Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino CARICA E MATERIA La caratteristica di attrarre piccoli e leggeri oggetti quando l’ambra ed il vetro vengono sfregati con un panno era nota fin dal VII secolo A.C. Nel XVI secolo D.C. Gilbert chiamò • elettrizzati tutti quei materiali che presentavano la caratteristica del vetro e dell’ambra, • forze elettriche le forze esercitate durante il fenomeno dell’attrazione. Il vetro sfregato era ritenuto sede di cariche positive (elettricità vetrosa), l’ambra invece di cariche negative: corpi elettrizzati con cariche di segno differente si attraggono, con cariche di identico degno si respingono. Dizione corretta: l’interazione fra corpi elettrizzati si esprime tramite forze determinate dalle cariche elettriche (elettroni e protoni che preesistono nei corpi prima del fenomeno, ad esempio sfregamento, che determina la loro elettrizzazione) che vengono rilocalizzate. Dal punto di vista elettrico, i corpi sono • isolanti se mantengono per lungo tempo la loro elettrizzazione in quanto le cariche negative (elettroni periferici degli atomi) hanno scarsa propensione a muoversi liberamente, • conduttori se non mantengono a lungo la loro elettrizzazione. Nei conduttori metallici sono le cariche negative quelle che presentano maggiore facilità di muoversi liberamente all’interno del reticolo, mentre quelle positive (protoni, localizzati nei nuclei) si considerano praticamente ferme. Si parla di effetto Hall quando i portatori di cariche liberi sono proprio gli elettroni degli strati più esterni, quelli inerenti alla compartecipazione orbitale a più nuclei. Gli ioni, positivi quando l’atomo presenta una carenza di elettroni o negativi quando l’atomo presenta un eccesso di elettroni, sono loro stessi portatori di cariche elettriche. • Dimensioni fisiche: un atomo ha dimensione dell’ordine di 10−10 m ed il raggio atomico è definito dalla relazione R ≈ R 0 A1 3 (con R 0 = 1.5 ⋅10−15 m e A = Z + N proprio in accordo con la distribuzione uniforme • • • di massa nel nucleo). Un protone o un neutrone hanno dimensione dell’ordine di 10−15 m ( 10−15 m e detto 1 fermi), un elettrone ha dimensione dell’ordine di 10−17 m . Il volume atomico risulta definito dallo spazio entro il quale si muovono gli elettroni attorno al nucleo. Carica elettrica: B. Franklin ipotizzò che la carica elettrica fosse assimilabile ad un fluido continuo. Nella formulazione moderna, si considera la carica elettrica come multiplo intero (positivo o negativo) di una carica fondamentale pari a e = 1.6 ⋅ 10− 19 C ( C → coulomb ) (1) valore così piccolo da non essere rilevato nella realtà quotidiana. Ciò significa che ogni carica elettrica risulta essere quantizzata ed esprimibile secondo la relazione q = ± ne (2) Conservazione della carica elettrica: quando un corpo elettricamente isolato ed in equilibrio (identico numero di cariche elettriche di segno opposto) viene sfregato meccanicamente, si determina la separazione delle cariche elettriche che vengono rilocalizzate in modo da variare leggermente la sua neutralità elettrica. In un sistema elettricamente isolato, la somma algebrica di tutte le cariche resta costante nel tempo: ossia il numero complessivo delle cariche elettriche è conservato. Induzione elettrostatica: fenomeno statico per il quale avvicinando un corpo elettrizzato A ad un corpo elettricamente neutro B, sulla superficie di quest’ultimo vengono rilocalizzate le cariche elettriche presenti nel corpo [figura 1]. Precisamente, sulla superficie di B prossima al corpo A compaiono cariche di segno opposto a quelle che hanno elettrizzato A (sulla superficie opposta di B compaiono cariche di identico segno di quelle di elettrizzazione di A). [ figura 1] + + − − + − + − + + − − − + − + + − − − − − − − − − + L’effetto è appunto statico perché l’eccesso di cariche dello stesso segno, distribuite su una superficie relativamente limitata del corpo B, blocca la rilocalizzazione di altre cariche omologhe congelando in tal modo la situazione. 1 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ • Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Elettroscopio: dispositivo che sfrutta il fenomeno della repulsione fra cariche dello stesso segno [figura 2]. In un contenitore chiuso due sottili lamine metalliche (ottime due foglioline d’oro o di argento), in fulcrate ad un loro estremo, se elettrizzate divergono fra loro di un angolo che dipende dal numero delle cariche localizzate sulla loro superficie. Tale strumento non può essere usato per una misura quantitativa, ma unicamente qualitativa poiché variando il numero delle cariche sulle lamine varia l’angolo indipendentemente dal segno delle cariche. [ figura 2 ] + + + LEGGE DI COULOMB Nel 1795 Coulomb, utilizzando un dispositivo simile alla bilancia di torsione 1 , cercò di misurare l’entità della interazione fra cariche elettriche in funzione sia del valore delle cariche stesse sia della loro distanza. Sperimentalmente ricavò una relazione del tipo qq FC ∝ 1 n 2 r con l’esponente n circa uguale a 2 (entro il limite degli errori di misurazione si assume proprio n = 2 ). Inoltre a parità del numero di cariche e della distanza, l’intensità della forza di interazione risulta dipendere dalle caratteristiche del mezzo (detto dielettrico) nel quale si esegue la misura qq FC = k 1 2 2 (3) r La costante k dipende dal sistema di misura usato, infatti − se k = 1 , la carica elettrica è misurata in unità meccaniche: si definisce carica elettrica unitaria quella carica che, posta ad una distanza unitaria da un’altra carica unitaria, è sottoposta all’azione di una forza unitaria. La carica unitaria ha come unità di misura lo statcoulomb (in unità meccaniche). − nel Sistema Internazionale S.I. la carica elettrica unitaria è definita come la carica trasportata da una corrente unitaria (unità di misura: l’ampère o 1A ) in un tempo unitario (unità di misura: 1s ) q = i Δt [ unità di misura di q ] = 1 A ⋅ 1s = 1C (coulomb) Le caratteristiche del mezzo, che tengono conto delle peculiarità microscopiche del materiale, sono descritte da una grandezza detta costante dielettrica che viene indicata con il simbolo ε. Al fine di semplificare la scrittura delle varie relazioni fisiche inerenti le cariche elettriche, evitando coefficienti di proporzionalità, la costante k che compare nella (3) è espressa dalla relazione razionalizzata se il mezzo considerato è il vuoto 1 N ⋅ m2 k= = 9 ⋅ 109 (4) 4π ε 0 C2 essendo ε 0 la costante dielettrica del vuoto il cui valore è ε 0 = 8.85 ⋅ 10−12 F m Nella dimostrazione della legge di Gauss, si capirà meglio l’opportunità di una scelta tipo (4). Analiticamente la relazione dedotta da Coulomb si esprime tramite una forza detta forza elettrostatica coulombiana, in quanto le cariche si considerano ferme e se il mezzo entro il quale si esplica l’azione è il vuoto 1 q1q 2 FC = 4π ε0 r 2 La validità della relazione è assolutamente generale, al più si deve considerare l’effetto di disturbo imputabile a cariche non puntiformi. In elettrostatica l’entità delle cariche trattate è dell’ordine di 10− 6 C , che risulta essere un valore enorme rispetto a quello della carica elementare. Considerando i condensatori, le cariche sulle armature possono risultare dell’ordine di ( 0.1 ÷ 1) C . 1 Il dispositivo era stato proposto da Cavendish per la verifica dell’interazione gravitazionale fra masse, ma solamente nel 1798 ottenne un risultato valido. 2 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino La legge di Coulomb associata alla teoria quantistica descrive il comportamento di − atomi (interazione elettroni/protoni) − molecole (interazione atomi/atomi) − corpi fisici (interazione molecole/atomi) Nel nucleo degli atomi i componenti, detti nucleoni, sono neutroni e protoni e sono strettamente legati fra loro tramite una forza agente a brevissimo raggio di azione: la forza nucleare. La forza coulombiana fra le cariche positive tende a diminuire quella nucleare, quando la forza nucleare risulta minore di quella coulombiana la stabilità del nucleo risulta compromessa. Ciò spiega il decadimento nucleare con emissione di particelle α (carica positiva) o con la fissione del nucleo stesso. • Formulazione vettoriale: essendo la forza una grandezza vettoriale, la relazione di Coulomb deve essere espressa tramite i vettori. La forza coulombiana è funzione di una distanza, quindi è una forza centrale e se il suo modulo risulta positivo la forza è repulsiva, se il modulo è negativo la forza è attrattiva ⎧q q > 0 → forza repulsiva FC ( r ) ⇒ forza centrale ⎨ 1 2 ⎩q1q 2 < 0 → forza attrattiva ossia se le cariche hanno identico segno si respingono, se hanno opposto segno si attraggono. Definendo G G un versore u r = r r si ha ⎧⎪q1q 2 > 0 → FC ( r ) > 0 → azione repulsiva ⎨ ⎪⎩q1q 2 < 0 → FC ( r ) < 0 → azione attrattiva Considerando un elettrone (massa m e e carica q e ) ed un protone (massa m p e carica q p ) posti ad una (5) G FC ( r ) = 1 q 1q 2 G ur 4π ε 0 r 2 distanza r, la forza gravitazionale e quella elettrostatica hanno valore in modulo m m 1 qe qp FG = −γ e 2 p FG = − r 4π ε0 r 2 e calcolando il loro rapporto si ricava qeq p FC 1 = ≈ 1039 FG 4π ε0 γ m e m p Ossia: la forza coulombiana risulta essere 1039 maggiore di quella gravitazionale per cui a livello atomico quest’ultima è trascurabile. La forza FC è detta a short range, la forza FG è detta a long range. − Validità: la forza elettrostatica coulombiana agisce lungo la retta congiungente le due cariche che devono essere considerate puntiformi. Se le cariche non possono essere considerate puntiformi, è necessario esprimere la carica in funzione della sua geometria e ciò implica la definizione della densità di carica elettrica è [figura 3] + q1 G FC G FC − q2 [ figura 3] CAMPO ELETTROSTATICO Quando la carica q 0 interagisce con la carica q, è giustificato pensare che q 0 eserciti un’azione a distanza G (data dalla forza coulombiana FC ) su q, ossia separando la carica che determina l’azione da quella che lo subisce (attenzione: per il principio di reciprocità, vale anche il viceversa) G ⎛ 1 q0 G ⎞ (6) FC = q ⎜ ur ⎟ 2 ⎝ 4π ε 0 r ⎠ G G F 1 q0 G (7) u r = C = E0 2 4π ε 0 r q 3 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino E tale definizione operativa permette di asserire proprio quanto enunciato. La grandezza a primo membro è detto il campo elettrostatico generato da una carica q 0 o sorgente, il secondo membro definisce che tale campo elettrostatico è pari all’azione esercitata su una eventuale carica q posta nel campo, riferita alla carica stessa. − Attenzione: non si confonda la sorgente q 0 del campo elettrostatico con la carica q che lo subisce, infatti una sorgente NON può esercitare un’azione su se stessa. G G FC 1N E0 = (unità di misura (8) ) q 1C G G FC = q E0 (9) Rappresentando il campo elettrostatico secondo il criterio di Faraday, se la carica è considerata puntiforme le linee del campo sono semirette con origine la carica [ figura 4 ] e disposte secondo una simmetria radiale: l’orientamento delle linee è verso l’esterno se la sorgente è positiva, verso la carica se essa è negativa [figura 4]. Il campo elettrostatico è una proprietà intrinseca delle cariche elettriche e, per il principio di sovrapposizione degli effetti, in presenza di una distribuzione di cariche o di cariche non puntiformi il campo elettrostatico complessivo in un punto è dato dalla risultante dei campi generati dalle singoli cariche componenti. G Si consideri un campo elettrostatico E 0 , generato da una carica G puntiforme + q 0 , che eserciti un’azione sulla carica + q1 e sulla carica + q1 FC1 − q 2 (le due cariche sono ad una distanza tale da non influenzarsi +q 0 G G E 01 reciprocamente). Applicando la relazione (9) si ha [figura 5] FC2 G G + q G 0 i due vettori sono paralleli e concordi, quindi − FC1 = + q1E 0 − q 2 E 02 la forza è repulsiva G G [ figura 5 ] i due vettori sono paralleli e discordi, quindi − FC2 = − q 2 E 0 la forza è attrattiva Considerando l’analogia fra il campo gravitazionale ed il campo elettrostatico si desume campo gravitazionale campo elettrostatico G G m G 1 q0 G E0 = ur G = − γ r0 u r 4π ε 0 r r r forza coulombiana forza newtoniana G G mm G 1 q q0 G FG = − γ 2 0 u r FC = ur r 4π ε0 r r G G G G FG = m G FC = q E 0 • Distribuzione di cariche elettriche: essendo le cariche elettriche reali molto grandi rispetto alla carica di riferimento e, dette cariche sono distribuite in regioni finite dello spazio. Inoltre le cariche reali possono, a loro volta, presentare distribuzioni preferenziali lungo una direzione, su una superficie, in un volume di spazio. In tale ipotesi, si deve esprimere la carica elettrica in funzione delle coordinate spaziali e si parlerà di dq 1C − densità lineare di carica : λ = (unità di misura ) dl 1m dq 1C : σ= ) − densità superficiale (unità di misura 1m 2 dS dq 1C ) − densità volumica : ρ= (unità di misura dW 1m3 In una distribuzione di cariche elettriche viene generato sia un campo elettrostatico locale (il cui calcolo è complicato) sia una campo elettrostatico medio ad una distanza r molto maggiore di quella esistente fra le singole cariche (generalmente r >> 10−10 m ). Se tale ipotesi viene soddisfatta, le distribuzioni di carica si possono considerare continue e si ha ad esempio [figura 6] 4 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino − distribuzione lineare : dq = λ ( x, y, z ) dl G 1 λ ( x, y, z ) dl G dE 0 = G G 2 ur 4π ε 0 r′ − r dq = σ dS [ figura 6 ] − distribuzione superficiale : dq = σ ( x, y, z ) dS G 1 σ ( x, y, z ) dS G dE 0 = G G 2 ur 4π ε 0 r′ − r G r P G r′ − distribuzione volumica : dq = ρ ( x, y, z ) dW G 1 ρ ( x, y, z ) dW G dE 0 = ur G G2 4π ε 0 r′ − r G dE 0 Se la densità fosse costante in tutti i punti delle distribuzioni, il campo elettrostatico complessivo sarebbe G G G 1 dl G 1 dS G 1 dW G E0 = E0 = E0 = λ∫ G G 2 ur σ ∫∫ G G 2 u r ρ∫∫∫ G G 2 u r 4π ε 0 l r ′ − r 4π ε0 S r′ − r 4π ε0 W r ′ − r con l’avvertenza che gli elementi infinitesimi vanno intesi come molto piccoli rispetto alle dimensioni del corpo, ma molto grandi rispetto alle dimensioni atomiche. Le tre relazioni hanno validità assolutamente generale. • Distribuzione lineare di carica: si calcoli in campo + y dq elettrostatico generato da una distribuzione indefinita di [ figura 7 ] carica con densità uniforme ( λ = cost ). Scegliendo un r G riferimento come in [figura 7], l’elemento di carica dE 0 dq = λ dy (posto a distanza y dall’asse delle ascisse) θ P genera nel punto P ( x ) il campo elettrostatico G x dE P dq λ dy G dE 0 = k 2 = k 2 dE 0 r r r essendo r = x 2 + y 2 . Si osservi che l’elemento di carica dq = λ dy , posto a distanza − y dall’asse delle ascisse, −y genera un campo equivalente in modulo. G G Il campo elettrostatico complessivo dE P è la risultante dei campi dE 0 generati dai due elementi di carica G considerati ed il modulo di dE P risulta pari a dE P = 2 dE 0 cos θ . Per proprietà trigonometriche 1 dy = x dθ y = x tan θ cos 2 θ e ricordando che r = x 2 + y 2 = x 1 + tan 2 θ = x cos θ si ricava 1 x 2kλ dE P = 2dE 0 cos θ = 2kλ 2 cos θ d θ = r cos θ x Integrando e tenendo conto che per y = 0 si ha θ = 0 mentre per y = +∞ si ha θ = + π 2 2kλ π 2 EP = cos θ d θ x ∫0 Attenzione: il coefficiente 2 nella relazione dE p tiene conto della distribuzione simmetrica rispetto all’asse delle ascisse. Risolvendo si ricava • G EP = 1 λG n 2π ε 0 x G con n il versore normale alla distribuzione lineare. Distribuzione piana circolare di carica: il raggio della distribuzione sia R e si calcoli il valore del campo elettrostatico nei punti dell’asse della distribuzione (sia x la distanza del suo centro). 5 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Facendo riferimento alla [figura 8], suddividendo la circonferenza in infiniti elementi infinitesimi dl , l’elemento di carica dq = λ dl genera nel punto P ( x ) dell’asse il campo dE 0 = k dq = λ dl [ figura 8 ] dq λ = k 2 dl 2 r r R r G essendo r = x + y . Proiettando il vettore dE 0 lungo l’asse della distribuzione si ricava dE P = dE 0 cos θ 2 con cos θ = x ricava 2 x x 2 + R 2 . Sostituendo le varie relazioni si dE 0 = kλ x (x 2 + R2 ) 3 θ P G dE 0 dl 2 G dE P e l’integrazione risulta semplice in quanto l’operazione viene fatta sulla circonferenza di raggio R e tale integrale di linea lungo una linea chiusa viene detto circuitazione e lo si indica con v∫ dl = ∫ dl 2 πR Fissato il punto P ( x ) , tutti i termini risultano costanti, quindi E0 = ossia (10) • EP = 1 λx v∫ dl 4πε 0 x 2 + R 2 3 2 N ( ) 2πR λ Rx 2ε 0 x 2 + R 2 3 2 ( ) Quando x >> R (ossia la spira è vista come un oggetto di dimensione trascurabile) il campo vale G λR 1 G per x >> R EP ( x ) = n 2ε0 x 2 Particolarità delle linee del campo elettrostatico: − se la sorgente del campo è una carica positiva, le linee sono orientate verso l’esterno; se la carica è negativa, le linee sono orientate verso la carica G − la tangente ad ogni punto della linea di campo ha la direzione del campo E 0 − ogni linea di campo è univocamente definita cioè le linee non si incrociano G − dove il campo E 0 ha intensità maggiore, le linee si infittiscono maggiormente G − un campo E 0 uniforme è rappresentato da linee parallele G − dato uno spostamento infinitesimo d l , parallelo ad una linea di campo, il prodotto vettoriale è nullo G G G ux uy uz G G G G G E 0 × dl = E 0x E 0y E 0z = 0 dx dy dz e svolgendo G G G G G G G G G E 0y dz − E 0 y dy u x + E 0z dx − E 0x dz u y + E 0x dy − E 0y dx u z = 0 ( ) ( ) ( ) Le relazioni nelle parentesi devono essere tutte identicamente nulle ed i valori dx dz dx dy dy dz = = = E 0x E 0z E 0x E 0 y E 0y E 0z 6 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Definiscono analiticamente le linee del campo elettrostatico. MOTO DI CARICHE IN UN CAMPO ELETTROSTATICO Una carica q, in moto in un campo elettrostatico E 0 , è sottoposta all’azione di una forza FC = qE 0 . Applicando il secondo principio della dinamica si ricava l’equazione del moto q FC = qE 0 = m q a a= E0 mq − Quando il campo elettrostatico si può considerare uniforme, si ha in modulo dv q (11) =a= E0 dt mq ossia q v ( t ) = v0 + Et mq − Quando il campo elettrostatico non risulta uniforme, per ottenere la (11) bisogna conoscere le componenti del campo dv y dv x dv z q q q E 0y = ay = = ax = = az = E0z E 0x dt mq dt mq dt mq ESPERIENZA DI MILLIKAN Tale esperienza dimostrò che le cariche elettriche sono tutte multiple di una grandezza elementare che è pari alla carica dell'elettrone q = ± ne− . Semplicemente, fra le armature di un condensatore (dove esiste un campo E 0 che può essere opportunamente variato) vengono spruzzate goccioline di glicerina [figura 9]. Le goccioline, che risultano elettrizzate negativamente a causa della nebulizzazione, cadono verticalmente con moto definito dalla relazione ma = m′g − Fv essendo: Fv = 6πηrv la forza di attrito viscoso dovuta alla presenza dell'aria fra le armature, m′ la massa il cui valore è corretto a causa della spinta idrostatica (la densità della glicerina sia ρ e quella dell'aria ρ') m′ = 4π r ( ρ − ρ′ ) 3 . Sostituendo nell'equazione del moto i valori dei singoli glicerina + Fe termini si ha ⎡ ⎤ 4 ma = m ⎢ − 6πηrv ⎥ ⎣⎢ 3π r ( ρ − ρ′ ) ⎦⎥ e poiché in regime di caduta libera a = 0 , cioè v = cost , si ottiene 2 ( ρ − ρ′ ) v= rg 9 η E0 − mg [ figura 9 ] Applicando un campo E 0 , orientato dall'alto verso il basso, d'intensità E 0 ∼ 105 N C e osservando con un oculare il moto delle gocce di olio (elettrizzate per nebulizzazione) si noterebbe che esse tendono a rallentare la loro caduta in quanto la forza elettrica Fe = − qE 0 agisce in verso opposto alla direzione del moto. Osservando il comportamento di una delle gocce, in questo caso l'equazione del moto diventa 7 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino ma = m′g − Fv − Fe e poiché in regime di caduta libera a = 0 , v = cost e si ricava il valore E v′ = v − 0 q < v 6πηr Variando opportunamente l'intensità del campo elettrico applicato, la goccia può scendere o salire o restare stazionaria. Conoscendo le varie grandezze in gioco e misurando la velocità , si ricava il valore della carica q. Ionizzando l'aria contenuta nell’apparecchiatura, la goccia ionizzata può acquisire ulteriore cariche ragion per cui varia bruscamente il suo stato di moto (una goccia in uno stato stazionario può bruscamente mettersi in moto) e la variazione di velocità vale E Δ v′ = 0 Δq 6πηr La misurazione della variazione Δv′ permette la determinazione del valore delle cariche acquisite dalla goccia indipendentemente dal valore iniziale della carica dovuta alla nebulizzazione iniziale da parte dello spruzzatore. Sperimentalmente: si determina che Δv′ assume valori quantizzati, conseguentemente anche Δ q risulta essere quantizzato e, in assenza di radiazioni, q = ne − con n = (10 ÷ 100 ) . POTENZIALE ELETTROSTATICO La carica + q 0 ferma generi il campo elettrostatico E 0 rappresentato dalle linee di campo a simmetria radiale. Il campo esercita un’azione sulla carica q che si muove, lungo una traiettoria piana dal punto A al punto B, entro il campo. Il lavoro compiuto dalla forza coulombiana FC = qE 0 è definito dalla relazione [figura 10] (12) B B B A A A L AB = ∫ FC • d l = q ∫ E 0 • dl = q ∫ E 0 dl cos θ e osservando la figura, si deduce che d l cos θ è uguale al modulo dr + q0 rB r rA q dl B θ dr della componete dello spostamento lungo la direzione del campo E 0 A (funzione di r). Sostituendo si ha E0 ( r ) B figura 10 [ ] ⎡ ⎤ B B q q 1 1 L AB = q ∫ E 0 ( r ) dr = q 0 ∫ 2 dr = q 0 ⎢ − ⎥ A A 4π ε0 r 4π ε0 ⎣⎢ r A ⎦⎥ 1 q0 1 q0 L AB = q −q 4π ε0 rA 4π ε0 rB L’integrale di linea (12) non dipende dal tipo di traiettoria percorsa dalla carica q (la forza coulombiana è una forza conservativa), quindi il lavoro (dimensione di una energia) è uguale alla differenza che una funzione scalare (detta energia potenziale elettrostatica) assume nello stato iniziale e finale 1 qq 0 1 qq 0 UA = UB = 4π ε 0 rA 4π ε 0 rB da cui L AB = U A − U B = −Δ U Dalla (12) si deduce altresì che l’integrale di linea B B B q0 B 1 q0 ⎡ 1 ⎤ 1 q0 1 q0 (13) E • d l = E dr = dr = − − ⎢ ⎥= ∫A 0 ∫ A 0 4π ε0 ∫ A r 2 4π ε0 ⎢⎣ r A ⎥⎦ 4π ε0 rA 4π ε0 rA risulta anch’esso indipendente dal tipo di linea passante per il punto A e B: il campo elettrostatico è conservativo ed il suo integrale di linea è pari alla differenza che una funzione scalare (detta potenziale elettrostatico) assume nello stato iniziale e finale 8 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino VA = 1 q0 4π ε 0 rA VB = 1 q0 4π ε0 rB da cui ∫ B A E0 • dl = VA − VB = −Δ V Scegliendo il punto A come riferimento, si ha B B U B = U A + ∫ FC • dl VB = VA + ∫ E 0 • dl A A ossia l’energia potenziale elettrostatica ed il potenziale elettrostatico in un punto sono definiti a meno di una costante 1 qq 0 energia potenziale elettrostatica : U= + k1 4π ε 0 r 1 qq 0 + k2 4π ε 0 r Confrontando le relazioni dell’energia potenziale elettrostatica e del potenziale elettrostatico, si deduce che U = qV ed il lavoro è anche uguale a L AB = q ( VA − VB ) = − qΔ V : V= potenziale elettrostatico L’unità di misura dell’energia potenziale elettrostatica è il joule (1 J ), quella del potenziale elettrostatico è ⎧ 1J ⎫ U ⎨ ⎬ = {1 V} (1 volt) q ⎩1C ⎭ Se la carica q si spostasse dal punto A all’infinito, il lavoro varrebbe L A∞ = q ( VA − V∞ ) V= e poiché V∞ = 0 , si ha L A∞ q che operativamente definisce il potenziale elettrostatico in un punto come il lavoro necessario per spostare la carica unitaria da quel punto all’infinito (o dall’infinito a quel punto, per il principio di reciprocità). Facendo riferimento alla [figura 10], la traiettoria piana q0 percorsa dalla carica q è possibile scomporla secondo elementi di spostamento paralleli alle linee del campo (spostamenti [ figura 11] radiali) e normali alle linee del campo (spostamenti normali): dl = dr + dn . L’integrale di linea di E 0 [figura 11] B − non riceverebbe contributi relativamente agli spostamenti normali in quanto i vettori sono E 0 ⊥ d n , − riceverebbe contributi relativamente agli spostamenti A radiali in quanto i vettori sono E 0 dr e tali contributi d sono ovviamente le differenze di potenziale c e elettrostatico per i singoli spostamenti. Il valore complessivo dell’integrale (dal valore iniziale A al valore finale B) è uguale alla somma dei valori riferiti unicamente agli spostamenti radiali e la differenza di potenziale elettrostatico VA − VB è uguale alla somma delle singole differenze di potenziale VA = ∫ B A B E 0 • dl ≡ ∫ E 0 • dr = ( VA − V1 ) + ( V1 − V2 ) + ( V2 − V3 ) + A + ( Vn − VB ) = VA − VB Si consideri un sistema di cariche elettriche, l’energia potenziale elettrostatica vale 9 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino U tot = 1 1 2 4π ε 0 ∑ i≠ j qi q j rij con l’avvertenza che − ogni carica non interagisce con se stessa, quindi gli indici devono essere differenti − l’interazione fra q i e q j è uguale a quella fra q j e q i essendo rij = rji , quindi per non duplicare il contributo è necessario dividere per due il valore calcolato. DIPOLO ELETTRICO Si definisce dipolo elettrico il sistema costituito da due cariche di uguale valore q e segno opposto, posizionate ad una distanza fissa fra loro. La grandezza specifica che descrive il dipolo elettrico è il momento di dipolo elettrico, una grandezza vettoriale definita da − modulo: pari al valore assoluto della carica per il valore della distanza d fra le cariche, − direzione: quella della congiungente le due cariche, − verso: dalla carica negativa a quella positiva. p = q (B − A) • p = qd Campo elettrostatico generato da un dipolo elettrico: si consideri il generico punto P dell’asse del dipolo, a distanza x da esso. Il campo elettrostatico è dato dalla sovrapposizione dei campi generati dalle due cariche del dipolo E = E + + E − , si noti che i moduli dei due campi sono identici in quanto i valori di carica e distanza sono gli stessi [figura 12] q E+ = E− = k 2 r ⎛d⎞ essendo r = x + ⎜ ⎟ ⎝2⎠ 2 +q B A d +q [ figura 12] θ d −q p r P p x θ E+ E− E −q 2 Rappresentando i vettori E + e E − ( E + = E − = E ), si osserva che il campo risultante è orientato antiparallelamente al momento di dipolo elettrico ed il modulo vale q E P = 2E cos θ = 2k 2 cos θ r d2 Il coseno dell’angolo θ vale cos θ = e sostituendo si ricava la relazione r d q qd 1 p E P = 2k 2 2 = k 3 = 2 32 r r r 4π ε0 ⎡ ⎛d⎞ ⎤ 2 ⎢x + ⎜ ⎟ ⎥ ⎝ 2 ⎠ ⎥⎦ ⎢⎣ In annotazione vettoriale il campo elettrostatico, generato da un dipolo elettrico, nei punti del suo asse vale 1 p (14) EP ( x ) = − 2 32 4π ε 0 ⎡ ⎛d⎞ ⎤ 2 ⎢x + ⎜ ⎟ ⎥ ⎝ 2 ⎠ ⎥⎦ ⎢⎣ 10 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino − Sperimentalmente, misurando il momento di dipolo elettrico, si ricava un valore complessivo per il quale non è possibile distinguere il contributo imputabile alla carica da quello della distanza. Inoltre, determinando il campo elettrostatico ad una distanza dal dipolo assolutamente prevalente rispetto alla dimensione del dipolo stesso (cioè x >> d ) si ricava la relazione approssimata 1 p EP ( x ) − 4π ε 0 x 3 • • − Significato: il campo elettrostatico generato da una singola carica ha un andamento analitico 1 r 2 , mentre in presenza di due cariche fisse e di identico valore vale il principio di sovrapposizione degli effetti e l’andamento analitico è del tipo 1 r 3 . Potenziale elettrostatico generato da un dipolo elettrico: tenendo presente quanto ricavato precedentemente, si scelga come punto P uno qualsiasi del piano contenete il dipolo e sia r+ la distanza dalla carica positiva, r− quella dalla carica negativa ed r quello dal centro del dipolo [figura 13]. Il potenziale elettrostatico è la somma dei potenziali delle P due cariche VP = V+ + V− ed i due potenziali valgono [ figura 13] q q V+ = k V− = − k r+ r− r+ r+ ⎛1 1⎞ r− − r+ quindi VP = kq ⎜ − ⎟ = kq . Se il punto P è assunto r r r r − + ⎝ + −⎠ r +q r molto distante dal dipolo (ossia r >> d ), allora è possibile ur +q approssimare r+ ∼ r− ∼ r ed inoltre l’angolo θ, fra u r e p θ θ r− (essendo u r il versore della direzione r), è circa uguale d r− all’angolo formato da r− e r+ con il dipolo: ossia r+ , r− ed r p p θ si possono approssimare paralleli fra loro ( r+ ∼ r− ∼ r ). r− − r+ Tracciando dalla carica positiva la normale ad r− , nella −q −q situazione di approssimazione illustrata, r− − r+ d cos θ e sostituendo nel potenziale VP si ricava d cos θ 1 p cos θ V kq = 2 r 4π ε0 r 2 Ricordando il versore u r della direzione di r, il numeratore altro non è che il prodotto scalare del momento di dipolo elettrico con tale versore 1 p • ur VP ( r ) 4π ε 0 r 2 − Quando θ = ± π 2 (il punto P si trova sull’asse del dipolo) il potenziale elettrostatico è nullo, − Quando θ = 0, π il potenziale assume la forma 1 p VP ( r ) 4π ε 0 r 2 Interazione fra un campo elettrostatico ed un dipolo elettrico: si consideri un campo elettrostatico uniforme E 0 (le linee di campo sono parallele fra loro) nel quale sia presente un dipolo elettrico. Chiamando con θ l’angolo formate fra il momento di dipolo elettrico e la direzione del campo [figura 14], le cariche del dipolo sono sottoposte all’azione delle forze − F+ = qE 0 agente concordemente con la direzione del campo elettrostatico − F+ = −qE 0 agente discordemente con la direzione del campo elettrostatico 11 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino I moduli delle forze sono uguali, inoltre la retta di azione è la stessa: la risultante è nulla. Tuttavia, rispetto ad un polo O, il momento meccanico della coppia di forze è differente da zero. Scegliendo per tale polo il centro O del dipolo A d ⎫ +q M + = ( A − O ) × F+ M + = F+ sin θ⎪ F+ ⎪ 2 θ ⎬ M+ = M− O d M − = ( B − O ) × F− M − = F− sin θ ⎪ E0 ⎪⎭ 2 −q Il modulo del momento meccanico totale è la somma B F − [ figura 14 ] dei due momenti meccanici in quanto la loro azione avviene nello stesso verso M = M + + M − = 2F+ d 2sin θ = qdE 0 sin θ ed in annotazione vettoriale M = p × E0 L’azione di tale momento meccanico è quella di allineare il momento di dipolo elettrico lungo la direzione del campo elettrostatico, facendo acquisire la condizione di equilibrio stabile θ = 0 . Quando il dipolo, sotto l’azione del campo elettrostatico ruota dall’angolo iniziale θ1 a quello finale θ2 , il lavoro speso vale θ2 θ2 θ1 θ1 L = ∫ M d θ = pE 0 ∫ sin θ d θ = pE 0 ( cos θ1 − cos θ2 ) − d ( cos θ ) Fissando θ1 = π 2 e θ2 = θ si ottiene L = − p • E0 LEGGE DI GAUSS Si consideri una superficie dS attraversata da un certo numero di linee di un campo elettrostatico E 0 , generato da una sorgente. La grandezza che permette di calcolare quante linee attraversano la superficie è detta flusso del campo e viene definito come [figura 15] (15) ( ) dΦ E0 = E0 • n dS = E0 dS cosθ = E0 dS 0 n θ [ figura 15] dS0 θ E0 dS essendo: − n la normale alla superficie (il flusso è un numero, perciò bisogna definire l’orientamento della superficie rispetto alla direzione del campo) che forma l’angolo θ rispetto a E 0 , − dS0 = dScos θ rappresenta la superficie normalizzata rispetto al vettore E 0 , − se la superficie fosse curva la normale n , per convenzione, deve essere orientata in verso opposto alla concavità (verso l’esterno). Quando 0 ≤ θ < π 2 , il flusso è positivo e si dice flusso uscente dalla superficie; quando π 2 < θ ≤ π , il flusso è negativo e si dice flusso entrante attraverso alla superficie; quando θ = π 2 , il flusso ha valore nullo essendo n ⊥ E 0 . Si consideri una superficie chiusa, semplicemente connessa (la superficie è continua senza cavità o singolarità geometriche) attraversata dalle linee di un campo elettrostatico E 0 . Il valore complessivo del flusso, attraverso alla superficie chiusa, è funzione della localizzazione della sorgente del campo • Flusso attraverso ad una superficie chiusa non contenente sorgenti: in tale caso, il numero di linee di campo entranti è uguale a quello delle linee uscenti. Il flusso entrante è negativo e quello uscente è positivo 12 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino ( ) ( ) ( ) d Φ tot E 0 = d Φ in E 0 + d Φ out E 0 = 0 <0 • >0 Flusso attraverso ad una superficie chiusa contenente sorgenti: sia q 0 la carica sorgente puntiforme dalla quale escono le linee di campo (ad esempio orientate verso l’esterno) che attraversano la superficie S, la quale racchiude il volume WS [figura 16]. Si consideri la superficie sferica semplicemente connessa di raggio r e con origine la carica. Un cono (cono di flusso) di apertura dΩ , formato dalla linee di campo uscenti dalla sorgente, intercetta la sfera secondo la superficie dS e la dΩ E0 n superficie complessiva S secondo la superficie dS′ . Nel volume grigio, compreso fra la sfera e la superficie S non ci sono sorgenti di campo, quindi il flusso entrante è uguale a quello uscente per cui il flusso totale attraverso alla WS superficie è nullo. Il flusso attraverso alla superficie dS della sfera non è nullo, quindi è giustificato asserire che il flusso del cono di flusso attraverso alla superficie dS′ è uguale a quello uscente dalla superficie dS della calotta sferica di raggio r d Φ tot E 0 = E 0 in dS = E 0 dS = E 0 r 2 d Ω dS dS′ [ figura 16 ] ( ) concordi Il flusso attraverso alla sfera, ossia il flusso complessivo attraverso alla superficie S, è uguale all’integrale esteso a tutto l’angolo solido 4π ( ) ∫ E r d Ω = 4π E r Φ tot E 0 = 2 0 2 0 4π Ricordando il valore del modulo del campo elettrostatico generato da una carica puntiforme, si ricava 1 q0 2 Φ tot E 0 = 4π r (16) 4πε 0 r 2 ( ) k ( ) Φtot E0 = • 1 q0 ε0 Dalla (16) è possibile capire come mai sia utile scrivere l’espressione razionalizzata k = 1 4πε 0 che compare nelle relazioni coulombiane al fine di semplificare la relazione di Gauss. Avvertenza: la relazione di Gauss ha validità assolutamente generale, tuttavia non fornisce alcuna informazione aggiuntiva rispetto alla relazione di Coulomb. La superficie semplicemente connessa (superficie gaussiana) può essere qualsiasi, ma per il calcolo veloce della superficie è consigliata o la superficie sferica, o la cilindrica o quella di un parallelepipedo. La scelta è dettata dal tipo di simmetria delle sorgenti di campo elettrostatico. Flusso attraverso ad una superficie chiusa contenente sorgenti sulla superficie: sia la carica sorgente puntiforme posizionata sulla q0 superficie chiusa S [figura 17]. Come nel caso precedente si circondi la sorgente con una superficie sferica di raggio r e si dΩ determini il flusso di un cono di flusso, con origine nella sorgente, E0 attraverso alla sfera ed alla superficie S. Il ragionamento è uguale a n quanto esposto nel paragrafo precedente, tranne il fatto che l’angolo di integrazione è quello piatto, cioè 2π che rappresenta l’angolo di apertura del piano tangente alla superficie S nel punto dove è [ figura 17 ] localizzata la sorgente in quanto il flusso per valori superiori è nullo non intercettando alcuna superficie 13 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino ( ) ∫ E r d Ω = 2π E r Φ tot E 0 = 2 0 2 0 2π ossia ( ) Φ tot E 0 = 2π 1 q0 2 r 4π ε 0 r 2 k ( ) Φtot E0 1 = q0 2ε 0 Attenzione: le cariche considerate sono semplicemente quelle interne alla superficie chiusa, quelle esterne non forniscono alcun contributo in accordo a quanto esposto a pagina 12. Conoscendo il valore delle cariche, tramite la legge di Gauss si ricava il valore del campo elettrostatico; conoscendo il valore del campo elettrostatico, tramite la legge di Gauss si ricava il valore delle cariche elettriche. APPLICAZIONE DELLA LEGGE DI GAUSS • Campo generato da una carica puntiforme: si consideri la superficie gaussiana sferica di raggio r con origine la carica q 0 . Si consideri la calotta sferica di superficie dS0 , la cui normale n risulta parallela e concorde con il campo elettrostatico E 0 (a simmetria radiale). La legge di Gauss impone [figura 18] Φ tot E 0 = ∫∫ E 0 • n dS = ∫∫ E 0 dS = ∫ E 0 r 2 d Ω = E 0 r 2 ∫ d Ω = 4πE 0 r 2 ( ) S S 4π dΩ dS0 E0 4π e ricordando che, quando la sorgente è interna alla superficie chiusa, il flusso totale è uguale a q 0 ε0 , si ricava 1 Φ tot E 0 = 4πE 0 r 2 = q 0 ε0 ossia proprio la relazione nota 1 q0 E0 = n 4πε0 r 2 Campo generato da una distribuzione lineare omogenea indefinita: la densità lineare sia λ = dq dl = cost . A causa della simmetria della distribuzione, si consideri una superficie gaussiana costituita da un cilindro retto (con l’asse coincidente con la distribuzione) di altezza dl [ fugura 18 ] ( ) • n′ c e superficie dS delle sue basi. Il campo elettrostatico E 0 ha simmetria radiale [figura 19] e rappresentando le normali alle tre superfici del cilindro si deduce che − base c : n′ ⊥ E 0 d Φ1 E 0 = 0 E0 ( ) dΦ ( E ) = 0 d Φ ( E ) = E 2πr dl : n ′′ ⊥ E 0 − base d 2 − mantello laterale : n E 0 lat n 0 0 d 0 La legge di Gauss impone che ( ) n ( ) ( ) 0 0 ( ) d Φ tot E 0 = d Φ1 E 0 + d Φ 2 E 0 + d Φ tot E 0 E 0 2 π r dl 14 1 = dq ε0 [ figura 19 ] n′′ E0 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino 1 dq ε0 1 dq 1 1 λ = E0 = 2πε0 dl r 2πε0 r E 0 2πr dl = λ • Campo elettrostatico generato da una distribuzione superficiale sferica di carica: la distribuzione sia posizionata su una sfera virtuale di raggio R con densità uniforme σ = dq dS . − Superficie gaussiana sferica di raggio r < R , concentrica con la distribuzione. Si consideri un cono di flusso di apertura d Ω e con origine la carica, che intercetta la sfera secondo una calotta di superficie dS (con la normale n diretta radialmente). n n Applicando la legge di Gauss si ha [figura 20] O d Φ E 0 = E 0 • n dS = E 0 dS ( ) fra loro ma internamente alla distribuzione non esistono cariche, quindi E0 = 0 [ figura 20 ] − Superficie gaussiana di raggio r > R , concentrica con la distribuzione. Si consideri un cono di flusso di apertura dΩ e origine la carica, che intercetta tale superficie chiusa secondo una calotta di superficie dS (non la normale n diretta radialmente). Applicando la legge di Gauss si ha d Φ E 0 = E 0 • n dS = E 0 dS ( ) // fra loro ( ) Φ E 0 = ∫∫ E 0 dS = E 0 4πr 2 = S 1 q ε0 q σ R2 = 4π r 2 ε 0 ε 0 r 2 Tale risultato indica chiaramente che il campo elettrostatico è non nullo semplicemente al di fuori della distribuzione (fra l’interno e l’esterno della distribuzione esiste una discontinuità pari a σ ε 0 ). − Sulla distribuzione il potenziale elettrostatico vale 1 q V (R ) = 4πε0 R − La differenza di potenziale fra il centro della distribuzione ed un punto della distribuzione vale E0 ( r ) = E0 ( r ) R 0 interni alla distribuzione hanno lo stesso potenziale elettrostatico pari a V ( R ) − A distanza r > R dalla distribuzione, il potenziale elettrostatico vale 1 q 1 σ 4πR 2 σ R 2 V (r) = = = 4πε0 r 4πε0 r ε0 r La rappresentazione grafica sia di E 0 ( r ) sia di V ( r ) è in [figura 21] 15 ∼ 1 r2 ∼ 1 r R VO − V ( R ) = ∫ E 0 • dr = 0 in quanto E 0 = 0 . Ciò implica che VO = V ( R ) , ossia tutti i punti [ figura 21] σ ε0 σ R ε0 V (r) R Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ • Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Campo elettrostatico generato da una distribuzione volumica sferica omogenea: il raggio della distribuzione sia R con densità uniforme q ρ= 4 πR 3 3 − Superficie sferica gaussiana di raggio r < R e concentrica con la distribuzione (superficie 4π r 2 ) [figura 22]. A causa della simmetria, il campo elettrostatico risulta radiale e applicando la legge di Gauss si ottiene q Φ E 0 = E 0 • n S = E 0 2πr 2 = interna ε0 // fra loro ( ) da cui 1 q interna 4πε 0 r 2 La carica interna “netta”, racchiusa nella superficie sferica gaussiana, si ricava tenendo presente che la densità volumica è 4 uniforme e q interna = ρ πr 3 . Sostituendo nella (17) si ha 3 ρ E0 = rn 3ε 0 (17) E0 = [ figura 22 ] − Superficie gaussiana di raggio r > R , concentrica con la distribuzione, di valore 4πr 2 [figura 22]. A causa della simmetria, il campo elettrostatico risulta radiale e applicando la legge di Gauss si ottiene q Φ E 0 = E 0 • n S = E 0 2πr 2 = interna ε0 // fra loro ( ) da cui 1 q 4πε 0 r 2 La carica complessiva racchiusa nella superficie gaussiana sferica è tutta la carica della distribuzione 1 1 4 3 ρ πR E0 = 4πε 0 r 2 3 ossia ρ R3 E0 = n 3ε0 r 2 (17)’ E0 E0 = Sulla superficie della distribuzione il campo elettrostatico vale E 0 = • è data in [figura 23]. Campo elettrostatico generato da una distribuzione piana uniforme: per evitare una discontinuità dell’andamento delle linee del campo (dove il campo è uniforme, le linee sono parallele; dove il campo è nullo, non esistono linee), si consideri la distribuzione indefinita di densità σ = dq dS = cost . La superficie gaussiana per l’applicazione della legge di Gauss sia un cilindro di altezza infinitesima dh e con superfici di base pari a dS posizionate dalle due bande della distribuzione [figura 24]. 16 [ figura 23] ρ R 3ε 0 ∼ 1 r2 R ρ R n e la rappresentazione di E 0 3ε0 n′ dS dS E0 n n E0 [ figura 24 ] n′ Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Il flusso complessivo vale ( ) ( ) ( ) d Φ E 0 = 2 d Φ basi E 0 + d Φ lat E 0 = 2E 0 dS = n ′⊥ E0 n / / E0 1 dq ε0 da cui si ricava E0 = • 1 dq 1 σn n= 2ε 0 dS 2ε0 (relazione nota come teorema di Coulomb). Campo elettrostatico generato da una doppia distribuzione piana di segno opposto: le due distribuzioni piane e indefinite siano ± σ , posizionate a distanza d 0 l’una dall’altra [figura 25]. Utilizzando la precedente relazione e osservando che il campo complessivo vale E 0 = E + + E − , con E + = E − = σ 2ε0 E− E− e le linee del campo parallele e orientate in verso opposto, si deduce che il campo E 0 risulta avere un valore non nullo E0 semplicemente nello spazio compreso fra le due distribuzioni. In tale spazio l campo è uniforme, con le linee di campo tutte E+ E+ parallele fra loro e orientate dalla distribuzione positiva a quella negativa σ σ [ figura 25] E0 = 2 n= n ε0 2ε 0 La differenza di potenziale elettrostatico fra due punti posti (a distanza d 0 fra loro) in un campo elettrostatico uniforme vale V+ − V− = ∫ E 0 • d l = E 0 d 0 d0 0 // fra loro DISCONTINUITÀ DI UN CAMPO ELETTROSTATICO Si consideri una generica superficie dielettrica sulla quale vi sia una distribuzione di cariche elettriche con densità superficiale σ = dq dS . Per analizzare il comportamento del vettore campo elettrostatico E 0 attraverso la superficie si sfruttano le caratteristiche correlate alla circuitazione ed alla legge di Gauss. Nella parte di spazio c il campo elettrostatico sia E10 = E10t + E10t , nella parte di spazio d sia E 20 = E 20t + E 20t . • Circuitazione: si consideri una linea chiusa orientata ABCDA, con AB = CD paralleli alla superficie e BC = DA (lunghezza infinitesima) e normali alla superficie [figura 26]. Il contributo correlato ai due tratti infinitesimi risulta trascurabile, quindi B C D A A B C D ∫ E0 • dl = ∫ E0 • dl + ∫ E0 • dl + ∫ E0 • dl + ∫ E 0 • dl = 0 ∫E 0 • dl = ∫ B A trascurabile D E 20 • d l + ∫ E10 • d l = ∫ C B A (E trascurabile 20t ) − E10t dl = 0 essendo AB = CD , l’integrando deve soddisfare E10t = E20t • E 20 d A E 01t B σ c C D E 20 E 01 [ figura 26 ] Le componenti tangenziali del campo elettrostatico si conservano attraverso ad una superficie dielettrica. Legge di Gauss: si consideri un punto della distribuzione, contenuto in un intorno circolare di superficie dS . Calcolando il flusso attraverso alla superficie gaussiana cilindrica, di altezza infinitesima dh e basi 17 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino dS (una in ogni semispazio della distribuzione) si ha [figura 27] ( ) ( ) ( ) ( ) E 20n d Φ E 0 = d Φ base E 0 + d Φ base E 0 + d Φ lat E 0 = trascurabile = E10 in dS + E 0 in dS ( ) d Φ E 0 = E 20n dS − E10n dS = E 20n − E10n E 20 d σ dq ε0 c 1 dq = ε 0 dS E 01 E 01n [ figura 26 ] ossia E20n − E10n = 1 σ ε0 Le componenti normali del campo elettrostatico presentano una discontinuità pari a σ ε 0 attraverso ad una superficie dielettrica. CONDUTTORI IN EQUILIBRIO I conduttori sono materiali per i quali si verifica condizione di possedere cariche libere che si muovono. Nei conduttori metallici le cariche libere sono gli elettroni degli strati periferici degli atomi che presentano compartecipazione elettronica. Tali elettroni (gas di elettroni), scarsamente legati ai nuclei, presentano la caratteristica di muoversi a causa dell’agitazione termica, senza che vi sia qualche direzione preferenziale di moto (distribuzione isotropa delle velocità termiche). Applicando un campo elettrico esterno, su detti elettroni agiscono forze del tipo F = − eE che determinano un moto ordinato con una definita velocità, detta velocità di deriva: il moto ordinato definisce una corrente elettrica. In condizione di equilibrio elettrostatico (cariche ferme) il campo elettrostatico internamente al conduttore è nullo: il campo è solenoidale. In vicinanza dei nuclei, i campi elettrici sono molto intensi. • Caratteristiche elettriche di un conduttore elettrizzato in equilibrio: internamente il campo elettrostatico è nullo, quindi il flusso complessivo attraverso ad una superficie localizzata in prossimità della superficie del conduttore è nullo. Se all’interno vi fosse un ( E0 = 0) eccesso di cariche, esse tenderebbero o ad annullarsi (quando il segno fosse differente) o ad allontanarsi il più possibile (quando il segno fosse uguale) localizzandosi sulla superficie del conduttore A con una densità σ = dq dS [figura 27] − Differenza di potenziale fra due punti A e B interni al conduttore: per definizione B B VA − VB = ∫ E 0 • dl = 0 VA = VB A nullo − Differenza di potenziale fra il punto B interno al conduttore ed il punto C sulla superficie: per definizione C VB − VC = ∫ E 0 • dl = 0 B VB = VC C ( ) Φ E0 = 0 [ figura 27 ] nullo Internamente ad un conduttore elettrizzato in equilibrio, il campo elettrostatico è nullo. Tuttavia il potenziale elettrostatico in ogni punto interno è costante ed uguale a quello della superficie, la quale risulta essere equipotenziale. − Esternamente al conduttore il campo elettrostatico viene determinato o facendo riferimento alla discontinuità della componente normale del campo o applicando la legge di Gauss attraverso ad una superficie cilindrica con una base internamente ed una esternamente alla superficie elettrizzata. 18 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Il flusso attraverso il mantello laterale è nullo, il flusso attraverso la base interna è nullo in quanto il campo è nullo. L’unico flusso avviene attraverso la superficie di base esterna [figura 28] dq d Φ E 0 = E 0 in dS = E 0 dS = ε0 1 dq 1 E0 = = σ ε0 dS ε0 La direzione è quella della normale alla superficie: infatti essendo in condizione di staticità, la generica carica superficiale non deve essere sottoposta ad alcuna forza che ne determini o lo spostamento o il distacco da essa. Se il campo elettrostatico fosse del tipo E 0 = E 0t + E 0 n , la componente tangenziale del campo tenderebbe a spostare la carica Ft = qE 0t = qE 0 cos θ = mq a . Essendo la carica in [ figura 28 ] ( ) E0 n ( E0 = 0) n E0 q θ E 0t equilibrio, deve essere v = 0 ossia a = 0 : per cui anche E 0t = 0 . Essendo la carica ferma sulla superficie, l’unica direzione che può assumere il campo è quello della normale alla superficie 1 E0 = σ n ε0 Se le cariche della distribuzione superficiale fossero positive, il campo risulterebbe orientato verso l’esterno; se fossero negative, l’orientamento del campo risulterebbe orientato verso il conduttore. − Si considerino due superfici sferiche elettrizzate in equilibrio, poste a distanza fra loro in modo da non interagire reciprocamente. Le due densità superficiali sono uniformi, collegando le sfere con un conduttore filiforme, si stabilisce uno stesso potenziale elettrostatico prima ( R1 , σ1 ) ( R 2 , σ2 ) q1 σ1 4πR12 V1 = k =k = 4πR1k σ1 R1 R1 q2 σ2 4πR 22 V2 = k =k = 4πR 2 k σ 2 R2 R2 dopo V1 = V2 4πR1k σ1 = 4πR 2 k σ2 σ1 R 2 = σ 2 R1 La densità superficiale è inversamente proporzionale al raggio di curvatura della superficie sulla quale è distribuita: le cariche tendono ad addensarsi sulle superfici con un piccolo raggio di curvatura ed il campo elettrostatico E 0 ( r ) raggiunge valori molto alti in prossimità di tali superfici. Quando la densità • superficiale raggiunge valori critici, le cariche si respingono violentemente e vengono espulse nello spazio circostante. Quando il fenomeno avviene nell’aria, le cariche espulse urtano le molecole e determinano una ionizzazione dell’ambiente. Ne deriva una luminosità a causa dell’intercambio di energia legato ai fenomeni chimico/fisici connessi agli urti (effetto corona). Il processo è reversibile: attraverso ad un volume di aria fortemente ionizzata, possono avvenire scariche determinate da un moto a valanga di cariche elettriche (come quelle di un fulmine) verso la superficie conduttrice con un piccolo raggio di curvatura (rispetto alle superfici di altri conduttori presenti). Su tale fatto si basa il principio di funzionamento del parafulmine. Induzione elettrostatica: è un fenomeno statico, Si avvicini un conduttore non elettrizzato A ad uno elettrizzato B, il cui campo elettrostatico determina una rilocalizzazione delle cariche libere possedute da A. Tale rilocalizzazione impone un accumulo di cariche negative (densità − σ ) e di cariche positive (densità 19 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino + σ ) sulla superficie di A (la distribuzione negativa è dovuta ad un eccesso di elettroni, quella positiva ad una carenza di elettroni in quanto i protoni sono strettamente impacchettati nei nuclei). Sulla superficie di A, prossima al conduttore elettrizzato, si ha una distribuzione di cariche di segno opposto a quella su B che ha scatenato l’effetto. Durante la rilocalizzazione delle cariche, all’interno di A si determina una campo elettrostatico E′ orientato dalla distribuzione positiva a quella negativa (opposto a E 0 ). Nel ( E0 = 0) tempo t = d c , con d la dimensione tipica del conduttore A e c la velocità della luce nel vuoto, si raggiunge un equilibrio elettrostatico ( E′ = − E 0 ) e il fenomeno della rilocalizzazione delle cariche cessa su A [figura 29]. Questo conduttore, pur avendo +σ complessivamente un numero di cariche pari a zero, risulta alla [ figura 29 ] −σ fine possedere due distribuzioni separate di cariche identiche e di segno opposto. La nuova condizione di equilibrio e ben definita in accordo a quanto previsto dall’equazione di Poisson. In un conduttore isolato ed in equilibrio, la distribuzione superficiale di carica è tale da rendere equipotenziale la sua superficie. Sperimentalmente esiste una proporzionalità fra carica q e densità superficiale σ q = ∫∫ σ ( x, y, z ) dS S V ( x′, y′, z′ ) = • 1 4πε0 ∫∫ S σ ( x, y, z ) dS ( x − x′) + ( y − y′) + ( z − z′) 2 2 2 Capacità di un conduttore: si definisce capacità di un conduttore il rapporto fra il valore della carica distribuita sulla sua superficie ed i potenziale della distribuzione q C= V e la sua unità di misura vale 1C ossia {1 farad} {C} = ⎧⎨ ⎫⎬ = {1F} ⎩1V ⎭ La capacità è una caratteristica della geometria del conduttore e non dipende dalla sua fisica. Per una sfera conduttrice di raggio r, elettrizzata con una carica q (densità σ = q 4πr 2 uniforme), la capacità vale q q = 4 πε 0 r C= = 1 q V 4πε0 r e affinché la sua capacità C fosse pari ad {1 farad} , il sua raggio sarebbe dell’ordine di grandezza quello • terrestre. Nell’uso pratico, si usano i sottomultipli 1μF = 10− 6 F , 1nF = 10− 9 F , 1pF = 10−12 F . Conduttore cavo ed isolato: il campo elettrostatico è nullo in tutti i punti interni al conduttore − Nessuna carica all’interno della cavità: il flusso attraverso ad una generica superficie gaussiana interna al conduttore risulta nullo. Per assurdo si ammetta che nel punto A della superficie della B A cavità vi sia una distribuzione + σ di carica e nel punto B una distribuzione − σ . La circuitazione di E 0 lungo una linea qualsiasi che unisca A con B e ricongiunga B con A vale [figura 30] 20 [ figura 30 ] Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino B A A B ∫ E0 • dl = ∫ E 0 • dl + ∫ E0 • d l = 0 c d perché il campo elettrostatico è conservativo. Ora, i singoli integrali hanno valore c : VA − VB ≠ 0 d : 0 (in quanto il campo è nullo per definizione) Il risultato c è però privo di significato perché non vi sono cariche, quindi deve essere VA − VB = 0 . − Cariche sulla superficie esterna: sia all’interno del conduttore sia entro la cavità non vi sono cariche. La differenza di potenziale fra un punto A della superficie della cavità ed un punto C della superficie esterna vale [figura 31] C A VA − VC = E 0 • dl = 0 ( VA = VC ) ∫ A Tale risultato impone che il potenziale elettrostatico in tutti i punti interni e della superficie del conduttore abbiano lo stesso valore. [ figura 31] C Il flusso attraverso ad una generica superficie gaussiana interna al conduttore è sempre nullo. − Conduttore elettrizzato nella cavità di un conduttore non elettrizzato: la elettrizzazione del conduttore A è dovuta alla distribuzione + σ . A causa dell’induzione elettrostatica, sulla parete della cavità del conduttore B compare la distribuzione − σ e sulla superficie esterna la distribuzione + σ . Applicando la ( ) legge di Gauss per una superficie chiusa, interna al conduttore B, si ricava un flusso Φ B E 0 nullo in quanto la distribuzione − σ (sulla cavità) e + σ (sul conduttore A) si annullano [figura 32] Attenzione: tutte le linee di campo uscenti da A finiscono sulla cavità di B in quanto vi è induzione completa. Il valore del campo elettrostatico è unicamente differente da zero sia all’interno della cavità sia all’esterno del conduttore B e si noti che − variando la distribuzione + σ del conduttore B, il campo generato dalla distribuzione sul conduttore A NON varia in quanto A ΦB E0 = 0 , B ( ) − variando la distribuzione + σ del conduttore A, il campo generato dalla distribuzione esterna del conduttore B NON varia in quanto ΦB E0 = 0 , ( ) − ponendo a contatto il conduttore A con la parete della cavità, le due distribuzioni si annullano ed il campo all’esterno del conduttore B NON varia in quanto Φ i E 0 = 0 . ( ) ( ) ΦB E0 = 0 [ figura 31] La cavità funge da schermo elettrostatico, tuttavia non è detto che il conduttore schermante debba essere massiccio. Potrebbe essere traforato, però ponendosi ad una distanza maggiore della dimensione della traforatura le discontinuità non sarebbero avvertite. Un conduttore che funga da schermo elettrostatico è detto gabbia di Faraday. Un conduttore che fosse in grado di subire grandi trasferimenti di cariche, senza subire apprezzabili variazioni di potenziale, possiede una grande capacità. 21 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino CONDENSATORI Dispositivo statico costituito da due conduttori affacciati fra i quali esista una induzione completa. I due conduttori sono detti armature del condensatore e su di esse sono localizzate le cariche secondo due distribuzioni superficiali identiche, ma di segno opposto ± σ . Le linee di campo escono dalla distribuzione positiva e terminano su quella negativa. • Capacità di un condensatore: è definita come il rapporto fra la quantità di ΔV carica (in valore assoluto) su una delle armature e la d.d.p. fra le armature stesse q C= − ΔV + ed anche in questo caso l’unità di misura è il farad, la capacità è una caratteristica che dipende dalla geometria del sistema e dal mezzo ( C ) [ figura 32 ] interposto fra le armature. La rappresentazione grafica di un condensatore è data in [figura 32] − Uso del condensatore: è un dispositivo che permette di produrre un intenso campo elettrico in un volume di spazio relativamente limitato fra le sue armature. L’energia spesa per caricare il condensatore, generando il campo elettrico, viene accumulata fra le armature. − Tipi di condensatori a) condensatore piano: le due armature sono superfici piane e parallele con dimensioni preponderanti rispetto alla loro distanza. In tale condizione ( S → ∞ ) si verifica lo stato di induzione completa; b) condensatore cilindrico: le armature sono due conduttori cilindrici e coassiali con uno sviluppo assiale preponderante rispetto alla distanza. In tale condizione ( l → ∞ ) si verifica lo stato di induzione completa; c) condensatore sferico: le armature sono conduttori sferici e concentrici. − Effetto di bordo: il campo elettrostatico fra le armature risulta B A uniforme unicamente nelle due tipologie a) e b). quando le dimensioni delle armature sono finite, le linee di campo ai C D bordi non possono bruscamente interrompersi ai bordi delle armature presentando una discontinuità. Si consideri per semplicità un condensatore piano [figura 33] ed una linea E0 ≠ 0 E0 ≠ 0 chiusa ABCDA (con AB = CD e AB fuori dal bordo; BC = DA infinitesimi). La circuitazione del campo −σ +σ elettrostatico è definita da B C D A [ figura 33] E • dl = E • d l + E • dl + E • dl + E • d l = 0 ∫ ∫ A 0 esterno • ∫ B 0 trascurabile ∫ C 0 ∫ interno D 0 trascurabile Il primo integrale vale VA − VB = 0 in quanto il campo è nullo, il terzo integrale vale VC − VD ≠ 0 che risulta essere in contraddizione con la definizione di conservatività del campo elettrostatico. La discontinuità risulterebbe inesistente se, in una regione delle dimensioni pari alla distanza fra le armature, si ammettesse che il valore del campo fosse fortemente decrescente. In tale ipotesi, le linee di campo risulterebbero avere un andamento lenticolare. Capacità di un condensatore piano: sia d la distanza fra le armature ed S la loro superficie. Trascurando l’effetto di bordo, il campo elettrostatico fra le armature è uniforme e la loro d.d.p. vale d σ ΔV = ∫0 E 0 • dl = E 0d = d ε0 Utilizzando la relazione della capacità si ricava C = q ΔV = ε0 σS σd , ossia S C = ε0 d 22 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ • Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Capacità di un condensatore cilindrico: le due armature coassiali abbiano raggi R1 < R 2 e lunghezza d >> ( R 1 , R 2 ) . Il campo elettrostatico ha simmetria radiale e considerando una superficie gaussiana coassiale di raggio R1 < r < R 2 , il flusso di E 0 è differente da zero solamente attraverso al mantello laterale [figura 34] 1 Φ E 0 = E 0 2πrd = q ε0 1 q1 ossia E 0 = 2πε0 d r La d.d.p. fra le armature è definita da R2 1 q R2 1 1 q R2 dr = ln ΔV = ∫ R E 0 • d l = ∫ 1 2πε0 d R1 r 2πε0 d R1 dr E0 E0 ( ) R1 R2 r [ figura 34 ] // E sostituendo nella relazione della capacità si ottiene C = 2πε 0 • d R ln 2 R1 Capacità di un condensatore sferico: le due armature siano sferiche e concentriche di raggi R1 < R 2 . Il campo elettrostatico ha simmetria radiale e considerando una superficie gaussiana coassiale di raggio R1 < r < R 2 , il flusso di E 0 vale [figura 35] 1 Φ E 0 = E 0 4πr 2 = q ε0 1 q ossia E 0 = 2πε 0 r 2 La d.d.p. fra le armature è definita da R2 1 q R 2 dr 1 q⎛ 1 1 ⎞ = − ΔV = ∫ R E 0 • dl = ⎜ ⎟ 2 ∫ R 1 2πε0 d 1 r 2πε0 d ⎝ R1 R 2 ⎠ dr ( ) E0 E0 R1 r R2 [ figura 35] // E sostituendo nella relazione della capacità si ottiene R1R 2 C = 4πε 0 R 2 − R1 • Condensatori collegati in parallelo: tutti i condensatori del sistema hanno la stessa d.d.p. fra le armature, mentre la carica localizzata sulle armature è tale da soddisfare la conservazione della stessa Q = q1 + q 2 + q 3 + + q n C1 q q q C1 = 1 C2 = 2 C3 = 3 ΔV ΔV ΔV Il sistema di tre condensatori, collegati in parallelo fra loro, è Ceq rappresentata in [figura 36] ed è possibili sostituire ad esso un C2 condensatore equivalente di capacità Ceq (esprimibile con le singole capacità) ai cui capi si abbia la stessa d.d.p. ΔV q + q + q3 q q q Q Ceq = = 1 2 = 1 + 2 + 3 ΔV ΔV ΔV ΔV ΔV ossia Ceq = C1 + C2 + C3 23 C3 ΔV ΔV [ figura 36 ] Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino La capacità equivalente di un sistema di condensatori collegati in parallelo fra loro è uguale alla somma delle capacità dei singoli condensatori. Ceq = ∑ Ck k • Condensatori collegati in serie: applicando una d.d.p. ai capi delle armature, si determina una rilocalizzazione delle cariche su di esse. Per la armature in collegamento fra loro, la carica complessiva è nulla e ciò implica che tutte le armature possiedono la stessa quantità di carica [figura 37]. Le capacità sono q q q C1 = C2 = 2 C3 = ΔV1 ΔV2 ΔV3 La d.d.p. complessiva è pari alla somma delle singole d.d.p. ΔVtot = ΔV1 + ΔV2 + ΔV3 e pensando di sostituire al sistema un condensatore di capacità Ceq C1 C2 ΔV1 ΔV2 ΔV3 ΔVtot Ceq C3 ΔVtot [ figura 37 ] con la d.d.p. ΔVtot ai capi delle armature, si ottiene Q Q Ceq = = ΔVtot ΔV1 + ΔV2 + ΔV3 ossia ΔV1 + ΔV2 + ΔV3 1 1 1 1 + = = + Ceq Q C1 C2 C3 L’inverso della capacità equivalente di un sistema di condensatori collegati in serie fra loro è uguale alla somma dell’inverso della capacità dei singoli condensatori. 1 1 =∑ Ceq k Ck In una simile configurazione la carica sulle armature dei singoli condensatori è la stessa, la d.d.p. complessiva è la somma delle singole d.d.p. e la capacità equivalente è minore delle singole capacità. ENERGIA DEL CAMPO ELETTROSTATICO Caricare un condensatore (rilocalizzando le cariche sulle armature) significa applicare una d.d.p. fra le armature che genera un campo elettrostatico nello spazio compreso fra di esse. Il lavoro compiuto determina una separazione di cariche sulle armature ed essendo il campo elettrostatico conservativo, tale lavoro risulta indipendente dalle modalità con le quali è stato compiuto (essendo funzione esclusivamente dello stato iniziale e finale di carica). Si definisce energia potenziale elettrostatica il lavoro speso per costituire un sistema di cariche elettriche, partendo da componenti posti ad una distanza fra loro tale da non interagire. Il lavoro speso per caricare un condensatore è compiuto da un ente detto generatore, che trasforma energia chimica in energia elettrica. Detta energia è immagazzinata nello spazio fra le armature (dove esiste il campo elettrostatico) sotto forma di energia potenziale. Cortocircuitando le armature di un condensatore, tramite un qualche conduttore, è possibile utilizzare la energia immagazzinata. Nell’ipotesi di trasferire la carica dq dalla armatura negativa a quella positiva di un condensatore sotto l’azione del generatore, la d.d.p. fra le armature varia nel tempo (in quanto varia nel tempo anche l’entità delle cariche sulle armature). Il lavoro speso per il trasferimento vale q 1 dL = − dq Δ V ( t ) = − dq = − qdq C C essendo C la capacità del condensatore. Il lavoro complessivo è dato dall’integrale fra il valore iniziale q i = 0 (al tempo t = 0 ) ed il valore finale q f = Q (al tempo t, a carica avvenuta) 24 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino 1 Q 1 Q2 1 1 2 q dq = − = − QΔV = − C ( ΔV ) ∫ 0 C 2 C 2 2 Essendo le forze in gioco conservative in quanto il campo elettrostatico è conservativo, il lavoro è uguale alla differenza che una funzione scalare (detta energia potenziale elettrostatica) assume allo stato iniziale ( U i = 0 ) ed allo stato finale ( U f ≠ 0 ) L=− L=− 1 Q2 1 1 2 = − QΔV = − C ( ΔV ) = U i − U f 2 C 2 2 ≡U e Ricordando che il segno meno indica un lavoro fornito al sistema, si ottiene che 1 Q2 1 1 2 Ue = = QΔ V = C ( Δ V ) 2 C 2 2 − Un conduttore elettrizzato in equilibrio è equivalente ad un condensatore con una delle armature all’infinito. − L’energia potenziale elettrostatica complessiva non è altro che la somma delle energie potenziali elettrostatiche relative alle singole cariche. DENSITÀ DI ENERGIA ELETTROSTATICA Il valore dell’energia potenziale elettrostatica U e per un condensatore è stata ricavata nel precedente paragrafo e se il condensatore è piano, sostituendo la relazione della sua capacità, si ricava 1 S 1 S 1 2 2 U e = ε 0 ( ΔV ) = ε0 ( E 0 d ) = ε 0 E 02 W 2 d 2 d 2 Sd C e riferendo l’energia potenziale elettrostatica al volume W si ricava la densità di energia potenziale elettrostatica per unità di volume u e = U e W 1 ue = ε 0 E02 2 Attenzione: tale relazione ha una validità assolutamente generale in quanto se in un volume W di spazio fosse presente una campo E 0 , la densità di energia potenziale elettrostatica per unità di volume in ogni suo punto varrebbe proprio u e = ε 0 E 02 2 . PROBLEMA FONDAMENTALE DELL’ELETTROSTATICA L’equazione di Laplace ∂2V ∂2V ∂2V 2 ∇ V= 2 + 2 + 2 =0 ∂x ∂y ∂z definisce le proprietà dello spazio vuoto e cioè divE 0 = 0 ( campo solenoidale ) rotE 0 = 0 • ( campo irrotazionale ) Problema del DIRICHLET: − l’equazione di Laplace con la condizione E 0 = 0 definisce le caratteristiche di un conduttore isoalto in equilibrio. ⎧ ⎫ ⎪ ⎪ ⎪funzione f ⎪ ⎪⎪ ⎪⎪ ∂f ⎨ ⎬ ⇒ r ∂ ⎪ ⎪ 2 ⎪ ∂ f ⎪ ⎪ ⎪ 2 ⎪⎩ ∂ r ⎪⎭ 25 S ( WS ) funzione {armonica } Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino − L’integrale generale della equazione di Laplace è definito da funzioni armoniche che godono di precise proprietà analitiche. − Il teorema di unicità definisce che una funzione armonica risulta univocamente definita in un dominio, che racchiude il volume WS, se sono assegnati i valori della funzione, delle sue derivate prime (che devono essere finite e continue) e delle sue derivate seconde (che devono essere continue) sulla superficie S del dominio. − Se una funzione armonica assume un valore costante sulla superficie S di un dominio, essa assumerà l’identico valore in tutti i punti interni del dominio (come nel caso del potenziale elettrostatico all’interno di un conduttore dove E 0 = 0 ). − Un dominio può essere finito (a) o infinito (b): in ogni caso la definizione per una funzione armonica è identica − Conoscendo il valore di una funzione armonica, delle sue derivate prime e seconde sulla superficie S di un dominio è (a ) (b) possibile definire la funzione armonica nello spazio esterno al dominio (ammettendo una andamento asintotico). Se ad esempio la funzione armonica fosse V ( r ) , nel caso di un conduttore si ha V (∞) ∼ 1 r ∂V (∞) 1 ∼− 2 ∂r r potenziale elettrostatico esterno campo elettrostatico esterno CONDENSATORI CON DIELETTRICO Si ricorda che un conduttore possiede cariche libere di muoversi secondo traiettorie casuali e che tali cariche libere, sotto l’azione di un campo elettrico, si muovono con una ben precisa velocità (detta velocità di deriva) lungo direzioni concordi con la direzione del campo. Quando si elettrizza un conduttore in equilibrio, le cariche libere si distribuiscono sulla superficie con una densità superficiale σ = dq dS generando un campo elettrostatico normale alla superficie e di valore (in punti prossimi alla sua superficie) σ (18) E0 = n ε0 Internamente al conduttore il campo elettrostatico è nullo, mentre il potenziale elettrostatico ha identico valore in tutti i punti interni e sulla superficie. Si consideri un condensatore piano (tuttavia il ragionamento illustrato in seguito vale per qualsiasi tipo di condensatore) fra le cui armature vi sia il vuoto. Trascurando l’effetto di bordo, internamente il campo elettrostatico è dato da (18), risultando uniforme (le linee di campo sono parallele fra loro), che determina una distribuzione superficiale ± σ0 di cariche sulle armature. La d.d.p. fra le armature vale ΔV0 = E 0 d e la capacità è data da S C = ε0 (19) d − Introducendo una lastra conduttrice piana di spessore s fra le armature, senza che venga a contatto con una di esse, a causa della [ figura 38 ] induzione elettrostatica, sulla superficie della lastra compaiono due distribuzioni di cariche di segno opposto a quelle presenti sulla corrispondente armatura affacciata [figura 38]. Attenzione: la + − distribuzioni delle cariche negative è imputabile ad un eccesso di elettroni, quella delle cariche positive ad una carenza di elettroni. 26 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Durante il processo di rilocalizzazione delle cariche sulla superficie della lastra, si genera nel suo interno un campo elettrostatico E′0 antiparallelo a E 0 . Quando viene raggiunto l’equilibrio elettrostatico E′0 = −E 0 e all’interno della lastra il campo elettrostatico risulta nullo. Lo spazio nel quale il campo elettrostatico non è nullo ha dimensione d − s ed il potenziale elettrostatico in tale situazione vale ΔV = E 0 ( d − s ) < ΔV0 , ossia diminuisce indipendentemente dalla posizione della lastra. • − Condensatore con dielettrico: i dielettrici o isolanti, non possedendo cariche libere di muoversi, quindi non subiscono il fenomeno della induzione (possono essere elettrizzati unicamente per sfregamento). Ponendo una lastra di materiale dielettrico fra le armature del condensatore, la d.d.p. diminuisce seppur molto meno rispetto al valore che si avrebbe se la lastra fosse conduttrice, a parità di spessore. La d.d.p. varia linearmente dal massimo valore ΔV0 (il vuoto fra le armature) al minimo valore ΔVk (il dielettrico occupa tutto lo spazio fra le armature). Il rapporto ΔV0 ΔVk è sempre maggiore di uno e Faraday lo chiamò costante dielettrica relativa ΔV0 ke = >1 ΔVk I materiali che soddisfano tale relazione sono detti appunto dielettrici e sulle superfici di un dielettrico, a contatto con le armature del condensatore, non esistono cariche libere localizzate. La costante dielettrica relativa non dipende dalla geometria del dielettrico, ma dalle sue caratteristiche microscopiche. Campo elettrico in un condensatore con dielettrico: il materiale dielettrico occupa tutto lo spazio fra le armature, che distano d fra loro. Il modulo del campo elettrico è data da ΔVk 1 ΔV0 1 = = E0 Ek = d ke d ke Il valore del campo elettrico, in presenza del dielettrico, è ridotto di un fattore k e rispetto al campo elettrico con il vuoto. Calcolando la variazione Δ E = E 0 − E k si ottiene k −1 1 E0 − Ek = E0 − E0 = e E0 (20) ke ke e si definisce suscettività elettrica di un dielettrico la relazione χe = k e − 1 Dalla (20) si ricava k −1 1 1 ke −1 (21) σ0 Ek = E0 − e E 0 = σ0 − ε0 ε0 k e ke dimensione di una densità ke −1 σ0 si possa identificare con la densità superficiale di carica localizzata sulle ke superfici del dielettrico a contatto con le armature. Tali cariche pur essendo cariche reali sono legate e sono la risultanza dell’azione del campo elettrico esterno E 0 sulla struttura molecolare del materiale dielettrico (sono correlate alle sua proprietà microscopiche): tale fenomeno si dice polarizzazione del dielettrico. Si definisce densità superficiale di carica di polarizzazione la relazione k −1 σp = e σ0 ke Riprendendo la (21) si deduce che 1 1 E k = σ0 − σ p ε0 ε0 ed è lecito ipotizzare che E0 27 Ep Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Ossia il campo elettrico all’interno di un condensatore con dielettrico si può interpretare come la sovrapposizione del campo elettrico quando fra le armature c’è il vuoto ed il campo elettrico generato da una distribuzione superficiale di cariche di polarizzazione (cariche legate), localizzate sulle superfici a contatto con le armature, cariche di segno opposto a quelle presenti sulle armature [figura 39] Ek = E 0 + Ep Sulle armature vi sono cariche libere localizzate con una densità ± σ0 , sulla superficie del dielettrico vi k −1 sono cariche legate di polarizzazione con una densità ∓ σp = ∓ e σ0 , all’interno del dielettrico vi è un ke campo elettrico di polarizzazione. + Ek − • + = − σp + σ0 E0 + − σ0 Ep + σp − [ figura 39 ] Capacità di un condensatore con dielettrico: se il condensatore fosse piano, applicando la definizione di capacità si ricava q q S Ck = 0 = k e 0 = k e C0 = k e ε 0 ΔVk ΔV0 d Si definisce costante dielettrica assoluta il prodotto della costante dielettrica relativa per la costante dielettrica del vuoto ε = k eε0 E si osservi che la capacità di un condensatore con dielettrico è maggiore di quella del medesimo condensatore che abbia il vuoto fra le armature S Ck = ε d − Vuoto: particolare “materiale” che è definito con k e = 1 , χe = 0 ed ε = ε0 − Rigidità dielettrica: massimo valore di un campo elettrico, applicato ad un dielettrico, senza che avvengano scariche al suo interno. MECCANISMI DI POLARIZZAZIONE In un conduttore metallico vi sono cariche libere (elettroni) in quanto per ogni atomo vi sono elettroni non legati liberi di muoversi con una velocità termica e l’induzione elettrostatica determina la separazione fra le cariche. In un dielettrico non esistono cariche libere, in quanto gli elettroni sono strettamente legati ai nuclei e per determinare lo spostamento si deve agire meccanicamente. − In assenza di un qualsiasi campo esterno, gli elettroni si possono pensare distribuiti simmetricamente attorno al nucleo in un volume di spazio dell’ordine di grandezza delle dimensioni atomiche ( ∼ 10−10 m ): il centro di massa delle cariche negative CM − coincide con il centro di massa delle cariche positive CM + [figura 40]. ( E0 = 0) CM + ≡ CM − [ figura 40 ] − Applicando un campo elettrico esterno E 0 ≠ 0 , si determina la separazione dei due centri di massa delle 28 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino cariche elettriche in quanto CM − : F− = − Ze E 0 nella direzione opposta al campo CM − : F+ = + Ze E 0 nella direzione del campo Tale separazione è dell’ordine delle dimensione del nucleo ( ∼ 10−15 m ) e viene raggiunto l’equilibrio quando la forza elettrostatica attrattiva fra i due centri di massa uguaglia la forza F± , determinata dall’azione del campo elettrico esterno E 0 , su di essi. Se la separazione fosse d, i due centri di massa possedendo la carica ± Ze costituiscono un dipolo elettrico di momento di dipolo pa = Ze d F− pa F+ d [ figura 41] orientato da CM − a CM + [figura 41]. Tale fenomeno è detto polarizzazione elettronica di un dielettrico ed il momento di dipolo elettrico ha un significato intrinseco. Per ogni singolo atomo l’effetto è molto piccolo, ma in un volume unitario si hanno circa 1025 ÷ 1028 atomi per cui l’effetto complessivo è grande e fisicamente misurabile. Annullando il valore del campo elettrico esterno, l’effetto scompare. − Molecole polari: sono molecole poliatomiche, come il biossido N3− di carbonio CO 2 , l’acqua H 2 O o l’ammoniaca NH 3 , che presentano dipoli elettici intrinseci pi e quindi una separazione tra CM + e CM − . A causa degli urti fra le H+ H+ molecole, imputabili all’agitazione termica, tali momenti di dipolo intrinseco sono casualmente orientati: cioè non esiste H+ una direzione preferenziale di orientamento (la distribuzione (b) (a ) risulta isotropa) e quindi il valore medio è nullo < p > = 0 [figura 42a]. Applicando un campo esterno E 0 ≠ 0 , sul momento di dipolo intrinseco di ogni singola molecola viene esercitato un momento meccanico M i = pi × E 0 (con un’energia E0 = 0 < p > ≠ 0 E0 = 0 spesa pari a U i = − pi • E 0 ) che tende ad allinearlo lungo la direzione del campo. In tale situazione, il valore medio è differente da zero < p > ≠ 0 anche se l’agitazione termica tende [ figura 42 ] a disorientare l’allineamento [figura 42b]. − Polarizzazione per orientamento: internamente ad un dielettrico polare si consideri un punto P, appartenente ad un suo volume Δ W , contenente un numero Δ N di molecole polari con momento di dipolo elettrico intrinseco pari a < p > . La risultante di tutti i momenti di dipolo elettrico vale Δ p = ΔN < p > e riferendo all’unità di volume Δ p ΔN = < p >= n < p > ΔW ΔW con n = Δ N Δ W il numero di molecole polari per unità di volume. Eseguendo il passaggio al limite Δ W → 0 si ricava il vettore di polarizzazione di un dielettrico definito da dp P= dW con l’avvertenza che il passaggio al limite è dal punto di vista macroscopico. Microscopicamente, poiché n ∼ (1025 ÷ 1028 ) , sia < p > sia P sono ben definiti e non soggetti a fluttuazioni statistiche. 29 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino − Dielettrici lineari: sostanze amorfe con isotropia spaziale. Il vettore P (effetto) risulta proporzionale al campo elettrostatico esterno E (causa) attraverso la relazione P = ε 0 ( k e − 1) E (22) − Cristalli: materiali con anisotropia spaziale. La proporzionalità diretta fra P ed E è verificata unicamente lungo determinate direzioni preferenziali dette assi principali. CAMPO ELETTRICO DA DIELETTRICI POLARIZZATI Un dielettrico polarizzato genera un campo elettrico, anche se le cariche di polarizzazione sono cariche legate ai nuclei. Tuttavia, non è possibile alcun trasferimento di cariche neppure quando il dielettrico è a diretto contatto con le armature di un condensatore. • Polarizzazione uniforme: in tale situazione il vettore di polarizzazione P ha valore costante in tutti i punti del dielettrico. Le cariche di polarizzazione definiscono unicamente una distribuzione superficiale con densità ± σp , che risulta correlata al vettore P . − Dielettrico di forma regolare: si consideri una lastra dielettrica polarizzata di superficie di base dS0 e spessore dh (il volume vale dW = dh dS0 ). Ricordando che P = d p dW , la risultante di tutti i momenti di dipolo vale d p = P dW = Pdh dS0 e scegliendo l’orientamento di dh concorde con quello di P , è possibile riscrivere la relazione (23) d p = P dS0 d h Poiché la polarizzazione implica due distribuzioni di cariche ± q p , distribuite a distanza dh sulle superfici dS0 , il momento di dipolo elettrico vale d p = q p d h . Confrontando tale relazione con la (23), risulta evidente che P dS 0 = dqp rappresenta la carica di polarizzazione distribuita sulle superfici di base dS0 della lastra dielettrica. Operativamente: in un sistema neutro di cariche (identico numero di cariche negative e positive) sia il campo sia il potenziale elettrostatico di dipolo risultano indipendenti dalle reale forma della distribuzione. Quindi è possibile sostituire alla distribuzione originaria un’altra distribuzione, opportunamente definita e di facile calcolo, purché i due momenti di dipolo elettrico siano uguali. In tale condizione, i due effetti risultano identici ed indistinguibili. L’elemento polarizzato di volume dW può essere sostituito (come effetto) da un sistema di cariche ( + dq p ; +σp ) ± dq p = ± P dS0 dS0 uniformemente distribuite nel vuoto [figura 43] su due superfici dS0 , a distanza reciproca dh , con densità superficiale pari a dh dh ± σ p = ± dq p dS0 = ± P Come spiegato, i momenti di dipolo elettrico dei due sistemi sono uguali. Per elementi contigui di volume, si noti che le cariche distribuite sui due lati di ogni superficie di separazione sono uguali (quindi si compensano) e solamente sulle superfici esterne non si ha compensazione a causa della discontinuità. 30 dS0 [ figura 43] ( − dq ; − σ ) p p Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Essendo la distribuzione uniforme, le cariche ± dq p sono distribuite entro uno strato superficiale dell’ordine delle dimensiono atomiche. Riassumendo: la lastra polarizzata può essere sostituita, come effetto, da una due distribuzioni piane di cariche di polarizzazione (densità superficiale ± σp = ± P ) poste ad una distanza pari allo spessore della lastra. Le cariche di polarizzazione sono cariche legate e risultano localizzate a causa dell’effetto del campo elettrostatico esterno. − Dielettrico di forma qualsiasi: il volume del dielettrico lo si dW suddivida in elementi infinitesimi dW e si consideri uno di tali elementi, la cui superficie dS sia parte della superficie del dW dielettrico [figura 44]. Nel punto A di tale superficie infinitesima P sia distribuita la carica dq p con densità superficiale σ p = dq p dS dS0 A n e ricordando che dq p = P dS0 (attenzione: dS0 è la proiezione dS della superficie dS in direzione normale a quella del vettore P ) θ P dS0 P dScos θ [ figura 44 ] σp = = = P cos θ (24) P dS dS Definendo un versore n , normale alla superficie dS , la relazione (24) assume la forma σp = P • n Ossia la densità superficiale di polarizzazione σ p è uguale alla componente normale del vettore di polarizzazione P nel punto considerato della superficie. Da quest’ultima relazione si deduce che − quando 0 ≤ θ < π 2 : la densità σ p è positiva n (cariche positive di polarizzazione) − quando π 2 < θ ≤ π : la densità σ p è negativa (cariche negative di polarizzazione) : la densità σ p è nulla − quando θ = π 2 + σp P [ figura 45] − σp n (nessuna carica di polarizzazione) nel caso della lastra dielettrica, polarizzata uniformemente) fra le armature del condensatore piano, le cariche − q p sono distribuite sulla faccia a contatto con l’armatura positiva e quelle + q p sono distribuite sulla faccia a contatto con l’armatura negativa. Sulle superfici parallele al vettore P non si hanno cariche di polarizzazione [figura 45] All’interno del dielettrico polarizzato non ci sono cariche di polarizzazione e sulla superficie del dielettrico la carica complessiva è nulla q p = ∫∫ σ p dS = ∫∫ P • ndS = 0 S S e applicando il teorema della divergenza q p = ∫∫ P • ndS = ∫∫∫ div P dW = 0 S WS div P = 0 • Il flusso complessivo del vettore P attraverso a tutta la superficie di un dielettrico uniformemente polarizzato è nullo ed il vettore di polarizzazione risulta solenoidale. Polarizzazione non uniforme: il valore del vettore di polarizzazione P non ha lo stesso valore in tutti i punti del dielettrico. Si considerino due volumi infinitesimi e contigui di dielettrico (volume dW = dxdydz ) e sulla loro faccia di separazione siano distribuite cariche di polarizzazione con una densità superficiale [figura 46]. Orientando gli spigoli di dW secondo gli assi del riferimento {x, y, z} , le normali alla superficie di separazione dSx = dydz (dalle due parti) siano n x ed n′x . Le cariche distribuite siano 31 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino dq px = σpx dSx σ px = Px • n x dq′px = σ′px dSx σ′px = Px′ • n ′x σp con n′x = n x . Ricordando che il vettore polarizzazione ha differenti valori sulle due facce della superficie di separazione, si ricava dq px = σpx dSx = Px • n x dydz = + Px dydz dq′px = σ′px dSx = Px′ • n ′x dydz = − Px′ dydz ∂ Px dx ∂x la relazione (25) diventa Px′ = Px + Px′ − Px = → nx n ′x [ figura 46 ] Sottraendo termine a termine (25) dq px − dq′px = ( Px − Px′ ) dydz σ′p z x y ∂ Px dx ∂x ∂ Px ∂P dxdydz = x dW ∂x ∂x Interpretazione: nel tratto dx la componente Px del vettore polarizzazione non determina alcuna compensazione di cariche sulla superficie di separazione dSx = dydz , come nel caso di polarizzazione uniforme,quindi compaiono all’interno del volume di dielettrico cariche di polarizzazione. Per spostamenti dy e d z , in modo analogo, si ottiene ∂P ∂P componente y : dq p y − dq′p y = y dxdydz = y dW ∂y ∂y ∂P ∂P componente z : dq pz − dq′pz = z dxdydz = z dW ∂z ∂z componente x : dq px − dq′px = Sommando le tre variazioni si ha ⎛ ∂ P ∂ Py ∂ Pz ⎞ + dq p = − ⎜ x + ⎟ dW = − div P dW ⎝ ∂x ∂ y ∂z ⎠ e dividendo per il volume ρp = − div P In un dielettrico non uniformemente polarizzato compaiono cariche di polarizzazione sia superficiali σ p = P • n sia volumiche ρp = − div P ed entrambi le distribuzioni contribuiscono, in tutti i punti esterni al dielettrico, a definire il campo ed il potenziale elettrostatico. In modo analogo al caso precedente, il numero complessivo delle cariche di polarizzazione è nullo q p = ∫∫ σp dS + ∫∫∫ ρp dW = 0 S WS ossia sostituendo ∫∫ P • ndS − ∫∫∫ div P dW = 0 S • WS che altro non è che il teorema della divergenza. Calcolo del potenziale elettrostatico in un generico punto A {x, y, z} , esterno ad un dielettrico polarizzato, in presenza sia di cariche libere sia di cariche di polarizzazione. Il valore del potenziale è la somma di tre contributi relativi alla distribuzione delle cariche libere, alla distribuzione superficiale ed alla distribuzione volumica delle cariche di polarizzazione 32 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Vlib = 1 4πε 0 Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino ρlib dW ∫∫∫ r1 W′ Vρp = 1 4πε 0 ∫∫ S σp dS r2 Vρp = 1 4πε 0 ∫∫∫ ρp dW WS r3 quindi Vtot = Vlib + Vσp + Vρp . INDUZIONE DIELETTRICA Ancora una volta è importante sottolineare che il campo elettrostatico generato dalle cariche statiche, anche in presenza di un dielettrico polarizzato, è sempre conservativo. Infatti, quando fra le armature di un condensatore piano carico è posto un dielettrico si ha − sulle armature sono localizzate le cariche libere con una densità superficiale ± σ0 , − il dielettrico è polarizzato e sulle facce, a contato con le armature, compaiono cariche di polarizzazione con densità superficiale ∓ σp = P • n mentre all’interno le cariche di polarizzazione hanno densità volumica ρp = − div P Se la distanza fra le armature (spessore del dielettrico) fosse d, la d.d.p. fra le armature avrebbe valore ΔV = ∫0 E • d l = E 0d d indipendentemente dalla scelta della linea che unisce l’armatura positiva a quella negativa. Si avrebbe • ∫E 0 rot E 0 = 0 • dl = 0 Applicazione della legge di Gauss: si considerino sia cariche libere q 0 sia cariche polarizzate q p − Superficie gaussiana contenente completamente il dielettrico polarizzato: la superficie gaussiana sia S con volume WS , il flusso del campo elettrico attraverso alla superficie vale [figura 47] 1 Φ E = ∫∫ E • ndS = ( q 0 + q p ) ε0 S q0 Applicando il teorema della divergenza e considerando che le cariche libere sono contenute entro il volume WS con densità volumica ρ0 e che le cariche di polarizzazione, nel medesimo qp volume, hanno densità volumica ρp = − div P S ( ) ε0 ∫∫∫ div E dW = ∫∫∫ ρ0 dW − ∫∫∫ div P dW WS WS ossia ( ) ∫∫∫ div ε0 E + P dW = ∫∫∫ ρ0dW WS ( WS ) WS [ figura 47 ] WS Si definisce vettore induzione dielettrica la relazione D = ε 0E + P (26) Il dominio di integrazione è lo stesso per i due integrali che devono essere uguali, quindi uguagliando gli integrandi si ricava divD = ρ0 ∫ D • ndS = q0 Si presti attenzione che le cariche sono solamente quelle libere, perché quelle di polarizzazione esprimono il loro contributo attraverso la definizione del vettore induzione D . − Superficie gaussiana intersecante un dielettrico polarizzato: per comodità di calcolo si considerino S la superficie gaussiana di volume WS , S1 la superficie del dielettrico racchiusa dalla superficie gaussiana S, S2 la superficie di intersezione fra il dielettrico e la superficie gaussiana S, 33 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino W12 il volume racchiuso fra le superfici S1 ed S2 . La legge di Gauss impone che sia [figura 48] 1 Φ E = ∫∫ E • ndS = q 0 + q σ p + q ρp ε0 S con q σp = ∫∫ σp dS = ∫∫ P • n dS ( ( ) S1 ) S2 (q ) ( q0 ) S p S1 S1 ⎡ ⎤ ⎢ ⎥ q ρp = ∫∫∫ ρp dW = − ∫∫∫ div PdW = − ⎢ ∫∫ P • n dS + ∫∫ P • n dS⎥ ⎢ S1 ⎥ W12 W12 S2 ⎢⎣ entrante ⎥⎦ uscente Sostituendo si ricava q 1 (27) Φ E = ∫∫ E • ndS = 0 − ∫∫ P • n dS ε0 ε0 S2 S [ figura 48 ] ( ) e notando che nel volume di spazio fra la superficie gaussiana e le superficie S1 non vi sono cariche di polarizzazione volumiche, è sensato considerare la superficie di integrazione S anziché S2 . La (27) risulta ∫∫ ε0 E • ndS = q 0 − ∫∫ P • ndS S ∫∫ ( ε E + P ) • ndS = q 0 S 0 S ∫∫ D • ndS = q 0 S Attenzione: il flusso del vettore induzione dielettrica D , attraverso ad una qualsiasi superficie gaussiana che conglobi (totalmente o parzialmente) un dielettrico polarizzato, dipende unicamente dalle cariche libere contenute entro la superficie gaussiana e non da quelle di polarizzazione. − Superficie gaussiana interna ad un dielettrico polarizzato: non esistendo né cariche libere né cariche di polarizzazione superficiale, il flusso è legato unicamente alle cariche di polarizzazione volumica 1 1 1 Φ E = ∫∫ E • ndS = q p = ∫∫∫ ρp dW = − ∫∫∫ div P d W ε0 ε 0 WS ε 0 WS S ( ) teorema divergenza ⎛ ⎞ ⎜ ⎟ dW = 0 div ε E + P divD = 0 ∫∫∫ ⎜ 0 ⎟ WS ⎝ D ⎠ − Significato dei tre casi analizzati: − Le cariche libere q 0 sono le uniche ad essere conosciute, le cariche di polarizzazione q p si calcolano conoscendo queste. − Conoscendo la relazione fra D e P , tramite il vettore induzione dielettrica D = ε 0 E + P , si calcola il campo e il potenziale elettrostatico. − In assenza di cariche libere ( q 0 = 0 ), valgono le relazioni divD = 0 e ∫∫ D • n dS = 0 : il campo di S induzione dielettrica è solenoidale. − Non potendo stabilire se la circuitazione del vettore D sia nulla, il relativo campo associato non è conservativo. − Il vettore induzione dielettrica ha significato unicamente in presenza di un dielettrico: se vi fosse il vuoto D = ε E = ε 0 E , quindi il vettore D non presenterebbe alcuna proprietà rispetto al campo elettrico. 34 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino RELAZIONI FRA E , D , P Nei dielettrici lineari si ha P = ε0 ( k e − 1) E e ricordando le definizioni di P e D si deduce che (28) D = ε0 E + P = εE (29) P = ε0 ( k e − 1) E = ε0 (i due vettori sono paralleli fra loro) ke −1 k −1 D= e D ε ke (i due vettori sono paralleli fra loro) ossia i tre vettori E , D e P risultano paralleli fra loro. − Costante dielettrica relativa costante in tutti i punti del dielettrico: dalla relazione (29) si ha k −1 div P = e divD ke Se non vi sono cariche libere divD = 0 e ρp = − div P = 0 , per cui non possono esistere cariche volumiche di polarizzazione: esistono unicamente cariche di polarizzazione con σp = P • n . − Costante dielettrica relativa variabile da punto a punto nel dielettrico: dalla relazione (29) si ha ⎡ k −1 ⎤ div P = div ⎢ e D⎥ ⎣ ke ⎦ in quanto k e − 1 k e non risulta costante. Applicando quanto spiegato negli appunti di “Teoria dei Campi”, k −1 k −1 div P = e divD + D • grad e = − ρp ke ke ed in tale situazione si hanno anche cariche volumiche di polarizzazione. Nei dielettrici di tipo non lineare, la relazione fra P e E è esprimibile tramite equazioni complesse tra le varie componenti e la suscettività elettrica è definita da un tensore. In detti dielettrici vi sono tre direzioni, normali fra loro, lungo le quali E , e P risultano paralleli fra loro. Tali direzioni sono dette assi cristallografici o assi ottici del dielettrico. CAMPO D ATTRAVERSO AD UNA SUPERFICIE DIELETTRICA Il campo elettrostatico, attraverso ad una superficie sulla quale ci sia una distribuzione σ0 , presenta una continuità delle componenti tangenziali ed una discontinuità delle componenti normali σ E 02t = E 01t E 02t − E 01t = 0 ε0 Si consideri una superficie di separazione fra due dielettrici ( ε1 = k e1ε0 e ε 2 = k e2 ε0 ) sulla quale vi sia una distribuzione superficiale di cariche di D2 polarizzazione. Nei due semispazi il vettore induzione dielettrica è definito n 2 θ2 come [figura 49] σp D1 = ε0 E1 + P1 D 2 = ε 0 E 2 + P2 e applicando la legge di Gauss ad una superficie cilindrica con le due basi (superficie dS e altezza infinitesima) dalle due bande della superficie ( ) D1 θ n1 1 d Φ tot D = D1 • n1dS + D 2 • n 2dS = dq 0 = 0 poiché non vi sono cariche libere. Passando ai valori scalari − D1dScos θ1 + D 2 dScos θ2 = 0 D1n = D2n 35 [ figura 49 ] Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino La relazione impone la conservazione della componente normale del vettore induzione elettrica. Considerandole due relazioni E 01t = E 02t e D1n = D 2n si ha E1 sin θ1 = E 2 sin θ2 e calcolando il rapporto k e1E1 cos θ1 = k e2 E 2 cos θ2 tanθ 2 k e2 = tanθ1 k e1 − Interpretazione: la relazione rappresenta la rifrazione delle linee del campo elettrostatico nel passaggio fra due dielettrici separati da una superficie e precisamente k e2 > k e1 : θ2 > θ1 , le linee divergono k e2 < k e1 : θ2 < θ1 , le linee convergono θ2 = θ1 : D 2 = D1 , ossia k e2 E 2 = k e1E1 • k e2 k e1 q Determinazione del vettore induzione elettrica: dato un dielettrico di costante dielettrica relativa k e , si desideri determinare il valore di D = ε 0 E + P . Si pratichi una fessura all’interno del dielettrico in direzione normale a quella del vettore D , il valore del campo elettrico (misurato al suo interno) moltiplicato per ε 0 dà D = ε 0 E . Applicando la conservazione della componente normale si ricava [figura 50] D1n = ε0 E1n + P1n D 2n = ε0 E 2n + P2n P1n = ε0 ( k e1 − 1) E1n P2n = ε0 ( k e2 − 1) E 2n [ figura 50 ] D e uguagliando 1 1 ( P2n − P2n ) = ( σp2 − σp1 ) ε0 ε0 In perfetta analogia con quanto ricavato per le cariche libere. E 2n − E1n = E ENERGIA ELETTROSTATICA NEI DIELETTRICI L’energia del campo elettrostatico “racchiusa” fra le armature di un condensatore vale 1 − per il vuoto: U e = ε0 E 2 W e l’energia dipende sia dalle cariche libere sulle armature del condensatore 2 sia dall’intensità del campo elettrostatico 1 − per un dielettrico: U e = ε E 2 W e l’energia dipende anche dalle proprietà del materiale tramite la 2 costante dielettrica relativa ( ε = k e ε0 ). La densità di energia per unità di volume u e = U e W ha validità assolutamente generale con relazione 1 ue = ε E2 2 Ricordando che D = ε E , per un dielettrico anisotropo (lineare) la relazione precedente assume la forma 1 1 u e = εE 2 = εE • E 2 2 1 ue = E • D 2 Da tale prodotto scalare si deduce che i vettori E e D NON sono mai normali fra loro. In un volume W di un dielettrico, immerso in un campo elettrico E , l’energia posseduta vale 36 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino U e = ∫∫∫ u e dW = W 1 εE 2d W ∫∫∫ 2 W Il lavoro per unità di volume speso per caricare un condensatore è uguale alla energia U e accumulata fra le armature, quindi la differenza di lavoro (per unità di volume) speso per caricare un condensatore con il vuoto ( l0 ) ed uno con un dielettrico ( lk ) è data da 1 1 (30) Δl = lk − l0 = ( ε − ε0 ) E 2 = ε0 ( k e − 1) E 2 2 2 Poiché il dielettrico è polarizzato, la relazione (30) rappresenta il lavoro per unità di volume l pol speso per polarizzare il dielettrico l pol = L 1 = ε 0 ( k e − 1) E 2 W 2 e per il vuoto k e = 1 ed lpol = 0 . Il lavoro speso per separare due cariche uguali e di segno opposto di un tratto x vale (31) dL = F dx = qE dx = E dp essendo dp il momento di dipolo elettrico che viene definito con la separazione. La risultante di tutti i momenti di dipolo elettrico è dp = P dW e calcolandola per unità di volume dp = d P . Sostituendo nella (31) dL = E d P essendo P = ε 0 ( k e − 1) E , differenziando d P = ε 0 ( k e − 1) dE si ricava dL = ε 0 ( k e − 1) E dE . Integrando e riferendo il risultato all’unità di volume si ottiene proprio 1 lpol = ε 0 ( k e − 1) E 2 2 • Ricapitolazione sui dielettrici − dielettrici lineari : P = ε 0 ( k e − 1) E − dielettrico isotropo − dielettrici anisotropi − polarizzazione uniforme disuniforme − induzione dielettrica : E e P sempre // fra loro : E e P // fra loro lungo gli assi principali : σp = P • n : ρp = − div P e σ p = P • n : D = ε0 E + P = εE k −1 P : D= e ke : ∫∫ D • n dS = q 0 (nel vuoto D = ε 0 E e P = 0 ) divD = ρ0 S − continuità campo elettrico − energia elettrostatica : E1t = E 2t 1 : Ue = ε E2 W 2 − densità di energia elettrostatica per unità di volume D1n = D 2n 1 1 D2 1 : u e = εE 2 = = E•D 2 2 ε 2 dielettrici anisotropi : lp = ε 0 ( k e − 1) E 2 − lavoro di polarizzazione per unità di volume 37 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino TENSIONE ELETTRICA E FORZA ELETTROMOTRICE È stato dimostrato che il campo elettrostatico E 0 , generato da cariche elettriche ferme, è conservativo quindi l’integrale di linea fra il punto A e B non dipende dal tipo di linea che unisce i due punti, ma risulta uguale alla differenza che una funzione scalare (potenziale elettrostatico V ) assume agli estremi di integrazione ∫ B A E 0 • dl = VA − VB Calcolando l’integrale lungo una linea chiusa o circuitazione si ottiene un valore nullo ∫ E0 • dl = 0 Se il campo elettrico è determinato da cause che coinvolgono forze non conservative, allora il campo elettrico E non è conservativo quindi l’integrale di linea dipende dal tipo di linea scelta dal punto iniziale A fino a quello finale B: l’integrale di linea di un campo elettrico non conservativo è detto tensione elettrica, definita lungo una linea. Scegliendo differenti linee passanti per identici punti iniziali A e finali B, i valori delle tensioni elettriche sono differenti fra loro, pur essendo identici i punti A e B [figura 51] ∫ B A ∫ E • d l = τl1 B A [ figura 51] B dl E l1 A E • dl = τl2 dl l2 E Per calcolare la circuitazione di un campo elettrico non conservativo, si scelga la linea l1 dal punto A al punto B e le linea l2 dal punto B al punto A ∫ E • dl = ∫ B A E • dl + ∫ E • dl = ∫ E • d l − ∫ E • dl A B B A B A l1 l2 I due integrali di linea al secondo membro altro non sono che le tensioni elettriche τl1 e τl2 , calcolate fra gli stessi punti A e B seguendo linee differenti. Quindi ∫ E • d l = τl1 − τl2 ≠ 0 e al differenza fra le due tensioni elettriche viene detta forza elettromotrice E (f.e.m.): la forza elettromotrice E è data dalla circuitazione (integrale lungo una linea chiusa) del vettore campo elettrico non conservativo ∫ E • dl = E CONDUZIONE ELETTRICA I conduttori metallici solidi sono costituiti da un reticolo spaziale ai cui vertici vi sono gli ioni positivi, che si considerano fermi rispetto ai portatori liberi di carica (elettroni periferici di compartecipazione elettronica a più atomi) che si muovono liberamente in moto casuale e disordinato (in equilibrio elettrostatico) nel reticolo spaziale con una velocità termica vi . Il numero di elettroni per unità di volume è dato da n = N A ρ Z ≈ 1028 elettroni m3 ed in un piccolo volume, su scala macroscopica, la distribuzione delle velocità termiche vi risulta isotropa e casuale, ossia il valore medio è nullo 1 n < v > = ∑ vi = 0 n i =1 • Conduttori metallici a contatto: due conduttori abbiano differente potenziale (cioè differente stato di elettrizzazione oppure siano uno elettropositivo ed uno elettronegativo). Ponendoli a contatto geometrico in condizione di equilibrio elettrostatico acquisiscono identico valore di potenziale ( Δ V = 0 ) poiché si stabilisce il fenomeno transiente di un moto spontaneo ordinato di 38 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ • • • • • • • Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino elettroni dal conduttore a potenziale minore a quello a potenziale maggiore. Tale fenomeno viene detto conduzione elettrica ed il moto ordinato degli elettroni si chiama corrente elettrica. Il fenomeno è transiente in quanto la sua durata è limitata dell’ordine di grandezza del tempo τt d 0 c (con d 0 la dimensione tipica dello spazio percorso, c la velocità della luce nel vuoto). Generatore di forza elettromotrice (f.e.m.): dispositivo che permette di mantenere una d.d.p. fra due conduttori a contatto (o fra due punti di uno stesso conduttore) per un tempo sufficientemente lungo. In tale situazione, il moto degli elettroni (portatori di carica) definisce una corrente elettrica in condizione di equilibrio dinamico e non più elettrostatico. Pila di Volta: coppia di conduttori metallici (elettrodi) a differente potenziale immersi in un elettrolita costituito da un acido forte (ad esempio acido solforico H 2SO 4 ) a bassa concentrazione. Tipicamente uno degli elettrodi è il rame che presenta la tendenza a cedere elettroni (risultando Cu + ), l’altro lo zinco che presenta la tendenza ad acquisire elettroni (risultando Zn − ): la d.d.p. fra gli elettrodi resta costante per un tempo lungo fino all’insorgere del fenomeno della polarizzazione. f.e.m. della pila: date N coppie di conduttori metallici tipo Cu / Zn , ognuna delle quali presenta una d.d.p. Δ V fissa e caratteristica per ogni coppia di metalli, le f.e.m. complessiva è data da E = NΔ V . Corrente elettrica: collegando gli elettrodi di un generatore di f.e.m., si stabilisce un moto ordinato di elettroni ed il lavoro speso per mantenerli in moto è fornito dal generatore che trasforma energia chimica in energia elettrica. Conduzione elettrica − Nei gas: essendo neutri gli atomi che li costituisco, non esistono cariche libere di muoversi. I gas non sono conduttori a meno che un agente ionizzante generi al loro interno coppie (elettroni/ioni positivi) che si muovono in moto disordinato. Un elettrone catturato da uno ione positivo definisce un processo ricombinazione con risultato finale un atomo neutro, un elettrone catturato da un atomo definisce un processo di cattura con risultato finale uno ione negativo, un atomo neutro che ceda un elettrone definisce il fenomeno della dissociazione con risultato finale uno ione positivo. − Nei liquidi: allo stato puro non posseggono cariche libere però sali e acidi si dissociano formando ioni positivi (che si muovono concordemente alla direzione del campo elettrico) e negativi (che si muovono discordemente alla direzione del campo elettrico). Resistenza elettrica: l’azione esercitata dalle forze passive agenti sui portatori di carica in moto è detta resistenza elettrica. Per vincere tale resistenza è necessario spendere lavoro ottenibile come energia interna dal generatore di f.e.m. Intensità della corrente elettrica: si consideri un conduttore nel quale vi siano N portatori di carica libera che, sotto l’azione di un campo elettrico E , subiscono l’azione F = qE . Un tale forza determina il loro moto ordinato delle cariche libere con una velocità v d (detta di deriva). La velocità vd non solamente è differente da quella di agitazione termica vi (ogni carica ha una velocità termica), ma è la stessa per tutti i portatori a parità di carica. Una qualunque sezione ΔS del conduttore, nell’intervallo temporale Δ t è attraversato dalla carica Δ q . Il limite per Δ t → 0 del rapporto incrementale Δq Δ t è detto intensità della corrente Δ q dq = i = lim Δt → 0 Δ t dt la cui unità di misura è {i} = {q} {t} = {1C} {1s} = {1A} o ampère. La definizione dell’intensità di corrente ha una validità assolutamente generale e si applica anche a fenomeni dipendenti dal tempo. I tre vettori E , F e vd risultano tutti paralleli fra loro e concordi per identici portatori di carica. Si consideri la sezione dS di un conduttore al quale sia applicato un campo elettrico E non conservativo e detta n la normale alla superficie considerata, che forma l’angolo θ con la direzione del campo elettrico, [figura 52], la quantità di carica che attraversa la sezione considerata nel tempo dt è pari a quella contenuta nel volume dW, ossia 39 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino (32) dq = nq dW dS essendo n = dN dW il numero di portatori di carica per unità di E volume. Il volume dW è quello compreso nel cilindro di superficie dS e altezza vd dt (spazio percorso dai portatori di carica nel tempo n v d dt dt ) ed il suo calcolo è semplice in quanto, normalizzando la superficie dS rispetto alla direzione del campo elettrico E dS dS0 = dScos θ , si ricava dW = dS0 vd dt = vd dt dScos θ . n dS0 Sostituendo la relazione nella (32) si ha [ figura 52 ] dq = nq vd dScos θ dt e dividendo per il tempo dq → (intensità) = nqvd dScos θ (33) dt Nella relazione (33) la superficie dS è orientata secondo la normale n , la velocità di deriva è un vettore e definendo una nuova grandezza vettoriale detta vettore densità di carica avente − modulo uguale a nqvd (rappresenta il numero, per unità di volume, di portatori di carica che nel tempo dt attraversano la sezione dS ), − direzione coerente con quella di vd − unità di misura { j} = {i} {S} = {1A} {1m 2 } j = nqv d la relazione (33) può essere scritta in annotazione vettoriale dq → (intensità) = j • n dS dt Si osservi che il secondo membro è un differenziale, quindi lo deve essere anche il primo di = j • n dS = jdS 0 e si definisce densità di corrente j la corrente che attraversa una qualsiasi sezione unitaria di un conduttore, purché la sezione sia normale alla direzione di moto dei portatori di carica. L’intensità i di una corrente risulta uguale al flusso del vettore densità di corrente j attraverso ad una qualunque sezione del conduttore. Attenzione: i portatori di carica q possono essere positivi o negativi e si hanno i seguenti casi − q > 0 si ha ⎫ ⎯⎯⎯⎯→ E ⎪ v+ ⎯→ ⎬ E parallelo e concorde con j+ j+ = n + qv + ⎪⎭ ⎯⎯⎯→ − q < 0 si ha ⎫ ⎯⎯⎯⎯→ E ⎪ v+ ←⎯ ⎬ E parallelo e concorde con j− j− = − n − qv − ⎪⎭ ⎯⎯⎯→ Il vettore densità di corrente risulta sempre concorde con il campo elettrico, indipendentemente dal segno dei portatori di carica. Nei materiali ionizzati, i portatori di carica sono sia quelli di segno positivo sia quelli di segno negativo ed il vettore densità di corrente è dato da j = j+ + j− = n + qv + − n − qv − • Per conduttori metallici: i portatori di carica sono gli elettroni di compartecipazione elettronica e si ha j = − nev d 40 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ • Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Su scala macroscopica è impossibile correlare il verso di circolazione della corrente con il segno dei portatori di carica. Su scala microscopica, unicamente per i conduttori metallici è possibile stabilire il segno dei portatori ci carica che sono elettroni (effetto Hall). Convenzione: il verso di circolazione di una corrente elettrica in un conduttore è quello corrispondente al moto dei portatori di carica positiva, che si muovono da un punto a potenziale maggiore verso un punto a potenziale minore (simbolicamente + → − ) anche perché j E in ogni caso. CONSERVAZIONE DELLA CARICA ELETTRICA Si consideri un conduttore di superficie S e volume WS percorso da una corrente elettrica di intensità i (si ricordi: la quantità di carica che, in un dato intervallo temporale, attraversa una qualsiasi sezione del conduttore). Introducendo il vettore densità di corrente, l’intensità è definita come il flusso del vettore j attraverso alla superficie del conduttore considerato i = ∫∫ j • n dS (34) S Il segno del prodotto scalare, quindi il segno della corrente, implica che ⎧ ⎧ +q uscente ⎪> 0 ⎨ ⎪ ⎩ −q entrante j•n ⎨ ⎪< 0 ⎧+ q entrante ⎨ ⎪ ⎩−q uscente ⎩ Se all’interno del conduttore vi fossero delle cariche q, l’intensità i delle corrente che lo attraversa potrebbe subire una variazione correlata alla variazione temporale di tali cariche q e precisamente se − l’intensità aumentasse di valore ciò implicherebbe una diminuzione delle cariche interne al conduttore − l’intensità diminuisse di valore ciò implicherebbe un aumento delle cariche interne al conduttore Una tale situazione analiticamente impone che sia ∂q i=− (35) ∂t Sostituendo la (34) nella (35) e ricordando che q = ∫∫∫ ρ dW , si ha WS ∂ ∫∫ j • ndS = − ∂ t ∫∫∫ ρdW S WS c d alla relazione c si applichi il teorema della divergenza e nella relazione d si osservi che la derivata è fatta rispetto al tempo mentre l’integrale coinvolge le coordinate spaziali, quindi è possibile scambiare le due operazioni ⎛ ∂ρ ⎞ div j dW = ∫∫∫ ⎜ − ⎟ dW ∫∫∫ ∂t ⎠ WS WS ⎝ Essendo identico il dominio di integrazione ed uguali gli integrali, si uguaglino gli integrandi ∂ρ divj + =0 ∂t L’equazione descrive la formulazione della continuità della corrente elettrica che esprime in forma dinamica la conservazione della carica. − Caso stazionario: le cariche interne al conduttore non variano nel tempo (ossia ρ = cost ), quindi div j = 0 i= ∫∫ j • ndS = cost S 41 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino il vettore densità di corrente resta costante nel tempo (il campo descritto dal vettore risulta solenoidale). Si consideri un tubo di flusso racchiuso dalle due superfici dS1 (orientata secondo n1 ) e dS1 (orientata [ figura 53] secondo n 2 ): il flusso del vettore j attraverso alla superficie complessiva del tubo è nullo [figura 53] n2 n1 d Φ tot j = d Φ1 j + d Φ 2 j + d Φ lat j = dS2 dS1 j () () () () j⊥n′ dS1 = j • n1dS1 + j • n 2 dS2 = 0 <0 dS2 >0 Ricordando la definizione di intensità di corrente, il flusso d Φ1 j definisce la corrente − di1 entrante ed () il flusso dΦ ( j ) definisce la corrente + di 2 2 vd vd uscente. Poiché − di1 + di 2 = 0 , l’integrale descrive proprio che l’intensità della corrente entrante è uguale a quella della corrente uscente per cui i = cost . − Attenzione: è la carica che resta costante, mentre l’intensità può variare. Infatti considerando un conduttore a sezione variabile, la velocità di deriva aumenta diminuendo la sezione. La velocità di deriva è correlata al vettore j il cui flusso definisce l’intensità [figura 53]. MODELLO CLASSICO DELLA CONDUZIONE ELETTRICA La teoria classica fu proposta da Drude e sviluppata da Lorentz. Si basa sul presupposto che in un conduttore metallico i vertici del reticolo sono occupati dagli ioni positivi, che sono considerati fermi rispetto agli elettroni liberi che vagano nel reticolo secondo un moto disordinato con velocità termica vi . − Nella condizione imperturbata, le direzioni del moto sono casuali ed ( E = 0) isotrope (non esistendo una direzione preferenziale lungo la quale avviene il moto), il valore medio delle velocità termiche risulta nulla 1 N [ figura 54 ] < v > = ∑ vi = 0 N i =1 Gli elettroni interagiscono con gli ioni positivi tramite urti ed un elettrone percorre fra due urti consecutivi una traiettoria rappresentata da un segmento di lunghezza l0 (distanza libera media) ed il tempo medio impiegato a percorrerla vale τ = l0 vi [figura 54]. − Applicando una differenza di potenziale ΔV ai capi del conduttore metallico, si genera un campo elettrico E che esercita la forza F = − eE su ogni singolo elettrone libero in moto casuale. Tale forza è diretta in verso opposto a quello del campo e per la II legge della dinamica dv e F = − eE = ma = m a=− E dt m ed il moto conseguente è vario. Ogni singolo elettrone acquisisce un moto organizzato e la direzione preferenziale risulta parallela al campo E . La velocità istantanea di ogni singolo portatore di carica è data dalla sovrapposizione della velocità termica vi e della velocità vd riferibile all’azione del campo E (questa velocità è detta velocità di deriva). La velocità termica ha valore differente per ogni singolo elettrone, la velocità di deriva (essendo la carica identica) è la stessa per tutti gli elettroni (portatori di carica libera). Fra due urti consecutivi contro gli ioni (ad esempio posti nei punti Pk e Pk +1 ), la traiettoria descritta in questa situazione è un arco di parabola [figura 55]. 42 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Sia v k la velocità di un elettrone subito dopo l’urto in Pk e v k +1 subito prima del successivo urto in Pk +1 . ( − e) Poiché la velocità di deriva è la stessa per tutti gli elettroni ed essendo v d << vi , il tempo medio τ E (impiegato a percorrere l’arco di parabola compreso fra i due punti) resta sostanzialmente lo stesso di quello riferito alla situazione imperturbata. La relazione per la determinazione della velocità in un vk moto vario è e v k +1 = v k + a τ = v k − E τ Pk m Calcolando il valore medio delle velocità su un numero molto grande di urti si ricava 1 N e < v > = ∑ vk − E τ N k =1 m [ figura 55 ] v k +1 Pk +1 (*) La sommatoria (*) ha valore nullo, com’è stato illustrato nella situazione imperturbata, quindi il valore medio risulta essere costante e dipendente unicamente dal campo elettrico, responsabile della velocità di deriva. È coerente definire la velocità di deriva come e vd = - τ E m Interpretazione: durante ogni urto contro uno ione, la direzione di moto dell’elettrone viene persa, ma subito dopo l’azione del campo elettrico ristabilisce tale la direzione. La precedente relazione si può riscrivere come m vd = − e E τ = − Fτ = − i che rappresenta il teorema dell’impulso: durante ogni urto l’elettrone dissipa la quantità di moto mvd , ma l’impulso i = F τ la ristabilisce. Calcolando la densità di corrente elettrica si ricava ⎛ e2 τ ⎞ ne 2 τ (36) E = j = − nev d = − n ⎜ − E ⎟ m ⎝ m ⎠ ed il rapporto è una grandezza macroscopica, caratteristica del mezzo conduttore e correlata alle grandezze microscopiche carica e massa dell’elettrone. Si definisce conducibilità elettrica di un materiale conduttore la relazione n e2 τ σ= (conducibilità) m il cui inverso rappresenta la resistività del conduttore 1 m ρ= = 2 (resistività) σ ne τ Riscrivendo la (36) come relazione fra causa (il campo elettrico) e l’effetto (la circolazione di corrente) si ottiene la relazione di Ohm E = ρj j = σE I due vettori risultano paralleli e concordi, indipendentemente dal segno della carica, in quanto essa compare al quadrato. − In un conduttore qualsiasi, i cui portatori possono essere sia cariche positive che cariche negative, si ha qτ qτ v− = − − E velocità di deriva : v+ = + + E m+ m− densità di corrente : jtot = + n + qv + − n − q v − 43 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino m+ m− + 2 n + q τ+ n − q 2 τ− resistività : ρ tot = legge di Ohm : E = ρ tot j POTENZA TRASFERITA La forza F = − eE , che il campo elettrico esercita su un elettrone per mantenerlo in moto con la velocità di deriva vd , compie il lavoro dL = F • dl = − eE • vd dt = E • ( − evd ) dt Essendo n gli elettroni per unità di volume, il lavoro complessivo vale dL tot = ndL = E • ( − nev d ) dt = E • jdt Si definisce potenza dissipata la grandezza P= dL tot = E• j dt e quando gli elettroni urtano gli ioni, la potenza E • j viene ceduta al reticolo sotto forma di energia interna che determina un aumento della temperatura del sistema. Poiché il conduttore è in equilibrio termico con l’ambiente, il conduttore cede una certa quantità di calore (effetto joule della corrente in un conduttore). La potenza dissipata può essere espressa in varie formulazioni equivalenti, usando la legge di Ohm P = E • j = ρj2 = σ E2 • Conduttore a sezione costante (calibra): il conduttore di lunghezza l0 e sezione calibra S0 è percorso dalla • corrente di intensità i = jS0 . Ricordando la legge di Ohm, l’intensità vale 1 i = jS0 = S0 E ρ ossia ρ E= i S0 e se il campo elettrico all’interno del conduttore fosse uniforme, la d.d.p. ai suoi capi vale l0 ⎛ l ⎞ ΔV = ∫0 E • d l = El0 = ⎜ ρ 0 ⎟ i ⎝ S0 ⎠ La d.d.p. ai capi del conduttore risulta proporzionale all’intensità della corrente circolante, il fattore fra parentesi dipende dalla geometria del conduttore e dalle proprietà microscopiche del materiale che lo compone. Si definisce resistenza elettrica di un resistore calibro o resistore l R=ρ 0 S0 E la legge di Ohm per un simile resistore assume la forma ΔV = Ri Conduttore a sezione variabile: la d.d.p. dovrebbe essere scritta come i dV = ρ dl S ed integrando su tutta la lunghezza l0 dl ΔV = i ∫0 ρ S Definendo come resistenza del conduttore l’integrale 44 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino dl 0 S La legge di Ohm continuerebbe ad essere formulata come ΔV = Ri . l0 R=∫ ρ EFFETTI TERMICI DELLA COORENTE • Nei conduttori metallici puri la resistività varia in funzione della temperatura. In un intervallo di temperatura prossimo a θ = 20D C , la legge di variazione può essere definita come ρ ( θ ) = ρ0 (1 + α Δ θ ) essendo ρ0 la resistività a θ = 20D C e α il coefficiente termico definito da ρ ( θ ) − ρ0 1 ρ0 Δθ Il coefficiente termico per i metalli puri è sempre maggiore di uno; per il C, Si ed il Ge è sempre minore di uno. Quando la temperature tende allo zero della scala Kelvin (temperatura assoluta) la resistività tende ad un valore costante: per determinati materiali, detti superconduttori, quando la loro temperatura T risulta minore a quella critica Tcritica la resistività tende ad annullarsi. α= • Quando la corrente di intensità i = jS0 attraversa un conduttore calibro S0 di lunghezza dl , la potenza complessiva spesa per mantenere in moto gli elettroni è pari al prodotto della potenza per unità di volume moltiplicata per il volume 2 ⎧ ⎛ i ⎞ 2 ⎪P = ρj = ρ ⎜ ⎟ dl 2 d P = ρ i dP = P dW ⎨ S ⎝ 0⎠ S 0 ⎪ ⎩dW = S0 dl che integrata diventa P = Ri 2 Quando la carica dq si muove in un conduttore, al quale è applicata la d.d.p. ΔV , il lavoro speso vale dL = dq ΔV = i ΔVdt ed il lavoro totale speso per vincere la resistenza che agisce sugli elettroni in moto nel reticolo L = ∫ i ΔVdt = i ΔV t t 0 e la potenza dissipata è dL = i ΔV dt Ricordando la legge di Ohm, si ricavano le relazioni omologhe P= ( ΔV ) P = i ΔV = 2 R = Ri 2 RESISTORI I conduttori che obbediscono alla legge di Ohm nella formulazione ΔV = Ri e che dissipano una potenza P = Ri 2 (o relazioni simili) si dicono conduttori ohmici o resistori. Risultano definiti quando ad essi viene assegnato un ben preciso valore di resistenza elettrica R a temperatura ambiente ed il massimo valore della potenza dissipata senza che la struttura venga alterata. Il simbolo è rappresentato in [figura 56] 45 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ • Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Collegamento in serie: ogni singolo resistore è collegato R sequenzialmente a tutti gli altri e la d.d.p. totale ai capi del sistema è + − pari alla somma delle d.d.p. ai capi dei singoli resistori, mentre l'intensità della corrente che li attraversa è la stessa (identico numero di ΔV cariche passanti attraverso una sua qualsiasi sezione normale nell’unità [ figura 56 ] di tempo). Il sistema dei condensatori è sostituito da un resistore di resistenza R eq , ai cui capi la d.d.p. è la stessa del sistema VA − VD = ( VA − VB ) + ( VB − VC ) + ( VC − VD ) con VA − VB = R1i ⎫ ⎪ R3 R2 R1 C B A D VB − VC = R 2i ⎬ VA − VD = R eq i − + VC − VD = R 3i ⎪⎭ La relazione definisce che la resistenza equivalente di resistori in serie è uguale alla somme delle loro singole resistenze R eq = R1 + R 2 + R 3 La potenza dissipata è la somma delle singole potenze dissipate Peq = P1 + P2 + P3 = ( R1 + R 2 + R 3 ) i 2 • Collegamento in parallelo: i capi dei vari resistori, di pari polarità, sono collegati fra loro. La d.d.p. ai capi dei singoli resistori è la stessa VA − VB , mentre le intensità delle correnti che li attraversano sono differenti. Infatti la carica q che arriva al nodo A si distribuisce nei singoli rami che si dipartono secondo il valore delle resistenze (conservazione della carica) q q q q q = q1 + q 2 + q 3 = 1 + 2 + 3 R1 Δt Δt Δt Δt i = i1 + i 2 + i3 Il sistema può essere sostituito da un resistore di resistenza R eq ai cui capi la d.d.p. sia VA − VB e per il quale la legge di Ohm è VA − VB = R eq i A + R2 R3 ΔV B − i1 VA − VB = R1i1 ⎫ i2 i ⎪ VA − VB = R 2i 2 ⎬ i = i1 + i 2 + i3 i3 VA − VB = R 3i3 ⎪⎭ Sostituendo si ricava V − VB VA − VB VA − VB ⎛ 1 1 1 ⎞ 1 i = i1 + i 2 + i3 = A + + =⎜ + + ( VA − VB ) ⎟ ( VA − VB ) = R1 R2 R3 R eq ⎝ R1 R 2 R 3 ⎠ l'inverso della resistenza equivalente di resistori in parallelo è uguale alla somma dell'inverso delle singole resistenze 1 1 1 1 = + + R eq R 1 R 2 R 3 La potenza dissipata è la somma delle singole potenze dissipate Peq = P1 + P2 + P3 = R 1 i12 + R 2 i 22 + R 1 i32 46 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino FORZA ELETTROMOTRICE DEL GENERATORE Si consideri il semplice circuito di [figura 57] costituito da un generatore di f.e.m. E costante e di un resistore di resistenza R. Applicando la legge di Ohm e ricordando la definizione di f.e.m. G G E = v∫ E • d l = Ri Affinché si abbia circolazione di corrente nel circuito, internamente al G generatore deve essere prodotto un campo elettromotore E em G E0 sfruttando reazioni chimiche (nelle quali non agiscono forze conservative). Detto campo non è conservativo tuttavia, a causa dell’accumulo di cariche agli elettrodi del generatore, esiste anche un G campo elettrostatico E 0 che è conservativo. G + E em • Internamente al generatore: il campo elettrico è la A G B sovrapposizione del campo elettromotore e del campo E0 G G G elettrostatico E = E em + E 0 • Esternamente al generatore: esiste unicamente il campo G G [ figura 57 ] elettrostatico, quindi nel resistore è presente tale campo E = E 0 Calcolando la circuitazione del campo elettrico lungo il circuito si ricava G G G G G G G B G A G B G A G A G E = v∫ E • dl = ∫ E • d l + ∫ E • dl = ∫ E 0 • dl + ∫ E 0 • dl + ∫ E em • dl = τBA A B A B B esterno generatore interno generatore circuitazione La circuitazione del campo conservativo è nullo, mentre l’integrale di linea del campo elettromotore definisce la tensione elettrica lungo una linea qualsiasi fra l’elettrodo negativo e quello positivo del generatore. Ossia la forza elettromotrice del generatore E (imputabile all’azione del campo elettromotore E em ) è uguale alla tensione elettrica τ − + calcolata lungo una qualsiasi linea, interna al generatore, che parta dall’elettrodo negativo ed arrivi a quello positivo. Esiste circolazione di corrente fino a quando G G G G G E = v∫ E • dl = v∫ E em + E 0 • dl > 0 ( ) facendo riferimento alla [figura 57], calcolando il prodotto scalare G G G E = v∫ E • dl = v∫ ( E em − E 0 ) dl > 0 ossia E em > E 0 All’interno del generatore la corrente fluisce dall’elettrodo negativo a quello positivo ed essendo il generatore costituito da materiali reali, esiste anche una resistenza interna che si oppone alla circolazione dei portatori di carica. Si parla di generatore reale quando viene quantificata la sua resistenza interna r e la rappresentazione grafica del generatore è illustrata nella figura a lato. Considerando il circuito della [figura 57] con un generatore reale, si ha G G E = v∫ E • d l = R tot i = ( R + r ) i = Ri + ri = VA − VB + ri + r B − A + E resistore • VA − VB = E − r i Quando ai morsetti del generatore è collegato un circuito, la f.e.m. non coincide con la d.d.p. Ramo di un circuito: tratto di circuito nel quale possono essere presenti sia resistori sia sorgenti di f.e.m. Una volta definito il verso di circolazione della corrente nel circuito (quindi nel ramo), al valore delle singole f.e.m. deve essere associato il segno positivo se permettono il fluire della corrente nel verso scelto o il segno negativo se contrastano il fluire della corrente. Se la resistenza elettrica complessiva dei resistori inseriti nel ramo valesse R tot , deve valere la relazione 47 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino N VA − VB + ∑ Ei = R tot i i =1 − Quando N ∑E i =1 i = 0 , vale la classica legge di Ohm nella semplice formulazione VA − VB = R tot i − Quando VA − VB = 0 , si ha una circuito chiuso e N ∑E i =1 i = R tot i Nel ramo di [figura 58] si ha VA − VB + E1 − E2 = R tot i R r1 i A r2 E1 E2 B [ figura 58 ] STRUMENTI DI MISURA • Amperometro: strumento che misura l'intensità di una corrente elettrica. Se l'intensità è piccola, lo strumento è detto milliamperometro, microamperometro o galvanometro. L'inserimento dello strumento deve essere in serie rispetto all'elemento del circuito, per il quale si deve misurare l'intensità della corrente che lo attraversa. Si consideri un circuito costituito da un generatore di f.e.m. E , da un resistore di resistenza R e l'amperometro abbia resistenza interna r [figura 59] La legge di Ohm impone R − con l’amperometro: E = ( R + r ) i mis E R i [ figura 59 ] e confrontando le due espressioni si ricava r 1 E i mis = i r reale + 1+ R Le due intensità sono uguali quando i mis = i reale e ciò è verificato se la resistenza interna dell'amperometro risulta trascurabile rispetto a quella del resistore r << R . Voltmetro: strumento che misura la d.d.p. fra due punti di un circuito. L'inserimento deve essere in parallelo con l'elemento del quale si desidera misurare la d.d.p. e per evitare che la corrente circolante passi preferenzialmente attraverso lo strumento, si aggiunge in serie alla resistenza interna r dello strumento una resistenza aggiuntiva R s detta shunt. Applicando la legge di Ohm R B A − con il voltmetro: (VA − VA )mis = R eq i − + R (Rs + r) 1 1 1 essendo = + = R eq R R s + r R + R s + r r Rs [ figura 60 ] − senza voltmetro: (VA − VB )reale = R i − senza amperometro: • i reale = e confrontando le due espressioni, si ricava (VA − VB )mis = Rs + r (VA − VB )reale R + Rs + r 48 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Quando la resistenza di shunt è maggiore di quella del resistore R s >> R , (essendo la resistenza interna del voltmetro necessariamente trascurabile rispetto alle altre due), i due valori delle d.d.p. risultano essere uguali (VA − VB )mis = (VA − VB )reale . GENERALITÀ DEL CAMPO MAGNETICO Alcuni minerali come Fe O ⋅ Fe 2 O3 presentano la caratteristica di attrarre a sé piccoli oggetti (di ferro o contenenti ferro) e tale proprietà non risulta diffusa in tutto il materiale, ma semplicemente in zone circoscritte. Tali aree ristette sono dette poli magnetici e Gilbert stabilì che fra poli magnetici si esplica una interazione attrattiva o repulsiva. Dedusse che devono esiste polarità di segno opposto: polarità differenti si attraggono, polarità omologhe si respingono. Tali caratteristiche continuano a sussistere anche frazionando il materiale che le presenta in elementi di piccolo volume e soprattutto la proprietà magnetica di un corpo non è imputabile alle cariche elettrostatiche che eventualmente potessero essere presenti sul corpo. • Si definisce calamita una struttura contenente ferro che è stato magnetizzato o per contatto con un altro corpo magnetizzato oppure tramite un qualche processo. • Dipolo magnetico: la contemporanea presenza della doppia N tg polarità in ogni materiale magnetico, suggerisce che il dipolo Stm magnetico sia l’elemento rappresentativo del campo magnetico. Il dipolo magnetico è descritto dal momento di 15° dipolo magnetico, un vettore orientato dalla polarità negativa a quella positiva. Non avendo significato parlare di masse magnetiche nel significato letterale del termine, nel dipolo G m magnetico le masse magnetiche sono nulle per definizione. Allo stato attuale della ricerca, non esistono evidenze sperimentali che esistano monopoli magnetici liberi. • Ago magnetico: sottile sbarretta di ferro magnetizzato. Sospendendo ad un filo un ago magnetico, qualunque sia la posizione iniziale, questi tenderà sempre ad orientarsi lungo la direzione tangente al meridiano terrestre passante per il punto [ figura 61] di sospensione. Tale fatto suggerisce che la Terra debba N tm S tg possedere un campo magnetico naturale. Facendo riferimento alla [figura 61], si deduce che − il polo dell’ago magnetico orientato verso il polo geografico terrestre nord è detto polo nord magnetico ed è considerato positivo, − il polo dell’ago magnetico orientato verso il polo geografico terrestre sud è detto polo sud magnetico ed è considerato negativo I poli magnetici terrestri interagiscono con quelli dell’ago magnetico esercitando una forza attrattiva, ma ciò significa che nell’emisfero nord geografico terrestre deve essere sede del polo magnetico terrestre sud ( Stm ) e nell’emisfero sud geografico terrestre deve essere sede del polo magnetico terrestre nord ( N tm ). Il momento di dipolo magnetico dell’ago magnetico forma un angolo di circa 15° gradi con l’asse di rotazione terrestre passante per i poli geografici (rispettivamente N tg e Stg ). I poli • magnetici terrestri non sono fissi e analizzando lo stato di magnetizzazione di reperti fossili o di materiali sedimentari si è osservato una variazione sia dell’intensità sia dello stato di magnetizzazione del campo magnetico terrestre durante le ere geologiche. Caratteristiche del campo magnetico: Oersted, Ampère e Maxwell stabilirono che − il campo magnetico è correlato al moto di cariche elettriche − il campo magnetico esercita un’azione su cariche in moto non uniforme − il campo magnetico esercita un’azione su un conduttore percorso da una corrente elettrica 49 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ • Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino − fra conduttori percorsi da una corrente elettrica si esercita una interazione elettrodinamica imputabile ai campi magnetici generati dalle correnti − una spira o circuito reale chiuso, percorso da una corrente elettrica, esplicita un effetto equivalente ed indistinguibile da quello generato da un dipolo magnetico purché i due momenti di dipolo (magnetico) siano uguali − un campo magnetico variabile nel tempo è sempre correlato ad un campo elettrico non conservativo − il campo elettrico ed il campo magnetico presentano una univoca esistenza, definendo il campo elettromagnetico Linee del campo magnetico: a causa della contemporanea presenza N (+) delle due polarità, le linee del campo sono linee chiuse, orientate dal polo nord (+) al polo sud (−). Considerando una generica G m superficie chiusa tutta contenuta nel campo, se non esistono sorgenti al suo interno, il flusso totale del campo è nullo [figura 62]. Cioè il numero di linee entranti è pari a quello delle linee uscenti e per il teorema della divergenza il campo magnetico risulta solenoidale. S Un campo magnetico è definito tramite la grandezza intensità del G campo H , l’azione del campo sulla materia è descritta dal vettore G induzione magnetica B (vedere il capitolo relativo alla descrizione del comportamento della materia in presenza di campi magnetici). S ( − ) Per comodità di trattazione, fino a quando non verrà esplicitamente [ figura 62] G scritto, verrà utilizzato il vettore induzione magnetica B per indicare G un campo magnetico anziché di H . Per quanto detto G G G G Φ B =w divB = 0 ∫∫ B • ndS = 0 ( ) S Considerando una qualsiasi linea chiusa in un campo magnetico, esistono infinite superfici che hanno come contorno la predetta linea chiusa: il flusso attraverso a tutte queste superfici è sempre nullo, purché siano tutte equiorientate G G G G G G G G ∫∫ B • ndS = ∫∫ B • ndS = ∫∫ B • ndS = " = ∫∫ B • ndS S1 S2 S3 Sn Tale integrale esprime il flusso concatenato di un campo magnetico ad una linea chiusa orientata. Confrontando le equazioni del campo elettrostatico (conservativo) e del campo magnetico (solenoidale) si ha G G G G 1 E w ∫∫S 0 • ndS = ε0 q w ∫∫S B • ndS = 0 G 1 G divE 0 0 = ρ divB = 0 ε0 FORZA MAGNETICA SU CARICA IN MOTO G Una carica q si trovi in una regione di spazio nella quale sia presente un campo B : se la carica è in quiete nel medesimo sistema di riferimento del campo, non agisce alcuna forza. Se la carica si muovesse con una velocità G v rispetto al riferimento, su di essa agirebbe una forza (detta di forza di Lorentz) definita dalla relazione G G G FL = qv × B G G − modulo: dato da FL = qvBsin θ , essendo θ l’angolo formato fra i vettori v e B [figura 63] se v = 0 , la forza agente è nulla G G se v / /B , la forza agente è nulla G G se v ⊥ B , la forza agente ha valore massimo 50 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino G G − direzione: normale al piano definito dai vettori v e B − verso: quello della “vite” allineata lungo la direzione e ruotata G G secondo v → B . G Ricordando che il vettore velocità v è sempre tangente in ogni punto alla traiettoria descritta, per proprietà del prodotto vettoriale il vettore risulta G G sempre normale al piano contenete v e B , quindi è anche normale alla traiettoria in ogni suo punto. Calcolando il lavoro compiuta dalla forza di Lorentz G 1 BG 1 L AB = ∫ FL • dl = mv 2B − mv A2 = 0 A 2 2 G v θ G B [ figura 63] G FL ⊥ teorema energia cinetica da cui si ricava che v A = v B = cost La velocità resta costante in modulo, ma non in direzione. Infatti per il II principio della dinamica dv ⎧ ⎪a t = dt G G G ⎪ FL = ma = ma t u t + ma n u n ⎨ 2 ⎪a = v ⎪⎩ n ρ Essendo costante la velocità in modulo v t = 0 , l’unica accelerazione è quella normale o centripeta. Quindi (37) FL = qvBsin θ = m v2 ρ G − Dalla relazione (37), se θ = π 2 e se B è uniforme, si ricava G v v2 mv ρ= (q) ρ q B G Essendo tutte le grandezze a secondo membro costanti, anche il G G F B L ω raggio di curvatura risulta costante e la traiettoria risulta essere una circonferenza di raggio [figura 64] mv R= q B R La forza di Lorentz è sempre diretta verso il centro della [ fugura 64 ] circonferenza. La velocità angolare è data da G G G G G G G qv × B = ma n = mω× v = v × ( − mω) G q G ω=− B m G G − se q > 0 , ω e B sono antiparalleli ed il moto avviene in senso orario, G G − se q < 0 , ω e B sono paralleli ed il moto avviene in senso antiorario, Il periodo di percorrenza di una sola circonferenza vale 2π m = 2π T= ω qB La relazione B = mv qR rappresenta la definizione operativa del campo magnetico in quanto non occorre esprimere, tramite una unità di misura fondamentale, la massa magnetica ed il momento di dipolo magnetico. Inoltre è possibile, misurando la massa e la carica della particella, la sua velocità ed il raggio di curvatura della traiettoria, determinare il valore del campo di induzione qvB = m 51 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino G − Se θ ha valore qualsiasi e se B è uniforme, nella relazione della forza di Lorentz è possibile scomporre la velocità in due G G componenti: una componente v n , normale alla direzione di B ed G una componente v B lungo la direzione del campo [figura 65]. G G G Algebricamente v n = v sin θ e v B = v cos θ . La componente v n (normale al campo) determinerebbe un moto circolare piano secondo G quanto esposto mentre la componente v B sposterebbe il piano lungo la direzione del campo. Il moto reale della carica è deducibile dalla composizione di un moto piano e di un moto rettilineo, ossia un moto spaziale elicoidale. Nel periodo T, durante il quale la traiettoria circolare sarebbe compiuta il piano che la contiene si sposterebbe in avanti di un tratto mv d = v B T = 2π cos θ q B e tale distanza è detto passo dell’elica. G vn G vB G FL G v θ G B [ figura 65] FORZA MAGNETICA SU UN CONDUTTORE PERCORSO DA CORRENTE Di consideri un elemento di conduttore metallico di sezione S0 e lunghezza dl percorso da una corrente di G G intensità i (si ricordi che il moto ordinato degli elettroni liberi definisce una densità di corrente j = − nev d ). Il G G G G campo di induzione B esercita su ognuna delle cariche libere la forza di Lorentz FL = − ev × B e la risultante di G G tali forze vale dFL = dN FL . Il numero d N di elettroni liberi contenuti nel volume dW = S0 dl vale dN = ndW . La risultante di tutte le forze magnetiche risulta pari a G G G G G G G G dF = n FL dW = − nev × B dW = jdW × B = jS0 dl × B ( ) Orientando in modo omologo il vettore densità di corrente e la lunghezza dell’elemento di conduttore, è possibile riscrivere G G G G G G G dF = jS0 dl × B = jS0 d l × B = idl × B N i G G G La relazione dF dW = j × B rappresenta la risultante, per unità di volume, di G tutte le forze di Lorentz agenti sugli elettroni liberi del conduttore. La forza dl G magnetica esercitata su un conduttore percorso da una corrente vale j [figura 66] G G G dF = i dl × B G B La relazione, detta I legge di Laplace, non ha validità fisica in quanto non è G sensato trattare un elemento infinitesimo di conduttore percorso da una dFL [ figura 66 ] corrente. Tuttavia è molto comodo utilizzare la relazione infinitesima a fini di calcolo. Nel caso di un conduttore di lunghezza finita, la forza agente è G G K F = ∫ idl × B H e per correnti stazionarie G K G F = i ∫ dl × B H 52 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Il significato fisico rappresenta una legge macroscopica di base che evidenza come l’azione di un campo magnetico su un conduttore, percorso da una corrente, sia correlata al moto di deriva dei portatori di carica e non allo loro velocità termica. Se nel conduttore non circolasse corrente, la forza magnetica non esisterebbe. G − Conduttore rettilineo piano: la sua lunghezza è H − K = l0 e la forza agente è G G F = i (K − H)× B F = il0 B (38) − Conduttore curvilineo piano: suddividendo la sua lunghezza G in infiniti elementi infinitesimi di lunghezza d l , su ognuno di G G G essi agisce la forza dF = id l × B . Integrando su tutta la lunghezza HK [figura 67] G G G K G F = i ∫ dl × B = i ( K − H ) × B K [ figura 67 ] In quanto l’integrale rappresenta il vettore ( K − H ) , che è la H G risultante di tutti vettori infinitesimi d l . La forza magnetica su un conduttore piano percorso da una corrente è indipendente dalla forma del conduttore in quanto dipende solamente dalla posizione iniziale e finale del conduttore. Quando H ≡ K (circuito chiuso) la forza agente è nulla: su una spira non agisce alcuna forza magnetica. H AZIONE MECCANICA ESERCITATA DA UN CAMPO MAGNETICO SU UNA SPIRA PERCORSA DA COORENTE Si consideri una spira rettangolare di lati AB = CD = a e BC = DA = b percorsa da una corrente di intensità i. La superficie della spira S = ab sia orientata secondo la G normale n , definita in accordo con il verso di circolazione G della corrente e l’angolo formato fra la normale n ed il G campo B sia θ [figura 68].) Essendo i lati della spira rettilinei, si di essi agisce una forza magnetica definita dalla relazione (38) e cioè G G − lato AB : F1 = i ( B − A ) × B F1 = iaBsin θ G G F2 = ibBsin θ − lato BC : F2 = i ( C − B ) × B G G F3 = iaBsin θ − lato CD : F3 = i ( D − C ) × B G G F4 = ibBsin θ − lato DA : F4 = i ( A − D ) × B G F4 D G n θ A O′ G F3 C O G F1 B G F2 [ figura 68 ] G B Tenendo presente la definizione del verso del prodotto vettoriale si ricava che G G − la forza F1 e la forza F3 hanno identico modulo, stessa retta di azione e verso opposto. Quindi la loro G G G risultante è nulla e non forniscono alcun contributo all’azione del campo B sulla spira F3 = − F1 . G G − la forza F2 e la forza F4 hanno identico modulo, ma non hanno la medesima retta di azione, quindi costituiscono una coppia di forze agenti sulla spira. La loro risultante è nulla, ma il loro momento meccanico è non nullo e tale momento esercita un’azione sulla spira. Scegliendo come asse di G G riferimento OO′ , il momenti meccanici di F2 ed F4 si sommano per definire il momento meccanico risultante. Calcolando i momenti meccanici delle due forze: essi agiscono nello stesso verso ed inoltre i bracci di tali forze sono normali alle loro rette di azione e di identico valore a sin θ 2 [figura 69] 53 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino a ⎧ G G n F4 ⎪⎪ M 2 = ibB 2 sin θ θ ⎨ a 2 G ⎪ M = ibB a sin θ 4 B ⎪⎩ 2 a M OO′ = M 2 + M 4 = 2ibB sin θ G [ figura 69 ] (38) 2 F2 = iabBsin θ = iSBsin θ Il momento meccanico ed il campo di induzione sono due grandezze vettoriali, inoltre la superficie S è orientata G secondo la normale n coerente con il verso di circolazione della corrente. Ampère determinò che una qualsiasi spira, percorsa da una corrente elettrica, genera un campo magnetico indistinguibile dal campo generato da un dipolo magnetico, purché i due momenti di dipolo siano uguali: come momento magnetico della spira si definisce il vettore che ha per modulo il prodotto dell’intensità della corrente per la superficie della spira, per direzione e verso quello della normale orientata alla spira G G ms = iS n G G G La relazione (38) si scrive vettorialmente M OO′ = ms × B e poiché il momento meccanico di una coppia di forze risulta indipendente dalla scelta del polo (o dall’asse di riferimento) si può asserire in generale che G G G M = ms × B G G G M OO′ = M 2 + M 4 • Se la spira nella quale circola la corrente di intensità i fosse di forma irregolare, pur essendo piana, si potrebbe approssimarla con un grande numero di spire (di superficie dS ) equiorientate rispetto alla normale G n e con la medesima corrente i circolante nello stesso verso [figura G 70]. Il momento meccanico, determinato dall’azione del campo B , su una di esse vale G G G G G d M = dm × B d m = idSn Il momento meccanico totale si ricava integrando su tutto il volume G G G G G G G M = i ∫∫ dSn × B = iSn N× B = m× B S • G m G n [ figura 70 ] G G − quando θ = 0 : m / /B (concordi) (condizione di equilibrio stabile) G G (condizione di equilibrio instabile) − quando θ = π : m / /B (discordi) − per ogni altro valore di θ la spira, sotto l’azione del momento meccanico, ruota fino a raggiungere la posizione di equilibrio stabile corrispondente alla situazione del momento di dipolo magnetico parallelo al campo magnetico. G Si abbia una piccola spira di superficie S, posta in moto oscillatorio armonico in un campo B : lo studio delle piccole oscillazioni permette di determinare il valore del campo. Ruotando la spira di un angolo θ, rispetto alla posizione di equilibrio stabile, si determina un momento meccanico di reazione che tende a riportarla nella posizione iniziale di equilibrio d 2θ − iSBsin θ = IO 2 dt essendo i l’intensità della corrente circolante nella spira e I O il momento di inerzia rispetto all’asse del momento meccanico. Riscrivendo d 2 θ iSB + sin θ = 0 dt 2 IO e determinando l’equazione dimensionale del coefficiente si ricava la pulsazione 2 ⎡ iSB ⎤ ⎡ 1 ⎤ iSB 2 ω= ⎢ ⎥ = ⎢ −1 ⎥ = ⎡⎣ ω ⎤⎦ IO ⎣ IO ⎦ ⎣ T ⎦ 54 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Linearizzando l’equazione risolvente, ossia cercando la correlazione lineare fra causa ed effetto (fisica) e sviluppando la funzione seno in funzione di θ (analisi, sviluppo di Mc Laurin) si ha d 2θ + ω2 θ = 0 dt 2 Questa equazione differenziale del secondo ordine, lineare ed omogenea ammette come integrale generale θ ( t ) = θ0 sin ( ω t + ϕ ) con ωt + ϕ la fase e θ0 l’ampiezza iniziale. La fase iniziale ϕ (come anche l’ampiezza iniziale) si calcola tramite le condizioni iniziali del moto. Il moto è oscillatorio armonico di ampiezza costante e periodo di oscillazione T vale I 2π T= = 2π O ω iSB Ricavando da tale relazione il valore del campo magnetico si ottiene 4π iS B= 2 T IO ENERGIA POTENZIALE MAGNETICA Seguendo un procedimento analogo a quello illustrato nel caso del dipolo elettrico posto in un campo elettrico, G una spira percorsa da una corrente di intensità i posta in un campo B , quando risulta ruotata di un angolo θ rispetto alla posizione di equilibrio stabile, possiede una energia potenziale magnetica G G Um = − m • B G G G G G Confrontando le due relazioni M = m × B e U m = − m • B si deduce che dU m M=− dθ − quando θ = 0 : M = 0 e U m = − iSB (minimo, energia potenziale magnetica massimo negativa) − quando θ = π : M = 0 e U m = + iSB (massimo, energia potenziale magnetica massimo positiva PRINCIPIO DI EQUIVALENZA DI AMPÈRE Una qualsiasi spira, percorsa da una corrente di intensità i, genera un effetto equivalente ed indistinguibile da quello prodotto da un dipolo magnetico purché i due momenti di dipolo magnetico siano uguali in modulo, direzione e verso. Si consideri una generica spira (superficie S), percorsa da una corrente di intensità i, immersa in un campo magnetico e la si approssimi con N spire di superficie dS tutte equiorientate sia fra G loro sia rispetto alla normale n della superficie S [figura 71]. L’energia potenziale magnetica di ogni singolo elemento è G G G G G G G dU m = − dm • B = − idS nN • B = − iB • ndS = − id Φ B ( ) S G m G ms N [ figura 71] proprietà commutativa mentre quella complessiva è G G G U m = − i ∫∫ B • ndS = − iΦ B ( ) S G G Il campo B è solenoidale ( divB = 0 ) ed il flusso attraverso ad una qualsiasi superficie, che abbia come contorno la spira data, è sempre lo stesso. Tale flusso si dice concatenato al circuito e l’energia potenziale G magnetica vale dU m = − iΦ B . ( ) 55 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino UNITÀ DI MISURA • Dalla relazione di Lorentz si ricava che il modulo del campo magnetico vale G FL B= qv sin θ ed è possibile ricavare sia l’equazione dimensionale sia l’unità di misura G ⎡ FL ⎤ ⎡ LMT −2 ⎤ = ⎡⎣C−1LT −1 ⎤⎦ [ B] = ⎢ ⎥=⎢ −1 ⎥ θ qv sin C LT ⎦ ⎣ ⎦ ⎣ ⎧ ⎫ G ⎧ FL ⎫ ⎪ 1N ⎪ ⎧ 1N ⎫ {B} = ⎨ ⎬=⎨ ⎬=⎨ ⎬ = {1T} → ( tesla ) ⎩ qv sin θ ⎭ ⎪1C1 m ⎪ ⎩1A1m ⎭ s ⎭ ⎩ − Una unità ammessa nel S.I. per il campo magnetico è {1G} = {10−4 T} ossia {1 gauss} = {10-4 tesla} . − Il campo magnetico terrestre vale Bterra 10−5 T = 10−1 G − Il campo magnetico generato dai superconduttori ha valore Bsup er 101 T • Il flusso del campo magnetico ha come unità di misura G Φ B = {BS} = {1T1m 2 } = {1W} = {1 weber} { ( )} CAMPO MAGNETICO GENERATO DA CORRENTI • Conduttore filiforme: si consideri un conduttore filiforme percorso dalla corrente di intensità i e se ne G consideri un suo elemento infinitesimo di lunghezza d l [figura 72]. In un generico punto P dello spazio, a G G G distanza r = r u r il campo dB vale G μ i G G dB = 0 2 dl × ur 4π r con l’osservazione che: − μ 0 è una grandezza, detta permeabilità magnetica del vuoto, che G descrive il comportamento microscopico del mezzo (in questo dl caso il vuoto) e che dipende dal sistema di misura; i G G G P G − dB risulta normale al piano individuato dai vettori d l e u r con r ur il verso definito dal loro prodotto vettoriale; − la relazione NON ha significato fisico in quanto è incongruente G parlare di un elemento infinitesimo di circuito percorso da una ut G corrente. G dB G G G G Definendo un versore u t tangente al conduttore ( d l = dl u t ), la uθ ur relazione si riscrive G μ idl G G [ figura 72 ] (39) dB = 0 2 ( u t × u r ) 4π r G G G Considerando una terna ortonormale di versori u t × u r = u θ , la relazione (39) diventa 56 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ • Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino G μ idl G dB = 0 2 u θ 4π r Considerando il circuito completo, percorso dalla corrente stazionaria di intensità i, il campo magnetico è l’integrale calcolato lungo la linea chiusa rappresentante il circuito i G G G μ0 μ0 d l × u r μ0 dl G G dl G = B= i i ( u t × u r ) = i v∫ 2 u θ 4π v∫l r 2 4π v∫l r 2 4π l r Tale relazione è conosciuta come II legge di Laplace. Se r = cost , il modulo del campo è costante e la direzione è definita dal prodotto G G vettoriale ( u t × u r ) : tenendo conto della definizione di linea di campo, il luogo G dei punti equidistanti dall’elemento dl è una circonferenza contenuta in un piano [ figura 73] G normale al vettore dato e con B tangente in ogni suo punto [figura 73]. G Conduttore non filiforme: il conduttore abbia sezione calibra S0 e se ne consideri un elemento d l . L’intensità della corrente è definita da i = jS0 per cui G G G μ 0 idl × uG r μ 0 jS0d l × uG r dB = = 4π r 2 4π r2 G G Considerando l’orientamento del vettore densità di corrente j coerente con d l , si può intercambiare il segno di vettore G G μ 0 jS0 dl × uG r μ 0 S0 dl G G μ 0 dW G G μ jdW G G μ jdW G dB = = j × u = j × ur = 0 2 ( ut × ur ) = 0 2 uθ r 2 2 2 4π r 4π r 4π r 4π r 4π r G μ dW G G dB = 0 2 j × ur 4π r E per un circuito chiuso G μ μ μ dW G G j j G G G B = 0 ∫∫∫ 2 j × u r = 0 ∫∫∫ 2 dW ( u t × u r ) = 0 ∫∫∫ 2 dW u θ 4π W r 4π W r 4π W r ( ( ) ( ) ( ) ) CAMPO MAGNETICO GENERATO DA CARICA IN MOTO Il campo magnetico è correlato al moto di una carica con una velocità che non sia quella termica. Nel caso del conduttore non filiforme, l’elemento infinitesimo considerato ha volume dW = S0 dl ed il numero delle cariche libere contenute vale dN = ndW . Ognuna di esse si muove con una precisa velocità di deriva ed è possibile G G allora definire il vettore densità di corrente j = nqv che fluisce nell’elemento conduttore. Il campo magnetico G μ dW G G dB = 0 2 j × u r (40) 4π r G si può considerare come la risultante di tutti i campi magnetici B generati dalle d N cariche libere che G costituiscono la densità di corrente j , ossia G G G dB = BdN = B ndW (41) G Nella (40) sostituendo a j il suo valore G μ dW μ q G G G G dB = 0 2 ( nqv × u r ) = 0 2 ( v × u r ) ndW 4π r 4π r e confrontandola con la (41) si evince che il campo magnetico generato da una carica in moto vale ( ) 57 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino G μ q G G B = 0 2 ( v × ur ) 4π r Nel medesimo sistema di riferimento la carica in moto genera un campo elettrico dato da [figura 74] G 1 q G E= ur G 4πε 0 r 2 P E G e confrontando con la precedente espressione di B , si r deduce che G G μ0 G q G G μ0 G B G B= v × 2 ur = v × 4πε0 E ur 4π r 4π G v ossia G G G (q) B = ε 0μ 0 v × E [ figura 74 ] L’analisi dimensionale e numerica del coefficiente permette di evidenziare che 1 1 [ε0μ0 ] = ⎡⎢ −1 ⎤⎥ = ⎡⎢ 2 ⎤⎥ ⎣ LT ⎦ ⎣ v ⎦ 2 ⎛ ⎞ 1 1 1 ε 0μ 0 = ⎜ (c è la velocità della luce nel vuoto): c = ⎟ = 2 8 ε 0μ 0 ⎝ 3 ⋅10 m s ⎠ c Il campo magnetico generato da una carica in moto è dato dalla relazione G 1 G G B = 2 v×E c e si seduce il ruolo fondamentale delle cariche che si muovono con una velocità ben definita ed uguale per tutte le cariche: la velocità termica non influenza minimamente il meccanismo di generazione del campo G G G magnetico e la relazione fra v , B ed E vale per velocità v << c . CAMPO MAGNETICO GENETRATO DA UN CONDUTTORE PERCORSO DA CORRENTE • Lunghezza finita: il conduttore abbia lunghezza HK = 2l0 e sia percorso dalla corrente di intensità costante i 0 . Si consideri un riferimento con origine nel punto medio O del conduttore G [figura 75] e l’elemento i 0 dy a distanza y da O genera nel punto P un campo definito da G μ0 dyG × uG r dB = i0 4π r2 il cui modulo è μ i (42) dB = 0 02 sin θ dy 4π r Osservando la figura si ricava 1 sin 2 θ − x = r sin ( π − θ ) = r2 x2 cos θ y = −x − x = y tan ( π − θ ) = − y tan θ sin θ x differenziando dy = dθ sin 2 θ e sostituendo nella (42) si ricava 58 θ∗ K idy y O HK = 2l0 θ G ur π−θ r P x [ figura 75 ] H Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino μ0 i0 μ i sin θ d θ = − 0 0 d ( cos θ ) 4π x 4π x G L’elemento simmetrico − i 0 dy , a distanza − y da O, fornisce un contributo simile a quello dato dalla (43), per cui (43) dB = K K H O BP = ∫ dB = 2∫ d B ed essendo θ la variabile di integrazione, si hanno i valori − O :y=0→θ=π 2 cos θ = 0 ∗ − K : y = l0 → θ = θ cos θ∗ μ i cos θ∗ μ i BP = −2 0 0 ∫ d ( cos θ ) = − 0 0 cos θ∗ 0 4π x 2π x Sempre osservando la figura si ricava l0 cos ( π − θ∗ ) = − cos θ∗ = 2 l0 + x 2 e sostituendo si ricava μ i l0 BP = 0 0 (44) 2 2π x l0 + x 2 Si ricordi che le linee di campo sono circonferenze concentriche con origine il conduttore [figura 76] e avendo definito la terna ortonormale G G G di vettori u t × u r = u θ la precedente relazione assume la forma μ i l0 BP = 0 0 2π x l 02 + x 2 • • G ut G ur G uθ [ figura 76 ] Lunghezza indefinita: significa che il conduttore è filiforme con una lunghezza assolutamente prevalente rispetto al suo diametro. Calcolando il limite per l0 → ∞ della relazione (44) si ricava μ i l0 μ i B = lim 0 0 = 0 0 2 l0 →∞ 2π x 2π x ⎛x⎞ l0 1 + ⎜ ⎟ ⎝ l0 ⎠ Tale relazione è nota come la relazione di Biôt-Savart μ i BP = 0 0 2π x Spira circolare: il raggio della spira sia R, la corrente G circolante abbia intensità i0 costante ed punto P appartenga G i 0 dl ur [ figura 77 ] all’asse della spira [figura 77]. Considerando l’elemento G i 0 d l , che risulta sempre tangente alla spira, il campo nel R θ punto P è dato dalla relazione G G r G μ d l × ur G O i0 G dB = 0 i 0 (45) dBn dB 4π r2 G e si osservi che il versore u r risulta normale all’elemento G x i 0 d l , quindi il modulo della relazione vale G dBt μ0 i0 P dB = dl 4π r 2 mentre la direzione risulta ortogonale al piano contenete i due vettori del prodotto vettoriale. L’elemento G i 0 d l , diametralmente opposto a quello considerato, genera un campo uguale a quello definito nelle (45), ma rispetto all’asse della spira, speculare a questo [figura 78]. 59 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino G Determinando le componenti dei due campi dB rispetto all’asse ed in direzione normale, si osserva che le G due componenti dBn reciprocamente si compensano. Il campo complessivo risulta diretto lungo l’asse della spira μ i dBP = 2dBcos θ = 0 02 cos θ dl 2π r Il valore del coseno di θ si ricava ricordando che G r dB dB R R n θ cos θ = r quindi G x dBP μ0 R dBP = i 0 dl (46) 2π r 3 Una volta fissata la posizione del punto P, la distanza r [ figura 78 ] resta costante ed integrando la (46) per tutta la semilunghezza della spira πR si ottiene μ0 R R2 μ πR 2 μ i S μ m i 0 3 v∫ dl = μ 0i 0 3 = 0 i 0 3 = 0 03 = 0 3 2π r πR r π r 2π r 2π r G Il campo di induzione magnetica risulta parallelo e concorde con il momento magnetico m della spira e (47) BP = 1 poiché r = ( x 2 + R 2 ) 2 si ha G μ BP ( x ) = 0 π G m (x 3 2 + R2 )2 G : B∞ = 0 G G μ0 m − quando x >> R : BP π x3 Solenoide: si definisce solenoide un filo conduttore avvolto ad elica cilindrica di piccolo passo e raggio di curvatura R costante. Tecnicamente il solenoide è equivalente ad una serie di N spire (di raggio R) strettamente affiancate tutte percorse dalla corrente di intensità i 0 nello stesso verso. Si definisce numero di spire per unità di lunghezza il rapporto n = N l 0 , essendo l0 la lunghezza del G ni 0 dx solenoide. Dato il riferimento in [figura 79] con l’origine nel centro del solenoide e l’asse delle ascisse R r coincidente con il suo asse, nel tratto dx circola la P θ corrente ni 0 dx che genera nel punto P ( x ) un campo x x − quando x → ∞ • 0 magnetico con modulo definito dalla relazione (47) G μ R2 ni 0 dx dB ( x ) = 0 ni 0 3 dx (48) 2 r r θ2 Geometricamente si ha R = r sin θ e x − x 0 = −R cot θ θ1 (attenzione al segno!) e differenziando P R r dx = d θ = d θ sin 2 θ sin θ Sostituendo nella (48) si ottiene [ figura 79 ] μ0 μ0 dB ( x ) = ni 0 sin θd θ = − ni 0 d( cos θ ) 2 2 che integrata fra i valori cos θ1 e cos θ2 (i due angoli θ1 e θ2 sottendono dal punto P gli estremi del solenoide) fornisce il risultato 60 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino cos θ2 μ0 μ ni 0 ∫ d( cos θ ) = 0 ni 0 ( cos θ1 − cos θ2 ) cos θ1 2 2 Essendo l’origine del riferimento posto nel centro del solenoide, si ricava l0 +x 2 cos θ = cos ( π − θ ) = − cos θ = B(x) = − 1 2 2 2 ⎛l ⎞ R +⎜ 0 + x⎟ ⎝2 ⎠ e sostituendo nel valore del campo si ottiene ⎛ μ l0 + 2x l0 − 2x + B ( x ) = 0 ni 0 ⎜ 2 ⎜ 4R 2 + l + 2x 2 2 R 2 + ( l0 − 2x ) (0 ) ⎝ l0 per x = 0 : al centro del solenoide si ha BO ( x ) = nμ 0i 0 4R 2 + l02 2 per l0 >> R l0 −x 2 ⎛l ⎞ R2 + ⎜ 0 − x ⎟ ⎝2 ⎠ 2 ⎞ ⎟ ⎟ ⎠ : si ha θ1 → 0 con cos θ1 → 1 e θ2 → π con cos θ2 → −1 ed il valore bel campo diventa B = μ 0ni 0 Il campo all’interno di un solenoide risulta sufficientemente uniforme, anzi: tanto più il solenoide è lungo, tanto più il campo è uniforme con tutte le linee di campo parallele all’asse del solenoide con orientamento dalla polarità positivo o nord alla polarità negativa o sud. AZIONE ELETTRODINAMICA DELLE CORRENTI ELETTRICHE Dati due conduttori filiformi e complanari, percorsi dalle G correnti di intensità i1 e i 2 , si considerino i due elementi i1d l1 G G dB2 e i 2 d l2 paralleli fra loro e posti a distanza d 0 [figura 80]. G G G μ i − Il campo dB1 = 0 12 d l1 × u1 , generato dalla 4π d 0 G G i1d l1 corrente i1 , determina su i 2 d l2 la forza magnetica G G G G u1 dF12 = i 2 d l2 × dB1 (49) G G G G μ i u − Il campo dB2 = 0 22 dl2 × u 2 , generato dalla 2 d0 4π d 0 G corrente i 2 , determina su i1d l1 la forza magnetica G G G G dF21 = i1d l1 × dB2 (50) dB1 G G I due versori u1 e u 2 hanno identica retta di azione e sono G G legati dalla relazione u 2 = −u1 . Sostituendo nelle (49) e (51) i rispettivi valori, le due forze si possono riscrivere come 1 G G G μ 0 i1i 2 ⎡ G dF12 = d l2 × d l1 × u1 ⎤ ⎦ 4π d 02 ⎣ G G G G μ ii dF21 = 0 1 22 ⎡d l1 × d l2 × u 2 ⎤ 4π d 0 ⎣ ⎦ ( ( ) ) ( ) ( ) 2 Analizzando i doppi prodotti vettoriali si ricava 61 G i 2 d l2 [ figura 80 ] Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino ortogonali G G G G G G G G G 1 : d l2 • u1 d l1 − d l2 • d l1 u1 = − d l2 • d l1 u1 G G G G G G G G G 2 : d l1 • u 2 d l2 − d l1 • d l2 u 2 = + d l2 • d l1 u1 ortogonali G G e si deduce che le due forze dF12 e dF21 hanno moduli uguali, stessa direzione e verso opposto (sono attrattive) G G dF21 = − dF12 ( ( ) ) ( ( ) ) ( ( ) ) Per due conduttori filiformi rettilinei ed indefiniti, posti a distanza d 0 l’uno dall’altro e di lunghezza l0 , percorsi dalle correnti di intensità i1 e i 2 si ha μ 0 i1 2π d 0 μ i B2 = 0 2 2π d 0 B1 = F12 = i 2 l0 B1 F21 = i1l0 B2 e i due moduli hanno valore μ 0 i1i 2 l0 = F 2π d 0 Dividendo i moduli della forza per la lunghezza l0 si ottiene la forza per unità di lunghezza f = F l 0 agente sui due conduttori μ ii f= 0 12 2π d 0 F12 = F21 = • − Fra due conduttori affiancati, percorsi da correnti nello stesso verso, si determinano forze attrattive. − Fra due conduttori affiancati, percorsi da correnti in verso opposto, si determinano forze repulsive. Definizione operativa dell’ampère: la corrente di intensità 1A è quella corrente che, circolando in due conduttori paralleli e posti a distanza unitaria, determina fra loro una forza per unità di lunghezza pari a μ f= 0 2π LEGGE DI AMPÈRE • Formulazione integrale: si consideri un conduttore G i G filiforme indefinito percorso dalla corrente di intensità i u t uθ che genera un campo (legge di Biôt-Savart) G ur G μ0 i G B= uθ G 2π r G G G G B 2π (con u θ = u t × u r ). Calcolando la circuitazione di B lungo r una linea chiusa, orientata in accordo al verso di θ G percorrenza della corrente [figura 81] dl G G G μ0 1 G figura 81] [ v∫ B • dl = 2π i v∫ r u θ • dl G Se il tratto d l formasse un angolo θ con la direzione del campo, il prodotto scalare varrebbe [figura 82] G G u θ • d l = dl cos θ = ds G con ds componente di d l lungo la direzione del campo con valore ds = r d θ . La circuitazione vale 62 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ (51) G G Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino μ0 v∫ B • dl = 2π i v∫ dθ (i) Il valore dell’integrale dipende dal fatto che la linea chiusa risulti o meno concatenata con il conduttore percorso dalla corrente − Linea chiusa concatenata. L’angolo, con origine nel punto di intersezione del conduttore con il piano contenente la linea chiusa, che sottende la linea chiusa completa vale 2π . G B [ figura 82 ] r dθ ds G dl G Quindi l’integrale assume proprio tale valore e la circuitazione del campo B in tale caso risulta G G B v∫ • dl = μ0i Se la linea chiusa concatenasse più conduttori percorsi da correnti (concordemente o discordemente fra loro) si otterrebbe G G B v∫ • dl = μ 0 ∑ ik k e la sommatoria è di tipo algebrico. − Linea chiusa non concatenata: per ogni tratto ds 1 di curva ± dθ sotteso dall’angolo dθ , esiste un tratto ds 2 di curva sotteso • G B ( r1 ) G B ( r2 ) dall’angolo − d θ . Il valore dell’integrale risulta nullo [figura 83] − Attenzione: nell’ipotesi che la linea chiusa fosse concatenata con ds 2 ds1 il conduttore percorso dalla corrente, il valore dell’integrale di circuitazione potrebbe essere sia positivo sia negativo. Ciò figura 83] dipenderebbe se l’orientamento della linea chiusa risultasse [ coerente con il verso di percorrenza della corrente. − Validità: come per la legge di Gauss, la validità della legge di Ampère è assolutamente generale. Tale legge viene utilizzata quando si presenta una precisa simmetria per cui conviene ricercare la linea di integrazione rispetto alla quale il modulo del campo resti costante e la direzione sempre nello stesso verso. Formulazione differenziale: si abbiano più conduttori percorsi da G correnti di differente intensità i k ed ogni corrente generi un jk G campo magnetico Bk . G G G nk B= Bk (52) Sk k ∑ Si considerando una linea chiusa l , concatenata con i conduttori, lungo la quale calcolare la circuitazione del campo. Ogni corrente G i k è correlata al flusso del vettore densità di corrente jk attraverso ad una sezione del rispettivo conduttore. Per definire tali sezioni, si consideri una generica superficie S che abbia come contorno la linea chiusa: detta superficie intersecherà ogni conduttore definendo una sezione S k [figura 84]. Ossia G G i k = ∫∫ jk • n k dS k Sk La circuitazione del vettore definito dalla (52) lungo la linea chiusa vale G G G G (53) B • dl = μ i = μ 0∑ k 0 ∑ ∫∫ jk • n k dSk v∫ l k k Sl l [ figura 84 ] Sk Il termine a secondo membro rappresenta la densità di corrente complessiva che fluisce attraverso alla G superficie Sl , che ha come contorno la linea chiusa. Infatti il flusso di jk risulta differente da zero unicamente dove i conduttori intersecano la superficie Sl (determinando appunto le singole sezioni S k ), 63 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino mentre ha valore nullo in tutti gli altri punti. La (53) si può riscrivere come G G G G G G B • dl = μ j • n dS = μ ∑ 0 k k k 0 v∫l ∫∫S k ∫∫S j • n dS l N l G j Applicando il teorema del rotore o di Stokes al primo membro (la superficie che ha come contorno la linea chiusa data sia lo stesso di Sl ) JJJJGG G G G rot ∫∫ B • n dS = μ 0 ∫∫ j • n dS Sl Sl e dovendo essere uguali i due integrali estesi allo stesso dominio di integrazione, si ottiene JJJJGG G rot B = μ 0 j − Validità: per correnti stazionarie, nell’equazione di continuità G ∂ρ divj + =0 ∂t G deve essere ∂ρ ∂ t = 0 (ossia ρ = cost ) per cui div j = 0 e nella precedente equazione JJJJGG div rot B = 0 ( ) Se le correnti non fossero stazionarie JJJJG G ∂ρ div rotB = − μ 0 ∂t ( ) MUTUA INDUZIONE E AUTOINDUZIONE • Il circuito 1, avente lunghezza l1 e percorso dalla corrente di intensità i 1 , genera il campo magnetico l1 G G G μ0 dl1 × u1 B1 = i1 4π v∫l1 r12 G i1d l1 G u1 Il circuito 2, avente lunghezza l 2 e percorso dalla corrente di intensità i 2 , G dS2 attraversato dalle linee di campo di B1 possiede un flusso concatenato definito da [figura 85] G G ⎡ ⎛μ ⎤ G G G d l1 × u 1 ⎞ G G 0 n dS (54) Φ 2 B1 = ∫∫ B1 • n 2 dS2 = ⎢ ∫∫ ⎜ v∫ • ⎟ n 2 2 ⎥ i1 G 2 2 ⎢⎣ S2 ⎜⎝ 4π l1 r1 ⎟⎠ ⎥⎦ S2 B1 G essendo r1 la distanza fra l’elemento i1d l1 (circuito 1) e la superficie dS2 l2 G orientata secondo la normale n 2 (circuito 2). Nella (54) la parentesi [ figura 85 ] quadra correla la geometria dei due circuiti e viene detta coefficiente di mutua induzione del circuito 1 sul circuito 2 G ⎛ μ 0 dl × uG ⎞ G M12 = ∫∫ ⎜ v∫ 1 2 1 ⎟ • n 2 dS2 ⎜ 4π l r1 ⎟⎠ S2 ⎝ 1 G Reciprocamente, il campo B 2 generato dal circuito 2 determina un flusso concatenato con il circuito 1 G G ⎡ ⎛μ ⎤ G G G d l ×u ⎞ G Φ1 B 2 = ∫∫ B 2 • n 1dS1 = ⎢ ∫∫ ⎜ 0 v∫ 2 2 2 ⎟ • n1dS1 ⎥ i 2 (55) ⎢⎣ S1 ⎜⎝ 4π l2 r2 ⎟⎠ ⎥⎦ S1 ( ) ( ) 64 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino G G essendo r2 la distanza fra l’elemento i 2 d l2 (circuito 2) e la superficie dS1 orientata secondo la normale n1 (circuito 1). Nella (55) la parentesi quadra correla la geometria dei due circuiti e viene detta coefficiente di mutua induzione del circuito 2 sul circuito 1 G ⎛ μ 0 d l × uG ⎞ G M 21 = ∫∫ ⎜ v∫ 2 2 2 ⎟ • n1dS1 ⎜ 4π l r2 ⎟⎠ S1 ⎝ 2 Quando i due circuiti sono indeformabili e fissi l’uno rispetto all’altro, i due coefficienti di mutua induzione sono uguali e costanti M12 = M 21 = M = cos t − Flusso concatenato fra circuiti: ogni volta che un circuito, percorso da una corrente, determina un flusso concatenato con un altro circuito anch’esso percorso da una corrente si ha reciprocamente G circuito 1 su circuito 2 : Φ2 B1 = M i 1 G circuito 2 su circuito 1 : Φ1 B 2 = M i 2 ( ) ( ) Attenzione: non è tanto importante la sezione geometrica del circuito attraverso il quale si ha il flusso concatenato del campo magnetico, quanto quella parte di esso attraverso la quale il flusso ha un valore realmente differente da zero. − Autoflusso concatenato: una corrente circolante in un circuito genera un campo magnetico, che determina un flusso concatenato con il circuito stesso. Ossia G G G G ⎡ ⎛ μ 0 d l × uG ⎞ G ⎤ Φ B = ∫∫ B • ndS = ⎢ ∫∫ ⎜ v∫ 2 ⎟ • ndS⎥ i ⎢⎣ S ⎝ 4π l r ⎠ ⎥⎦ S La parentesi quadra definisce la geometria del circuito e viene detta coefficiente di autoinduzione G G ⎛ μ0 d l × u ⎞ G L = ∫∫ ⎜ v∫ ⎟ • n dS 2 4 r π S ⎝ l ⎠ ed il flusso concatenato diventa G Φ B = Li ( ) ( ) PROPRIETÁ MAGNETICHE DELLA MATERIA Il comportamento dei materiali in presenza di un campo magnetico è definito secondo tre differenti tipologie di comportamento: materiali ferromagnetici, materiali diamagnetici e materiali diamagnetici. • Materiali ferromagnetici: sono tutti quei materiali che presentano un comportamento simile a quello del G Fe ⋅ Fe 2 O 3 in presenza di un campo magnetico B0 1 . La contemporanea presenza della doppia polarità (anche in piccole frazioni del materiale) e la caratteristica che detti poli siano localizzati in aree circoscritte, suggeriscono che nelle predette aree possano essere definiti dei momenti di dipolo magnetico G m con un ben preciso valore (si ricordi che l’orientamento del vettore è dal polo negativo o polo sud al polo positivo o polo nord). Le aree, nelle quali sono esplicitati i fenomeni magnetici, sono dette domini di Weiss. Quando non agisce alcun campo magnetico esterno, la distribuzione dei momenti di dipolo G magnetico mk è del tutto casuale ed isotropa a causa dell’agitazione termica. Il loro valore medio risulta G pertanto nullo < m > = 0 [figura 86]. La presenza di un campo magnetico esterno determina su ogni singolo G G G G G dipolo magnetico un momento meccanico M k = mk × B0 (con un lavoro fornito U m = − m • B0 ) che tende ad allinearlo lungo la direzione del campo. Inoltre quei domini di Weiss, che per motivi intrinseci presentano G G un mk già allineato con B0 , tendono ad estendere la loro dimensione conglobando quelli circostanti. 1 In questo paragrafo si userà la convenzione che il pedice “0” sarà riferito alla grandezza che determina gli effetti nei materiali. 65 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Ciò implica che risulta quasi impossibile, cessando l’azione del campo magnetico esterno, ritornare alle condizioni iniziali. Nel complesso il G G materiale presenta una magnetizzazione definita da un momento di G B = 0:→ < m > = 0 dipolo magnetico, risultante dei singoli mk , con un valore medio G differente da zero < m > ≠ 0 . La direzione di tale campo di G magnetizzazione risulta allineato con quello di B0 [figura 86]. L’allineamento è direttamente proporzionale al’intensità del campo magnetico ed inversamente proporzionale alla temperatura. Un tale meccanismo spiega la forza attrattiva esercitata da un magnete G G permanente su un pezzo di ferro: sotto l’azione del campo magnetico B ≠ 0:→ < m > ≠ 0 G G B del magnete permanente i vari mk dei domini di Weiss del ferro subiscono un allineamento e nel complesso il ferro diventa, a sua volta, un magnete con il suo polo sud affacciato al polo nord del magnete permanente. Un magnete permanente conserva lo stato di magnetizzazione per lungo N S S N tempo, pur essendo possibile determinare una perdita di magnetizzazione tramite urti o aumentando al sua temperatura. Ogni materiale ferromagnetico ad una temperatura superiore ad un ben [ figura 86 ] preciso valore (punto di Curie) perde la caratteristica di allineare i G momenti di dipolo magnetico dei domini di Weiss in direzione di B0 . Il ferro, il cobalto, il nichel, il gadolinio ed un certo numero di leghe sono materiali ferromagnetici a temperatura ambiente, altre leghe hanno un punto di Curie così basso da risultare ferromagnetiche solamente a bassa temperatura. L’analogia fra il campo magnetico generato da un magnete naturale e quello generato da una spira percorsa da una corrente (principio di equivalenza) suggerì ad Ampère l’ipotesi che vi sia correlazione fra correnti elettriche e proprietà magnetiche. Negli atomi dei materiali gli elettroni descrivono un moto orbitale attorno al nucleo ed essendo cariche negative ciò è assimilabile ad una corrente circolante in una spira. Il moto G orbitale genera un campo magnetico descritto da un momento magnetico morb orbitale;inoltre gli elettroni G descrivono un moto di rotazione su se stessi detto spin e ad esso è associato un momento magnetico mspin di G spin. Se non agisse alcun campo esterno B0 , tali momenti magnetici presentano una distribuzione casuale. Nei materiali ferromagnetici, diventa preponderante un fenomeno, detto interazione di scambio, che allinea G G i momenti mspin entro domini ben definiti (i domini di Weiss) che acquisiscono un momento mk uguale alla G G risultante dei vari mspin . Quando agisce un campo magnetico esterno B 0 , i momenti magnetici dei vari domini tendono ad allinearsi concordemente alla direzione del campo esterno ed il materiale risulta G complessivamente magnetizzato con un campo B m ben definito. Un solenoide, con n = N l 0 spire per unità di lunghezza e percorso da una corrente di intensità i 0 , genera al suo interno un campo magnetico definito da B0 = n μ 0i 0 quando la lunghezza risulta assolutamente prevalente rispetto al suo diametro. Piegando il solenoide ad anello (solenoide toroidale) il campo magnetico, generato dalla corrente di intensità Ni 0 (essendo N il numero complessivo di spire), può essere calcolato applicando la legge di Ampère. Considerando una circonferenza di raggio r compreso fra il raggio minimo rm e quello massimo rM , ossia rm ≤ r ≤ rM [figura 87] G G B • dl = 2πrB0 = Nμ 0i 0 0 v∫ 66 G B0 [ figura 87 ] rm rM r Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino N i0 2πr Se la struttura toroidale fosse sufficientemente sottile, con buona approssimazione risulterebbe rm rM R e la (56) diventerebbe N B0 μ 0 i 0 = μ 0 ni 0 2πR con n = N 2πR il numero di spire per unità di lunghezza. G − Introducendo un materiale ferromagnetico fra le spire di un solenoide, il campo magnetico B 0 (generato dalla corrente di conduzione i 0 , circolante nel solenoide) determina la magnetizzazione del materiale G con un campo magnetico B m . Il campo magnetico complessivo risulta la sovrapposizione dei due campi magnetici G G G B = B0 + Bm Si definisce permeabilità magnetica relativa del materiale il rapporto B km = B0 (56) B0 = μ 0 e per il materiale nel solenoide B = μ m B0 = nk m μ 0i 0 = nμi 0 B, avendo definito con μ = k mμ 0 la permeabilità magnetica assoluta del materiale. − Ciclo di isteresi magnetica: si desideri studiare il comportamento di un materiale ferromagnetico (con permeabilità magnetica relativa k m ) posto all’interno di un solenoide, facendo variare il campo esterno G B 0 (variando la corrente di conduzione i 0 circolante nelle spire del solenoide) e rappresentando il G G campo magnetico complessivo B in funzione di B0 [figura 88]. In assenza di campo magnetico esterno, i domini di Weiss del materiale non presentano un qualche specifico allineamento. B G A Aumentando l’intensità di B 0 si determina un progressivo allineamento dei momenti di dipolo magnetico dei domini lungo la direzione del campo esterno fino a raggiungere la H saturazione di magnetizzazione del materiale corrispondente a G circa il 98% (punto A). Diminuendo l’intensità di B 0 fino ad B0 annullarla, il materiale non perde del tutto lo stato di magnetizzazione (punto H) in quanto i domini di Weiss hanno K subito una variazione di estensione per cui è variato anche il valore del loro momento di dipolo magnetico. Si dice che il materiale possiede una magnetizzazione residua. I materiali C ferromagnetici con piccola magnetizzazione residua si dicono dolci e vengono utilizzati, ad esempio, negli elettromagneti per [ figura 88 ] i quali vi è la necessità di invertire il verso di magnetizzazione senza un eccessivo dispendio di energia. I materiali ferromagnetici con una alta magnetizzazione residua si dicono duri e sono utilizzati per i G magneti permanenti. Invertendo il verso di circolazione della corrente nel solenoide, il campo B0 subisce una inversione 180° ed il materiale ferromagnetico si rimagnetizza in verso opposto al G precedente fino a raggiungere il relativo punto di saturazione C. Diminuendo l’intensità di B 0 fino ad annullarla, si evidenzia il punto K di magnetizzazione residua opposta a quella di H. 67 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Il diagramma completo costituisce il ciclo di isteresi magnetica e durante il processo viene dissipata energia sotto forma di calore a causa della variazione di estensione dei domini di Weiss. L’area compresa nel ciclo risulta proporzionale a tale energia. È possibile definire le caratteristiche magnetiche di un materiale analizzando i valori della permeabilità magnetica relativa e precisamente G G − materiali ferromagnetici : B m >> B0 , quindi k m >> 1 G G − materiali paramagnetici : B m B0 , quindi k m 1 (leggermente superiori) G G − materiali diamagnetici : B m − B0 , quindi k m 1 (leggermente inferiori) G Il campo esterno B0 , in prima approssimazione dal punto di vista atomico, determina un aumento di velocità degli elettroni che si muovono in una determinata direzione ed un rallentamento per quelli che si muovono in direzione opposta. Ciò determina un campo di magnetizzazione antiparallelo al campo inducente, quindi il campo magnetico totale è estremamente piccolo da essere considerato nullo. Il fenomeno del diamagnetismo è sempre presente in tutti i materiali, ma essendo il suo effetto, estremamente debole rispetto al ferromagnetismo ed al paramagnetismo, risulta mascherato. • Correnti ampèriane superficiali di magnetizzazione: all’interno di un solenoide, con una corrente i 0 circolante nelle sue n spire per unità di lunghezza, si ponga un materiale ferromagnetico omogeneo con permeabilità magnetica relativa k m (il significato di omogeneità implica sia densità sia k m costante). La variazione dell’intensità del campo magnetico, quando fra le spire vi è il materiale ferromagnetico o quando vi è il vuoto, vale B − B0 = k m B0 − B0 = ( k m − 1) B0 = χ m B0 (57) avendo definito la suscettività magnetica del materiale come χ m = k m − 1 . Dalla (57) si ricava B = B0 + χ m B0 (58) Riscrivendo la (58) si ha B = μ 0 ( ni 0 ) + μ 0 ( nχ mi 0 ) B0 Bm G Il campo magnetico totale [figura 89] è la sovrapposizione del campo inducente B 0 (generato dalla corrente G di conduzione ni 0 che circola nelle spire del solenoide) e dal campo di magnetizzazione B m (generato dalla corrente di magnetizzazione i m = n χ mi 0 , che si può pensare fluisca sulla superficie del materiale ferromagnetico a contatto con le spire del solenoide). Tale corrente di magnetizzazione, risultato di correnti di origine atomica (moto degli elettroni come è stato illustrato precedentemente), è detta corrente ampèriana superficiale. ni 0 = G B G B0 i m = nχ mi 0 + G Bm ni 0 [ figura 89 ] i m = n χmi0 68 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ • Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Nel volume ΔW di un materiale magnetizzato vi siano Δ N suoi costituenti (atomi e molecole) con un G G momento magnetico medio < m > ≠ 0 allineato con il campo esterno B 0 . La risultante di tutti tali momenti magnetici, riferita all’unità di volume, vale G Δm Δ N G G G G Δm = Δ N < m > = <m>=n<m> ΔW ΔW Si definisce vettore di intensità di magnetizzazione o magnetizzazione media il rapporto G G Δm M= (valore medio) ΔW Passando al limite per ΔW → 0 (con il preciso significato illustrato nel paragrafo illustrante il vettore di magnetizzazione) si ricava punto per punto il vettore di intensità di magnetizzazione o magnetizzazione G G dm M= dW Si consideri un cilindro di materiale magnetizzato con superficie di base S ed altezza l 0 orientato lungo G G l’asse z, coincidente con l’asse del cilindro. Il vettore di magnetizzazione sia M = M u z . − Magnetizzazione uniforme: M = cost in tutti i suoi punti. Si suddivida il cilindro in dischi di altezza dz , a loro volta suddivisi in elementi di volume dW = dSdz con dS la loro superficie laterale. Tali volumi risultano anch’essi magnetizzati uniformemente e caratterizzati da un momento magnetico [figura 90] G G G G d m = M dW = M Sdz = M Sdz u z (59) Per il principio di equivalenza di Ampère, come effetto il prisma magnetizzato di volume dW è equivalente ad una spira nastriforme di altezza dz e superficie pari alla superficie laterale dS percorsa da una corrente di magnetizzazione di m . Il momento magnetico della spira vale G G (60) d mspira = di m dS u z I due momenti devono essere uguali affinché l’effetto sia lo stesso, uguagliando G G di m dSu z = M Sdz u z di m = M dz Estendendo il ragionamento a tutti gli elementi di volume dW del disco, le correnti di magnetizzazione circolanti sulle superfici di separazione di elementi contigui si compensano come effetto, mentre a causa della discontinuità non si ha alcuna compensazione sulla superficie laterale del disco. Considerando l’insieme di tutti i dischi che compongono il cilindro magnetizzato, si ricava la corrente di magnetizzazione complessiva l0 G i m = ∫ M dz = M l 0 (61) 0 Dividendo la corrente di magnetizzazione per la lunghezza l 0 si ottiene la densità di corrente superficiale di magnetizzazione. Tale densità è un vettore con − modulo pari a jm,σ = i m l 0 = M , − direzione tangente al mantello del cilindro, − verso definito dal prodotto vettoriale G G G jm ,σ = M × n 69 G G M = M uz [ figura 90 ] l0 G dm G d mspira di m dz spira ideale im G jm,s G M G n im Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino G essendo n la normale in ogni punto del mantello laterale. La relazione (61) deve essere riformulataG tenendo conto che il G vettore di magnetizzazione è un vettore M = M u z . Si consideri una magnetizzato (dove G linea chiusa , parte interna al materiale G M ≠ 0 ) e parte esternamente (dove M = 0 ) e calcolando la circuitazione si ricava [figura 91] G G G G B G A G l0 G M M • d l = M • d l + • d l = cos θ = M l 0 = i m v∫ ∫ ∫B ∫0 M dl A esternamente G M θ dz A [ figura 91] G dl dz internamente La circuitazione del vettore di magnetizzazione, lungo una qualsiasi linea chiusa passante per un mezzo magnetizzato, è correlata alla intensità della corrente ampèriana di B magnetizzazione. − Magnetizzazione non uniforme: in tale situazione le correnti di magnetizzazione, circolanti sulle due facce di una superficie di separazione fra elementi contigui, non si compensano. Significa che esistono correnti di magnetizzazione circolanti all’interno del materiale magnetizzato. Applicando il teorema del rotore o di Stokes alla relazione G G v∫ M • d l = i m l avendo cura di scegliere una qualsiasi superficie Sl che abbia come contorno la linea lungo la quale si calcola la circuitazione G G G ∫∫ rot M × ndS = ∫∫ jm,ρ × ndS Sl Sl Il dominio di integrazione è lo stesso e dovendo essere uguali gli integrali, sono uguali gli integrandi G G rot M = jm ,ρ Risulta utile confrontare le equazioni relative alla polarizzazione di un dielettrico con quelle della magnetizzazione di un materiale e precisamente G G ⎧⎪uniforme σp = P • n − polarizzazione :⎨ G ⎪⎩non uniforme ρ p = − div P G G ⎧⎪uniforme jp,σ = M × n JJJJJG − magnetizzazione : ⎨ G ⎪⎩non uniforme ρ p,ρ = rot M INTENSITA DEL CAMPO MAGNETICO Si consideri una campo magnetico generato sia da correnti di conduzione sia da materiali magnetizzati. La legge di Ampère relativa ad una linea chiusa che concateni sia le correnti di conduzione sia i materiali magnetizzati è scritta come G G G G G B G • = + M d l i B • d l = μ i + i ( ) 0 0 m 0 v∫l v∫l μ 0 v∫l • dl G G G G G⎞ G ⎛B B G • − M • = dl dl i − M ⎜ 0 v∫l μ 0 v∫l v∫l ⎝ μ 0 ⎟⎠ • d l = i 0 Si definisce intensità di un campo magnetico il vettore G G B G H= −M μ0 e la circuitazione assume la forma 70 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino G G v∫ H • dl = i 0 l Applicando il teorema di Stokes (qualsiasi superficie Sl che abbia come contorno la linea chiusa data) JJJJJGG G G G rot H • ndS = ∫∫ ∫∫ j0 • ndS Sl Sl JJJJJG G G rot H = j0 − Si osservi che le correnti di magnetizzazione non compaiono esplicitamente, ma il vettore intensità di G G G magnetizzazione M , nella relazione B μ 0 − M , dipende dalla corrente di magnetizzazione JJJJJG G G G ( rot M = jm,ρ ). L’equazione di stato del mezzo magnetizzato si determina ricercando le relazioni fra B G G G ed M oppure fra H ed M , con il vettore di magnetizzazione nel ruolo di variabile. È plausibile immaginare che valga G G G M = χ m H = ( k m − 1) H ( ) e ricordando le definizioni di permeabilità magnetica relativa e di intensità del campo magnetico G G G G G G G B = μ 0 H + M = μ 0 H + μ 0k m H − μ 0 H = μH G k −1 G G M = ( k m − 1) H = m B μ ( ) MOMENTI MAGNETICI ATOMICI Lo stato di magnetizzazione di un materiale ferromagnetico o paramagnetico si pone in relazione al momento magnetico intrinseco (o di spin) dei suoi atomi il quale, a sua volta, è correlato al momento angolare. In generale, si consideri una carica Q di massa M che ruoti su una circonferenza di raggio R con velocità periferica G G G G v . La velocità angolare è definita dalla relazione v = ω× R . G G G − Il momento angolare, rispetto all’asse di rotazione, vale L = R × mv ed essendo i tre vettori normali fra loro, il modulo ha valore L = MvR − La carica durante la rotazione genera una corrente di intensità Q Q 1 Qv i= = = T 2π R v 2 πR e la circonferenza risulta essere una spira virtuale percorsa dalla corrente di intensità i che determina un G G G momento magnetico pari a m = iSn = qvRn 2 . Ricavando la velocità dalla relazione del momento angolare e sostituendo G 1Q G L m= 2M G G G G Attenzione: se Q > 0 si avrebbe m↑↑ L , se Q < 0 si avrebbe m↑↓ L . Secondo la teoria quantistica, il momento angolare orbitale risulta multiplo intero della costante di Plank divisa per 2π (tipograficamente si indica = = h 2π ), quindi G G 1Q L m= = 2M = Se la carica considerata fosse quella dell’elettrone ( Q = − e ) e la massa fosse ovviamente quella dell’elettrone G m e , il momento intrinseco (o di spin) risulta essere il doppio del valore ottenuto mentre la relazione di m vale sempre. Riscrivendo 71 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino G 1⎛ e ⎞L G (62) =⎟ m=− ⎜ 2 ⎝ me ⎠ = La parentesi tonda rappresenta il valore del momento magnetico relativo allo spin e viene detto magnetone di Bohr il cui modulo vale e mB = = me La relazione (62) assume la forma G G 1 L m = − mB 2 = MAGNETIZZAZIONE PER SATURAZIONE Se tutti i momenti magnetici (atomici o molecolari) fossero equiorientati lungo una precisa direzione e con G valore m , il momento magnetico complessivo (o di saturazione) per unità di volume risulta pari al prodotto del numero di elementi per unità di volume per il momento magnetico del singolo elemento G G M saturazione = n m (63) Il numero di elementi per unità di volume è pari a N n =ρ A M 3 essendo ρ la densità volumica ( kg m ), N A il numero di Avogadro (atomi/mole) ed M la massa molecolare ( kg / moli ). L’unità di misura della (63) è ⎧1A ⎫ ⎬ ⎩1m ⎭ {M } = ⎨ MATERIALI PAREMAGNETICI Teli materiali sono caratterizzati dall’avere il valore della suscettività magnetica χ m leggermente positiva, costante e dipendente dalla temperatura. I momenti magnetici intrinseci non interagiscono fortemente fra loro e, G in assenza di un campo magnetico esterno B0 , non presentano uno specifico allineamento (distribuzione G G G casuale). In presenza di un campo magnetico esterno, a causa del momento meccanico M = m × B0 , i momenti magnetici intrinseci tendono ad allinearsi anche se l’agitazione termica molecolare tende a disallinearli. Nella realtà operativa, i campi magnetici attualmente prodotti determinano un allineamento alla temperatura di pochi G G G gradi kelvin. A temperature superiori, l’allineamento è sempre più scarso ed il campo magnetico B = B0 + B m G G risulta piccolo. Si è visto che il lavoro per allineare un dipolo magnetico m lungo un campo B0 vale ⎧massimo valore per θ = π G G U m = − m • B0 = − m B0 cos θ ⎨ (64) ⎩minimo valore per θ = 0 e e considerando un magnetone di Bohr ( mB = = ) immerso in un campo magnetico di valore B0 1T , la me variazione di energia è Δ U m = m B B0 − ( − m B B0 ) = 2m B B0 (65) A temperature di tipo ambientale, l’energia termica è data da k BT ( k B è la costante di Boltzmann) e ha un valore di circa 200 volte superiore a quello definito dalla (65). 72 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino L’agitazione termica tende sostanzialmente a disorganizzare l’allineamento quindi il numero di momenti magnetici intrinseci allineati risulta molto piccolo. Facendo crescere l’intensità del campo magnetico esterno a valori molto elevati, è possibile allineare i momenti magnetici intrinseci fino al valore di saturazione. Pierre G Curie scoprì sperimentalmente che M risulta inversamente proporzionale alla temperatura assoluta, poiché il suo valore dipende dal rapporto fra l’energia potenziale massima di dipolo magnetico della (64) m B0 e l’energia termica di riferimento k BT G 1 m B0 G M= M saturazione 3 k BT Si presti attenzione che il rapporto è un valore adimensionato. EQUAZIONI DI MAXWELL PER I FENOMENI STRAZIONARI I fenomeni stazionari risultano indipendenti dal tempo. Assumendo che le sorgenti del campo elettrico siano cariche libere e le sorgenti del campo magnetico siano correnti stazionarie, nelle equazioni di Maxwell (scritte in formulazione locale) gli operatori vettoriali hanno esclusivamente derivate rispetto alle coordinate spaziali e non rispetto al tempo. Quindi G G G G E = E ( x, y, z ) B = B ( x, y, z ) G 1 G G G G divD = ρ 0 divE = ρ 0 (per un dielettrico polarizzato D = ε 0 E + P ) ε0 JJJJGG rot E = 0 campo elettrico conservativo G divB = 0 campo magnetico solenoidale G JJJJJGG G JJJJJG G G B G rot B = μ 0 j0 (per un mezzo magnetizzato H = −M ) rot H = j0 μ0 INDUZIONE ELETTROMAGNETICA • Faraday ed Henry dimostrarono sperimentalmente che ad un campo magnetico variabile nel tempo è associato un campo elettrico non conservativo. Quando sono verificate determinate condizioni fisiche, si ha una forza elettromotrice indotta E i come effetto primario ed una corrente indotta i i come effetto secondario. Quando Maxwell cercò di rendere compatibili la conservazione della carica e le equazioni che descrivono fenomeni variabili nel tempo, si rese necessario postulare che un campo elettrico variabile nel tempo risulta associato ad un campo magnetico. • I campi elettrici e magnetici variabili nel tempo non possono G esistere separatamente, ma definiscono un campo elettromagnetico. Φ (B) d Le soluzioni delle equazioni, che descrivono la propagazione in un mezzo di tale campo, impongono che esso si propaghi con una ben definita velocità secondo un fenomeno ondoso. c Nel circuito c , la f.e.m. E determina la circolazione di una corrente di G intensità i 0 che genera un campo magnetico B . Nel circuito d non Ei contenete alcuna f.e.m. [figura 92]. G − Faraday scoprì che se il flusso Φ B del campo magnetico + E [ figura 92] concatenato subisse una variazione temporale, si genererebbe una f.e.m. indotta Ei ; • ( ) 73 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino − Lentz stabilì che l’effetto di Ei è tale da opporsi alla variazione della causa che l’ha generata (dovendo valere la conservazione dell’energia) In termini analitici il fenomeno è descritto dalla equazione G dΦ B Ei = − (effetto primario)( dt Si osservi che il circuito d , rispetto al quale si ha il flusso concatenato, potrebbe essere semplicemente una linea chiusa: l’effetto della f.e.m. indotta è una proprietà intrinseca del fenomeno (effetto primario). Se il circuito d fosse un circuito reale con resistenza elettrica R, allora si avrebbe la circolazione di una corrente indotta i i = Ei R ossia G d B Φ 1 ii = − (effetto secondario) R dt ( ) ( ) − Misurando la d.d.p. ai capi del circuito d a circuito aperto ( R = ∞ ), si avrebbe G dΦ B ΔV = Ei = − dt Ossia le f.e.m. indotta risulta equivalente a quella prodotta da un generatore reale fra i cui poli la d.d.p. a circuito aperto valga ΔV − Considerando una spira conduttrice reale con inserito un generatore di f.e.m. E , immersa in un campo magnetico variabile nel tempo, la legge di Ohm deve tenere conto sia della f.e.m. inserita della f.e.m. indotta G ⎡ ⎤ d B Φ i i ⎥ i = ( E + Ei ) = ⎢ E − R R⎢ dt ⎥ ⎣ ⎦ La variazione di flusso concatenato del campo magnetico è possibile ottenerlo con svariate tecniche ( ) ( ) − campo magnetico uniforme: per una traslazione rigida G sarebbe Φ B = cost la cui derivata temporale è nulla, ( ) circuito d rigido nessuna f.e.m. indotta. Per una rototraslazione rigida sarebbe G Φ B ≠ cost : generazione di una f.e.m. indotta. ( ) − con un campo magnetico non uniforme, qualsiasi tipo di G spostamento determinerebbe un Φ B ≠ cost : generazione di ( ) circuito d deformabile una f.e.m. indotta. qualunque fosse il campo magnetico, si determinerebbe sempre G un Φ B ≠ cost e l’insorgere di una f.e.m. ( ) G circuito d fisso, campo B uniforme la variazione di flusso concatenato avverrebbe in presenza di un materiale ferromagnetico. la corrente che fluisce nel circuito c varia nel tempo ed il campo circuito d fisso e k m = cost magnetico generato è anch’esso variabile nel tempo, si avrebbe la generazione di una f.e.m. indotta. Analizzando la legge di Lentz, alla luce della conservazione dell’energia, è possibile capire meglio il significato del segno meno che compare nell’equazione della f.e.m. indotta. Osservando la [figura 93], quando G − d Φ B dt > 0 : nel circuito reale d si genera un autoflusso che tende a compensare l’aumento di G G G Φ B . Alla corrente indotta i i è associato campo magnetico indotto Bi che risulta discorde con B ed ( ) ( ) 74 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino il verso di circolazione della corrente indotta deve essere G coerente con il verso di Bi . G − d Φ B dt < 0 : nel circuito reale d si genera un autoflusso G che tende a compensare la diminuzione di Φ B . Alla ( ) • G B ( ) ( G Bi ii corrente indotta i i è associato un campo magnetico indotto G G Bi che risulta concorde con B ed il verso di circolazione G della corrente indotta deve essere coerente con il verso di Bi . Si consideri una spira conduttrice rettangolare indeformabile che G G trasli con velocità v in un campo magnetico B uniforme. Gli elettroni liberi sono sottoposti all’azione del campo magnetico G G G secondo la relazione di Lorentz FL = − e v × B ed il campo elettromotore (non conservativo) vale G G FL G G = v×B E em = −e la cui circuitazione lungo una linea chiusa definisce la f.e.m. indotta G G G G G (66) Ei = v∫ E • dl = v∫ v × B • dl G B ii G d Φ (B) dt > 0 G G Bi d Φ (B) dt < 0 [ figura 93] ) G G Tenendo presente che nel tempo d t la spira trasla rigidamente di un tratto d s = vdt [figura 94], ricordando le proprietà del prodotto misto fra vettori, la relazione (65) diventa G G G G G ⎛ ds G ⎞ G ⎛ G ds ⎞ G d (67) Ei = v∫ ⎜ × B ⎟ • d l = v∫ ⎜ d l × ⎟ • B = v∫ d l × ds • B dt ⎠ dt ⎝ dt ⎠ ⎝ Analizzando il significato dei vari prodotti G G − d l × ds : il suo modulo rappresenta l’area dSl G c figura 94 ] [ spazzata dallo spostamento d l durante la G traslazione di un tratto ds . Tale area è orientata G d secondo la normale u n , la cui direzione è definita dalla regola del prodotto vettoriale. G dS Ossia lat d l G G G d l × ds = dSl u n G G G G G G un − dSl u n • B = B • u n dSl = d Φ lat B : è il flusso del G B campo magnetico attraverso alla superficie G G ds dSlat spazzata dallo spostamento d l durante la G traslazione di un tratto ds . Quando la spira si sposta rigidamente, dalla posizione identificata da c alla posizione identificata da G d di tratto ds , spazza un’area laterale dStot . Il flusso totale attraverso a dStot è dato dall’integrale di G d Φ lat B esteso appunto al valore dS tot . l l ( ) ( ) ( ) Attenzione: poiché dStot è una grandezza infinitesima (in quanto riferita allo spostamento infinitesimo G ds ), il valore dSlat risulta un infinitesimo di ordine superiore rispetto a dS tot . Lo spostamento rigido della spira dalla configurazione c alla d definisce un virtuale parallelepipedo ed il G G flusso di B attraverso alla spira è equivalente al flusso di B attraverso alla superficie chiusa del virtuale G parallelepipedo. Essendo il campo magnetico B solenoidale, il flusso complessivo è nullo e risulta dalla somma dei flussi attraverso 75 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino G − alla spira nella posizione c , ossia − Φ1 B (entrante) G − alla spira nella posizione d , ossia Φ 2 B (uscente) G − alla superficie spazzata lateralmente, ossia d Φ tot B G G G − Φ1 B + Φ 2 B + d Φ tot B = 0 laterale entrante uscente G G G Φ 2 B − Φ1 B = − d Φ tot B ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) variazione totale di flusso durante la traslazione L’integrale che compare a secondo membro della (67) vale per quanto detto G G G G d l × ds • B = − Φ B tot v∫ ( ) ( ) Quindi la f.e.m. indotta diventa G d Φ B G G G tot d Ei = v∫ dl × ds • B = − dt dt ossia la forza elettromotrice indotta è data dalla variazione temporale del flusso tagliato dalla spira durante la traslazione. G G − Quando Φ1 B = Φ 2 B , la f.e.m. indotta è nulla, quindi il campo magnetico risulta uniforme. ( ( ) • ( ) ) ( ) − Quando un circuito si muove in un campo magnetico, la forza di Lorentz agente sulle singole cariche libere di conduzione determina un campo elettromotore indotto che tende a spostarle. Formulazione differenziale della f.e.m. indotta: nella relazione G dΦ B (68) Ei = − dt sostituendo alla f.e.m. ed al flusso le loro definizioni analitiche, avendo l’accortezza di considerare una qualsiasi linea chiusa l alla quale associare una generica superficie Sl che la contorni G G G G G Ei = v∫ E • d l Φ B =w B ∫∫ • n dS ( ) ( ) Sl l La legge di Stokes impone che JJJJG G G G G Ei = v∫ E • dl = w rotE ∫∫ • n dS l Sl Sostituendo nella (68) le due relazioni si ottiene JJJJGG G G G d • = − rotE n dS B w ∫∫S w ∫∫S • n dS dt l l Nel secondo termine la derivata è calcolata rispetto al tempo, mentre l’integrale è calcolato rispetto alle coordinate spaziali: le due operazioni sono quindi intercambiabili G JJJJGG G dB G w ∫∫S rotE • n dS = − w ∫∫S dt • n dS l l Il dominio di integrazione è lo stesso e i due integrali devono essere uguali, quindi uguagliando gli integrandi (attenzione: il campo magnetico e quello elettrico sono funzioni sia delle coordinate spaziali sia del tempo, quindi la derivata deve essere espressa come derivata parziale) G JJJJJG ∂B rotE = − ∂t Attenzione: la definizione integrale e quella differenziale (o locale) della legge della induzione elettromagnetica rappresentano una identica realtà fisica, tuttavia la loro applicazione è differente. 76 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ − G G G G ∂ v∫ E • d l = − ∂ t w ∫∫ B • n dS l Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino si applica tutte le volte che una linea chiusa è interessata alla variazione Sl temporale di un flusso concatenato di un campo magnetico. G JJJJGG ∂B si applica o quando si considera la variazione temporale di un campo magnetico oppure − rotE = − ∂t quando si tratta un campo elettrico conseguente al moto di un circuito in un campo magnetico. ESEMPI DI INDUZIONE ELETTROMAGNETICA • Una sbarretta conduttrice rigida (lunghezza HK = l 0 ) è appoggiata agli estremi su due guide filiformi parallele, interconnesse tramite un resistore di resistenza elettrica G R. Il sistema è immerso in un campo B uniforme e normale al piano delle guide, la sbarretta vi muove con G una velocità v , partendo da ferma [figura 95]. Considerato il riferimento in figura, nel tempo dt la sbarretta spazza un’area data da dS ( t ) = l 0 vdt G G attraverso la quale il flusso vale (sia n ↑↑ B ) G G G d Φ B = B • ndS = BdS = Bl 0 vdt ( ) [ figura 95 ] G B H(−) ii R G v l0 x G Bi ii K(+ ) La variazione temporale de flusso attraverso alla superficie vale G dΦ B = Bl 0 v dt alla quale corrisponde una f.e.m. indotta G dΦ B = − Bl 0 v Ei = − dt Il circuito costituito dalla sbarretta, dai due tratti di guida e dalla loro connessione è sede di una corrente indotta Bl v E ii = i = − 0 R R e poiché l’area spazzata aumenta, la variazione temporale del flusso è definita positiva G dΦ B >0 dt e la legge di Lentz impone che, per contrastare l’aumento del flusso, la corrente indotta fluisca nel circuito G G in verso orario al fine di generare un campo magnetico indotto Bi che sia opposto a B . Il medesimo risultato potrebbe essere ottenuto partendo dalla considerazione che ogni elettrone della G G G G sbarretta è sottoposto all’azione, imputabile alla forza di Lorentz FL = − ev × B , del campo B . Ossia il campo elettromotore G FL G G G = E em = v × B −e è orientato da H verso K: infatti gli elettroni (negativi) si muovono dal punto a potenziale minore H verso quello a potenziale maggiore K ed il verso di circolazione della corrente è appunto quello orario. Nella sbarretta esistono due campi elettrici [figura 96] e precisamente ( ) ( ) ( ) 77 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino G − il campo elettromotore E em non conservativo, imputabile all’azione del campo magnetico sugli elettroni di conduzione della sbarretta conduttrice G − il campo elettrostatico E 0 conservativo, imputabile all’accumulo degli elettroni all’estremo K ed alla loro carenza all’estremo H, orientato da K verso H. Il campo elettrico interessante la sbarretta e le guide è G G G E = E em + E 0 e la sua circuitazione lungo il circuito G G G G G Ei = v∫ E • dl = v∫ E em + E 0 • dl ( ) G G G G⎞ G K G l0 ⎛ G × B⎟ • dl Ei = ∫ E em • d l + v∫ E 0 • d l = ∫ ⎜ vN H 0 ⎜ G G ⎟ ⎝ v⊥ B ⎠ [ figura 96 ] H G B G E0 G v G F ii G E em K solo sbarretta passando dall’annotazione vettoriale a quella scalare e integrando Bl v E ii = i = − 0 Ei = − Bl 0 v R R G G G G Il campo B esercita sulla sbarretta HK, percorsa dalla corrente i i , la forza F = i i l0 × B orientata in verso opposto alla direzione del moto e tale forza risulta frenante. • G Una spira conduttrice rettangolare (di resistenza elettrica R e superficie S, orientata secondo la normale n ) G è vincolata a ruotare con attrito trascurabile attorno all’asse di simmetria OO′ con velocità angolare ω . Un G G campo magnetico B , che forma un angolo θ ( t ) con la normale n , definisce un flusso [figura 97] G G G Φ B = B × n S = BScos θ ( t ) b G [ figura 97 ] L ω 2 con θ ( t ) = ωt . Applicando la definizione di f.e.m. indotta, si ( ) ricava (69) Ei ( t ) = − G dΦ B b 2 ( ) = BSω sin ωt O dt G M K n Ei BSω ii ( t ) = = sin ωt (70) R R θ(t) a O′ Le due relazioni sono pulsate secondo una legge sinusoidale con periodo T = 2π ω ed il loro valore medio su un intero periodo è G H nullo B 1 T Ei ( t ) < Ei ( t ) > = BSω ∫ sin ωt dt = 0 0 + BSω T T BSω 1 sin ωt dt = 0 < ii ( t ) > = R T ∫0 Una f.e.m. ed una corrente che soddisfino tali condizioni sono − BSω dette forza elettromotrice alternata e corrente alternata. G G G G Gli elettroni liberi della spira sono sottoposti alla forza di Lorentz, esercitata dal campo B , FL = − ev × B ed il campo elettromotore non conservativo vale G FL G G G = E em = v × B −e il cui modulo vale (con v = ω b 2 ) 1 E em = vBsin θ ( t ) = vBsin ωt = Bbω sin ωt 2 78 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Attenzione: nella semispira O′HKO il campo elettromotore è orientato verso l’alto, mentre nel semitratto OLMO′ è orientato vero il basso. La definizione di forza elettromotrice impone che sia G G G G G G K G L G M G H G E ( t ) = v∫ E em • dl = ∫ E em • dl + ∫ E em • dl + ∫ E em • dl + ∫ E em • dl H K L M c d e f e analizzando i singoli integrali si ottiene G G − lato HK: E em ↑↑ d l 1 1 c → E em a = Bωab sin ωt = BωSsin ωt 2 2 G G − lato KL: E em ⊥ d l d→ 0 G G − lato KM: E em ↑↑ d l 1 1 e → E em a = Bωab sin ωt = BωSsin ωt 2 2 G G − lato MH: E em ⊥ d l f→ 0 Sostituendo i valori nell’espressione della f.e.m. si ricava G G E ( t ) = v∫ E em • d l = BSω sin ωt ≡ Ei ( t ) ed una identica relazione si ricava per la intensità della corrente, che risulta uguale a quella indotta. La potenza in gioco vale P ( t ) = Ri ( BSω) = 2 sin 2 ωt R G G G Il lavoro meccanico per far ruotare la spira vale dL = M d θ , essendo M = m × B con M = mBsin θ ( t ) = mBsin ωt . Sostituendo dL = mBsin ωt dθ = mBω sin ωt dt e dividendo per il dt si ricava proprio la potenza 2 P(t) ( BSω) = R I massimo valori che assumono E ( t ) , i ( t ) e P ( t ) sono 2 sin 2 ωt ( BSω) BSω i max ( t ) = Emax ( t ) = BSω Pmax ( t ) = R R − Nelle applicazioni reali, la corrente i ( t ) è utilizzata in intervalli temporali certamente superiori al periodo T ed in tale situazione il valore medio è differente da zero. Il valore medio della potenza in gioco nell’intervallo temporale di un periodo vale 2 ( BSω) >= 2 1 T 2 sin ωtdt R T ∫0 L’andamento della funzione sin 2 ωt è illustrato in [figura 98] ed il suo valore medio nell’intervallo (0, T) è pari ad 1 2 , quindi il valore medio della potenza è < P(t) P(t) t 2 [ figura 98 ] E2 ( t ) 1 ( BSω) (71) < P(t) > = = max 2 R 2R È possibile supporre che la f.e.m. alternata (indotta) sia equivalente alla f.e.m. prodotta da un generatore e ciò è plausibile a patto che, a parità di resistenza elettrica, la potenza erogata dal generatore e la potenza media espressa dalla (71) siano uguali 2 Emax E2 = 2R R 79 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino ossia E= Emax 2 tale valore è detto valore efficace. CORRENTI PARASSITE DI FOUCAULT Un campo magnetico variabile nel tempo è associato ad un campo elettrico non conservativo quando per un circuito conduttore è definita una variazione temporale di flusso. Si consideri un conduttore massiccio G G in moto con velocità v in un campo magnetico B , la variazione temporale di flusso determina una f.e.m. indotta (effetto primario) e una corrente indotta (effetto secondario). Se la resistenza del conduttore è piccola, l’intensità della corrente è grande. Il campo elettromotore G G G G E em = v × B (non conservativo) è normale al campo B , per la legge di G Lentz si genera un autoflusso Φ Bi che tende a opporsi alla variazione G di Φ B e circola una corrente in direzione normale rispetto alla ( ) ( ) G E em ii G B G v [ figura 99 ] direzione del campo magnetico [figura 99]. La grande potenza dissipata P = Ri 2 determina un riscaldamento notevole che viene utilmente sfruttato nei forni ad induzione nei quali si fondono metalli con campi magnetici variabili nel tempo ad alta frequenza. G − Conseguenza del fenomeno delle correnti parassite è il ω freno elettromagnetico , utilizzato dispositivo noto come [ figura 100 ] nei moderni trasporti veloci di massa: un elettromagnete G posizionato sotto la vettura in prossimità dei binari genera B G G correnti parassite nelle rotaie con conseguente frenamento r ω B S del mezzo. Variando l’intensità della corrente di eccitamento, si variano a piacere le condizioni di frenata. d0 G Si consideri un disco conduttore omogeneo (il materiale ω del disco abbia resistività ρ ) di massa m e spessore d 0 , ruotante attorno al suo asse di simmetria con velocità G G G angolare ω . Un campo magnetico B , con direzione B normale al disco, è applicato su una superficie S = l 02 G v r posta a distanza r dall’asse di rotazione. Determinare il momento meccanico della forza frenante. G E d Nell’intervallo temporale dt della rotazione la superficie em 0 S descrive un arco di lunghezza ds = vdt = ωrdt , G l0 l0 F spazzando l’area d Σ = l 0 ds = l 0 ωrd t . Il flusso del campo magnetico attraverso alla superficie dΣ vale [figura 100] G G G G G E ii d l em dΦ B = B • nd Σ = Bd Σ = Bl 0 ωrd t N G v paralleli La legge dell’induzione elettromagnetica impone che sia G G G dΦ B G B B Ei = − = − Bl 0 ωr F dt ( ) ( ) e per quanto detto, trattando le correnti di Foucault, si ha circolazione di una corrente indotta circolante in una direzione normale alla direzione del campo magnetico (si ricordi che il campo elettromotore vale 80 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino G G G E em = v × B L’area S = l 02 della superficie del disco, sulla quale è applicato il campo magnetico, risulta equivalente ad un conduttore di lunghezza l 0 e sezione l 0 d 0 il quale durante la circolazione della corrente presenta una resistenza elettrica l ρ R =ρ 0 = l0d 0 d 0 La corrente indotta ha valore E Bωr ii = i = − l0d 0 R ρ G con una circolazione di tipo radiale. Il campo B esercita sul predetto conduttore una forza G G G B 2 ωr 2 F = iil0B = − d 0l 0 F = i i l0 × B ρ Il cui momento meccanico rispetto all’asse di rotazione vale G G G B 2 l 02 r 2 ω d0 M = r ×F M =− ρ LEGGE DI FELICI G La legge della induzione elettromagnetica, applicata ad un circuito reale, impone che Ei = − d Φ B d t con una ( ) circolazione di corrente indotta G Ei 1 dΦ B ii = = − R R dt G La relazione può essere riscritta come i i Rdt = − d Φ B e nell’intervallo temporale Δ t = t f − t i G tf Φf R ∫ i i dt = − ∫ d Φ B ( ) ( ) Φi ti ( ) Il primo integrale rappresenta la quantità complessiva di carica che viene spostata nel circuito a causa del G G campo elettromotore (non conservativo), quindi Rq tot = Φ i B − Φ f B ( ) ( ) G G 1⎡ Φi B − Φf B ⎤ ⎦ R⎣ La quantità complessiva di carica è indipendente dalla legge temporale dell’induzione elettromagnetica, risultando semplicemente proporzionale alla differenza fra il valore iniziale e finale del flusso del campo magnetico concatenato con il circuito. • Misura del campo magnetico: operativamente la misura è fatta introducendo una sonda, costituita da una bobina contenente da N avvolgimenti di piccola superficie S, nella regione ove esiste il campo da misurare. La piccola superficie soddisfa la condizione che il flusso del campo magnetico risulti uniforme e valga da G Φ i B = NBS . Estraendo velocemente la sonda e spostandola in una regione dove non esiste campo G magnetico, si ha Φ f B = 0 : la legge di Felici definisce che q tot = ( ) ( ) ( ) ( ) Nq totS NBS B= R R La misura è condotta alla determinazione della carica complessiva che fluisce durante il processo. q tot = CARICA E SCARICA DI UN CONDENSATORE 81 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Si consideri un circuito costituito da un generatore (f.e.m. costante E e resistenza interna trascurabile), un resistore ohmico (resistenza elettrica R), un condensatore (capacità C) ed un interruttore collegati tutti in serie. Un tale circuito è detto RC in serie [figura 101]. • Carica del condensatore: l’interruttore sia aperto, quindi nel circuito non circola alcuna corrente e sulle armature del condensatore non R sono localizzate cariche elettriche. Analiticamente si ha dq ( 0 ) + E t = 0 → q ( 0) = 0 → i ( 0) = =0 dt C i Chiudendo l’interruttore, inizia a fluire la corrente e sulle armature del − + B A condensatore iniziano a depositarsi le cariche fino a raggiungere il massimo valore q 0 = C ΔV0 a cui corrisponde da d.d.p. ( VA − VB ) [ figura 101] che è pari a f.e.m. E . Tutte le grandezze fisiche inerenti il processo di carica descrivono un andamento transiente, cioè variano nel tempo da un valore iniziale (nullo) ad un valore finale (massimo) 0 ≤ q ( t ) ≤ C ΔV0 ed anche le d.d.p. ai capi di resistore e condensatore risultano funzioni del tempo. Ad un dato istante del processo di carica si ha E = Δ VR ( t ) + Δ VC ( t ) e sostituendo ai simboli i rispettivi valori si ricava l’equazione differenziale del primo ordine e lineare dq( t ) 1 1 E = Ri( t ) + q( t ) = R (72) + q( t ) C dt C Separando le variabili dq( t ) 1 = − d ⎡⎣ ln ( CE − q( t ) ) ⎤⎦ = dt CE − q ( t ) RC e integrando fra i valori: per t = 0 si ha q ( 0 ) = 0 , per il generico tempo t si ha q ∫ q 0 − − − dq( t ) 1 t = dt CE − q( t ) RC ∫0 − ln CE − q ( t ) 1 = t CE RC 1 t ⎞ − ⎛ q( t ) = C E ⎜ 1 − e RC ⎟ ⎝ ⎠ 1 t dq ( t ) E − RC = e i(t) = dt R ΔVR ( t ) = Ri ( t ) = E e − 1 t RC 1 t ⎞ − ⎛ 1 RC ΔVC ( t ) = q ( t ) = E ⎜1 − e ⎟ C ⎝ ⎠ Come già sottolineato, tutte queste grandezze rappresentano fenomeni transienti e la rapidità di tali transienti è pilotata dall’esponente della funzione esponenziale: dovendo essere adimensionato, la sua equazione dimensionale è [1 RC] = [1 T ] e si definisce costante capacitiva di tempo la relazione − τ C = RC La potenza erogata dal generatore vale 1 t E 2 − RC PG = Ei ( t ) = e R e la potenza dissipata dal resistore per effetto Joule vale 82 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino 1 t E 2 − 2 RC PR = Ri ( t ) = e R La potenza spesa per caricare il condensatore, corrispondente all’aumento della sua energia elettrostatica, è data da E2 − 1 t E2 −2 1 t PC = ΔVCi ( t ) = e RC − e RC = PG − PR R R ossia ogni istante, in ottemperanza al principio di conservazione dell’energia, si ha che PC = PR . 2 L’andamento temporale di q ( t ) e i ( t ) è rappresentato in [figura 102] q(t) i(t) CE [ figura 102] E R t t Nella carica di un condensatore, metà dell’energia fornita dal generatore è dissipata per effetto Joule nel resistore e metà è accumulata all’interno del condensatore sotto forma di energia elettrostatica. Scarica del condensatore: sulle armature di un condensatore è localizzata la carica q 0 = C ΔV0 e vengono cortocircuitate attraverso un resistore (resistenza elettrica R). Una corrente inizia a fluire nel circuito e le cariche sulle armature diminuiscono dal valore iniziale q ( 0 ) = q 0 per t = 0 fino ad annullarsi quando t → ∞ secondo la legge oraria d q(t) dt Eliminando il generatore nel circuito di [figura 103], la relazione in (72) diventa dq( t ) 1 1 Ri( t ) + q( t ) = R + q( t ) =0 C dt C i(t) = − separando le variabili e integrando fra i valori iniziali q ( 0 ) = q 0 e finali q ( t → ∞ ) = 0 si ricava dq ( t ) 1 t = − ∫q0 q ( t ) RC ∫0 dt q ln ossia − 1 t RC − q ( t ) = q 0e − i(t) = − ΔVR ( t ) = Ri ( t ) = ΔV0 e = C ΔV0 e − 1 t RC 1 t dq ( t ) ΔV0 − RC = e dt R − 1 t RC 83 q(t) 1 =− t q0 RC Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino 1 t − 1 RC − ΔVC ( t ) = q ( t ) = ΔV0 e C Anche in questi fenomeni la rapidità del transiente è pilotata dalla costante capacitiva di tempo. In [figura 103] sono rappresentati gli andamenti di q ( t ) e i ( t ) . L’energia elettrostatica posseduta dal q(t) C ΔV0 [ figura 103] condensatore carico viene completamente dissipata dal resistore per effetto Joule ΔV02 −2 RC1 t 1 q 02 Ue = → PR = Ri ( t ) = e 2 C E i(t) Durante la carica/scarica del condensatore (esempio ad armature piane, ma il ragionamento vale per qualsiasi condensatore) circola corrente nel circuito, ma fra le armature non esiste alcun trasporto di cariche. ΔV0 Per considerare ancora valida l’equazione di continuità, è opportuno R imporre che “qualcosa” con le caratteristiche di una corrente fluisca fra le armature. La definizione di corrente è G dΦ B dq ( t ) d d⎛ S ⎞ d i(t) = = ( C ΔV ) = ⎜ ε 0 Ed ⎟ = ε 0 ( ES) = ε 0 dt dt dt ⎝ d ⎠ dt dt La corrente variabile nel tempo è posta in relazione alla variazione temporale del flusso del campo elettrico attraverso alle armature. Tale relazione rappresenta l’artificio formale per definire il moto di cariche nel condensatore, anche se al suo interno non si ha spostamento materiale di cariche: l’espressione è detta corrente di spostamento. ( ) CIRCUITI INDUTTIVI La corrente che circola in un circuito determina un flusso concatenato proporzionale all’intensità della corrente G Φ B = Li(t) ( ) Se l’intensità della corrente variasse nel tempo, se il circuito si muovesse all’interno del campo magnetico generato o e il circuito variasse la sua geometria verrebbe generata una f.e.m. indotta data da G dΦ B di ( t ) = −L Ei = − dt dt Il coefficiente L, legato alla geometria del circuito ed alla permeabilità magnetica del mezzo nel quale è posto il circuito, viene detto induttanza. La validità della relazione è assolutamente generale, purché il tempo durante il quale avviene il fenomeno sia molto maggiore del tempo impiegato dalla luce a percorrere uno spazio pari alle dimensioni caratteristiche del circuito: altrimenti l’intensità della corrente non sarebbe costante contemporaneamente in tutti i suoi punti. Un circuito nel quale sia L ≠ 0 si dice induttivo e se detta caratteristica è localizzata in una sua specifica parte, essa è chiamata induttore ed il simbolo grafico è un solenoide elicoidale. In presenza di materiali ferromagnetici ( k m >> 1 ) il fenomeno dell’autoinduzione è molto spiccato, per i materiali paramagnetici e diamagnetici ( k m 1 ) il fenomeno è trascurabile. Circuito RL: si consideri un circuito con un generatore (f.e.m. E costante), un induttore (induttanza L), ed un resistore (resistenza elettrica R) ed un interruttore tutti in serie fra loro [figura 104]. Al tempo iniziale t = 0 , l’interruttore sia aperto per cui non si ha circolazione di corrente i ( 0 ) = 0 . Chiudendo l’interruttore, inizia a ( ) circolare corrente i ( t ) e nell’induttore si genera un campo magnetico che determina una f.e.m. indotta. La legge di Ohm per il circuito impone che (73) E + E i ( t ) = Ri ( t ) 84 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino E−L di ( t ) = Ri ( t ) dt Separando le variabili di ( t ) 1 1 = − d ln ⎡⎣E − Ri ( t ) ⎤⎦ = dt E − Ri ( t ) R L { } R ed integrando fra il valore iniziale i ( 0 ) = 0 a t = 0 e i ( t ) al generico istante t si ha { } R t ∫0 d ln ⎡⎣E − Ri ( t )⎤⎦ = L ∫0 dt i E i ⎡ E − Ri ( t ) ⎤ R ln ⎢ ⎥=− t L E ⎣ ⎦ L ossia [ figura 104 ] R − t ⎞ E⎛ L 1 e − ⎜ ⎟ R⎝ ⎠ − i(t) = − Ei ( t ) = − L − ii ( t ) = + R − t di ( t ) = − Ee L dt Ei E −Rt =− e L R R ⎞ ⎟ ⎝ ⎠ Tutte queste grandezze rappresentano fenomeni transienti e la rapidità di tali transienti è pilotata dall’esponente della funzione esponenziale: dovendo essere adimensionato, la sua equazione dimensionale è [ R L] = [1 T ] e si definisce costante induttiva di tempo la relazione − ⎛ ΔVR ( t ) = Ri ( t ) = E ⎜1 − e − R t L L R Quando t → ∞ , i ( ∞ ) = E R e i i ( t ) = 0 , la loro rappresentazione è in [figura 105]. Calcolando la differenza τL = i (∞) − i ( t ) = R − t ⎞ E E⎛ E − R t Ei ( t ) − ⎜1 − e L ⎟ = e L = = ii ( t ) R R⎝ R R ⎠ In definitiva i (t ) = i (∞ ) − ii (t ) E R i(t) ciò significa che durante il transitorio, oltre alla corrente deducibile ii ( t ) con la legge di Ohm per il circuito puramente resistivo si aggiunge si aggiunge una corrente (detta extracorrente di chiusura) che risulta t [ figura 105] massima al tempo t = 0 di chiusura dell’interruttore e si annulla per t → ∞ quando al corrente ohmica diventa stazionaria. Staccando il generatore di f.e.m. e aprendo l’interruttore, la resistenza R del resistore tende all’infinito e l’intensità della corrente circolante tende a zero. Tutto ciò non ha significato reale in quanto nell’induttore si G genera un autoflusso in rapida diminuzione d Φ B dt < 0 che determina (legge di Lentz) una f.e.m. indotta ( ) Ei > 0 . La corrente indotta aumenta considerevolmente ed in alcune situazioni può scoccare una violenta scintilla fra i morsetti dell’interruttore (si arriva a saldare i morsetti ed il coltello di chiusura). È plausibile pensare che in realtà la resistenza R aumenti fino a raggiungere un valore R ′ ( >> R ) , restando poi costante per tutto il periodo durante il quale la corrente circolante passa dal massimo valore iniziale i ( 0 ) = E R al valore finale i ( ∞ ) = 0 85 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino R R = cost ( R >> R ) → E i ( 0) = → i (∞) = 0 R Utilizzando la relazione (73), nella quale E = 0 e si sostituisce R con R ′ , si ricava l’equazione di ( t ) di ( t ) R′ −L = R ′i ( t ) = − dt dt i(t) L ′ ′ e integrando fra i valori i ( 0 ) = E R (per t = 0 ) e i ( t ) (per il generico t) si ricava − − ′ E − RL t e R ′ di ( t ) R ′ − RL t =E e Ei ( t ) = − L dt R i(t) = Ei ( t ) E − RL′ t − ii ( t ) = = e R′ R Al tempo iniziale la corrente ha il massimo valore i ( 0 ) = E R e le f.e.m. indotta vale R′ Ei ( 0 ) = E >> E R e tale valore indica l’esistenza di una extracorrente di apertura di forte intensità. Negli interruttori industriali tali correnti devono essere assolutamente evitate e gli elementi dell’interruttore sono posti in mezzi ad alta rigidità dielettrica (ad esempio olio minerale). La resistenza R′ viene detta resistenza di scintilla. ENERGIA DEL CAMPO MAGNETICO La presenza di una f.e.m. in un circuito sottende sempre un lavoro compiuto sulle cariche libere che, muovendosi da un punto a potenziale maggiore verso uno a potenziale minore, determinano una corrente. Nelle relazione (73), moltiplicando tutti i termini per l’intensità i, si ricava la potenza in gioco durante il processo di Ei = Ri 2 + Li dt ed il bilancio energetico vale Eidt = Ri 2 dt + Lidi con il significato dei vari termini − dL G = Eidt : rappresenta il lavoro compiuto dal generatore per far circolare la corrente, − dL R = R i 2 dt : rappresenta il lavoro dissipato per effetto Joule nel resistore (circuito) durante la circolazione della corrente, rappresenta il lavoro speso − dL L = Lidi : P nell’induttore per contrastare la f.e.m. indotta E2 affinché si abbia un aumento di della corrente R Ei Ri 2 circolante. Il lavoro complessivo è uguale alla somma degli integrali dei singoli termini ed in [figura 106] sono rappresentati i loro andamenti. A un dato tempo t, le aree sottese dalle singole [ figura 106 ] di curve con l’asse dei tempi sono numericamente uguali ai Li rispettivi lavori (significato geometrico di un integrale) e dt quando la corrente raggiunge il valore stazionario si ha t E E2 i ( ∞ ) = = cost ≠0 Ei ( ∞ ) = Ri 2 ( ∞ ) = R R 86 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Ciò implica che il generatore continua a fornire potenza per la circolazione della corrente in regime ohmico e detta potenza è numericamente uguale a quella dissipata per effetto Joule. Nell’intervallo temporale durante il quale la corrente passa dal valore iniziale i ( 0 ) = 0 al generico valore i ( t ) il generatore, per contrastare l’azione della f.e.m. indotta Ei , compie un lavoro pari a i 1 L i = L ∫ idi = Li 2 = U intrinseca 0 2 Tale lavoro risulta indipendente dalla modalità con la quale la variazione di corrente è avvenuta, mentre risulta uguale alla differenza fra il valore finale ed iniziale di questa. Il lavoro è un’energia che viene accumulata all’interno dell’induttore dove viene generato un campo magnetico: l’energia viene detta energia intrinseca della corrente e risulta uguale all’energia del campo magnetico alla fine del processo. 1 U intrinseca ≡ U m = Li 2 2 • Si consideri un solenoide di lunghezza l 0 , costituito da N spire conduttrici di raggio R percorse da una corrente di intensità i. Se la lunghezza è prevalente rispetto al diametro, il campo magnetico interno vale B = n μ 0i (con n = N l 0 il numero di spire per unità di lunghezza) e genera un autoflusso definito da ⎛ N2 ⎞ Φ ( B ) = NBS = ⎜ μ 0 S ⎟ i = Li l 0 ⎝ ⎠ È facile definire l’induttanza per un tale induttore come N2 N2 N2 L = μ0 S = μ 0 2 l 0S = μ 0 2 W = n 2 μ 0 W l0 l0 l0 L’energia magnetica al suo interno è 1 2 1 B2 2 U m = Li = W ( nμ 0i ) W = 2 2μ 0 2μ 0 E dividendo per il volume W si ricava la densità di energia magnetica per unità di volume u e = U e W ue = • B2 2μ 0 Il confronto fra la densità di energia per unità di volume sia per il campo elettrico sia per il campo magnetico conduce ad avere per il G G G 1 1G G − campo elettrico : u e = ε 0 E 2 e poiché D = ε 0 E + P , se P = 0 si ricava u e = E • D 2 2 G 2 G B G 1B 1 G G e poiché H = − M , se M = 0 si ricava u m = H • B − campo magnetico : u m = 2 μ0 2 μ questa due relazioni hanno una validità assolutamente generale indipendentemente dal fatto che siano state ricavate usando un condensatore piano o un induttore 1 1 B2 U e = ∫∫∫ ε 0 E 2 dW U m = ∫∫∫ dW 2 W 2 W μ0 PRESSIONE ELETTROSTATICA In un condensatore piano il campo elettrostatico al suo interno risulta uniforme, se viene trascurato l’effetto di bordo, con orientamento dall’armatura positiva a quella negativa [figura 107]. L’energia elettrostatica vale 1 1 U e = ε 0 E 2 W = ε 0 E 2Sl 0 2 2 La forza elettrostatica viene definita come 87 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino JJJJJJJG G d ⎛1 1 ⎞G 2 2 G Fe = − gradU e = − ⎜ ε 0 E Sl 0 ⎟ n = − ε 0 E Sn dl 0 ⎝ 2 2 ⎠ G avendo indicato con n la normale all’armatura negativa sulla quale agisce G normalmente Fe La definizione di pressione elettrostatica, esercitata sulle armature di superficie S, è F 1 pe = e = ε0E 2 ≡ u e S 2 ossia è pari alla densità di energia per unità di volume. [ figura 107 ] G E G n + − PRESSIONE MAGNETICA All’interno di un solenoide di lunghezza l 0 e raggio r, costituito da n spire per unità di lunghezza percorse da una corrente di intensità i 0 , il campo magnetico B = n μ 0i 0 risulta assiale ed uniforme. Su ogni G elemento i 0 d l di spira del solenoide tale campo magnetico esercita G G G un’azione pari a dF = i 0 d l × B che risulta diretta radialmente verso l’sterno [figura 108]. Nel volume di spazio all’interno del solenoide l’energia magnetica vale 1 B2 1 B2 2 Um = W= πr l 0 2 μ0 2 μ0 La forza magnetica viene definita come JJJJJJJJG G G d ⎛ 1 B2 2 ⎞ G B2 π = − πrl 0 n Fm = − gradU m = − r l n ⎜ 0⎟ μ0 dR ⎝ 2 μ 0 ⎠ La definizione di pressione magnetica, esercitata sul “mantello” del solenoide di superficie Sl = 2πrl 0 F 1 μ0 pm = m = ≡ um Sl 2 ossia è pari alla densità di energia per unità di volume. G dF G dl i0 r l0 G Fm G n [ figura 108 ] MUTUA INDUZIONE Fra due circuiti accoppiati (definiti completamente dalla loro c d resistenza R, induttanza L e coefficiente di mutua induzione M) la induzione mutua impone che valgano le relazioni R1 L1 R2 L2 Φ12 = M i1 e Φ 21 = M i 2 E(t) ed il coefficiente di muta induzione M (che è il medesimo per i due circuiti, dipende dai fattori geometrici dei circuiti e dalla permeabilità ∼ magnetica del mezzo nel quale i circuiti si trovano) vale [ figura 109 ] Φ Φ M = 12 = 21 i1 i2 Si considerino i due circuiti accoppiati rappresentati in [figura 109], analizzando cosa succede in ognuno di essi si ha 88 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino – circuito c, nell'induttore L1 E L 1 = − L1 – nel circuito d la f.e.m. indotta E2 = − – circuito d, nell'induttore L 2 E L 2 = − L2 – nel circuito c la f.e.m. indotta E1 = − dii 1 dt d Φ12 di = −M 1 dt dt dii2 dt d Φ 21 di = −M 2 dt dt Applicando la legge di Ohm, si ricava per il circuito dii di c : E i − L1 1 − M 2 = R1 i1 dt dt dii di d : − L2 2 − M 1 = R 2 i2 dt dt e queste due equazioni differenziali presentano il coefficiente di accoppiamento definito da M. Fisicamente si ha un intercambio di energia fra i due circuiti attuato mediante il campo magnetico variabile. Se i due induttori fossero solenoidi di identica sezione S, si avrebbe L1 = n12μ0 S ⎫⎪ ⎬ → M = L1 L 2 L 2 = n 22μ0 S⎪⎭ ed il suo valore è la media geometrica delle due induttanze. ENERGIA MAGNETICA DEI CIRCUITI ACCOPPIATI Si considerino due circuiti accoppiati nei quali, chiudendo gli interruttori, circolino rispettivamente le correnti i1 e i 2 . Analizzando in dettaglio cosa succede, si ha − circuito c chiuso: i(0) = 0 → i1 = cost (a regime), − − − − circuito d aperto: i 2 = 0 , circuito c chiuso e corrente a regime i1 = cost , circuito d chiuso: i(0) = 0 → i 2 = cost (a regime). Il generatore c, per contrastare l'azione dell'autoinduzione, deve fornire l'energia (lavoro) 1 U1 = L1 i12 2 − il generatore c, per contrastare l'azione della induzione muta, deve fornire l'energia (lavoro) t t di 2 U 21 = E 21 i1 dt = M 21 i1 dt = M 21 i1 i 2 0 0 dt − il generatore d, per contrastare l'azione dell'autoinduzione, deve fornire l'energia (lavoro) 1 U 2 = L 2 i 22 2 − L'energia complessiva (lavoro totale) in gioco è 1 1 U tot = U1 + U 21 + U 2 = L1 i12 + L 2 i 22 + M 21 i1 i 2 2 2 ∫ ∫ 89 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino e per il principio di reciprocità, ripetendo il medesimo procedimento invertendo i due circuiti si ha una identica 1 1 relazione U tot = L1 i12 + L 2 i 22 + M12 i1 i 2 2 2 Essendo gli stati iniziali e finali identici per i due casi, la variazione di energia magnetica deve essere la stessa, cioè M12 = M 21 = M e per i due circuiti accoppiati si ha l'energia magnetica 1 1 U m = L1 i12 + L 2 i 22 + M i1 i 2 2 2 Attenzione: in aggiunta all'energia U1 , U 2 e U 21 = U12 i generatori devono erogare una energia aggiuntiva R1 i12 dt e R 2 i 22 dt per determinare la circolazione della corrente nei rispettivi circuiti. Uno spostamento relativo dei due circuiti, affinché la mutua induttanza vari di dM (restando costanti sia i1 che i 2 ) implica che la variazione dell'energia magnetica di accoppiamento valga dU m = i1i 2 dM Determinando le f.e.m. indotte mutamente nel processo, ossia d Φ 21 dM E1 = − = −i 2 dt dt dΦ dM E 2 = − 12 = −i1 dt dt si osserva che i due generatori devono spendere i lavori dL12 = − E 1i1 dt = i1i 2 dM dL 21 = − E 2i 2 dt = i1i 2 dM Nel complesso il lavoro speso è dL = dL12 + dL 21 = 2i1i 2 dM ≡ dU m : la variazione di energia magnetica rende conto semplicemente della metà dell'energia spesa dai generatori, la restante parte serve a spostare fisicamente i due circuiti. La convenzione dei segni da associare al coefficiente M impone che sia: − M > 0 : i generatori erogano lavoro che − aumenta l'energia magnetica, − tale lavoro si comporta come fosse lavoro meccanico compiuto dalle forze del campo. − M < 0 : i generatori assorbono lavoro che − proviene dalla diminuzione dell'energia magnetica, − tale lavoro si comporta come fosse lavoro meccanico compiuto contro le forze del campo. CORRENTI DI SPOSTAMENTO • Correnti stazionarie: la legge di Ampère definisce che JJJJGG G G G B • dl = μ i rot = μ B (73) 0 0 0 j0 v∫ se le correnti sono costanti nel tempo i 0 = cost e ρ0 = cost . L’equazione della continuità, che esprime in forma dinamica la conservazione della carica, impone che sia G G ∂ρ ∂ρ 0 (74) div j0 + 0 = 0 = 0 → div j0 = 0 ∂t ∂t JJJJG G G e la seconda relazione (73) definisce div rotB = μ 0 div j0 = 0 che verifica quanto asserito. ( ) 90 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ • Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Correnti non stazionarie: ad esempio, durante la carica o la scarica di un condensatore l’intensità della corrente varia nel tempo i ( t ) secondo una legge un precisa legge temporale che è stata definita nei precedenti paragrafi. Tale corrente si considera circolante in tutti i punti del circuito, anche se fra armature del condensatore (dove vi è un dielettrico) non si ha alcun trasferimento reale di cariche. Tale fatto impone che la conservazione della carica, enunciata secondo la relazione (74), deve essere riscritta per non incorrere in una palese contraddizione di discontinuità nella circolazione della corrente. In una delle armature “entra” la corrente i 0 ( t ) = + dq ( t ) dt , mentre dall’altra ne esce una i 0 ( t ) = − dq ( t ) dt . 91 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Si consideri una linea chiusa piana [figura 110], orientata secondo il verso della corrente che fluisce nel conduttore contornato dalla linea: la legge di Ampère definisce ∫ B • d l = μ 0i 0 e attraverso alla superficie S1 , che ha come contorno la linea chiusa considerata (superficie S1 ) ∫∫ j0 • n dS = i 0 j0 S1 [ figura 110 ] S1 Considerando una seconda superficie S2 , che ha come contorno la linea chiusa considerata e che racchiude una selle due armature (superficie S2 ) ∫∫ j0 • n dS = 0 S1 j0 S2 j0 La discontinuità deve essere aggirata attraverso ad un qualche fenomeno che definisca una virtuale corrente circolante fra le armature j0 ⎛ ⎞ dΦ E ⎟ d d d⎜ S d i ( t ) = q ( t ) = ( CΔV0 ) = ⎜ ε 0 Ed 0 ⎟ = ε 0 ( ES) = ε 0 dt dt dt ⎜ d 0 ΔV ⎟ dt dt 0 ⎝ C ⎠ Tale corrente virtuale è detta corrente di spostamento i s ( t ) , che risulta definita da una densità di corrente ( ) di spostamento j s ( t ) e le due relazioni sono is (t ) = ε0 ( ) dΦ E ∫∫ j dt s • n dS = i s S2 All’interno della armature del condensatore esiste un campo elettrico che soddisfa alla relazione divE = ε 0ρ 0 ρ 0 = div ε 0 E ( ) e derivando rispetto al tempo (attenzione: la densità volumica può essere funzione sia delle coordinate spaziali sia di quelle temporali, quindi devono essere usate derivate parziali) ∂ρ 0 ∂ = div ε 0 E ∂t ∂t La derivata è operata rispetto al tempo mentre la divergenza è calcolata rispetto alle coordinate spaziali, quindi le due operazioni intercambiabili ⎛ ∂E ⎞ ∂ρ = div ε 0 E = div ⎜ ε 0 ⎟ ∂t ⎝ ∂t ⎠ e sostituendo nell’equazione (74) si ricava ⎛ ∂E ⎞ ⎛ ∂E ⎞ div j0 + div ⎜ ε 0 ⎟ = div ⎜ j0 + ε 0 ⎟=0 ∂t ⎠ ⎝ ∂t ⎠ ⎝ Definendo una densità totale di corrente ∂E jtot = j0 + ε 0 ∂t È possibile affermare che anche in presenza di correnti variabili nel tempo, la divergenza della somma delle − densità di corrente di conduzione j0 ( ) ( ) − densità di corrente di spostamento js = ε 0 ∂E ∂t div jtot = 0 91 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino EQUAZIONI DI MAXWELL PER FENOMENI VARIABILI NEL TEMPO Quando vengono trattati campi elettrici e campi magnetici variabili nel tempo, le quattro equazioni di Maxwell hanno la forma (per il vuoto formulazione integrale formulazione differenziale 1 1 divE = ρ 0 divD = ρ 0 ∫∫S E • n dS = ε 0 q 0 ε0 ∫ E • dl = − ( ) ∂Φ B rotE = − ∂t ∫∫ B • n dS = 0 S ∫ B • dl = μ 0i 0 + μ 0ε 0 ∂B ∂t D = ε0 E + P H= divB = 0 ( ) ∂Φ E ∂t rotB = μ 0 j0 + μ 0 ε 0 ∂E ∂t rotH = j0 + B −M μ0 ∂D ∂t CIRCUITO RLC IN SERIE Si consideri un circuito costituito dai seguenti componenti collegati in serie fra loro: un resistore (resistenza elettrica R), un induttore (induttanza L), un condensatore (capacità C) ed un interruttore [figura 111]. Al tempo iniziale t = 0 l’interruttore sia aperto ed il condensatore sia completamente carico, ossia fra le due armature esiste la d.d.p. ΔVC ( 0 ) = q 0 C . Alla chiusura dell’interruttore il condensatore perde cariche e fluisce una i ( t ) . Fra i punti ABCDA la somma delle d.d.p. risulta nulla ⎞ ⎛ ⎛ ⎞ ⎛ ⎞ ⎛ ⎞ ⎜V −V ⎟+⎜V −V ⎟+⎜V −V ⎟+⎜V −V ⎟ = 0 B C D D A ⎟ ⎜ C ⎜ A ⎟ ⎜ B ⎟ ⎜ ⎟ = V V E ⎠ ⎝ D A ⎠ i ⎝ ΔVR ( t ) ⎠ ⎝ ΔVC ( t ) ⎠ ⎝ Esplicitando si ricava di ( t ) 1 ΔVR ( t ) = −Ri ( t ) ΔVC ( t ) = − q ( t ) Ei = −L C dt in quanto le cariche diminuiscono e i ( t ) = − dq ( t ) dt . Sostituendo e R B A i(t) D derivando rispetto al tempo si ha d 2i ( t ) L di ( t ) 1 (75) + + i(t) = 0 dt 2 R dt LC per comodità si ponga L R = 2γ e determinando l’equazione dimensionale di 1 LC − C + C L [ figura 111] 2 ⎡ 1 ⎤ ⎡1⎤ ⎢⎣ LC ⎥⎦ = ⎢⎣ T ⎥⎦ ha la dimensione di una pulsazione al quadrato ω02 = 1 LC . L’equazione (75) assume la forma d 2i ( t ) di ( t ) (76) + 2γ + ω02i ( t ) = 0 2 dt dt una tale equazione differenziale è del secondo ordine, lineare a coefficienti costanti e completa. Nel corso di Fisica I, relativamente al moto di una massa sottoposta all’azione della forza peso, di una forza di tipo elastico e di una forza d attrito viscoso, è già stata analizzata. L’integrale generale della (76) è del tipo i ( t ) = e α t derivando e sostituendo nell’equazione si ricava l’equazione algebrica caratteristica 92 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino α 2 + 2γα + ω02 = 0 le cui radici sono α1 = −γ − γ 2 − ω02 α 2 = −γ + γ 2 − ω02 Poiché sia e α1t sia e α 2 t sono integrali generali che soddisfano l’equazione (76), anche la loro combinazione è ancora integrale generale. La realtà delle radici dell’equazione caratteristica dipendono dal segno del radicando γ 2 − ω02 , ossia − γ 2 − ω02 > 0 − − γ 2 −ω02 t + γ 2 −ω02 t ⎤ + B1e i ( t ) = e − γ t ⎡ A1e (smorzamento forte) ⎢⎣ ⎥⎦ γ 2 − ω02 = 0 : due radici reali e coincidenti, l’integrale generale è : due radici reali e distinte, l’integrale generale è i ( t ) = e − γ t [ A 2 + B2 t ] (smorzamento critico) Poiché γ 2 = ω02 , il valore della resistenza che si ricava è detta resistenza critica R = 2 L C . − γ 2 − ω02 < 0 : due radici complesse e coniugate, ponendo ω02 − γ 2 = ω2 l’integrale generale è i ( t ) = e − γ t ⎡⎣ A 3e − i ωt + B3e + i ωt ⎤⎦ Attenzione: i ( t ) è una grandezza reale, quindi le due costanti di integrazione devono essere complesse e coniugate. Applicando la relazione di Eulero per gli esponenziale complessi si ricava i ( t ) = Ae − γ t sin ( ωt + θ0 ) (smorzamento oscillante) L’ampiezza della oscillazione non è costante nel tempo in quanto decresce secondo la relazione esponenziale e − γ t e ciò è imputabile all’effetto Joule che avviene nel resistore. Le costanti di integrazione, che compaiono in ognuna delle tre relazioni, si determinano tramite le condizioni iniziali del problema. CIRCUITO LC IN SERIE Nel circuito illustrato in [figura 111], quando R = 0 l’equazione risolvente diventa d 2i ( t ) (77) + ω02i ( t ) = 0 2 dt e l’equazione differenziale risulta del secondo ordine, lineare, a coefficienti costante ed omogenea. L’integrale generale della (77) è del tipo (78) i ( t ) = K sin ( ω0 t + θ 0 ) (79) ΔVC ( t ) + ΔVL ( t ) = 0 ΔVC ( t ) = − ΔVL ( t ) = L di ( t ) = KLω0 cos ( ω0 t + θ 0 ) dt di ( t ) = − KLω0 cos ( ω0 t + θ 0 ) dt Le costanti di integrazione dipendono dalle condizioni iniziali del problema che si deducono tenendo presente la legge di Ohm per il circuito presente − Condensatore carico e induttore non percorso da corrente: le condizioni iniziali sono ⎧⎪i ( 0 ) = 0 = K sin θ0 t=0 ⎨ ⎪⎩ΔVC ( 0 ) = ΔV0 = Ei = LK ω0 cos θ 0 ⎛ ΔV0 ⎞ k= ⎜ θ0 = 0 ⎟ ω0 L ⎠ ⎝ In tale situazione le relazioni (78), (79) e (80) assumono la forma (80) Ei ( t ) = −L 93 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino i(t) = ΔV0 ω0 L sin ω0 t ΔVC ( t ) ΔVC ( t ) = ΔV0 cos ω0 t Ei ( t ) = − ΔV0 cos ω0 t i(t) La rappresentazione dell’andamento di i ( t ) e di ΔVC ( t ) è data in [figura 112] e si osserva che sono in quadratura di fase. − Condensatore scarico e induttore percorso da corrente: le condizioni iniziali sono ⎧⎪i ( 0 ) = i 0 = K sin θ0 π ⎛ ⎞ K = i0 ⎟ t=0 ⎨ ⎜ θ0 = 2 ⎝ ⎠ ⎪⎩ΔVC ( 0 ) = 0 = LK ω0 cos θ0 [ figura 112] In tale situazione le relazioni (78), (79) e (80) assumono la forma π⎞ ⎛ i ( t ) = i 0 sin ⎜ ω0 t + ⎟ = i 0 sin ω0 t 2⎠ ⎝ π ΔVC ( t ) = Li 0ω0 cos ⎛⎜ ω0 t + ⎞⎟ = − Li 0 ω0 sin ω0 t 2⎠ ⎝ π⎞ ⎛ Ei ( t ) = − i 0 Lω0 cos ⎜ ω0 t + ⎟ = − i 0 Lω0 sin ω0 t 2⎠ ⎝ In tutti e due i casi illustrati, quando − la corrente i ( t ) è massima: ΔVC ( t ) risulta nullo, quindi tutta l’energia è magnetica e localizzata nell’induttore 1 2 Li 0 2 risulta massimo, quindi tutta l’energia è elettrica e localizzata nel Um = − la corrente i ( t ) è nulla: ΔVC ( t ) condensatore 1 2 U e = C ( ΔV0 ) 2 Le due grandezze fisiche sono in quadratura di fase (ossia sfasate di π 2 ) e la somma delle due energia è U e + U m = cost ossia ⎧⎪ Li 02 1 2 1 2 Li 0 + C ( ΔV0 ) = ⎨ 2 2 2 ⎪⎩C ( ΔV0 ) in quanto non esiste dispersione di energia per effetto Joule OSCILLAZIONI ELETTRICHE PERSISTENTI Nel circuito rappresentato in [figura 111] il resistore dissipa potenza per effetto Joule e, nel caso di γ 2 − ω02 < 0 , l’ampiezza delle oscillazioni dell’andamento di i ( t ) risulta smorzata esponenzialmente. Inserendo nel circuito un generatore E ( t ) [figura 113] che fornisca una potenza uguale a quella dissipata, le oscillazioni diventano persistenti (l’ampiezza resta costante nel tempo). La f.e.m. prodotta dal generatore sia del tipo E ( t ) = E 0 sin ωt e l’equazione risolvente risulta essere 94 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino di ( t ) 1 + q ( t ) = E 0 sin ωt dt C Derivando rispetto al tempo entrambi i membri si ottiene l’equazione differenziale E0ω d 2i ( t ) L di ( t ) 1 + + i(t) = cos ωt 2 dt R dt LC L Ri ( t ) + L R ∼ per comodità si ponga L R = 2 γ e ω02 = 1 LC , quindi d 2i ( t ) di ( t ) Eω + 2γ + ω02i ( t ) = 0 cos ωt (81) 2 dt dt L L’integrale generale della (81) è la somma di un integrale generale della equazione omogenea associata (ossia il primo membro uguagliato a zero) i oa ( t ) e di un qualunque integrale particolare i p che soddisfi l’equazione differenziale data i ( t ) = i oa ( t ) + i p B A E(t) C D C L [ figura 113] − Integrale della omogenea associata: la tipologia è stata illustrata nel paragrafo relativo al circuito RLC e tale integrale rappresenta sempre un fenomeno transiente − γ 2 −ω02 t + γ 2 −ω02 t ⎤ + B1e se γ 2 − ω02 > 0 : i oa ( t ) = e − γ t ⎡ A1e ⎢⎣ ⎥⎦ se γ 2 − ω02 = 0 : i oa ( t ) = e − γ t [ A 2 + B 2 t ] se γ 2 − ω02 < 0 : i oa ( t ) = e − γ t ⎡⎣ A 3e − i ωt + B3e + i ωt ⎤⎦ − Integrale particolare: è scelto in funzione della forma analitica che rappresenta le f.e.m. del generatore, ossia → i p = K sin ( ωt + ϕ ) ⎪⎧E ( t ) = E 0 sin ωt quando ω ≠ ω0 ⎨ → i p = K sin ( ωt + ϕ ) → i p = K cos ( ωt + ϕ ) ⎪⎩E ( t ) = E 0 cos ωt → i p = K cos ( ωt + ϕ ) ⎧⎪E ( t ) = E 0 sin ωt quando ω = ω0 ⎨ → i p = K sin ( ωt + ϕ ) ⎪⎩E ( t ) = E 0 cos ωt Calcolando le derivate temporali prime e seconde di i p = K sin ( ωt + ϕ ) e sostituendo nella (81) si ricava E0 ω cos ωt L dopo aver svolto sin ( ωt + ϕ ) e cos ( ωt + ϕ ) , uguagliando i coefficienti dei termini sin ωt e cos ωt , si ricava un K ( ω02 − ω2 ) sin ( ωt + ϕ ) + 2 γ K cos ( ωt + ϕ ) = sistema di due equazioni nelle incognite K e ϕ ⎧sin ωt) : K ⎡( ω2 − ω02 ) cos ϕ − 2 γ sin ϕ⎤ = 0 ⎣ ⎦ ⎪ ⎨ Eω ⎪cos ωt) : K ⎡( ω2 − ω02 ) sin ϕ − 2 γ cos ϕ⎤ = 0 ⎣ ⎦ ⎩ L Risolvendo si ottiene E0 K (ω) = ⎛ 1 ⎞ R + ⎜ωL − ⎟ ωC ⎠ ⎝ e l’integrale della equazione (81) ha la forma ϕ ( ω ) = atan 2 2 95 ωL − R 1 ωC Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino i ( t ) = i oa ( t ) + K ( ω ) sin ⎡⎣ωt + ϕ ( ω ) ⎤⎦ transiente • persistenza Considerazioni: quando in un circuito RLC in serie si applica una f.e.m. pulsata del tipo E ( t ) = E 0 sin ωt , terminato il transiente rappresentato da i oa ( t ) si innescano oscillazioni persistenti aventi l’ampiezza costante nel tempo. La corrente circolante risulta del tipo i p = K ( ω) sin ⎡⎣ωt + ϕ ( ω) ⎤⎦ : − l’ampiezza risulta funzione delle pulsazione della f.e.m. del generatore, del valore massimo E 0 e dei parametri resistenza, induttanza e capacità; − lo sfasamento ϕ ( ω) fra le f.e.m. E ( t ) e la corrente i ( t ) e l’ampiezza K ( ω) delle oscillazioni persistenti sono indipendenti dalle condizioni iniziali, che pilotano semplicemente la parte transiente del fenomeno. RISONANZA L’ampiezza delle oscillazioni persistenti K ( ω) presenta un massimo quando il denominatore assume il valore minimo e ciò avviene quando 1 1 ω2 = = ω02 ωL − =0 ωC LC con ω 0 = 1 LC la pulsazione caratteristica del sistema e ω la pulsazione indotta. In tale situazione lo sfasamento ϕ ( ω) risulta nullo. Quando si verificano tali condizioni, si parla del fenomeno di risonanza che risulta sempre più evidente quanto più e piccolo il valore della resistenza R del resistore e se ω = ω0 → ϕ ( ω ) = 0 R →0 K ( ω) → ∞ Nella situazione di risonanza, nel circuito RLC circola una corrente di intensità E i ( t ) = 0 sin ωt R esattamente come se il circuito fosse puramente resistivo. Annullando il denominatore di K ( ω) si ha 1 = ±R ωC e l’ampiezza delle oscillazioni persistenti assume il valore massimo costante E0 K max = = cost R 2 • Si definisce larghezza di risonanza la differenza fra due valori della pulsazione indotta per ω1 < ω0 ω 2 > ω0 in corrispondenza del valore di annullamento del denominatore. 1 R 1 ω12 + ω1 − =0 ω1L − = −R ω1C L CL ωL − ω02 ω2 L − 1 = +R ω2 C ω22 − R 1 ω2 − =0 L CL ω02 Risolvendo le due equazioni e scartando le radici negative, si ricava 96 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ 2 R ⎛ R ⎞ 2 ω1 = − + ⎜ ⎟ − ω0 L ⎝ 2L ⎠ La larghezza della risonanza vale Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino 2 R ⎛ R ⎞ 2 ω1 = + + ⎜ ⎟ − ω0 L ⎝ 2L ⎠ Δω = ω2 − ω1 = R L ed il prodotto delle due pulsazioni 2 2 ⎛ R ⎞ ⎛ R ⎞ 2 2 ω 0 = ω1 ω 2 ω1ω2 = − ⎜ ⎟ +⎜ ⎟ + ω0 = ω0 ⎝ 2L ⎠ ⎝ 2L ⎠ La pulsazione propria ω 0 risulta medio proporzionale fra le due • [ figura 114 ] K(ω) Δω ω1 ω0 ω2 pulsazioni ω 1 e ω 2 , ciò implica che le due pulsazioni non risultano equidistanti da ω 0 per cui la curva che rappresenta la risonanza non è simmetrica rispetto ad ω 0 [figura 114]. Fattore di merito: la larghezza della risonanza può essere riscritta R Δ ω = ω0 ω0 L ed il fattore di merito viene definito come L Q = ω0 R Si osservi che Δω = ω0 Q , quindi ω L Q = 0 = ω0 Δω R e questo fatto implica che tanto è più stretta l’ampiezza di risonanza tanto più è alto il fattore di merito: la resistenza elettrica è piccola rispetto al prodotto ω0 L . In un circuito RLC con un generatore E ( t ) circola sostanzialmente una corrente quando la pulsazione esterna ω del generatore risulta molto prossima alla pulsazione caratteristica del circuito. CIRCUITI ELETTRICI IN ALTERNATA Una qualunque grandezza X si definisce alternata quando risulta periodica ed il suo valore medio, calcolato sul periodo T, è nullo 1 T 〈 X ( t )〉 = X ( t ) dt = 0 T 0 Una forza elettromotrice o una corrente si definiscono alternate quando variano periodicamente secondo una relazione analitica sin ω t o cos ω t . • Limite di validità: affinché l'intensità della corrente i(t) si possa considerare costante in tutti i punti del circuito, la variazione temporale deve essere lenta rispetto al tempo impiegato dalla luce a percorrere una distanza pari alla dimensione tipica del circuito d 2π >> 0 T= ω c Nella presente trattazione, il generatore produce una forza elettromotrice alternata esprimibile dalla relazione E (t) = E 0 cos ωt e la corrente che circola nel circuito ha intensità i(t) = i 0 cos ω t . ∫ • Resistore: il valore della resistenza sia R [figura 115] − E(t) = E 0 cos ω t : la legge di Ohm definisce che l'intensità della corrente nel circuito vale 97 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino E(t) E0 = cos ωt = i 0 cos ωt R R essendo i 0 = E0 R il valore massimo. La corrente circolante i(t) = − ΔVR ( t ) = Ri(t) = Ri0 cos ωt = ΔV0 cos ωt R [ figura 115] essendo ΔV0 = Ri 0 il suo valore massimo. La d.d.p. ΔVR ( t ) è • ΔVR ( t ) E(t) ∼ i(t) risulta in fase con E(t) . i(t) = i 0 cos ωt : calcolando la d.d.p. ai capi del resistore si ha in fase con i(t) ed il comportamento del resistore risulta essere indipendente dalla pulsazione ω. Induttore: il valore dell'induttanza sia L [figura 116]. − E (t) = E 0 cos ωt : la legge di Ohm E i (t) + E(t) = 0 , con E i (t) = − L di(t) dt , permette di calcolare l'intensità della E(t) ∼ ΔVL ( t ) L corrente circolante nel circuito, ossia integrando di(t) E i (t) E 0 = = cos ωt dt L L si ricava [ figura 116 ] E0 π⎞ ⎛ i(t) = sin ωt = i 0 cos ⎜ ωt − ⎟ ωL 2⎠ ⎝ essendo i 0 = E0 ω L il suo valore massimo. La corrente circolante i( t) ha un ritardo di fase pari a Δθ = π 2 rispetto alla f.e.m. E(t) . − i(t) = i 0 cos ωt : calcolando la d.d.p. ai capi dell'induttore si ricava ΔVL ( t ) = L di(t) dt , da cui π ΔVL ( t ) = − ω Li0 sin ωt = ΔV0 cos ⎛⎜ ωt + ⎞⎟ 2⎠ ⎝ essendo ΔV0 = ωLi 0 il suo valore massimo. La d.d.p. ΔVL ( t ) ha un anticipo di fase pari a Δ θ = π 2 • rispetto alla corrente circolante. La reattanza dell'induttore è la grandezza ω L ed il comportamento dell'induttore risulta essere lineare e pilotato della pulsazione ω. Condensatore: la capacità sia C [figura 118]. − E(t) = E 0 cos ωt : la legge di Ohm ΔVC ( t ) + E ( t ) = 0 , con ΔVC ( t ) = q ( t ) C , permette di calcolare l'intensità della corrente ΔVC ( t ) E(t) ∼ circolante nel circuito, ossia q ( t ) = C E ( t ) = C E0 cos ωt C e derivando rispetto al tempo si ricava dq ( t ) π⎞ ⎛ [ figura 118 ] = − CE 0 ω sin ωt = i 0 cos ⎜ ωt + ⎟ i(t) = dt 2⎠ ⎝ essendo il suo valore massimo i 0 = ω CE 0 . La corrente circolante i(t) ha un anticipo di fase pari a Δθ = π 2 rispetto alla E ( t ) . − i(t) = i 0 cos ωt : calcolando la d.d.p. ai capi del condensatore si ricava ΔVC ( t ) = q ( t ) C , da cui si ha ΔVC ( t ) = 1 1 q (t) = C C i0 t i0 ⎛ π⎞ ∫ i ( t ) dt = ω C sin ωt = ω C cos ⎜⎝ ωt − 2 ⎟⎠ 0 essendo ΔV0 = i 0 ω C il suo valore massimo. La d.d.p. ΔVC ( t ) ha un ritardo di fase pari a Δ θ = π 2 rispetto alla corrente circolante. 98 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino 1 ed il comportamento dell'induttore risulta essere un ωC comportamento lineare e inverso della pulsazione ω. Osservazioni: quando una f.e.m. E (t) = E 0 cos ωt è applicata ad un resistore o a un induttore o a un La reattanza del condensatore è la grandezza • condensatore si ha circolazione di una corrente i(t) e precisamente nel caso del − resistore: ΔVR ( t ) e i(t) sono in fase fra loro; − induttore: ΔVL ( t ) in anticipo di fase di π 2 su i(t) , sono in quadratura fra loro; − condensatore: ΔVC ( t ) in ritardo di fase di π 2 su i(t) , sono in quadratura fra loro. • Da notare che la proporzionalità si ha solamente nel caso dei valori massimi. Nel caso di circuiti in alternata con elementi in serie, la determinazione della d.d.p. complessiva viene fatta utilizzando il procedimento dei vettori rotanti di Fresnell (vedere Fisica Generale I). Serie RL: facendo circolare una corrente di intensità i(t) , ai capi R dei singoli elementi si hanno le d.d.p. [figura 119] ⎧ΔVR ( t ) = R i 0 cos ωt ΔV ( t ) ⎪ i(t) = i 0 cos ωt ⎨ π⎞ ⎛ ⎪ΔVL ( t ) = ω Li 0 cos ⎜ ωt + ⎟ 2⎠ L ⎝ ⎩ e dalla figura si ricava ΔV ( t ) = ΔV0 cos ( ωt + θ ) ΔV0 essendo per i valori massimi ΔVL0 2 ΔV0 = i 0 R 2 + ( ω L ) θ ωL θ = atan i(t) R ΔVR 0 La d.d.p. ΔV ( t ) ai capi del circuito è in anticipo di fase rispetto [ figura 119 ] alla corrente circolante nel circuito, inoltre valgono le approssimazioni seguenti se − ωL >> R : ΔVL0 ω Li 0 e θ π 2 , il circuito si comporta come puramente induttivo; ωL << R : ΔVR 0 Ri 0 e θ 0 , il circuito si comporta come puramente resistivo. Al crescere di ω e per valori fissi di R ed L, il comportamento del circuito passa dalla caratteristica puramente resistiva a quella puramente induttiva. Serie LC: analogamente al caso precedente si ha [figura120] − • C ΔV ( t ) L ΔVL ΔVC 0 ΔVL 0 i(t) i(t) ΔVC 0 i0 ⎧ π⎞ ⎛ cos ⎜ ωt − ⎟ ⎪ΔVC ( t ) = 2⎠ ωC ⎪ ⎝ i(t) = i 0 cos ωt ⎨ ⎪ ΔV ( t ) = ωL i cos ⎛ ωt + π ⎞ 0 ⎜ ⎟ ⎪⎩ L 2⎠ ⎝ e si hanno due possibili casi e precisamente 99 0 [ figura 120 ] Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ − se ωL >> Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino ⎛ 1 1 ⎞ : ΔV0 = i 0 ⎜ ω L − ⎟ da cui ωC ωC ⎠ ⎝ π ΔV ( t ) = ΔV0 cos ⎛⎜ ωt + ⎞⎟ 2⎠ ⎝ la d.d.p. è in anticipo di fase rispetto alla corrente circolante. Le caratteristiche sono quelle puramente induttive e si può porre 1 1 ωL′ = ωL − L′ = L − 2 ωC ω C − se ωL << ⎛ 1 ⎞ 1 : ΔV0 = i 0 ⎜ − ω L ⎟ da cui ωC ⎝ ωC ⎠ π ΔV ( t ) = ΔV0 cos ⎛⎜ ωt − ⎞⎟ 2⎠ ⎝ la d.d.p. è in ritardo di fase rispetto alla corrente circolante. Le caratteristiche sono quelle puramente capacitive e si può porre 1 1 1 = − ω L , ossia C′ = C ω C′ ω C 1 − ω2 LC − se ω L = 1 ω C : ΔV0 = 0 da cui ΔV ( t ) = 0 • Serie RC: applicando la legge dei circuiti si ha [figura 121] ⎧ 1 π⎞ ⎛ ⎪ ΔVC ( t ) = ω C i 0 cos ⎜ ωt − 2 ⎟ i(t) = i 0 cos ωt ⎨ ⎝ ⎠ ⎪ΔV ( t ) = R i cos ωt 0 ⎩ R C ΔV ( t ) R e dalla figura si ricava ΔVR ΔV ( t ) = ΔV0 cos ( ωt + θ ) essendo per i valori massimi ⎛ 1 ⎞ ⎟ ⎝ ωC ⎠ −θ 2 ΔV0 = i0 R 2 + ⎜ • 0 ΔVC 0 i(t) ΔV0 1 [ figura 121] ωC θ = − arctan R La d.d.p. ai capi del circuito risulta in ritardo di fase rispetto alla corrente circolante, inoltre valgono le approssimazioni seguenti se si verificano i seguenti casi: − R >> 1 ω C : il circuito si comporta secondo una modalità puramente resistiva (condizione verificata per grandi valori di ω); − R << 1 ω C : il circuito si comporta secondo una modalità puramente induttiva (condizione verificata per piccoli valori di ω). Serie RLC: applicando quanto ricavato nei casi precedenti si ha ⎧ π⎞ ⎛ ⎪ΔVL ( t ) = ω Li 0 cos ⎜ ωt + ⎟ 2⎠ ⎝ ⎪ ⎪ i(t) = i 0 cos ωt ⎨ΔVR ( t ) = R i 0 cos ωt ⎪ ⎪ΔV ( t ) = 1 i cos ⎛ ωt − π ⎞ 0 ⎜ ⎟ ⎪⎩ C ωC 2⎠ ⎝ e dalla figura si ricava [figura122] 100 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino ΔV ( t ) = ΔV0 cos ( ωt + θ ) R essendo per i valori massimi ⎛ 1 ⎞ ΔV0 = i 0 R + ⎜ ω L − ⎟ ωC ⎠ ⎝ 1 ωL − ωC θ = arctan R 2 ΔV ( t ) 2 C L [ figura 122] ΔVL Si definisce impedenza del circuito RLC in serie la grandezza 0 2 ⎛ 1 ⎞ Z0 = R 2 + ⎜ ω L − ⎟ ωC ⎠ ⎝ ed il comportamento del circuito è pilotato dal valore di ω. Infatti se − ω → piccoli valori : il termine predominante è 1 ω C , per cui ⎛ 1 ⎞ ⎟ ⎝ ωC ⎠ ΔV0 θ ΔVC 2 ΔVR i(t) 0 0 ΔV0 i 0 R 2 + ⎜ tan θ < 0 ed il comportamento è equivalente a quello di un circuito RC in serie; − ω → grandi valori : il termine predominante è ω L , per cui ΔV0 i 0 R 2 + ( ω L ) 2 tan θ > 0 ed il comportamento è equivalente a quello di un circuito RL in serie. − Quando ω L = 1 ω C si ricava ΔV0 i 0 R e tan θ = 0 , il circuito ha un comportamento puramente • resistivo (caso della risonanza). − Limiti di validità: anche se in un circuito non vi fossero resistori, i rami di collegamento dei vari elementi hanno un valore di resistenza. Hanno significato i circuiti R, RC, RL e RLC mentre i circuiti L, C e LC acquisiscono interesse quanto più le reattanze ω L e 1 ω C sono maggiori di R. Legge generale: quando in un circuito, costituito da resistori, induttori e condensatori (presi singolarmente o variamente associati fra loro in serie), circola una corrente i(t) = i 0 cos ωt la d.d.p. ai capi del circuito è del tipo ΔV ( t ) = ΔV0 cos ( ωt + θ ) . Fra i valori massimi delle grandezze in gioco esiste la relazione ΔV0 = Z0 i 0 , essendo 2 ⎛ 1 ⎞ Z0 = R + ⎜ ω L − ⎟ ωC ⎠ ⎝ l'impedenza della serie. Detta impedenza, nel caso dei singoli elementi, assume un ben preciso significato e precisamente − Resistore: Z0 = R . 2 − Induttore: Z0 = ω L , l'impedenza cresce linearmente dal valore 0 ( ω = 0 , corrente continua) fino al valore ∞. di(t) . Quanto maggiormente cresce di(t) dt tanto più rapidamente cresce E i (t) = − L dt Valendo ΔV0 = Z0 i 0 = ω Li 0 , si nota che nell'induttore circola una corrente di intensità i 0 = ΔV0 ω L che decresce all'aumentare di ω (a parità di ΔV0 ). 101 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino − Condensatore: Z0 = 1 ω C , l'impedenza diminuisce linearmente dal valore ∞ (per ω = 0 ) al valore 0 per ω → 0 . Al crescere di ω, l'intensità i 0 = ω CΔV0 della corrente circolante aumenta e sulle armature del condensatore si ha una variazione di carica (a parità di ΔV0 ). Nei circuiti composti dai predetti elementi si ha una combinazione dei singoli effetti. POTENZA DI UNA CORRENTE ALTERNATA Applicando ad un circuito la f.e.m. E ( t ) = E 0 cos ωt si determina la circolazione di una corrente di intensità i ( t ) = i 0 cos ωt ed ai capi del circuito esiste la d.d.p. Δ V ( t ) = Δ V0 cos ( ωt + ϕ ) . La potenza istantanea viene definita dalla relazione P ( t ) = i ( t ) ΔV ( t ) = i 0 ΔV0 cos ωt cos ( ωt + ϕ ) Applicando la somma di angoli si ricava 1 P ( t ) = i 0 ΔV0 cos ϕ cos 2 ωt − i 0 ΔV0 sin ϕ sin 2ωt 2 e calcolandone il valore medio su un intero periodo 1 2π 1 1 2π < P ( t ) > = i 0 ΔV0 cos ϕ ∫ cos 2 ωt dt − i 0 ΔV0 sin ϕ ∫ sin 2ωt dt 2π 0 2 2π 0 Il primo integrale ha valore 1 2 mentre il secondo vale zero, quindi si ha la relazione di Galileo Ferraris i ΔV0 1 < P ( t ) > = i 0 ΔV0 cos ϕ = 0 cos ϕ = i eff ΔVeff cos ϕ = Preale 2 2 2 Preale = i eff ΔVeff cosϕ (82) La potenza media coincide con quella reale e risulta sempre differente da zero purché cos ϕ ≠ 0 ( ϕ ≠ π 2 ): il caso ϕ = π 2 riguarda un circuito con un resistore o un induttore oppure una loro combinazione, nell’ipotesi che la resistenza elettrica del circuito sia trascurabile. Il termine cosϕ e detto fattore di potenza. Nella relazione (82) si osservi che − i 0 ΔV0 cos ϕ cos 2 ωt risulta sempre positivo, 1 − i 0 ΔV0 sin ϕ sin 2ωt risulta positivo se corrisponde all’energia ceduta dal generatore al circuito, 2 negativo se corrisponde all’energia ceduta dal circuito al generatore. Il suo valore massimo definisce la potenza reattiva i ΔV0 1 Preattiva = i 0 ΔV0 sin ϕ = 0 sin ϕ = i eff ΔVeff sin ϕ 2 2 2 Si definisce potenza apparente o potenza di picco che un generatore deve fornire affinché vi sia circolazione di corrente nel circuito e si abbia una d.d.p. ai suoi capi 2 2 Papparente = Preale + Preattiva = eff ΔVeff Tale potenza non viene tutta utilizzata (ad esempio in un’automobile, all’accensione del motore, la batteria deve erogare una potenza superiore a quella effettivamente utilizzata nel processo vero e proprio). TRASFORMATORI I trasformatori sono dispositivi statici in grado i produrre variazioni di tensione e di corrente senza una perdita significativa di potenza. Il principio fisico utilizzato è quello dell’induzione mutua: precisamente, un circuito primario che contiene un generatore di f.e.m. E ( t ) induce su un circuito secondario una f.e.m. indotta 102 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Ei ( t ) ed il legame fra i due circuiti è costituito da un nucleo di materiale ferromagnetico. Tale nucleo definisce ( ) un circuito chiuso per le linee del campo magnetico in modo da permettere il passaggio del flusso Φ B dal circuito primario a quello secondario [figura 123]. Le correnti parassite di Foucault devono essere assolutamente minimizzate e ciò viene fatto utilizzando lamierini di piccolo spessore (separati fra loro da materiale isolante) e strettamente impacchettati fra loro. i(eff) ( t ) i(eff) ( t ) 1 E(t) [ figura 123] ∼ 2 nucleo trasformatore ΔVeff(1) ( t ) ΔVeff( 2) ( t ) R ( circuito primario ) ( circuito primario ) Utilizzando la relazione di Galileo Ferraris, che definisce la potenza media dissipata su un circuito resistivo (83) < P ( t ) > = i eff ΔVeff cos ϕ per un trasformatore ideale si abbia un − circuito primario c : contiene il generatore di f.e.m. E ( t ) = E 0 cosωt e abbia N1 spire (elettricamente isolate) avvolte attorno al nucleo ferromagnetico; − circuito secondario d : costituito da N 2 spire (elettricamente isolate) avvolte attorno al nucleo ferromagnetico, da un interruttore e da un resistore di resistenza elettrica R. Per i due avvolgimenti la resistenza sia piccola in modo da essere trascurabile e siano anche trascurabili le perdite di energia imputabili all’isteresi magnetica. Per un trasformatore ideale, le perdite totali di energia sono inferiori a 1%. • Il circuito primario c è puramente induttivo ed essendo la corrente circolante i1 ( t ) in ritardo di fase ϕ = π 2 rispetto a E ( t ) , il fattore di potenza nella (83) è nullo quindi non si ha trasferimento di energia. • • La corrente determina nell’avvolgimento primario un campo magnetico B ( t ) il cui valore varia nel tempo e che interessa tutto il nucleo ferromagnetico. Il flusso concatenato è anch’esso variabile nel tempo ed attraversa anche l’avvolgimento del circuito secondario d . Per la legge della induzione elettromagnetica, le f.e.m. indotta nei due avvolgimenti è la stessa dΦ B − circuito primario c : Ei ( t ) = − N1 dt ( ) − circuito secondario d : Ei ( t ) = − N 2 ( ) dΦ B dt Essendo la d.d.p. ai capi dei singoli circuiti è pari alle f.e.m. indotte nei rispettivi circuiti dΦ B dΦ B (1) ( 2) = − N1 = −N2 Ei ( t ) = ΔVeff (84) Ei ( t ) = ΔVeff dt dt e calcolando il rapporto, si ricava la d.d.p. ai capi del circuito secondario (trasformazione della d.d.p.) N ΔVeff( 2) = 2 ΔVeff( 2) N1 ( ) ( ) 103 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Con l’interruttore aperto non di si ha alcuna trasformazione, ma chiudendolo avvengono molteplici fenomeni sia nel circuito secondario d (nel quale possono essere presenti resistori, capacitori ed induttori: nel presente caso unicamente un resistore) sia in quello primario c . − Nel circuito secondario si genera una corrente indotta i (eff2) ( t ) che, nel resistore dissipa una potenza pari ( 2) < P ( 2) ( t ) > = i (eff2) ( t ) ΔVeff (t) − Tale corrente genera un flusso di campo magnetico indotto che, attraversando il nucleo ferromagnetico, interessa anche il circuito primario nel quale si genera una f.e.m. indotta. (1) , per la legge di Lentz, ma essa non può variare in − La f.e.m. indotta tende ad opporsi alla d.d.p. ΔVeff quanto deve essere uguale alla f.e.m. prodotta dal generatore. La chiusura dell’interruttore non può variare tale condizione. ′ − Il generatore deve conseguentemente produrre una corrente i (eff1) di intensità e fase costante per (1) . contrastare l’effetto che tenderebbe a far cariare ΔVeff • Applicando il principio di conservazione dell’energia si ha < P (1) ( t ) > = < P ( 2) ( t ) > (1) i (eff1) ( t ) ΔVeff ( t ) = i (eff2) ( t ) ΔVeff( 2) ( t ) i (eff2) ( t ) = i (eff1) ( t ) ΔVeff(1) ( t ) ΔVeff( 2) ( t ) Ricordando le relazioni (84) si ottiene la relazione per la trasformazione della corrente N 1 2 i (eff) ( t ) = 1 i (eff) ( t ) N2 • Per il circuito secondario d si può scrivere 1 ΔVeff( 2) ( t ) R e tenendo presente la relazione per la trasformazione della corrente i (eff) ( t ) = 2 2 ⎛N ⎞ N 1 N1 ΔVeff( 2) ( t ) ΔVeff(1) ( t ) = R ⎜ 1 ⎟ i (eff1) ( t ) i eff ( t ) 1 = N2 R N2 ⎝ N2 ⎠ Dal punto di vista del circuito primario, la resistenza equivalente alla resistenza di carico del circuito secondario vale ( 2) 2 • • ⎛N ⎞ R eq = R ⎜ 1 ⎟ ⎝ N2 ⎠ che definisce la trasformazione della resistenza. Trasmissione della corrente: per minimizzare le perdite imputabili all’effetto Joule durante il trasporto, è conveniente trasferire correnti di bassa intensità a la tensione più alta possibile. Uso locale: per motivazioni di sicurezza, le correnti usate hanno intensità alta e tensione relativamente bassa. EQUAZIONI DEL CAMPO ELETTROMAGNETICO Nel 1873 Maxwell pubblicò un lavoro nel quale propose l’unificazione delle leggi relative al campo elettrico ed al campo magnetico come conseguenza che detti campi sono strettamente correlati fra loro, in quanto descrivono un’unica interazione fondamentale legata alla carica elettrica. • Nel vuoto − divE = ρ 0 ε 0 correla il campo elettrico alla carica, sia nel caso statico sia in quello dinamico; − divB = 0 implica un campo magnetico solenoidale (presenza della doppia polarità); 104 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ • Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino − rotE = − ∂ B ∂ t implica che ad un campo magnetico variabile nel tempo deve essere associato un campo elettrico non conservativo; − rotE = μ 0 j0 + ε 0μ 0 ∂ E ∂ t significa che “sorgenti” di campo magnetico sono sia correnti di conduzione sia campi elettrici variabili nel tempo. Nella materia − Il campo elettrico genera in un dielettrico cariche di polarizzazione (che sono cariche legate, le cui caratteristiche sono descritte dal vettore di polarizzazione P ) D = ε0E + P − Il campo magnetico in un mezzo magnetizzabile genera correnti di magnetizzazione o correnti ampèriane ed lo stato di magnetizzazione è descritto dal vettore di magnetizzazione M 1 H= B−M μ0 − Le equazioni del campo elettromagnetico si scrivono divD = ρ 0 divB = 0 rotE = − ∂B ∂t rotH = j0 + con le equazioni di correlazione D = εE = ε 0 ( k e − 1) E ∂D ∂t B = εH = μ 0 ( k m − 1) H − Un campo elettromagnetico genera su una carica elettrica la forza FL = q 0 E + v × B ( ) con l’osservazione che la componente magnetica esercita l’azione solamente se la carica è in moto − La presenza di un campo elettromagnetico in un data regione di spazio implica la presenza di una densità di energia per unità di volume pari a 1 2 1 B2 u em = ε E + 2 2 μ − Per un materiale conduttore, la correlazione fra campo elettrico e densità di corrente è definita dalla relazione di Ohm E = ρj essendo ρ la resistività del materiale − Le equazioni di Maxwell risultano invarianti sia per trasformazioni relativistiche (ogni legge fisica in un riferimento inerziale, deve presentare la medesima espressine) sia per trasformazioni di Lorentz. ONDE Una qualsiasi perturbazione che si propaghi in un mezzo con una ben definita velocità, funzione dei parametri caratteristici del mezzo, è detta onda. In una propagazione ondosa non avviene alcun trasferimento di materia, ma unicamente di energia. • Sorgente: l’origine della perturbazione, che si propaga in un mezzo, può essere puntiforme o estesa. • Funzione di perturbazione: funzione Ψ ( x, y, z; t ) che descrive la propagazione di una perturbazione in un • mezzo. È una funzione continua (e derivabile), sia delle coordinate spaziali sia di quella temporale, che soddisfa l’equazione differenziale di D’Alambert. Onde in una sbarra calibra: si consideri una sbarra calibra (sezione costante S), omogenea (densità ρ = cost ) e di massa m, appoggiata su una superficie orizzontale liscia. 105 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Applicando assialmente ad un suo estremo una forza impulsiva, si determina un impulso che definisce una variazione di quantità di moto (teorema dell’impulso) t i = ∫ Fdt = mv f − mv i 0 Se la sbarra fosse inizialmente in quiete v i = 0 , la velocità finale con la quale si muoverebbe varrebbe 1 t v f = ∫ Fdt m 0 Poiché la sbarra nella realtà è un sistema elastico, sotto l’azione dell’impulso assiale i l’elemento di volume prossimo al punto di applicazione subisce una compressione. In accordo a quanto previsto per un corpo elastico, dopo un tempo molto breve, tale volume si decomprime ritornando nella condizione iniziale di equilibrio. Ciò determina una compressione sull’elemento di volume contiguo che, decomprimendosi a sua volta, esercita una compressione sul successivo elemento contiguo. A causa delle proprietà elastiche, internamente alla sbarra si innescano cicli successivi di compressione e decompressione, che si propagano da un estremo all’altro per tutta la lunghezza AB. L’azione di una forza impulsiva, applicata assialmente da un estremo di una sbarra elastica, genera una perturbazione di spostamento che si propaga da un estremo all’altro con una velocità che dipende dalle caratteristiche del materiale costituente la sbarra. Orientando la sbarra secondo un riferimento assiale lineare x, con origine nell’estremo dove è applicata la forza impulsiva, il generico elemento di volume dm = ρdW = ρSdx (a distanza x dall’origine) risulta sottoposto a forze di compressione/decompressione esercitate dagli elementi contigui che lo precedono e lo seguono [figura 124]. A B dm i x x x + dx c d F {x; t} F {x + dx; t} x + Ψ {x; t} [ figura 124 ] ( x + dx ) + Ψ {x + dx; t} L’elemento di volume dm subisce una variazione di lunghezza a causa del processo innescato dalla perturbazione e le due sezioni c e d variano la loro posizione di equilibrio. La funzione di perturbazione che descrive il loro spostamento, durante il processo di compressione/decompressione, risulta funzione sia della coordinata x sia del tempo t, cioè Ψ {x; t} . Analogamente anche la forza che si propaga lungo la sbarra è funzione sia della coordinata x sia del tempo t, ossia F {x; t} . La seconda legge della dinamica impone che sia F {x + dx; t} + F {x; t} = dm a e considerando la sua proiezione sull’asse di riferimento ∂ F {x; t} dx = dm a ∂x Si tenga presente che l’accelerazione è riferita alla perturbazione di spostamento che si propaga lungo la sbarra. F {x + dx; t} − F {x; t} = 106 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino L’accelerazione, in tale situazione, è definita dalla derivata seconda temporale della funzione di perturbazione ∂ 2 Ψ {x; t} a= ∂t2 ossia ∂ F {x; t} ∂ 2 Ψ {x; t} dx = dm (85) ∂x ∂t2 Bisogna ricercare la relazione che esprima la forza F {x; t} rispetto alla funzione di spostamento Ψ {x; t} . A tale scopo si considerino le tre grandezze inerenti l’elasticità di un corpo − Carico specifico: rapporto fra la forza normale, agente su una superficie e la superficie stessa. Poiché F {x; t} agisce normalmente alla superficie S dell’elemento di volume dm F ( x; t ) dimensione ⎡⎣ L−1MT −2 ⎤⎦ e unità di misura 1N 1m 2 S − Allungamento unitario: rapporto fra la variazione di lunghezza Δl = lperturbata − limperturbata che subisce (86) σ= l’elemento di volume dm e la sua lunghezza imperturbata l −l ε = perturbata imperturbata adimensionato l imperturbata forza posizione iniziale(imperturbata) posizione finale (perturbata) sezione c F {x; t} x x + Ψ {x; t} sezione d F {x + dx; t} x + dx ( x + dx ) + Ψ {x + dx; t} Il valore dell’allungamento unitario vale ⎡⎣( x + dx ) + Ψ {x + dx; t}⎤⎦ − ⎡⎣ x + Ψ {x; t}⎤⎦ − ⎡⎣( x + dx ) − x ⎤⎦ ε= = ⎡⎣( x + dx ) − x ⎤⎦ (87) ∂Ψ {x; t} dx ∂Ψ {x; t} ∂x = = dx ∂x − Modulo di elasticità o di Young: rapporto fra il carico specifico e l’allungamento unitario σ (88) E= dimensione ⎡⎣ L−1MT −2 ⎤⎦ e unità di misura 1N 1m 2 ε Sostituendo le (86) e (87) nella relazione (88) si ricava l’espressione della forza in funzione di Ψ ( x; t ) { } F {x; t} ∂Ψ {x; t} σ S E= = F {x; t} = ES ∂x ε ∂Ψ {x; t} ∂x che sostituita nella equazione del moto (85), definisce ∂ 2 Ψ {x; t} ∂ 2 Ψ {x; t} ES dx = ρS ∂x2 ∂t 2 ossia ∂ 2 Ψ {x; t} ρ ∂ 2 Ψ {x; t} − =0 E ∂x2 ∂t 2 Determinando l’equazione dimensionale di ρ E si ricava 107 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino −3 ⎡ ρ ⎤ ⎡ ML ⎤ ⎡ 1 ⎤ ⎡ 1 ⎤ = ⎢⎣ E ⎥⎦ ⎢ L−1MT −2 ⎥ = ⎢⎣ LT −1 ⎥⎦ = ⎢⎣ v ⎥⎦ ⎣ ⎦ ossia il rapporto ρ E ha le dimensioni di una velocità e ponendo 2 2 v= E ρ si ottiene un’equazione differenziale detta del di D’Alambert ∂ 2 Ψ {x; t} 1 ∂ 2 Ψ {x; t} − 2 =0 (89) ∂ x2 v ∂t2 • Nella sbarra elastica la perturbazione, prodotta dalla forza impulsiva, genera un’onda di spostamento che agisce come un’onda di pressione da un estremo all’altro mediante stati successivi di compressione/decompressione. L’integrale generale della (89) è una qualunque funzione di argomento ( x ± vt ) , quindi non importa la “forma” della funzione vt x1 purché l’argomento sia ( x ± vt ) 1 . Entrambe le funzioni f {x − vt} e x2 anche la loro sovrapposizione risulta ancora integrale generale della (89) Ψ {x; t} = f {x − vt} + g {x + vt} (90) f ( x − vt ) v f ondosa regressiva. Infatti [figura 125a] f {x − vt} : x 2 = x 1 + vt x 2 − x1 = vt g {x − vt} : • • x 1 = x 2 + vt x1 (b) descrive una propagazione ondosa progressiva e la funzione g ( x + vt ) descrive una propagazione (a ) vt g {x + vt} sono integrali generali che soddisfano la (89), quindi La funzione x2 f +g g f [ figura 125] x 2 − x 1 = − vt La relazione (90) rappresenta il principio di sovrapposizione degli effetti [figura 125b] e permette di descrivere il fenomeno di interferenza fra le onde. L’onda descritta dall’equazione (89) ha come direzione di propagazione l’asse x. Considerando un piano, passante per il punto x = x 0 (per t = t 0 ) e normale a tale direzione, in ogni suo punto la funzione di perturbazione ha valore costante Ψ {x 0 ; t 0 } = cost [ figura 126 ] Una simile onda è detta onda piana con propagazione lungo l’asse x. Fronte d’onda di un’onda piana: è definito come il piano ortogonale Ψ {x 0 ; t 0 } = cost all’asse di propagazione, quindi parallelo a { y, z} , per il quale tutti i v punti hanno il medesimo valore costante della funzione di perturbazione [figura 126]. Onda piana armonica:la funzione di perturbazione è data da una funzione armonica (seno o coseno) Ψ {x; t} = Ψ 0 sin θ {x; t} Ψ {x; t} = Ψ 0 cos θ {x; t} La fase θ ( x; t ) deve essere adimensionata ed avere argomento ( x ± vt ) , quindi (91) θ {x; t} = k ( x ± vt ) + θ0 essendo θ0 una eventuale fase iniziale. Calcolando l’equazione dimensionale dei singoli termini che compaiono nella (91) si deduce 1 g Attenzione: si sottolinea il fatto che non importa la “forma” della funzione, purché l’argomento sia ( x ± vt ) 108 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino [ k ] = ⎡⎣L−1 ⎤⎦ [ x ] = [ L] [ kv] = ⎡⎣L−1LT −1 ⎤⎦ = ⎡⎣T −1 ⎤⎦ = [ω] Ponendo ω = kv la fase si può anche esprimere come θ {x; t} = ( kx ± ωt ) + θ0 e un’onda piana armonica ha espressione Ψ {x; t} = Ψ0 sin ⎡⎣k ( x ± vt ) + θ 0 ⎤⎦ = Ψ0 sin ⎡⎣( kx ± ωt ) + θ 0 ⎤⎦ Ψ {x; t} = Ψ0 cos ⎡⎣k ( x ± vt ) + θ 0 ⎤⎦ = Ψ0 cos ⎡⎣( kx ± ωt ) + θ 0 ⎦⎤ • Periodicità di un’onda piana armonica: la periodicità della funzione armonica vale 2π tuttavia, essendo le variabili sia spaziale sia temporale, si ha una doppia periodicità. Considerando un’onda piana armonica progressiva (tuttavia il ragionamento vale anche per una regressiva) − Periodicità spaziale: al generico istante t = t 0 , l’onda presenta la medesima configurazione nei punti x1 e x 2 se vale la relazione fra le fasi θ {x 2 ; t 0 } = θ {x 1 ; t 0 } + 2π da cui si ricava ( kx 2 − ωt 0 ) + θ0 = ⎡⎣( kx1 − ωt 0 ) + θ0 ⎤⎦ + 2π k = 2π ( x 2 − x 1 ) . La minima distanza fra due punti x 1 ed x 2 , nei quali l’onda presenta la medesima configurazione, è detta lunghezza d’onda λ = x 2 − x1 , quindi 2π λ essendo k il numero d’onda che indica quante lunghezze d’onda sono contenute in 2π . − Periodicità temporale: in un generico punto x = x 0 , l’onda presenta la medesima configurazione ai k= tempi t 1 e t 2 se vale la relazione fra le fasi θ { x 0 ; t 1} = θ { x 0 ; t 2 } + 2 π da cui si ricava ω = 2π ( kx 0 − ωt1 ) + θ0 = ⎡⎣( kx 0 − ωt 2 ) + θ0 ⎤⎦ + 2π ( t 2 − t1 ) . Il minimo intervallo temporale fra due punti di un’onda armonica, nei quali presenta la medesima configurazione, è detto periodo T = t 2 − t 1 , quindi 2π ω= Τ essendo ω la pulsazione dell’onda. Il numero d’onda k è correlato alla periodicità spaziale, il periodo T alla periodicità temporale. La lunghezza d’onda si ricava considerando che 2π 2π ω = kv = v T λ λ = vT − Fase di un’onda piana armonica: la fase esprime la propagazione dell’onda e la fase iniziale si determina tramite le condizioni iniziali. Un’onda piana progressiva assume la medesima configurazione nei due punti A {x 1 ; t 1} e B {x 2 ; t 2 } quando è verificata la relazione ⎧⎪Ψ {x1 ; t1} = Ψ 0 sin k ( x1 − vt 1 ) ⎨ ⎪⎩Ψ {x 2 ; t 2 } = Ψ 0 sin k ( x 2 − vt 2 ) Ψ { x 1 ; t 1} ⇔ Ψ { x 2 ; t 2 } e uguagliando le fasi si ricava x 2 − x1 = v ( t 2 − t1 ) ossia: la sinusoide si muove con velocità v in modo progressivo. 109 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ • • • Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Quando la direzione di oscillazione di un’onda coincide con la direzione dello spostamento, l’onda piana si dice longitudinale (come nel caso della sbarra). Quando la direzione di oscillazione di un’onda è normale alla direzione dello spostamento, l’onda piana si dice trasversale (come nel caso di un’onda che si propaga in una fune tesa). Onda piana trasversale: nel riferimento {x, y, z} la direzione di z y oscillazione è normale alla direzione di propagazione. La funzione di perturbazione può essere rappresentata nel generico piano {y, z} , Ψ normale alla direzione di propagazione x, come un vettore di componenti [figura 127] Ψ {x; t} = Ψ y {x; t} u y + Ψ z {x; t} u z Ψz (x0, t0 ) Ψy Al generico tempo t, il vettore Ψ {x; t} può assumere una qualsiasi x direzione normale alla direzione di propagazione (ossia fissato un punto x = x 0 , Ψ {x; t} può assumere una qualsiasi direzione al variare • [ figura 127 ] del tempo). Polarizzazione di un’onda piana: dalla Fisica I si ricordi che la composizione di due moti armonici, di medesima pulsazione e con sfasamento reciproco ϕ , su assi ortogonali definisce il fenomeno della polarizzazione. Componendo due onde piane armoniche, di identica pulsazione e sfasate fra loro di un fattore ϕ , oscillanti in due direzioni normali e con la stessa direzione di propagazione si ha Ψ y {x; t} = Ψ y0 sin ( kx − ωt ) y): z): Ψ z {x; t} = Ψ z0 sin ⎡⎣( kx − ωt ) + ϕ⎤⎦ − Quando ϕ = 0 , si ha Ψ y {x; t} = Ψ y0 sin ( kx − ωt ) Ψz Ψ z {x; t} = Ψ z0 sin ( kx − ωt ) (a ) e calcolando il rapporto Ψ z {x; t} Ψ z0 = = tan α = cost Ψ y {x; t} Ψ y0 π⎤ ⎡ Ψ z {x; t} = Ψ z0 sin ⎢( kx − ωt ) + ⎥ = Ψ z0 cos ( kx − ωt ) 2⎦ ⎣ quadrando i termini e sommando membro a membro Ψy ϕ=0 il piano di oscillazione di Ψ {x; t} forma un angolo α costante nel tempo rispetto all’asse y [figura 128a]. − Quando ϕ = π , applicando il medesimo ragionamento, il piano di oscillazione forma un angolo α costante nel tempo rispetto al verso negativo dell’asse y. In entrambi i casi si tratta di onde polarizzate linearmente. − Quando ϕ = π 2 , si ha Ψ y {x; t} = Ψ y0 sin ( kx − ωt ) α Ψ [ figura 128 ] (b) ϕ=π 2 Ψ z0 2 2 ⎡ Ψ y {x; t} ⎤ ⎡ Ψ z {x; t} ⎤ Ψ y0 ⎢ ⎥ +⎢ ⎥ =1 ⎢⎣ Ψ y0 ⎥⎦ ⎢⎣ Ψ z0 ⎥⎦ La relazione descrive un ellisse ad assi centrati e si parla di onde polarizzate ellitticamente [figura 128b]. Identico ragionamento si ha per ϕ = − π 2 . − Quando ϕ = π 2 e Ψ y0 = Ψ z0 = Ψ 0 , l’equazione dell’elle degenera nell’equazione di una circonferenza 110 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ • • • Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Ψ 2y {x; t} + Ψ 2z {x; t} = Ψ 02 e si parla di onde polarizzate circolarmente. Fronte d’onda di un’onda piana armonica: è l’insieme dei punti del piano, normale alla direzione di propagazione, per i quali la funzione di perturbazione assume valore costante. Tutti i punti di un fronte d’onda oscillano con la medesima fase. La velocità di propagazione di un fronte d’onda è dato dal rapporto fra la lunghezza d’onda e l’intervallo temporale durante il quale si ha uno spostamento esattamente uguale alla lunghezza d’onda. Due fronti d’onda, fra i quali esiste una differenza di fase pari a 2π , sono separati da una distanza pari alla lunghezza d’onda. Intensità di un’onda: è definita come il valore medio dell’energia che attraversa una sezione ortogonale alla direzione di propagazione per unità di tempo ed unità di superficie. Operativamente, l’intensità di un’onda è pari al prodotto della velocità per la densità di energia per unità di volume I = vu Si ricava che l’intensità è proporzionale al quadrato sia dell’ampiezza dell’onda sia della pulsazione. Onde sferiche: un’onda, generata da una sorgente puntiforme, si propaga in uno spazio omogeneo ed isotropo con una velocità v uguale in tutte le direzioni. Un’onda sferica armonica ha equazione Ψ {r; t} = A ( r ) sin ( kr ± ωt ) essendo r la distanza dalla sorgente. L’ampiezza A ( r ) può essere funzione di r, ma non della direzione di emissione in quanto la sorgente è puntiforme (ragioni di simmetria). Essendo l’intensità proporzionale al quadrato dell’ampiezza I ( r ) = χA 2 ( r ) la costante χ dipende dalla natura dell’onda. La potenza media che incide sulla superficie sferica di raggio r deve essere costante, indipendentemente dalla distanza r, in quando è uguale alla potenza media emessa dalla sorgente < P > = Ι 4πr 2 = 4πχ A 2 ( r ) r 2 = k ossia A2 (r) = k k 1 = 2 4πχr 4πχ r 2 Il primo rapporto è costante, quindi ponendolo uguale a Ψ 02 si ricava Ψ A (r) = 0 r mentre l’intensità dell’onda sferica è inversamente proporzionale al quadrato della distanza Ψ02 I (r ) = 2 r L’onda sferica armonica è descritta dalla relazione Ψ Ψ {r; t} = 0 sin ( kr ± ω t ) r SOLUZIONE DELLE EQUAZIONI DI MAXWELL Si consideri un mezzo isotropo (il comportamento elettrico sia descritto dalla costante dielettrica ε = k e ε 0 e quello magnetico dalla permeabilità magnetica μ = k mμ 0 ) privo di cariche elettriche libere q 0 = 0 ( ρ 0 = 0 ) e di correnti di conduzione i 0 = 0 ( j0 = 0 ). Le equazioni di Maxwell assumono una forma simmetrica ⎛ ∂B ⎞ ⎜ divE = 0 ; rotE = − ⎟ ∂t ⎠ ⎝ ⎛ ∂E ⎞ ⎜ divB = 0 ; rotB = εμ ⎟ ∂t ⎠ ⎝ 111 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Ipotizzando che sia il campo elettrico sia quello magnetico siano funzioni della sola coordinata spaziale x (direzione di propagazione) e del tempo, si può scrivere per un generico sistema di riferimento E {x; t} = E x {x; t} u x + E y {x; t} u y + E z {x; t} u z B {x; t} = B x {x; t} u x + B y {x; t} u y + B z {x; t} u z Ricordando quello che è stato scritto circa le onde, i due campi devono propagarsi secondo un’onda a patto che soddisfino entrambi l’equazione differenziale del D’Alambert. Per ( x = x 0 , t = t 0 ) , la generica superficie {y, z} , normale alla direzione di propagazione x, è un fronte d’onda e tutti i suoi punti hanno il medesimo valore della funzione di perturbazione, ossia ⎧⎪E {x 0 ; t 0 } = k1 = cost → ⎨ ⎪⎩B {x 0 ; t 0 } = k 2 = cost Tale fatto implica che le loro derivate prime parziali (rispetto a y ed a z) siano nulle, cioè ⎡ ∂ E {x; t} ⎤ ⎡ ∂ B {x; t} ⎤ ∂ E {x; t} ∂ B {x; t} = 0⎥ =0 = 0⎥ =0 ⎢ ⎢ ∂z ∂z ⎣⎢ ∂ y ⎦⎥ ⎣⎢ ∂ y ⎦⎥ (x = x0, t = t0 ) anche per le componenti anche per le componenti Al fine di semplificare il calcolo degli operatori divergenza e rotore per i due campi, si indichi simbolicamente con (•) = ⎡⎣ E {x; t} , B {x; t}⎤⎦ . Il calcolo degli operatori divergenza di un vettore e rotore di un vettore, secondo le condizioni esposte precedentemente vale div (•) = ∂ (•) x ∂ (•) y ∂ (•) z + + ∂x ∂x ∂x rot (•) = ux uy uz ∂ ∂x ∂ ∂y ∂ ∂z (•) x (•) y (•) z ⎧ ⎪ ⎪rot x (•) = 0 ⎪⎪ ∂ (•) x → ⎨rot y (•) = − ∂x ⎪ ⎪ ∂ (•) y ⎪rot z (•) = ∂x ⎪⎩ ossia ∂ (•) y ⎤ ⎡ ∂ (•) x ∂ (•) x rot x (•) = 0 ; rot y (•) = − ; rot z (•) = ⎢ ⎥ ∂x ∂x ∂x ⎦ ⎣ Le singole componenti delle equazioni di Maxwell definiscono che ∂E x ∂ Bx (92) =0 =0 ∂x ∂x ∂B ∂E x) : 0 = − x x) : 0 = εμ x (93) ∂t ∂t ∂B ∂E ∂B ∂E y) : − z = − y y) : − z = εμ y (94) ∂x ∂t ∂x ∂t ∂E ∂B ∂E ∂B z) : y = − z z) : y = εμ z (95) ∂x ∂t ∂x ∂t Le derivate nulle della (92) e della (93) indicano che le componenti x sia del campo elettrico sia di quello magnetico sono costanti, quindi − E x {x; t} = c1 = cost (il campo elettrico è generato da cariche stazionarie) div (•) = − B x {x; t} = c 2 = cost (il campo magnetico è generato da correnti stazionarie) Avendo scelto che nel mezzo considerato non esistano né cariche libere né correnti di conduzione, i valori delle due costanti sono nulli per cui le due componenti sono anch’esse nulle E x {x; t} = 0 B x {x; t} = 0 112 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Riordinando le equazioni della (94) e (95) sia ha ∂E y ∂E ∂B ∂B (96) =− z εμ y = − z ∂t ∂x ∂x ∂t ∂By ∂E z ∂By ∂E (97) = εμ z = ∂t ∂x ∂x ∂t Si derivi rispetto ad x le prime equazioni delle (96) e (97) e rispetto al tempo le seconde equazioni ∂ 2E y ∂ 2E y ∂ 2 Bz ∂ 2 Bz (98) = − = − ∂t2 ∂t ∂x ∂x2 ∂ x ∂t 2 2 ∂ 2E z ∂ By ∂ 2E z ∂ By = = ∂t 2 ∂t ∂x ∂ x 2 ∂ x ∂t Essendo le variabili x e t indipendenti, nelle derivate seconde miste l’ordine di derivazione non influenza il risultato quindi uguagliando fra loro le relazioni nella (98) e nella (99) si ricavano le due equazioni ∂ 2 E y {x; t} ∂ 2 E y {x; t} ∂ 2 E z {x; t} ∂ 2 E z {x; t} 0 − εμ =0 − εμ = ∂x2 ∂t 2 ∂x2 ∂t2 Determinando l’equazione dimensionale del prodotto εμ (99) 2 2 1 1 [εμ] = ⎡⎢ −1 ⎤⎥ = ⎡⎢ ⎤⎥ ⎣ LT ⎦ ⎣ v ⎦ tale velocità è quella della propagazione del campo E {x; t} nel mezzo con le caratteristiche definite all’inizio del capitolo v= 1 1 = εμ ε 0μ 0 1 c = k ek m k ek m essendo c la velocità della luce nel vuoto c= 1 m = 3 ⋅ 10 8 s ε 0μ 0 Riscrivendo le equazioni (96) e (97), in modo da esprimere le componenti del vettore B {x; t} in funzione delle componenti di E {x; t} e applicando il medesimo procedimento di derivazione, si ottiene che anche le componenti del campo magnetico soddisfano l’equazione di D’Alambert ∂ 2 B y {x; t} ∂ 2 B y {x; t} ∂ 2 B z {x; t} ∂ 2 B z {x; t} 0 − εμ =0 − εμ = ∂x2 ∂t2 ∂x 2 ∂t2 Ricordando quanto dedotto per la componente x dei due campi, questi si possono scrivere come ⎧⎪E {x; t} = E y {x; t} u y + E z {x; t} u z (100) ⎨ ⎪⎩B {x; t} = B y {x; t} u y + B z {x; t} u z ed entrambi soddisfano l’equazione del D’Alambert che simbolicamente si rappresenta ∂ 2 E {x; t} ∂ 2 E {x; t} ∂ 2 B {x; t} ∂ 2 B {x; t} − εμ =0 − εμ = 0 ∂ x2 ∂t2 ∂ x2 ∂t2 v= c k ek m Gli integrali delle equazioni del D’Alambert secondo onde piane armoniche, sono ⎧E x {x; t} = 0 ⎪⎪ (101) E {x; t} = E 0 sin ( kx ± ωt ) ⎨E y {x; t} = E y0 sin ( kx ± ωt ) ⎪ ⎪⎩E z {x; t} = E z0 sin ( kx ± ωt ) 113 Vittorio Mussino: [email protected] ____________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino ⎧B x {x; t} = 0 ⎪⎪ (102) B {x; t} = B 0 sin ( kx ± ωt ) ⎨B y {x; t} = E y0 sin ( kx ± ωt ) ⎪ ⎪⎩B z {x; t} = E z0 sin ( kx ± ωt ) Si considerino onde armoniche progressive (tuttavia il seguente ragionamento vale anche per quelle regressive), dalle equazioni (96) e (97) si deduce che ∂ B y {x; t} ∂ E z {x; t} dB y {x; t} = kE z0 cos ( kx − ωt ) dt = = kE z 0 cos ( kx − ωt ) ∂t ∂x ∂ E {x; t} ∂ B z {x; t} dBz {x; t} = −kE y0 cos ( kx − ωt ) dt =− y = − kE y0 cos ( kx − ωt ) ∂t ∂x Attenzione: focalizzando l’attenzione sulla variabile temporale e considerando la variabile x come costante, il simbolo di derivata parziale può essere sostituito da quello delle derivata totale. Integrando k k B y {x; t} = − E z 0 sin ( kx − ωt ) + k 1 B z {x; t} = E y0 sin ( kx − ωt ) + k 2 ω ω il rapporto vale k ω = ( 2π λ ) ( 2π T ) = 1 v e non essendoci né cariche libere né correnti di conduzione, le due costanti di integrazione sono nulle. Le componenti del campo elettrico e magnetico presentano la seguente correlazione 1 1 B y {x; t} = − E z B z {x; t} = E y v v Le relazioni della (100) diventano ⎧ E {x; t} = E y {x; t} u y + E z {x; t} u z ⎪ ⎨ 1 1 ⎪ B {x; t} = − E z {x; t} u y + E y {x; t} u z v v ⎩ i cui moduli valgono 1 2 1 1 E {x; t} = E 2y {x; t} + E z2 {x; t} B {x; t} = B2y {x; t} + E 2z {x; t} = E z {x; t} + 2 E 2y {x; t} = E 2 v v v I moduli del campo elettrico e del campo magnetico sono correlati dalla relazione 1 E {x; t} = v B {x; t} B {x; t} = E {x; t} v • Prodotto scalare fra i vettori campo elettrico e campo magnetico: definisce come i due vettori siano posizionati l’uno rispetto all’altro 1 E {x; t} • B {x; t} = E y {x; t} B y {x; t} + E z {x; t} B z {x; t} = − E y {x; t} E z {x; t} + E z {x; t} E y {x; t} = 0 v ossia i due vettori sono normali fra loro. • Prodotto vettoriale fra i vettori campo elettrico e magnetico: applicando la definizione operativa ux uy uz E {x; t} × B {x; t} = 0 E y {x; t} E z {x; t} = ⎡⎣ E y {x; t} Bz {x; t} − E z {x; t} B y {x; t}⎤⎦ u x 0 B y {x; t} B z {x; t} 1 2 1 ⎡⎣ E y {x; t} + E 2y {x; t}⎤⎦ u x = E 2 {x; t} u x = vB 2 {x; t} u x = ⎡⎣ E {x; t} B {x; t}⎤⎦ u x v v I due vettori campo elettrico e campo magnetico sono ortogonali fra loro e ortogonali alla direzione di propagazione x (ossia risultano ortogonali alla velocità) E {x; t} = v × B {x; t} E {x; t} × B {x; t} = Il significato del prodotto vettoriale fra i due vettori è quello di definire la direzione di propagazione 114 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ • Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Considerazioni conclusive sul campo elettromagnetico − I vettori campo elettrico e campo magnetico G G G E {x; t} = E y {x; t} u y + E z {x; t} u z G G G B {x; t} = B y {x; t} u y + B z {x; t} u z hanno moduli correlati da E {x; t} = vB {x; t} e risultano ortogonali fra loro. Si propagano secondo onde piane lungo l’asse x con una velocità che, nel vuoto vale c = 1 ε 0μ 0 e nella materia v = c k e k m . Le onde piane (101) e (102) sono onde trasversali perché la direzione di oscillazione è normale a quella di propagazione: le onde elettromagnetiche sono onde polarizzate. − La suscettività magnetica, definita come χ m = k m − 1 , per i mezzi ordinari ha valore inferiore a 10 −5 , pertanto il valore di k m è prossimo all’unità. In tale ipotesi c 1 1 ke = = n = v k ek m ke che rappresenta l’indice di rifrazione assoluto del mezzo trasparente nel quale si propagano le onde elettromagnetiche − Utilizzando le relazioni E {x; t} = B {x; t} v e H {x; t} = B {x; t} μ si ottiene v= E {x; t} μ0 k m μ = μv = = H {x; t} ε ε0 k e La radice del rapporto fra la permeabilità magnetica del vuoto e la costante dielettrica del vuoto è detta impedenza caratteristica del vuoto il cui valore è μ0 Ω Z0 = = 377 ε0 m (103) La relazione (103) è detta impedenza caratteristica del mezzo nel quale si propaga l’onda elettromagnetica k μ 1 per ( k m < 10 −5 ) = Z0 m = Z0 Z= ε ke n − La densità di energia per unità di volume del campo elettromagnetico è la somma della densità di energia per unità di volume del campo elettrico e di quella del campo magnetico 2 B 2 {x, t} 1 1 B {x, t} ε u em = u e + u m = εE 2 {x, t} + E {x, t} B {x, t} = εE 2 {x, t} = = 2 2 μ μ μ B 2 { x, t} ε = E { x, t} B { x, t} μ μ Tale relazione indica che per un campo elettromagnetico la densità di energia per unità di volume è equidivisa al 50% fra il campo elettrico e quello magnetico. u em = εE 2 { x, t} = VETTORE DI POYNTING G Una superficie d Σ sia investita da un’onda elettromagnetica piana e sia α l’angolo formato fra la normale n alla superficie e la direzione di propagazione [figura 129]. L’energia elettromagnetica dU em che nel tempo dt attraversa la superficie è uguale a quella distribuita nel volume dW dU em = u em dW Normalizzando la superficie dΣ rispetto alla direzione di propagazione, si ricava d Σ 0 = d Σ cos α 115 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino dW = dΣ 0 vdt = vdΣ cos α dt dU em = u em dW = ε vE 2 {x; t} dΣ cos α dt La variazione di energia, riferita all’intervallo temporale durante il quale è avvenuta la variazione, è pari alla potenza trasferita alla superficie dΣ dU em (104) → potenza → ε vE 2 {x; t} dΣ cos α dt G Ipotizzando che abbia significato definire un vettore S con − modulo pari a S = ε vE 2 {x; t} = ⎡⎣ E{x; t} B{x; t}⎤⎦ μ , − direzione e verso coincidente con quello della velocità di propagazione dell’onda la relazione (104) e definita come il flusso di tale vettore attraverso alla superficie considerata. Il vettore è detto vettore di Poynting G 1G G S = E {x; t} × B {x; t} μ e la (104) diventa G G G G G G d Pem = S • n dΣ = d Φ S Pem = w S • n d Σ = Φ S ∫∫ () G vdt G v [ figura 129 ] z dΣ dΣ 0 G n α α G v x () Σ Il flusso del vettore di Poynting rappresenta l’energia che nell’unità di tempo attraversa l’unità di superficie normale alla direzione di propagazione dell’onda elettromagnetica. La rappresentazione di un’onda elettromagnetica piana armonica, che si propaghi lungo l’asse x e con velocità G v , è data in [figura 130] G B {x; t} G E {x; t} G v [ figura 130 ] INTENSITÀ DI UN’ONDA ELETTROMAGNETICA Secondo a quanto illustrato nel capitolo dedicato alle onde, si definisce intensità di un’onda elettromagnetica il prodotto della densità di energia per unità di volume per la velocità dell’onda 1 I em = vu em = ε vE 2 {x; t} = E {x; t} B {x; t} = S μ Se i due campi sono espressi dalle relazioni (101) e (102), l’intensità di un’onda elettromagnetica piana e armonica vale 116 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino I em = 1 E 0 B0 sin 2 ( kx − ωt ) μ e calcolandone il valore medio su molti periodi 1 1 E 0 B0 1 < I em > = E 0 B0 < sin 2 ( kx − ωt ) > = = E B =<S> μ 2 2 μ eff eff μ 12 Il modulo del vettore di Poynting definisce l’intensità di un’onda elettromagnetica piane armonica e polarizzata linearmente. LA LUCE Una sorgente puntiforme emette un’onda elettromagnetica che si propaga in un mezzo omogeneo ed isotropo con velocità c v= k ek m Al tempo t il fronte d’onda (superficie, normale alla direzione di propagazione, i cui punti oscillano tutti in fase fra loro) nel caso di un’onda sferica si trova alla distanza R dalla sorgente. Al tempo t + dt il fronte d’onda si è spostato e la sua distanza dalla sorgente vale R + vdt e tale fatto fu spiegato da − Huygens: ogni punto del fronte d’onda primario si può pensare come sorgente di onde sferiche secondarie che si propagano con identica G velocità e fase dell’onda primaria. L’inviluppo di tali onde secondarie v rappresenta il nuovo fronte d’onda. Poiché non si ha alcuna R propagazione all’indietro, le onde secondarie sono onde virtuali non realmente emesse [figura 131]. − Fresnell: il fronte d’onda secondario si può dedurre da quello primario [ figura 131] considerando la sovrapposizione delle onde secondarie in termini di ampiezza e fase. − Kirchkoff: dall’equazione di propagazione di un’onda si deduce che l’intensità dell’onda elementare dipende dall’angolo di emissione e che l’intensità è nulla per le onde emesse all’indietro. La lunghezza d’onda, decodificata dagli esseri umani da appositi ricettori dell’occhio, è compresa nell’intervallo 0.38 ⋅ 10 − 6 m ≤ λ ≤ 0.78 ⋅ 10 −6 m e l’onda viene detta luce. Ipotizzando che la luce emessa da una sorgente si propaghi in linea retta in un mezzo trasparente (individuato dall’indice di rifrazione assoluto n = c v ) omogeneo (densità costante in tutti i punti) e isotropo (il comportamento della luce è lo stesso in tutte le direzioni), il percorso è rappresentato da semirette con origine la sorgente. Le semirette sono comunemente dette raggi luminosi. L’ottica geometrica deduce i comportamenti della luce usando il concetto di raggio luminoso, del fenomeno della riflessione e di quello della rifrazione. La luce emessa da una sorgente può essere monocromatica (una sola lunghezza d’onda ) o policromatica (un numero discreto di lunghezze d’onda). La luce bianca contiene tutte le lunghezze d’onda relative all’intervallo della luce visibile. Applicando il principio variazionale di Fermat, è possibile ricavare le leggi della riflessione e della rifrazione. • Riflessione: il mezzo trasparente, attraversato dal raggio luminoso, può contenere una superficie riflettente (ottenuta depositando un (a ) αi α rifl sottile strato di argento o alluminio su un supporto accuratamente levigato). Il piano contenente la direzione di propagazione del raggio (n) luminoso e della normale nel punto di incidenza sulla superficie è detto piano di incidenza [figura 132a]. Il raggio riflesso è contenuto nel piano di incidenza, ha l’angolo di incidenza α i è uguale a quello [ figura 132a ] di riflessione α rifl 117 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino α i = α rifl • Rifrazione: quando un raggio luminoso incide su una superficie di separazione fra due mezzi trasparenti, αi con indici di rifrazioni rispettivamente n1 = c v1 ed n 2 = c v 2 , n1 una parte del raggio luminoso è riflesso ed una parte si propaga nel secondo mezzo subendo una n 2 > n1 rifrazione. Il raggio luminoso in tale caso si dice raggio rifratto e l’angolo formato fra la direzione di propagazione e la normale nel α rifr punto di incidenza si dice angolo di rifrazione [figura 132b]. La legge della rifrazione è definita dalla legge di Snell n1sinα i = n 2sinα rifr Calcolando il rapporto dei seni αi sin α i n2 = = n 21 sin α rifr n1 n1 > n 2 si definisce in tal modo l’indice di rifrazione del secondo mezzo rispetto al primo. n2 Quando l’angolo di rifrazione vale π 2 , il raggio rifratto si α rifr propagherà sul piano di separazione dei due mezzi con differente [ figura 132 b] indice di rifrazione: n *i sin α i = n 2 . Si definisce angolo limite di incidenza il valore n α *i = arcsin 2 = n 21 n1 e per valori angolari a questo non è più possibile la rifrazione, ma solamente la riflessione totale. (b) POLARIZZAZIONE PER ASSORBIMENTO Determinati cristalli presentano la caratteristica di trasmettere le onde luminose se tagliati secondo opportune direzioni: in tale situazione la luce trasmessa risulta polarizzata linearmente. Nel 1938 Land brevettò un procedimento per la produzione lamine di materiale organico , costituito da lunghe catene di polimeri opportunamente stirate lungo una determinata direzione durante la fase di fabbricazione del materiale. Nella fase di raffreddamento, le lamine sono immerse in una soluzione iodata, che fornisce loro una colorazione bruna. Tali lamine presentano la caratteristica di trasmettere solamente luce polarizzata linearmente. In un polaroide (nome dato a tali lamine) si distinguono due direzioni con precise caratteristiche. − Direzione di allineamento: direzione lungo la quale le catene ( trasmissione ) polimeriche sono stirate. Se un’onda luminosa incidente sulla lamina ha il vettore campo elettrico allineato lungo tale ( stiramento ) direzione, nelle catene polimeriche si generano correnti che determinano l’assorbimento dell’energia luminosa. Non avviene alcuna trasmissione dell’onda [figura 133]. G G E & u allineamento → nessuna trasmissione − Direzione di trasmissione: direzione normale a quella di allineamento. Quando il campo elettrico di un’onda luminosa è allineato lungo tale direzione, si ha la propagazione luminosa [ figura 133] che risulta pertanto polarizzata linearmente. G G E & u trasmissione → trasmissione polarizzata linearmente • Polarimetro analizzatore: dispositivo costituito da due lamine polarizzatrici, montate coassialmente e che possono essere reciprocamente ruotate. 118 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino La prima lamina (polarizzatrice) serve a polarizzare un raggio luminoso, la seconda (analizzatrice) ad analizzarlo [figura 134]. Una sorgente emette onde luminose non polarizzate che incidono sulla prima lamina polarizzatrice: attraversa la lamina solamente quella frazione di luce il cui vettore campo elettrico θ G E risulta parallelo alla direzione di trasmissione. Il raggio trasmesso risulta interamente polarizzato linearmente con intensità I 0 = vu em = εvE 2 IL fascio polarizzato incide sulla seconda lamina, che è ruotata [ figura 134 ] rispetto alla prima e sia θ l’angolo fra gli assi di trasmissione delle due lamine. Il fascio luminoso uscente è ancora polarizzato linearmente, ma il piano di polarizzazione risulta ruotato di G un angolo ε rispetto a quello incidente. Il relativo vettore campo elettrico E′ , dovendo essere allineato con G l’asse di trasmissione, è necessariamente la componente di E rispetto a tale asse E′ = E cos α L’intensità del fascio vale I = ε vE′ 2 = ε vE 2 cos 2 α I = I 0 cos 2α La precedente relazione è nota come legge di Malus. POLARIZZAZIONE PER RIFLESSIONE Quando un’onda luminosa incide su una superficie di separazione fra due mezzi (indice di rifrazione rispettivamente n1 = c v1 ed n 2 = c v 2 ), una piccola frazione viene riflessa mentre la restante parte viene rifratta. L’onda rifratta risulta lievemente polarizzata, l’onda riflessa può risultare più o meno polarizzata in funzione degli indici di rifrazione e dell’angolo di incidenza. L’onda luminosa riflessa risulta totalmente polarizzata linearmente se l’angolo fra la direzione di riflessione e quello di rifrazione vale θ = π 2 . G Sperimentalmente Brewster verificò che il vettore campo elettrico E dell’onda incidente si può pensare G G scomposto in una componente normale E n (in figura indicata con D ) ed una trasversale E t (in figura indicata con 7 ) al piano di incidenza [figura 135]. G G G E = En + Et G L’onda riflessa possiede unicamente la componente normale E n se G En : D G Et :7 [ figura 135] αi αi α = π 2 , quindi risulta polarizzata linearmente. Ossia π π α i + α + α rifr = π α rifr = π − α i − = − α i 2 2 π2 e applicando al legge di Snell si ricava α rifr ⎛π ⎞ n1 sin α i = n 2 sin α rifr = n 2 sin ⎜ − α i ⎟ = n 2 cos α i ⎝2 ⎠ n tan α1 = 2 = n 21 n1 Quando un fascio luminoso incide sulla superficie di separazione fra due mezzi con gli indici di rifrazione n1 ed n 2 secondo un angolo α 1 = arctan 119 n2 n1 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino il fascio riflesso risulta completamente polarizzato. G Osservando il raggio riflesso attraverso ad un polaroide con l’asse di trasmissione normale a E n , lo si elimina come visione (uso dei polarizzatori per la pulizia di un’immagine osservata o fotografata). BIRIFRANGENZA Alcuni materiali naturali (come la calcite CaCO 3 ) ed alcuni materiali plastici, a causa di tensioni interne naturali o prodotte artificialmente [ figura 136 ] tramite uno stiramento, presentano il fenomeno della doppia rifrazione. ( asse ottico ) La causa è imputabile alla loro struttura anisotropa, per la quale la velocità della luce al loro interno risulta funzione della direzione di propagazione. Nei corpi a struttura isotropa la velocità della luce è raggio ordinario indipendente dalla direzione di propagazione [figura 136]. Per i corpi rifrangenti i due raggi sono il G − raggio ordinario: velocità v o della luce raggio straordinario G − raggio straordinario: velocità v s della luce e tali raggi risultano polarizzati in direzione normale l’uno rispetto all’altro. − Asse ottico di un mezzo birifrangente quella direzione particolare lungo la quale i due raggi si propagano con identica velocità. • Quando un raggio luminoso incide (secondo un angolo θ) sulla G v o ≠ vs superficie di un mezzo birifrangente, tagliata parallelamente all’asse λo ≠ λs ottico, i due raggi rifratti si separano. Ruotando il mezzo, il raggio (a ) straordinario ruota attorno al raggio ordinario [figura 136]. ( asse ottico ) • Quando un raggio luminoso incide normalmente sulla superficie di un mezzo birifrangente, tagliata ortogonalmente all’asse ottico, i due raggi rifratti si propagano nella stessa direzione con identica velocità (b) G vo = vs (quindi hanno identiche lunghezze d’onda) [figura 137a]. λo = λs ( asse ottico ) • Quando un raggio luminoso incide normalmente sulla superficie di un mezzo birifrangente, tagliata parallelamente all’asse ottico, i due [ figura 137 ] raggi rifratti si propagano nella stessa direzione con differente velocità (quindi hanno differenti lunghezze d’onda) [figura 137b]. OTTICA FISICA La distinzione fra ottica fisica e ottica geometrica è determinata dal fenomeno della interferenza e della diffrazione. • Interferenza: termine propriamente riferito ai fenomeni di sovrapposizione ottenuti con onde emesse da due o più sorgenti coerenti. L’interferenza è caratteristica assolutamente generale delle grandezze fisiche che si propagano per onde ed una simile proprietà viene assunta come verifica della natura ondulatoria delle grandezze in esame. • Sorgenti coerenti e incoerenti: si definiscono tali quando la differenza di fase fra due onde in un qualsiasi punto è costante nel tempo Δ θ = cost . Quando tale circostanza non è verificata (o anche si verifica per intervalli temporali molto brevi rispetto al tempo di osservazione) le sorgenti si dicono incoerenti. • Differenza di fase: in un generico punto P, nel quale due onde interferiscono, esiste una differenza di fase intrinseca (imputabile alle sorgenti delle onde) ed una differenza di fase imputabile ad una differenza di percorso compiuto da ciascuna onda per propagarsi dalla sorgente al generico punto P. • Procedimento dei vettori rotanti o di Fresnell: nel corso di Fisica I ha permesso la determinazione del moto risultante di due moti armonici su uno stesso asse. 120 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Il moto risultante è ancora un noto armonico e la sua ampiezza risulta funzione della differenza di fase. Le due funzioni armoniche Ψ 1 ( t ) = Ψ 10 sin θ1 ( t ) con θ1 ( t ) = ωt + ϕ1 Ψ 2 ( t ) = Ψ 20 sin θ 2 ( t ) θ 2 ( t ) = ωt + ϕ 2 con siano contemporaneamente integrali dell’equazione differenziale d 2Ψ ( t ) + ω2 Ψ ( t ) = 0 2 dt Anche la sovrapposizione delle due funzioni Ψ ( t ) = Ψ 1 ( t ) + Ψ 2 ( t ) = Ψ 0 sin θ ( t ) θ ( t ) = ωt + ϕ risulta integrale generale dell’equazione differenziale. G Nel riferimento O {x, y} il vettore Ψ 10 [che forma l’angolo θ1 ( t ) G con l’asse x] ed il vettore Ψ 20 [che forma l’angolo θ 2 ( t ) con G l’asse x] ruotano rigidamente con velocità angolare ω . Anche la G loro risultante Ψ 0 [che forma l’angolo θ ( t ) con l’asse x] ruota [ figura 138 ] Ψ0 rigidamente con la medesima velocità angolare [figura 138] Le proiezioni dei tre vettori rispetto l’asse y sono correlate da Ψ 0 sin θ ( t ) = Ψ 10 sin θ1 ( t ) + Ψ 20 sin θ 2 ( t ) θ(t) Ψ 0 sin ( ωt + ϕ ) = Ψ 10 sin ( ωt + ϕ1 ) + Ψ 20 sin ( ωt + ϕ 2 ) Essendo valida la relazione di uguaglianza, si potranno identificare i coefficienti di sin ωt e cos ωt ottenendo in tal modo un sistema di due equazioni nella incognite Ψ 0 e ϕ cos ωt) : Ψ 0 sin ϕ = Ψ10 sin ϕ1 + Ψ 20 sin ϕ 2 G Ψ 20 θ1 ( t ) θ2 ( t ) G Ψ 10 O cos ωt) : Ψ 0 cos ϕ = Ψ10 cos ϕ1 + Ψ 20 cos ϕ 2 Calcolando il rapporto termine a termine, quadrando e sommando termine a termine si ricavano le incognite Ψ10sinϕ 1 + Ψ20sinϕ 2 ϕ = arctan Ψ0 = Ψ102 + Ψ102 + 2Ψ10 Ψ20 cos ( ϕ 2 − ϕ 2 ) Ψ10 cosϕ 1 + Ψ20 cosϕ 2 La differenza delle due fasi iniziali può essere correlata alla differenza delle fasi Δθ ( t ) = θ 2 ( t ) − θ 2 ( t ) = ( ωt + ϕ 2 ) − ( ωt + ϕ1 ) = ϕ 2 − ϕ1 = Δϕ ϕ = arctan Ψ10sinϕ 1 + Ψ20sinϕ 2 Ψ10cosϕ 1 + Ψ20cosϕ 2 e l’ampiezza risultante può risultare Δ ϕ = 2π Ψ 0 = Ψ 10 + Ψ 20 Δϕ = π • Ψ0 = Ψ102 + Ψ102 + 2Ψ10 Ψ20cosΔ θ Ψ 0 = Ψ 10 − Ψ 20 se Ψ10 = Ψ 20 = Ψ ′ si ha Ψ 0 = 2Ψ ′ se Ψ10 = Ψ 20 = Ψ ′ si ha Ψ 0 = 0 Differenza di fase fra due onde piane armoniche: può dipendere da vari fattori, uno dei principali è la differenza di cammino relativo ai percorsi delle onde. Date due onde piane armoniche progressive Ψ1 {r1 ; t} = Ψ 10 cos ⎡⎣( kr1 − ωt ) + θ10 ⎤⎦ Ψ 2 {r2 ; t} = Ψ 20 cos ⎡⎣( kr2 − ωt ) + θ 20 ⎤⎦ essendo le fasi θ {r1 ; t} = ( kr1 − ωt ) + θ10 = − ⎡⎣ωt − ( kr1 + θ10 ) ⎤⎦ θ {r2 ; t} = ( kr2 − ωt ) + θ 20 = − ⎡⎣ωt − ( kr2 + θ 20 ) ⎤⎦ e ponendo ϕ 1 = − ( kr1 + θ10 ) e ϕ 2 = − ( kr2 + θ 20 ) si ha Ψ1 {r1 ; t} = Ψ10 cos ( ωt + ϕ 1 ) Ψ 2 {r2 ; t} = Ψ 20 cos ( ωt + ϕ 2 ) La loro sovrapposizione in un determinato punto vale 121 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Ψ {r; t} = Ψ 1 {r1 ; t} + Ψ 2 {r2 ; t} = Ψ 0 cos ( ωt + ϕ ) e applicando il procedimento dei vettori rotanti di Fresnell si ricava Ψ 10 sin α 1 + Ψ 20 sin α 2 2 2 Ψ 02 = Ψ 10 + Ψ 20 + 2Ψ 10 Ψ 20 cos ( ϕ1 − ϕ 2 ) α = arctan Ψ 10 cos α 1 + Ψ 20 cos α 2 calcolando la differenza ϕ1 − ϕ 2 ϕ1 − ϕ 2 = Δ ϕ = k ( r2 − r1 ) + ( θ 20 − θ10 ) = Δ θ si ottiene come nel caso precedente 2 Ψ 02 = Ψ10 + Ψ 220 + 2Ψ10 Ψ 20 cos Δθ L’intensità di un’onda risulta proporzionale al quadrato dell’ampiezza, si ha in definitiva I = I 1 + I 2 + 2 I 1I 2 cosΔ θ Nell’ipotesi che sia θ10 = ϕ 20 , la differenza di fase risulta correlate alla differenza di percorso compiuto dalle due onde dal punto sorgente al punto di interferenza Δr (104) Δθ = k ( r2 − r1 ) = 2π λ con il termine 2π legato alla periodicità dell’onda armonica ed il termine Δ r λ , misurato in lunghezza d’onda, che determina la periodicità. L’ampiezza dell’interferenza e l’intensità valgono ⎛ Δr ⎞ ⎛ Δr ⎞ 2 I = I1 + I 2 + 2 I1I 2 cos ⎜ 2π ⎟ Ψ 0 = Ψ 10 + Ψ 220 + 2Ψ 10 Ψ 20 cos ⎜ 2π ⎟ λ ⎠ λ ⎠ ⎝ ⎝ − Interferenza costruttiva: quando Δ x = λ , la differenza di fase nella (104) ha valore Δθ = 2π Ψ 0 = Ψ 10 + Ψ 20 I = I1 + I 2 + 2 I1I 2 Le due onde sono in accordo di fase e sia l’ampiezza sia l’intensità hanno il massimo valore. − Interferenza distruttiva: quando Δ x = λ 2 , la differenza di fase nella (104) ha valore Δθ = π I = I1 + I 2 − 2 I1I 2 Le due onde sono in opposizione di fase e sia l’ampiezza sia l’intensità hanno valore minimo. − Regola generale:l’interferenza fra due onde è correlata alla differenza di cammino e precisamente ⎧⎪ Δθ = 2π ( n = 0, ±1, ±2, ±3,") Δ r = nλ ⎨ ⎪⎩ interferenza costruttiva ⎧⎪ Δθ = π ( n = 0, ±1, ±2, ±3,") 1⎞ ⎛ Δr = ( 2n + 1) λ = ⎜ n + ⎟ λ ⎨ 2⎠ ⎝ ⎪⎩ i nterferenza distruttiva Nell’ipotesi che si abbia Ψ10 = Ψ 20 = Ψ ′ Ψ 0 = Ψ 10 − Ψ 20 per Δr = nλ • : Ψ 0 = 2Ψ ′ I = 4Ψ ′ 2 1⎞ ⎛ per Δr = ⎜ n + ⎟ λ : Ψ0 = 0 I=0 2⎠ ⎝ e le ultime relazioni interpretano l’affermazione che “luce più luce può dare buio” oppure “suono più suono può dare silenzio”. La riflessione di un’onda su una superficie di separazione fra due mezzi, con differenti indici di rifrazione, comporta una differenza di fase fra l’onda incidente e l’onda riflessa. Precisamente: − se n1 > n 2 : il primo mezzo risulta più denso del secondo e la differenza di fase è Δβ = 2π − se n1 < n 2 : il secondo mezzo risulta più denso del primo e la differenza di fase è Δβ = π 122 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino LAMINA PIANA SOTTILE Si consideri un raggio luminoso monocromatico incidente su una sottile lamina, con facce piano parallele a distanza reciproca d 0 . L’indice di rifrazione del materiale della lamina ( n ′ = c v′ ) sia maggiore di quello dell’ambiente che la circonda ( n = c v ). Tale fatto implica che v > v′ e quindi λ > λ′ ; applicando la definizione di lunghezza d’onda λ c λ′ = v′T = T = 0 n′ n′ con λ 0 = cT la lunghezza d’onda del raggio luminoso nel vuoto. Si ricava che λ 0 = n ′λ′ • • Analisi del fenomeno [figura 139] − il raggio riflesso d , rispetto al raggio incidente c , presenta una differenza di fase pari a π ; [ figura 139 ] − il raggio rifratto e subisce una riflessione sulla parete inferiore c d g della lamina (raggio f )e fra i due raggi interni alla lamina la α differenza di fase è pari a 0 ; − il raggio rifratto g in uscita dalla lamina, rispetto al raggio incidente c , presenta una differenza di fase pari a P Δ r′ Δ α′ = 2 π λ d0 e f − Se il raggio c incidesse sulla superficie superiore della lamina secondo un angolo α piccolo, i due raggi emergenti d e g potrebbero essere osservati contemporaneamente dalla stessa P′ pupilla e quindi si potrebbero considerare paralleli. Ossia d PP′ = 0 sin α ed essendo la differenza di percorso data da Δ r = 2PP′ = 2d 0 sin φ , nell’approssimazione α 0 ( cos α 1 ) si avrebbe Δ r 2d 0 La differenza complessiva di fase risulta 2d Δ r′ Δα tot = Δα + Δα′ = π + 2π = π + 2π 0 λ′ λ′ ⎧Δα = π ⎪ 1 1 ⎞ λ′ − Interferenza costruttiva Δα tot = 2π ⎛ ⎨ Δ α′ = π ′ = ⎜⎛ n + ⎟⎞ λ′ Δ = + r d n 0 ⎜ ⎟ N ⎝ ⎪ 2⎠ 2⎠ 2 ⎝ 2d 0 ⎩ ⎧Δ α = π ⎪ λ′ − Interferenza distruttiva Δα tot = π ⎨Δα′ = ( 0, 2π ) r′ = n λ′ d0 = n Δ N ⎪ 2 2d 0 ⎩ Quando un raggio luminoso monocromatico incide su una lamina a spessore variabile, si osserva un’alternanza di [ figura 140 ] frange di interferenza chiare (dove esiste additività) e scure (dove esiste sottrattività). Si consideri il cuneo di aria fra due sottili lamine (a d0 α superfici piane e parallele) che formano un piccolo angolo fra loro [figura 140]. L’interferenza additiva o sottrattiva x si verifica quando 123 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ ⎧n λ aria Δ r = ⎪⎨⎛ 1 ⎞ ⎪⎜ n + 2 ⎟ λ aria ⎠ ⎩⎝ La distanza fra due frange successive − chiare n λ aria − ( n − 1) λ aria = λ aria • • Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Δα = 2π (frange chiare) Δα = π (frange scure) 1⎞ 1⎞ ⎛ ⎛ − scure ⎜ n + ⎟ λ aria − ⎜ n − 1 + ⎟ λ aria = λ aria 2⎠ 2⎠ ⎝ ⎝ Quando un raggio luminoso incide su una bolla di sapone o su una lamina oleosa, si generano frange luminose di vario colore in quanto il raggio incidente (a causa dello spessore non uniforme delle pareti) viene riflesso in punti differenti a causa delle varie lunghezze d’onda. Una figura di interferenza si può facilmente ottenere utilizzando o una radiazione monocromatica oppure separando il fascio luminoso tramite una sottile lamina, che determina una differenza di percorso correlata alla differenza di fase PROCEDIMENTO DI YOUNG Un’onda piana luminosa investe normalmente una superficie piana opaca sulla quale sono incise due sottili fenditure, parallele fra loro a distanza d 0 l’una dall’altra [figura 141]. Ogni punto delle fenditure è sede di onde sferiche secondarie con identiche caratteristiche dell’onda incidente (stessa lunghezza d’onda, fase e velocità). Le onde sferiche interferiscono fra loro in un punto P, definendo frange chiare o scure in funzione del valore della differenza di percorso Δ r = r2 − r1 , essendo OP = r1 O d0 r r2 massima ampiezza massima luminosità − Frange scure (interferenza sottrattiva): Δθ = π e differenza di percorso 1⎞ ⎛ ( n = 0, ±1, ± 2, ± 3," ) d 0 sin α = ⎜ n + ⎟ λ 2 ⎝ ⎠ 124 yn α l0 e OP′ = r2 la distanza fra le fenditure ed il punto P. Il O′ punto P di interferenza sia posizionato su una superficie piana, posta a distanza l 0 >> d 0 dalla superficie opaca. In O tale approssimazione, si ha r1 r2 r (con r la distanza fra il punto medio del segmento OO’ e P) ed i raggi delle O′ due onde secondarie si possono considerare paralleli. Δr [ figura 141] Tracciando dal punto O la normale ad r2 , si ricava proprio Δ r = r2 − r1 = d 0 sin α e la differenza di fase vale d sin α Δ θ = 2π 0 λ − Frange luminose (interferenza additiva): Δθ = 2π e differenza di percorso d 0 sin α = n λ ( n = 0, ±1, ± 2, ± 3," ) minima ampiezza mminima luminosità P r1 α Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Se il punto P fosse sede della n-esima frangia, nel riferimento in figura avrebbe coordinate P {l 0 , y n } e con l’approssimazione l 0 >> d 0 la tangente di α sarebbe tan α = y n l 0 sin θ . Ossia, quando l y − l’ordinata delle frange luminose vale d 0 n = n λ , cioè y n = n λ 0 , la distanza fra due frange luminose l0 d0 consecutiva varrebbe l Δ y = y n − y n −1 = λ 0 d0 1⎞ l y 1⎞ ⎛ ⎛ − l’ordinata delle frange scure d 0 n = ⎜ n + ⎟ λ , cioè y n = ⎜ n + ⎟ λ 0 , la distanza fra due frange scure 2 ⎠ d0 l0 ⎝ 2⎠ ⎝ consecutiva varrebbe l Δ y = y n − y n −1 = λ 0 d0 − la differenza di fase in tali casi vale d sin θ 2π d 0 yn Δ θ = 2π 0 = λ λ l0 L’onda piana incidente sia un’onda elettromagnetica con E 0 il massimo valore di ampiezza del campo elettrico e con frequenza f = 1 T = ω0 2π . Le onde che si propagano dai due fori sono sferiche (con le medesime caratteristiche fisiche di quella incidente) e interferiscono nel punto P dello schermo opaco. Le due onde luminose secondarie sono E E : E1 {r1 ; t} = 0 sin θ1 {r1 ; t} = 0 sin ( kr1 − ωt ) − dalla fenditura O r1 r1 E E − dalla fenditura O′ : E 2 {r2 ; t} = 0 sin θ 2 {r2 ; t} = 0 sin ( kr2 − ωt ) r2 r2 Sovrapponendo le onde si ricava che per l’approssimazione 1 r1 1 r2 1 r [figura 141a] E E E {r; t} = E1 {r1 ; t} + E 2 {r2 ; t} = 0 sin ( kr1 − ωt ) + 0 sin ( kr2 − ωt ) r r e applicando il procedimento dei vettori rotanti di Fresnell 2 2 E E ⎛E ⎞ ⎛E ⎞ E = ⎜ 0 ⎟ + ⎜ 0 ⎟ + 2 0 0 cos Δθ r r ⎝ r ⎠ ⎝ r ⎠ La intensità dell’onda risulta proporzionale all’ampiezza al quadrato, per cui I tot = I + I + 2 I I cos Δθ = 2I (1 + cos Δθ ) 2 tot e ricordando la relazione di bisezione di un angolo Δθ 1 + cos Δθ cos = 2 2 → I tot = 4I cos 2 Essendo 1 + cos Δθ = 2 cos Δθ Δθ 2 2 2π 2π Δr = d 0 sin α λ λ l’intensità nel punto P nel quale avviene l’interferenza vale ⎛ d ⎞ I tot = 4I cos 2 ⎜ π 0 sin α ⎟ ⎝ λ ⎠ • Procedimento dei vettori rotanti di Fresnell: nel caso di un certo numero di fenditure equidistanti, il procedimento risolutivo è simile a quello sfruttato nel caso di due fenditure. Δθ = θ2 − θ2 = 125 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Le fenditure sono trattate come sorgenti coerenti e la posizione dei massimi di interferenza è indipendente dal loro numero. Quando si hanno molte fenditure (o molte sorgenti coerenti) l’intensità dei massimi di interferenza risulta fortemente aumentata rispetto al caso di due fenditure (o di due sorgenti coerenti), tuttavia la larghezza dei massimi risulta minore. − Due fenditure: le onde luminose uscenti hanno identica ampiezza E 0 , velocità e lunghezza d’onda. Presentano però una differenza di fase, imputabile alla differenza di percorso. Nell’ipotesi che si abbia r1 r2 r , le fasi delle due onde sono − θ1 {r; t} = ( kr − ωt ) per quella uscente dalla fenditura O e che percorre il percorso r1 , − θ 2 {r; t} = ( kr2 − ωt ) + ϕ = θ1 {r; t} + ϕ per quella uscente dalla fenditura O′ e che percorre il percorso r2 Rappresentando in [figura 142] il procedimento di Fresnell si osserva che il triangolo formato dai tre vettori è isoscele ed i due angoli alla base valgono ϕ 2 per note proprietà E ϕ = E 0 cos 2 2 [ figura 142] E0 Uguagliando le proiezioni dei vettori rispetto all’asse y ϕ⎤ ⎡ E sin ⎢θ1{r; t} + ⎥ = E 0 sin ⎡⎣θ1{r; t}⎤⎦ + E 0 sin ⎡⎣θ1{r; t} + ϕ⎤⎦ 2⎦ ⎣ da cui si ricava applicando le relazioni di prostaferesi θ1 + ϕ ϕ ϕ⎤ ϕ ⎡ E E {r; t} = 2 E 0 sin ⎢( kr − ωt ) + ⎥ cos = 2E′ cos ϕ 2 2⎦ 2 ⎣ E′ ϕ 2 E0 L’intensità nel punto di interferenza risulta definito da θ1 ϕ I P ∝ E 2 {r; t} = 4E′ 2 cos 2 2 che risulta esattamente uguale alla relazione ottenuta con il procedimento di Young. − Tre fenditure: il piano, sul quale si osservano le frange di interferenza, sia posizionato a distanza l 0 dal piano contenente le fenditure (con la distanza fra di esse). Nell’approssimazione l 0 >> d 0 , i tre raggi secondari sono con buona approssimazione paralleli fra loro e la differenza di percorso (relativo a due onde secondarie consecutive) vale sempre Δ r = d 0 sin α costante. Il punto P di interferenza di ordine n ha ordinata [figura 143] y n = l 0 tan α l 0 sin α P Le tre onde siano rappresentate da relazioni con ϕ lo sfasamento sia della seconda rispetto alla prima sia della yn r d0 terza rispetto alla seconda α E1 = E 0 sin ( kr − ωt ) E 2 = E 0 sin ⎡⎣( kr − ωt ) + ϕ⎤⎦ d0 E 3 = E 0 sin ⎡⎣( kr − ωt ) + 2ϕ⎤⎦ l0 La differenza complessiva di percorso vale Δ rtot = d 0 sin α + d 0 sin α = 2d 0 sin α [ figura 143] e la differenza di fase fra due raggi consecutivi vale d sin α 2π d 0 yn Δ θ = 2π 0 = λ λ l0 − Per α = 0 , Δ θ = 0 e tutte le tre onde sono in fase fra loro e si ha il primo massimo [figura 144] E = 3E 0 I ∝ 9E 02 126 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino − Aumentando il valore di α , diminuiscono sia l’ampiezza sia l’intensità luminosa. ( α = 0) E0 E − Per α = 2π 3 , l’ampiezza totale è nulla ed è nulla anche l’intensità e si ha il primo minimo E=0 I=0 − Per α = π , si ha il secondo massimo ( α = 2π 3 ) − Aumentando il valore di θ, diminuiscono sia l’ampiezza α E (α) sia l’intensità luminosa fino ad avere il secondo minimo. Nel caso di due fenditure, il primo minimo si ha per α = π e α risulta essere decisamente maggiore di α = 2π 3 (caso di tre E0 α E0 fenditure). − Fenditure larga: si tenga presente che, nel caso di una fenditura sottile, l’intensità luminosa delle frange di [ figura 144 ] interferenza è la stessa in ogni punto indipendentemente dall’angolo θ. Nel caso di una fenditura larga, l’intensità luminosa diminuisce all’aumentare dell’angolo α : per Δθ = 0 si ha il massimo centrale. Una fenditura larga h 0 si può pensare costituita da N punti sorgente allineati a distanza d = h 0 N l’uno dall’altro. Le onde emesse dalla sorgente A (estremo) e C (punto mediano) hanno A una differenza di percorso [figura 145] α h Δ r = 0 sin α C 2 h0 ed una differenza di fase 2 Δθ = π (sono in opposizione di fase), quindi l’intensità luminosa risulta [ figura 145] nulla. Il medesimo ragionamento lo si applica ad ogni coppia di sorgenti, posizionate omologamente a queste. Tutte le onde luminose hanno identica ampiezza E 0 e, fra due successive qualunque, valgono valide le relazioni h h sin α Δ r = d sin α = 0 sin α Δ θ = 2π 0 N N λ Quando α = 0 anche Δ θ = 0 e tutte le onde luminose, generate dalle N sorgenti puntiformi allineate, sono in fase fra loro e l’ampiezza nel punto di interferenza additiva (primo massimo) vale E = NE 0 Ogni onda emessa da un punto sorgente presenta uno Φ sfasamento ϕ rispetto all’onda emessa dal punto sorgente R precedente e seguente, ossia fra le N onde successive si hanno 2 Φ gli sfasamenti ⎡⎣ φ, 2φ, 3φ, , ( N-1) φ ⎤⎦ . Utilizzando il 2 E procedimento di Fresnell, i vettori ampiezza E 0 delle N onde emesse dai punti sorgente si dispongono lungo un arco di circonferenza (essendo piccolo il valore dello sfasamento reciproco). Sia R il raggio dell’arco di circonferenza e Φ = Nϕ lo sfasamento fra il primo vettore e l’ultimo, per nota proprietà geometrica [figura 146] E E = 2R sin Φ = R sin Φ 2 127 E0 [ figura 146 ] Φ Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Il modulo del vettore ampiezza totale vale E = NE 0 = RΦ e sostituendolo nella precedente relazione Φ sin NE 0 Φ 2 E=2 sin = NE 0 Φ 2 Φ 2 Al limite per Φ → 0 , ricordando che Φ sin 2 =1 lim Φ →0 Φ 2 l’interferenza presenta un massimo di ampiezza E max = NE 0 al quale corrisponde una intensità luminosa massima I max . Il rapporto fra l’intensità luminosa I ( α ) , corrispondente al generico valore angolare α ed il massimo valore I max risulta proporzionale al rapporto ( E ( α ) E max ) Φ⎞ ⎛ I ( α ) ⎛ E ( α ) ⎞ ⎜ sin 2 ⎟ ∝⎜ ⎟ ⎟ =⎜ I max ⎝ E max ⎠ ⎜ Φ ⎟ ⎝ 2 ⎠ 2 2 2 con ϕ = 2π h Nd sin α = 2π 0 sin α λ λ RETICOLI DI DIFFRAZIONE La determinazione della lunghezza d'onda λ della radiazione luminosa emessa da una sorgente è fattibile usando un reticolo di diffrazione. • Spettroscopio a reticolo: la luce emessa da una sorgente S viene focalizzata da un sistema di lenti su un collimatore C, posto nel fuoco della lente B e la luce emergente è L P un'onda piana che investe un reticolo dal quale è diffratta B A (ricordare che per θ = 0 si ha l'ordine n = 0 lungo l'asse del reticolo). Se la luce emessa dalla sorgente fosse bianca (composta da lunghezze d'onda differenti, quindi non S monocromatica) per θ = 0 tutti i massimi coinciderebbero, θ ma all'aumentare dell'angolo θ i massimi correlati alle C varie lunghezze d’onda si separano fra loro [figura 147]. Sperimentalmente è possibile determinare i vari massimi usando un telescopio ruotante in un piano normale al [ figura 147 ] reticolo (la lente L converge i raggi luminosi nel punto P di osservazione). Per ogni valore n ≠ 0 , lo spettroscopio a reticolo disperde la luce incidente in funzione della lunghezza d'onda (alla quale è associata un colore nel campo del visibile). Infatti per luce bianca incidente, centrando un massimo di ordine n, la rotazione del telescopio (lungo la posizione corrispondente all'ordine n) determina una larga sequenza di colori. − Dispersione: affinché sia possibile distinguere due lunghezze d'onda simili fra loro, il reticolo deve essere in grado di risolvere le relative righe di diffrazione. Si definisce dispersione il rapporto Δθ D= Δλ 128 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino essendo Δ θ la distanza angolare di due righe le cui lunghezze d'onda differiscono di Δλ . Differenziando la relazione d 0 sin α = n λ , con l'angolo α e la lunghezza d'onda variabili, si ha d 0 cos α d θ = nd λ e per angoli sufficientemente piccoli è possibile riscriverla in termini finiti d 0 cos α Δ α = n Δ λ , da cui si ricava la dispersione come Δθ n = D= Δλ d 0 cos α − Potere risolutivo: le righe con lunghezze d'onda molto simili sono tanto più risolvibili quanto minore è la loro larghezza. Il potere risolutivo è il rapporto fra la media di due lunghezze d'onda appena risolvibili e la loro differenza di lunghezza d'onda 〈λ〉 R= Δλ ed al decrescere di Δ λ si riduce la distanza alla quale due righe sono risolvibili. Il potere risolutivo di un reticolo di diffrazione con N righe vale R = Nn . OLOGRAFIA Si definisce ologramma la riproduzione, su un mezzo fotosensibile (tipo riferimento lastra fotografica) delle figure di interferenza dovute all'interazione di [figura 148 a ] almeno due fasci di luce derivanti da un'unica sorgente monocromatica (fasci coerenti tipo luce laser). Nella generazione di un ologramma, una oggetto parte del fascio luminoso emesso dal laser (fascio di riferimento) viene diffusa da una lente o da uno specchio su una lastra di materiale fotosensibile e la restante parte è indirizzata su un oggetto, del quale si vuole riprodurre l'immagine [figura 148 a]. − Il fascio di luce rifratto dall'oggetto (fascio oggetto) incide sulla lastra fotosensibile e su si essa i due fasci, coerenti fra loro e provenienti da un'unica sorgente monocromatica, determinano figure di interferenza distinte. L'oggetto sia un punto O ed i due fasci interferiscano secondo un angolo ϕ = π 2 : la figura di interferenza risulta essere esattamente identica a quella prodotta da una doppia fenditura, con la distanza d 0 fra le fenditure molto grande rispetto alla dimensione delle stesse. Sulla lastra fotosensibile si generano sottili frange aventi separazione costante fra massimi adiacenti. La lastra, sviluppata dopo l'esposizione, diventa un reticolo di diffrazione con un alto indice di dispersione. − Ricostruzione del fronte d'onda: [figura 148 b] illuminando R (reale) la lastra fotosensibile sviluppata con un fascio di O (virtuale) riferimento, uguale a quello usato per generare l'ologramma, la luce diffratta genera un'immagine virtuale O dell'oggetto. Osservando l'ologramma in direzione di O, si osserva un punto luminoso nello spazio tridimensionale. Se il fascio di riferimento venisse indirizzato in verso opposto (fascio O′ (reale) R ′ (virtuale) coniugato R') il punto O′ risulterebbe reale ed anche in questo caso si osserverebbe un punto luminoso nello spazio [ figura 148 b ] tridimensionale. Poiché ogni minima area dell'ologramma può dare luogo a immagini reali o virtuali, esso si comporta simultaneamente come una lente convergente, divergente e reticolo di diffrazione. Se il punto materiale oggetto fosse sostituito da un corpo esteso, il fascio oggetto sarebbe determinato da un gran numero di sorgenti puntiformi che costituirebbero i centri di diffusione dell'oggetto. 129 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino La registrazione sulla lastra fotosensibile consiste in una sovrapposizione di reticoli di diffrazione i quali, in funzione di come verrebbero illuminati, restituiscono un'immagine reale o virtuale dell'oggetto (trasmissione laser). Come già accennato, ogni elemento dell'area dell'ologramma contiene l'insieme completo delle informazioni per la riproduzione dell'oggetto. Quanto maggiore è la dimensione dell'ologramma, tanto maggiore è la risoluzione dell'immagine. EFFETTO DÖPPLER Ogni volta che un osservatore si muove relativamente ad una sorgente di onde, apparentemente la frequenza delle onde sembrerebbe aumentare quando la distanza sorgente/osservatore diminuisce, sembrerebbe diminuire quando la distanza sorgente/osservatore aumenta. Il fenomeno fu studiato nel 1842 da Döppler che dimostrò l’effetto nel 1845 in Olanda usando un treno in moto con sopra dei trombettieri. Sono esempi di effetto Döppler [figura 149] − lo spostamento nella banda del rosso o red-shift della lunghezza d'onda della luce emessa da galassie che si stanno velocemente allontanando dalla terra; v − la misurazione tramite il radar della velocità di un autoveicolo S λ λ (autovelox): una sorgente emette onde di frequenza f le quali vengono riflesse dal mezzo con frequenza f ′ e viene misurata la differenza f − f ′ con la determinazione della velocità. Il valore ottenuto è valido quando mezzo e autovelox sono collineari, se [ figura 149 ] fossero posti su direzioni normali fra loro non si otterrebbe alcun valore. Una sorgente S emetta onde sferiche con frequenza f = 1 T = ω 2π che si propagano con velocità v ed un rivelatore R intercetti i fronti d'onda. Si possono avere i tre casi: − rivelatore fermo: il ritmo di intercettazione è pari a quello di emissione dei fronti d'onda da parte della sorgente, quindi f ′ = f ; − rivelatore in avvicinamento: il ritmo di intercettazione aumenta, quindi f ′ > f ; − rivelatore in allontanamento: il ritmo di intercettazione diminuisce, quindi f ′ < f . • Sorgente ferma ( vS = 0 ) e rilevatore fermo ( v R = 0 ) nel tempo t i vari fronti d'onda si sono spostati di un tratto d 0 = v t ed in tale tratto il numero di lunghezze d'onda è N = d 0 λ = vt λ . Tale numero N è proprio quello intercettato dal ricevitore R nel tempo t, ossia il ritmo di intercettazione (o frequenza f ′ ) è pari S al rapporto fra il numero N ed il tempo t [figura 150] R vt v vS = 0 N v vR = 0 f′= = λ = λ t t quando il rivelatore è fermo, la frequenza rilevata f ′ dal d0 [ figura 150 ] rivelatore R è pari v λ = v vT = f che rappresenta la frequenza di emissione della sorgente S. • Sorgente fissa e rivelatore in avvicinamento: nel tempo t, il fronte d'onda percorre lo spazio d 0 = v t ed il rivelatore d1 = v R t [figura 151] Lo spazio che il fronte d'onda percorre rispetto al rivelatore R vale d = d 0 + d1 = v t + v R t = ( v + v R ) t ed il numero di lunghezze d'onda contenute in detto spazio vale 130 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino d v + vR = t λ λ Il ritmo di intercettazione vale f ′ = N t = ( v + v R ) λ , ma dal caso N= • • v vR R precedente si ha che v λ = f ossia λ = v f che sostituita in f ′ permette di avere d0 d1 v + vR ⎛ v ⎞ f′= f = f ⎜1 + R ⎟ v v ⎠ [ figura 151] ⎝ Quando v R ≠ 0 si ha f ′ > f , quando v R = 0 si ha f ′ = f . Sorgente fissa e rivelatore in allontanamento: il ragionamento è uguale a quello del caso precedente con la considerazione che il fronte d'onda percorre rispetto al rivelatore lo spazio d = d 0 − d1 = vt − v R t = ( v − v R ) t da cui si ricava v − vR ⎛ v ⎞ f′= f = f ⎜1 − R ⎟ v v ⎠ ⎝ Rivelatore fisso e sorgente in allontanamento: ripetendo il ragionamento precedente, la distanza fra due fronti d'onda successivi è d = d 0 + d1 = ( v + vS ) T = λ′ ed il ritmo di intercettazione del rivelatore vale f′= f • S v v + vS e quando vS < 0 si ha f ′ < f . Sorgente fissa e rivelatore in allontanamento: il ragionamento è uguale a quello del caso precedente con la considerazione che il fronte d'onda percorre rispetto al rivelatore lo spazio d = d 0 − d1 = vS t − v R t = ( vS − v R ) t per cui si ricava ⎛ v ⎞ vS − v R = f ⎜1 − R ⎟ v ⎝ vS ⎠ Rivelatore fisso e sorgente in allontanamento: ripetendo il ragionamento precedente, la distanza fra due fronti d'onda successivi è d = d 0 + d1 = ( vS + vS ) T = λ′ ed il ritmo di intercettazione del rivelatore vale f′= f • f′= f vS v S + vS e quando vS < 0 si ha f ′ < f . • Rivelatore fisso e sorgente in avvicinamento: quando la sorgente si sposta con velocità vS ≠ 0 , rincorre i suoi stessi fronti d'onda ed i rispettivi centri si spostano da S in S1 , S2 , S3 ( vR = 0 ) v ′ S e così via per cui la lunghezza d'onda λ risulta ridotta nella direzione del moto. L'intervallo temporale, intercorrente fra S R l'emissione di due fronti d'onda successivi, è pari al periodo T = 1 f ed in tale intervallo lo spazio percorso dal fronte [ figura 151] d'onda è d 0 = v T e quello della la sorgente è d1 = vST . Lungo la direzione del moto, la distanza [figura 151] d = d 0 − d1 = ( v − vS ) T risulta essere uguale alla lunghezza d'onda λ′ (ricordare che dopo il tempo T viene emesso un altro fronte d'onda e che d rappresenta la loro distanza). Il rivelatore intercetta tali fronti d'onda con un ritmo 131 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino vT N v v f ′ = = λ′ = = f T T v − vS ( v − vS ) T 1 f e quando vS > 0 si ha f ′ > f . • • Sorgente e rivelatore in moto relativo reciproco: se vS è la velocità della sorgente, v è la velocità di propagazione del fronte d'onda e v R la velocità del rivelatore, la frequenza rilevata vale v + vR f′= f per l'avvicinamento v − vS v − vR f′= f per l'allontanamento v + vS Effetto Döppler al variare della velocità: l'effetto risulta essere differente nel caso che in moto sia la sorgente o il rivelatore o entrambi, anche se le due velocità fossero identiche. − Nell'ipotesi che si abbia v R < v e vS < v , utilizzando lo sviluppo binomiale si ricaverebbe ⎛ u⎞ f ⎜1 ± ⎟ ⎝ v⎠ la velocità relativa fra la sorgente ed il f′ essendo u = vS − v R S rivelatore [figura 152] − Quando il rivelatore è fisso ( v R = 0 ) e la sorgente si muove con vS = v una velocità pari a quella del fronte d'onda ( vS = v ) la frequenza rilevata non ha significato fisico in quanto [ figura 152] v f′= f →∞ v − vS cioè la sorgente S mantiene il passo di tutti i fronti d'onda emessi in successione. − Quando vS > v , la sorgente in S1 emette un'onda il cui fronte, al tempo t, ha raggio R1 = v t mentre nel medesimo intervallo temporale la sorgente si è spostata di un tratto d = vS t . Il processo continua e i centri S2 , S3 , S4 ,… dei vari fronti d'onda, emessi in successione, sono posizionati alle spalle della sorgente. Tutti i fronti d'onda si raggruppano in un inviluppo tridimensionale conico avente il vertice nel punto S sorgente. Il mantello dell'inviluppo conico rappresenta un fronte d'urto in quanto i vari fronte d'onda determinano una brusca variazione di pressione su un qualunque oggetto investito. Il semiangolo di apertura del cono di Mach è correlato al rapporto delle velocità tramite la relazione [figura 153] sin θ = vt vS t = v vS [ figura 153] e per le onde sonare tale rapporto è detto numero di Mach vt v N Mach = = sin θ θ vS Quando degli elettroni si muovono in un mezzo trasparente con una velocità maggiore di quella della luce nel mezzo ( v e >> vluce ) viene vS t emessa luce visibile secondo un cono di emissione che ha come sorgente i singoli elettroni (effetto Cĕrenkov). Nella piscina di raffreddamento di un reattore nucleare, gli elettroni emessi dagli atomi radioattivi delle barre di combustibile viaggiano con una velocità maggiore di quella della luce nell'acqua, per cui irraggiano un'onda luminosa di lunghezza d'onda corrispondente al colore verde/blu. 132 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino OTTICA GEOMETRICA La luce è una radiazione elettromagnetica che si propaga nel vuoto con velocità m c 3 × 10 8 s e che gli esseri umani decodificano come visibile se la lunghezza d'onda è compresa nello spettro λ m = 0.38 ⋅10−6 m (luce violetta) λ M = 0.78 ⋅10−6 m (luce rossa) essendo 1 Å = 10−10 m . Si osservi che, essendo la lunghezza d’onda λ e la frequenza f correlate dalla relazione λ = vT = v f , alla luce rossa corrisponde una frequenza minore rispetto a quella della luce violetto. Fra queste due lunghezze d'onda limiti, gli occhi decodificano le lunghezze d'onda corrispondenti ai colori aranciato, giallo, verde, azzurro, indaco. Secondo il principio di Huygens, la luce si propaga in un mezzo secondo onde sferiche e l'inviluppo di tali onde si dice fronte d'onda. Ogni punto di un fronte d'onda diventa sorgente di ulteriori onde sferiche secondarie e, dopo un tempo Δ t , la superficie di inviluppo delle onde sferiche secondarie costituisce il nuovo fronte d'onda. L'emettitore di onde luminose si dice sorgente e può essere puntiforme o diffusa. Le onde luminose possono essere monocromatiche (coerenti fra loro) se la sorgente emette onde di una sola lunghezza d'onda o policromatiche se si hanno differenti lunghezze d'onda. L'indice di rifrazione è un indicatore della "qualità" del mezzo attraversato dalle onde luminose. L'indice di rifrazione assoluto è il rapporto fra la velocità della luce nel vuoto e la velocità della luce nel mezzo c n= (con v << c ) v Nell'ottica geometrica viene introdotto il concetto di raggio luminoso che viaggia in un mezzo omogeneo (densità costante) ed isotropo (identico comportamento in ogni direzione). Le discontinuità nello spazio in cui viaggia il raggio devono avere dimensioni caratteristiche superiori alla lunghezza d'onda, cioè d 0 >> λ . Quando un raggio luminoso incontra una superficie di separazione fra due mezzi con differenti indici di rifrazione, avente la caratteristica di impedirne la propagazione, avviene il fenomeno della riflessione. Se la superficie di separazione viene attraversata dal raggio luminoso si parla di rifrazione. PRINCIPIO VARIAZIONALE DI FERMAT Il principio variazionale, applicato alla propagazione di un raggio luminoso, si può enunciare affermando che il raggio luminoso si propaga fra due punti dello spazio seguendo un cammino al quale corrisponde un tempo o minimo o massimo o stazionario, se detto tempo è confrontato con quello dei percorsi vicini. • Riflessione: un raggio luminoso, emesso dalla sorgente S e S riflesso in O, raggiunge il generico punto P. Considerando la [ figura 154 ] figura, il cammino ottico del raggio dal punto S{x, a} fino al punto P {d − x, b} è dato da a SOP = l = l 1 + l 2 essendo [figura 154] l1 = x 2 + a 2 l2 = (d − x ) 2 P l1 θ1 θ2 l2 b + b2 La posizione del punto O è definita dal principio variazionale, che si esprime secondo l'equazione dl x (−1)(d − x) =0 → + =0 2 2 dx x +a (d − x) 2 + b 2 133 x O d d−x Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino ⎛π ⎞ = cos ⎜ − θ1 ⎟ = sin θ1 ⎝2 ⎠ x +a (d − x) ⎛π ⎞ = cos ⎜ − θ2 ⎟ = sin θ2 2 2 ⎝2 ⎠ (d − x) + b x 2 2 Sostituendo si ottiene sin θ1 = sin θ2 , ossia per la riflessione vale la legge θ1 = θ 2 • Rifrazione: il raggio luminoso incontra nel punto O una superficie di separazione fra due mezzi omogenei aventi rispettivamente gli indici di rifrazione n1 < n 2 . Il tempo impiegato dal raggio per portarsi dalla sorgente S{x, a} S l1 a al generico punto P {d − x, b} vale [figura 155] t SOP = t SO + t OP = l1 v1 + l2 x v2 θ1 d−x ( n1 ) l2 (n2 ) b essendo l1 = SO ed l2 = OP . θ2 Ricordando la definizione di indice di rifrazione ( n = c v ) e sostituendo nella precedente relazione i valori della velocità di [ figura 155] propagazione del raggio nei due mezzi, si ricava n1l 1 + n 2 l 2 P t SOP = c da cui si deve porre particolare attenzione che il percorso geometrico ( l 0 = l 1 + l 2 ) del raggio luminoso è totalmente differente dal percorso ottico ( l = n1l 1 + n 2 l 2 ) del medesimo. Operando si deduce che ct SOP = l = n1l 1 + n 2 l 2 , essendo l 1 = x 2 + a 2 e l 2 = (d − x ) 2 + b2 . Anche nel presente caso la posizione del punto O è definita dal principio variazionale, ossia dl x (−1)(d − x) +n2 =0 =0 → n1 2 2 dx x +a (d − x) 2 + b 2 ⎛π ⎞ = cos ⎜ − θ1 ⎟ = sin θ1 ⎝2 ⎠ x2 + a2 (d − x) ⎛π ⎞ = cos ⎜ − θ2 ⎟ = sin θ2 2 2 ⎝2 ⎠ (d − x) + b x Sostituendo tali valori, si ricava la legge di Cartesio-Snell per la rifrazione di un raggio luminoso n1sinθ1 = n 2sinθ 2 Il rapporto sin θ1 sin θ2 = n 2 n1 = n 21 si dice indice di rifrazione del secondo mezzo rispetto al primo. RIFLESSIONE TOTALE Un raggio luminoso, emesso da una sorgente puntiforme S, incide in O su di una superficie di separazione fra due mezzi con indici di rifrazione n1 (sia n 2 < n1 ): analizzare quale valore deve assumere l'angolo di incidenza per il quale il raggio rifratto viaggi esattamente lungo la superficie di separazione. Applicando la legge di Snell si ricava [figura 156] n1 sin θ1 = n 2 sin θ2 con θ2 = π 2 . La relazione diventa n1 sin θ1* = n 2 e si ricava il valore 134 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino n2 = n 21 n1 Quando l'angolo di incidenza assume il valore − θ1 < θ1* : si ha sempre la rifrazione − θ1 > θ1* : si ha sempre la riflessione − θ1 = θ1* : angolo limite − Annotazione: quando è verificata la relazione n 2 < n1 , la riflessione totale avviene sempre internamente al materiale nel quale si trova la sorgente S. È il caso di una fibra ottica quando il raggio incidente rispetta la relazione θ1 > θ1* . θ1* = arcsin n2 O π2 n1 θ1* S [ figura 156 ] DEFINIZIONI Lo scopo dell'ottica geometrica è quello di determinare le leggi che definiscono l'immagine di un dato oggetto, ottenuta con un qualche strumento ottico, quando i raggi luminosi dell'oggetto subiscono una riflessione o una rifrazione attraverso lo strumento. • Oggetto: corpo fisicamente definito che emette raggi luminosi. • Immagine: figura nei cui punti convergono i raggi luminosi, provenienti dall'oggetto, che subiscono una riflessione o una rifrazione attraversando lo strumento ottico. • Strumento ottico stigmatico: dispositivo che permette la convergenza dei raggi luminosi, uscenti dall'oggetto, in un sol punto dell'immagine. L'oggetto e l'immagine sono detti punti coniugati. • Astigmatismo: difetto di focalizzazione in un unico punto dei raggi luminosi. • Immagine reale: tutti i raggi luminosi passano fisicamente per i suoi punti e ciò implica passaggio di energia. • Immagine virtuale: il prolungamento dei raggi luminosi passa per i suoi punti e ciò implica nessun passaggio di energia. • Definizione immagine: una buona definizione dell'immagine si ha in condizione di stigmatismo dello strumento ottico. Nella realtà, solamente uno stretto pennello di raggi luminosi concentrati lungo l'asse ottico (realmente asse oggetto/immagine) soddisfa alla predetto condizione. Tali raggi sono detti parassiali. • La superficie incontrata dai raggi luminosi è detta − specchio o superficie catadiottrica se avviene il solo fenomeno della riflessione, − diottro o superficie diottrica se avviene principalmente il fenomeno della rifrazione. • Cromatismo: focalizzazione in differenti punti (colorati) di raggi luminosi aventi differenti lunghezze d'onda. • Acromatico: strumento otticamente corretto mediante diottri al fine di annullare il fenomeno del cromatismo. SPECCHIO • Specchio piano: superficie di separazione fra due mezzi che non permette la trasmissione dei raggi luminosi. È possibile il solo fenomeno della riflessione, per cui vale la legge θ1 = θ2 e scegliendo un riferimento come in [figura 157], i raggi luminosi uscenti dall'oggetto O formano l'immagine I che è virtuale. Sia p la distanza oggetto/specchio, q la distanza immagine/specchio ed x la distanza fra il raggio luminoso (uscente dall'oggetto O) normale allo specchio ed il generico raggio che è riflesso dallo specchio. Per il teorema dei seni 135 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ • • • Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino x p x q = = p q sin θ sin ( π 2 − θ ) sin θ sin ( π 2 − θ ) I O Confrontando le due relazioni si ricava la legge q = −p x con la convenzione che si definisce θ1 − spazio reale R lo spazio nel quale passano realmente i raggi luminosi che concorrono a formare l'immagine I, θ2 [ figura 157 ] − spazio virtuale V lo spazio nel quale passano i prolungamenti dei raggi luminosi che concorrono a formare l'immagine I. Le grandezze fisiche dello spazio reale R sono definite > 0 (positive), le grandezze dello spazio virtuale V sono definite < 0 (negative). Gli specchi piani forniscono unicamente immagini virtuali e definiscono O I uno scambio di simmetria. Un oggetto puntiforme dà un'immagine puntiforme, un oggetto esteso dà un'immagine estesa in quanto ogni punto dell'oggetto fornisce un'immagine puntiforme. ( superficie utile ) Visione: la pupilla ha un'apertura piccola, la porzione di specchio necessaria per osservare un oggetto riflesso risulta essere piccolo rispetto [ figura 158 ] alla superficie disponibile dello specchio [figura 158] Specchio sferico: una qualunque superficie catadiottrica avente un raggio r di curvatura costante. Come convenzione si abbia: C il centro di curvatura dello specchio, V il vertice dello specchio, CV = r il raggio di curvatura dello specchio, O l'oggetto ( OV = p è la distanza dell'oggetto dallo specchio), I l'immagine ( IV = q è la distanza dell'immagine dallo specchio), OV l'asse ottico dello specchio. Esistono due tipi di specchi sferici e precisamente − Specchio concavo: il raggio di curvatura r si trova nello A spazio reale R dei raggi luminosi incidenti [figura 159], [ figura 159 ] per i due triangoli OAC e OAI si ha che θ β=α+θ γ = α + 2θ γ β α Eliminando l'angolo θ fra le relazioni si ricava α + γ = 2β V I O C e si ha l’approssimazione per i soli raggi parassiali AV = r β pα q γ α∼β∼γ (R ) ( V) Sostituendo, si ricava la legge dei punti coniugatiti per p uno specchio sferico concavo 1 1 2 q + = p q r Per ottenere raggi parassiali, bisognerebbe diaframmare i raggi luminosi riducendo drasticamente l'area utile dello specchio. Una tale riduzione diminuisce proporzionalmente la quantità di energia luminosa incidente per cui l'immagine perde in luminosità. Specchio convesso: il raggio di curvatura r si trova nello spazio virtuale V non attraversato dalla luce incidente. Ricordando la convenzione dei segni si ha [figura 160] p∈R → + , q ∈ V → − , r∈ V → − e utilizzando un procedimento simile a quello del caso precedente si ricava 1 1 2 − =− p q r La rappresentazione di quanto esposta è 136 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ (R ) C Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino (R ) ( V) I O V p < 0⎫ 1 1 2 ⎪ q > 0⎬ − + = p q r r > 0 ⎪⎭ • ( V) V I C O p < 0⎫ 1 1 2 ⎪ q > 0⎬ − + = − p q r r < 0 ⎪⎭ [ figura 160 ] Dispositivi convergenti: si considerino i due specchi rappresentati in figura e si ricava (R ) p=∞ r>0 f >0 (R ) ( V) V F [ figura 161] ( V) V p=∞ r<0 f <0 F Quando l'oggetto O si trova all'infinito ( p → ∞ ), tutti i raggi luminosi sono paralleli all'asse e convergono in un punto detto fuoco [figura 161]. r 1 1 2 q≡f = + = 2 ∞ q r Se gli oggetti fossero corpi estesi, anche le loro immagini risulterebbero estese ed in questo caso si avrebbero le seguenti caratteristiche [figura 162]: (R ) [ figura 162] (R ) (I ) (I ) O O p > 0⎫ q > 0 ⎪⎪ ⎬ immagine reale r > 0⎪ f > 0 ⎪⎭ • F I I p > 0⎫ q < 0 ⎪⎪ ⎬ immagine virtuale r < 0⎪ f < 0 ⎪⎭ F − ogni raggio luminoso passante per il centro di curvatura C viene riflesso ripassando per il punto C, − ogni raggio luminoso parallelo all'asse ottico passa per il fuoco F, − ogni raggio luminoso passante per il fuoco viene riflesso parallelamente all'asse ottico. Ingrandimento trasversale: è il rapporto fra la dimensione lineare dell'oggetto e la dimensione lineare dell'immagine 137 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino d0 d Considerando la figura, si osserva che i triangoli OAV e IA′V sono simili, per cui vale la relazione [figura 163] d0 : ( − d ) = p : q i= d0 p = d q e l'ingrandimento trasversale si può definire come p i=− q A d0 I O i=− [ figura 163] V d A′ SUPERFICI DIOTTRICHE Si consideri la superficie di separazione fra due materiali, caratterizzati da indici di rifrazione n1 < n 2 , avente raggio di curvatura r. Siano: − V : il vertice del diottro − O : l'oggetto puntiforme ( OV = p ) − C : il centro di curvatura ( OC = r ) − I : l'immagine puntiforme ( OI = q ) − θ1 : angolo di incidenza − θ2 : angolo di rifrazione − α : angolo del raggio incidente n − β : angolo ACV − γ : angolo del raggio rifratto Per proprietà degli angoli esterni ad un triangolo, si deduce che per il triangolo OAC vale θ1 = α + β e per il triangolo ACI vale β = θ2 + γ [figura 164]. Nel caso di raggi luminosi parassiali, si ricava che p p p AV AV AV ( n1 ) (n2 ) α γ β= r p q θ1 A e la legge di Snell n1 sin θ1 = n 2 sin θ2 θ2 γ α β può essere riscritta come I O V C n1θ1 n 2 θ2 r p da cui q n θ2 θ1 1 n2 [ figura 164 ] Nelle relazioni degli angoli θ1 = α + β e β = θ2 + β , la sostituzione definisce che n n β = θ1 1 + γ = ( α + β ) 1 + γ n2 n2 ossia n 2β = ( α + β ) n1 + γ e sostituendo i valori degli angoli si ricava 138 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino n1 n 2 n 2 − n1 + = (equazione dei punti coniugati). p q r • Convenzione sui segni − Spazio reale R : spazio nel quale si forma l'immagine reale a causa della rifrazione della superficie diottrica. − Spazio virtuale V : spazio nel quale incide il raggio sulla superficie. : se O si trova in V – p>0 : se I si trova in R – p>0 : se c si trova in R – r>0 − Specchio : l'incidenza e la riflessione avvengono nello spazio R − Diottro : l'incidenza avviene nello spazio V , la rifrazione nello spazio R . Nel caso in cui sia n1 > n 2 , la relazione dei punti coniugati è data da n1 n 2 n − n1 − =− 2 p q r in quanto q<0 r<0 p>0 n n n −n − Se l'oggetto si trovasse all'infinito p = ∞ e 1 + 2 = 2 1 , da cui si ricava che l'immagine è formata ∞ q r in un punto, posizionato oltre il vertice V, detto fuoco posteriore del diottro n2 q ≡ f2 = r n 2 − n1 n n n −n − Se l'immagine si formasse all'infinito q = ∞ e 1 + 2 = 2 1 , l'oggetto risulterebbe posto in un p ∞ r punto detto fuoco anteriore del diottro n1 p ≡ f1 = r n 2 − n1 Annotazione: i due fuochi, quello anteriore e quello posteriore del diottro, sono sempre differenti fra loro. • Lente: porzione di spazio, costituita da un materiale di dato indice di rifrazione n, racchiusa da due diottri con raggi di curvatura. • Lente spessa: la distanza fra i due vertici dei diottri è confrontabile con i raggi di curvatura. • Lente sottile: la distanza fra i due vertici dei diottri è trascurabile rispetto ai raggi di curvatura. Si consideri una lente di materiale con indice di rifrazione n 2 (ad esempio vetro n 2 = n ) immersa in un mezzo di indice di rifrazione n1 (ad esempio aria n1 = 1 ). L'equazione dei punti coniugati per tale lente si deduce applicando l'equazione dei punti coniugati ai due diottri. − Prima rifrazione: il raggio luminoso, uscendo dall'oggetto O1 , si rifrange e produce l'immagine virtuale I1 e si ha n1 n 2 n 2 − n 1 − = (105) p1 q 2 r1 in quanto vale {p1 > 0, q1 < 0, r1 > 0} . − Seconda rifrazione: un osservatore posto in B osserverebbe il raggio luminoso come se provenisse dalla sorgente O 2 ≡ I1 , nel mezzo di indice di rifrazione n1 . Ossia l'immagine virtuale I1 (per il primo diottro) diventa oggetto reale O 2 per il secondo diottro. L'equazione dei punti coniugati n 2 n1 n1 − n 2 + = (106) p 2 p1 r2 in quanto vale {p 2 > 0, q 2 > 0, r2 > 0, p 2 = q1 + d} . 139 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Sommando le (105) e (106) e ipotizzando che la lente risulti sottile ( d → 0 , cioè trascurabile rispetto ai due raggi di curvatura dei diottri) si ricava l'equazione dei punti coniugati ⎛1 1⎞ n1 n1 + = ( n1 − n 2 ) ⎜ − ⎟ p1 q 2 ⎝ r1 r2 ⎠ Nel caso presente: chiamando genericamente p la distanza dell'oggetto dal centro della lente, q la distanza dell'immagine dal centro della lente, n1 = 1 l'indice di rifrazione dell'aria, n 2 = n l'indice di rifrazione del vetro, al precedente equazione si riscrive come [figura 165] ⎛1 1⎞ 1 1 + = ( n − 1) ⎜ − ⎟ (*) p q ⎝ r1 r2 ⎠ (n2 ) ( n1 ) ( n1 ) B A I1 ≡ O 2 C1 C2 V1 O1 p1 r1 V2 r1 p2 I2 q2 [ figura 165] d p 2 = q1 + d • Convenzione dei segni − se il raggio emesso sul primo diottro è divergente, l'oggetto è reale : {p > 0, O ∈ V } − se il raggio emesso sul primo diottro è convergente, l'oggetto è virtuale : {p < 0, O ∈ R} • − se l'immagine cade nello spazio reale : {q > 0, I ∈ R } − se l'immagine cade nello spazio virtuale : {q < 0, I ∈ V } − se il raggio di curvatura cade nello spazio reale : {r > 0, r ∈ R } − se il raggio di curvatura cade nello spazio virtuale : {r < 0, r ∈ V } Lente convergente: tutti i raggi luminosi provenienti dall'infinito [figura 166] convergano nel primo fuoco F1 (o fuoco posteriore). F2 F1 F2 [ figura 166 ] 140 F1 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ • Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino Lente divergente: tutti i raggi luminosi provenienti dall'infinito [figura 166] convergono nel secondo fuoco F2 (o fuoco anteriore). In tali condizioni, l'equazione dei punti coniugati per p = ∞ assume la forma ⎛1 1⎞ ⎛r −r ⎞ 1 1 + = ( n − 1) ⎜ − ⎟ = ( n − 1) ⎜ 2 1 ⎟ ∞ q ⎝ r1 r2 ⎠ ⎝ r1r2 ⎠ da cui 1 r1r2 n − 1 r2 − r1 e tale relazione, detta equazione dei fabbricanti di lenti, permette di determinare il fuoco di una lente in funzione dell'indice di rifrazione e dei raggi di curvatura. Con tale relazione dei punti coniugati (*) assume la forma 1 1 1 + = p q f Quando l'oggetto è esteso anche l'immagine risulta estesa e la sua costruzione avviene seguendo le norme precedentemente esposte per i raggi luminosi. Per una lente sottile, convergente o divergente, si hanno i possibili casi illustrati in [figura167] che segue (sono riportate le costruzioni geometriche delle immagini degli oggetti estesi e gli spazi) q≡f = F2 ≤ O ≤ 0 ⎫ ⎬ I∈I ∞ ≤ I ≤ F2 ⎭ I O O F1 F2 F1 F2 ∞ ≤ p ≤ F2 ⎫ ⎬ I ∈R F1 ≤ q ≤ ∞ ⎭ I [ figura 167 ] F1 ≤ p ≤ 0 ⎫ ⎬ I ∈R F1 ≤ q ≤ 0 ⎭ O O I F1 O F2 F1 I F2 ∞ ≤ p ≤ F1 ⎫ ⎬ I ∈R F1 ≤ q ≤ 0 ⎭ LAMINA A FACCE PARALLELE Una lamina di spessore d è costituita da un materiale con indice di rifrazione n 2 ed è immersa in un materiale di indice di rifrazione n1 . − Applicando la legge di Snell alla rifrazione attraverso la superficie di separazione ( n1 , n 2 ) si ha n1 sin θi = n 2 sin θr 141 Vittorio Mussino: [email protected] ______________________________________ Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino − Applicando la legge di Snell alla rifrazione attraverso la superficie di separazione ( n 2 , n1 ) si ha n 2 sin θr = n1 sin θ′ Confrontando le due relazioni [figura168] si ricava θi = θ′ , ossia: il raggio luminoso emerge dalla lamina secondo un angolo che è uguale a quello di incidenza sulla lamina. Il tratto percorso dal raggio luminoso nella lamina vale d AB = cos θr e la distanza fra il raggio incidente e quello emergente vale sin ( θi − θr ) BB′ = ABsin ( θi − θr ) = d cos θr Detto valore rappresenta la separazione operata dalla lamina sul raggio incidente. Santena (To), 20 dicembre 2009 142 ( n1 ) d (n2 ) ( n1 ) [ figura 168 ] θi A θi − θr θr B′ B θ′
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