NELLA RETE CON SAPERE E COMPETENZA

Copia gratuita
NUMERO 10-11
NELLA RETE CON SAPERE E COMPETENZA
3
Intervista ad Andrew Keen, autore del libro cult Dilettanti.com: “l’ho scritto per
sfatare il falso mito che aleggia attorno alla Silicon Valley”
DI VINCENZO GRIENTI
“NON SOLO la rivoluzione del Web 2.0
sta distruggendo la nostra cultura, ma
sta anche generando nuove e celate
oligarchie di figure mediatiche potenti
e influenti che non hanno il senso di
responsabilità delle tradizionali elites
culturali. Occorre, dunque, mettere le
cose in chiaro e spiegare a chi sta fuori
dalla Silicon Valley cosa sta realmente
succedendo”. E’ immediato e diretto
Andrew Keen, americano che vive Berkeley, in California, autore di The cult
of the amateur, approdato nel nostro
Paese con il titolo Dilettanti.com (pubblicato dalla De Agostini) e tradotto in
15 lingue in tutte il mondo. “Ho scritto
questo libro perché ho sentito la necessità di sfatare il falso mito che aleggia
intorno alla Silicon Valley. Molta gente
qui ritiene che la tecnologia rende più
ricca e più democratica la cultura, ma io
ho constatato che è vero esattamente
l’opposto.
Quali sono secondo lei le opportunità
e i rischi che si nascondono dietro
al mondo dei social network e del
web 2.0 in particolare? Forse questa
seconda fase del web sta uccidendo
la nostra cultura e la nostra economia?
La grande opportunità dei social network e del Web 2.0 è di rivitalizzare
la nostra cultura. In qualche misura
questo è stato fatto. Sono felice che i
media tradizionali siano stati costretti
dalla concorrenza di Internet a trasformarsi in mezzi più animati e rilevanti.
Il problema tuttavia è che il Web 2.0
ha reso libero il core business della
new economy. Le società del web 2.0
stanno tutte costruendo modelli di
mercato basati sul libero contenuto
generato direttamente dall’utente, ma
poi vendono pubblicità contro questo
contenuto. E’ difficile competere con il
libero mercato, specialmente se, come
accade nei giornali tradizionali, bisogna
pagare i reporter per il loro lavoro.
Quindi i giornali tradizionali e le riviste
si stanno arrovellando il cervello per
cercare un nuovo modello di mercato
percorribile nella libera economia. In
America questa situazione è sfociata in
una profonda crisi economica di tutti i
media tradizionali, dalle riviste ai quotidiani agli editori ai network televisivi.
Questo cosa significa?
Non tutta questa crisi è negativa, specialmente se essa conduce all’emergere
di nuove e solide società giornalistiche,
ma questo non sembra che stia avvenendo. YouTube per esempio, il più
famoso dei network Web 2.0 televisivi,
è totalmente infruttuoso, improduttivo.
Così come i social networks più recenti
come Twitter che non hanno ancora un
modello di mercato .
Nel suo libro descrive il flog, il fenomeno splog e non è molto d’accordo
con il mondo dei blogs. Perché?
La mia disapprovazione dei blogs è
basata sul mio disgusto per la cultura
contemporanea in cui dire qualsiasi
cosa è diventata un obbligo, uno status
simbol, per decine di milioni di persone
comuni. I blogs - che sono dei diari
online - hanno pervaso qualsiasi cosa.
Così mentre noi siamo impegnati ad
esprimere noi stessi, diffondendo a tutti
i nostri messaggi personali, non leggiamo niente di quello che la gente più
esperta di noi scrive su temi importanti.
L'ESPERIENZA È IL FRUTTO
DELLA CONOSCENZA
www.webseed.it
Sedi: Messina, Bologna, Roma
CI APER TO O
B
E
W
HA
IL
AZI
P
S
O
OV
UN NU ISSIONE
DI M
Questo è il risultato di una cultura che io
chiamo narcisismo telematico in cui la
gente considera più importante diffondere a tutto il mondo che cosa mangia
per colazione piuttosto che leggere il
giornale o ascoltare la propria radio.
Questo narcisismo telematico non
deve essere biasimato come fenomeno
dovuto alla tecnologia o a Internet. E’ un
problema culturale latente nella società
post industriale che è stato tirato fuori
prepotentemente dallo sviluppo delle
tecnologie che permettono di generare
contenuti da soli e da Internet.
Un’ampia parte del suo libro approfondisce il tema del citizen journalism e dei rischi che questo fenomeno
possa procurare per il giornalismo
tradizionale. Non pensa che sia il
frutto della normale evoluzione di
una professione che si interfaccia
con un mondo caratterizzato dai new
media come YouTube, MySpace, Facebook e Twitter?
Giornalismo cittadino è una denominazione non corretta. I buoni cittadini non
sono necessariamente buoni giornalisti
e i buoni giornalisti senza dubbio non
sono necessariamente buoni cittadini. Il
giornalismo è sempre stato un mestiere,
una professione, non una vocazione. Il
problema comunque è che sta minando
le sue fondamenta economiche. Stiamo
trasformando il giornalismo in vocazione moralista. Poiché moltissimi giornalisti perdono il loro lavoro ed è sempre
più difficile fare soldi come giornalisti,
la sola gente disposta a diventare giornalista saranno comunitari, filantropi,
surrogati di cittadini che vedono il
giornalismo come una chiamata morale.
Così, invece, di quella che si chiama normale evoluzione della professionalità
dai giornali tradizionali al citizen journalism, noi stiamo assistendo al passaggio
da una elite professionale a una nuova
elite dilettanti giornalisti impoveriti con
le proprie agende politiche e culturali.
Questi giornalisti non hano editori e
non sono affidabili e trasparenti come
tradizionali assunti dagli editori.
Lei sostiene che esiste un confine tra
pubblico e autore, tra fatti e finzione,
tra invenzione e realtà. Tutto ciò produce quello che lei chiama “il culto del
dilettante”. Cosa fare per non diventare
“adempti” di questo nuovo culto?
Non dobbiamo lasciarci abbindolare
dal culto del dilettante, con la sua diffusione della cultura “da banco”, il suo
abbraccio Rousseauniano dell’innocenza e della giovinezza. Competenza e
sapere, cosa che dobbiamo ricordare
a noi stessi, sono generalmente il
risultato dell’esperienza e del mestiere,
dell’ impegno di una vita teso alla conoscenza e all’atto creativo. Dobbiamo
accettare la spesso sconfortante verità
che il talento è universalmente distribuito e che le opinioni della maggior
parte della gente non sono interessanti
né hanno valore per la restante parte.
Il rimedio è di continuare a sostenere i
mezzi a pagamento privati con scrittori
di talento, giornalisti, editorialisti, commentatori e produttori cinematografici.
Il rimedio è comperare i giornali, comperare i libri, pagare per la musica e i
film. Se noi questo lo facciamo online o
no non ha importanza. Io sono assolutamente a favore di Internet come distributore di piattaforme di contenuti fino
a quando questo sostiene un sistema
accettabile di una classe professionale
creativa.