Sulla Gazzetta il “family team”

GIOVEDÌ 12 MARZO 2015
MIKE STORY DAL N. 5 DEL CINZANO, AI TRIONFI, FINO ALLA PANCHINA
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IN CONTROPIEDE
di DAN
PETERSON
Al centro Dan Peterson osserva D’Antoni, a destra Vittorio Gallinari
IL MIO SEGRETO CON MIKE?
QUEI DISCORSI IN MACCHINA
O
 1 Mike D’Antoni, classe 1951, nella Tracer 1987  2 Ieri a Milano,
nella sede dell’Olimpia di Piazzale Lotto  3 Il primo anno di D’Antoni
con il Cinzano 1977-78  4 Mike, capo allenatore di Milano dal 1991 al
1994, con il vice Pippo Faina che qui fu il suo primo tecnico nel 1977
D’Antoni, quando Milano
s’innamorò del basket
1Domani la festa per il ritiro della maglia numero 8 del capitano
degli anni 80. Al suo arrivo il Cinzano era appena tornato in A-1
Paolo Bartezzaghi
Q
uando 38 anni fa Mike
D’Antoni arriva per la
prima volta a Milano, la
squadra si sta risolle­
vando. Nel 1976, pur vincendo
la Coppa delle Coppe, il Cinza­
no era retrocessa in A­2. Non
solo era la prima (e unica) vol­
ta per la squadra che pochi an­
ni prima era stata il Simmen­
thal. Ma contemporaneamente
la Xerox, l’altra Milano, gioca­
va la Poule scudetto, il girone
finale. I due poli della pallaca­
nestro cittadina si erano inver­
titi. Nel 1977 il Cinzano torna
in A­1, dove per la prima volta
si possono tesserare due ame­
ricani, non due extracomuni­
tari, termine allora sconosciu­
to. Uno è confermato: Lars
Hansen, lungo e lento danese
di passaporto canadese. L’altro
è questo Michael D’Antoni.
L’ambiente, inizialmente, è
freddino. Chi è questo D’Anto­
ni? Intanto è un playmaker, ac­
cende meno la fantasia di un ti­
ratore. È bianco quindi, proce­
dendo per luoghi comuni, non
è neppure atletico o spettaco­
lare.
ORIUNDO Nel 1977 gli elemen­
ti di valutazione di un nuovo
americano sono scarsi, quasi
nulli. È vero, ha origini umbre
e, come Mike Sylvester, potrà
diventare italiano. Questo
D’Antoni ha giocato due stagio­
ni nei Kansas City Omaha Kin­
gs, Nba, una a Saint Louis, Aba,
e un’altra a San Antonio. Usci­
to dalla Marshall University, è
stato scelto con il numero 20
che per i tempi vuole dire in al­
to. Ma quei 3.3 punti di media
in 130 partite Nba e i 3.5 nelle
50 di Aba non scaldano il tifoso
Olimpia che sta masticando
pane duretto in confronto al
lusso di pochi anni prima.
CALZONCINI Quel Cinzano di
Pippo Faina si presenta in cam­
po con improbabili calzoncini
a righe rossoblu. Una divisa da
Harlem Globetrotters. D’Anto­
ni ha 26 anni, il numero 5 e un
sorriso malandrino, sotto quei
baffi. Il parterre, soprattutto
femminile, ne è colpito. Quello
maschile meno. Vorrebbe ve­
dere uno schiacciatore, un tira­
tore, un saltatore. Ma piano
piano scopre un giocatore. Ci
vuole tempo per capire intelli­
genza, leadership, per ammi­
rare assist e palle recuperate,
quelle da cui nasce il sopranno­
me «Arsenio Lupin». Il ladro
gentiluomo che ama le donne e
il gioco d’azzardo rapisce Mila­
no che per essere conquistata
però ha bisogno di vittorie.
Quell’anno il Cinzano chiude
ottava dopo i playoff, la Xerox
è sempre più in alto, è quinta.
L’anno dopo ecco Dan Peter­
son, il Billy, la Banda Bassotti,
nel 1981 Dino Meneghin e il
primo scudetto l’anno dopo.
Milano, vincendo, s’innamore­
rà perdutamente.
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gni singolo
allenamento, ogni
singola partita con
Mike D’Antoni sono stati
per me una gioia e un
onore. Per questo devo
dire grazie a lui. Prima di
tutto, però, una cosa: il
merito di avere portato
Mike D’Antoni a Milano è
di coach Pippo Faina e
Adolfo Bogoncelli, mitico
presidente. Nel 1977­78 io
allenavo la Virtus Bologna.
Lo incontrai da avversario
una volta, Milano vinse di
15 in casa nostra, Mike
annullò John Roche. Mi
ricordo che gli rubò una
palla mentre Roche tirava!
L’estate dopo, primo
contatto al telefono: «Ehi
Mike, adesso sono coach
di Milano». Poche parole,
tranquille. Quando ci
siamo visti sul campo,
aveva già capito tutto.
Ricordo quello che diceva
di lui il grande Arnaldo
Taurisano: «Ogni palleggio
e ogni passaggio di
D’Antoni sono
determinanti». Nel 1978,
ho iniziato con il Billy.
D’Antoni veniva da anni
difficili: panchina, tagli,
una mano rotta nei pesi
precedenti. Doveva
recuperare fiducia. Gli
dicevo: «Ehi Mike, devi
tirare di più!». E lui si
allenava e segnava di più.
Nel 1984 arriva il tiro da
tre punti. Gli dico: «Mike,
adesso un nuovo salto di
qualità. Quando sei in
contropiede, se sei libero,
fermati alla linea e tira». E
lui diventa devastante da
tre. Poi visione di gioco,
feeling con la partita. Un
allenatore in campo e
anche fuori. Nei timeout,
io lo ascoltavo. Una specie
di vice allenatore in più. E
avevo già Franco Casalini!
Ovvio, è stato un grande
capitano. La sua forza?
L’esempio. In allenamento,
un giocatore non poteva
tirarsi indietro, guardava
Mike e pensava: «Ehi, se il
migliore di tutti si allena
così duro...». Ricordo una
volta, finito un
allenamento durissimo,
Mike mette i piedi sotto la
panca per fare addominali.
Nessuno gliel’aveva
chiesto. Per gli americani,
D’Antoni era un compagno
con la C maiuscola, anzi
una specie di babysitter. E
anche sua moglie Laurel
era brava in questo. Un
segreto? I discorsi in
macchina. Mi dava un
passaggio dalla sede al
Lido, mezzora a parlare di
tutto, non solo basket.
Dopo il primo anno, decise
di provare per i Chicago
Bulls. Lo chiamavo tutte le
mattine, per lui era notte.
«Mike, come va?». Non lo
facevo per sabotaggio, ma
lui è tornato! Ha ritrovato
la sua maglia numero 5
presa da Dino Boselli che
ci teneva perché era stata
del suo idolo, Giulio
Iellini. «No problem»,
disse, e prese la 8. Anche
qui, nessun problema.
Grazie di tutto, Mike.
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LA COPPA 42 ANNI DOPO
Giulia e mamma Bozzolo, il Geas che vince
Andrea Guerra
SESTO SAN GIOVANNI
L
a Coppa Italia di Serie A2
conquistata domenica a Ri­
mini non torna solo sulla
bacheca del Geas Sesto San Gio­
vanni. Torna in qualche modo
anche in casa Arturi­Bozzolo
dato che l’ultima volta che le
rossonere alzarono al cielo il
trofeo nazionale fu nel 1973
quando in campo c’era proprio
Rosi Bozzolo, oggi mamma di
Giulia Arturi, capitana dell’at­
tuale roster sestese. Il Geas dei
record e delle meraviglie in
quell’anno non vinse nulla se
non la Coppa Italia. Oggi, 42 an­
ni dopo, il premio torna «in fa­
miglia». «Erano altri tempi: il
basket di allora e quello di oggi
sono due mondi che non si pos­
sono paragonare — spiega Rosi
Bozzolo, fedelissima e speciale
mamma tifosa a bordo campo
—. Ma il Geas ha ritrovato lo
spirito di quei tempi: è tornato a
essere quel grande gruppo che
ha fatto bene a noi e sta facendo
bene alle ragazze che giocano
oggi». Nessun paragone con la
figlia Giulia, bandiera del Geas
di questo 2015 nobilitato dalla
Copa. E lei spiega in cosa consi­
sta questo «spirito familiare»
che si respira nel club dell’ex cit­
tà delle fabbriche: «Il Geas è la
mia seconda casa. Non ho rim­
pianti, sono rimasta con la squa­
dra perché sto bene e perché ho
sempre avuto i giusti stimoli».
STORIE DIVERSE Il successo è
un affare di famiglia. Perché in
questa vittoria di Rimini si in­
crociano diverse storie familia­
ri. Come quella del presidente
del Geas, Mario Mazzoleni: a
bordo campo a fare il tifo alle
«sue» geassine e in particolare
alla figlia Elisabetta, guardia
classe 1994. «Siamo un family
team, e ne andiamo orgogliosi»,
ha detto Mazzoleni a fine ma­
tch, dopo aver postato su Twit­
ter una foto insieme a Elisabetta
e al trofeo conquistato. E che di­
re allora dell’intreccio familiare
sportivo che vede protagoniste
Cinzia Zanotti, coach al primo
trofeo alla guida della prima
Giulia Arturi, la Coppa e mamma Rosi
Rosi Bozzolo in maglia Geas
squadra, e la figlia Francesca
Galli, ala del 1994, nata dal ma­
trimonio con Roberto Galli, ex
tecnico del Geas in A1. «Abbia­
mo un rapporto speciale e que­
sta avventura ci sta aiutando a
crescere insieme», ha detto l’al­
lenatrice parlando delle diffi­
coltà di «dirigere» una figlia in
campo. Lo sa bene lei che rice­
veva ordini da quello che sareb­
be diventato il suo futuro mari­
to quando era una giocatrice in
rossonero. Lei giocava, lui alle­
nava. Che il clima sia quello giu­
sto lo si capisce anche dalle di­
chiarazioni delle ultime arriva­
te. Federica Tognalini, acquisto
natalizio del Geas, è stata pre­
miata come mvp della finale di
Coppa. Ai microfoni a fine gara
ha detto: «Qui mi sento a casa.
Ho ritrovato il piacere di andare
in palestra con le mie compa­
gne. Devo dire grazie a tutte».
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