Rassegna Seminario 15 maggio 2014

RASSEGNA GIURISPRUDENZIALE SUI COMPORTAMENTI NON
PROVVEDIMENTALI PRODUTTIVI DI EFFETTI GIURIDICI
(S.C.I.A, Silenzio ed altre misure di semplificazione)
L'art. 2 bis, l. n. 241 del 1990 protegge il bene «tempo» quale bene della vita suscettibile di
incidere sulla «progettualità» del privato e sulla libera determinazione dell'assetto dei suoi
interessi, naturalmente calibrato sui tempi certi del procedimento e potenzialmente
pregiudicato dai ritardi dello stesso. Il ritardo nella conclusione del procedimento e il mancato
rispetto dei tempi certi del procedimento vengono pertanto a rappresentare, giuridicamente,
un danno «ingiusto» e, sul piano economico, un costo «illegittimo» per quanto attiene le
prospettive, le aspettative e le scelte del privati, in quanto integranti motivo di forte
condizionamento della loro vita, tale da incidere negativamente sulla convenienza economica
delle scelte preventivate, sia se il bene preteso dal privato risulterà dovuto sia nel caso in cui lo
stesso venga negato, posto che l’incertezza sull'esito del procedimento, protratta oltre i limiti
previsti dalla legge per la sua conclusione, impedisce o comunque rende più complessa la
predisposizione di programmi o scelte diverse ed alternative. Su tali premesse, il superamento
colpevole del tempo previsto per la conclusione del procedimento espone la P.A. alle
conseguenze risarcitorie derivanti dalla lesione di una situazione soggettivamente e
giuridicamente tutelata.
TAR ABRUZZO, L’Aquila, 19 dicembre 2013, n. 1064
Secondo il paradigma delineato dall'art. 19 l. generale sul procedimento amministrativo (l. 7
agosto 1990 n. 241), l'amministrazione pubblica è attributaria, oltre che di un potere di
intervento tipizzato esercitabile in ogni tempo in ipotesi di pericolo di pregiudizio per qualificati
interessi pubblici ed in caso di segnalazione mendace, anche di un potere di intervento
repressivo riconducibile agli schemi caratteristici dell'autotutela e, segnatamente,
dell'autotutela decisoria.
TAR Roma Lazio sez. II, 13 gennaio 2014, n. 350
È vietato (art. 9.3) qualsiasi tipo di pavimentazione e/o di diminuzione anche parziale della
permeabilità, e va mantenuto il verde esistente, nell'area rientrante nella perimetrazione del
centro storico, zona A (tavola P S 3.2.4), “parchi e giardini attrezzati”, ex art. 9, norme per il
centro storico del Comune di Cesena), onde va considerata come non consentita una
destinazione vietata (parcheggi) ed attuata mediante un intervento edilizio (di pavimentazione)
non ammesso, in quanto l'art. 9.3 citato non stabilisce affatto un indice di permeabilità cui
confrontare lo stato realizzato, ma impedisce qualsiasi pavimentazione a prescindere dai
materiali utilizzati e dal loro grado di permeabilità (che, per quanto elevato, comporterà pur
sempre una diminuzione rispetto al nulla); in tale prospettiva l'art. 19, l. n. 241/1990, e s.m.i.,
invocato ai fini della pretesa formazione del silenzio-assenso, è circoscritto all'ambito di
applicazione della “segnalazione certificata d'inizio attività-s.c.i.a.”, mentre la c.i.a. di cui
all'art. 6, d.P.R. n. 380/2001, riguarda soltanto l'attività libera e non sottoposta ad alcun
assenso, neanche implicito, con palese inconfigurabilità del silenzio-accoglimento, dato che
l'intervento in oggetto (cambio d'uso con opere) esigeva il permesso di costruire anche in
mancanza di manufatti fuori terra, permesso non rilasciabile poiché in contrasto con la
destinazione a “parchi e giardini” e vietato anche sotto il profilo strettamente edilizio (nella
specie, il vincolo espropriativo per il completamento del verde pubblico riguardava altre aree,
ancorché contigue, altrimenti la sua eventuale decadenza sarebbe stata irrilevante, essendosi
comunque violato un vincolo conformativo).
TAR BOLOGNA, Emilia Romagna, Sez. I, 20 settembre 2013, n. 610
Il decorso del termine di 30 giorni dalla presentazione della d.i.a. comporta, ai sensi dell'art.
23 comma 6, d.P.R. n. 380 del 2001, la decadenza dell' amministrazione comunale dal potere
di inibire i lavori; tuttavia, qualora l'attività edilizia sia illegittima in quanto non rispondente
alle norme di legge o di regolamento, ovvero alle prescrizioni dettate dallo strumento
urbanistico, residuano in capo all' amministrazione comunale il generale potere repressivo degli
abusi edilizi, di cui all'art. 27, d.P.R. n. 380 del 2001, nonché il potere di autotutela previsto
dall'art. 19 comma 3, l. n. 241 del 1990.
TAR Puglia Bari, sez. III, 1 agosto 2013, n. 1222.
La d.i.a. non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo ad un
titolo costitutivo, ma è un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere
un'attività direttamente ammessa dalla legge; da ultimo il comma 6 ter dell'art. 19 l. n. 241
del 1990 risolutivamente sancisce che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e
la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti.
TAR Napoli Campania Sez. II, 21 febbraio 2013 n. 969
Dopo l'entrata in vigore della l. 30 luglio 2010 n. 122, recante modifiche all'art. 19, l. 7 agosto
1990 n. 241, l'attività di somministrazione di alimenti e bevande non è più sottoposta ad alcun
contingentamento o programmazione settoriale sì da rendere possibile, per l’interessato,
l'esercizio immediato dell'attività, mediante segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).
TAR Perugia Umbria Sez. 21 gennaio 2013 n. 28
In tema di d.i.a., allorché oggetto del ricorso sia il silenzio serbato dall'amministrazione
comunale, la quale non ha esercitato i poteri interdittivi in ordine alle opere in corso di
realizzazione per effetto della d.i.a. presentata dal controinteressato, deve trovare
applicazione, in considerazione dell'epoca in cui è stato presentato il ricorso (escludendosi così
la riferibilità temporale al momento in cui la d.i.a. si è perfezionata), quale norma di contenuto
processuale, la nuova disciplina di cui all'art. 19 comma 6 ter, l. n. 241 del 1990.
TAR Venezia Veneto Sez. II, 16 gennaio 2013
Anche il nuovo art. 19, l. n. 241 del 1990 chiarisce che l'atto di consenso può essere sostituito
dalla d.i.a. solo quando "il rilascio dell'atto dipenda esclusivamente dall'accertamento dei
requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto
alcun limite o contingente complessivo". In sostanza, il legislatore ha ritenuto che il modello
dell'autoresponsabilità del privato non può arrivare a consentire la sostituzione dello stesso
privato all'Amministrazione nella funzione di apprezzamento e di comparazione degli interessi
pubblici, ovvero nell'"ubi consistam"della discrezionalità amministrativa.
T.A.R. Napoli Campania, sez. V, 28 dicembre 2012 n. 5367
L'efficacia del titolo formatosi in base all'atto del privato (rectius, la modalità abilitativa alla
realizzazione dell'intervento edilizio) si determina indipendentemente dal mancato esercizio del
potere di interdizione da parte della p.a., trattandosi di fattispecie che operano su piani
giuridici diversi. La d.i.a. non dà vita ad una fattispecie provvedimentale di assenso tacito,
bensì "riflette un atto del privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività
direttamente ammessa dalla legge", e tale controversa qualificazione della d.i.a./s.c.i.a. è stata
avallata dal legislatore con la citata novella di cui al d.l. n. 138 del 2011 quantomeno per le
d.i.a./s.c.i.a. presentate dopo la relativa entrata in vigore, pur potendosi invero ipotizzarne
l'efficacia retroattiva propria delle norme di interpretazione autentica.