Gli interventi di recupero delle aree urbane ed il permesso di

Giurisprudenza
Amministrativa
Titoli abilitativi
Gli interventi di recupero delle
aree urbane ed il permesso di
costruire in deroga
T.A.R. PIEMONTE, TORINO, sez. II, 28 novembre 2013, n. 1286 – Pres. Salamone – Est. Masaracchia – M. c. Comune Collegno
Anche dopo l'inutile decorrenza del termine di centoventi giorni previsto dal D.L. n. 70 del 2011 per l'emanazione delle leggi regionali attuative, per l'esecuzione degli interventi di riqualificazione previsti nel medesimo
decreto è richiesto il permesso di costruire in deroga.
Il permesso di costruire in deroga deve riferirsi ad un intervento edilizio circoscritto e determinato, che lasci
inalterato l'assetto urbanistico del resto della zona ed è subordinato ad una valutazione discrezionale del
Consiglio comunale formulata in esito ad una comparazione dell'interesse alla realizzazione con ulteriori interessi pubblici quali quelli urbanistici, edilizi, paesistici e ambientali.
La natura privata dell'edificio oggetto dell'intervento richiede una conformazione in termini di proporzionalità
del sacrificio imposto al privato proprietario a fronte della concessione in deroga, sicché il permesso di costruire in deroga richiesto ai sensi dell'art. 5, comma 9 del D.L. n. 70 del 2011 può imporre al privato stesso di
destinare una parte degli edifici realizzati a edilizia convenzionata.
La generale regola del silenzio-assenso prevista per il procedimento di rilascio del permesso di costruire dall'art. 20, comma 8 del D.P.R. n. 380 del 2001 non trova applicazione con riferimento al permesso di costruire
in deroga il quale è caratterizzato da una fattispecie a formazione progressiva che si snoda, a seguito della
domanda dell'interessato, dapprima nella delibera consiliare e poi nel concreto rilascio del titolo edilizio da
parte degli uffici amministrativi.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
T.A.R: Piemonte, sez. II, 28 novembre 2013, n. 1287
Difforme
T.A.R: Abruzzo, sez. I, 27 maggio 2013, n. 292; T.A.R. Milano, sez. II, 23 gennaio 2013, n. 194
Diritto
4. Entrando nella disamina del gravame, giova anzitutto
inquadrare la disposizione di legge in base alla quale è
stata approvata la “deroga” in favore dell’immobile de
quo.
Si tratta, come detto, dell’art. 5, commi 9 ss., del D.L.
n. 70 del 2011, convertito in L. n. 106 del 2011, mediante il quale il legislatore d’urgenza, al fine di rilanciare l’attività edilizia in modo compatibile con gli
obiettivi di razionalizzazione del patrimonio edilizio già
esistente e di riqualificazione delle aree urbane degradate, ha stabilito uno speciale procedimento in deroga alle
vigenti norme urbanistiche, anche in punto di modifica
delle destinazioni d’uso, da attuarsi secondo le previsioni dell’art. 14 del D.P.R. n. 380 del 2001. Come è noto,
quest’ultima disposizione, al comma 1, così stabilisce:
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“Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed
impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque
delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 29 ottobre 1999,
n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia”. Essa è richiamata, in particolare, dall’art. 5, comma 11, del D.L. n.
70 del 2011, convertito in L. n. 106 del 2011. Il richiamo all’art. 14 del testo unico sull’edilizia veicola, anche
per questo speciale procedimento introdotto nel 2011,
le caratteristiche generali dell’istituto del “permesso di
costruire in deroga”, quali già ricostruite dalla giurisprudenza, che siano compatibili con la nuova disciplina. Si
deve trattare, pertanto, di un intervento edilizio circoscritto e predeterminato, che lasci inalterato l’assetto
urbanistico del resto della zona in cui lo stesso è ricom-
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preso (così, con riferimento all’istituto ex art. 14 D.P.R.
n. 380 del 2001, T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, n.
1803 del 2011) ed avente natura discrezionale, in quanto emanato all’esito di una comparazione dell’interesse
alla realizzazione (o al mantenimento dell’opera) con
ulteriori interessi pubblici, come quelli urbanistici, edilizi, paesistici e ambientali (così, sempre sul permesso di
costruire in deroga, T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II,
n. 375 del 2011). La rilevanza dell’interesse pubblico
nella complessiva operazione è, pertanto, un elemento
essenziale dell’istituto coniato nel 2011, il quale qualifica la deroga pur consentita alle disposizioni urbanistiche vigenti sulla base di una scelta politica di opportunità (nonché di compatibilità con l’esistente) che è dalla legge rimessa al Consiglio comunale. È evidente, peraltro, che tale interesse pubblico deve risultare comunque bilanciato con quello privato alla realizzazione o al
mantenimento dell’opera, trattandosi pur sempre di un
intervento che – a differenza dell’istituto di cui all’art.
14 D.P.R. n. 380 del 2001 – va ad interessare un edificio privato (e non pubblico o di pubblico interesse, come richiesto dalla norma richiamata). In ciò sta pertanto la differenza tra il nuovo procedimento in deroga introdotto dal legislatore d’urgenza del 2011 e quello già
conosciuto ex art. 14 D.P.R. n. 380 del 2001: la natura
privata, e non pubblica, dell’edificio oggetto dell’intervento, tale pertanto da richiedere una conformazione,
in termini di proporzionalità, del sacrificio imposto al
privato proprietario a fronte della concessione della
“deroga”.
5. Ciò premesso, deve anzitutto esaminarsi il primo motivo del ricorso introduttivo, riguardante la presunta
formazione del silenzio-assenso, ai sensi dell’art. 20,
comma 8, del D.P.R. n. 380 del 2001, sull’istanza originariamente avanzata al Comune.
Va prima di tutto osservato che, su questo profilo, la ricorrente non ha perso l’interesse alla decisione, in
quanto l’eventuale fondatezza del motivo determinerebbe, ex se, l’illegittimità della successiva delibera n.
1/2013, travolgendo quindi la contestata clausola relativa alla riserva di alloggi per l’edilizia residenziale. L’eccezione di improcedibilità sollevata dal Comune resistente, pertanto, è da condividere solo con riferimento
agli altri motivi del ricorso introduttivo, concernenti la
legittimità dell’iniziale differimento della decisione, con
conseguente declaratoria di improcedibilità solo in parte
qua.
Nel merito, il motivo non è comunque fondato.
Non può riconoscersi, nel caso di specie, alcuna avvenuta formazione di un provvedimento tacito di assenso.
La generale regola del silenzio-assenso in materia edilizia – quale introdotta, peraltro, dallo stesso D.L. n. 70
del 2011, convertito in L. n. 106 del 2011 – non può
infatti estendersi all’ipotesi eccezionale qui in esame e
comportare, quindi, lo scavalcamento della delibera
consiliare che caratterizza l’istituto: ciò, non solo in
considerazione del particolare contenuto della delibera,
chiamata a pronunciarsi sulla stessa ragion d’essere della
deroga (in quanto strettamente inerente ad un interesse
pubblico il quale va, pertanto, adeguatamente esplicita-
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to), ma anche per una ragione di ordine letterale e sistematico, avuto riguardo alla peculiarità dell’istituto in
esame. Quest’ultimo, invero, è caratterizzato da una fattispecie a formazione progressiva la quale si snoda, a seguito della domanda dell’interessato, dapprima nella delibera consiliare (che deve vagliare l’opportunità dell’intervento, in punto di interesse pubblico) e poi nel concreto rilascio del titolo da parte degli uffici amministrativi. Nella prospettazione di parte ricorrente, il silenzioassenso terrebbe luogo già della delibera consiliare: ma
è questa una conclusione in contrasto con la lettera dell’attuale formulazione del comma 8 dell’art. 20 cit., il
quale riferisce la formazione del provvedimento tacito
solo alla “domanda di permesso di costruire”, senza
quindi richiamare né il (diverso) istituto del “permesso
di costruire in deroga agli strumenti urbanistici” (come
definito dall’art. 14), né il nuovo istituto ex art. 5, commi 9 ss., del D.L. n. 70 del 2011 (peraltro introdotto
dalla stessa fonte normativa che ha riscritto l’art. 20 del
D.P.R. n. 380 del 2001), né tantomeno la delibera consiliare preliminare ad entrambi. Non può, poi, dimenticarsi che il testo dell’art. 20, quale vigente prima delle
modifiche apportate nel 2011, si riferiva espressamente
al permesso ex art. 14, stabilendo (al comma 10) che “Il
procedimento previsto dal presente articolo si applica
anche al procedimento per il rilascio del permesso di
costruire in deroga agli strumenti urbanistici, a seguito
dell'approvazione della deliberazione consiliare di cui
all'articolo 14”: formulazione che – nell’assoggettare l’istituto all’opposta regola del silenzio-rifiuto, nel senso
di inadempimento – confermava la scissione tra il momento della delibera consiliare e quello del rilascio del
titolo, stabilendo che dovesse comunque esserci una deliberazione espressa del Consiglio comunale dalla quale
far eventualmente decorrere il termine per la formazione del silenzio sul titolo.
Ed è inoltre evidente che – sotto altro aspetto – l’avvenuta abrogazione del silenzio-rifiuto non può, di per sé,
significare che l’istituto ex art. 14 confluisca adesso nell’opposta regola del silenzio-assenso, in mancanza di
un’espressa presa di posizione del legislatore. Se infatti
si ammetteva, all’epoca, l’applicazione della regola del
“rifiuto” pur “a seguito dell’approvazione della deliberazione consiliare”, sarebbe del tutto irragionevole applicare oggi la regola dell’assenso tacito anche in mancanza della suddetta delibera: ciò, proprio in considerazione
della particolare pregnanza della valutazione sull’interesse pubblico che caratterizza l’istituto de quo, vieppiù
– come visto – nella conformazione adesso introdotta
dall’art. 5, commi 9 ss., del D.L. n. 70 del 2011, convertito in L. n. 106 del 2011.
Si deve pertanto ritenere che l’inerzia del Consiglio comunale in ordine all’approvazione della deroga richiesta
non equivalga ad un atto tacito di assenso.
6. Venendo allora alla disamina dei motivi aggiunti –
concernenti la delibera n. 1/2013 che ha approvato la
deroga imponendovi, però, una condizione – deve richiamarsi quanto più sopra osservato, in ordine alla necessaria sussistenza di un interesse pubblico che deve
caratterizzare l’approvazione consiliare della deroga
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ex art. 5, commi 9 ss., del D.L. n. 70 del 2011, convertito in L. n. 106 del 2011(ciò, in base al richiamo dell’analogo istituto di cui all’art. 14 del D.P.R. n. 380 del
2001), interesse tuttavia da calibrare e proporzionare al
contrapposto interesse privato del soggetto che ha la
giuridica disponibilità del fabbricato (come emerge dalla
richiamata peculiarità del nuovo istituto di deroga introdotto nel 2011).
Alla luce di siffatto inquadramento, i motivi aggiunti
non sono fondati.
Contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, infatti, l’amministrazione – nell’approvare la “deroga” agli
strumenti urbanistici – conserva il potere di conformare
il successivo rilascio del permesso di costruire ad un interesse pubblico rispetto al quale non è ipotizzabile
un’astratta tipizzazione, attesa l’estrema genericità delle
definizioni di cui al comma 9 dell’art. 5 del D.L. n. 70
del 2011, convertito in L. n. 106 del 2011 (“razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente”, “riqualificazione di aree urbane degradate”): ciò, purché l’amministrazione si mantenga nei binari della proporzionalità rispetto al contrapposto interesse del privato, avuto riguardo alla natura (per l’appunto) privata dell’edificio
sul quale si interviene. Nel caso di specie emerge allora
che l’imposizione della condizione sull’edilizia convenzionata, lungi dal non rientrare nel potere che la legge
ha conferito all’amministrazione, si svela in linea con le
definizioni sopra ricordate, in quanto si affianca, in modo complementare, all’obiettivo della razionalizzazione
del patrimonio edilizio esistente e rispondendo, quindi,
ad un interesse della collettività locale che è prevalente
rispetto ai dettami della pianificazione territoriale. Al
tempo stesso è comunque una condizione non manifestamente irragionevole e pur sempre proporzionata rispetto al (contrapposto) interesse della proprietà, posto
che la deroga approvata (consistente nell’assentimento
di un edificio di quattordici piani fuori terra, in un’area
che, in base alla pianificazione esistente, ne sopporterebbe solo sette) è tale da soddisfare ampiamente l’interesse privato allo sfruttamento economico della nuova
destinazione residenziale.
7. Non è poi fondata neanche l’ulteriore censura riguardante un presunto difetto di competenza dell’organo
consiliare.
L’assunto è argomentato dalla ricorrente con riferimento a quanto prescrive il comma 14 dell’art. 5 del D.L. n.
70 del 2011, convertito in L. n. 106 del 2011, a norma
del quale, decorso il termine di 120 giorni dall’entrata
in vigore della legge di conversione del decreto, “le disposizioni contenute nel comma 9 [...] sono immediatamente applicabili alle Regioni a statuto ordinario che
non hanno provveduto all’approvazione delle specifiche
leggi regionali”. Ne deriverebbe che, essendo ormai trascorso tale termine, e non essendo intervenuta apposita
legge regionale di attuazione, sarebbe non più operativo
il richiamo all’art. 14 del D.P.R. n. 380 del 2001 (richiamo che è fatto dal comma 11), proprio perché l’unica norma applicabile rimarrebbe quella del comma 9.
Sennonché un simile ragionamento trascura di considerare il vuoto normativo che ne deriverebbe: ammettendo infatti il venir meno della competenza del Consiglio
comunale nell’adozione della delibera preliminare, la
legge rimarrebbe silente in ordine al complessivo procedimento da seguire per addivenire alla deroga. In realtà,
la disposizione di cui al comma 9, se letta da sola, non
può essere immediatamente precettiva ed anzi (in palese
contraddizione con le intenzioni di cui al medesimo
comma 14) si svelerebbe inapplicabile: ciò, proprio in
considerazione di come la disposizione è strutturata, in
quanto essa predispone solo una cornice generale che,
come tale, abbisogna della necessaria articolazione in
un apposito procedimento amministrativo (che potrà
essere quello stabilito dalle singole leggi regionali ovvero, in mancanza, quello ex art. 14 D.P.R. n. 380 del
2001). Questo significa che, nell’attesa del varo delle
leggi regionali, per ragioni di certezza del diritto non
può che rimanere operativo il procedimento stabilito
dall’art. 14 del testo unico sull’edilizia; e che l’unico effetto dell’immediata operatività sancita dal comma 14 è
quello di rendere efficace la misura massima di volumetria premiale indicata dalla seconda parte del medesimo
comma, riferita alla fattispecie del riconoscimento di
volumetria aggiuntiva di cui al precedente comma 9,
lett. a.
8. In conclusione, il ricorso introduttivo deve, in parte,
essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse e, per la restante parte, deve essere respinto. I motivi aggiunti devono essere integralmente
respinti.
IL COMMENTO
di Alberto Savatteri (*)
Nel caso esaminato dalla sentenza del TAR Piemonte n.1286 del 2013, il giudice amministrativo si è trovato di fronte ad iniziative del legislatore statale finalizzate a promuovere l'attività edilizia, adottate senza
prestare attenzione ai principi cui si informa la disciplina dell'edilizia e dell'urbanistica ed alle regole del riparto di competenza legislativa tra Stato e Regioni nell'ambito della materia concorrente del governo del
territorio; il rimedio è consistito in un forzoso ricorso all'applicazione del permesso di costruire in deroga.
(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla
valutazione di un referee.
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L'esame della sentenza richiede la preventiva illustrazione del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, (“Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia”), conv. in L. 12 luglio 2011, n. 106, (cd.
Decreto Sviluppo), all’art. 5 (“Costruzioni private”), comma 1, il quale “per liberalizzare le costruzioni private” propone una “legge nazionale quadro
per la riqualificazione incentivata delle aree urbane”, ponendo altresì un “termine fisso per eventuali normative regionali” (lett. h).
L'intendimento è quello di esprimere nuovi
principi riservati alla legislazione statale (1) cui si
deve conformare la legislazione regionale nelle materie rimesse alla potestà legislativa concorrente tra
Stato e Regioni dall’art. 117, comma 3 della Costituzione - così come sostituito dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (“Modifiche al titolo V
della parte seconda della Costituzione”) - tra le
quali vi è quella del “governo del territorio”, comprendente sia la disciplina dell’edilizia, sia quella
dell’urbanistica.
In tale contesto, l'art. 5 del D.L. n. 70 del 2011
prevede che le regioni, “al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio esistente nonché di
promuovere e agevolare la riqualificazione di aree
urbane e degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti
nonché di edifici a destinazione non residenziale
dismessi e in via di dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessità di favorire
lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti
rinnovabili”, approvino specifiche leggi, per appunto incentivare tali azioni, “anche con interventi di
demolizione e ricostruzione che prevedano: a) il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente come misura premiale; b)
l’ammissibilità delle modifiche di destinazione d’uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari; c) l’ammissibilità delle modifiche della sagoma necessarie per l’armonizzazione
architettonica con gli organismi esistenti” (art. 5,
comma 9).
Le suindicate previsioni del D.L. n. 70 del 2011
si inseriscono peraltro in un processo normativo
avente ad oggetto il rilancio dell'attività edilizia,
già ampiamente avviato con l’accordo Stato Regioni ed Enti Locali stipulato in data 31 marzo
2009 (2) il quale, per favorire iniziative volte al rilancio dell’economia, prevedeva che le regioni si
impegnassero ad approvare, entro un termine temporale stabilito, proprie leggi ispirate anche a “disciplinare gli interventi straordinari di demolizione
e ricostruzione con ampliamento per edifici a destinazione residenziale entro il limite del 35% della
volumetria esistente, con finalità di miglioramento
della qualità architettonica, dell’efficienza energetica ed utilizzo di fonti energetiche e secondo criteri di sostenibilità ambientale, ferma restando l’autonomia legislativa regionale in riferimento ad altre tipologie di intervento” (lett. b).
Al fine dell'attuazione delle proprie previsioni, il
D.L. n. 70 del 2011 pone alle regioni il termine
per legiferare e, quindi, per adeguare la legge regionale ai principi della legge statale (sessanta giorni
dalla propria entrata in vigore, art. 5, comma 9), e
definisce un'articolata disciplina transitoria. In primo luogo (art. 5 comma 11) è previsto che, decorso il termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore della norma statale (3), entro il quale le regioni
a statuto ordinario e quelle a statuto speciale (que-
(1) P. Urbani, Le innovazioni in materia di edilizia priva nella
legge n. 106/2011 di conversione del D.L. n. 70 del 13 maggio
2011, Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia, in www.pausania.it.
(2) L’art. 8, comma 6, della L. 5 giugno 2003, n. 131 prevede la stipulazione di intese in Conferenza Unificata (Stato Re-
gioni ed Enti Locali) diretta a favorire l’armonizzazione delle rispettive legislazioni ed il conseguimento di obiettivi comuni. Si
giunse nel 2009 ad utilizzare tale istituto a fronte delle insuperabili resistenze che si erano al tempo manifestate da parte
delle regioni all'approvazione di un decreto legge.
(3) L'originario termine riferito all'entrata in vigore del de-
La sentenza TAR Piemonte in esame è di interesse in quanto costituisce una delle rare pronunce
che si sono occupate della disciplina della riqualificazione urbana introdotta dal legislatore del 2011
con il cd. Decreto Sviluppo, il quale, ancora una
volta, nel perseguire le esigenze (ritenute) eccezionali di semplificazione ed incentivo premiale all'attività edilizia, introduce norme derogatorie della
disciplina urbanistica ed edilizia, proponendo un
testo legislativo che neppure la legge di conversione ha reso pienamente coerente e di agevole interpretazione, soprattutto con riferimento alla disciplina transitoria ed alle relative problematiche inerenti la valutazione della sua conformità al dettato
costituzionale.
La sentenza consente poi di esaminare l'istituto
del permesso di costruire in deroga, nella sua evoluzione normativa e giurisprudenziale.
La disciplina della riqualificazione delle aree
urbane nel Decreto Sviluppo
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ste ultime “compatibilmente con le disposizioni degli statuti di autonomia e con le relative norme di
attuazione”) avrebbero dovuto legiferare, e fino all’entrata in vigore della disciplina regionale, per gli
interventi previsti al comma 9 “si applica” l’art. 14
del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico dell'edilizia). Per tali opere è così mutuata la disciplina del “permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici” ordinariamente riservata agli
“edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico” i quali, previa deliberazione del Consiglio comunale, possono essere approvati quand’anche risultino difformi dalle previsioni degli strumenti urbanistici ma (fatto salvo quanto si dirà infra) esclusivamente a quelle tra di esse che si riferiscono ai
limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra
i fabbricati; la disciplina transitoria - coerentemente con la modifica strutturale dell'art. 14 del T.U.
edilizia (4) - contiene l’ulteriore previsione che la
deroga possa essere anche riferita al mutamento
delle destinazioni d’uso, purché siano “compatibili
o complementari”. Gli interventi di riqualificazione assentibili con il permesso in deroga non devono essere riferiti ad “edifici abusivi siti nei centri
storici o in aree a inedificabilità assoluta ...” (art.
5, comma 10) e devono garantire “il rispetto degli
standard urbanistici, delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia ..., nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio ...” (art. 5,
comma 11, secondo periodo).
Mentre la norma transitoria riferita al primo periodo di sessanta giorni non pone particolari problemi interpretativi e pare ragionevolmente infor-
mata all'esigenza di subordinare gli interventi in
deroga all'approvazione dell'organo comunale ordinariamente deputato alla formazione degli strumenti di pianificazione (e alle sue deroghe), meno
agevole è comprendere la volontà del legislatore
con riferimento alla disciplina applicabile una volta compiuto l'ulteriore termine concesso alle regioni per legiferare: “Decorso il termine di 120 giorni
dall’entrata in vigore della legge di conversione, le
disposizioni contenute al comma 9 … sono immediatamente applicabili alle Regioni a statuto ordinario che non hanno provveduto all’approvazione
delle specifiche leggi regionali” (art. 5, comma 14).
Per comprendere l'effettiva portata applicativa
della norma da ultimo indicata, occorre invero precisare che per le Regioni le quali, a seguito dell'Intesa del 2009, avevano già approvato una disciplina legislativa che sarebbe risultata conforme in tutto o in parte anche ai nuovi principi dettati dal
D.L. n. 70 del 2011, la disciplina transitoria non
ha trovato applicazione se non eventualmente in
parte (5). In pendenza dei termini posti dal D.L. n.
70 del 2011, alcune regioni hanno così verificato
che la propria legislazione era già conforme ai nuovi principi (6) e altre hanno in tutto o in parte
provveduto agli adeguamenti - anche alle altre
norme di principio dettate dal D.L., diverse da
quelle in esame - in gran parte prevedendo specifici piani attuativi o riconducendo l'applicazione
delle norme premiali agli ambiti territoriali a tal fine appositamente individuati dai comuni, nonché
definendo i relativi procedimenti (7).
creto è stato modificato della legge di conversione e ricondotto all'entrata in vigore della stessa.
(4) Il D.L. n. 70 del 2011, art. 5, comma 13, lett. a) stabilisce
che - sino all'entrata in vigore di diversa disciplina regionale:
“è ammesso il rilascio del permesso in deroga agli strumenti
urbanistici ai sensi dell'art. 14 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380
anche per il mutamento di destinazioni d'uso, purché si tratti
di destinazioni tra loro compatibili e complementari”. Sulla destinazione compatibile e complementare vedi T.A.R. Lombardia, Milano, 30 maggio 2013, n. 1417.
(5) Molte regioni avevano già colto l'occasione data loro dal
piano casa per definire non solo norme transitorie, bensì per
introdurre una disciplina stabile della premialità e della riqualificazione edilizia, anticipatoria rispetto al D.L. n. 70 del 2011.
La circostanza è evidenziata nei lavori preparatori della Camera dei Deputati alla L. n. 106 del 2011; nella seduta del 24 novembre 2011 ”Si fa presente, da ultimo, che la riqualificazione
di aree urbane degradate era uno dei punti per il rilancio del
settore edilizio (cd. Piano casa 2) previsto nell’intesa raggiunta
in sede di Conferenza Stato-Regioni del 1° aprile 2009. Nell’intesa viene, infatti precisato che, le leggi regionali possono individuare “gli ambiti nei quali i medesimi interventi sono favoriti
con opportune incentivazioni e premialità finalizzate alla riqualificazione di aree urbane degradate”. Le Regioni hanno inter-
pretato in vario modo tale punto dell’intesa, alcune hanno
emanato norme di principio, altre invece hanno dato una puntuale attuazione a tale disposizione prevedendo norme specifiche per la riqualificazione delle aree degradate e delle aree industriali dismesse”. Sul piano casa: C. Domenico, L'attuazione
del Piano casa nelle leggi regionali, in Immobili e proprietà,
2009, 764; A. Cortesi, La prima attuazione del piano casa, in
questa Rivista, 2009, 929; M. Ragazzo, La ricetta veneta per il
piano casa, in questa Rivista, 2009, 1044; M. Bassani, Il piano
casa in Lombardia, in questa Rivista, 2009, 1244; D. De Carolis,
Il piano casa in Umbria, in questa Rivista, 2010, 16; C.M. Aiello,
L'attuazione dell'intesa sul piano casa: sono legittimi i poteri sostitutivi governativi? in questa Rivista, 2010,129; C. Lamberti, Il
piano casa del Lazio, in questa Rivista, 2010, 283; D. De Carolis, Il piano casa ai tempi del sisma, in questa Rivista, 2010,
297; R. Goso, P. Malanetto, Il piano casa in Piemonte, in questa
Rivista, 2010, 389; R. Damonte, Il piano casa in Liguria, in questa Rivista, 2010, 531; C. Ventimiglia, Il piano casa della Regione Sicilia ed il legislatore funambolo, in questa Rivista, 2010,
929; L. Maccari, Il piano casa regionale delle Marche: la parola
ai Comuni, in questa Rivista, 2010, 679.
(6) Come L'Emilia Romagna (D.G.R. 12 settembre 2011).
(7) L.R. Abruzzo 15 ottobre 2012, n. 49; L.R. Basilicata, 31
dicembre 2012, n. 35; L.R. Calabria, 10 febbraio 2012, n. 7;
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Il caso esaminato e l'interpretazione della
norma transitoria proposta dalla
giurisprudenza dei TAR
La società proprietaria di un'area con destinazione a terziario e disciplinata da un piano esecutivo
convenzionato assai risalente nel tempo e che consentiva la realizzazione di un edificio di rilevanti
dimensioni iniziato e mai ultimato, ha richiesto un
permesso di costruire per ottenere il cambio di destinazione d'uso dell'immobile a terziario-residenziale, intendendo fruire delle agevolazioni riservate
alle aree da riqualificare e previste dal D.L. n. 70
del 2011; l'istanza è stata presentata successivamente al compimento del termine di centoventi
giorni dall'entra in vigore della relativa legge di
conversione del decreto entro il quale la Regione
avrebbe dovuto adeguare la propria disciplina alla
legge statale e senza che a ciò fosse avvenuto. Il
Comune ha approvato il progetto presentato con
deliberazione del Consiglio comunale ai sensi dell'art. 14 del T.U. edilizia, condizionandolo tuttavia
alla destinazione ad edilizia convenzionata di una
quota degli edifici residenziali realizzati.
Il TAR Piemonte con la sentenza n. 1286 del
2013, dovendo innanzitutto individuare la disciplina di riferimento, ha ritenuto che, anche una volta
compiuto il termine di centoventi giorni stabilito
per l'adozione della legge regionale, continuasse a
trovare applicazione il procedimento del permesso
di costruire in deroga (8). La conclusione cui giunge il Tribunale piemontese si fonda sulla considerazione che il comma 14 dell'art. 5 del D.L. n. 70 del
2011 indica come unica disciplina applicabile quella prevista al comma 9, non prevedendo in tal modo l'intervento del consiglio comunale; tale esclusione comporterebbe tuttavia un vuoto normativo,
in quanto non individuerebbe il procedimento attraverso il quale potrebbe essere approvata la deroga, che potrebbe essere colmato solamente con la
previsione dell'intervento del predetto organo politico dell’amministrazione: “ammettendo il venir
L.R. Lazio, 13 agosto 2011, n. 10; L.R. Ligura, 5 aprile 2012, n.
9; L R. Marche, 23 novembre 2011, n. 22; L.R: Molise, 9 settembre 2011, n. 21; L.R. Puglia, 1° agosto 2011, n. 21; L.R. Toscana, 5 agosto 2011, n. 40; L.R. Umbria,16 settembre 2011,
n. 8.
(8) La sentenza è sostanzialmente conforme alla posizione
della Regione Piemonte (Circolare del Presidente della Giunta
regionale 9 maggio 2012, n.7/UOL).
(9) L'art. 5, comma 2 lett. a), n. 3) del D.L. n. 70 del 2001
sostituisce l'art. 20 del D.P.R. n. 380 del 2001 stabilendo, al
comma 8 dell'articolo sostituito che “Decorso inutilmente il
termine per l'adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell'ufficio non abbia proposto motiva-
Urbanistica e appalti 7/2014
meno della competenza del Consiglio comunale
nell’adozione della delibera preliminare, la legge rimarrebbe silente in ordine al complessivo procedimento da seguire per addivenire alla deroga. In
realtà, la disposizione di cui al comma 9, se letta
da sola, non può immediatamente essere precettiva
ed anzi (in palese contraddizione con le intenzioni
di cui al medesimo comma 14) si svelerebbe inapplicabile: ciò, proprio in considerazione di come la
disposizione è strutturata, in quanto essa predispone solo una cornice generale che, come tale, abbisogna della necessaria articolazione in un apposito
procedimento amministrativo (che potrà essere
quello stabilito dalle leggi regionali ovvero, in
mancanza, quello ex art. 14 D.P.R. n. 380 del
2011”. Affermata la necessità della deliberazione
consigliare, il TAR Piemonte ritiene evidentemente che sull'istanza di permesso di costruire presentata ai sensi del Decreto Sviluppo non si possa formare il silenzio assenso previsto dall'art. 20, comma 8 del T.U. edilizia, così come modificato dallo
stesso D.L. n. 70 del 2011 (9), poiché tale significato dell'inerzia non può certamente essere riferito,
nell'ambito del procedimento di approvazione degli
interventi che richiedono il permesso di costruire
in deroga, alla mancata deliberazione del consiglio
comunale (10).
Il TAR Piemonte elude invero - seppur per un
fine pienamente condivisibile - la norma transitoria vigente dopo il centoventesimo giorno dall'entrata in vigore della L. n. 306 del 2011 (comma
14), applicando l'art 14 del T.U. edilizia e, quindi
sostanzialmente la norma transitoria riferita ad un
periodo precedente (dal sessantesimo al centoventesimo giorno dall'entrata in vigore della legge di
conversione - comma 11).
La forzatura ermeneutica proposta dal giudice
piemontese, seppur da un lato comprensibile nelle
sue finalità di conservazione di una virtuosa osservanza dei fondamentali principi pianificatori, non
pare tuttavia pienamente condivisibile, se non nelle sue conclusioni, perlomeno nelle sue argomentato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende
formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano
vincoli ambientali, paesaggistici o culturali ...”
(10) L'art. 20, comma 8 “riferisce la formazione del provvedimento tacito solo alla domanda di permesso di costruire
senza quindi richiamare né il (diverso) istituto del permesso di
costruire in deroga agli strumenti urbanistici (come definito
dall'art. 14), né il nuovo istituto ex art. 15, commi 9 ss. del D.L.
n. 70 del 2001 (peraltro introdotto dalla stessa fonte normativa
che ha riscritto l'art. 20 del D.P.R. n. 380 del 2001), né tanto
meno la delibera consiliare preliminare ad entrambi” (T.A.R.
Piemonte, n. 1286 del 2013).
845
Giurisprudenza
Amministrativa
zioni. La lettera della norma è infatti chiara nell'affermare che, decorsi centoventi giorni, i Comuni
non debbono più avvalersi dell’istituto del procedimento del permesso di costruire in deroga per gli
interventi di cui all'art. 5, comma 9 e, ove insistano in regioni che non siano dotate di una disciplina legislativa che (con leggi approvate anteriormente all’entrata in vigore del D.L. n. 70 del 2011,
ovvero successivamente) sia conforme ai principi
dallo stesso posti, dovranno autorizzare gli interventi di riqualificazione con l'ordinario permesso
di costruire, previa evidentemente la compiuta verifica della riferibilità degli interventi proposti alle
ipotesi tassative ivi indicate e fermi restando i predetti limiti dettati dall'art. 5, comma 10 e comma
11 secondo periodo (11).
In tal senso una recente sentenza, il TAR
Abruzzo (12) ha affermato che, decorsi i centoventi giorni dall'entrata in vigore del decreto, “era
ormai inapplicabile il procedimento di cui al predetto art. 14, il quale dopo tale periodo transitorio
può continuare ad essere realizzato solo nei limiti
di legge, cioè per realizzare edifici o impianti pubblici o di interesse pubblico; pertanto, il titolo edilizio avrebbe potuto essere rilasciato dagli organi
amministrativi del comune, una volta accertata la
sussistenza dei presupposti di legge”. Sulla scorta di
tale premessa, il TAR Abruzzo ha comunque ritenuto che l'intervento richiesto sulla base del decreto n. 70 del 2011 non avrebbe potuto essere assentito in quanto ne era prevista la realizzazione in
una zona nella quale l'edificazione era subordinata
all'approvazione di un piano particolareggiato, ma
anche in quanto contrastante con le norme in salvaguardia e non rispettoso degli standard previsti.
La diretta applicabilità della disciplina transitoria prevista dall'art. 14 del D.L. n. 70 del 2011 è
stata affermata anche dal TAR Lombardia il quale
ha ritenuto legittimo il provvedimento che consentiva la realizzazione di un intervento di riqualificazione avente i requisiti richiesti dal Decreto
Sviluppo, anche in assenza dell'individuazione da
parte dell'amministrazione delle aree da riqualificare a tal fine prevista da una sopravvenuta legge regionale non applicabile ratione temporis (13). Tale
pronuncia, tuttavia, riferendosi ad un provvedimento di diniego di permesso di costruire emesso
dall'organo amministrativo non ha dovuto espressamente pronunciarsi in ordine all'applicazione
dell'art. 14 del T.U. edilizia.
Pur essendo chiaro l'intendimento del legislatore
statale di sollecitare energicamente le regioni ad
approvare leggi utili a concorrere allo sviluppo dell'attività edilizia e quindi dell'economia del paese,
resta che la disciplina transitoria dell'art. 5 del
D.L. n. 70 del 2011 - già opportunamente criticata
nei primi commenti della dottrina (14) la quale,
non senza porre dubbi di costituzionalità, aveva ritenuto l'intervento del legislatore statale “muscolare” - ha trovato non immotivate forti criticità nella
sua concreta applicazione giurisprudenziale la quale
ne ha evidenziati, con diverse modalità, i diversi
aspetti di incoerenza con le norme in materia si di-
(11) Confortano l'opzione ermeneutica proposta il richiamo
operato dal comma 14 al solo secondo periodo del comma 11
con l'espressa esclusione pertanto del primo periodo il quale si
riferisce all'art. 14 del T.U. edilizia; ma anche la considerazione
che, con riferimento alle caratteristiche degli interventi da realizzare, a differenza degli deroghe di cui al comma 9, lett. b, c
e d, il riconoscimento della volumetria aggiuntiva di cui alla
lett. a non possa avere applicazione diretta senza la previsione
di un limite massimo (nel venti per cento del volume dell'edificio se destinato ad uso residenziale e nel dieci per cento della
superficie coperta per gli edifici adibiti ad uso diverso).
(12) T.A.R. Abruzzo, sez. I, 27 maggio 2013, n. 292.
(13) T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 23 gennaio 2013, n.
194, afferma che l'art. 5 del Decreto Sviluppo, individua i casi
in cui le misura agevolative in esame non possono trovare applicazione e tra di essi non è indicato quello della preventiva
pianificazione comunale dell’intervento di recupero; “il contesto normativo in cui la norma si inserisce, nell’ambito di un disegno più ampio di misure per la crescita e lo sviluppo dell’economia, unitamente alla fissazione di un breve termine entro
il quale ciascuna amministrazione regionale poteva adottare
previsioni ad hoc, conferma la fondatezza della tesi sostenuta
dalla ricorrente, favorevole ad escludere la subordinazione del
permesso di costruire in deroga, per il recupero di un edificio
dismesso, alla previa collocazione dello stesso in area individuata dall’amministrazione comunale come degradata e da ri-
qualificare. A tal riguardo si consideri, quanto al rapporto tra
normativa statale e normativa regionale, che il comma 14 detta una disciplina transitoria, imponendo alle Regioni ordinarie
il rispetto delle previsioni del citato art. 5, decorsi centoventi
giorni dalla sua entrata in vigore, in mancanza di una regolamentazione regionale medio tempore introdotta”. Afferma ancora la sentenza che la L.R. Lombardia n. 4/12, anche attuativa dell'art. 5 del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, che impone la
preventiva individuazione delle aree da riqualificare, era intervenuta successivamente al periodo cui si riferiva la domanda
di permesso di costruire, sicché quest'ultima si collocava in un
contesto temporale in cui esisteva una vuoto a livello legislativo regionale, colmato dalla legge statale, come espressamente indicato dalla norma transitoria più volte citata. Dalla motivazione della sentenza pare potersi desumere che il ricorrente
non aveva proposto censure inerenti la necessità o meno dell'intervento del consiglio comunale poiché l'istanza era stata rigettata anteriormente.
(14) E. Boscolo, Le novità in materie edilizia ed urbanistica
introdotte dall'art. 5 del decreto sviluppo, in questa Rivista,
2011, 1066, coglie che il decreto limita fortemente i poteri regionali, prevedendo che, in un sistema teso a comprimere oltre misura l'autonomia delle regioni, “nelle regioni a statuto ordinario, decorsi 120 giorni dalla legge di conversione del decreto, il piano casa statale … divenga applicabile nella sua interezza (non più attraverso il filtro del permesso in deroga)”.
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Urbanistica e appalti 7/2014
Giurisprudenza
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sciplina del territorio e, seppur implicitamente, di
conformità al dettato costituzionale.
L'art. 117, comma 3 della Costituzione (15) stabilisce che, nelle materie di legislazione concorrente, tra le quali rientra il “governo del territorio” (edilizia ed urbanistica) (16), la potestà legislativa è esercitata dalle Regioni nell'osservanza dei
principi fondamentali posti dalla legislazione dello
Stato; in assenza di loro espressa determinazione,
tali principi sono desunti dalle leggi statali vigenti
(L. 5 giugno 2003, n. 131, “Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla
L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3”, art. 1, comma
3) (17).
Con riferimento alla disciplina dell'edilizia, il
D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (“Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia”), agli artt. 1 e 2, stabilisce che le proprie
disposizioni contengono i principi fondamentali
cui deve conformarsi la legislazione regionale (18);
nonché che le norme, sia di principio che di dettaglio, in esso contenute operino nei confronti delle
regioni sino a quando queste ultime non si siano
adeguate alle norme di principio (19), fermo restando che la mancata esatta indicazione dei principi determina inevitabilmente che la loro individuazione sia rimessa all'interprete (20). Con riferimento alle predette disposizioni del D.P.R. n. 380
del 2001, l'Adunanza Plenaria (21) ha poi ricordato che le leggi statali che pongono i principi della
materia, nell'ambito della potestà legislativa concorrente, abrogano le leggi regionali con essi confliggenti (22).
In tale contesto, la relazione e la distinzione tra
normativa di principio e normativa di dettaglio sono state chiarite dal giudice delle leggi nel senso
che alla fonte statale spetta di prescrivere criteri ed
obiettivi, mentre è riservata alla fonte regionale
l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per il loro raggiungimento (23); analogamente
la norma statale non può avere un contenuto pre-
(15) Come è noto, l’art. 117 Cost. prevede che la potestà legislativa dello Stato e delle regioni sia esercitata nel rispetto
della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (comma 1) e disciplina il riparto tra la potestà legislativa statale e regionale attraverso l’individuazione di tre ambiti di competenza; nelle materie specificatamente elencate nell’ambito esclusivo dello Stato la competenza legislativa è rimessa in via esclusiva a quest’ultimo (comma 2); nell’ambito concorrente tra Stato e regioni, sempre nelle materie specificatamente indicate, la potestà
legislativa è rimessa alle regioni, nel rispetto dei principi fondamentali riservati alla legislazione statale (comma 3); è infine rimessa alla legislazione esclusiva delle regioni ogni materia che
non rientri espressamente nella potestà esclusiva dello Stato o
in quella concorrente (comma 4).
(16) L’urbanistica - come l’edilizia - rientra nella nozione di
governo del territorio. La riconduzione dell’urbanistica alla materia del governo del territorio è stata affermata sin da Corte
cost. 1° ottobre 2003, n. 303; Corte cost. 19 dicembre 2003, n.
362 ha ritenuto che anche “l’ambito di materia costituito dall’edilizia va ricondotto al governo del territorio. Del resto la formula adoperata dal legislatore della revisione costituzionale
del 2001 riecheggia significativamente quelle con le quale nella più recente evoluzione della legislazione ordinaria l’urbanistica e l’edilizia sono state considerate unitariamente”. Corte
cost. 28 giugno 2004, n. 196 ha ribadito che “nei settori dell’urbanistica e dell’edilizia i poteri legislativi regionali sono senz’altro ascrivibili alla nuova competenza concorrente in materia di governo del territorio”. In tal senso, da ultimo, Corte
cost. 5 giugno 2013, n. 139 e Corte cost. 25 luglio 2005, n.
343. Cons. Stato, sez IV, 13 giugno 2013, n. 3262, ha affermato che “Il legislatore costituzionale, nel novellare l'art. 117 della
Costituzione … ha sostituito il termine urbanistica con la più
comprensiva espressione di governo del territorio, più aderente, contenutisticamente, alle finalità di pianificazione che oggi
devono ricomprendersi nel citato termine di urbanistica”. Vedi
anche Cons. Stato, sez. IV, 4 settembre 2012, n. 4454.
(17) “Nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell'ambito dei
principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o,
in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti” (art. 3,
comma 1).
(18) “Il presente testo unico contiene i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell'attività edilizia” (art. 1, comma 1); “Le regioni esercitano la loro potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi
fondamentali della legislazione stata desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico” (art. 2, comma 1).
(19) “Le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo
unico, attuative dei principi di riordino in esse contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario,
fino a quando esse non si adeguino ai principi medesimi” (art.
2, comma 3).
(20) La rimessione all'interprete dell'individuazione dei principi è confortata dalla dizione “desumibili” contenuta nell'art. 2
comma 1 del T.U. edilizia (M. Alberto, La definizione degli interventi edilizi spetta soltanto allo Stato, in Corri. Merito, 2012,
525). È stato altresì ritenuto che sia privo di senso che la norma indichi di contenere principi e poi non li enunci né li individui (P. Stella Richter, I Principi del Diritto Urbanistico, 2002).
(21) Cons Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2008, n. 2, con nota di
M. Bassani, Le norme di principio prevalgono sulle norme previgenti delle regioni a statuto ordinario con esse confliggenti, in
questa Rivista, 2008, 752. Anche T.A.R. Campania, Salerno,
15 marzo 2012, n. 432.
(22) La L. 10 febbraio 1953, n. 62, (cd. legge Scelba) art.
10, comma 1, la quale stabilisce che “le leggi della Repubblica
che modificano i principi fondamentali … abrogano le norme
regionali che siano in contrasto con esse”, non è stata abrogata né esplicitamente, né implicitamente né dalla L. n. 131 del 5
maggio 2003, né dalla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3 che, all'art. 10, commi 9 e 10, dispone, rispettivamente, la modifica o
l'abrogazione di alcune norme della stessa L. n. 63 del 1953,
ma non dell'art. 10, comma 1 (Cons. Stato, Ad. Plen., n. 2 del
2008, cit.; Corte cost., 7 luglio 2010, n. 272; Cons. Stato, 2 ottobre 2008, n. 4793; Cass., sez. lav., 5 maggio 2010, n. 10829;
T.A.R. Piemonte, 7 dicembre 2012, n. 1305).
(23) Ex plurimis: Corte cost. n. 240 del 2009, la quale ha rite-
La disciplina dell'art. 5, comma 14, D.L.
70/2011 nell'assetto della potestà
legislativa concorrente
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Giurisprudenza
Amministrativa
cettivo del tutto puntuale tanto da non lasciare alcun spazio di intervento alle regioni (24) così come
non può regolare in modo dettagliato ed autoapplicativo un determinato ambito normativo (25).
Alla luce di tale premesse si può osservare che i
commi 9 e 10 dell'art. 5 del D.L. n. 70 del 2001 indicano, seppur in modo particolarmente articolato
e puntuale, criteri ed obbiettivi e - nel rispetto delle suesposte regole del riparto previste dall'art. 117
Cost. - rimettono alle regioni l'adozione delle relative norme di dettaglio (“Al fine di … le Regioni
approvano … specifiche leggi per ... che prevedano
...”). Le norme transitorie previste nei successivi
commi 11 e 13 e 14 hanno invece un contenuto
precettivo e sono dichiaratamente sostitutive di
norme regionali, disciplinando nel dettaglio la materia con riferimento alla quale sopravvengono
nuove norme statali di principio. Parte di esse contengono peraltro l'indicazione degli interventi che
possono essere eseguiti con un determinato titolo
(permesso di costruire in deroga) la quale può essere ritenuta riconducibile ad un principio fondamentale che vincola la legislazione regionale di
dettaglio (26): il riferimento è in particolare alla
previsione dell'applicazione agli interventi di riqualificazione previsti nel decreto dell'istituto del
permesso di costruire in deroga ed a quella dell'ampliamento delle ipotesi di deroga, in via generale,
anche alle destinazioni edilizie (entro determinati
limiti), nonché alla previsione che i piani attuativi
siano approvati dalla giunta comunale.
Per altri versi, la disciplina transitoria in esame
recepisce espressamente e disciplina l'efficacia
delle norme del legislatore regionale in conformità al cd. principio della “cedevolezza” (27) secondo il quale, in materia di potestà legislativa concorrente, la legge statale non deve limitarsi a
contenere solo disposizioni di principio ma può
dettare anche una disciplina di dettaglio la quale
peraltro conserva la propria efficacia solo fino a
quando la regione non abbia provveduto ad adeguare la normativa di sua competenza ai principi
fondamentali contenuti nella legge dello Stato.
Tale rimedio contro l'inerzia regionale, ampiamente recepito già prima della riforma del Titolo
V della Costituzione (L. Cost n. 3 del
2001 (28)), è stato ritenuto implicitamente ammesso anche nel nuovo sistema di riparto, seppur
quest'ultimo abbia notoriamente ribaltato il rapporto tra le due fonti (29); il meccanismo della
cedevolezza delle norme statali risulta invero rispondere compiutamente all'esigenza di relazione
nuto per tale motivo costituzionalmente illegittimo dell’art. 58,
comma 2, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla L. n. 133 del 2008, per contrasto con l’art.
117, comma 3, Cost. nella parte in cui prevedeva che la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano delle
alienazioni e valorizzazioni dei beni immobili costituisse variante allo strumento urbanistico generale e che, in quanto relativa
a singoli immobili, non necessitasse di verifiche di conformità
agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle Province e delle Regioni; “Il rapporto tra norma di principio e norma di dettaglio va certo inteso nel senso che alla
prima spetta prescrivere criteri ed obiettivi, essendo riservata
alla seconda l'individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti obiettivi (Corte cost., 10 settembre
2007, n. 430). Tuttavia, la specificità delle prescrizioni, di per
sé, neppure vale ad escludere il carattere “di principio” della
norma, qualora esse risultino legate al principio stesso “da un
evidente rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione”.
(24) “In tema di competenza concorrente allo Stato spetta
la normazione di principio, ossia concernente criteri ed obiettivi, ed alle regioni quella di dettaglio, ossia concernente gli
strumenti concreti da utilizzare per raggiungere tali obiettivi. Al
contempo, la specificità delle prescrizioni statali di per sé non
vale ad escludere il carattere "di principio" della norma, qualora esse risultino legate al principio stesso da un evidente rapporto di coessenzialità e necessaria integrazione, riscontrabile
laddove “la specificità delle disposizioni è necessaria per esprimere la regola generale che deve presiedere alla vendita dei
medicinali, al fine di garantire che avvenga con modalità che
non siano pregiudizievoli della fondamentale esigenza della tutela della salute” (Cons. Stato, 31 maggio 2013, n. 2990); Corte cost., 14 settembre 2007, n. 430.
(25) Corte cost., 21 marzo 2011, n. 21; Corte cost., 24 luglio
2009, n. 237.
(26) “Questa Corte ha già affermato che la disciplina dei titoli richiesti per eseguire un intervento edilizio, e l’indicazione
dei casi in cui essi sono necessari, costituisce un principio fondamentale del governo del territorio, che vincola la legislazione
regionale di dettaglio” (Corte cost., 5 giugno 2013, n. 139);
nello stesso senso Corte cost., 23 novembre 2011, n. 309; Corte cost., 27 luglio 2005, n. 336; Corte cost., 1° ottobre 2003, n.
103. Da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 6 dicembre 2013, n.
5822.
(27) Per un'applicazione di tale principio in materia edilizia:
Cons. Stato, sez. IV 6 giugno 2008, n. 2693 il quale precisa
che l'effetto della cedevolezza è subordinato alla circostanza
che “l'intervento legislativo regionale sia caratterizzato dalla
completezza e dall'autonomia della relativa disciplina, nel senso che quest'ultima dev'essere idonea, da sola, a regolare in
maniera computa ed esaustiva il pertinente settore dell'ordinamento, e che rispetti i principi fondamentali enunciati dalla legge statale”, T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 5 marzo 2012,
n. 432.
(28) In tal senso, Corte cost. n. 214 del 1985. Si veda sull'argomento: R. Tosi, Leggi di principio corredate da disposizioni
di dettaglio: un'estensione della competenza statale senza sacrificio dell'autonomia regionale, in Giur. Cost., 1985, 2679; A. Anzon, Mutamento dei principi fondamentali nelle materie regionali
e vicende della normazione di dettaglio, in Giur. Cost., 1985,
1666.
(29) Sull'argomento: R. Tosi, La legge costituzionale n. 3 del
2001: note sparse in materia di potestà legislativa e amministrativa, in Le Regioni, 2001, 1237; L. Antonini, Art. 117, 2° e 4°
co., in Commentario della Costituzione, a cura di R. Bifulco, A.
Celotto, M. Olivetti, 2006, 2248; P. Caretti, L'assetto dei rapporti tra competenza legislativa statale e regionale, alla luce del
nuovo Titolo V della Cost: aspetti problematici, in Le Regioni,
2001, 1226.
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Urbanistica e appalti 7/2014
Giurisprudenza
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normativa tra due diversi enti politici, anche in
coerenza con il principio di leale collaborazione
previsto dall'art. 5 Cost. senza che sia defraudata
la competenza legislativa regionale poiché, a
fronte della norma statale cedevole, la Regione
potrà, adeguandosi, recuperare i propri spazi normativi (30).
Soprattutto nell'ambito di una materia quale
quella del governo del territorio caratterizzata da
un'accentuata integrazione tra i due livelli normativi, pare poi ragionevole che l'adempimento regionale debba avvenire in un congruo termine al
fine di non creare vuoti legislativi; a tal proposito
occorre evidenziare che lo spazio temporale concesso dal D.L. n. 70 del 2011 alle regioni per adeguare la propria normativa (ed evitare l'applicazione delle norme transitorie) è stato invero da
gran parte di esse ritenuto sufficiente per non
giungere all'applicazione delle norme transitorie o
per lo meno di quelle più rigorose del secondo periodo.
L'applicazione della disciplina del permesso
di costruire in deroga alla fattispecie
esaminata dalla sentenza
La sentenza del TAR Piemonte n. 1286 del
2013, al fine di conformare le previsioni del D.L.
n. 70 del 2011 ai principi fondamentali della disciplina dell'attività edilizia, accede ad una opzione ermeneutica che consente di recuperare la
funzione del Consiglio comunale nel procedimento di approvazione delle opere di riqualificazione che tale norma prevede che possano essere
realizzate in difformità agli strumenti urbanistici.
Sulla scorta di una loro sostanziale riconducibilità all'art. 14 del T.U. edilizia ritiene che, anche
per le ipotesi di assenso in difformità contemplate del D.L., debba essere applicata la disciplina
del permesso in deroga (31), non senza tuttavia
che la natura privata degli interventi di recupero
per la realizzazione dei quali il medesimo D.L.
ammette la deroga assuma rilievo: L'“interesse
(30) V. Onida, Il giudice Costituzionale e i conflitti tra legislatori locali e centrali, in Le Regioni, 2007, 11.
(31) “Il richiamo all'art. 14 del testo unico sull'edilizia veicola, anche per questo speciale procedimento introdotto nel
2011, le caratteristiche generale dell'istituto del permesso di
costruire in deroga, quali già ricostruite dalla giurisprudenza,
che siano compatibili con la nuova disciplina”.
(32) T.A.R. Piemonte n. 1286 del 2013.
(33) “L'imposizione della condizione sull'edilizia convenzionata … si affianca, in modo complementare, all'obbiettivo di
razionalizzazione del patrimonio esistente e rispondendo, quin-
Urbanistica e appalti 7/2014
pubblico nella complessiva operazione deve risultare comunque bilanciato con quello privato alla
realizzazione o al mantenimento dell'opera, trattandosi pur sempre di un intervento che, a differenza dell'istituto di cui all'art. 14 D.P.R. n. 380
del 2001, va ad interessare un edificio privato (e
non pubblico o di pubblico interesse, come richiesto dalla norma richiamata). In ciò sta pertanto la differenza tra il nuovo procedimento in
deroga introdotto dal legislatore d'urgenza nel
2011 e quello già conosciuto ex art. 14 D.P.R. n.
380 del 2001: la natura privata e non pubblica,
dell'edificio oggetto dell'intervento, tale pertanto
da richiedere una conformazione, in termini di
proporzionalità, del sacrificio imposto al privato
proprietario a fronte della concessione della deroga” (32). Afferma ancora la sentenza che l'osservanza delle regole generali del permesso di costruire in deroga limita le possibilità applicazione
agli interventi che non modifichino l'assetto urbanistico della zona.
È sulla scorta di tali presupposti che è stata ritenuta legittima la deliberazione del Consiglio comunale che, accogliendo l'istanza del privato che aveva richiesto di poter recuperare edifici ad uso terziario-residenziale in area con destinazione a terziario, ha imposto che una quota della superficie residenziale autorizzata fosse destinata ad edilizia convenzionata (33). Il medesimo TAR Piemonte con
la sentenza n. 1287 del 2013, pronunciata in esito
al giudizio avente ad oggetto i medesimi provvedimenti sui quali si è espressa la sentenza n 1286, ha,
d'altro lato - sulla base degli stessi parametri interpretativi -, ritenuto la legittimità della deliberazione del consiglio comunale il quale aveva compiutamente motivato la propria decisione con riferimento, sia all'esigenza di razionalizzazione del patrimonio esistente, sia alla rilevanza dell'edilizia convenzionata, sia infine alla compatibilità della nuova
destinazione d'uso con il tessuto urbanistico di riferimento (34).
di, ad un interesse della comunità locale che è prevalente rispetto ai dettami della pianificazione territoriale. Al tempo
stesso è una condizione non manifestamente irragionevole e
pur sempre proporzionata rispetto al (contrapposto) interesse
della proprietà, posto che la deroga approvata (consistente
nell'assentimento di un edificio di quattordici piani fuori terra,
in un'area che in base alla pianificazione esistente, ne sopporterebbe solo sette) è tale da soddisfare ampiamente l'interesse
economico della nuova destinazione residenziale”.
(34) T.A.R. Piemonte, sez. II, 28 novembre 2013, n. 1287.
849
Giurisprudenza
Amministrativa
Il percorso normativo dell'assenso edilizio
in deroga
I principi contenuti nella sentenza in commento
sono coerenti con l’evoluzione normativa dell’istituto e con i più recenti consolidati approdi giurisprudenziali.
La concreta esigenza di contenere la prassi secondo la quale, a seguito dell’approvazione della
legge urbanistica n. 1150 del 1942, era ammesso
che il sindaco, disponesse di un (seppur limitato)
potere di ilasciare titoli edilizi in difformità, per la
realizzazione di edifici pubblici, spinse all'approvazione della L. 21 dicembre 1955, n. 1357 (“Modifiche a disposizioni della legge urbanistica 17 agosto
1942, n. 1150, sui piani regolatori e della legge 27
ottobre 1951, n. 1402, sui piani di ricostruzione”),
art. 3, la quale consentì il rilascio della licenza edilizia in deroga solamente tuttavia ove ciò fosse
consentito dai regolamenti edilizi o dalle norme di
attuazione dei piani regolatori (35) e prevedette
che il relativo provvedimento sindacale fosse condizionato all'assenso preventivo di alcuni organi
statali (36); successivamente, la L. 6 agosto 1967,
n. 765 (“Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 115”), art. 16, stabilì altresì che le licenze edilizie (prima e le concessioni
edilizie poi) in deroga fossero limitate alle opere
pubbliche o di interesse pubblico e potessero essere
rilasciate subordinatamente al previo assenso del
Consiglio comunale (37).
(35) Evidentemente occorreva che la disciplina locale fosse
sufficientemente precisa nel prevedere la deroga ed il suo contenuto.
(36) “Il rilascio di licenza edilizia in applicazione di disposizioni le quali, consentono ai Comuni di derogare alle norme di
regolamento edilizio e di attuazione dei piani regolatori, è subordinato al preventivo nulla osta della Sezione urbanistica regionale, nonché della Sovraintendenza ai monumenti. Per i Comuni compresi negli elenchi di cui all'art. 8 della L. 17 agosto
1942, n. 1150, il nulla osta è accordato dal Ministero dei lavori
pubblici, su rapporti della Sezione urbanistica e della Sovraintendenza predetti, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici. Gli organi statali, dei quali è previsto l'intervento nei commi precedenti, devono pronunciarsi, con provvedimenti motivati, nel termine massimo di sessanta giorni decorrenti dalla
data di ricezione del progetto da parte degli organi stessi”.
(37) La L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 16 introdusse l'art. 41quater della L. n. 1150 del 1942 con il seguente tenore: “I poteri di deroga previsti dalle norme di piano regolatore e di regolamento edilizio possono esser esercitati limitatamente ai
casi di edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico e
sempre con l'osservanza dell'art. 3, della legge 21 dicembre
1955, n. 1357. L'autorizzazione è accordata dal sindaco previa
autorizzazione del Consiglio comunale”.
(38) “Il permesso di costruire è rilasciato in conformità alle
previsioni degli strumenti urbanistici, degli strumenti urbanistici e della disciplina urbanistica-edilizia vigente”.
850
La disciplina legislativa attribuì certamente sin
dall'origine il carattere di eccezionalità all'istituto
in esame; esso infatti consentiva la deroga al fondamentale principio della necessaria conformità
del titolo edificatorio alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi - entro determinati limiti -, sancito nella legge urbanistica n.
1150 del 1942, art. 31, comma 4 , e successivamente riproposto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 12,
comma 1 (38).
Il T.U. edilizia, sostituendo la disciplina previgente (39), all'art. 14 non ha più stabilito che il
permesso in deroga sia subordinato alla circostanza
che tale facoltà sia prevista dalle norme di piano
regolatore o dal regolamento edilizio; ha invece
confermato i suoi limiti di applicabilità “esclusivamente” alle opere pubbliche o di interesse pubblico, nonché l'esigenza di approvazione da parte del
Consiglio comunale; inoltre ha limitato l'oggetto
della deroga ai limiti di densità edilizia, di altezza e
di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi (40).
Da ultimo, il D.L. n. 70 del 2011 ha esteso - fatta salva la relativa disciplina regionale - l'applicazione del permesso in deroga di cui all'art. 14 del
T.U. edilizia anche agli interventi che comportino
modifiche di destinazioni d'uso purché si tratti di
destinazioni tra di loro compatibili o complementari (41).
(39) L'art. 41-quater della L. n. 1150 del 1942 e l'art. 3 della
L. n. 1357 del 1955 sono stati abrogati dall'art. 136 del D.Lgs.
6 giugno 2001, n. 378.
(40) L'art. 14 del D.P.R. n. 380 del 2011 cosi statuisce: “1. Il
permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio
comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute
nel D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, e delle altre normative di
settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia ... 3.
La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di
attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui
agli artt. 7, 8 e 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444”.
(41) “Nelle Regioni a statuto ordinario … decorso il termine
di sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e sino all'entrata in vigore della
normativa regionale” (art. 9, comma 13) “è ammesso il rilascio
del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici
ai sensi dell'art. 14 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 anche per
il mutamento delle destinazioni d'uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari” (art. 5, comma
13, lett. a). L'astratto impatto della norma è stato significativamente stemperato dalla legislazione regionale.
Urbanistica e appalti 7/2014
Giurisprudenza
Amministrativa
Il principale aspetto di problematicità del permesso di costruire (e prima della licenza e della
concessione) è stata, prima l'individuazione delle
fattispecie che potessero essere allo stesso riferite (42) e poi, dopo la legge cd. “ponte”, l'individuazione delle fattispecie che potessero essere riferite alla nozione di edificio o impianto pubblico o
di interesse pubblico. Il Ministero dei lavori pubblici, pochi mesi dopo l'approvazione della L. 6
agosto 1967, n. 675, emanò la circolare 28 ottobre
1967, n. 3210 (43), la quale evidenziò che, in sede
applicativa, dovessero intendersi: come edifici ed
impianti pubblici quelli appartenenti ad un ente
pubblico e che fossero destinati a finalità di carattere pubblico; come edifici di interesse pubblico o
quelli destinati a finalità di carattere generale a
prescindere dalla loro appartenenza ad un ente
pubblico o privato. La circolare, recependo la ratio
della norma cui si riferiva, tentò di definirne l'ambito di applicazione, introducendo elementi classificatori e caratteri distintivi, sia sotto il profilo soggettivo, sia sotto il profilo oggettivo, delle due tipologie di interventi, ma anche proponendo una
casistica, seppur esemplificativa (44) l'esame dei
quali evidenzia invero come fosse stata proposta,
più che una contrazione, un ampliamento delle fattispecie riconducibili alle qualificazioni indicate
dalla norma di favore (45).
Pur nei limite della loro rilevanza giuridica, la
giurisprudenza si trovò a dover affrontare le questioni poste dai predetti atti dell'Amministrazione
Centrale ai quali certamente facevano riferimento
le amministrazioni locali in sede di applicazione
delle norme regolatrici della concessione edilizia in
deroga.
Il giudice amministrativo applicò originariamente la norma derogatoria in senso restrittivo riconducendo agli impianti ed edifici di interesse pubblico solamente a quelli destinati ad attività strettamente riferite all'Amministrazione. Ben presto tuttavia giunse a valutare l'esistenza di tale qualificazione, non sulla base di criteri generali ed astratti
ovvero di ipotesi tassative, bensì in esito ad un esame concreto della singola fattispecie, ritenendo
che l'interesse pubblico dovesse essere “inteso nella
sua accezione tecnico-giuridica di interesse tipico,
il cui soddisfacimento e la cui tutela sono assunti
dalla p.a., quindi non nel senso di interesse collettivo e generale, bensì in quello di specifico interesse qualificato dalla sua rispondenza ai fini perseguiti dall'Amministrazione stessa” (46).
Sulla scorta di tale premessa, la giurisprudenza,
nell'individuazione dell'esistenza dell'interesse pubblico, ha valorizzato l'elemento funzionale del bene
inteso quale idoneità dell'opera a realizzare una finalità eletta dall'Amministrazione. Intesi con minor rigore i presupposti per l'applicazione dell'istituto, la deroga è stata quindi estesa anche ad interventi edilizi privati, comunque destinanti alla collettività. La giurisprudenza ha così ritenuto legittimo il permesso di costruire in deroga rilasciato per
interventi privati volti a perseguire un interesse
pubblico riferito ad esigenze di tipo economicobancario-assicurativo, culturale, industriale, igienico, religioso, medico, sportivo, turistico-alberghiero, fermo restando che il principale ambito applicativo è rinvenibile negli immobili destinati all'attività da ultimo indicata (47).
(42) La circolare del Ministero dei lavori pubblici 1° marzo
1963, n. 51813, avente ad oggetto “Istruzioni per l'applicazione dell'art. 3 della legge 21 dicembre 1955, n. 1357. Esercizio
dei poteri comunale di deroga alle norme di regolamento edilizio e di attuazione dei piani regolatori”, al punto 2, evidenzia
l'impossibilità di identificare una casistica e l'esigenza di verificare volta per volta l'esistenza delle condizioni della deroga, limitandosi ad indicare che gli edifici di interesse pubblico fossero quelli che, seppur costruiti da un ente pubblico, avessero
un chiaro e diretto interesse pubblico”.
(43) Circolare Ministero lavori pubblici 28 ottobre 1967, dal
titolo“Istruzioni per l'applicazione della legge 6 agosto 1967,
recante modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17
agosto 1942, n. 1150”.
(44) Afferma la circolare, con riferimento all''art. 3 della legge ponte: «Nell'applicazione di tale disposizione si è constatato
che per la genericità dei criteri previsti dalle relative norme comunali, per la tendenza a dare un'interpretazione troppo lata
delle norme stesse e per il frequente ricorso alla loro applicazione, l'esercizio dei poteri di deroga è stato causa di gravi
danni soprattutto di carattere urbanistico ... Ad avviso di questo Ministero, anche in relazione agli scopi perseguiti dalla legge, le accezioni di “edifici od impianti di pubblico interesse”
vanno interpretate secondo i criteri appresso indicati. Sono
edifici ed impianti pubblici quelli destinati a finalità di carattere
pubblico:ad esempio le sedi dei Ministeri, le caserme, le scuole, gli ospedali, i musei, le chiese, i mercati, le università, ecc.
Per edifici ed impianti di interesse pubblico devono intendersi
quelli che, indipendentemente dalla qualità dei soggetti che li
realizzano - enti pubblici o privati - siano destinati a finalità di
carattere generale, sotto l'aspetto economico, culturale, industriale, igienico, religioso, ecc.: esempio conventi, poliambulatori, alberghi, impianti turistici, biblioteche, teatri, silos portuali,
ecc. ...».
(45) Seguì la Circolare Ministero lavori pubblici, 25 febbraio
1970, n. 25/5 la quale propose un'interpretazione del concetto
di interesse pubblico ancora più estesa.
(46) Cons. Stato, sez. II, parre 21 gennaio 1969, n. 5, in
Cons. Stato, I, 157.
(47) Tra le tante ed in tempi diversi: Cons. Stato, sez. IV, 6
Le principali questioni affrontate dalla
prassi e dalla giurisprudenza
nell'applicazione delle norme in materia di
licenza, concessione e permesso di
costruire in deroga
Urbanistica e appalti 7/2014
851
Giurisprudenza
Amministrativa
La sentenza del TAR Piemonte in esame, nel
contesto dell'applicazione dell'istituto ad interventi
caratterizzati da specifiche caratteristiche normativamente previste, propone un criterio valutativo
dell'ammissibilità della deroga dichiaratamente
non coincidente da quelli ordinariamente fatti propri dai precedenti giurisprudenziali, affermando
l'applicabilità del permesso di costruire in deroga
anche ad interventi che interessino un edificio privato pur in assenza di un pubblico interesse alla loro realizzazione con la puntualizzazione che per gli
stessi occorre un contemperamento tra l'interesse
pubblico e quello privato. Tale posizione, specificatamente riferita alle opere di recupero previste dal
D.L. n. 70 del 2011, seppur finalizzata ad affermare
la legittimità dell'imposizione di una condizione
“pubblicistica” all'edificazione residenziale (quota
di edilizia convenzionata), ponendosi in aperto
contrasto con l'art. 14 del T.U. edilizia non può
che essere confinata alla specifica fattispecie in cui
è pronunciata ed alle finalità che intende perseguire (dichiarata dalla sentenza è la “differenza tra il
nuovo procedimento in deroga introdotto dal legislatore d'urgenza del 2011 e quello già conosciuto
ex art. 14 D.P.R. n. 380 del 2011”), individuabili,
come già si è detto, nella “necessità” di ricondurre
l'intervento nell'ambito di un procedimento che
vedesse il coinvolgimento del Consiglio comunale.
A fronte del descritto itinerario di individuazione del contenuto dei concetti di opera ed impianto
pubblico e interesse pubblico e dell'oggetto della
deroga, resta costantemente fermo il principio secondo il quale il provvedimento derogatorio può
essere legittimamente emanato solamente se una
valutazione discrezionale del Consiglio Comunale
abbia legittimamente ritenuto l'esistenza di un
concreto e specifico interesse pubblico alla realizzazione dell'opera, di natura e qualità prevalenti rispetto agli interessi che hanno trovato considerazione e riconoscimento negli atti di pianificazione
territoriale, ossia conducendo un'adeguata valutazione comparativa fra le eccezionali ragioni che
impongono la deroga e la situazione di fatto e di
diritto sulla quale il relativo provvedimento verrebbe ad incidere, anche a tutela del legittimo affidamento riposto dai privati sull'assetto urbanistico
derivante dalle prescrizioni cui essi stessi hanno
prestato osservanza e che nel caso concreto verrebbero disapplicate (48). Il permesso in deroga consiste infatti nella disapplicazione della norma urbanistica ad una specifica fattispecie (49) operata per
adottare - a determinate rigorose condizioni - decisioni urbanistiche puntuali e contingenti (diverse
della varianti che incidono strutturalmente e atemporalmente sul piano regolatore) superando la rigidità del sistema pianificatorio. A tal proposito, il
Consiglio di Stato ha ancora recentemente affermato che, in ragione dell'eccezionale natura del
permesso di costruire in deroga, i relativi presupposti e in particolare la ricorrenza di un interesse
pubblico preminente, devono essere accertati in
modo puntuale e rigoroso, così come le norme che
lo ammettono devono essere interpretate in senso
restrittivo, pena lo stravolgimento della sua stessa
ratio, trattandosi di “provvedimento eccezionale ed
a contenuto singolare, assunto cioè per soddisfare
specifici interessi pubblici, sulla base di valutazioni
contingenti e dotate di eccezionalità che giustificano nella situazione concreta l'inosservanza delle disposizioni contenute negli atti di programmazione” (50).
ottobre 1983, n. 700 (edificio alberghiero); Cons. Stato, sez. V,
29 ottobre 2002, n. 5913; Cons. Stato, sez. V, 10 novembre
1992, n. 1257 (affittacamere); Cons. Stato, sez. V, 28 ottobre
1999, n. 1641 (edificio alberghiero); Cons. Stato, sez. V, 10 novembre 1992, n. 1249; Cons. Stato, 15 luglio 1988, n. 1004
(edificio alberghiero); Cons. Stato, sez. IV, 23 maggio 1988,
434; T.A.R. Veneto, 29 ottobre 1984, n. 534; T.A.R. Lombardia,
sez. III, 8 luglio 1994, n. 525; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 5 novembre 2012, n. 9023 (si riferisce ad un impianto sportivo).
(48) Cons. Stato, sez. IV, 23 luglio 2009, n. 4664; nello stesso senso. Cons. Stato, sez. IV, 12 dicembre 2005, n. 7031 e
Cons. Stato, sez. IV, 29 ottobre 2002, n. 5913; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I 15 ottobre 2013, n. 2305; T.A.R. Calabria,
Catanzaro, sez. II, 11 marzo 2011, n. 375; T.A.R. Trentino Alto
Adige, 27 luglio 2011, n. 214.
(49) “La concessione in deroga si caratterizza quindi come
una vera decisione (di micropianificazione) relativa ad una specifica area di solito non particolarmente estesa e che, diversamente dalle varianti speciali, non ha carattere definitivo … Proprio perché in deroga, ossia disposizione di carattere speciale
rispetto alla normativa generale, venuta meno l'opera per la
quale è stata rilasciata le concessione, … riemerge la norma
generale ...” (Cons. Stato, sez. IV, 23 luglio 2009, n. 4664).
(50) Cons. Stato, sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6136.
(51) La L. 17 agosto 1942, n. 1150 dopo aver definito, all’art. 1, “Disciplina dell’attività urbanistica e dei suoi scopi”, il
proprio oggetto nella disciplina “dell’assetto e l’incremento
edilizio nei centri abitati e lo sviluppo urbanistico in genere nel
territorio della Repubblica”, all’art. 4, ha previsto che la disciplina urbanistica si attuasse “a mezzo dei piani regolatori territoriali, dei pani regolatori comunali …”. L’art. 7 - modificato
dalla L. 19 novembre 1968, n. 1187, art. 1 - definisce i conte-
852
Le criticità degli istituti derogatori riferite
alla violazione delle regole della
pianificazione
È ancora la L. 17 agosto 1942, n. 1150 (cd.
“Legge urbanistica”) che individua il principale
strumento di disciplina del territorio nel piano regolatore comunale (art. 4) (51), tradizionalmente
Urbanistica e appalti 7/2014
Giurisprudenza
Amministrativa
informato al criterio della zonizzazione-localizzazione il quale ha avuto una fisiologica evoluzione che
lo ha visto trasformarsi da criterio di rigida ripartizione del territorio in diverse zone, con l’attribuzione a ciascuna di una funzione specializzata con riferimento alle tipologie normativamente previste, ad
una pianificazione che ha consentito l’assegnazione
a ciascuna zona di una pluralità di funzioni tipiche
o correlate (cd. “zone miste”). La disciplina legislativa dello Stato e delle Regioni ha poi introdotto
numerosi strumenti di programmazione negoziata
dell’attività amministrativa che interessano anche
le funzioni pianificatorie, caratterizzati dal coinvolgimento diretto del soggetto privato nella formazione del provvedimento, dalla connessione di quest’ultimo con la pianificazione urbanistica e dalla
strumentalità delle scelte urbanistiche agli interventi oggetto dei singoli provvedimenti. Ci si riferisce prevalentemente agli istituti comunemente
denominati “programmi complessi” accomunati
dalle caratteristiche della funzionalità della scelta
pianificatoria all’intervento di cui è prevista la realizzazione e della definizione consensuale della disciplina urbanistica dell’area interessata la quale
avviene - fermo restando il necessario intervento
degli enti e degli organi competenti - nell’ambito
di procedimenti semplificati rispetto a quelli ordinari (52). Le specifiche funzioni proprie dei pro-
grammi complessi comportano che la loro approvazione si accompagni a scelte urbanistiche utili a
rendere compatibili con le previsioni degli strumenti urbanistici gli interventi pubblici e privati
che si intendono realizzare, spesso consistenti in
un complesso di opere con destinazioni disomogenee (53) (cd. pianificazione funzionale).
Il ridimensionamento degli originari principi
pianificatori è avvenuto anche con la proposizione
di istituti che consentono la realizzazione di interventi privati che non sarebbero consentiti dal piano regolatore, non con una modifica dello stesso
attraverso l'utilizzo di procedimenti semplificati e
puntuali, bensì mediante la previsione di specifiche
deroghe allo strumento urbanistico, e, tra di essi, le
fattispecie derogatorie introdotte dal cd. Piano Casa (prima) e dal cd. Decreto Sviluppo (poi), espressamente finalizzate ad incentivare l'attività edilizia
privata. Con riferimento a tali istituti non può invero non evidenziarsi come la complessità di operazioni di recupero e riqualificazioni non consenta
una compiuta valutazione della derogabilità delle
prescrizioni urbanistiche dettate dal piano se non
nel contesto di una modifica del piano regolatore
che ben può avvenire nell'ambito dei procedimenti
di concertazione caratterizzati dalla semplificazione
e dalla celerità richieste dagli operatori interessati (54).
nuti del piano regolatore e individua i criteri cui deve conformarsi la pianificazione dallo stesso attuata. In particolare il piano deve indicare art. (7, comma 2): “la rete delle principali vie
di comunicazione stradali ferroviarie e navigabili e dei relativi
impianti” (n. 1); “le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù” (n. 3); “le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale” (n. 4) (cd. localizzazioni);
“la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano e
la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona” (n. 2) (cd. zonizzazioni). Il successivo art. 41-quinquies, u.c. della medesima legge urbanistica - introdotto dalla
L. 6 agosto 1967, n. 765 (cd. “Legge ponte”), art. 17 - stabilisce che il piano regolatore debba prevedere limiti inderogabili
di densità edilizia, rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle
attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi nonché che
gli stessi siano definiti per zone territoriali omogenee. In attuazione della Legge ponte, il D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, all’art.
2, ha definito sei “zone territoriali omogenee” (A, B, C, D, E, F)
distinte nella destinazione urbanistica e per le stesse ha individuato, all’art. 7, i “limiti di densità edilizia”.
(52) I programmi integrati di intervento sono finalizzati a riqualificare il tessuto urbano ed ambientale (L. 17 febbraio
1992, n. 179, art. 16); i programmi di riqualificazione urbana
hanno ad oggetto la realizzazione di interventi edilizi pubblici e
privati in aree edificate (L. 17 febbraio 1979, art. 2 e D.M. Ministro lavori pubblici 21 dicembre 1994); analoghi sono i programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del
territorio previsti dal D.M. Ministro lavori pubblici 8 ottobre
1998; i programmi di recupero urbano sono programmi pianifi-
catori di dettaglio che hanno ad oggetto la realizzazione di interventi di completamento e di integrazione degli insediamenti
di edilizia residenziale pubblica (D.M. Ministro lavori pubblici
22 ottobre 1997; D.L. 5 ottobre 1993, n. 398, art. 11 convertito
nella L. 4 dicembre 1993, n. 493).
(53) Lo strumento giuridico utilizzato è prevalentemente
l’accordo di programma tra le amministrazioni interessate il
quale consente l’unitaria approvazione degli interventi e la correlata modificazione urbanistica delle aree interessate cui si
accompagnano gli atti convenzionali tra privati a pubbliche
amministrazioni Gli accordi di programma, originariamente
previsti dall’art. 24 della L. 8 giugno 1990, n. 142 del 1990, sono oggi disciplinati dall’art. 34 del TUEL il quale, al comma 5.
prevede che “Ove l’accordo comporti variazione degli strumenti urbanistici, l’adesione del sindaco allo stesso deve essere ratificata dal Consiglio comunale …”.
(54) P. Urbani, Le innovazioni in materia di edilizia priva nella
legge n. 106 2011 di conversione del D.L. n. 70 del 13 maggio
2011, Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia, cit., commentando le norme transitorie in esame ha
evidenziato: “la vecchia licenza in deroga - ora art.14 del T.U.
destinata in origine esclusivamente per edifici o impianti pubblici o d’interesse pubblico - comporta una previa deliberazione comunale come presupposto per l’avvio del procedimento
del rilascio del permesso di costruire. Non si tratta a nostro avviso di una norma che semplifichi la realizzazione degli interventi poiché irta di ostacoli derivanti dal passaggio in consiglio
comunale e quindi di un aggravio del procedimento. È appena
il caso di segnalare che con l’introduzione nell’ordinamento
del Programma integrato d’intervento di cui all’art. 16 della L.
n. 179/92 poi recepito in tutte le leggi regionali, la proposta dei
privati può ben essere in contrasto con il piano e che qualora
Urbanistica e appalti 7/2014
853
Giurisprudenza
Amministrativa
Un ultimo cenno può essere riferito al permesso di costruire in deroga che, come si è visto, è
stato costantemente contenuto nell'ambito dell'eccezionalità, pur nella consapevolezza che in
sede operativa potesse consentire interventi effettivamente lesivi delle scelte urbanistiche operate in sede di pianificazione. La circostanza che
l'ambito oggettivo della deroga non avesse mai
ricompreso la destinazione, ha sempre peraltro
costituito una valida garanzia di contenimento
del suindicato pregiudizio la quale tuttavia non
pare possa essere superata dalla disciplina transitoria novella dell'art. 14 del T.U. edilizia che rimette alle regioni la possibilità di consentire la
deroga anche alle destinazioni d'uso purché omogenee o compatibili.
la p.a. ne riconosca l’interesse pubblico può essere oggetto di
variante urbanistica spesso assistita dal meccanismo fluidificante dell’accordo di programma, il che permette senz’altro la
possibilità di prospettare interventi complessi di portata più
ampia di quelli ammessi con un semplice permesso di costruire in deroga. In breve, mi pare che la “montagna” qui abbia
partorito il “topolino”.
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