ITALIANO P I ETRO CANONICA E STR E SA Lo scultore simbolo del novecento italiano e le opere donate alla città del lago Maggiore PIETRO CANONICA: LA VITA E LE OPERE Pietro Canonica (Moncalieri, 1 marzo 1869-Roma, 8 giugno 1959) fu allievo di Odoardo Tabacchi all’Accademia Albertina di Torino dal 1881. Il prestigioso docente gli trasmise la sua passione per il realismo, espresso anzitutto in una virtuosistica capacità imitativa della realtà. Canonica rimase per tutta la vita fortemente segnato dalla sua prima formazione, al punto da passare con indifferenza attraverso le mode novecentesche, appena venato, negli anni giovanili, da qualche concessione al Simbolismo. Abilissimo ritrattista, divenne ben presto noto al mondo dell’aristocrazia e dell’alta borghesia non solo europea, che si contendevano la sua abilità a nobilitare attraverso l’immagine le fattezze del bel mondo. Nel primo decennio del Novecento, emancipatosi presto dall’ambiente artistico torinese, che gli fu sempre ostile, scolpì a Roma la statua del Tirreno per il monumento a Vittorio Emanuele II (1908) e divenne nel contempo lo scultore preferito dello zar di Russia, per il quale eseguì il monumento celebrativo a Nicola Nicolaievich a San Pietroburgo e quello dedicato allo zar Alessandro II a Peterhof. Dopo la Prima Guerra Mondiale Canonica si impegnò nella realizzazione di numerosi monumenti ai caduti in tutta Italia e, parallelamente, stabilì ottimi rapporti con committenti d’eccezione nei Balcani (particolarmente in Romania) e nel Medio Oriente, ad esempio in Turchia, dove realizzò i monumenti a Kemal Atatürk di Ankara (1928) ed alla Repubblica turca a Istanbul (1928), in Iran, con quello dedicato al re Feisal a Baghdad, e in Egitto. Trasferitosi a Roma, dove fu nominato direttore dell’Accademia di Belle Arti, ottenne dal Comune la cosiddetta Fortezzuola di villa Borghese in cambio di una copiosa donazione di opere, nucleo dell’attuale Museo Canonica. Lo scultore ebbe anche un’ampia attività espositiva e coltivò particolarmente il settore della scultura cimiteriale, con alcuni significativi vertici (cappella Marsaglia nel cimitero della Foce di Sanremo, 1904). A Torino, nel 1930, realizzò l’imponente monumento all’Arma dell’Artiglieria. Fu attivo fino a tarda età con una ricca produzione, soprattutto negli anni ’50, di soggetti religiosi, come i monumenti a Benedetto XV e a Pio XI nella basilica di San Pietro in Vaticano, le porte dell’abbazia di Montecassino (1951) e i bassorilievi in bronzo della Via Crucis per il sacrario dei caduti di Agrigento. Suo abituale collaboratore nello studio torinese fu lo scultore roveretano Carlo Fait, le cui opere spesso si confondono con quelle del titolare dello studio. Tra le sue opere, spesso segnate dalla contingenza descrittiva del soggetto, emergono alcune icone di particolare fascino e mistero, da Ex humo ad sidera(1901), poi utilizzata per la tomba Kuster nel cimitero di Torino, alla Veglia dell’anima(1902), dallo Scavatore (1906) all’Abisso (1907). Di rilievo è anche la sua produzione musicale, di cui si ricordano soprattutto Miranda, opera tratta dalla Tempesta di Shakespeare, e La sposa di Corinto, tratta dall’omonima ballata di Goethe. LA DONAZIONE AL COMUNE DI STRESA Comprendeva alle origini 24 opere (di cui tre andate distrutte), sei marmi e diciotto gessi, concessi a patto che il Comune di Stresa riservasse loro una sala apposita, intitolata allo scultore e non utilizzabile per altre funzioni. I gessi giunsero a Stresa nell’agosto 1953 ed ebbero una prima sistemazione che non ci è testimoniata presso le sale dell’Azienda di cura e soggiorno, in attesa che si completasse la costruzione del nuovo Palazzo dei congressi, dove si presumevano disponibili locali di maggior rappresentanza. Lo scultore morì a Roma, nel 1959, senza aver potuto provvvedere alla sistemazione definitiva della sala, che fu seguita a Stresa da alcuni amici affezionati: l’ingegner Gaudenzio Cattaneo, donna Maura Dal Pozzo, l’avvocato e pittore dilettante Giovanni Cappa Legora. Ma già l’inaugurazione, nell’agosto 1962, si svolse in un clima di sottaciuta polemica. La vedova, Maria Assunta Riggio, tenace custode della memoria del marito, si era vista offrire prima dei locali malamente illuminati nel seminterrato; poi la cosidetta “Sala rossa” dove la donazione è rimasta fino al 2011: un ambiente di cui non la soddisfacevano nè la colorazione troppo cupa, nè le dimensioni. In effetti, parte delle opere fu esposta alle origini sullo scalone del foyer. Nell’agosto del 71, gli amici la avvisarono da Stresa che l’Azienda del turismo, contravvenendo alle clausole del contratto di donazione, aveva occupato la sala per adibirla ad ufficio del direttore e che uno dei gessi dell’artista, il ritratto di Pio XII risultava mancante perché fratturatosi in data non chiara. Il contenzioso si trascinò per anni: l’Azienda, facendo leva su conflitti politici interni al Comune, insisteva su un utilizzo misto dell’ambiente e vi ospitò a più riprese la sala stampa in occasione di convegni. La vedova, appellandosi anche ad alte personalità quali Giulio Andreotti ed Oscar Luigi Scalfaro, ottenne ripetuti sgomberi e l’interessamento a suo favore dell’allora soprintendente ai Beni artistici e storici del Piemonte, Franco Mazzini. Attraverso di questi giunsero la cooptazione come architetto di Andrea Bruno e finanziamenti della Regione Piemonte che permisero, nel 1977, un riallestimento della collezione entro vetrine protettive che si è conservato fino al 2011. L’attuale trasferimento nel Palazzo del Comune è stato pensato per dare maggior agio, anche a fini didattici, ad una raccolta di cui va sottolineato il valore di preziosa concentrazione antologica. L’artista la curò come testimonianza di tutte le principali fasi della sua attività e vi inserì opere di cui non sono note altre versioni (lo Studio di testa del 1926 c.). Come scriveva la vedova, Maria Assunta Riggio, deplorando con il sindaco di Stresa la perdita del busto di Pio XII, “Mi permetta di farLe osservare che non si tratta di “calchi”, come qualcuno erroneamente Le ha detto, ma che ci sono diversi modelli originali che – come Lei certamente sa – valgono più dei marmi e dei bronzi, in quanto dovuti esclusivamente alla mano dell’Artista; ci sono pure marmi, tra i quali mi piace citare la mezza figura della principessa Abameleck, pezzo unico, lasciato in eredità a mio marito dalla principessa stessa che lo ebbe carissimo e lo tenne presso di sé sin che visse nella villa di Pratolino a Firenze” (Roma, Archivio del Museo Canonica, lettera in data 21 agosto 1971). La donazione al Comune di Roma Complementare a quella per Stresa e perfezionata nel 1950, comprende circa 280 tra modelli, bozzetti, sculture e bronzi, più l’archivio grafico e fotografico, la corrispondenza e la collezione privata dell’artista. E’ aperta al pubblico dal ’61 nel Parco di Villa Borghese, nella cosidetta Fortezzuola, fabbricato riorganizzato in stile neomedievale dall’Asprucci nel XVIII sec. e notevolmente ampliato proprio da Canonica. Questi lo ricevette in concessione dal Comune di Roma nel 1927, già con la promessa di lasciare alla città le proprie opere. La conservazione dello studio e degli appartamenti privati, aperti al pubblico nel 1987 dopo la morte della moglie Maria Assunta Riggio, fa del complesso un unicum insostituibile per comprendere lo stile di vita di una personalità poliedrica che, negli anni attorno al primo dopoguerra, contava tra le voci di maggior prestigio della scultura italiana. I GESSI E I RESTAURI Le ventuno opere di Pietro Canonica sono rappresentative di due tipologie di materiali con tecniche di lavorazione differenziate: quattro sono sculture in marmo bianco di Carrara, mentre diciassette sono formate in gesso e a loro volta distinte tra modelli e calchi. La realizzazione di un modello presuppone l’esecuzione di un negativo da un originale (solitamente eseguito in argilla) tramite una matrice a due valve, entro cui si fa colare il gesso in forma liquida; solidificandosi, quest’ultimo va a costituire il modello, caratterizzato dalla traccia dell’unione delle due valve, tecnicamente detta cucitura. Il calco da un modello già esistente poteva essere ricavato anche a distanza di tempo dall’esecuzione dell’originale, mediante l’uso di tasselli che lasciano cuciture multiple; questi leggeri rilievi venivano spesso lavorati meccanicamente per eliminarne le tracce. Sul gesso formato si applicava poi olio di lino allo scopo di turarne le porosità, rendendolo meno igroscopico, o di farlo apparire simile a materiali più pregiati, come lo stucco lucido e il marmo. A tal fine l’olio di lino veniva miscelato con pigmenti nei toni dell’ocra gialla o rossa, in alcuni casi anche con una base in nerofumo o grafite, per ottenere un effetto di ingrigimento delle superfici. Per alcune statue l’artista applicava in modo alternato e in più strati patinature, eseguite in modo irregolare sia nello spessore che nella stesura. Il restauro ha evidenziato uno stato conservativo delle opere molto difforme: alcune erano interessate da una naturale patina di sporco; altre, rifinite a imitazione del bronzo, presentavano localizzati degradi consistenti in mancanze di colore risarcite con ritocchi puntuali; altre ancora erano alterate da un intervento di restauro ante donazione. Interventi parziali furono eseguiti sulla Ballerina che piange (Contrasti) e sul San Pietro, in cui le braccia lesionate erano state ricollocate in modo approssimativo; integrali, invece, furono le operazioni di ridipintura sul ritratto di Tommaso Vallauri, danneggiato irreversibilmente da un contatto con fiamme libere che alterò materia e cromia, a tal punto da suggerire l’amputazione della spalla destra (poi chiusa con cartone pressato e chiodi) e una spessa coloritura globale delle superfici. Nel caso della Ruth, un’uniforme e corposa tinta celava un impreciso assemblaggio di numerosi pezzi nella parte superiore; la stessa ridipintura fu utilizzata nella Testa dell’alpino per occultare una precedente coloritura, mentre sul Papiniano era servita a mascherare una superficie sofferta in seguito all’uso di bottega. Significativo del tipo di finitura dato da Canonica è il fatto che su buona parte delle opere siano state riscontrate pennellate di colore rosso, disomogenee sia nello spessore che nella stesura. Le quattro opere in marmo non presentavano particolari problemi di degrado, se si eccettua la patina di sporco compattato dalla cera stesa a scopo manutentivo; caratteristico è l’uso di una finitura lucida per gli incarnati, che contrasta con le superfici ruvide di vesti e capelli, conferendo alle sculture una vibrante differenza di toni, particolarmente evidente nel ritratto della Principessa Maria Abamelek di Lazareff-Demidoff. Altra peculiarità tecnica dell’artista è la stesura di pennellate irregolari in velature di tonalità rossa, più accentuate sugli incavi dei modellati. L’intervento di restauro ha consentito il recupero delle diverse patinature originali; sono inoltre stati rimossi gli strati di polvere compattati. Lo smontaggio delle parti non correttamente assemblate e il loro puntuale reincollaggio ha restituito una corretta plasticità alle superfici. CANONICA E STRESA La costante frequentazione della città di Stresa da parte di Pietro Canonica ebbe inizio nell’estate del 1898, grazie ai rapporti stabiliti con casa Savoia e in particolare con Elisabetta di Sassonia, duchessa di Genova. Per la duchessa Canonica realizzò il ritratto destinato ad essere regalato alla figlia, la regina Margherita, moglie di Umberto I re d’Italia. Le pose per il ritratto furono eseguite nella villa della duchessa a Stresa, dove per ben diciassette anni Canonica fu ospite. La villa divenne per l’artista un porto sicuro di approdo nei ritagli di tempo di una vita segnata da attività e spostamenti continui. Nel 1901 lo scultore eseguì per il lungolago il monumento a Umberto I re d’Italia, eretto per sottoscrizione popolare. E’ documentata nel mese di dicembre Sala museale PIETRO CANONICA STRESA (VB) Piazza Matteotti, 6 presso Palazzo Comunale Informazioni: tel. mail web una visita della regina Margherita nello studio di Canonica a Torino per vedere l’opera in lavorazione, inaugurata il 28 settembre 1902. Il busto in bronzo del re era posto su un basamento in granito con ai lati le allegorie della Pietà umana e della Forza Patria. Smantellato alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il monumento fu ricollocato il 20 ottobre 1959. Una versione del ritratto a mezzo busto della duchessa di Genova, in bronzo su basamento marmoreo, fu inaugurato il 4 ottobre 1930 sul lungolago, a ricordo della illustre villeggiante. Il 14 agosto 1932 fu inaugurato il monumento ad Alessandro Manzoni e Antonio Rosmini, ritratti in una targa bronzea a bassorilievo posta al centro di un’ampia composizione architettonica, sormontata da un grande crocifisso anch’esso in bronzo e collocata in via Manzoni. Già nel 1905, in occasione del cinquantenario della morte di Rosmini (morto a Stresa nel 1855) il comitato per le onoranze aveva promosso l’erezione di un monumento volto a celebrare, più che i due intellettuali, la loro affinità di pensiero. Il tema, molto astratto, fu affrontato da Canonica in termini di realismo pacato, tradizionale e accentuatamente devozionale. Tra il 1898 e il 1905 lo scultore aveva eseguito una prima versione della targa con i due ritratti, tuttora esistente nella villa della duchessa di Genova, già residenza di Rosmini e ora sede del Centro Internazionale di Studi Rosminiani. Il monumento all’Umile Eroe è una copia di quello donato nel 1940 da Canonica al Comune di Roma e collocato davanti alla sua abitazione (oggi museo) a villa Borghese. Il bronzo (fuso nel 1961) raffigura Scudela, il mulo degli Alpini decorato con medaglia d’oro al Valor Militare alla fine della Grande Guerra, già ritratto dal vero dallo scultore nel monumento all’Alpino di Biella (1923). Nel 1997 l’opera di Canonica è stata integrata con la figura dell’Alpino, realizzata dallo scultore bavenese Raffaele Polli. I rapporti istituiti da Canonica con la corte sabauda furono decisivi per la sua ampia fortuna di grande ritrattista delle aristocrazie europee e non solo. I ripetuti soggiorni lacustri e la singolare amicizia con la duchessa rimasero indubbiamente fra i suoi ricordi più cari, testimoniati dalla presenza di una notevole corrispondenza nel suo archivio, nonché dalla donazione effettuata per legato testamentario alla città di Stresa di una significativa raccolta di sculture, in gesso ed in marmo, che ne esemplificano, pur nelle ridotte dimensioni, il suo percorso di virtuoso ritrattista. CITTÀ DI STRESA
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