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Rilievi sul patto di non concorrenza
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. L’ambito di applicazione dell’art. 2125 c.c. – 3. L’art. 2596 c.c. : in
limiti del patto di non concorrenza. – 4. Segue. L’autonomia del patto. – 5. La tutela
giurisdizionale del patto. – 6. Conclusioni.
1. Nella realtà imprenditoriale sovente una società che fa ingresso in un nuovo mercato
si avvale dell’ausilio e della collaborazione di uno o più soggetti che abbiano maturato
esperienza nel mercato medesimo, non di rado nell’ambito di aziende che già operano
nello stesso settore.
Sarà necessario, quindi, che la società, prima di intraprendere un rapporto con tale
soggetto verifichi la sussistenza di eventuali vincoli o limitazioni in cui lo stesso versi.
Ben può accadere che tale soggetto – che d’ora in poi chiameremo Caio – abbia
stipulato con i soci della società di cui prima faceva parte – Alfa - una clausola del
seguente tenore : “il signor Caio si impegna nei confronti dei Signori Tizio, Sempronio e
Mevio a non esercitare alcuna forma di concorrenza, anche indiretta o tramite interposta
persona, né a svolgere attività di agente di commercio per ditte in concorrenza con la società
Alfa per un periodo di almeno 2 (due) anni”.
Vi è di più: tale pattuizione si inserisce nell’ambito di un rapporto contrattuale più
complesso dove Caio (ex socio e amministratore delegato della concorrente Alfa munito di ampie deleghe che gli conferivano, inter alia, il potere di assumere e
licenziare dipendenti in genere relativi alla funzione di sua competenza) cede la sua
intera partecipazione sociale in Alfa a Tizio, Sempronio e Mevio – soci della medesima
- si impegna nei confronti di quest’ultimi con il patto di non concorrenza di cui sopra e
stipula, altresì, un contratto di agenzia con la società Alfa. Tizio, successivamente, cede
detta partecipazione a Filano, anch’egli già socio di Alfa.
Orbene, tale clausola viene in rilievo nel momento in cui la società Beta decida di fare
ingresso nel Mercato X avvalendosi principalmente dell’esperienza operativa e
collaborazione professionale di Caio già operante nel mercato medesimo.
L’opportunità e la realizzabilità del progetto imprenditoriale della società Beta dovrà
necessariamente partire dall’analisi del patto di concorrenza de quo.
In assenza di specifiche previsioni ed indicazioni contrattuali, le norme che,
astrattamente, possono essere prese in esame per individuare la disciplina del patto di
non concorrenza in oggetto sono gli artt. 2125 e 2596 c.c.
Procederemo quindi ad analizzare il contenuto di tali disposizioni in relazione agli
elementi fattuali presi come punto di partenza dell’indagine, per tentare di fornire
un’interpretazione corretta alla fattispecie concreta prospettata, al fine di poter
valutare la migliore strategia aziendale per la società Beta.
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2. Il patto di non concorrenza di cui all’art. 2125 c.c. 1 si configura come un contratto a
titolo oneroso ed a prestazioni corrispettive, in forza del quale il datore di lavoro si
obbliga a corrispondere una somma di denaro od altra utilità al lavoratore, affinché
quest’ultimo non svolga, per il periodo successivo alla cessazione del rapporto di
lavoro, attività in concorrenza con quella del datore di lavoro2.
Secondo la giurisprudenza consolidata3, tale norma si riferisce in via esclusiva
all’ambito dei rapporti di lavoro subordinato ed in particolare al tempo successivo alla
cessazione del rapporto per il lavoratore dipendente. In tale ipotesi il patto di non
concorrenza, per essere valido nei confronti del lavoratore subordinato, dovrà
prevedere a carico dell’impresa che ne beneficia un corrispettivo che dovrà essere
versato all’obbligato a remunerazione della rinuncia ad una occasione di lavoro.
È necessario quindi verificare il tipo di rapporto professionale sussistente tra le parti
stipulanti nel caso in esame, ossia tra Caio e la società Alfa. In proposito, rifacendoci a
quanto illustrato nella premessa, Caio non può essere inquadrato come lavoratore
subordinato; egli infatti ricopriva la carica di consigliere di amministrazione munito di
ampie deleghe che gli conferivano, inter alia, il potere di assumere e licenziare
dipendenti in genere relativi alla funzione di sua competenza: in questo modo si
qualifica come datore di lavoro ai fini della normativa vigente. Inoltre, il fatto che Caio
fosse socio di Alfa con una significativa partecipazione, gli conferiva la duplice
BARCHI, Violazione del patto di non concorrenza ed inibitoria, in Dir. prat. lav., 2004, p. 18 ss.; ID. Il patto di non
concorrenza: gli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza, in Dir. prat. lav., 2001, p. 14 ss.; BARTESAGHI, Sui
requisiti di legittimità del patto di non concorrenza, in Riv. it. d. lav., 1995, II, p. 582 ss.; BETTINI, Attività inventiva e
rapporto di lavoro, Milano, 1933; BIANCHI, D’URSO, Concorrenza. Patto di non concorrenza, in Enc. giur., VII,
Roma, 1988; CARESTIA, L’onerosità del patto di non concorrenza nel rapporto di agenzia, in N.l.c.c., 2001, pp. 3-4;
CESTER, sub art. 2125, in Comm. Cendon, V, Torino, 1991; FABRIS, Il patto di non concorrenza nel diritto del lavoro,
Milano, 1976; GRANDI, PERA, Commentario breve alle leggi sul lavoro, sub art. 2125, Padova, 1996; IZAR,
Considerazioni sul patto di non concorrenza, in Dir. prat. lav., 1997, p. 11; MAGRINI, Sul corrispettivo del patto di
non concorrenza fra lavoratore e datore di lavoro, in Riv. dir. lav., p. 196; MELECA, Il patto di non concorrenza, in Dir.
prat. lav., 1989; MIANI, CANEVARI, Patto di non concorrenza e tutela del lavoratore, in Dir. lav., 1995; MINALE,
COSTA, Lineamenti del patto di non concorrenza, in Annali Genova, 1977; MONTUSCHI, Patto di non concorrenza
concluso dopo l'estinzione del rapporto di lavoro, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1965; PAGLIERO, Il patto di non
concorrenza, in Dir. prat. lav., 1991; PELLACANI, Elementi distintivi tra invenzioni di servizio e invenzioni d'azienda,
in Dir. prat. lav., 2001, p. 17; PERSI, I limiti di oggetto e la determinazione del corrispettivo nel patto di non
concorrenza ex art. 2125 c.c., in Lav. prev. oggi, 1996, p. 12; POMARES, La disciplina del patto di non concorrenza, in
Giur. lav., 2003, p. 49; RINALDI, DE FAZIO, Invenzioni dei dipendenti e ricercatori universitari: nuovo regime, in
Giur. lav., 2005, p. 12; RIVA, SANSEVERINO, Lavoro, in Comm. Scialoja, Branca, sub art. 2125, Bologna-Roma,
1977; ROTONDI, Patto di non concorrenza: limiti e sanzioni, in Dir. prat. lav., 1993; TATARELLI, Il patto di non
concorrenza: contenuto e sanzioni, in Mass. giur. lav., 2002, p. 147 ss.; TIMELLINI, Ancora sul tema della concorrenza
con particolare riferimento al rapporto di lavoro, in Mass. giur. lav., 2002, p. 353 ss.; TONON, Le invenzioni del
lavoratore, in Comm. Carinci, II, Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, a cura di CESTER,
Torino, 1998; TRADATI, Il nuovo patto di non concorrenza nel contratto di agenzia, in Giur. lav., 2001, p. 5;
TURELLO, Patto di concorrenza e misure di coercizione indirette, in Lav. giur., 2003, p. 12.
2 In tal senso V. FABRIS, op.cit., p. 57; RIVA, SANSEVERINO, op.cit., p. 745. In giurisprudenza V. Cass. civ., sez.
lav., 2 marzo 1988, n. 2221, in Giur. it., p. 714; Trib. Milano, 16 marzo 2001, in D.&L., 2001, p. 751; Trib.
Milano, 25 luglio 2000, in Or. giur. lav. , 2001, p. 117.
3 Ex multis Cass. civ., sez. lav., 2 ottobre 1998, n. 9802, in Giust. civ. Mass., 1998, p. 1998.
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qualifica di imprenditore e datore di lavoro, piuttosto che di lavoratore subordinato
della società.
Anche se nella fattispecie in esame fosse ipotizzabile un rapporto di lavoro c.d.
co.co.co.4, aderendo alla recente giurisprudenza5, dovremmo ritenere che l’art 2125 c.c.
“non è applicabile ai rapporti diversi da quello del lavoro subordinato ancorché caratterizzati da
parasubordinazione” “cui è applicabile invece la disciplina dell’art. 2596 c.c. sui limiti
contrattuali della concorrenza” tra cui possono ricomprendersi i rapporti di co.co.co.
In definitiva, pur dando conto della presenza di qualche isolata pronuncia di merito6 di
opinione difforme da quella suindicata, sembra potersi escludere - anche in
considerazione della posizione di socio e della carica di consigliere delegato ricoperta
dal Caio - l’applicazione al caso in esame della disciplina di cui all’art. 2125 c.c., che
pur renderebbe più agevole liberare Caio dal vincolo di non concorrenza a cui si è
sottoposto, sul presupposto che mancando la previsione di un corrispettivo il patto de
quo sarebbe facilmente annullabile.
Difatti, solo l’art. 2125 c.c. - e non l’art. 2596 c.c. come verrà a breve illustrato - prevede
la sanzione della nullità del patto privo di un corrispettivo a favore del lavoratore, a
fronte della sua rinuncia ad esercitare la propria attività lavorativa e della conseguente
limitazione alla sua libertà economica.
Alla luce di quanto sinora esposto, è evidente la fondamentale importanza che riveste
la qualificazione del rapporto sussistente tra le parti stipulanti il patto di cui si discute
ai fini della corretta qualificazione giuridica del medesimo.
3. Posto che, come è stato appena evidenziato, nella fattispecie in esame non trova
applicazione l’art. 2125 c.c., passiamo ora all’esame dell’art. 2596 c.c.7, in ordine al
quale possiamo evidenziare, innanzitutto che la norma in questione non contempla
alcuna sanzione per la mancata previsione di un corrispettivo in favore di chi si
Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa è ora sostituito dal contratto a progetto disciplinato
dagli artt. 61 ss. D.lgs. del 10 settembre 2003 n. 276.
5 V. Cass. civ., sez. II, 6 novembre 2000, n. 14454, in Mass. Foro it., 2000; ed ancora, ex multis, Cass. civ., sez.
lav., 24 agosto 1991, n. 9118, in Giust. civ. Mass., 1991, fasc. 8; Cass. civ., sez. lav, 23 novembre 1990, n. 11282,
in Mass. Foro it., 1991 ;Trib. Forlì, 18 giugno 2002, in D. & L., 2002, p. 656.
6 Cfr. Trib. Torino, 9 dicembre 2005, in Giur. piemontese, 2006, p. 140, secondo cui, contrariamente
all’orientamento maggioritario di cui sopra, “al rapporto di collaborazione coordinata e continuativa è applicabile
in via analogica la disciplina di cui all’art. 2125 c.c.”.
7 In generale sul tema V. ALESSI, Concorrenza, I, Libertà di concorrenza, in Enc. giur., VII, Roma, 1988;
ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali. Lezioni di diritto industriale, 3a ed., Milano, 1960;
BORGIOLI, Consorzi e società consortili, in Tratt. Cicu, Messineo, XLI, 3, Milano, 1985; CAMPOBASSO, Diritto
Commerciale, I, Diritto dell'Impresa, Torino, 2008; FERRI, Patto di non concorrenza, in Enc. dir., XXXII, Milano,
1982; FRIGNANI, Commento all'art. 1, in AA.VV., Diritto antitrust italiano, I, Bologna, 1996; ID., L'injunction
nella common law e l'inibitoria nel diritto italiano, Milano, 1974; GHIDINI, I limiti negoziali alla concorrenza, in
Tratt. Galgano, IV, Padova, 1981; GRISOLI, La concorrenza. Disposizioni generali in Trat. Rescigno, Torino, 1983;
GUGLIELMETTI, Limiti negoziali alla concorrenza, Padova, 1961; LIBERTINI, sub art. 2596, in Comm. Cendon, V, 2,
Torino, 1991; MINERVINI, La concorrenza e i consorzi, in Trattato di diritto civile, (diretto da) GROSSO, SANTORO,
PASSARELLI, V, Milano, 1965; RAVÀ, Diritto industriale, I, Azienda. Segni distintivi. Concorrenza, 2a ed., Torino,
1981; RICOLFI, Antitrust, in ABRIANI, COTTINO, RICOLFI, Diritto Industriale, Padova, 2001; STOLFI, Teoria del
negozio giuridico, Padova, 1961; VANZETTI, DI CATALDO, Manuale di Diritto Industriale, 5a ed., Milano, 2005.
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sottopone convenzionalmente a limitazioni concorrenziali. Pertanto, a nulla rileva il
fatto che il patto di non concorrenza che ci occupa non preveda alcun corrispettivo a
favore di Caio: il patto risulta, sotto questo aspetto, valido, efficace ed inopponibile.
Vi sono tuttavia altri limiti che l’art. 2596 c.c. impone al patto di non concorrenza ai fini
della sua validità, ossia che: “(a) deve essere provato per iscritto; (b) deve essere circoscritto
ad una determinata zona o ad una determinata attività, e (c) non può eccedere la durata di
cinque anni”. Nel secondo comma dell’art. 2596 c.c. si prevede, inoltre, che “se la durata
del patto non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido
per la durata di un quinquennio”.
Individuati quali siano in astratto i requisiti prescritti dall’art 2596 c.c. ai fini della
validità del patto, procediamo ad una verifica della loro sussistenza e conformità
normativa con riferimento alla fattispecie concreta di cui si discute.
Nulla questio sull’indiscutibile rispetto della forma scritta (peraltro prevista ad
probationem) e del limite temporale espressamente indicato in due anni8.
Si può invece nutrire qualche dubbio in ordine al rispetto del limite territoriale e
oggettivo del patto, in quanto la sua formulazione prevede un impegno generico in
capo a Caio “a non esercitare alcuna forma di concorrenza, anche indiretta o tramite
interposta persona, né svolgere attività di agente di commercio per ditte in concorrenza con la
società Alfa”.
Tuttavia, se è vero che il patto de quo si presenta a prima vista fondamentalmente
generico e privo dei suddetti limiti, necessari alla sua validità, non si può negare che le
parole “per ditte in concorrenza con la società Alfa”, possano assumere il significato di una
specificazione, anche se per relationem, sotto il profilo del limite territoriale/
merceologico. In altre parole, i suddetti limiti al divieto di concorrenza de quo
potrebbero essere indirettamente individuati e dedotti dal settore di attività o dall’area
territoriale nei quali opera Alfa e, quindi, le ditte con essa in concorrenza.
Interpretazione del patto per relationem che appare sostenibile se si considera che Caio
era socio e amministratore di Alfa e quindi a perfetta conoscenza del settore e dell’area
di attività della stessa, e se si tiene poi in debito conto il combinato disposto degli artt.
1362 e 1366 c.c.9
Precisiamo che si è discusso sulla necessità di una contestuale esistenza dei limiti
merceologico e territoriale al patto per decretarne la validità. Tuttavia le più recenti
pronunce giurisprudenziali e dottrinali sul punto sono orientate per escludere tale
restrittiva interpretazione, nel senso che la formula adottata nell’art. 2596 è
La mancanza di un’esplicita previsione in merito o l’indicazione di un termine superiore al quinquennio
provoca l’integrazione dell’accordo o la sostituzione della clausola difforme, per espressa prescrizione
normativa, con la previsione della durata quinquennale dell’accordo medesimo. L’invalidità per
difformità dal modello legale trova nella legge la soluzione attraverso la predisposizione di un
meccanismo automatico di adeguamento.
9 In particolare l’art. 1362 c.c. prevede che nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la
comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole, mentre ai sensi dell’art. 1366 c.c.
il contratto deve essere interpretato secondo buona fede.
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chiaramente disgiuntiva e sembrerebbe, da questo punto di vista, che, accanto al limite
di tempo, basti ve ne sia uno di spazio o di attività10.
Tali considerazioni, che fanno propendere per la validità del patto di non concorrenza
sottoscritto da Caio, non possono, peraltro, ritenersi risolutive, poiché altre posizioni
dottrinali e pronunce giurisprudenziali, contrariamente all’interpretazione
surrichiamata, valutano in modo più rigoroso la formulazione generica dei limiti del
patto, denunciandone la nullità11.
Dopo aver chiarito che a prima vista il patto di non concorrenza de quo rispetta i limiti
imposti dalla norma di cui all’art. 2596 c.c. e deve quindi considerarsi valido ed
efficace, dobbiamo però dare anche conto di una posizione della dottrina secondo cui,
“malgrado il formale rispetto del suo tenore letterale (cioè dell’art. 2596 c.c.), non possono
essere pattuite restrizioni concorrenziali tali da precludere tutte le attività o le località
praticamente ed effettivamente esercitabili (o, rispettivamente, raggiungibili) da un determinato
soggetto”12. In senso uniforme recente giurisprudenza13 ha sostenuto che è nullo in
quanto contrastante con l’ordine pubblico costituzionale - art. 4 e 35 Cost. - il patto di
non concorrenza diretto non già a limitare l’iniziativa economica privata altrui, ma a
precludere in assoluto ad una parte la possibilità di impiegare la propria capacità
professionale nel settore economico di riferimento.
Ciò detto, innanzitutto, si deve tuttavia considerare che resta il dubbio se quest'ultima
interpretazione giurisprudenziale possa applicarsi a qualsivoglia patto di non
concorrenza (tra cui quello ex art. 2596 c.c.) o se, invece, essa non attenga in via
esclusiva al caso, specificamente esaminato dalla citata pronuncia del Supremo
Collegio, del patto ex art. 2125 c.c. relativo al lavoratore subordinato, la cui posizione
più debole giustificherebbe tale specifica e rafforzata tutela. In tale seconda ipotesi,
Caio, come abbiamo più sopra sottolineato, non rivestiva all'epoca del patto di cui si
Riguardo infatti a limiti contrattuali della concorrenza riconducibili all’art. 2596 c.c., ossia quelli dello
spazio e dell’attività, tralasciando il limite del tempo non problematico nel caso de quo, risulta illuminante la
spiegazione offerta sul punto dal GUGLIELMETTI, Concorrenza, in Dig. disc. priv. sez. comm., III, Torino, 1988, p.
308. L’a. afferma che “Quanto agli altri due limiti, si discute se essi debbano entrambi essere presenti oppure se è
sufficiente l’esistenza di uno di essi e, in quest’ultimo caso, se sempre del medesimo o alternativamente dell’uno o
dell’altro. La formula adottata nell’art. 2596 è chiaramente disgiuntiva: sembrerebbe, quindi, che accanto al limite di
tempo, basti ve ne sia uno di spazio o di attività”.
11 Cfr. Trib. Monza, 3 settembre 2004, in Giur. mer., 2005, p. 289, che ha statuito che è nullo, in quanto tale da
non già a limitare l’iniziativa economica privata altrui, ma da precludere in assoluto ad una parte la
possibilità di impegnare la propria capacità professionale nel settore economico di riferimento, il patto di
non concorrenza che sia privo di limitazione territoriale ed utilizzi per l’individuazione dell’attività
un’espressione assolutamente generica come “fornire prodotti analoghi”, laddove il riferimento ai prodotti
“analoghi” finisca per impedire ad una parte l’esercizio su tutto il territorio nazionale dell’attività per cui la
stessa società era stata costituita, di fatto ponendola nella impossibilità di operare.
12 Cfr. ALBERTINI, Sui patti accessori di non concorrenza, in Giust. civ., 1998, p. 814; AULETTA, MANGINI,
Concorrenza, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna, 1987, sub art. 2596, pp. 184-185; ROTONDI,
Diritto Industriale, Milano, 1965, pp. 542-543; GUGLIELMETTI, ivi; ID., I limiti negoziali della concorrenza, cit., pp.
117-118 e 163. Contra, GHIDINI, op. ult. cit., p. 25, e VETTORI, Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione tra
imprese, Milano, 1983, p. 171.
13 Cass. civ., sez. I, 19 dicembre 2001 n. 16026, in Rep. Foro it., 2001, in Voce “Concorrenza (disciplina)” [1510],
252.
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discute la qualifica di lavoratore subordinato, pertanto non potrebbe invocare il
surrichiamato orientamento giurisprudenziale. Inoltre, non è comunque agevole
appellarsi alla nullità del patto per una presunta violazione dell’ordine pubblico
costituzionale sul presupposto, anch’esso tutto da dimostrare, che il patto di non
concorrenza de quo è diretto non già a limitare l’iniziativa economica privata altrui, ma
a precludere in assoluto ad una parte la possibilità di impiegare la propria capacità
professionale nel settore economico di riferimento.
In tal senso, stante le difficoltà suindicate, riteniamo che nell’ambito di un eventuale
giudizio la suindicata eccezione di nullità del patto per violazione dell'ordine pubblico
costituzionale (art. 4 e 35 Cost) non avrebbe un'alta probabilità di essere accolta.
4. Va in ogni caso valutata, per completezza, la questione della persistente validità del
patto che, come nel caso in esame, è inserito in un diverso e più ampio contratto, e ciò
per comprendere se il patto medesimo debba seguire le sorti del contratto che lo
ospita.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti14 l’art. 2596 c.c. non si applica a quei
patti che sono accessori a contratti più ampi, in quanto necessari per la realizzazione
della funzione economica propria di questi ultimi; la norma può invece applicarsi solo
ai patti causalmente autonomi, non collegati a contratti più ampi.
Seguendo tale diffuso orientamento di pensiero risulta opportuno, pertanto, verificare
se il patto concorrenziale sia fine a se stesso (anche se inserito in un contratto con il
quale abbia un collegamento meramente occasionale) ovvero sia necessario per
l’assolvimento della funzione economica del contratto a cui accede15. Circostanza,
quest'ultima, che può ad esempio verificarsi quando il prezzo della cessione delle
quote funge anche da penale nel caso di violazione del patto; o quando gli obblighi
reciproci assunti dalle parti con il contratto di trasferimento delle quote sociali e il
pagamento del prezzo rimandano ad altra norma riguardante la concorrenza.
Nel contratto de quo, tuttavia, non risultano esserci questi o altri elementi che
consentano di ritenere il patto di non concorrenza fortemente interconnesso con il
contratto ospitante.
In definitiva, nel caso di specie si ritiene che il patto debba essere considerato
causalmente autonomo e solo occasionalmente inserito nel contratto di cessione di
quote sociali e quindi, sotto questo aspetto, stante la sua autonomia, del tutto valido.
5. L’indagine sino a qui svolta non può trascurare il profilo processuale della
questione. È interessante, infatti, analizzare l’azione giudiziaria che potrebbe essere
Cfr., ex multis, Cass. civ., sez. I, 6 agosto 1997, n. 7266, in Giust. civ., 1998, p. 811 con nota di ALBERTINI, Sui
patti accessori di non concorrenza; App. Torino, 28 settembre 1992, in Giur. it., 1994, p. 38, con nota di POLI,
Appunti in tema di nullità parziale e di clausole di non concorrenza. In dottrina V. RONCHETTI, CARFÌ, Il patto di
esclusiva, Milano, 2002, p. 34 ss.; GUGLIELMETTI, op. cit., p. 308; FERRI, op. cit., pp. 508-509.
15 Per una trattazione giurisprudenziale e dottrinaria di tale criterio di applicazione dell’art. 2596 c.c. nel
contratto di scioglimento e di liquidazione societaria, cfr. sempre Cass. civ., sez. I, 6 agosto 1997, n. 7266, cit.
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promossa dalla società Alfa nell’ipotesi di violazione del patto di non concorrenza da
parte di Caio.
In particolare si svolgeranno alcune considerazioni sul profilo della legittimazione
attiva e passiva di detta azione.
In primis va evidenziato che l’obbligazione ex art. 2596 c.c. di non fare concorrenza per
un periodo di tempo determinato è un’obbligazione di durata, per cui, nel caso di suo
inadempimento, il creditore ha sia il diritto di esigere l’adempimento per il tempo che
deve ancora decorrere, e ciò anche tramite rimedi d’urgenza che inibiscano i
comportamenti illeciti, sia il diritto di ottenere il risarcimento del danno subito a causa
dell’inadempimento.
Ciò posto, va detto che un’eventuale azione giudiziaria di Alfa si potrebbe rilevare non
agevole sotto il profilo della prova sia dei comportamenti vietati, ossia di un’attività
posta in essere da Caio a favore di ditte in concorrenza con la società medesima, sia
dell’effettivo danno subito. Quanto alla prima prova, essa sarà tanto più difficoltosa
per chi promuove la causa quanto più Caio e la società Beta eviteranno di formalizzare
ed esteriorizzare i rapporti professionali e sociali che tra loro intercorreranno16.
In riferimento all’individuazione dei soggetti legittimati a promuovere l’azione, giova
rilevare che spetta invece all’acquirente la legittimazione attiva a far valere
l’inadempimento da parte dell’ex socio di un patto di non concorrenza contenuto nel
contratto di cessione della quota. La giurisprudenza di merito afferma poi che la
legittimazione attiva all’azione per violazione del divieto di concorrenza, in caso di
cessione di quote, spetta solo all’acquirente, risultandone invece privi sia la società
delle cui quote trattasi, sia i singoli soci non intervenuti nella cessione.17
Alla luce di questo orientamento, che segue in effetti la regola per cui “il contratto ha
forza di legge [solo] tra le parti”, e sul presupposto che Tizio ha ceduto la partecipazione
di Alfa, acquistata da Caio, a Filano, si deve propendere per escludere la legittimazione
in capo a Tizio a far valere in giudizio il patto eventualmente violato.
Ciò non sembra tuttavia una circostanza sostanzialmente risolutiva, in quanto
Sempronio e Mevio hanno mantenuto la loro partecipazione in Alfa e con essa la
legittimazione attiva a far valere in giudizio l’obbligazione pattizia cui Caio si è
sottoposto.
Pare prima facie che, in forza dello stesso principio di relatività dei contratti secondo cui
il contratto vincola solo le parti che lo hanno sottoscritto, si possa escludere una
legittimazione attiva anche in capo alla società Alfa.
Ciò detto, riteniamo comunque opportuno valutare la questione della legittimazione
attiva/passiva di Alfa alla luce della struttura del patto di non concorrenza, che
potrebbe invero essere interpretato come contratto a favore di terzo concluso tra il
promettente Caio e gli stipulanti Tizio, Sempronio e Mevio.
16 Rinviamo al termine della trattazione eventuali strategie che potrebbe porre in essere la società Beta al fine
di eludere il patto di non concorrenza di cui si discute.
17 Trib. Nuoro, 03 luglio 2003, in Riv. giur. sarda, 2004, p. 759.
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Alfa non era parte del contratto, ma risulta nel contempo beneficiaria dell’obbligazione
assunta da Caio “a non esercitare alcuna forma di concorrenza, anche indiretta o tramite
interposta persona, né svolgere attività di agente di commercio per ditte in concorrenza con la
società Alfa per un periodo di almeno 2 (due) anni”.
In relazione all’ipotesi che il patto di cui si discute venga interpretato come contratto a
favore di terzo, giova evidenziare che il terzo acquista il diritto (ed è legittimato ad
azionarlo in giudizio) verso il promittente: lo acquista immediatamente per effetto del
contratto, senza bisogno che dichiari di volerne profittare18.
Ciò detto, il terzo può neutralizzare l’acquisto del diritto in capo al medesimo, col
meccanismo del rifiuto. Infatti il terzo può rifiutare il diritto stipulato a suo favore ex
art. 1411, comma 3°, c.c., e allora non acquista il diritto19, perdendo quindi la
legittimazione ad azionarlo.
In mancanza di tale rifiuto, e sul presupposto che il patto de quo configuri in effetti un
contratto a favore del terzo, Alfa manterrebbe il diritto previsto nel contratto (che Caio
non eserciti alcuna concorrenza nei suoi confronti) e la legittimazione ad azionarlo in
giudizio.
Tuttavia, la possibilità di rifiuto del terzo espone le parti a una situazione di incertezza,
che è opportuno non prolungare troppo: per questo, pur nel silenzio della legge,
sembra conveniente sottoporre il potere di rifiuto a un termine, identificabile col tempo
“richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi” in analogia con quanto previsto dall’art.
1333, comma 2°, c.c.
Nel caso di specie manca l’attribuzione al terzo di un termine per l’accettazione, che
pare doversi ricondurre al termine stesso di efficacia del patto, ossia due anni.
Ed allora sarà necessario verificare la sussistenza di eventuali manifestazioni di
volontà e dichiarazioni del terzo Alfa che risultino incompatibili con la sua volontà di
profittare del contratto concluso a suo favore e che assurgano nel contempo, anche
implicitamente, a rinuncia del suo diritto.
Va tuttavia rappresentata l’eventualità, non così improbabile considerato il quadro
complessivo della vicenda, che parte attrice promuova, cumulativamente alla
domanda contro Caio, un’ulteriore domanda giudiziale nei confronti di un terzo, nella
fattispecie la società Beta, a titolo di responsabilità extracontrattuale.
La norma generale che potrebbe essere in tal senso invocata è l’art. 2598 n. 3, c.c., in
tema di concorrenza sleale, secondo cui compie atti di concorrenza sleale chiunque “si
vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai princìpi della
correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda”.
A questa fattispecie di illecito concorrenziale può senz’altro essere ricondotto il
comportamento “dell’imprenditore che coopera con altro imprenditore nell’inadempimento di
cui quest’ultimo si rende responsabile nei confronti di un terzo imprenditore, cui è vincolato da
un patto” di non concorrenza20 .
Così ROPPO, in Trattato di diritto privato, Il Contratto, Milano, 2001, p. 584.
ROPPO, ivi.
20 V. Trib. Bologna, 19 giugno 1995, in Giur. ann. dir. ind., 1996, p. 355.
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Il comportamento di Beta, che intende fare il proprio ingresso sul Mercato avvalendosi
in primis della collaborazione e delle conoscenze di Caio, può dunque essere
considerato comportamento illecito ai sensi dell’art. 2598, n. 3 c.c.
La valutazione su comportamenti illeciti posti in essere da Beta, sotto il profilo di una
collaborazione con Caio, può peraltro risultare aggravata dall’esistenza di
un’eventuale patto di riservatezza circa tutte le attività, i clienti e i fornitori di Alfa
assunto da Caio nei confronti di Tizio, Sempronio e Mevio. Anche tale circostanza
dovrà pertanto essere tenuta in debito conto nell'ambito della scelta sui rimedi da
adottare, che provvederemo ad illustrare di seguito, per raggiungere gli obiettivi
prefissati con il minor rischio possibile.
6. In definitiva, il patto di non concorrenza di cui si discute deve considerarsi valido ed
efficace fino alla sua scadenza contrattuale.
Ciò in quanto, verosimilmente, il patto de quo non può essere disciplinato dall'art. 2125
c.c. previsto per il lavoratore subordinato. Caio, che non rivestiva in Alfa tale qualifica,
ben difficilmente potrebbe invocare detta norma nonché la sanzione, ivi prevista, della
nullità del patto per il caso di mancata pattuizione di un corrispettivo a favore del
lavoratore.
Il patto deve dunque essere ricondotto alla disciplina dell'art. 2596 c.c., i cui requisiti ai
fini della validità del patto risultano invero rispettati.
Nell'ipotesi di una violazione del patto di non concorrenza cui è sottoposto Caio,
legittimati all'azione per chiedere l'adempimento del patto e il risarcimento del danno
sono Sempronio e Mevio, i quali - diversamente da Tizio che ha interamente ceduto le
partecipazioni di Alfa – le hanno mantenute (pressoché immutate) conservando, con
esse, il diritto a promuovere un giudizio per la tutela del patto.
Ad essi si deve poi aggiungere Alfa, nel caso in cui il patto sia in effetti qualificato
come contratto a favore del terzo e che detto terzo non abbia rifiutato di profittarne.
Legittimato passivo dell'azione, nel caso di asserita violazione del patto de quo, è Caio,
a titolo di responsabilità contrattuale.
A questo punto non resta che valutare i possibili rimedi che la società Beta può attuare
al fine di dare ingresso a Caio nella compagine sociale senza incorrere in un’eventuale
azione giudiziaria che Alfa potrebbe intraprendere contestando la violazione del patto
di non concorrenza.
In particolare, al fine di attuare l’ingresso di Caio nella compagine sociale di Beta
nonché, in ogni caso, una sua collaborazione professionale a favore dell’ingresso di
quest’ultima società nel Mercato X le parti interessate potrebbero adottare alcuni
rimedi per frapporre tra loro un diaframma formale, perlomeno fino alla scadenza del
patto di non concorrenza, che limiti il loro eventuale coinvolgimento in azioni
giudiziali.
Con riferimento all’ingresso di Caio nella compagine sociale di Beta, tale diaframma
potrebbe realizzarsi tramite la sottoscrizione da parte dei soci di Beta e Caio di due
contratti di opzione di acquisto e vendita (c.d. put & call) in forza dei quali verranno
loro concessi diritti incrociati di vendita e di acquisto delle partecipazioni di Beta,
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senza assunzione diretta di un obbligo a vendere (come nel caso di un preliminare di
vendita)21.
Quanto poi alle modalità per realizzare la collaborazione professionale tra Caio e Beta,
sarebbe da evitare sia la conclusione diretta di un contratto di agenzia, peraltro
espressamente vietato dal patto de quo, sia l’assunzione di Caio come dipendente Beta,
in quanto entrambi questi contratti potrebbero essere utilizzati dalla società Alfa a
fondamento di un’azione per far valere la violazione del patto di non concorrenza.
Risulterebbe certamente utile la costituzione di una “Newco” da parte di Beta legata, in
forza di un contratto di distribuzione o di master agent22, a Beta stessa.
In forza di tale contratto la Newco opererebbe autonomamente sul Mercato X
avvalendosi della consulenza esterna di altra società, della quale Caio potrebbe essere
il referente personale. In alternativa la Newco potrebbe avvalersi di un contratto di
consulenza tecnica o di sub-agenzia con Caio, nella consapevolezza del rischio di
essere citata in giudizio da Alfa. Tuttavia, in questa ipotesi, Beta riuscirebbe, con buona
probabilità, a rimanere fuori da un coinvolgimento diretto ovvero a non subire effetti
sanzionatori in un’eventuale sentenza di condanna pronunciata in un processo nel
quale fosse citata, in quanto estranea ad un diretto rapporto con Caio.
Nel caso non vengano adottate le soluzioni sopra suggerite per regolare in modo
prudente la collaborazione di Caio con Beta nonché l'ingresso del primo nella
compagine sociale della seconda, aumenterebbe significativamente il rischio che i soci
di Alfa chiamino in causa anche la società Beta a titolo di responsabilità
extracontrattuale.
Si configurerebbe, infatti, un comportamento illecito ai sensi dell’art. 2598, n. 3 c.c. di
Beta, se quest'ultima si avvalesse in via diretta della collaborazione e delle conoscenze
tecniche di Caio, nonostante egli sia vincolato a beneficio di un terzo imprenditore –
Alfa - diretto concorrente di Beta, da un patto di non concorrenza, oltre che da un patto
di riservatezza.
21 Infatti, l’esistenza di un preliminare di vendita stipulato prima del decorso del biennio previsto dal patto
di non concorrenza potrebbe essere interpretato come violazione dello stesso in quanto teso ad esprimere
un diretto interesse di Caio nella società Beta.
22 In generale sui contratti di distribuzione BALDI, Il diritto della distribuzione commerciale nell’Europa
continentale, Padova, 1984; PARDOLESI, I contratti di distribuzione, Napoli, 1979; ID., Distribuzione (contratto di),
in Dig. disc. priv. sez. comm., V, Torino, 1990, p. 66 ss.; SANTINI, Il commercio, Bologna, 1979, p. 117 ss.; VETTORI,
Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione fra imprese, Milano, 1983.
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