Epidemiologia: nuova ricerca svedese Daniela Mariani Cerati, Comitato Scientifico ANGSA E’ stato pubblicato di recente l’articolo «The Familial Risk of Autism» Sven Sandin, MSc1,2; Paul Lichtenstein, PhD1; Ralf Kuja-Halkola, MSc1; Henrik Larsson, PhD1; Christina M. Hultman, PhD1; Abraham Reichenberg, PhD3,4,5 JAMA. 2014;311(17):1770-1777. doi:10.1001/jama.2014.4144. https://jama.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=1866100 Esso è il resoconto di una ricerca compiuta con la finalità di provvedere stime sull’aggregazione familiare e sulla ereditabilità dei disturbi dello spettro autistico (ASD: Autistic Spectrum Disorders) A questo scopo sono stati presi in esame tutti i bambini nati in Svezia dal 1982 al 2006 che hanno dei fratelli o dei cugini. Per ogni bambino con diagnosi si sono presi in esame i fratelli, distinti nelle sottocategorie di: gemelli monozigoti (MZ) e dizigoti (DZ), fratelli di padre e di madre, fratelli solo materni, fratelli solo paterni, cugini. In questo campione di 2.049.973 nati sono stati identificati 14.516 soggetti con diagnosi di spettro autistico. I dati rilevati confermano quanto già era emerso da precedenti ricerche con in più una estensione ai fratellastri e ai cugini. I punti di forza di questa ricerca sono due: il campione è molto vasto e onnicomprensivo, in quanto riguarda tutti i nati nel periodo considerato e presumibilmente tutte (o quasi) le diagnosi di ASD; prende in esame non solo i gemelli e i fratelli, ma anche i cugini. Come misura della ereditabilità gli autori utilizzano il parametro RRR (Relative Recurrence Risk) ovvero il rischio relativo di autismo in un partecipante con un fratello o un cugino che ha la diagnosi (esposto) rispetto al rischio di un partecipante che non ha nessun membro della famiglia con la diagnosi (non esposto). Esso è decrescente dai gemelli monozigoti (153,0) ai gemelli eterozigoti e fratelli completi (8,2 e 10,3) ai fratelli per parte solo materna o solo paterna (3,3 e 2,9) ai cugini (2,0). Detto in altro modo: la probabilità di avere una diagnosi di spettro autistico a 20 anni per un individuo senza fratelli o cugini con tale diagnosi è risultata 1,2%; per un fratello di padre e di madre 12,9; per un gemello MZ 59,2%; per un fratello solo di madre 8,6%; per un fratello solo di padre 6,8%; per un cugino 2,6%. Anche in questa, come in precedenti ricerche, si conferma una concordanza per autismo statisticamente più alta nel gemelli MZ rispetto a quelli DZ, che però non arriva al 100%. Che l’autismo o lo spettro autistico sia una condizione complessa in quanto eterogenea e in quanto verosimilmente nella maggior parte dei casi la componente genetica interferisce con fattori di rischio non genetici è quello che emerge da tutte le ricerche compiute nel recente passato. In tutti gli studi la concordanza nei gemelli monozigoti non è mai del 100%, come è nelle condizioni interamente genetiche. Gli autori e i commentatori interpretano la non completa concordanza di malattia nei gemelli MZ come dovuta interamente all’ambiente, in alternativa alla genetica, come se “genetico” fosse sinonimo di “ereditario”. In realtà una parte di discordanza può essere spiegata nell’ambito della stessa genetica in quanto i i gemelli MZ possono differire geneticamente tra loro in diversi modi tra cui mutazioni de novo insorte dopo la separazione degli embrioni durante lo sviluppo. Le nuove tecniche di indagine, in particolare il microarray, stanno evidenziando la grande importanza di Copie Number Variationes (CNVs) non presenti nei genitori. Bruder C e colleghi1, dopo avere compiuto esami genetici approfonditi in 19 coppie di gemelli MZ affetti da malattie con alta famigliarità (morbo di Parkinson e demenza da corpi di Lewy), sono giunti alle seguenti conclusioni: «Noi presentiamo dati che documentano la presenza importante di CNVs tra i gemelli MZ e ipotizziamo che queste variazioni siano comuni, soprattutto nello sviluppo somatico. I nostri risultati mettono in discussione il principio, che sembrava ben saldo, che i gemelli MZ sono geneticamente identici e apre nuove possibilità di ricerca nello studio dei gemelli MZ per identificare tratti di DNA in cui sono presenti loci capaci di indurre malattie o predisposizione alle stesse.» I gemelli MZ discordanti per qualche caratteristica normale o patologica stanno diventando un modello per la ricerca genetica di caratteristiche acquisite de novo durante lo sviluppo, in particolare di CNVs. Tornando alla ricerca svedese, una parte della discordanza può essere dovuta alle alterazioni genetiche di cui sopra, ma la percentuale di gemelli MZ discordanti per malattia è troppo grande per essere spiegata solo da fattori genetici. E’ verosimile che fattori non genetici, ovvero ambientali in senso lato, abbiano essi pure una grande importanza. Lo studio dei fattori ambientali è iniziato da poco. Pochi sono i fattori che hanno delle evidenze solide e molti i fattori la cui patogenicità è plausibile, ma non documentata. Kristen LK e colleghi hanno fatto recentemente una rassegna della letteratura sui fattori di rischio ambientali nell’articolo «Maternal lifestyle and environmental risk factors for autism spectrum disorders»2. http://ije.oxfordjournals.org/content/early/2014/02/11/ije.dyt282.abstract http://ije.oxfordjournals.org/ content/early/2014/02/11/ije.dyt282.abstract Di questo articolo riporto la traduzione dell’abstract fatta da Emanuela Pipitone, esperta di statistica medica e coautrice dell’articolo «Oxidative Stress and Erythrocyte Membrane Alterations in Children with Autism: Correlation with Clinical Features»3. BACKGROUND: Negli ultimi 10 anni è cresciuta enormemente la ricerca su possibili associazioni tra autismo e fattori di rischio ambientale. Questa ricerca ha evidenziato che esiste una serie di fattori non genetici, che agiscono durante il periodo prenatale, che possono influenzare lo sviluppo neurologico. METODI: In questo articolo viene fatta la revisione di diversi studi che hanno evidenziato l’esistenza di una associazione tra ASD (Autism Spectrum Disorders) e l’esposizione pre-natale e pre-concepimento a particolari fattori quali: tipo di alimentazione, uso di sostanze ed esposizione ad inquinanti presenti nell’ambiente. La revisione ha preso in considerazione solo quegli studi che si riferivano ad almeno 50 casi di ASD, che utilizzavano un valido gruppo di controllo, che erano stati condotti nei 10 anni precedenti e che erano focalizzati o sui rischi connessi agli stili di vita delle madri o all’esposizione ad inquinanti ambientali. Un apporto elevato di certi nutrienti ed integratori nella dieta delle madri in periodo pre-concepimento risulta essere associato alla riduzione del rischio di ASD, con maggiore evidenza per l’acido folico. Anche se molte ricerche sembrerebbero dimostrare che fumo ed alcool non abbiano influenza sull’ASD, occorrerebbe realizzare studi più rigorosi per valutare l’esposizione a questi rischi. Molti studi, invece, hanno dimostrato un aumento significativo del rischio di ADS dovuto all’esposizione (stimata) all’inquinamento atmosferico nel periodo prenatale, in particolare all’esposizione ai metalli 1 Bruder, C.E. et al. Phenotypically concordant and discordant monozygotic twins display different DNA copy-numbervariation profiles. Am J Hum Genet 82, 763-71 (2008). 2 Kristen Lyall K et al, International Journal of Epidemiology, Vol. 0, No. 0 (2014) 3 Ghezzo A. et al, Plos one, Volume 8, Issue 6, e66418 (2013) 2 pesanti ed al particolato (polveri). Mentre pochi studi hanno valutato l’associazione tra ADS ed altri inquinanti organici persistenti (POP) o non persistenti (ad esempio: ftalati). CONCLUSIONI: Molta ricerca deve ancora essere fatta per raggiungere l’evidenza scientifica, unita alla plausibilità biologica, dell’esistenza di un’associazione tra i nutrienti derivati dalla madre (grassi, vitamine ed altri), tra gli agenti chimici distruttori-endocrini e tra i pesticidi ed i deficit dello sviluppo neurologico. A tal fine occorrerebbero studi epidemiologici su larga scala, con particolare attenzione alla criticità data dalle “finestre eziologiche” ed a come queste varino al variare del tipo d’esposizione. Occorrerebbe anche fare uso di bio-marcatori e di altri mezzi per capire i meccanismi che sono alla base di queste associazioni. POP Gli inquinanti organici persistenti, o POP (acronimo inglese di Persistent Organic Pollutants) sono sostanze chimiche molto resistenti alla decomposizione (alcune rimangono presenti nel terreno fino a vent'anni prima di dimezzarsi) e che possiedono alcune proprietà tossiche. Per le loro caratteristiche di persistenza e tossicità sono particolarmente nocive per la salute umana (si configurano alcuni come veleni, altri come agenti cancerogeni) e per l'ambiente (anche mortali per la fauna). A causa della loro elevata lipoaffinità, si è riscontrato il loro accumulo negli organismi e ne sono stati rilevati residui in pesci, animali selvatici, e nei tessuti, nel latte e nel sangue umani, oltre che in campioni alimentari. Sono presenti nell'atmosfera, nell'aria e nell'acqua e la loro propagazione è dovuta anche alle specie migratrici. Il pericolo consiste nella crescente concentrazione negli ecosistemi terrestri e acquatici. I dodici POP prioritari sono: Aldrin, Clordano, Diclorodifeniltricloroetano (DDT), Dieldrin, Policlorobifenili (PCB), Esaclorobenzene, Diossine e Furano. 3 Endrin, Eptacloro, Mirex, Toxafene,
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