For Rational Drug Use & Disease Management Therapy Perspectives Anno XVII, N. 1, gennaio 2014 Trattamento continuativo del mieloma multiplo con lenalidomide a cura di Mario Boccadoro Annamaria Brioli Michele Cavo Francesca Gay Antonio Palumbo Trattamento continuativo del mieloma multiplo con lenalidomide a cura di Mario Boccadoro Dipartimento di Oncologia ed Ematologia, A.O. Città della Salute e della Scienza - P.O. Molinette, Torino Annamaria Brioli Istituto di Ematologia “Seràgnoli”, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Università degli Studi di Bologna. Centre for Myeloma Research, Molecular Haematology, Division of Molecular Pathology, The Institute of Cancer Research, Londra. Michele Cavo Istituto di Ematologia “Seràgnoli”, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Università degli Studi di Bologna Francesca Gay Dipartimento di Oncologia ed Ematologia, A.O. Città della Salute e della Scienza - P.O. Molinette, Torino Antonio Palumbo Dipartimento di Oncologia ed Ematologia, A.O. Città della Salute e della Scienza - P.O. Molinette, Torino IndIce Review Trattamento continuativo del mieloma multiplo con lenalidomide Obiettivo della terapia del mieloma multiplo: controllo della malattia o cura? .................................................................................................. 3 nuovi concetti nella biologia del mieloma multiplo: la teoria evoluzionista di darwin e le “maree clonali” ............................................................. 3 nuovi parametri per valutare la risposta: scR e malattia minima residua .................................................................................................. 5 Lenalidomide e terapia continuativa ......................................................................................... 6 Strategie per migliorare la compliance dei pazienti e mantenerli in trattamento continuativo ................................................................................. 7 Seconde neoplasie (second primary malignancies, SPM) ..................................................... 8 conclusioni ................................................................................................................................... 8 Bibliografia .................................................................................................................................... 8 Raccolta di casi clinici Trattamento continuativo con lenalidomide nel mieloma multiplo recidivato refrattario: gestione clinica pratica caso clinico 1 .............................................................................................................................. 11 caso clinico 2 .............................................................................................................................. 13 caso clinico 3 .............................................................................................................................. 14 Bibliografia .................................................................................................................................. 16 Therapy Perspectives Trattamento continuativo del mieloma multiplo con lenalidomide Anno XVII, N. 1, gennaio 2014 ISSN 1974-6679 ISBN 978 88 6756 064 6 Comitato Editoriale Denis Bilotta Claudio Oliveri Redazione Rosy Bajetti Produzione Loredana Biscardi Via Decembrio, 28 20137 Milano www.springerhealthcare.it © 2013 Springer Healthcare Italia S.r.l. Therapy Perspectives. Registrazione del Tribunale di Milano n. 128 del 10 marzo 1997 Direttore responsabile: Giuliana Gerardo Finito di stampare nel mese di dicembre 2013 da Geca S.p.A. (San Giuliano Milanese - MI) Tutti i diritti sono riservati, compresi quelli di traduzione in altre lingue. Nessuna parte di questa pubblicazione potrà essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o per mezzo di apparecchiature elettroniche o meccaniche, compresi fotocopiatura, registrazione o sistemi di archiviazione di informazioni, senza il permesso scritto da parte dell’Editore. L’Editore è disponibile al riconoscimento dei diritti di copyright per qualsiasi immagine utilizzata della quale non si sia riusciti a ottenere l’autorizzazione alla riproduzione. 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Il mieloma multiplo (MM) è il secondo tumore ematologico per frequenza dopo i linfomi non Hodgkin e ha un’incidenza che aumenta con l’età. Caratteristica principale del MM è l’accumulo nel midollo osseo di un clone maligno di plasmacellule secernenti tutte il medesimo anticorpo (chiamato componente monoclonale o componente M). L’accumulo della componente M è la causa del danno d’organo tipico del MM conclamato, le cui principali caratteristiche sono l’anemia, la patologia scheletrica (con perdita di massa ossea e conseguenti fratture) e l’insufficienza renale. La storia naturale del MM è caratterizzata da fasi successive di remissione e ricaduta; a ogni ripresa di malattia è sempre più difficile ottenere la remissione e la sua durata è progressivamente più breve. A questo accorciamento della durata di risposta fa seguito l’emergenza di resistenza e refrattarietà ai trattamenti, che conduce, in ultimo, al decesso del paziente. La moderna strategia di trattamento del MM si sviluppa attorno al concetto chiave di una terapia sequenziale, composta da un’induzione, un consolidamento e un mantenimento. Obiettivo e scopo principale di questa strategia è ridurre la taglia (bulk) tumorale e ritardare o prevenire la ricaduta e la progressione, possibilmente conducendo all’estinzione del clone neoplastico e quindi alla cura (Figura 1). Tuttavia, nonostante l’introduzione nella pratica clinica di nuovi ed efficaci strategie di trattamento, a tutt’oggi il MM viene ancora considerato una patologia incurabile. In quest’ottica la domanda che il clinico deve porsi è quale sia l’obiettivo principale della terapia del MM: la cura, con l’eradicazione completa del clone neoplastico, o il controllo a lungo termine della malattia tramite la selezione di cloni “favorevoli”. nuovi concetti nella biologia del mieloma multiplo: la teoria evoluzionista di darwin e le “maree clonali” L’ultimo decennio ha visto la terapia del MM arricchirsi di nuove classi farmacologiche, chiamate comunemente “nuovi farmaci”. Tali farmaci non agiscono soltanto sul clone neoplastico, ma hanno un importante effetto anche sul microambiente in cui il clone risiede. Le principali classi di “nuovi farmaci” disponibili nella pratica clinica sono gli inibitori del proteasoma (il cui capostipite è bortezomib) e i farmaci immunomodulanti (IMiDs), tra cui spiccano talidomide e lenalidomide. Per utilizzare al me- Figura 1. Modello della storia naturale del mieloma multiplo e possibile impatto di una terapia continuativa su di esso. CR, risposta completa; PR, risposta parziale; sCR, remissione completa stringente; VGPR, risposta parziale molto buona (elaborata graficamente da[1,2]). 3 Therapy Perspectives For Rational Drug Use & Disease Management glio le potenzialità dei “nuovi farmaci” bisogna capire e identificare i meccanismi biologici che sottendono alla proliferazione del clone mielomatoso; questo approccio permetterà di sfruttare la biologia del MM a nostro favore, con l’obiettivo di prolungare la sopravvivenza dei pazienti. Tuttavia, la consapevolezza che non esista una singola mutazione associata al MM e che le alterazioni genetiche caratteristiche del MM sono polimorfe e interessano diversi aspetti della biologia della cellula rende difficoltoso questo compito. Le neoplasie evolvono e prendono origine da una cellula trasformata che agisce come cellula staminale tumorale; queste cellule, fenotipicamente e genotipicamente differenti tra loro, hanno come caratteristica fondamentale la capacità proliferativa e di autorinnovamento (self renewing). È la biologia delle cellule staminali mielomatose, chiamate anche cellule propagatrici del mieloma (myeloma propagating cells, MPC)[1], che occorre capire e “attaccare” se si vuole curare il MM. La classica visione della progressione delle patologie tumorali è quella di neoplasie che si sviluppano attraverso un meccanismo basato sull’acquisizione sequenziale di alterazioni genetiche; in contrasto con questa ipotesi, recenti evidenze biologiche suggeriscono, invece, che i tumori siano costituiti da multipli cloni neoplastici, coesistenti in uno stesso momento nel medesimo paziente. Tali cloni, pur essendo tra loro correlati, hanno solo alcune caratteristiche biologiche in comune (eterogeneità intra-clonale)[3-10]. Secondo questo modello la progressione neoplastica avviene attraverso un’evoluzione “ramificata”, simile a quella utilizzata da Darwin per Linfocita B Post-GC Eventi primari spiegare l’evoluzione della specie (Figura 2). Il meccanismo critico per la progressione tumorale è quindi la competizione di più cloni neoplastici per lo stesso microambiente e per le stesse risorse, con un meccanismo analogo a quello della selezione naturale darwiniana[7]. L’abilità delle cellule di adattarsi alle nuove condizioni e di sfruttare le risorse del microambiente in cui si trovano è pertanto una caratteristica chiave della progressione tumorale. In aggiunta al microambiente, anche la terapia esercita una pressione selettiva, potendo favorire sia la morte sia la sopravvivenza dei diversi cloni; risultato di questa pressione è che differenti cloni possono diventare dominanti in differenti momenti della storia della malattia, seguendo vere e proprie “maree clonali” (clonal tide) [Figura 3][10]. Come per altre neoplasie[4,5,8], anche nel MM è stata dimostrata la presenza di più cloni cellulari presenti simultaneamente[9-11]. Analisi di next generation sequencing e di single cell analysis (analisi di singole cellule) hanno dimostrato come, nei pazienti con MM, vi siano in media dai 3 ai 6 cloni al momento dell’esordio della malattia[8]. Questa eterogeneità clonale non è solo una caratteristica del MM conclamato, ma è presente fin dallo stadio di gammapatia monoclonale di significato non determinato (monoclonal gammopathy of undetermined significance, MGUS)[12]. In questo contesto, la duplice azione tumoricida e di stimolazione del sistema immunitario di lenalidomide rende questo farmaco un eccellente candidato per quella terapia a lungo termine che sembra essere necessaria per la cura e il controllo del MM. Mieloma asintomatico MGUS Mieloma Leucemia plasmacellulare Traslocazioni del locus IgH Iperdiploidia Competizione e pressione selettiva Vantaggio clonale Alterazioni del numero dei cromosomi Ipometilazione del DNA Mutazioni secondarie Diversità tumorale Induzione Lesioni genetiche Figura 2. Dalla classica visione della progressione lineare del mieloma secondo un meccanismo di acquisizione sequenziale di alterazioni genetiche si è recentemente passati a un modello di evoluzione “ramificata”, basata sulla competizione di più cloni neoplastici per lo stesso microambiente e per le stesse risorse. Caratteristica chiave della progressione tumorale è l’abilità delle cellule di adattarsi alle nuove condizioni e di sfruttare le risorse del microambiente circostante (modificata graficamente da[1]). 4 Trattamento continuativo del mieloma multiplo con lenalidomide Figura 3. La terapia esercita una pressione selettiva, potendo favorire sia la morte sia la sopravvivenza dei diversi cloni, permettendo a differenti cloni di diventare dominanti in momenti distinti della storia della malattia, con un meccanismo simile a vere e proprie “maree clonali” (clonal tide). A seconda dello stadio della malattia e della terapia eseguita si può notare come la percentuale dei cloni dominanti vari nei diversi momenti della storia del paziente, con il riemergere al secondo relapse del clone 1.2, presente in un terzo delle cellule al momento della remissione, ma in percentuale minima durante il primo relapse. Dex, desametasone; Len, lenalidomide; MPV, bortezomib (modificata graficamente da[10]). nuovi parametri per valutare la risposta: scR e malattia minima residua Necessario per la cura del MM è l’ottenimento di una risposta di elevata qualità, caratterizzata dalla scomparsa della componente M (complete response, CR); una risposta ottimale si traduce in una più lunga progressione libera da malattia e, in alcuni studi, anche in una più lunga sopravvivenza globale[13-23]. Lo sviluppo di tecniche sempre migliori per il monitoraggio della risposta comporta la possibilità di identificare risposte sempre più profonde; ciò ha portato alla recente definizione di una nuova categoria di risposta, la remissio- ne completa stringente (stringent complete remission, sCR), caratterizzata non solo dalla scomparsa della componente M, ma anche dalla normalizzazione delle catene leggere libere sieriche. Particolare importanza sta assumendo anche la determinazione della malattia minima residua (minimal residual disease, MRD) mediante metodiche di biologia molecolare o immunofenotipiche[24,25]. Tuttavia, nonostante l’importanza dell’ottenimento di una CR, è altrettanto chiaro che risposta e fattori di rischio biologici sono due variabili aventi un impatto indipendente sulla prognosi[2]. 5 Therapy Perspectives For Rational Drug Use & Disease Management Lenalidomide e terapia continuativa Nell’ambito di una patologia caratterizzata fin dall’esordio da diversi cloni è importante utilizzare i “nuovi farmaci” per modificare la biologia delle MPC, selezionando per i cloni più indolenti. Lenalidomide ha la particolarità di avere un profilo di tossicità maneggevole (mancando della neurotossicità tipica del suo predecessore talidomide) e una modalità di somministrazione orale. La sua azione sulla patogenesi del MM è caratterizzata da diversi meccanismi d’azione; in primo luogo lenalidomide ha un’azione citotossica diretta sul clone mielomatoso grazie all’attivazione di geni oncosoppressori che inducono arresto del ciclo cellulare[26-28], all’induzione dell’apoptosi direttamente nelle cellule di MM[26-28] e all’alterazione dello stroma cellulare supportante tali cellule[29]. In aggiunta a questa azione tumoricida diretta, lenalidomide potenzia la risposta immune umorale e cellulo-mediata con la stimolazione dei linfociti T e natural killer (Figura 4)[30-36]. 100 vvivenza (%) Sopravvivenza Sopra 80 60 40 CR/VGPR PR 20 0 0 12 24 36 48 60 72 Mesi Figura 5. Migliore sopravvivenza globale in base alla qualità della risposta nei pazienti trattati con lenalidomide e desametasone (follow-up mediano 48 mesi). CR, risposta completa; PR, risposta parziale; VGPR, risposta parziale molto buona (modificata graficamente da[41]). 100 80 Cellule mielomatose Pazienti (%) Pazienti Stimolazione del sistema immunitario Effetto antiproliferativo Terapia con IMiDs 60 40 Le PPazienti azienti che hanno proseguito Len/Dex discontinuato Len/Dex Pazienti che hanno discontinuato Pazienti 20 p = 0,0594 Chemioterapia Fase di riduzione della taglia tumorale 0 Tempo Fase di soppressione tumorale 0 10 20 30 40 50 60 Mesi Figura 4. Meccanismo d’azione di una terapia continuativa versus una chemioterapia convenzionale. IMiDs, farmaci immunomodulanti (modificata graficamente da[36]). Figura 6. Migliore sopravvivenza globale di una terapia continuativa con lenalidomide e desametasone (Len/Dex; modificata graficamente da[40]). Tre studi in pazienti di nuova diagnosi, sia giovani candidati a ricevere un trapianto autologo, sia anziani non eleggibili per tale terapia, hanno dimostrato come una terapia di mantenimento con lenalidomide sia in grado di prolungare la sopravvivenza libera da malattia, e, in uno di essi, anche la sopravvivenza globale[37-39]. Due subanalisi dei principali studi con lenalidomide nei pazienti con MM ricaduto/refrattario (MM-009 e MM010) hanno dimostrato che una terapia continuativa con lenalidomide è in grado di migliorare la risposta ottenuta e che il proseguimento della terapia con lenalidomide fino a progressione, anche quando è già stata ottenuta una CR, è associato a una migliore sopravvivenza (Figure 5 e 6)[40,41]. Una più profonda risposta di malattia e una più lunga sopravvivenza libera da progressione si traducono anche in un significativo miglioramento della qualità di vita[42]. In virtù di quanto appena detto (miglioramento della risposta e della sopravvivenza con l’aumento del tempo in trattamento), lenalidomide ben si presta a una terapia continuativa, che, proprio in quanto tale, va proseguita indefinitamente fino a progressione di malattia. 6 Trattamento continuativo del mieloma multiplo con lenalidomide Strategie per migliorare la compliance dei pazienti e mantenerli in trattamento continuativo Fondamentale per una terapia continuativa è una corretta gestione degli eventi avversi. La terapia ottimale deve essere maneggevole, con una somministrazione orale e un basso profilo di tossicità. I potenziali eventi avversi di lenalidomide non vanno pertanto trascurati né sottovalutati. Le principali tossicità associate alla terapia con lenalidomide sono la citopenia e soprattutto la neutropenia. Altri eventi avversi sono l’aumen- tata incidenza di trombosi venose profonde (TVP), rash cutanei e diarrea, mentre, come detto in precedenza, rara è la neuropatia periferica. È pertanto fondamentale un corretto aggiustamento posologico in caso di citopenia iatrogena. Altrettanto importanti sono un corretto adeguamento della dose in caso di insufficienza renale (lenalidomide è un farmaco a escrezione prevalentemente renale), e il controllo e un’adeguata profilassi delle complicanze tromboemboliche[43,44] (Tabelle 1, 2 e 3). Tabella 1. Riduzioni di dose raccomandate per lenalidomide in base alla tossicità ematologica (modificata da[44]) Primo ciclo Cicli successivi • Neutrofili < 500/µl è raccomandata • Neutrofili < 500/µl e/o piastrine < 30.000/µl la sospensione della terapia con è raccomandata la sospensione ripresa alla stessa dose della terapia con ripresa a livello più basso (–1, –2, –3) • Neutrofili < 500/µl e/o piastrine < 30.000/µl è raccomandata la sospensione della terapia con ripresa a livello –1 Livello di dose Dose di lenalidomide Dose iniziale Livello –1 Livello –2 Livello –3 25 mg 15 mg 10 mg 5 mg Tabella 2. Riduzioni di dose raccomandate (modificata da[44]) Funzione renale (ClCr) Dose di lenalidomide Neutrofili > 1000/µl Piastrine > 50.000/µl 30 ≤ ClCr < 50 ml/min ClCr < 30 ml/min Dialisi 10 mg/die 15 mg a giorni alterni 5 mg/die Neutrofili < 1000/µl Piastrine < 50.000/µl 30 ≤ ClCr < 50 ml/min ClCr < 30 ml/min Dialisi 15 mg a giorni alterni 5 mg/die 5 mg a giorni alterni ClCr, clearance della creatinina. Tabella 3. Profilassi del rischio trombotico (modificata da[44]) Rischio trombotico Profilassi Rischio di TVP standard Profilassi continuativa con acido acetilsalicilico per tutta la durata della terapia con lenalidomide Rischio di TVP elevato (immobilizzazione, precedente storia di TVP o EP) Profilassi con eparina a basso peso molecolare per i primi 4 cicli di terapia Profilassi con acido acetilsalicilico dal 4° ciclo in poi EP, embolia polmonare; TVP, trombosi venosa profonda. 7 Therapy Perspectives For Rational Drug Use & Disease Management Seconde neoplasie (second primary malignancies, SPM) Tra le possibili tossicità legate a lenalidomide, particolare preoccupazione hanno destato i dati derivati dai 3 studi in pazienti di nuova diagnosi, in cui la terapia con lenalidomide, somministrata dopo o in combinazione con melfalan, è risultata associata a un aumentato rischio di sviluppo di seconde neoplasie[37-39]. Per meglio investigare questo aspetto, è stata recentemente condotta una metanalisi di 11 trials clinici in pazienti con MM ricaduto/refrattario. Tale analisi ha identificato un incidence rate di SPM pari a 2,08/100 pazienti-anno, tasso comparabile al rate della popolazione generale di età superiore ai 65 anni. La subanalisi degli studi MM-009 e MM-010 ha evidenziato come l’aumentata incidenza di SPM fosse dovuta a un aumento di tumori cutanei non invasivi diversi dal melanoma (carcinomi spino- e basocellulari) e non a un aumento di neoplasie invasive[45]. In aggiunta a questi dati, un’analisi preliminare del protocollo inglese Myeloma XI non ha dimostrato, con un follow-up mediano di 1,3 anni dall’inizio della terapia, un aumento significativo dell’incidenza di seconde neoplasie nei pazienti trattati con lenalidomide[46]. Sebbene sia necessaria cautela nel proporre e trattare i pazienti continuativamente con lenalidomide, a tutt’oggi il rapporto rischio/beneficio rimane a favore di un trattamento continuativo. conclusioni Il trattamento del MM beneficia di una terapia somministrata in maniera sequenziale, volta a modificare e mantenere una pressione selettiva sui cloni neoplastici. È importante, alla luce di un possibile aumento del rischio di secondi tumori, evitare, per quanto possibile, associazioni con terapia ad azione mutagenica e utilizzare per la terapia continuativa “nuovi farmaci” che, in base alle loro caratteristiche, possono selezionare cloni di malattia a “buona performance”. Nell’ottica di una patologia caratterizzata da eterogeneità intra-clonale, altrettanto importante sarà l’utilizzo dei farmaci in combinazione o in maniera alternata, analogamente a quanto avviene nel trattamento delle malattie infettive, per prevenire l’emergere di cloni resistenti. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. Bibliografia 1. Morgan GJ, Walker BA, Davies FE. The genetic architecture of multiple myeloma. Nat Rev Cancer 2012; 12: 335-48 2. Brioli A, Boyd KD, Kaiser MF, et al. Response and biological subtype of myeloma are independent 15. 8 prognostic factors and combine to define outcome after high-dose therapy. Br J Haematol 2013; 161: 291-4 Nowell PC. The clonal evolution of tumor cell populations. Science 1976; 194: 23-8 Gerlinger M, Rowan AJ, Horswell S, et al. Intratumor heterogeneity and branched evolution revealed by multiregion sequencing. 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Nel 1999, in occasione di un controllo di routine, era stata riscontrata una gammopatia monoclonale di significato indeterminato, caratterizzata dalla presenza di una componente monoclonale IgGK[1]. Ad aprile 2001, la paziente giungeva alla nostra osservazione per comparsa di anemia con emoglobina (Hb) pari a 9,8 g/dl, evidenziata in uno dei controlli periodici per la MGUS. Gli esami ematochimici mostravano valori di calcemia e creatinina nei limiti di norma; la componente monoclonale IgGK era pari a 3570 mg/dl e la BJ assente. Non erano presenti lesioni ossee alla radiografia dello scheletro e alla risonanza magnetica della colonna vertebrale. L’aspirato midollare evidenziava la presenza del 30% di plasmacellule monoclonali (delezione del cromosoma 13 positiva all’analisi FISH) e la biopsia ossea mostrava un’infiltrazione pari al 40%. Sulla base di tali accertamenti, era stata posta diagnosi di mieloma multiplo IgGK sintomatico per anemia[1] e iniziata terapia specifica. Considerata l’età della paziente (inferiore a 65 anni, età limite per un trapianto di midollo osseo) e le buone condizioni generali, la paziente era stata avviata a chemioterapia di prima linea (induzione con vincristinaadriamicina-desametasone), successiva chemioterapia con ciclofosfamide e raccolta di cellule staminali periferiche e, infine, doppio trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche, con ottenimento di una risposta parziale. La signora M. aveva poi proseguito periodici controlli ematologici fino a febbraio 2004, quando gli esami di controllo evidenziavano nuovamente la comparsa di anemia e lesioni ossee. In considerazione della lunga remissione di malattia successiva alla terapia precedente (superiore a 24 mesi) e del persistere di un buon performance status[2], la paziente era stata nuovamente sottoposta a chemioterapia con successivo trapianto autologo di cellule staminali emato- poietiche, senza però significativa diminuzione dei valori della componente monoclonale; pertanto era stata trattata con talidomide in associazione a desametasone. La paziente aveva nuovamente ottenuto una risposta parziale, ma la terapia era stata sospesa dopo un anno per neuropatia sensitiva di grado 3. La signora M. aveva in seguito proseguito con soli controlli periodici, con una malattia stabile fino all’aprile del 2009, quando si evidenziava una nuova progressione clinica e sierologica di malattia, con valori di emoglobina pari a 9,3 g/dl. I restanti esami ematochimici erano nella norma, in particolare la clearence della creatinina (pari a 60 ml/min) e la calcemia. La paziente non riferiva algie ossee e gli esami strumentali confermavano l’assenza di nuove localizzazioni ossee. L’aspirato midollare confermava la ripresa di malattia (30% di plasmacellule monoclonali), e la componente monoclonale IgGK era pari a 3140 mg/dl con BJ assente. Considerata l’età della paziente al momento della recidiva (71 anni) e la lunga durata della remissione successiva alla terapia con talidomide, indicativa verosimilmente di una chemio-sensibilità ai farmaci immunomodulanti, si decideva di iniziare terapia con lenalidomide e desametasone. La lenalidomide era stata somministrata a dose standard (25 mg/die per 21 giorni consecutivi ogni 28 giorni) non essendo necessarie riduzioni di dose in considerazione della buona funzionalità renale; il desametasone veniva somministrato a dose ridotta (40 mg alla settimana) per una precedente intolleranza allo steroide ad alte dosi, manifestatasi con agitazione e ritenzione idrica (tale dose è comunque attualmente la dose scelta per il pazienti di età compresa tra i 65 e 75 anni[3]). A tale terapia era stata associata cardioaspirina per la profilassi della trombosi, in quanto la paziente era considerata a basso rischio trombotico[4] (non lesioni ossee, si mobilizzava autonomamente e svolgeva una vita attiva, non nota diatesi trombofilica, non precedenti eventi trombotici durante terapia con talidomide), terapia antibiotica con trimetoprim-sulfametossazolo profilattico (considerata l’età e la prevista terapia continuativa steroidea) e gastroprotezione. 11 Therapy Perspectives For Rational Drug Use & Disease Management Sei giorni dopo l’inizio della terapia, la paziente si presentava alla visita di controllo per comparsa di eritema pruriginoso di grado 3 diffuso al tronco, al cuoio cappelluto, agli arti; segnalava inoltre faringodinia di grado 1 e epigastralgia di grado 2. L’esame obiettivo evidenziava iperemia faringea, lieve edema palpebrale e lievi edemi declivi. Data la verosimile correlazione tra il rash cutaneo e la lenalidomide, si decideva di sospendere temporaneamente il farmaco e aggiungere un antistaminico. Dopo una settimana, la paziente giungeva a visita di controllo in condizioni generali nettamente migliorate, con completa risoluzione del rash cutaneo. La paziente pertanto riprendeva la terapia con lenalidomide a dose ridotta (15 mg/die in considerazione della precedente tossicità di grado 3; Tabella 1) in associazione ad antistaminico. A 28 giorni dall’inizio del primo ciclo di terapia, la componente monoclonale era pari a 2577 mg/dl e i valori di emoglobina erano in miglioramento (10,3 g/dl). Al 6° ciclo di terapia si decideva di ridurre il dosaggio di desametasone a 20 mg/settimana, per intolleranza allo steroide, caratterizzata da insonnia e alterazioni dell’umore, con iniziale miglioramento soggettivo. Dopo altri 2 cicli, per ritenzione idrica ingravescente (grado 3), si sospendeva lo steroide, considerato anche il quadro di buona risposta alla terapia (Figura 1). In seguito non sono più stati segnalati eventi avversi di rilievo, eccetto la comparsa di algie crampiformi agli arti inferiori, inizialmente saltuarie, poi sempre più frequenti e ingravescenti, per cui, dal 17° ciclo di terapia, si riduceva la lenalidomide a 10 mg/die, con beneficio (Tabella 1). Gli esami evidenziavano inoltre un miglioramento progressivo dei valori di Hb (Figura 2) e la diminuzione costante della componente monoclonale, con raggiungimento di una risposta completa (Figura 1). Al 21° ciclo di terapia, per comparsa di nuova eruzione cutanea di grado 3 estesa al tronco, volto e cuoio cappelluto, insorta nonostante assunzione contemporanea di antistaminico, si riduceva nuovamente la lenalidomide a 5 mg/die (Tabella 1), con beneficio. A partire dal 25° ciclo, gli esami evidenziavano però ricomparsa della componente monoclonale sierica, con valori iniziali che oscillavano tra i 200 mg/dl e i 400 mg/dl, ma senza segni di danno d’organo, per cui si decideva di proseguire la terapia invariata. Dopo ulteriori 10 cicli di terapia, per comparsa di lesioni ossee alla colonna vertebrale (e quindi presenza di danno d’organo associato a ripresa sierologica di malattia) si sospendeva la lenalidomide e si iniziava una nuova terapia. Tabella 1. Livelli di riduzioni della dose[5] Dose di partenza 25 mg/die dal giorno 1 al giorno 21 ogni 28 giorni Dose-1 15 mg/die dal giorno 1 al giorno 21 ogni 28 giorni Dose-2 10 mg/die dal giorno 1 al giorno 21 ogni 28 giorni Dose-3 5 mg/die dal giorno 1 al giorno 21 ogni 28 giorni Figura 1. Grafico relativo all’andamento dei valori di emoglobina (Hb) durante la terapia 12 Figura 2. Grafico relativo all’andamento della componente monoclonale durante la terapia Trattamento continuativo con lenalidomide nel mieloma multiplo recidivato refrattario: gestione clinica pratica caso clinico 2 Nell’aprile del 2008, il signor S., 50 anni, veniva ricoverato presso il reparto di nefrologia del nostro Ospedale per insufficienza renale (creatinina 3 mg/dl) e anemia (emoglobina 7,5 g/l). Il paziente aveva sempre goduto di buona salute, era portatore di un aneurisma dell’aorta ascendente del diametro di 5 cm per il quale era stata posta indicazione chirurgica differita e di uno struma tiroideo. Gli accertamenti eseguiti per indagare la causa dell’insufficienza renale mostravano un’anemia macrocitica in assenza di deficit marziali o vitaminici e i restanti parametri emocromocitometrici ed ematochimici erano nella norma; l’elettroforesi delle proteine sieriche evidenziava una componente monoclonale di lieve entità (200 mg/dl) con immunofissazione positiva per IgDL e catene leggere libere L; l’immunofissazione urinaria era positiva per catene leggere L pari all’80% della proteinuria totale (4,6 g/24 ore). Non erano presenti lesioni ossee alla radiografia dello scheletro e alla risonanza magnetica della colonna vertebrale. L’aspirato midollare evidenziava la presenza del 12% di plasmacellule monoclonali (analisi FISH negativa per alterazioni cromosomiche) e la biopsia ossea mostrava un’infiltrazione pari all’80%. È stata pertanto posta diagnosi di mieloma multiplo IgDL + BJ, sintomatico per anemia e insufficienza renale[1], ed è stata iniziata la terapia specifica. Considerata l’età e le buone condizioni generali, il paziente è stato avviato a chemioterapia di prima linea (induzione secondo schema bortezomib-adriamicina-desametasone, successiva chemioterapia con ciclofosfamide e raccolta di cellule staminali periferiche, doppio trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche) con ottenimento di una risposta completa. Nel febbraio del 2010, gli esami evidenziavano la nuova comparsa di proteinuria di BJ a bassi livelli (0,23 g/die) in assenza di chiari segni di danno d’organo. Dal febbraio 2010 al settembre 2010, la proteinuria di BJ era progressivamente aumentata, inizialmente con un incremento lento e graduale, e poi più rapido (aumento superiore al 50% da agosto a settembre 2010) (da 0,38 g/die a 1,05 g/die) e un iniziale anche se lieve incremento della creatinina (1,48 mg/dl, con valori di clearence pari a 65 ml/min); il paziente segnalava inoltre rachialgia ingravescente. Era stata pertanto eseguita una ristadiazione completa. L’aspirato midollare evidenziava il 20% di plasmacellule monoclonali; la risonanza magnetica della colonna vertebrale e del bacino mostrava un interessamento diffuso di tutti i metameri vertebrali e delle ossa del bacino (assenti lesioni litiche alla sistematica scheletrica). Il rapido aumento della proteinuria di BJ, in associazione a un iniziale peggioramento della funzionalità renale, determinavano la decisione di iniziare una terapia di seconda linea. Considerata la breve durata della remissione post-secondo trapianto autologo (circa 8 mesi) la scelta terapeutica è stata di non ripetere nuovamente una chemioterapia ad alte dosi, nonostante la giovane età del paziente, ma di iniziare lenalidomide (25 mg/die per 21 giorni consecutivi ogni 28 giorni, dose standard visti i valori di clearence superiori a 50 ml/min, Tabella 2) e desametasone (40 mg a settimana, dose ridotta in considerazione di una precedente intolleranza allo steroide ad alte dosi con agitazione e insonnia). A tale terapia era stata associata cardioaspirina quale presidio antitrombotico[4], profilassi antibiotica con trimetoprim-sulfametossazolo e gastroprotezione. Dopo il primo ciclo di terapia, la proteinuria di BJ si era ridotta a 0,22 g/die e i valori di creatininemia erano rientrati in range di normalità. La terapia era stata nel complesso ben tollerata, il paziente ha segnalato solo un’astenia di grado 2, ritenuta di possibile correlazione con la lenalidomide. Durante il 2° ciclo di terapia, il signor S. ha segnalato un peggioramento dell’astenia (grado 3), per cui è stato dapprima rimandato di una settimana l’inizio del 3° ciclo, con miglioramento clinico, e poi ripresa la terapia con lenalidomide a dose ridotta (15 mg/die). I valori di BJ si mantenevano stabili fino al 6° ciclo (Figura 3), quando si assisteva ad un nuovo aumento, anche se in assenza di segni di danno d’organo. Si decideva pertanto, in accordo con il paziente, di aumentare nuovamente il dosaggio della lenalidomide da 15 a 25 mg/die, con una discreta tollerabilità (il signor S. segnalava nuovamente astenia, ma di grado 2, non limitante le attività quotidiane, e diarrea di grado 2 durante l’ultima settimana dei cicli di terapia). L’aumento del dosaggio provocava una nuova diminuzione della proteinuria di BJ fino a 0,11 mg/die, mantenutasi poi stabile (Figura 3). Durante il 12° ciclo, per comparsa di zoster toracico associato a importante sintomatologia dolorosa (nevralgia), si sospendeva la terapia con lenalidomide e desametasone e si impostava terapia antivirale, con l’intenzione di riprendere la terapia a dose nuovamente ridotta (in considerazione dell’episodio infettivo) dopo la risoluzione delle lesioni erpetiche. Durante il periodo di sospensione, i valori di BJ si erano mantenuti stabili, ma, a 2 mesi, la nevralgia post-erpetica persisteva e il paziente, in buone condizioni generali (se si eccettua la sintomatologia dolorosa), si rifiutava di riprendere la terapia. 13 Therapy Perspectives For Rational Drug Use & Disease Management Tabella 2. Funzionalità renale[5] Clearence della creatinina ≥ 50 ml/min 25 mg/die dal giorno 1 al giorno 21 ogni 28 giorni Clearence della creatinina 30-49 ml/min 10 mg/die dal giorno 1 al giorno 21 ogni 28 giorni* Clearence della creatinina < 30 senza necessità di dialisi 15 mg a giorni alterni dal giorno 1 al giorno 21 ogni 28 giorni^ Clearence della creatinina < 30 con necessità di dialisi 5 mg/die dal giorno 1 al giorno 21 ogni 28 giorni, nei giorni di dialisi somministrata dopo la dialisi *aumentabile a 15 mg/die qualora in paziente non risponda al trattamento, ma tolleri il medicinale ^la dose puo’ essere aumentata a 10 mg se il paziente tollera il farmaco Figura 3. Grafico relativo all’andamento della componente monoclonale durante la terapia. Le frecce indicano l’inizio della somministrazione della lenalidomide (con relativo dosaggio) e la sua sospensione. In accordo con il paziente, si proseguiva con soli controlli periodici. Dopo 8 mesi dalla sospensione del farmaco, per un aumento superiore al 50% dei valori di proteinuria di BJ in un periodo di un mese senza segni di danno d’organo, si decideva di riprendere nuovamente la terapia con lenalidomide (dose ridotta a 15 mg/die, considerato il precedente episodio infettivo) in associazione a desametasone 40 mg/settimana. A 21 giorni dall’inizio del primo ciclo di terapia il paziente segnalava la comparsa da alcuni giorni di arrossamento ed edema dell’arto inferiore sinistro, associato a dolore. Si eseguiva pertanto un ecodoppler degli arti inferiori con riscontro di trombosi venosa profonda; si sospendeva pertanto la cardioaspirina, e iniziava terapia anticoagulante con eparina a basso peso molecolare. Il paziente presentava nuovamente una buona risposta alla terapia per cui si decideva di riprendere la terapia con lenalidomide, senza ulteriori riduzioni di dose o ritardi nell’inizio del ciclo successivo, proseguendo la terapia anticoagulante (una precoce sospensione/ulteriore riduzione avrebbe potuto compromettere l’efficacia della terapia). L’eparina a basso peso molecolare era poi stata sostituita dal warfarin, considerando il basso rischio di piastrinopenia con la lenalidomide a dose ridotta e l’assenza di piastrinopenia significativa (mai superiore al grado 1) durante i cicli precedenti anche con dosaggi maggiori. Tale terapia era poi stata ben tollerata e l’episodio trombotico si era risolto completamente. La terapia anticoagulante era stata comunque mantenuta per tutta la durata del trattamento. Dopo circa 8 mesi, per una ripresa rapida di malattia con nuovo e significativo peggioramento della funzionalità renale, si decideva di sospendere la lenalidomide e iniziare una nuova terapia. caso clinico 3 La signora O. giungeva alla nostra osservazione nel novembre del 2007, all’età di 75 anni, per recidiva di mieloma multiplo. La paziente, in precedenza seguita presso altro Centro, era affetta da mieloma multiplo IgGK diagnosticato nel 2001, trattato alla diagnosi con 6 cicli di melfalan e prednisone per via orale, ottenendo una remissione parziale. La signora aveva presentato una prima recidiva di malattia nel 2003, trattata con talidomide e desametasone, con ottenimento di una nuova remissione parziale. Unici dati anamnestici di rilievo erano una pregressa colecistectomia e la presenza di anticorpi antiHCV, con buona funzionalità epatica. A settembre del 2007 la paziente presentava una nuova recidiva di malattia, caratterizzata dalla comparsa di nuove lesioni ossee al rachide con multipli crolli vertebrali, per i quali era stata sottoposta a vertebroplastica su D11, D12, L1, L2 L3 e sacroplastica, ed era stata iniziata terapia con bortezomib, con ottenimento di una risposta parziale. Nel dicembre 2009, all’età di 77 anni, la paziente riferiva comparsa di dolore costale. La radiografia dello scheletro evidenziava fratture patologiche della 7°a e della 8°a costa sinistra (sede del dolore), irregolarità del profilo della 3°a, 4°a, 5°a e 6°a costa e piccole areole di radiotra- 14 Trattamento continuativo con lenalidomide nel mieloma multiplo recidivato refrattario: gestione clinica pratica sparenza ai femori bilateralmente. Inoltre, la risonanza magnetica della colonna vertebrale mostrava una nuova alterazione di segnale a livello L4 e diffuse alterazioni a carico del bacino. Gli esami ematici mostravano un quadro di anemia (Hb 10,1 g/dl), con restanti parametri emocromocitometrici ed ematochimici nella norma (in particolare creatinina 0,66 mg/dl con clearence pari a 66 ml/min, calcemia e funzionalità epatica normali). La componente monoclonale sierica era 3120 mg/dl, la proteinuria di BJ pari a 0,26 mg/die. In considerazione della nota anamnesi positiva per HCV, era stato eseguito un controllo dell’HCV-RNA prima dell’inizio della terapia specifica, risultato negativo. L’aspirato midollare evidenziava il 20% di plasmacellule monoclonali. Si decideva pertanto di iniziare il trattamento specifico e si proponeva alla paziente una terapia con lenalidomide (25 mg/die per 21 giorni consecutivi ogni 28 giorni) e desametasone (20 mg a settimana, dose ridotta in considerazione dell’età[3]); si associava cardioaspirina per la profilassi della trombosi (la paziente, avendo dolori costali controllati dalla terapia antalgica con fentanil transdermico, si mobilizzava autonomamente, non aveva diatesi trombotifilica nota e nemmeno precedenti eventi trombotici durante terapia con talidomide, per cui era stata considerata a basso rischio trombotico[4]), profilassi antibiotica con trimetoprim-sulfametossazolo e gastroprotezione. Al controllo programmato al termine del primo ciclo la paziente riferiva epigastralgie di grado 3 verosimilmente correlate allo steroide, per cui si riduceva la posologia del desametasone a 10 mg/die una volta alla settimana, con beneficio. La ristadiazione di malattia mostrava una riduzione della componente monoclonale del 50% (risposta parziale). Dal ciclo 5, per peggioramento delle epigastralgie, si sostituiva il desametasone con prednisone a basso dosaggio (25 mg 3 volte alla settimana), con netto miglioramento della tollerabilità; gli esami evidenziavano inoltre una progressiva riduzione della componente monoclonale (Figura 4). La paziente proseguiva pertanto la terapia invariata, senza ulteriori complicanze di rilievo (unica tossicità, una saltuaria neutropenia sempre di grado 1). Figura 4. Grafico relativo all’andamento della componente monoclonale durante la terapia. Tabella 3. Valori di neutrofili[5] < 0,5 x 109/l Interruzione della lenalidomide > 0,5 x 109/l, senza altre tossicità Ripresa della lenalidomide senza riduzioni di dose > 0,5 x 109/l, con altre tossicità ematologiche dose dipendenti Ripresa della lenalidomide a dose-1 Successive < 0,5 x 109/l > 0,5 x 109/l Interruzione della lenalidomide Ripresa della lenalidomide a dosaggio successivo più basso (minimo 5 mg/die) Tabella 4. Valori delle piastrine [5] < 30 x 109/l Interruzione della lenalidomide > 30 x 109/l Ripresa della lenalidomide a dose -1 Calo successivo < 30 x 109/l Interruzione della lenalidomide > 30 x 109/l Ripresa della lenalidomide a dosaggio successivo più basso (minimo 5 mg/die) 15 Therapy Perspectives For Rational Drug Use & Disease Management A partire dal 10° ciclo, la signora O. segnalava diarrea ricorrente, durante gli ultimi 7 giorni di assunzione di lenalidomide, che migliorava spontaneamente dopo la sospensione. Agli esami ematochimici si evidenziava modesta alterazione elettrolitica (tendenza a ipocalcemia e ipokaliemia), di verosimile correlazione con la diarrea. A scopo diagnostico era stata eseguita una coprocoltura con esame parassitologico delle feci, risultata negativa, e veniva comunque iniziata una terapia con rifaximina mensile e fermenti lattici, con solo parziale beneficio. Nel sospetto di diarrea correlata a lenalidomide, si riduceva quindi il dosaggio del farmaco a partire dal 13° ciclo (15 mg/die; Tabella 1), con miglioramento della tollerabilità. Non si verificavano altre complicanze di rilievo, fino al giorno +1 dall’inizio del 17° ciclo, quando gli esami di controllo pre-terapia evidenziavano una neutropenia di grado 3 (neutrofili 0,8 x 109/l). Il rinvio di una settimana dell’inizio della terapia consentiva la risoluzione spontanea della neutropenia. Un secondo episodio di neutropenia di grado 3 si verificava al termine del 28° ciclo e al temine del 36° ciclo, sempre con ripresa spontanea dei valori emocromocitometrici dopo il rinvio di circa una settimana dell’inizio della lenalidomide, senza necessità di somministrare il fattore di crescita. Il breve ritardo nell’inizio del ciclo inoltre non sembrava impattare negativamente sul controllo della malattia, in quanto la rivalutazione sierologica mostrava un quadro di buona risposta parziale, stabile da mesi (Figura 4). Pertanto non sono state effettuate ulteriori riduzioni di dose del farmaco (neutropenia con valori >0,5 x 109/l e risoluzione spontanea con lieve ritardo nell’inizio del ciclo, senza necessità di aggiungere il fattore di crescita; Tabella 3). Non si era inoltre mai verificata piastrinopenia significativa (mai superiore al grado 1), tale da determinare riduzioni della dose, interruzioni o ritardi nell’inizio del ciclo (Tabella 4). La paziente prosegue tuttora la terapia con lenalidomide 15 mg/die e steroide a basse dosi. Bibliografia 1. Kyle RA, Rajkumar SV. Criteria for diagnosis, staging, risk stratification and response assessment of multiple myeloma. Leukemia 2008; 1: 3-9. 2. Mohty B et al. Treatment strategies in relapsed and refractory multiple myeloma: a focus on drug sequencing and ‘retreatment’ approaches in the era of novel agents. Leukemia 2012; 26: 73-85. 3. Dimopoulos MA, Palumbo A, Attal M, et al. Optimizing the use of lenalidomide in relapsed and refractory multiple myeloma: consensus statement. Leukemia 2011; 25: 749-60. 4. Palumbo A, Rajkumar SV, Dimopoulos MA, et al. Prevention of Thalidomide and Lenalidomide associated thrombosis. Leukemia 2008, 22: 414-23. 5. Lenalidomide Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto 16 Cod. CST-MM-0015/000 Depositato presso AIFA in data 15/11/2013
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