RASSEGNA GIURISPRUDENZIALE SUI COMPORTAMENTI NON PROVVEDIMENTALI PRODUTTIVI DI EFFETTI GIURIDICI (S.C.I.A, Silenzio ed altre misure di semplificazione) L'art. 2 bis, l. n. 241 del 1990 protegge il bene «tempo» quale bene della vita suscettibile di incidere sulla «progettualità» del privato e sulla libera determinazione dell'assetto dei suoi interessi, naturalmente calibrato sui tempi certi del procedimento e potenzialmente pregiudicato dai ritardi dello stesso. Il ritardo nella conclusione del procedimento e il mancato rispetto dei tempi certi del procedimento vengono pertanto a rappresentare, giuridicamente, un danno «ingiusto» e, sul piano economico, un costo «illegittimo» per quanto attiene le prospettive, le aspettative e le scelte del privati, in quanto integranti motivo di forte condizionamento della loro vita, tale da incidere negativamente sulla convenienza economica delle scelte preventivate, sia se il bene preteso dal privato risulterà dovuto sia nel caso in cui lo stesso venga negato, posto che l’incertezza sull'esito del procedimento, protratta oltre i limiti previsti dalla legge per la sua conclusione, impedisce o comunque rende più complessa la predisposizione di programmi o scelte diverse ed alternative. Su tali premesse, il superamento colpevole del tempo previsto per la conclusione del procedimento espone la P.A. alle conseguenze risarcitorie derivanti dalla lesione di una situazione soggettivamente e giuridicamente tutelata. TAR ABRUZZO, L’Aquila, 19 dicembre 2013, n. 1064 Secondo il paradigma delineato dall'art. 19 l. generale sul procedimento amministrativo (l. 7 agosto 1990 n. 241), l'amministrazione pubblica è attributaria, oltre che di un potere di intervento tipizzato esercitabile in ogni tempo in ipotesi di pericolo di pregiudizio per qualificati interessi pubblici ed in caso di segnalazione mendace, anche di un potere di intervento repressivo riconducibile agli schemi caratteristici dell'autotutela e, segnatamente, dell'autotutela decisoria. TAR Roma Lazio sez. II, 13 gennaio 2014, n. 350 È vietato (art. 9.3) qualsiasi tipo di pavimentazione e/o di diminuzione anche parziale della permeabilità, e va mantenuto il verde esistente, nell'area rientrante nella perimetrazione del centro storico, zona A (tavola P S 3.2.4), “parchi e giardini attrezzati”, ex art. 9, norme per il centro storico del Comune di Cesena), onde va considerata come non consentita una destinazione vietata (parcheggi) ed attuata mediante un intervento edilizio (di pavimentazione) non ammesso, in quanto l'art. 9.3 citato non stabilisce affatto un indice di permeabilità cui confrontare lo stato realizzato, ma impedisce qualsiasi pavimentazione a prescindere dai materiali utilizzati e dal loro grado di permeabilità (che, per quanto elevato, comporterà pur sempre una diminuzione rispetto al nulla); in tale prospettiva l'art. 19, l. n. 241/1990, e s.m.i., invocato ai fini della pretesa formazione del silenzio-assenso, è circoscritto all'ambito di applicazione della “segnalazione certificata d'inizio attività-s.c.i.a.”, mentre la c.i.a. di cui all'art. 6, d.P.R. n. 380/2001, riguarda soltanto l'attività libera e non sottoposta ad alcun assenso, neanche implicito, con palese inconfigurabilità del silenzio-accoglimento, dato che l'intervento in oggetto (cambio d'uso con opere) esigeva il permesso di costruire anche in mancanza di manufatti fuori terra, permesso non rilasciabile poiché in contrasto con la destinazione a “parchi e giardini” e vietato anche sotto il profilo strettamente edilizio (nella specie, il vincolo espropriativo per il completamento del verde pubblico riguardava altre aree, ancorché contigue, altrimenti la sua eventuale decadenza sarebbe stata irrilevante, essendosi comunque violato un vincolo conformativo). TAR BOLOGNA, Emilia Romagna, Sez. I, 20 settembre 2013, n. 610 Il decorso del termine di 30 giorni dalla presentazione della d.i.a. comporta, ai sensi dell'art. 23 comma 6, d.P.R. n. 380 del 2001, la decadenza dell' amministrazione comunale dal potere di inibire i lavori; tuttavia, qualora l'attività edilizia sia illegittima in quanto non rispondente alle norme di legge o di regolamento, ovvero alle prescrizioni dettate dallo strumento urbanistico, residuano in capo all' amministrazione comunale il generale potere repressivo degli abusi edilizi, di cui all'art. 27, d.P.R. n. 380 del 2001, nonché il potere di autotutela previsto dall'art. 19 comma 3, l. n. 241 del 1990. TAR Puglia Bari, sez. III, 1 agosto 2013, n. 1222. La d.i.a. non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo ad un titolo costitutivo, ma è un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge; da ultimo il comma 6 ter dell'art. 19 l. n. 241 del 1990 risolutivamente sancisce che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti. TAR Napoli Campania Sez. II, 21 febbraio 2013 n. 969 Dopo l'entrata in vigore della l. 30 luglio 2010 n. 122, recante modifiche all'art. 19, l. 7 agosto 1990 n. 241, l'attività di somministrazione di alimenti e bevande non è più sottoposta ad alcun contingentamento o programmazione settoriale sì da rendere possibile, per l’interessato, l'esercizio immediato dell'attività, mediante segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). TAR Perugia Umbria Sez. 21 gennaio 2013 n. 28 In tema di d.i.a., allorché oggetto del ricorso sia il silenzio serbato dall'amministrazione comunale, la quale non ha esercitato i poteri interdittivi in ordine alle opere in corso di realizzazione per effetto della d.i.a. presentata dal controinteressato, deve trovare applicazione, in considerazione dell'epoca in cui è stato presentato il ricorso (escludendosi così la riferibilità temporale al momento in cui la d.i.a. si è perfezionata), quale norma di contenuto processuale, la nuova disciplina di cui all'art. 19 comma 6 ter, l. n. 241 del 1990. TAR Venezia Veneto Sez. II, 16 gennaio 2013 Anche il nuovo art. 19, l. n. 241 del 1990 chiarisce che l'atto di consenso può essere sostituito dalla d.i.a. solo quando "il rilascio dell'atto dipenda esclusivamente dall'accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo". In sostanza, il legislatore ha ritenuto che il modello dell'autoresponsabilità del privato non può arrivare a consentire la sostituzione dello stesso privato all'Amministrazione nella funzione di apprezzamento e di comparazione degli interessi pubblici, ovvero nell'"ubi consistam"della discrezionalità amministrativa. T.A.R. Napoli Campania, sez. V, 28 dicembre 2012 n. 5367 L'efficacia del titolo formatosi in base all'atto del privato (rectius, la modalità abilitativa alla realizzazione dell'intervento edilizio) si determina indipendentemente dal mancato esercizio del potere di interdizione da parte della p.a., trattandosi di fattispecie che operano su piani giuridici diversi. La d.i.a. non dà vita ad una fattispecie provvedimentale di assenso tacito, bensì "riflette un atto del privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge", e tale controversa qualificazione della d.i.a./s.c.i.a. è stata avallata dal legislatore con la citata novella di cui al d.l. n. 138 del 2011 quantomeno per le d.i.a./s.c.i.a. presentate dopo la relativa entrata in vigore, pur potendosi invero ipotizzarne l'efficacia retroattiva propria delle norme di interpretazione autentica.
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