La Gazzetta Giuliana il Periodico della venezia giulia Anno II - Numero 2 DIrettore respoNsAbIle: luigi putignano 31 gennaio 2014 € 1,20 Direzione e redazione: via della Geppa, 4 - 34132 Trieste - Tel 040 3473977 Fax 040 3481465 e-mail [email protected] QUINDICINALE - Esce il venerdì IL PUNTO di Luca Lopardo La chiusura di un celeberrimo bar in Via Sant’Ambrogio ha dato il là ad analisi filosofiche apocalittiche sul tramonto della città di Monfalcone, strutturate al bancone del bar, su facebook o su fogli di partito. Insomma, è finita la Belle Epoque dei balli esotici, i cenacoli oxfordiani, le degustazioni di whiskey torbati e gli incontri di fioretto per le vie del centro città, rinomata sede di bon ton e bellezza (come non dimenticarsi le testimonianze, in merito, di Dario Fo e Paolo Rossi?). La fine dell’avventura del Caffè in questione porta con sé la fine della sua civiltà (verrebbe da dire con Claudio Magris), certificando secondo taluni, fini pensatori, il vero dramma di Monfalcone: il centro vivo e palpitante della comunità monfalconese si è svuotato di identità monfalconese. La popolazione autoctona avrebbe, secondo lorsignori, progressivamente abbandonato gli spazi pubblici poiché costretta, (finalmente qualcuno ha il coraggio di dirlo), a rintanarsi in casa per via dell’invasione dei barbari. Notate il nesso? La correlazione? Insomma, Monfalcone oramai è terra straniera: per questo il Caffè chiude, per questo prima o poi i bianchi saranno cacciati a pedate dai loro adorati fumi salubri, le colonne della cultura locale che il mondo ci invidia, i meravigliosi centri commerciali – parte integrante di un secolare processo identitario. Siccome per le strade ci sono solo “loro”, che non permettono ai “nostri” di godere degli spazi comuni, gli esercenti autoctoni si sono visti costretti a chiudere e molti altri saranno costretti a seguire la scia. Altro che il calo dei consumi, le tasse sul lavoro, lo Stato nemico delle piccole e medie imprese, l’offerta scadente e omologata alla clientela: i bar italiani del centro hanno chiuso per via dell’avanzata straniera; l’enoteca e l’albergo-ristorante che ancora resistono assomigliano a quell’ultimo giapponese a cui non avevano detto che la guerra era già finita. Lo stesso discorso vale, ad esempio, per il campo di via Portorosega: non si vedono più i tornei dei tempi d’oro perché ogni maledetta domenica ci sono “loro” che devono giocare a cricket, occupando il “nostro” campo che noi abbiamo abbandonato da tempo (l’educazione voleva che, in quanto ospitati, non si allargassero troppo: addirittura giocare su un campo libero, non si fa). Baluardi comunitari si sono visti svenduti all’invasore dagli abitanti stessi, accecati dall’avidità e dal vil denaro, sguazzanti nell’ingratitudine per antichi eroi che lottarono per la libertà dei bisiachi. E le colpe, ci mancherebbe, non sono affatto da ricondurre al Comune di Monfalcone. Le istituzioni possono solo assistere impotenti alla nota Rivoluzione dell’ArrotolatoPicanto/No Picanto, l’Insurrezione degli sputacchi e il Movimento Pisciatina Libera. Sempre secondo i pensatori di cui sopra, i problemi legati alla sanità, all’ordine pubblico e al rispetto delle norme igieniche basilari sono imputabili sempre e solo a “loro”, i devastatori che hanno inaugurato lo sbrodolio, le minzioni e pure lo scagazzo libero in questo ex Bengodi ricolmo di bagni pubblici. CONTINUA A PAG. 13 Vignette slovene, siamo sicuri che sono legittime? Una proposta: per tutti i residenti nelle zone di confine contemplate negli accordi di Osimo andrebbe abolita ogni forma di pagamento nei tratti superstradali H4 e H5 di Luigi Putignano A PAGINA 2 l’occhio/a naso Toilettes pubbliche: Trieste vs. Capodistria LO SCHMITZ/1 Abbiamo preso in esame le toilettes più centrali delle due città, non presentano lo stesso grado di pulizia e manutenzione. E di notte sono chiuse, con disagi immaginabili... di Luigi Putignano Un Riccardo III gigantesco quello di Gasmann a pag. 14 A PAGINA 4 antropologie/degradi Post-Monfalconesi e la questione stranieri LO SCHMITZ/2 Moni Ovadia ci racconta il mondo khassidico Monfalcone, da potenziale crocevia di popoli e culture, è diventata la via crucis infelice di un’integrazione mancata di DaviDe Stanic L’OCCHIO Al n. 6 di Piazza Oberdan si parcheggia “in deroga”... a pag. 3 A PAGINA 12 PRESENTE/PASSATO INTERVISTE Friuli Venezia Giulia, una regione male assortita a pag. 9 a pag. 13 A colloquio con E. Loukas (Dimar) a pag. 8 PRESENTE/PASSATO ECONOMIE Ronchi dei Legionari o Ronchi dei Partigiani? a pag. 10 Vacanze Giuliane a pag. 10 2 La Gazzetta Giuliana #(MAL)TRATTATI venerdì, 31 gennaio 2014 attualità Una proposta: per tutti i residenti nelle zone di confine contemplate negli accordi di Osimo andrebbe abolita ogni forma di pagamento nei tratti superstradali H4 e H5 Vignette slovene, siamo sicuri che sono legittime? S di Luigi Putignano e oggi da Trieste si vuole andare a Capodistria rapidamente e su strade a doppia carreggiata, senza rotatorie e mini tornanti, arrivati a Rabuiese occorre munirsi della vignetta del Dars, la società delle autostrade slovene: ovvero sborsare dai 15 euro per quella settimanale ai 110 euro per quella annuale. Questo dal valico di Rabuiese in poi, perchè, prima, il moderno raccordo autostradale (ma con limiti da strada provinciale!) di Lacotisce e tutta la Grande Viabilità Triestina sono “toll free”, senza pedaggio. Fin qui tutto sembrerebbe quadrare: l’ANAS ha deciso che da Lisert a Rabuiese si viaggia gratis, l’omologa slovena, semplicemnte no. ma non è così semplice come appare. e si, perchè siamo in quel lembo di terra dove tutto è legato a dei trattati internazionali. Anche in questo caso è un trattato che ci viene in soccorso: Il trattato di Osimo, fra la Repubblica Italiana e la Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia, firmato nell’omonima località il 10 novembre 1975. L’articolo 6 dello stesso recita che “le due Nei pressi del valico di Rabuiese Parti confermano la loro volontà di sviluppare ulteriormente la loro cooperazione economica con l'obiettivo, in particolare, del miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni di frontiera dei due Paesi. A questo fine, esse hanno simultaneamente stipulato un Accordo sullo sviluppo della cooperazione economica”. Ed è appunto dall’articolo 5 dell’Accordo sulla promozione della Cooperazione economica tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Socilaista Federativa di Jugoslavia, anche esso firmato lo stesso giorno e nella stessa località del succitato Trattato, che così recita: “Al fine di agevolare il traffico stradale, le due Parti collegheranno Lo svincolo della superstrada H5 in direzione Trieste l'autostrada Venezia-TriesteGorizia-Tarvisio alle strade Nuova Gorizia-Postumia-Lubiana, Fernetti-Postumia e Erpelle-Cosina-Fiume. Le due Parti esamineranno anche tutte le possibilità di agevolare il traffico di frontiera, soprattutto nelle regioni turistiche, e decideranno di comune accordo le misure da adottare al riguardo”, che vengono fuori i primi legittimi dubbi sulla legittimità del balzello applicato ai residenti della provincia di Trieste e di parte di quella di Gorizia, nonchè ai cittadini residenti nei comuni sloveni confinanti e oggetto del trattato. In Italia a compimento delle indicazioni contenute nel trattato è intervenuto il D.P.R. 6 marzo 1978, n. 100, recante le norme dirette ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dagli accordi italojugoslavi di Osimo del 10 novembre 1975 ed a consentire l'attuazione delle misure connesse. Una delle arterie previste dal D.P.R. 6 marzo 1978, n. 100. è la nuova strada ANAS 326 Raccordo Lacotisce-Rabuiese (4,6 km), costata solo per la progettazione, 1,6 milioni di euro. (http://www.regione.fvg.it/raf vg/comunicati/comunicato.ac t?dir=/rafvg/cms/RAFVG/not iziedallagiunta&nm=200811 19164437011) Sul fronte sloveno, per la superstrada H5 (7,8 km) che collega Nova Gorica (e quindi l’Italia) a Razdrto e all’A1, quindi Lubiana, l’Italia ha contribuito per il 25% dei 221 milioni di euro occorsi. (http://ava.rtvslo.si/predvajaj/tuttoggi+edizione/ava2.4 1916224/) In quest’ultimo caso il Trattato di Osimo è stato tirato in ballo: la dotazione prevista è stata erogata secondo la for- mula del mutuo non oneroso, cioè senza interessi. Ma ritorniamo al D.P.R. 6 marzo 1978, n. 100. L’Art. 3 recita testualmente: “l'Azienda nazionale autonoma delle strade provvederà alla realizzazione: - della strada di collegamento tra la regione jugoslava del Collio e Salcano (strada del Monte Sabotino), secondo il progetto elaborato dalla commissione mista italo-jugoslava di cui all'art. 6 dell'accordo sulla promozione economica, la cui spesa è valutata in complessive L. 1.550 milioni; - del collegamento autostradale tra l'autostrada VeneziaTrieste-Gorizia-Tarvisio ed il valico confinario di S. Andrea (Gorizia), mediante il completamento dello svincolo terminale con la strada statale 55 e con il valico confinario di S. Andrea e la realizzazione di opere varie venerdì, 31 gennaio 2014 stero dei lavori pubblici, per essere assegnate all'A.N.A.S., le somme di L. 15.500 milioni nell'anno 1978 e di L. 25.000 milioni in ciascuno degli anni dal 1979 al 1981”. conseguenti alla costruzione di tale svincolo e dell'autoporto di S. Andrea, la cui spesa complessiva è valutata in L. 1.500 milioni. L'Azienda nazionale autonoma delle strade provvederà inoltre, anche a mezzo di enti locali o loro consorzi, oppure di società o consorzi a prevalente capitale pubblico, tramite stipulazione di apposita convenzione, alla realizzazione dei collegamenti autostradali, senza pedaggio, fra l'autostrada Venezia-Trieste-Gorizia-Tarvisio ed i valichi confinari di Fernetti (Trieste), di Pese (Trieste) e di Rabuiese (Trieste) al cui scopo viene destinato un contributo complessivo di L. 87.500 milioni. A tale fine sono iscritte nello stato di previsione del Mini- La Gazzetta Giuliana 3 attualità Dalla lettura del succitato articolo si evince che l’Italia ha, quindi, recepito in toto gli auspici del Trattato di Osimo, comprese “tutte le possibilità di agevolare il traffico di frontiera, soprattutto nelle regioni turistiche”. La Slovenia non reputa che questo passaggio dell’articolo 5 dell’accordo indichi la possibilità o meno di esigere pedaggi sulla propria rete. E, quindi, anche se si tratta di superstrade, senza corsia d’emergenza e quindi non equiparate alle vere e proprie autostrade, indica le due arterie tra le tratte soggette all’esposizione della vignetta. Personalmente credo che si tratti di una forzatura. L’annullamento del pedaggio nel territorio sloveno, così come indicato dagli accordi, porterebbe benefici sia di là che di quà, in primis un deciso incremento del pendolarismo Per la vostra pubblicità su La Gazzetta Giuliana Giuliana Editrice Sarl cell. 333 7241111 [email protected] italiano verso le strutture commerciali e turistiche del litorale sloveno; inoltre agevolerebbe non poco il tragitto che i tanti pendolari sloveni devono percorrere quotidianamente per raggiungere Trieste. Ma sarebbe anche un gesto di reale apertura nei confronti delle minoranze presenti nei territori. Sarà dura, tra l’altro ci ha già provato la Provincia di Trieste alcuni anni fa: il sottosegretario Jakomin, in risposta all'iniziativa della Bassa Poropat in un primo momento aveva spiegato che il Ministero dei Trasporti della Repubblica di Slovenia, in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri, stava valutando la possibilità menzionata nella Sua nota, al fine di garantire anche alla popolazione residente nella Provincia di Trieste il transito gratuito sul determinato territorio della Repubblica di Slovenia secondo i principi di reciprocità. Sappiamo poi che, quando i cordoni euro- pei si sono allentati, la valutazione a dato esito negativo. Ad oggi non c’è reciprocità di trattamento. E di questo ‘Iitalia deve tenerne conto. Studio dott. Flavio Giordani Commercialista Via Romana, 57 34074 Monfalcone (GO) cell. 347 4019474 4 La Gazzetta Giuliana #SOSTE V di giorgio De coLa ogliamo porre all’attenzione l’annoso problema rappresentato dalla presenza di alcune auto “diversamente” parcheggiate in aree in cui non è permesso. Il normale cittadino che, in caso si sosta in piazza Oberdan, è costretto al pagamento di una tariffa oraria, può notare, con sorpresa, che lo spazio antistante la sede della Regione è affollato permanentemente da vetture, nonostante il divieto assoluto di sosta con tanto di minaccia di rimozione forzata - come appare sull’immagine riportata. La sorpresa, poi, si accentua con la constatazione che la trasgressione al severo divieto non viene sanzionata con la prevista multa. La soluzione del mistero è data dalla lettura di un foglietto esibito sul cruscotto delle vetture posteggiate. In esso si legge, scritto a caratteri ben leggibili “Permesso di Transito e fermata operativa", permesso concesso in "deroga al divieto vigente (comma 4 art.7 del C.d.S. (Codice della Strada)”, emesso dall’Ufficio Permessi del Comune di Trieste. Inoltre, sempre in grandi caratteri, appare chiara la dicitura "Regione Friuli Venezia Giulia Consiglio Regionale" con l’esplicazione "in deroga ai divieti di circolazione e di sosta stabiliti dall'art.7 C.d.S. Zona P.zza Oberdan - attività: Servizio Pubblico". Traducendo il burocratese in un linguaggio comune si desume che l'autorità comunale ritenga che avere a che fare con il Consiglio Regionale, o perchè eletti o per qualsivoglia servizio ad esso connesso, deve essre considerato "Servizio Pubblico". E' una opinione degna di rispetto, ma non si comprende come possa essere tutelata dal vigente Codice della Strada in deroga ai divieti stabiliti dalla stessa autorità comunale. Per la precisione il richiamato comma 4 art.7 del C.d.S. recita: "Nel caso di sospensione della circolazione per motivi di sicurezza pubblica o di sicurezza della circolazione o per esigenze di carattere militare, ovvero laddove siano stati sta- venerdì, 31 gennaio 2014 l’occhio/1 Permessi concessi in "deroga al divieto vigente (comma 4 art.7 del C.d.S. (Codice della Strada)”, ed emessi dall’Ufficio Permessi del Comune di Trieste Al n. 6 di Piazza Oberdan si parcheggia “in deroga”... biliti obblighi, divieti o limitazioni di carattere temporaneo o permanente, possono essere accordati, per accertate necessità, permessi subordinati a speciali necessità e cautele. Nei casi in cui sia stata vietata o limitata la sosta, possono essere accordati permessi subordinati a speciali condizioni e cautele ai veicoli riservati a servizi di polizia e a quelli utilizzati dagli esercenti la professione sanitaria, nell'espletamento delle proprie mansioni, nonchè delle persone con limitata o impedita capacità motoria, muniti del contrassegno speciale." Dalla attenta lettura del testo di legge, espressamente citato nei permessi in questione, non si riesce a ravvisare alcun nesso tra gli addetti, a qualsivoglia titolo, al Consiglio Rgionale, e i previsti "servizi di polizia" o "gli esercenti la professione sanitaria", ne tanto meno "le persone con limitata capacitè motoria". La realtà, in verità, è molto più banale e censurabile. Si è voluto riservare, con discutibile privilegio, delle aree pubbliche a una particolare categoria di persone, legate in qualche modo alle attività regionali, per non avere avuto il coraggio, o forse per un residuo pudore, di apporre una bella, sfacciata e fuori norma segnaletica con la dicitura “Riservato ai Consiglieri Regionali”, in aggiunta agli amplissimi spazi già esistenti all'interna del complesso regionale. Ai menzionati comuni cittadini và, comunque, fornita qualche spiegazione. colophon La Gazzetta Giuliana Pubblicazione periodica registrata presso il Tribunale di Trieste il 08/03/2013, nr. 1264 Edito da GIULIANA EDITRICE S.A.R.L. Direzione e redazione: via della Geppa, 4 - 34132 Trieste Tel 040 3473977 Fax 040 3481465 e-mail [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE Luigi Putignano COORDINAMENTO REDAZIONALE Luca Lopardo HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Mario Cotta, Giorgio De Cola, Matteo Di Bari, Norberto Fragiacomo, Alice Gregori, Lorenzo Natural, Piero Rosso, Davide Stanic IMPAGINAZIONE GRAFICA: Ellepi STAMPA Edigraf, Via dei Montecchi, 6 Trieste chiuso per la stampa il 16 gennaio 2014 venerdì, 31 gennaio 2014 #A NASO l’occhio/2 La Gazzetta Giuliana 5 Abbiamo preso in esame le toilettes più centrali delle due città: entrambe gratuite (cosa di per sè ammirevole) non presentano lo stesso grado di pulizia e manutenzione. E di notte sono chiuse, con disagi immaginabili... Toilettes pubbliche: Trieste vs. Capodistria V di Luigi Putignano ogliamo affrontare il problema delle pubbliche toilettes, un argomento sicuramente sui generis ma che spesso non viene affrontato con la giusta attenzione. Il problema dei bagni pubblici è particolarmente sentito in quelle città che, per tradizione, clima, cultura, tendono a prolungare la sosta, il passeggio lungo e verso i centri d’aggregazione cittadini anche a notte tarda, in special modo con la bella stagione (ma anche durante le frequenti belle serate invernali e autunnali). Cominciamo con Trieste. La pubblica toilette presa in esame è quella che insiste in Piazza Ponterosso, lato BNL. Si tratta di una struttura sotterranea, con due ambienti separati divisi per genere. Non è utilizzabile da persone diversamente abili per la presenza di barriere architettoniche; difatti non esiste un ambiente dedicato. L’interno, non adeguatamente pulito, e presenta alcuni servizi fuori uso. Ma la cosa che salta più “al naso” (nel vero senso del termine!) è l’olezzo nauseante che vi si respira. Non consigliabile ai deboli di stomaco. Non abbiamo rintracciato alcun custode o inserviente. Un’ambiente assolutamente inospitale per bambini. Ciliegina sulla torta, l’orario: dalle 9:00 alle 19:00. Dopo le sette di sera occorre andare in giro per locali a chiedere di uilizzare i loro servizi (spesso previa obbligatoria consumazione). Di notte, arrangiatevi. Ma attenti che le multe per chi viene beccato a farla per strada sono salate. Multe che in mancanza di vespasiani aperti 24ore su 24 sarebbero illeggittime in quanto, in una determinata fascia notturna, non viene garantita la minzione in ambienti appositi. E, non essendo soggetti a coprifuoco notturno, ai cittadini “nottambuli” deve essere garantita la possibilità di espletare i propri bisogni fisiologici in locali appositi. Eppure anni orsono Trieste aveva in varie zone della città vespasiani (in realtà spesso maleodoranti) che servivano alla bisogna. In conclusione il servizio pubblico “underground” di Piazza Ponterosso è decisamente da migliorare, sia per quel che concerne la pulizia che per quel che riguarda la fruibilità e gli orari. Passiamo ora ad analizzare la toilette di Capodistria. Abbiamo preso in esame il bagno pubblico situato nel fabbricato posto tra Pristaniska ulica e Semedelska Cesta. Si tratta di una struttura posta a livello della piazzetta a giardino. L’interno, curatissimo e pulito, consta di ambienti diversificati per uomini, per donne, per persone diversamente abili e anche di uno spazio dedicato a famiglie con bambini piccoli (con consolle fasciatoio). Si avverte un senso di pulizia e decoro encomiabili. Al contrario non si avvertono olezzi ma profumo di detergenti sanitari. Presente nella struttura un’addetta alle pulizie che ci ha confermato la ciclicità quotidiana della pulizia. Le dotazioni sono tutte in perfetto stato e allestite con buon gusto, con un occhio all’estetica e al design. Promossa, quindi, la toilette di Capodistria, e a pieni voti. Unica nota stonata (ma sempre meglio che in quel di trieste): l’orario di apertura va dalle 7:00 alle 22:00. Di notte anche a Capodistria c’è da arrangiarsi. In conclusione, che dire, oggi a Capodistria fare la pipì è più piacevole che farla a Trieste. ... e a Capodistria ... a Trieste (le foto in basso) 6 La Gazzetta Giuliana #STATI interviste venerdì, 31 gennaio 2014 Il membro greco-triestino del Comitato centrale di Sinistra Democratica auspica, per la Grecia, un governo di cambiamento con SYRIZA, che dovrà però abbandonare le proprie “posizioni populiste” E. Loukas (Dimar): non si può governare un Paese in crisi senza una grande alleanza politica e sociale I di norberto Fragiacomo ncontro l’ingegner Efstathios “Stathis” Loukas al Caffè S. Marco, storico luogo di ritrovo di artisti e letterati triestini (Claudio Magris ha combattuto un’appassionata battaglia per scongiurarne la chiusura). Tutto, in questo locale, richiama la Trieste cosmopolita di cent’anni fa: le decorazioni art noveau, la compostezza degli avventori, la presenza, tra loro, di un rabbino e di un regista greco che, accompagnato dallo sceneggiatore, illustra la sua ultima opera, presentata proprio in questi giorni al Trieste Film Festival. Qui dentro, insomma, si respira un’aria vivace, multiculturale; fuori la strada intona la monotona canzone d’un presente gramo. E proprio di attualità – e più precisamente di quanto sta avvenendo in Grecia – parliamo Stathis ed io, davanti ad un caffè nero e ad un tè. Gli chiedo di presentarsi ai lettori, ma lui mi precede, consegnandomi un foglio word che contiene, oltre ai dati fondamentali, una sua analisi della situazione politica ellenica: vengo così a sapere che dal ’72 al ’74 è stato segretario della Federazione italiana del Partito Comunista Greco dell’interno (nato da una scissione del KKE e molto vicino al PCI italiano); nel frattempo dirigeva la rivista “Quaderni della Resistenza Greca”. Di particolare rilievo è il conferimento della medaglia al valor civile per la Resistenza contro la dittatura dei colonnelli. Di altri fatti ero già al corrente: dopo la laurea all’Università di Bologna, Loukas, già sposato con un’italiana, si è stabilito a Trieste; dal 2011 fa parte del Comitato centrale di DIMAR/Sinistra Democratica, una formazione politica che, dopo aver contribuito a dar sta alleanza di sinistra per un governo di cambiamento? Si intravvedono, allo stato embrionale, gli elementi di che dicono: mai più un governo con Nuova Democrazia (la destra europeista di Samaras, ndr). La sopravvivenza del partito è ormai solo vello europeo, e pare che Schultz se ne renda conto. vita al gabinetto Samaras (2012), ne è uscita la scorsa estate per incomponibili divergenze (sabotaggio della Nuova Legge Antirazzista da parte di Samaras e suo colpo di mano con la chiusura della RadioTV). Precisa, a voce, che “un compromesso non può reggersi con radici unidirezionali”, ed aggiunge di essere “esponente di una corrente di pensiero che all’ultimo congresso del partito, a metà dicembre, ha ottenuto il 25% dei voti in seno al Comitato centrale – 26 su 111 – per uno spostamento più a sinistra, nella prospettiva di un’alleanza con SYRIZA per un governo di cambiamento.” formazione di un blocco alternativo di potere, che per governare il Paese deve comprendere SYRIZA, Sinistra Democratica ed il partito che verrà fuori dalla fase di purgatorio che attraversa il PASOK. Il PASOK è in dissoluzione, perché è venuto meno il blocco sociale che lo ha portato e mantenuto al potere per 24 anni. C’è un movimento, detto dei 58, formato da gente proveniente dal PASOK e gente che migrava tra sinistra e Pasok, che chiede lo scioglimento del partito, in modo da potersi presentare alle elezioni europee. All’interno del movimento c’è pure un’ala che fa capo a quadri di DIMAR. Inoltre, oltre ai 58 vi sono quadri e correnti del PASOK formale, per l’estrema frammentazione al suo interno: i 58, assieme agli altri contestatori e all’ex Primo Ministro Simitis, il “padre protettore”, hanno come punto di riferimento il PSE. domanda è: davvero ci si può fidare del PSe? gli esecutivi socialisti in Spagna e Portogallo, l’ex Primo ministro Papandreou da voi, non mi sembra abbiano opposto grande resistenza ai diktat della troika… cosa vi fa credere che sia cambiato qualcosa? Quello della credibilità dei socialisti è, in effetti, un grosso problema. Voglio però citare le parole del socialista portoghese Mario Soares, quando dice: “qui non si tratta di numeri o dati statistici, si tratta della vita reale. Lavoro o disoccupazione, un letto all’ospedale oppure polmoniti sotto i ponti. Qua è in gioco la politica e l’etica.” Una citazione che può senza come la immaginate que- come è possibile conciliare questo legame con il PSe con il sostegno alla candidatura di alexis tsipras a Presidente della commissione avanzata dalla Sinistra europea contro Schultz, l’uomo indicato dal PSe? Secondo la mia opinione, se Tsipras non vince direttamente e gli serve un’alleanza – cosa ovvia - appoggerà Schultz, ponendo precise condizioni programmatiche. Urgono cambiamenti a li- Per quanto riguarda l’urgenza, nessun dubbio. La difficoltà riguardare la Grecia attuale. a proposito di letti all’ospedale, qual è oggi la situazione in grecia? Si parla, nei media mainstream, di un miglioramento dei conti pubblici… La disoccupazione giovanile è al 58%, il dato dichiarato di quella complessiva supera il 27… ma se si contano anche quelli che non cercano più lavoro, siamo oltre il 30 (secondo l’Istituto di ricerche della Confederazione Generale del Lavoro), mentre il debito ha superato il 170% del PIL. In più, bisogna considerare la dissoluzione del sistema sanitario, l’attacco a tappeto contro i diritti dei lavoratori e quelli di cittadinanza ecc. La situazione è drammatica: ci sono circa 400 mila famiglie senza lavoro, la gente, cui è stata tagliata l’elettricità, muore per l’emissione di gas tossici dalle stufe… per scaldarsi si utilizza qualsiasi cosa bruci, anche sostanze proibite. Ad Atene sopra la città c’è una coltre di smog come a Londra fino agli anni ’50. Attraverso la crisi viene in superficie il ruolo sociale dei grandi enti di produzione di energia elettrica. Il governo, su pressioni del PASOK, dei Sindaci e dell’opposizione di sinistra, ha costretto l’Enel greco a riallacciare l’elettricità dove era stata tagliata, per rispondere alla strage sociale. Tra l’altro, si è creato un movimento che si oppone alla privatizzazione totale dell’ENEL greco e per la difesa dei Beni Comuni. Per quanto riguarda la sanità, quella pubblica non esiste più: l’unica differenza con gli Stati Uniti è che chi non può “ venerdì, 31 gennaio 2014 permettersi di pagare viene accolto in ospedale e gli si dà un letto… ma solo per morire, le cure sono riservate a chi ha i soldi. Si voleva introdurre un ticket di entrata di 25 euro, poi il provvedimento è stato lasciato cadere per l’opposizione sociale. C’è però un aspetto positivo: molti medici usano il loro tempo libero per aiutare le persone invece che per lucrare. Il miglioramento dei conti pubblici? C’è stato per la prima volta un avanzo primario, ma è fittizio: dipende dai tagli pesantissimi. un quadro terrificante, anche se la nostra tv non ne parla. e la questione degli espropri delle abitazioni, imposti dalla troika? C’è già una legge del 201011, che pone delle limitazioni legate al reddito. La troika l’ha chiesto, ma la richiesta non è ancora stata formalizzata. C’è un problema: non esiste il tavolare che copra tutta la Grecia e neppure una piena conoscenza dei redditi, perciò procedere sarebbe in ogni caso difficile, l’abusivismo è diffusissimo, e nella parte nord-orientale di Atene riguarda abitazioni di pregio. Il governo fa resistenza passiva, perché il PASOK è contrario, ed anche l’opposizione, ovviamente, avversa il provvedimento. Cercano un escamotage… L’interesse mediatico per la grecia era anche frutto dei continui scioperi di massa. c’è meno fermento oggi nel Paese? Sì, non ci sono più grandi manifestazioni come un anno e mezzo fa. Questo per due ordini di ragioni: la prima è che, a fronte di un taglio delle retribuzioni del 30-40%, i lavoratori non possono permettersi di perdere 50-70 euro al giorno per uno sciopero. L’altro ostacolo è il discredito che circonda il sindacato. Fino agli ’80 il sindacalismo era “giallo”; i sindacalisti veri, tutti comunisti, erano banditi dallo Stato, con l’unica eccezione del comparto edilizio. Col PASOK al potere si crea un sindacalismo dello scambio corporativo, cui venivano garantiti privilegi economici e sociali. Faccio un esempio: secondo informazioni giornalistiche, il reddito del se- gretario generale della Federazione del Lavoro greca è intorno ai 180 mila euro annui, quattro-cinque volte lo stipendio di Landini qua in Italia. Quindi è sputtanato. Quando ancora lavoravo i colleghi giovani mi dicevano che al sindacato mancava la La disoccupazione giovanile è al 58%, il dato dichiarato di quella complessiva supera il 27… ma se si contano anche quelli che non cercano più lavoro, siamo oltre il 30 Alexis Tsipras credibilità, poi però su questioni concrete si impegnavano. Io creai un rapporto su questo punto: se chiediamo un aumento dobbiamo dimostrare che qui si costruisce qualcosa che dà un risparmio energetico ecc. Insomma, se fai ai giovani un discorso alla Landini a proposito del come si produce il consenso lo ottieni. torniamo alle prossime elezioni europee, che potrebbero fare da prologo a quelle nazionali, se il governo dovesse cadere. tsipras è un candidato che piace, ci sono delle personalità, in italia, che vorrebbero indicarlo come capolista anche qui da noi. cosa ne pensate, in grecia? Premesso che il mio partito, DIMAR, si presenterà da solo alla consultazione e che ha già fatto domanda di adesione al gruppo europarlamentare del PSE, su Tsipras capolista devono decidere le forze italiane. Certo, l’appoggio offerto a Tsipras da personaggi come Barbara Spi- interviste nelli, il padre della quale è molto conosciuto in Grecia tra chi segue la politica, Camilleri e Gallino ecc. – ed anche da parte di intellettuali belgi – ha avuto una ricaduta positiva sui sondaggi: in quello odierno (22/1) SYRIZA supera per la prima volta il 31% delle intenzioni di voto, ultimamente con un vantaggio di 2-3,5 punti su Nuova Democrazia. Queste aperture, insieme alla scelta pro euro e pro Europa fatta nel congresso dell’estate scorsa, hanno rafforzato anche dentro SYRIZA la posizione europeista. La questione è che contemporaneamente alle europee si svolgeranno le elezioni regionali e comunali e alle amministrative per SYRIZA si presentano gli stessi problemi che, in Italia, ha il M5S: passando in pochissimo tempo dal 5 al 30% non è riuscita a formare quadri locali, e questo rischia di pagarlo in termini di voti, perché potrebbe vincere le europee e non vincere le consultazioni locali. In ogni caso, venendo alle consultazioni nazionali, che potrebbero tenersi in autunno in caso di pesante sconfitta, a maggio, delle forze governative, il problema per SYRIZA, anche in caso di vittoria, è che non si può governare un Paese senza una grande alleanza politica e sociale, quindi è indispensabile un accordo programmatico con le forze intermedie. L’ingresso in Parlamento di DIMAR servirà a spronare SYRIZA ad abbandonare alcune posizioni populistiche. Riaggregando la forza che viene dal purgatorio del PASOK si potrebbe arrivare a quei 160 deputati (su 300) necessari per una maggioranza ampia, e magari superare la soglia. Non va tra l’altro sottovalutato il pericolo Alba Dorata (terzo partito nei sondaggi, oltre il 10%), che continua a crescere nelle intenzioni di voto malgrado un terzo dei suoi deputati stia in carcere. Parli di populismo, ma per quale motivo escludi dal novero delle possibilità (e lo stesso fa SYriZa, a quanto pare) un’uscita dalla ue e dall’euro? La posizione del KKe sul punto è immutata, imma- gino. Sì, il KKE resta aprioristicamente contrario all’Europa e continua a proporre il potere popolare e la nazionalizzazione dell’economia; nel penultimo congresso hanno riabilitato Stalin. Recentemente hanno criticato il defunto segretario Florakis, accusato di essere stato troppo pragmatico. Lui era stato nei lager, cercava collaborazioni e compromessi con le altre forze di sinistra. Uscire oggi dall’euro, come pretendono loro, comporterebbe per il Paese un costo enorme, maggiore di quello pagato sin qui. Nonostante la crisi, i sondaggi dicono che la stragrande maggioranza dei greci è contraria all’uscita dall’Unione, anche perché noi abbiamo problemi geopolitici (le tensioni con la Turchia, ndr) che l’Italia non ha. Senza lo strumento di pressione di un possibile abbandono dell’euro non rischia un eventuale governo tsipras di risultare contrattualmente debolissimo nei confronti della troika, e di fare quindi la fine dell’esecutivo Papandreou, che pure aveva proposto agli elettori un programma di sinistra? Sì, ma a livello europeo riconoscono che il debito greco non è estinguibile, come conferma lo stesso FMI. Secondo me, Tsipras punterà ad entrare in trattative con la UE perché la maggior parte del debito è oggi nelle mani delle istituzioni europee. Urgono trattative, la crisi sociale è gravissima, lo vedono tutti. Noi pensiamo che un governo debba proporre un programma condiviso, che tenga conto della situazione creatasi. I Memorandum hanno peggiorato la crisi endogena senza costruire soluzioni di uscita, destrutturando economia reale e società, polverizzando il lavoro e limitando la Democrazia. Non va dimenticato che le eventuali elezioni politiche potranno tenersi solo dopo le europee, che perciò ci diranno quale sarà la futura politica della UE. In ogni caso, la nascita di un fronte mediterraneo che prema sulla Germania agevolerebbe il nostro compito: la candidatura Tsipras va in questa direzione. La Gazzetta Giuliana 7 Quindi un’europa a guida socialista potrebbe, secondo te, offrire maggiori spazi di manovra al (nuovo) governo greco; se invece vincessero le destre a primavera ci sarebbe tempo per escogitare le opportune contromisure. La domanda che segue si riallaccia alla turbolenta storia ellenica del dopoguerra: c’è il rischio di un colpo di stato militare, nell’eventualità di una affermazione elettorale delle sinistre a livello nazionale? In Grecia, dopo la caduta dei colonnelli anche durante il dominio di Karamanlis (’74’81) e con le gestioni PASOK e ND c’è stato un repulisti nelle Forze Armate. Capo delle FFAA è diventato un ammiraglio che, nel ’73, era fuggito in Italia (cacciatorpediniere Velos). Il problema non è là, anche se si sono trovati nella polizia simpatizzanti di Alba Dorata: dagli anni ’70 è fortissimo il sindacato di polizia. Non vedo in Italia rappresentanti dei sindacati di polizia che parlano con altrettanta chiarezza. Elementi reazionari nelle FFAA ci sono, ma l’esercito è democratico, di leva. No, non vedo rischi di un colpo di stato… il vero rischio è quello di un colpo di stato economico, anche se l’ex membro greco del FMI ha riconosciuto – e ci sono state discussioni all’interno del FMI - che nel 2009-2010 sarebbe bastato un piccolo intervento per salvare la Grecia. Ma non si è voluto farlo. appunto, non si è voluto. il mantenimento di un esercito di leva mostra comunque che i politici greci sono stati più saggi – o meno farabutti – di quelli italiani. mi pare di aver capito che, al di là della politica, la popolazione greca sta sviluppando un senso di solidarietà che potremmo definire “socialista”, è così? Sì, c’è un forte movimento di solidarietà locale influenzato da tutti i gruppi e le forze politiche di Sinistra KKE, DIMAR, SYRIZA: pensiamo ai medici che fanno ambulatori collettivi, dove curano gratis chi non può permettersi l’assistenza, ad esempio. Anche la Chiesa Ortodossa partecipa alla campagna di solidarietà con atteggiamento esplicito: i ristoranti di proprietà ecclesiastica lavorano molto, al pari delle mense comunali, per sfamare i cittadini impoveriti. Molti supermarket hanno promosso una catena di solidarietà: i clienti forniti di denaro possono lasciare un’offerta – di merci - in un recipiente per contribuire alle spese delle mense. * * * Queste ultime – l’affidabilità delle Forze Armate ed il diffondersi di una solidarietà che, senza volerlo, assomiglia tanto al Socialismo - mi paiono le uniche note squillanti in una sinfonia tragica. Ringrazio il compagno Stathis per la consueta disponibilità e gentilezza (ormai è una vecchia conoscenza del sottoscritto!) e risistemo velocemente gli appunti. C’è qualcosa che non mi persuade nella strategia della sinistra greca, così come è stata delineata… non so, una sorta di “ottimismo della volontà” che stride con la descrizione impietosa e drammatica della situazione odierna. Misurarsi con un baro conclamato seguendo scrupolosamente le regole – cioè, rinunciando sin dal principio a nascondere nella manica gli “assi” no euro/via dall’Unione/sospensione del pagamento dei contributi alla UE/ripudio dei trattati capestro/rifiuto di pagare il debito, e persino a bluffare - mi sembra un po’ da ingenui, e nonostante le lacrime di coccodrillo versate ultimamente da alcuni funzionari dubito che la troika possa mutare rotta, “umanizzarsi”: il recentissimo diktat riguardante la vendita all’asta delle prime case induce al pessimismo. Fidarsi del PSE, poi, è un atto di fede nei confronti di una “divinità” che, a giudicare dai comportamenti tenuti dal ’90 ad oggi, merita più disprezzo che preci. Mi auguro insomma che, perlomeno a livello europeo, Tsipras e SYRIZA non cedano all’esiziale logica del “non c’è alternativa” – logica che ha propiziato questo killeraggio definito “crisi” da esperti e media. Non sta a me, d’altra parte, suggerire ai greci quel che debbono fare. 8 La Gazzetta Giuliana #TOPONOMASTICA presente/passato venerdì, 31 gennaio 2014 Marco Barone, che ha chiesto la revoca della cittadinanza onoraria conferita a Benito Mussolini nel 1924, ci spiega perché “Ronchi dei Partigiani” sarebbe una denominazione certamente più giusta di “Ronchi dei Legionari” Ronchi dei Legionari o Ronchi dei Partigiani? E perchè no Ronchi e basta? I di Piero roSSo l 14 gennaio è uscito sul blog Giap del collettivo di scrittura Wu Ming un intervento di Marco Barone, blogger e attivista, intitolato “Da Ronchi «dei Legionari» a Ronchi dei Partigiani. Di cos’è il nome un nome?” a riguardo del quale gli poniamo alcune domande. Potremmo dire: fare la Storia e interpretarla non sembrano essere due attività così differenti. il grumo di significati che circonda un termine, quando lo pronunciamo, è l'effetto di una politica culturale. ad esempio, quando parliamo di impresa, a proposito di Fiume, in qualche modo sottintendiamo anche eroismo, audacia, conquista, Popolo nemico, Diverso; il nostro modo di pensare s’incaglia sui significati dati da una certa epoca, come quella fascista, a una parola o a un evento. nel caso di ronchi, uno dei temi da lei evidenziati è stato quello relativo alla 'razza'. cosa diciamo, in realtà, ogni volta che pronunciamo quel «dei Legionari»? «Dei Legionari», con la vera identità sociale e culturale di Ronchi, non ha alcun elemento minimo di condivisione: all’impresa di D’Annunzio non parteciparono i cittadini di Ronchi. La città fu niente più che una base logistica temporanea e i ronchesi, per quello che ho potuto verificare, non ebbero alcun legame con i Legionari. A conferma di ciò sembra esserci la vicenda del monumento a D’Annunzio non voluto a Ronchi, perché considerato come una esaltazione ad una impresa fascista, ed eretto alla fine a Monfalcone. Non posso che reputare figlia della cultura fascista la denominazione «Dei Legionari», correlata Marco Barone “ alla vendetta della ‘vittoria dolorosa’ e all'impresa che racchiude tutti i caratteri dello spirito risorgimentale, irredentista, imperialista epico fatto proprio dal fascismo e da D'Annunzio. Lo stesso vale per lo spirito di Tra alcuni cittadini di Monfalcone, per fortuna oggi solo una minoranza – da non sottovalutare – si diffondono leggende che fomentano l’odio razziale, superiorità della civiltà latina nei confronti di quelli che venivano chiamati dallo stesso D'annunzio ‘barbari’ o ‘schiaveria bastarda’ o ‘mandrie di porci’, in altre parole gli sloveni, i croati, i serbi, ecc. Non a caso, la deliberazione con la quale si aggiunse al nome Ronchi quel «Dei Legionari» è avvenuta sotto il fascismo. Per ottenerla, il consiglio comunale di quel tempo decise di conferire la cittadinanza onoraria a Mussolini. Il fascismo, insomma, fece proprio l'evento, la marcia su Fiume, pericoloso per la pace e gli equilibri appena maturati dopo la prima guerra mondiale, impresa che ha reso reale il rischio di isolamento politico ed economico per l'intero Paese, il rischio di un conflitto con la Jugoslavia, una “bomba” che ispirò nei gesti, nei simboli e nel linguaggio la marcia su Roma. E' interessante a tal proposito riportare anche quanto scrisse D'Annunzio nel “Libro segreto” (1935): “Cursore leale ho trasmesso con tutti i miei segni la face all’uomo novo che l'Orbo veggente aveva annunziato nei suoi Canti della Ricordanza e dell'Aspettazione”. L'uomo novo è Mussolini, e D'Annunzio consegna la “vittoria non più mutilata” a Mussolini. narrazione storica che la riguarda entro nuovi confini? Penso, a questo proposito, alla proposta di rinominarla "ronchi dei Partigiani". Ogni evento, ogni circostanza, ogni fatto, non può rimanere immutato nella rigidità del tradizionalismo, poiché ogni evento condiziona il presente e il futuro. Per il futuro più immediato, vogliamo revocare la cittadinanza onoraria di Mussolini a Ronchi, grazie alla denuncia che ho effettuato nel novembre del 2013, raccolta dal Sindaco di Ronchi, dall'Anpi, Prc, movimenti e tantissimi cittadini e cittadine; inoltre vogliamo proporre, in via democratica, l'eliminazione della denominazione «Dei Legionari», non legata all’identità sociale e culturale della cittadina, e incompatibile con la Medaglia d’Argento al valor militare assegnata a Ronchi per l’attività partigiana svolta dai suoi cittadini dopo l’8 settembre 1943. La proposta nasce come provocazione culturale, politica e sociale e storica, ha lo scopo di mettere in discussione il nome attuale. A parer mio, visto l'impegno dei cittadini nella storia della Resistenza, la proposta è certamente più consona alla storia di Ronchi. Mi accontenterei dell’eliminazione della denominazione «dei Legionari», ma se si riuscisse ad aggiungere «dei partigiani», cosa a cui anche miriamo come gruppo, sarebbe importante e significativo, potrebbe esser il primo Comune d'Italia intitolato formalmente ai Partigiani. Una forma di dignità. D'altronde il nome di una città - come più in generale, ogni nome - sarà sempre incompleto, non potrà mai dire tutto della storia di un paese, né accontentare tutti. cambiare nome alla città non rischia di diventare un’altra selezione di significati, di richiudere la Questo ovviamente rimanda a una questione più grande e ancora attuale che è quella identitaria. Le migrazioni sul territorio hanno rimesso in discussione l'identità di chi ci abitava. che lezione si potrebbe apprendere dalla questione di Fiume nella gestione dei rapporti con i nuovi cittadini? esiste un'altra maniera di gestire la cultura che non si limiti al tentativo di imporre i propri canoni e che prenda le distanze da quello "spi- rito imperialista epico" di cui lei parlava? Monfalcone è un caso sociale che sta implodendo; sono intervenuto più volte a riguardo: spesso forme esistenti di razzismo sono state celate sotto il politicamente (s)corretto, o con la discriminante dello sfogo. Si legittima la caccia allo straniero; si organizzano ronde che fotografano atti di presunta inciviltà da parte degli immigrati; si analizzano addirittura, come mi è stato segnalato, i rifiuti lasciati per strada e se ne attribuisce la provenienza agli immigrati, con una presunzione incredibile. Tra alcuni cittadini di Monfalcone, per fortuna oggi solo una minoranza – da non sottovalutare – si diffondono leggende che fomentano l’odio razziale, anche tra la maggioranza dei monfalconesi, che ancora cerca di rifiutare questi discorsi. A Roma, forze di estrema destra, hanno realizzato il ‘Bangla Tour’: squadre neofasciste sono partite per dare la caccia ai bengalesi, vittime perfette per le spedizioni punitive perché soggetti socialmente indifesi. Pestaggi, insulti, offese, ronde, riti violenti, che hanno trovato legittimazione nelle dicerie popolari, e che sono sfociate in assalti razzisti. L'integrazione è possibile, Fiume deve insegnare che non è tanto la maggioranza della popolazione a determinare l'identità di una città, ma il confronto di tutte le parti, e le Istituzioni devono fungere da tramite. Non serve la repressione, perché rischia di peggiorare i rapporti, ma la prevenzione, la cultura, l'istruzione e la reciprocità: bisogna saper cogliere le cose positive dalle situazioni multietniche; d'altronde se si parla di “Europa dei popoli” c’è un motivo. Certo, il modo in cui funziona l'Europa oggi – male – è altra storia, però alla speranza non c’è mai fine. venerdì, 31 gennaio 2014 #DIGRESSIONI presente/passato La Gazzetta Giuliana 9 Nel resto d’Italia e, talvolta, persino nel confinante Veneto, il Friuli-Venezia Giulia non è considerato una regione con due componenti distinte Friuli Venezia Giulia, una regione male assortita M di mario cotta ussolini sosteneva che gli italiani non conoscono la geografia e c’è da pensare che in questo avesse ragione. E’ di pochi giorni fa la notizia che la nuova legge elettorale prevede, nella nostra regione, collegi elettorali con accorpamenti “a capocchia”: Trieste fa collegio con Codroipo, ad esempio, e Gorizia con Sacile. Questo dipende dal fatto che nel resto d’Italia e talvolta persino nel confinante Veneto, il Friuli-Venezia Giulia non è considerato una regione con due componenti distinte, come il Trentino-Alto Adige o l’Emilia-Romagna, ma come un tutto unico ed uniforme. Anni addietro, l’allora ministro leghista Castelli, in visita a Trieste, dichiarò di essere lieto di trovarsi nella nostra città, in Friuli. Corretto da alcuni presenti, chiese candidamente: “Ma Friuli e Venezia Giulia, non sono la stessa cosa?” E’ lecito ritenere che i politici attualmente al governo non ne sappiano di più, visto il pasticcio che hanno combinato con i collegi elettorali. In televisione, politici e giornalisti anche importanti, come il direttore del TG7 Enrico Mentana, parlano semplicemente di Regione Friuli ed è successo che Gerri Scotti, in una sua trasmissione, volendo essere gentile con un gruppo di spettatori giunti da Ronchi, abbia rivolto loro un saluto in friulano e sia rimasto meravigliato di non essere capito. All’origine di equivoci, incomprensioni, antagonismi e risentimenti c’è l’errore iniziale del governo italiano che ha voluto unire in un’unica regione due popolazioni, vicine, ma tanto diverse per usi, modo di pensare e di vi- vere, lingua e cultura. E adesso rimediare è difficilissimo, per più ragioni. Prima di tutto c’è l’opposizione dei partiti maggiori, i cui esponenti, nel caso di una qualsiasi forma di divisione, perderebbero peso politico a Roma (già ne hanno poco) e, soprattutto, poltrone. Poi c’è il problema delle province di Gorizia e Pordenone, favorevoli allo status quo perché temono l’eventuale egemonia di Udine e, per quel che ri- forniscono molte risorse alla regione: le Generali e l’Allianz. Va ricordato che l’Amregionale ministrazione mantiene il segreto più rigoroso sul contributo finanziario che ciascuna provincia fornisce alla regione. Una soluzione analoga a quella delle province autonome di Trento e Bolzano nell’ambito della Regione Trentino-Alto Adige, proposta nel settembre dello scorso anno in un articolo del Graziadio Isaia Ascoli guarda Gorizia, anche quella di Trieste. C’è pure il problema delle finanze. Com’è noto, lo Stato restituisce al Friuli-Venezia Giulia i sei decimi del gettito fiscale prodotto e probabilmente anche il timore di perdere i soldi di Trieste induce i politici friulani a non dar seguito alle forti istanze di separazione che provengono dalla loro base. Perché a Trieste, data l’esiguità del territorio provinciale, per giunta in gran parte inquinato dai petrolieri, ci sono poche industrie rispetto al Friuli, però c’è il porto e ci sono due colossi assicurativo-finanziari che hanno la loro sede a Trieste e nostro periodico è stata definita “delirante” dal Monestier, direttore del Messaggero Veneto, quotidiano di Udine. Si possono capire i suoi timori. Consentirebbe a ciascuna delle componenti regionali, Friuli e Venezia Giulia, di legiferare autonomamente e di gestire altrettanto autonomamente le proprie risorse finanziarie. Non ci sarebbe più la possibilità di dirottarle da una parte all’altra e, secondo i dati raccolti tempo addietro dal benemerito comm. Primo Rovis, non sarebbe Trieste a rimetterci. E infatti i friulani scartano questa soluzione e propongono quella di Trieste città metropolitana, che cela una grossa insidia: se la legge regionale seguisse la falsariga del progetto di legge statale, lascerebbe in mano ad un Consiglio regionale a maggioranza friulana, oltre alla facoltà di legiferare, anche quella di decidere il fondo da assegnare a Trieste, che risulterebbe sicuramente inferiore ai sei decimi del gettito fiscale della nostra città. In più, ci troveremmo di fronte alla rivolta (già cominciata) dei comuni circonvicini, i quali, legittimamente, intendono continuare ad autogovernarsi e rifiutano l’ipotesi di trovarsi, in posizione minoritaria, in un Consiglio metropolitano che avrebbe il potere di decidere sui loro problemi. La prevista abolizione delle province e la costituzione di Trieste come città metropolitana, negli intendimenti dei friulani, o meglio, dei friulanisti udinesi, tende ad isolare Trieste nell’ambito della regione e a costituire un’unica, grossa provincia udinecentrica, comprendente i territori delle soppresse province di Pordenone e Gorizia. Passo successivo, l’attribuzione a Udine del ruolo di capoluogo regionale. A questo punto bisogna aprire il discorso sul Friuli e cercar di capire. Terra dalla storia tormentata, spesso tragica, come la Venezia Giulia e Trieste, al confine di tre mondi: quello latino, di cui è parte, quello tedesco e quello slavo. Ha conosciuto, nel corso dei secoli, invasioni e guerre cruente; è stata divisa tra signorotti stranieri o italiani che si succedevano; in tempi meno lontani si è trovata spartita tra stati diversi: la Serenissima e l’Austria asburgica prima, l’Austria e l’Italia poi, con l’intermezzo della Francia napoleonica. Nell’ul- timo dopoguerra, quando in Italia si cominciò a parlare dell’istituzione delle regioni, i friulani sperarono legittimamente di vedersi riconosciuta la loro particolare identità etnica e culturale e di avere, nell’ambito dello Stato italiano, quella che con affetto, anzi, con attaccamento ammirevole e con amore autentico chiamano “la piccola Patria”, finalmente tutta per loro. Ed invece si trovarono a dover convivere con quello che restava della Venezia Giulia e con una città più grande e di maggior tradizione come Trieste, che toglieva a Udine il primato cui ambiva. Questo è stato l’errore di cui si è parlato all’inizio. Ad occidente l’Italia ha una piccola Regione a Statuto speciale: la Valle d’Aosta. Poteva averne un’altra ad oriente, la Venezia Giulia, e non ci sarebbero stati i contrasti attuali. C’è anche un problema… confinario tra Friuli e Venezia Giulia. Quasi tutti i friulanisti che hanno trattato la questione, storiografi, intellettuali e politici, parlano di Friuli storico, territorialmente compreso tra due fiumi: il Livenza ad occidente ed il Timavo ad oriente, con qualche rimpianto per il mandamento di Portogruaro, oggi stabilmente parte della provincia di Venezia. Francamente sembra si stiano allargando troppo. Qualche autore, ma si tratta di rare eccezioni, sostiene che il Friuli arriva all’ Isonzo o alle porte di Monfalcone. Nessuno che riconosca validità alle conclusioni dell’illustre studioso e glottologo Graziadio Isaia Ascoli, friulano di Gorizia, il quale, dopo aver studiato in modo approfondito non solo la parlata, ma anche usi e costumi delle genti di queste terre, ritenne che le popolazioni di Trieste, dell’Istria ed anche di Gorizia avessero caratteristiche comuni e che dovessero far parte della stessa regione, la Venezia Giulia. L’Istria ormai è divisa tra le due vicine repubbliche slave e Trieste è troppo grande e scomoda, altrimenti rischierebbero di essere rivendicate dal Friuli, dal momento che, in passato, anche da queste parti si parlava un idioma ladino molto simile al friulano, che non piaceva per niente al padre Dante, il quale, nell’undicesimo capitolo del libro primo del De vulgari eloquentia, cita tre parole che curiosamente si possono sentire ancora nel friulano parlato oggi: … Post hos, Aquilegienses et Ystrianos cribremus, qui « Ce fas-tu ? » crudeliter accentuando eructant. (.. Setacciamo via, poi, Aquileiesi e Istriani, che con il loro accento orribile eruttano : « Ce fas-tu ? »). 10 La Gazzetta Giuliana #TURISTI PER CASO economia Scarsa pianificazione, assenza di strategie di marketing e affidamento di compiti specifici a figure prive di competenze specifiche: sono tre dei grandi problemi che affliggono il turismo nazionale e locale Vacanze Giuliane N di aLice gregori e Luca LoParDo plice week end bisognava prenotare con largo anticipo per telefono, e soprattutto partire alla cieca, senza possibilità di verificare dove stavamo andando. Componente fondamentale era la reciproca fiducia. Da una parte il viaggiatore non sapeva dove sarebbe capitato, se non indirizzato da amici o conoscenti, dall'altra parte gli esercenti dovevano sperare di convertire le prenotazioni telefoniche da virtuali a reali. Al giorno d'oggi tutte queste barriere sono state rimosse anche grazie alla rete (basti vanno risolti al più presto in modo radicale e intelligente. pensare alla facilità di prenotare e pagare online), di conseguenza le offerte si sono moltiplicate e il mercato si è allargato a dismisura. I diretti concorrenti non sono più l'albergo in fondo alla strada, o lo stabilimento balneare a 10 km, ma il mondo intero. Questo comporta una consegnuenza ben precisa: bisogna avere l'abilità, la competenza e la sfrontatezza di sfidare il mercato mondiale. Ora, chi parte sconfitto presumendo che il Friuli Venezia Giulia non possa competere nel mercato globale deve cambiare mentalità; se invece onostante le enormi potenzialità della nostra regione, fra le più economiche del nord Italia per i vacanzieri di tutta Europa, privati e istituzioni locali non riescono ad ottenere il benché minimo risultato. Scarsa pianificazione, assenza di strategie di marketing e affidamento di compiti specifici a figure prive di competenze specifiche: sono tre dei grandi problemi che affliggono il turismo nazionale e locale, e Da qualche anno stiamo assistendo ad un continuo e veloce mutamento dell'offerta turistica. Complici di questo sicuramente internet e i voli low cost. Se pensiamo agli spostamenti di qualche anno fa sembrano essere passati decenni, quando viaggiare era un'attività dispendiosa e che richiedeva una pianificazione elaborata. Senza andare troppo indietro basti pensare a prima della diffusione di internet, quando per spostare la famiglia o anche per un sem- venerdì, 31 gennaio 2014 è già occupato nel settore turistico, è meglio che cambi proprio mestiere. Bisogna riflettere su come il FVG e tutta l'Italia potrebbero e dovrebbero campare di turismo. Il disfacimento e il declino dell'offerta turistica regionale è cosa evidente e sotto gli occhi di tutti, anche dei meno attenti. Dietro la crisi economica e dietro il collettivo piagnisteo che ha assunto la forma del mantra "la gente non ha più soldi per andare in vacanza" si nascondono i soliti noti: politici e istituzioni. Perché? La risposta è semplice ed è mutuabile in numerosissimi aspetti della nostra società: i nostri amministratori e la nostra macchina pubblica non sono sufficientemente elastici e veloci per riuscire ad adattarsi ai cambiamenti della società e del mercato. Per fare un esempio concreto, proviamo a dare un’occhiata a Italia.it, il sito costato quarantacinque (45) milioni di euro lanciato nel 2007 tra lo schifo degli addetti ai lavori. Un sito “nato vecchio”, dicevano. Ad oggi è invecchiato ancora: con piattaforme come Wordpress è possibile creare, gratis, siti migliori. Italia.it è lento, poco accattivante, propone idee e itinerari tutt’altro che brillanti, e in prima pagina cosa troviamo? La pubblicità a Eataly, l’azienda di Oscar Farinetti (prima della Cappella Sistina o dei Bronzi di Riace, il che dovrebbe dare qualche input sul binomio Renzi-Farinetti, ovvero il futuro Premier e un papabile Ministro dell’Agricoltura). Si privatizza persino la cultura gastronomica italiana. Non è davvero un caso se Roma ha ogni anno un terzo dei turisti che ha Berlino: la presentazione è quasi tutto, e noi ci presentiamo malissimo. Per non parlare di quello che c’è dietro, che è molto, molto peggio. In proporzione, il turismo della nostra regione ha gli stessi problemi dell’assetto turistico nazionale. Presentazione scialba, infrastrutture e trasporti decisamente migliorabili e, soprattutto, manca l’elemento fondamentale senza il quale nessun turismo è possibile: la pianificazione. Si decida una volta per tutte cosa si vuole fare della nostra regione a livello turistico, si prenda una decisione sensata e coerente, e da quella si parta per tutto ciò che segue. Inutile addentrarsi nella banale retorica su quello che il Friuli - Venezia Giulia ha da offrire. Parliamo di un'offerta stesso posto; in qualche agenda, in qualche programma elettorale mai realizzato e purtroppo mai nella testa di molti, troppi "amministratori". Manca una pianificazione regionale sensata, un progetto razionale e sviluppato sul medio-lungo periodo. Gli organi preposti a fare tutte queste attività esistono già, con tanto di assessorato e enti satellitari, che a questo dovrebbero provvedere. Eppure ciò che emerge è la totale assenza di una chiara visione del futuro, a fronte di una rin- potenziale che copre complessivamente tutti i 365 giorni dell'anno. Mare, montagna, colline, laghi, fiumi, pianure. Certo, i più pignoli obietteranno che il turismo non è solo geografia o natura, ma esiste anche anche il turismo diverso da quello di solo svago, ma in sostanza non ci manca nulla. Allora si ripropone la stessa domanda. Dov'è l'inghippo? Perché tutte queste potenzialità non sono adeguatamente sfruttate, ma sembrano addirittura trascurate prima e abbandonate poi? La risposta è sempre nello frescata qua e là di qualche logo, una moltiplicazione di enti, uffici e consorzi, tanti tagli di nastri, strette di mano e pacche sulle spalle tra i soliti noti. La domanda sorge dunque spontanea. Perché avendo tutti gli uffici e il personale destinato a queste attività le cose non funzionano? Perché non manca solo una pianificazione seria: manca una strategia. E chi dovrebbe farla questa strategia? Dovrebbero farla gli esperti di settore: esperti di marketing ed esperti di comunicazione, non i soliti parenti messi ad occuparsi di comunicazione e marketing perché tanto è un mestiere che possono fare tutti. Non è così. Bisogna ridare il giusto valore ai professionisti, affrontare con serietà il settore del turismo, avere l'umiltà di capire che si è fallito e che un intero settore economico è stato affossato dall'incompetenza di pochi presuntuosi. Nel contempo, in questi anni di buio e totale assenza di strategia si sono moltiplicati gli avvoltoi delle opportunità, i furbastri che hanno volato in cerchio sopra il corpo agonizzante del turismo, aspettando l'ultimo sussulto per lanciarsi in picchiata sul boccone più succulento. Abbiamo assistito alla moltiplicazione di "progetti" provinciali, comunali e camerali, alla moltiplicazione di enti, consorzi e "associazioni". Tutto allo scopo di accaparrarsi fondi pubblici (quasi sempre europei) mascherandoli da progetti per rilanciare il turismo e gestiti ancora una volta da chi ha la presunzione di credere che pinificare e creare una strategia sia un mestiere alla portata di tutti. Il risultato è sempre lo stesso: tanti tagli di nastri, strette di mano e pacche sulle spalle dei soliti (un po' meno) noti. Un marasma di progetti, iniziative, idee buttate sulla mappa della regione in maniera disorganica e superficiale, mascherati da iniziative virtuose da parte di coloro che si rimboccano le maniche al posto di quelli pagati per farlo. Tutti questi enti hanno creato un nuovo livello di parassitismo sociale, una vita in un ecosistema che non è nient'altro che una bolla di autoreferenzialità in cui ci sguazzano e campano. Muovono una rete di poche realtà che ad ogni "progetto" rinascono e spostano di qualche mese o anno quello che dovrebbe essere il loro destino, ovvero il non esistere più negli assetti economici del territorio. Una ricerca spasmodica del finanziamento pubblico per dare da vivere a pochi e avanzare qualche soldo per qualche "iniziativa" che non ha alcun impatto sul territorio. Tutto ciò viene fatto passare come un gesto nobile, a fa- venerdì, 31 gennaio 2014 vore della comunità e dei cittadini. L'eroe è servito. Avanti con il prossimo bando, il prossimo ente, il prossimo consorzio, che vivrà, anzi sopravviverà autoalimentato da se stesso (e dai soldi di tutti). E dopo la pianificazione e la strategia, la terza parola chiave. Il grande assente: il controllo. Tutte queste iniziative virtuose non hanno mai una fine, un'analisi dei risultati, una tabella dei benefici. Finiti i soldi del bando finisce anche il progetto, nell'indifferenza di tutti e senza curarsi se l'ennesimo progetto ha portato qualche beneficio reale, oltre che l'incasso di quei personaggi e quelle aziende che basano la loro economia sul finanziamento pubblico. “ Manca una pianificazione regionale sensata, un progetto razionale e sviluppato sul mediolungo periodo Tutto da buttare? Dipende. Attualmente è in piedi un progetto, realizzato con fondi europei e denominato “90km quadrati di esperienze”, che si propone di stimolare l’afflusso turistico di dieci comuni in provincia di Gorizia. Il sito, realizzato da due fotografi professionisti, si pre- senta in effetti con delle belle foto. Per il resto, però, c’è la percezione, magari sbagliata ma netta, che manchino sempre gli elementi essenziali: pianificazione, comunicazione efficace e strategie di marketing. Sono chiare le finalità del progetto ma non le modalità di esecuzione. C’è una confusione di base nell’attribuzione dei ruoli: fotografi che fanno il sito, associazione di commercianti che si occupano di marketing turistico, l’associazione di riferimento legata ad architetti. Sembra mancare, insomma, una coerenza di fondo. Infatti, sarà un caso ma il sito non funziona su rete mobile (smartphone et similia); i “contastorie” non sono professionisti delle relazioni con il pubblico ma sono gli abitanti del luogo, “protagonisti assoluti” che sicuramente hanno buona volontà ma forse non hanno carte vincenti da giocarsi con gruppi turistici organizzati (per esempio: sono tutti capaci di comunicare in modo eccellente in almeno una lingua straniera tra inglese, tedesco, sloveno?); infine, a oggi la sezione “Eventi” è ancora vuota, il che si capirà bene come possa indurre potenziali turisti a farsi togliere ogni voglia. Le biografie e le competenze di alcuni “contastorie” non paiono strepitose, forse perché si punta tutto sulla loro spontaneità nel presentarsi. La comunicazione in generale è poco curata, neutra e addirittura quasi formale, mentre per attirare clienti e turisti è ormai imprescindibile un pro- La Gazzetta Giuliana 11 economia fessionista formato nel ramo del marketing, capace di gestire una comunicazione fresca, seducente e accattivante sui social network e sul sito stesso. Insomma, la sensazione è che a non andare bene non sia l’idea in sé (che è buona), quanto piuttosto lo sviluppo di quest’idea attraverso tecniche poco efficaci e figure tecnicamente non preposte ad occuparsi di pianificazione turistica, marke- territorio meraviglioso che, prima o poi, dovrà imparare a valorizzarsi. ting territoriale o comunicazione pubblicitaria. Tuttavia potrebbe darsi che chi legga queste nostre considerazioni in libertà colga al volo una splendida occasione per fornire un ottimo servizio a un La Gazzetta Giuliana.com il periodico on line della Venezia Giulia La Gazzetta Giuliana Anno I - Numero 11 scritto dai cittadini per i cittadini Il Periodico della Venezia Giulia DIRETTORE RESPONSABILE: Luigi Putignano Direzione e redazione: via della Geppa, 4 - 34132 Trieste - Tel 040 3473977 Fax 040 3481465 e-mail [email protected] 22 novembre 2013 € 1,00 QUINDICINALE - Esce il venerdì Come danneggiare i porti di Trieste e Monfalcone, con sperpero di pubblico denaro Trieste capitale della cultura? Nel 2033... Venezia con il Nordest esclusa dalla short list delle città candidate a Capitale Europea della Cultura 2019. Francamente penso che sia giusto così. E ne spiego il motivo. L'estensione della candidatura a tre regioni e sei enti ha grandemente superato i limiti di “città” diciamolo, Venezia e il Nordest non sono la Regione Parigina o la Grande Londra - e ha mostrato in pieno che quella “unione” d’intenti mai realmente è apparsa tale, con frizioni, scricchiolii e j’accuse di varia provenienza. Ma penso che sia stata una saggia decisione tenendo soprattutto conto della storia di questa iniziativa europea. Lo scorso anno Maribor (non Maribor più la Carniola e la Stiria slovena) ha superato brillantemente la prova di cimentarsi nel ruolo di “capitale culturale” del vecchio continente. Così come, sicuramente, farà la sua parte una delle città italiane che ha avuto il coraggio (passatemi l’esagerazione) di presentarsi per quello che è, e parlo di Cagliari, Lecce, Matera, Perugia (con Assisi), Ravenna e Siena. Trieste non ha voluto provarci quando, alcuni mesi orsono, la candidatura esapartita nordestina ha vacillato pesantemente. Pur avendone le potenzialità - almeno pari a “metropoli” quali le già capitali Linz (si, quella dell’acciaio pulito), Pécs (Ungheria), Turku (Finlandia), o Košice (Slovacchia), o a quelle delle future tali, quali Umeå (Svezia), Mons (Belgio), San Sebastián (Spagna), Pafo (Cipro) o la “universalmente” nota Leeuwarden (Paesi Bassi). Troppa poca spina dorsale per un città che ambisce ad un ruolo internazionale, che, spesso suo malgrado, ha avuto e ha tuttora, un ruolo considerevole nella storia culturale del nostro continente e che potrebbe ambire a diventare la vera e nuova capitale della young Europe, per l’assoluta baricentricità, per il suo passato di città-stato internazionale (altro che l’ormai periferica Bruxelles, ragazzi!). Invece no. La serenissima e i suoi Dogi rientrano in gioco, dopo aver spocchiosamente rinunciato all’agone, quindi si ritorna nei ranghi, come una Portogruaro qualsiasi. Ben vi-ci-stà! Ma tanto il 2033 è vicino, abbiamo tutto il tempo di riorganizzarci, magari con tutta la Padania, questa volta... Il previsto raccordo ferroviario Cormons-Redipuglia avrebbe favorito i traffici da e per i due scali giuliani, con tracciato lineare in direzione della Pontebbana. Oggi, della linea, restano i costosi ruderi, e si punta sul potenziamento della Udine - Cervignano... di GIORGIO DE COLA A PAGINA 2 interventi/repliche/2 La replica di A2A sul caso “Monfalcone” LE NAZIONI TRIESTINE Serbi a Trieste: storie di una comunità (terza parte) Pubblichiamo una nota di A2A riguardante l’intervista ad Alessandro Vescovini di REDAZIONE a pag. 11 C’era una volta l’Unione A PAGINA 5 I ricordi di papà focus/sedute vuote L’insostenibile disastro del TAV a pag. 10 Nell’indifferenza della politica regionale e locale e di una parte consistente dei cittadini, si è tenuto un incontro dal titolo “TAV: non solo Val di Susa” di DAVIDE STANIC 7,3 milioni dalla Giunta regionale per bonifiche al SIN di Trieste a pag. 3 A PAGINA 7 Vuoi leggere La Gazzetta Giuliana in pdf dal tuo tablet o dal tuo PC? http://lagazzettagiuliana.com RAGIONAMENTI LO SCHMITZ INTERVISTE ULTIMA PAGINA Abbonati e riceverai puntalmente sulla tua e-mail ogni venerdì di uscita il giornale INTERAMENTE A COLORI Registrati e sfoglia La Gazzetta Giuliana in .pdf @luigiputignano L’Italia dopo l’Italia. Metti una sera coi Marta sui Tubi a pag. 12 a pag. 13 I metalli pesanti al vaglio della magistratura a pag. 7 ABBONATI!! Riflessioni sul mecenatismo locale a pag. 16 per info vai su http://lagazzettagiuliana.wordpress.com sezione ABBONAMENTI 12 La Gazzetta Giuliana #DEGRADI antropologie Monfalcone, da potenziale crocevia di popoli e culture, è diventata la via crucis infelice di un’integrazione mancata Post-Monfalconesi e la questione stranieri C di DaviDe Stanic os’è successo a Monfalcone? Da potenziale crocevia di popoli e culture è diventata la via crucis infelice di un’integrazione mancata. I cittadini locali, in parte, si sentono derubati della loro identità. I nuovi abitanti si sono progressivamente creati attività commerciali e luoghi di ritrovo là dove i monfalconesi hanno liberamente deciso di abdicare; per starsene a casa, magari su facebook, a scrivere che non escono perché, tanto, in centro “ghe xe solo che lori”. Così, tra un articoletto e un silenzio stonato, si scrive la cronaca quotidiana di una città provvisoria in tutto, fuorché in una decadenza senza fine. “Mofalcon no xe più quela/ che i veci ga lasado… “. Ecco, appunto. Ora mi chiedo se pure io sia rimasto lo stesso di un tempo. O se gli anni, il mondo, le abitudini non mi abbiano cambiato perché esse stesse sono cambiate. Ha chiuso uno storico caffè monfalconese, ubicato nella via più antica della città dei cantieri. Le serrande abbassate hanno portato parole, invettive, ragionamenti autorevoli o da osmiza. Così ci provo, ragionando o scrivendo a voce alta per dire la mia a chi vorrà onorarmi dedicandomi un po’ di tempo. Vivo qui da sempre, neppure il pendolarismo è riuscito finora a strapparmi da questo lembo di nordest maltrattato come pochi, la Capo Nord del Mediterraneo. Nel 1994 la mia famiglia traslocò nella prima casa di proprietà posseduta, in piazza Falcone Borsellino. Di lì a pochi mesi il mio babbo morirà a 52 anni per aver respirato amianto, per diciassette mesi, nel cantiere monfalconese. Quella casa, acquistata con sacrifici enormi, fatta venerdì, 31 gennaio 2014 come avevamo sognato, desiderata al punto che, per due anni, pagammo sia l’affitto che il mutuo per via di un ritardo di consegna, era quanto di più bello avessimo realizzato. Quel ritardo cambiò destinazione d’uso a un locale della piazzetta, non più negozio ma bar. Seguirono anni di segnalazioni ai vigili urbani, esposti alla Procura, chiamate a Polizia e Carabinieri perché qualche simpaticone scambiava la piazza come un ring, un orinatoio, un campo di rugby dove la palla ovale era sostituita da escrementi o bottiglie di birra. E poi quel bar, aperto senza orario e senza re- e della cosa pubblica. Più volte ospitammo anche la Digos che faceva gli appostamenti agli spacciatori nel nostro soggiorno! Stravolti svendemmo la casa e ce ne andammo, con le pive nel sacco: era il 1996. Per me il degrado ha una data ben impressa nella mia memoria. A nulla valsero le proteste, gli incontri col sindaco di Monfalcone, le forze dell’ordine: non volevano o non potevano far nulla? Così il cuore di Monfalcone registra oggi un’altra ferita. Eppure una cessazione di attività non dovrebbe colpire, in un’epoca di crisi globale, economica e di valori. Colpisce invece i vastante. Soprattutto non è stato ammortizzato da azioni di buon senso, anzi. Davanti alle denunce la risposta è sempre stata duplice: “no se pol, no xe vero”. Quali sono state le politiche di integrazione messe in atto dalla nostra amministrazione? Ci sono state, saranno anche state meravigliose o meno di quelle che servivano a causa della mancanza di fondi - alibi universale - però i risultati sono imbarazzanti. Eppure queste persone vengono qui in base ad accordi, alla possibilità di smantellare a mani nude e per pochi centesimi, le navi del mondo ricco, piene di bandonati. Stanchi di vedere che il cuore della città ha i muri imbrattati, è teatro di risse, è stato abbandonato dai monfalconesi e non solo da loro. Siamo stanchi di vederci appioppare multe se non usiamo una pista ciclabile quando cerchiamo di lasciare a casa l’auto ma poi, svoltato l’angolo, pagata la gabella per i nostri vergognosi crimini a pedali, ci vediamo i ladri entrare nel garage di casa per portarci via una bicicletta che avevamo comprato con sacrificio e rinunce. Siamo stanchi di rispettare regole quando, intorno, assistiamo al degrado e all’inciviltà nella silenziosa complicità di chi, confondendo il dovere istituzionale e l’accoglienza sacrosanta con la connivenza, ostinatamente nega l’evidente. Si sfregarono le mani i ricchi monfalconesi che, all’arrivo di tanti trasferisti, poterono loro affittare i tanti apparta- gole. A pochi passi si consumava l’indifferenza- impotenza dei vigili urbani che avevano la loro sede. Non dormivamo né di giorno né di notte e intanto il mio babbo, agonizzante, si spegneva in mezzo agli schiamazzi, l’incuria, la mancanza di regole, lo scempio degli arredi urbani monfalconesi che hanno assistito in questi anni a un declino costante, una deriva della quale non si intravvede la fine, la cui unica soluzione per i più, per chi poteva e può, è stata ed è la fuga. Non giriamoci intorno, l’impatto degli stranieri, così tanti, su una comunità così piccola, è stato de- amianto, anche da bambini di pochi anni. Eravamo e siamo tutti populisti, visionari, razzisti? Forse, forse anche io. Oppure siamo semplicemente stanchi. Stanchi di assistere alla privatizzazione di utili e alla collettivizzazione dei costi e dei debiti. Stanchi di sentirci ab- menti del centro, ormai datati, facendoglieli pagare un occhio della testa. Così finalmente, con qualche aiutino, le zone agricole si trasformavano in edificabili e poi in residenziali. E gli affitti costringevano i nuovi arrivati a ingegnarsi: dieci persone e anche più, stipate in una casa, a fare i turni: un gruppo dorme, un gruppo lavora, un terzo se ne sta a ciondolare nel cuore della città. Così chi abitava in quei condomini e non aveva denaro sufficiente per andarsene ha iniziato a deprezzare quelle case. Dov’erano i controlli sanitari? E ancora, il rapporto con le aziende locali, autorizzate a perseguire il ricatto occupazionale e senza alcun controllo sulle ditte appaltatrici tra le cui fila, spesso, si sono infiltrati interessi tutt’altro che legali. Quali sono state le compensazioni? La cura del territorio? Maggiori servizi ai cittadini? Una scrupolosa cura della città? No, niente, possibile che la politica locale, monocolore da sempre, non abbia alcuna responsabilità? E il commercio? I negozi hanno iniziato a chiudere, magari per trasferirsi all’Emisfero o all’Outlet di Palmanova, con alcuni commercianti però pronti a scatenarsi contro il degrado, la desertificazione del centro, la chiusura degli esercizi commerciali e la pedonalizzazione, unica realtà mondiale che penalizzerebbe il commercio. E passeggiando per le strade della mia città, col mio amico a quattro zampe, mi sento ridicolo a raccogliere i suoi escrementi se poi devo fargli fare lo slalom tra quelli umani o i cocci di vetro, le lattine e il sudiciume gettato a terra. Perché sono stati spesi i denari pubblici per rifare la Piazza della Repubblica con successivo trattamento antiscivolo (chi l’avrebbe mai detto che sul marmo bagnato si rischia di ammazzarsi), la ripavimentazione del Corso del Popolo al quale da mesi mancano gli arredi urbani, la realizzazione di pseudo ciclabili o marciapiedi ciclabili a senso unico dai costi stratosferici o ancora, ultima perla, per scavare un pozzo alla ricerca di acqua termale (418 mila euro, pare) dopo aver ristrutturato delle Terme Romane che di termale hanno ben poco e dove l’acqua manca? Qualche soldo per un po’ di pulizia delle strade, per sistemare il Municipio che cade a pezzi, per corsie ciclabili decenti no? Altro che Terme e cattedrali nel deserto, venerdì, 31 gennaio 2014 antropologie Il bancone del vecchio Caffè Sant’Ambrogio 1 *** E come non notare le differenze fra invasori e invasi? Per dire, è risaputo – stufa anche ripeterlo per l’ennesima volta – che quando un bisiaco sputa per terra lo fa perché ha notato una certa secchezza nelle zone verdi che ossigenano l’agorà monfalconese. Chi penserebbe, altrimenti, agli alberelli? Per non parlare del concime rilasciato gratuitamente sui marciapiedi comunali dai loro quadrupedi. Non scherziamo. I filosofi locali, cullandosi nel nostalgismo per la Monfalcone che fu, inconsapevolmente e nell’imbarazzo generale pongono una questione estetica reale, al di là dell’ironia: vanno stabiliti per legge dei criteri basilari che permettano un’armonizzazione fra le strutture delle nuove attività e l’ambiente architettonico in cui si sono instaurate. Non è accettabile che al titolare di un bar in Piazza Unità vengano indicati solo due colori possibili per le sedie all’esterno del locale (due co- continua Da Pag lori ritenuti adeguati), e al contempo si permetta il proliferare, in tutti i locali, italiani e stranieri, di quelle porcherie lampeggianti con scritto “Aperto”, a due o tre colori, che soverchiano persino bar storici di Trieste passati di mano a imprenditori cinesi. Piccoli capolavori pluri-secolari, nascosti da luci intermittenti che stonerebbero persino sul retro di un tir di rifiuti tossici. L’imbarbarimento anti-estetico è generalizzato, trasversale: denota una perdita di gusto sia da parte dei bisiachi, sia dagli immigrati che arredano i vecchi locali seguendo la trasandatezza del casual più brutale, che non fa parte della loro cultura ma della sub-cultura creata dalla globalizzazione. In mezzo a invettive idiote o pseudo-analisi d’accatto, l’unica certezza da mettersi in zucca è che in un ambiente disarmonico è impossibile armonizzare le tante identità smarrite di Monfalcone, una città alla quale mancano solo i rotolacampo per diventare davvero fantasma. Corso del Popolo nell’elegante assetto permanentemente provvisorio anzi, a due passi dal carbone, quello sì termale e curativo. E poi questo snobismo dei monfalconesi arricchiti, che a Monfalcone non ci vanno più a fare nemmeno una passeggiata, nemmeno fosse una favela o una bidonville da terzo mondo? E i commercianti che La Gazzetta Giuliana 13 sotto Natale manco avevano decorato le vetrine? Dove stanno le colpe? Nei morti che hanno barattato un tozzo di pane con uno stipendio da fame e che con sacrificio si sono comprati casa per poi assistere a tutto questo? Negli stranieri che scappano dalla fame, dalla morte e dalla disperazione, spesso mal pagati e sfruttati, pronti a diventare i nuovi martiri dei giganti del mare come tanti padri monfalconesi? Perché Monfalcone è anche questo. Una città dove il lavoro è ancora ricatto e dove chi doveva alzare la voce per difendere i cittadini ha taciuto, negando e ridicolizzando le voci fuori dal coro; una città dove il carbone oggi come l’amianto ieri (ma anche oggi), viene giustificato in cambio di un piatto di minestra. Oggi cittadini, rischiamo di perdere anche una fetta di Sanità pubblica. L’ho scritto nello scorso numero raccontando un po’ come funzioni questo settore. Perché la perderemo? Perché non abbiamo chiesto con forza che le decisioni fossero prese in modo trasparente e oggettivo. E quando non si seguono logica, numeri, buonsenso e trasparenza, il disastro è inevitabile. Ritorniamo a essere cittadini. Ritorniamo a popolare queste strade che ci appartengono. Facciamo rispettare le regole, ritorniamo a essere comunità solidale. Riapriamo gli occhi e tuteliamo la salute e lo sviluppo sostenibile della nostra terra, non trasformiamola nella discarica nord del Mediterraneo. Non trasformiamo Monfalcone in una città degradata e avvelenata dal carbone e dall’amianto più di adesso, invivibile, assediata solo da stranieri incolpevoli (spesso) e farabutti indisturbati (molto più frequentemente), depredata non solo della salute ma anche della Sanità e della dignità. Non c’è mai stata un’età dell’oro monfalconese, non rimpiangiamo quello che non è mai esistito. Ma tra l’oro e il deserto ce ne passa di differenza, eccome. Il resto è, come sempre, osteria. 14 La Gazzetta Giuliana culture e territorio venerdì, 31 gennaio 2014 LO SCHMITZ culture di confine UN RICCARDO III gigantesco quello di Gasmann A Al Rossetti fino al 2 febbraio lessandro Gassmann è regista e protagonista di RIII-Riccardo Terzo di Shakespeare, nell’adattamento e traduzione di Vitaliano Trevisan. Lo spettacolo, in scena al Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, ha esordito mercoledì 29 gennaio e proseguirà fino domenica 2 febbraio 2014 per il cartellone Prosa”. tolo si annuncia come un’operazione nuova, un progetto costruito sul capolavoro di Shakespeare. Un progetto che naturalmente parte dalla traduzione e dall’adatta- chieste dell’attore e regista, fin dal loro primo incontro – che arrivi dritta, rendendo la trama chiara e coinvolgente. E un Riccardo gigantesco, fuori scala rispetto agli perata solo da quella di Amleto. Bello che la statura scenica di questo irraggiungibile eroe/antieroe rispecchi la sua dimensione gigantesca vergata già sulla pagina, nel mento del testo, che Alessandro Gassmann ha affidato a Vitaliano Trevisan, uno scrittore contemporaneo, colto, capace di rispondere al suo desiderio di un lavoro rispettoso dell’originale ma anche attuale, forte: “Una lingua asciutta, secca – ricorda Trevisan come una delle più immediate e stringenti ri- altri e alla scena, costretto a chinarsi per potersi specchiare, per passare da una porta, o per guardare qualcuno negli occhi”. Lo scrittore rimane conquistato da questa visione: non è un caso che Shakespeare riservi a Riccardo III la parte più estesa che egli abbia mai scritto per un protagonista, su- 1592, da uno Shakespeare trentenne. “È un mostro che vive per fare del male, abbandonando totalmente le regole quando raggiunge il tanto agognato potere. Il suo è un furore violento, come feroce è la sua brama di potere e la sua diversità. Un ritratto di uomo che purtroppo ci riporta non solo alle deformità insite nella natura umana, ma anche ai fatti drammatici ed aberranti della nostra attualità politica” così Alessandro Gassmann descrive Riccardo III, che interpreta sul palcoscenico. “Tutte le sere – aggiunge – sul palco, mi sforzo di non pensare all’Italia di oggi e all’esercizio spregiudicato del potere a cui finora abbiamo assistito, ma dopo ogni rappresentazione c’è sempre qualcuno che dice di aver pensato al nostro presente durante lo spettacolo”. Per l’artista romano quello con il malvagio Riccardo III è il primo incontro con un personaggio shakespeariano, che affronta da protagonista e regista, e dunque con una consapevolezza profonda e attraverso una lettura dal taglio interessante. Seguendo una poetica che ha connotato tutta la sua produzione recente, Gassmann studia Riccardo III con rigore nei confronti della materia shakespeariana ma anche attraverso una koiné di linguaggi scenici molto moderna. R III – Riccardo Terzo, fin dal ti- SÁNDOR MÁRAI Riccardo III è infatti una sua opera giovanile, eppure costruita attorno a una figura complessa, mai incerta, perfetta nelle sue dinamiche psicologiche, straordinaria nelle sue voragini di perfidia, nelle sue macchinazioni, nel suo nero eroismo: domina il destino altrui manipolando le esistenze e si fa “regista” di quanto accade in scena. È di una malvagità sconvolgente, eppure è carismatico, possiede un fascino capace di soggiogare Lady Anna – che lo odia e ciononostante diviene la sua sposa – e le platee di ogni tempo. Il suo humor riesce ad alleggerire il respiro di un dramma altrimenti dalla cupezza gotica e incombente, segno che nello spettacolo permane sul piano della scenografia. Il plot vuole che Riccardo di York (secondo Shakespeare piccolo e deforme, in questa messinscena, mostruoso per la sua altezza, scelta che lascia intatta la metafora fra deformità estetica e degenerazione dell’anima) ambisca al trono d’Inghilterra. Per questo spinge il fratello re Edoardo IV a credere a una profezia, che indica in qualcuno il cui nome inizia per G colui che distruggerà la discendenza regale. Necessario dunque imprigionare il loro fratello Giorgio, che sarebbe erede diretto al trono: ma la prigione non basta a Riccardo che lo fa uccidere da due sicari. Il rimorso dà alla fragile fibra di re Edoardo il colpo di grazia, mentre Riccardo – con una manovra degna di un retore di prima grandezza – si assicura la mano di Lady Anna, fresca vedova del principe Giorgio. A Riccardo viene affidata anche la tutela del giovane erede al trono: di tale gesto di fiducia dei Pari immediatamente approfitta per eliminare altri possibili oppositori del suo piano ambizioso. Coglie l’occasione del trasferimento a Londra dell’erede al trono, per l’incoronazione, per rinchiuderlo col fratellino nella Torre: ecco che Lord Buckingham può usare la propria influenza per indurre il Consiglio di Londra a proclamare re proprio Riccardo. Egli, in un capolavoro di dissimulazione, accetta la corona con riluttanza. Invece, appena salito al trono, provvede ad eliminare i due nipoti, e la stessa sorte infligge alla moglie Lady Anna. Ora, per rinsaldare la propria posizione, ambisce infatti alla mano dell’unica figlia di Edoardo IV e di Elisabetta, i precedenti regnanti. Ma la giovane è già promessa al direzione nordest culture e territorio culture di confine LO SCHMITZ venerdì, 31 gennaio 2014 nobile Richmond: sarà la saggia Elisabetta, stavolta, a dissimulare. Appare propensa a concedere la mano della figlia al re, pronto a scontrarsi con Richmond che si è posto a capo dei molti che ormai si oppongono al suo regime sanguinario. In una scena celeberrima, Riccardo III nella notte che precede lo scontro definitivo fra i ribelli e il proprio esercito, vede i fantasmi di tutti coloro che ha assassinato che gli augurano la sconfitta. Premonizione che puntualmente si avvera sul campo di battaglia, quando Riccardo combatte con valore ma perde il proprio cavallo e soccombe. Con la morte di Riccardo e le nozze e l’incoronazione di Richmond, ha fine la Guerra delle due Rose, che oppose il ramo degli York a quello dei Lancaster e insanguinò il paese per lunghi anni. riii-riccarDo terZo di William Shakespeare Traduzione e adattamento di Vitaliano Travisa Ideazione scenica e regia di Alessandro Gassmann Scene di Gianluca Amodio Costumi di Mariano Tufano Videografia è di Marco Schiavoni Musiche sono di Pivio & Aldo De Scalzi rappresenta il terzo appuntamento realizzato in virtù della collaborazione avviata a inizio stagione fra Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e Bonawentura/Teatro Miela. Profondamente colto, eclettico, maestro di umorismo ebraico, Ovadia è un artista difficile da catalogare: giunge al teatro da una laurea in scienze politiche e dopo essersi impegnato come ricercatore e interprete di musica etnica e popolare. Sul palcoscenico inizia collaborando con artisti della scena internazionale come Bolek Polivka, Tadeusz Kantor, Franco Parenti, e poi, via via proponendosi come ideatore, regista, attore e capocomico di un “teatro musicale” assolutamente peculiare. Filo conduttore dei suoi spettacoli è la tradizione composita e sfaccettata, il “vagabondaggio culturale e reale” del popolo ebraico di cui egli si sente figlio e rappresentante, un’immersione I biglietti per gli spettacoli sono in vendita presso i consueti punti vendita del Teatro Stabile regionale, attraverso il sito www.ilrossetti.it e allo e allo 040-3593511. Teatro Miela Moni Ovadia ci racconta il mondo khassidico Moni Ovadia ritorna protagonista nella stagione del Teatro Stabile regionale con Il registro dei peccati. Lo spettacolo in scena al Teatro Miela – terzo momento della sinergia fra Bonawentura/Teatro Miela e Stabile regionale – ha esordito mercoledì 29 gennaio e prosegue fino a domenica 2 febbraio 2014 per il cartellone altripercorsi. Una sedia, un leggio, suggestive atmosfere di luce… non serve di più al grande Moni Ovadia per costruire a teatro una serata emozionate, raffinata, ricca di pensiero. Il registro dei peccati di e con Moni Ovadia N E S Il mondo khassidico era germinato su un crocevia dove il pensiero spirituale più estremo e abissale si coniugava alla semplicità profonda di una pietas irrinunciabile per la più insignificante delle manifestazioni dell’esistente. Il khassidismo è l’espressione e la celebrazione della fragilità umana e della sua bellezza e in tale celebrazione c’è il riconoscimento del divino con cui s’instaura un rapporto del tutto originale, che passa attraverso la preghiera, lo studio, ma anche il canto, la danza, la narrazione aneddotica e addirittura l’umorismo. Una cifra inconsueta eppure profondamente radicata nel sentire e nell’anima ebraiche. È questo il paesaggio umano e spirituale che Moni Ovadia tratteggia in uno spettacolo piacevole e sapiente che riflette quella stessa espressività: quegli irraggiungibili colori dell’anima, quel canto, quegli aneddoti, quei witz. Ecco allora che Il registro dei peccati ci ammaestra e arricchisce attraverso il riverbero di un universo che la brutalità e l’odio hanno voluto estirpare, ma che continua a “dare”, generosamente, anche attraverso la sua assenza. iL regiStro Dei Peccati scritto e interpretato da Moni Ovadia prodotto da Promo Music Prodotto da Teatro Stabile del Veneto, Fondazione Teatro Stabile di Torino, Società per Attori e con la partecipazione produttiva di “LuganoInScena” Con Alessandro Gassmann (Riccardo), Mauro Marino (Edoardo, Stanley, Margherita), Giacomo Rosselli (Rivers, Catesby), Manrico Gammarota (Tyrrel), Emanuele Maria Basso (Carceriere, Richmond, Vescovo), Sabrina Knaflitz (Anna), Marco Cavicchioli (Clarence, Hastings, Messaggero), Marta Richeldi (Elisabetta), Sergio Meogrossi (Buckingham) e con la partecipazione di Paila Pavese (Duchessa di York). La Gazzetta Giuliana 15 I biglietti per gli spettacoli sono in vendita presso i consueti punti vendita del Teatro Stabile regionale, attraverso il sito www.ilrossetti.it e allo e allo 040-3593511, e saranno in vendita a partire da un’ora prima dello spettacolo presso la Biglietteria del Teatro Miela. Presso la libreria “In Der Tat” continua in lingue e suoni diversi. Ed in questa veste il pubblico dello Stabile regionale lo ha conosciuto nel 1994 in Oylem Goylem e apprezzato in modo crescente ogni volta che è ritornato a Trieste (questo spettacolo sarà il nono inserito nelle stagioni dello Stabile). Il registro dei peccati si definisce come una rapsodia lieve per racconti, melopee, narrazioni e storielle. Un recital-reading al centro del quale Ovadia pone il mondo khassidico: un mondo dall’anima ricchissima e preziosa che ha abitato l’Europa fin dai primi decenni del Settecento, quando – in pieno regime zarista, in Polonia – il movimento fu fondato da Israel Ben Eliezer (meglio conosciuto come Baal Shem Tov) e portò nell’Ebraismo una sorta di rivoluzione. È a conoscere questo mondo – lo stesso che Marc Chagall trasfigurava nella poetica armonia dei suoi quadri – che Moni Ovadia ci accompagna, sottolineandone l’autenticità. Fu un universo – spiega – di esseri umani troppo umani, e per questo inadatti a un pianeta posseduto dai demoni della violenza, del razzismo, del delirio nazionalista. E fu un mondo dalla potente spiritualità… Azad, voce della guerra popolare in India Sabato 1 febbraio, a Trieste, alle 18 presso la libreria “In Der Tat” in via Diaz, 22 sarà presentato il libro “Azad - Voce della guerra popolare in India”, a cura del Collettivo Tazebao per la propaganda comunista Cherukuri Rajkumar, detto Azad, è stato per diversi anni portavoce del Partito Comunista dell'India (Maoista), ovvero della forza che sta guidando la lotta rivoluzionaria di vasti settori delle masse popolari indiane contro lo sfruttamento e l'oppressione da parte della classe dominante e delle multinazionali straniere. Nei suoi scritti troviamo condensata la straordinaria esperienza della guerra popolare in India, che indica ai lavoratori e agli sfruttati di tutto il mondo che il sistema capitalista e imperialista, sempre più in crisi, può e deve essere abbattuto e un mondo nuovo può essere conquistato.
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