamo rispettare le regole,
ritorniamo a essere comunità
solidale. Riapriamo gli occhi
e tuteliamo la salute e lo sviluppo sostenibile della nostra
terra, non trasformiamola
nella discarica nord del Mediterraneo. Non trasformiamo
Monfalcone in una città degradata e avvelenata dal carbone e dall’amianto più di
adesso, invivibile, assediata
solo da stranieri incolpevoli
(spesso) e farabutti indisturbati (molto più frequentemente), depredata non solo
della salute ma anche della
Sanità e della dignità. Non c’è
mai stata un’età dell’oro monfalconese, non rimpiangiamo
quello che non è mai esistito.
Ma tra l’oro e il deserto ce ne
passa di differenza, eccome.
Il resto è, come sempre, osteria.
14 La Gazzetta Giuliana
culture e territorio
venerdì, 31 gennaio 2014
LO SCHMITZ
culture di confine
UN RICCARDO III
gigantesco quello di Gasmann
A
Al Rossetti fino al 2 febbraio
lessandro Gassmann è regista e protagonista di
RIII-Riccardo Terzo di
Shakespeare, nell’adattamento e
traduzione di Vitaliano Trevisan.
Lo spettacolo, in scena al Teatro
Stabile del Friuli Venezia Giulia,
ha esordito mercoledì 29 gennaio
e proseguirà fino domenica 2 febbraio 2014 per il cartellone Prosa”.
tolo si annuncia come un’operazione nuova, un progetto costruito
sul capolavoro di Shakespeare. Un
progetto che naturalmente parte
dalla traduzione e dall’adatta-
chieste dell’attore e regista, fin dal
loro primo incontro – che arrivi
dritta, rendendo la trama chiara e
coinvolgente. E un Riccardo gigantesco, fuori scala rispetto agli
perata solo da quella di Amleto.
Bello che la statura scenica di questo irraggiungibile eroe/antieroe
rispecchi la sua dimensione gigantesca vergata già sulla pagina, nel
mento del testo, che Alessandro
Gassmann ha affidato a Vitaliano
Trevisan, uno scrittore contemporaneo, colto, capace di rispondere
al suo desiderio di un lavoro rispettoso dell’originale ma anche
attuale, forte: “Una lingua asciutta,
secca – ricorda Trevisan come una
delle più immediate e stringenti ri-
altri e alla scena, costretto a chinarsi per potersi specchiare, per
passare da una porta, o per guardare qualcuno negli occhi”.
Lo scrittore rimane conquistato da
questa visione: non è un caso che
Shakespeare riservi a Riccardo III
la parte più estesa che egli abbia
mai scritto per un protagonista, su-
1592, da uno Shakespeare trentenne.
“È un mostro che vive per fare del
male, abbandonando totalmente le
regole quando raggiunge il tanto
agognato potere. Il suo è un furore
violento, come feroce è la sua
brama di potere e la sua diversità.
Un ritratto di uomo che purtroppo
ci riporta non solo alle deformità
insite nella natura umana, ma anche ai fatti drammatici ed aberranti
della nostra attualità politica” così
Alessandro Gassmann descrive
Riccardo III, che interpreta sul palcoscenico. “Tutte le sere – aggiunge – sul palco, mi sforzo di
non pensare all’Italia di oggi e
all’esercizio spregiudicato del potere a cui finora abbiamo assistito,
ma dopo ogni rappresentazione c’è
sempre qualcuno che dice di aver
pensato al nostro presente durante
lo spettacolo”.
Per l’artista romano quello con il
malvagio Riccardo III è il primo
incontro con un personaggio shakespeariano, che affronta da protagonista e regista, e dunque con
una consapevolezza profonda e attraverso una lettura dal taglio interessante.
Seguendo una poetica che ha connotato tutta la sua produzione recente, Gassmann studia Riccardo
III con rigore nei confronti della
materia shakespeariana ma anche
attraverso una koiné di linguaggi
scenici molto moderna.
R III – Riccardo Terzo, fin dal ti-
SÁNDOR MÁRAI
Riccardo III è infatti una sua
opera giovanile, eppure costruita
attorno a una figura complessa,
mai incerta, perfetta nelle sue dinamiche psicologiche, straordinaria nelle sue voragini di perfidia,
nelle sue macchinazioni, nel suo
nero eroismo: domina il destino
altrui manipolando le esistenze e
si fa “regista” di quanto accade in
scena. È di una malvagità sconvolgente, eppure è carismatico,
possiede un fascino capace di soggiogare Lady Anna – che lo odia
e ciononostante diviene la sua
sposa – e le platee di ogni tempo.
Il suo humor riesce ad alleggerire
il respiro di un dramma altrimenti
dalla cupezza gotica e incombente,
segno che nello spettacolo permane sul piano della scenografia.
Il plot vuole che Riccardo di York
(secondo Shakespeare piccolo e
deforme, in questa messinscena,
mostruoso per la sua altezza, scelta
che lascia intatta la metafora fra
deformità estetica e degenerazione
dell’anima) ambisca al trono d’Inghilterra. Per questo spinge il fratello re Edoardo IV a credere a una
profezia, che indica in qualcuno il
cui nome inizia per G colui che
distruggerà la discendenza regale.
Necessario dunque imprigionare il
loro fratello Giorgio, che sarebbe
erede diretto al trono: ma la prigione non basta a Riccardo che lo
fa uccidere da due sicari. Il rimorso dà alla fragile fibra di re
Edoardo il colpo di grazia, mentre
Riccardo – con una manovra degna di un retore di prima grandezza – si assicura la mano di
Lady Anna, fresca vedova del
principe Giorgio. A Riccardo viene
affidata anche la tutela del giovane
erede al trono: di tale gesto di fiducia dei Pari immediatamente approfitta per eliminare altri possibili
oppositori del suo piano ambizioso. Coglie l’occasione del trasferimento a Londra dell’erede al
trono, per l’incoronazione, per rinchiuderlo col fratellino nella Torre:
ecco che Lord Buckingham può
usare la propria influenza per indurre il Consiglio di Londra a proclamare re proprio Riccardo. Egli,
in un capolavoro di dissimulazione, accetta la corona con riluttanza. Invece, appena salito al
trono, provvede ad eliminare i due
nipoti, e la stessa sorte infligge
alla moglie Lady Anna. Ora, per
rinsaldare la propria posizione,
ambisce infatti alla mano dell’unica figlia di Edoardo IV e di
Elisabetta, i precedenti regnanti.
Ma la giovane è già promessa al
direzione nordest
culture e territorio
culture di confine
LO SCHMITZ
venerdì, 31 gennaio 2014
nobile Richmond: sarà la saggia Elisabetta, stavolta, a dissimulare. Appare propensa a concedere la mano della figlia al re, pronto a scontrarsi
con Richmond che si è posto a capo dei molti
che ormai si oppongono al suo regime sanguinario. In una scena celeberrima, Riccardo III
nella notte che precede lo scontro definitivo fra
i ribelli e il proprio esercito, vede i fantasmi di
tutti coloro che ha assassinato che gli augurano
la sconfitta. Premonizione che puntualmente si
avvera sul campo di battaglia, quando Riccardo
combatte con valore ma perde il proprio cavallo
e soccombe. Con la morte di Riccardo e le nozze
e l’incoronazione di Richmond, ha fine la
Guerra delle due Rose, che oppose il ramo degli
York a quello dei Lancaster e insanguinò il paese
per lunghi anni.
riii-riccarDo terZo
di William Shakespeare
Traduzione e adattamento di Vitaliano Travisa
Ideazione scenica e regia di Alessandro Gassmann
Scene di Gianluca Amodio
Costumi di Mariano Tufano
Videografia è di Marco Schiavoni
Musiche sono di Pivio & Aldo De Scalzi
rappresenta il terzo appuntamento realizzato in
virtù della collaborazione avviata a inizio stagione fra Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
e Bonawentura/Teatro Miela.
Profondamente colto, eclettico, maestro di umorismo ebraico, Ovadia è un artista difficile da
catalogare: giunge al teatro da una laurea in
scienze politiche e dopo essersi impegnato come
ricercatore e interprete di musica etnica e popolare. Sul palcoscenico inizia collaborando con
artisti della scena internazionale come Bolek
Polivka, Tadeusz Kantor, Franco Parenti, e poi,
via via proponendosi come ideatore, regista, attore e capocomico di un “teatro musicale” assolutamente peculiare.
Filo conduttore dei suoi spettacoli è la tradizione
composita e sfaccettata, il “vagabondaggio culturale e reale” del popolo ebraico di cui egli si
sente figlio e rappresentante, un’immersione
I biglietti per gli spettacoli sono in vendita
presso i consueti punti vendita del Teatro Stabile
regionale, attraverso il sito www.ilrossetti.it e
allo e allo 040-3593511.
Teatro Miela
Moni Ovadia ci racconta
il mondo khassidico
Moni Ovadia ritorna protagonista nella stagione
del Teatro Stabile regionale con Il registro dei
peccati.
Lo spettacolo in scena al Teatro Miela – terzo
momento della sinergia fra Bonawentura/Teatro
Miela e Stabile regionale – ha esordito mercoledì 29 gennaio e prosegue fino a domenica 2
febbraio 2014 per il cartellone altripercorsi.
Una sedia, un leggio, suggestive atmosfere di
luce… non serve di più al grande Moni Ovadia
per costruire a teatro una serata emozionate,
raffinata, ricca di pensiero.
Il registro dei peccati di e con Moni Ovadia
N
E
S
Il mondo khassidico era germinato su un crocevia dove il pensiero spirituale più estremo e
abissale si coniugava alla semplicità profonda
di una pietas irrinunciabile per la più insignificante delle manifestazioni dell’esistente. Il khassidismo è l’espressione e la celebrazione della
fragilità umana e della sua bellezza e in tale celebrazione c’è il riconoscimento del divino con
cui s’instaura un rapporto del tutto originale,
che passa attraverso la preghiera, lo studio, ma
anche il canto, la danza, la narrazione aneddotica
e addirittura l’umorismo. Una cifra inconsueta
eppure profondamente radicata nel sentire e
nell’anima ebraiche.
È questo il paesaggio umano e spirituale che
Moni Ovadia tratteggia in uno spettacolo piacevole e sapiente che riflette quella stessa
espressività: quegli irraggiungibili colori dell’anima, quel canto, quegli aneddoti, quei witz.
Ecco allora che Il registro dei peccati ci ammaestra e arricchisce attraverso il riverbero di
un universo che la brutalità e l’odio hanno voluto estirpare, ma che continua a “dare”, generosamente, anche attraverso la sua assenza.
iL regiStro Dei Peccati
scritto e interpretato da Moni Ovadia
prodotto da Promo Music
Prodotto da Teatro Stabile del Veneto, Fondazione Teatro Stabile di Torino, Società per Attori
e con la partecipazione produttiva di “LuganoInScena”
Con Alessandro Gassmann (Riccardo), Mauro
Marino (Edoardo, Stanley, Margherita), Giacomo Rosselli (Rivers, Catesby), Manrico Gammarota (Tyrrel), Emanuele Maria Basso (Carceriere, Richmond, Vescovo), Sabrina Knaflitz
(Anna), Marco Cavicchioli (Clarence, Hastings,
Messaggero), Marta Richeldi (Elisabetta), Sergio Meogrossi (Buckingham) e con la partecipazione di Paila Pavese (Duchessa di York).
La Gazzetta Giuliana 15
I biglietti per gli spettacoli sono in vendita
presso i consueti punti vendita del Teatro Stabile
regionale, attraverso il sito www.ilrossetti.it e
allo e allo 040-3593511, e saranno in vendita a
partire da un’ora prima dello spettacolo presso
la Biglietteria del Teatro Miela.
Presso la libreria “In Der Tat”
continua in lingue e suoni diversi. Ed in questa
veste il pubblico dello Stabile regionale lo ha
conosciuto nel 1994 in Oylem Goylem e apprezzato in modo crescente ogni volta che è ritornato a Trieste (questo spettacolo sarà il nono
inserito nelle stagioni dello Stabile).
Il registro dei peccati si definisce come una rapsodia lieve per racconti, melopee, narrazioni e
storielle. Un recital-reading al centro del quale
Ovadia pone il mondo khassidico: un mondo
dall’anima ricchissima e preziosa che ha abitato
l’Europa fin dai primi decenni del Settecento,
quando – in pieno regime zarista, in Polonia –
il movimento fu fondato da Israel Ben Eliezer
(meglio conosciuto come Baal Shem Tov) e
portò nell’Ebraismo una sorta di rivoluzione.
È a conoscere questo mondo – lo stesso che
Marc Chagall trasfigurava nella poetica armonia
dei suoi quadri – che Moni Ovadia ci accompagna, sottolineandone l’autenticità. Fu un universo – spiega – di esseri umani troppo umani,
e per questo inadatti a un pianeta posseduto dai
demoni della violenza, del razzismo, del delirio
nazionalista. E fu un mondo dalla potente spiritualità…
Azad, voce della guerra
popolare in India
Sabato 1 febbraio, a Trieste, alle 18 presso la
libreria “In Der Tat” in via Diaz, 22 sarà presentato il libro “Azad - Voce della guerra popolare in India”, a cura del Collettivo Tazebao per la propaganda comunista
Cherukuri Rajkumar, detto Azad, è stato per diversi anni portavoce del Partito Comunista dell'India (Maoista), ovvero della forza che sta guidando la lotta rivoluzionaria di vasti settori delle
masse popolari indiane contro lo sfruttamento
e l'oppressione da parte della classe dominante
e delle multinazionali straniere.
Nei suoi scritti troviamo condensata la straordinaria esperienza della guerra popolare in India,
che indica ai lavoratori e agli sfruttati di tutto il
mondo che il sistema capitalista e imperialista,
sempre più in crisi, può e deve essere abbattuto
e un mondo nuovo può essere conquistato.