CONFIMI Rassegna Stampa del 05/12/2014 La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto specificato nei contratti di adesione al servizio. INDICE CONFIMI 05/12/2014 QN - Il Resto del Carlino - Modena «E' Bper la bancapiù vicina al territorio» 6 05/12/2014 QN - Il Resto del Carlino - Reggio Emilia Conti correnti e fatturati crescono, ma calano affidamenti bancari 7 05/12/2014 Corriere di Verona - Verona Oddono, il veronese che fa impazzire gli inglesi con il gelato 8 05/12/2014 Gazzetta di Mantova - Nazionale Api, gli auguri da Shakespeare 9 05/12/2014 Gazzetta di Modena - Nazionale Confimi, ecco le pagelle delle imprese alle banche 10 05/12/2014 L'Arena di Verona Dà il gelato agli inglesi e ora punta a Oriente 11 05/12/2014 Cronaca di Verona CHRISTIAN ODDONO VINCITORE DEL PREMIO VERONA GIOVANI 2014 12 05/12/2014 La Voce di Mantova Le scadenze del protocollo MCTCNet2 per i Centri di Revisione 13 05/12/2014 La Voce di Mantova Auguri dall'Api divagando su Shakespeare 14 05/12/2014 Prima Pagina - Modena Banche-imprese, i rubinetti sono ancora stretti 15 CONFIMI WEB 03/12/2014 www.infobuild.it 10:22 Decreto Semplificazioni: si può fare meglio! 18 SCENARIO ECONOMIA 05/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale Padoan: l'Italia decisiva nella svolta Ue sul lavoro 20 05/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale «Anche Google rispetti le nostre regole» 21 05/12/2014 Il Sole 24 Ore Il tempo diventa l'alleato di Draghi 24 05/12/2014 Il Sole 24 Ore La coperta corta è il rischio del QE 26 05/12/2014 Il Sole 24 Ore De Benedetti: «La moda cambi passo» 27 05/12/2014 La Repubblica - Nazionale Bce, più tempo per gli aiuti "Non serve l'unanimità per agire" Giù le Borse, Milano perde il 2,77% 29 05/12/2014 La Repubblica - Nazionale South Stream addio Saipem si ferma Gazprom già pensa a un nuovo tracciato solo per gli amici 30 05/12/2014 La Repubblica - Nazionale "Wind pronta a dare Infostrada per fare di Metroweb il perno di un nuovo piano per la fibra" 31 05/12/2014 La Stampa - Nazionale L'ASSALTO ALLA SPESA PUBBLICA 33 05/12/2014 MF - Nazionale La voluntary disclosure ora è legge 34 05/12/2014 MF - Nazionale I tre fardelli che frenano il mondo del lavoro 35 05/12/2014 L'Espresso UNIPOL cambia verso 36 05/12/2014 L'Espresso Che affare LE onlus 38 05/12/2014 L'Espresso Vado, ritorno e Pago caro 41 05/12/2014 L'Espresso Corruzione senza vergogna 44 SCENARIO PMI 05/12/2014 Il Sole 24 Ore Londra nuova frontiera delle imprese 48 05/12/2014 La Repubblica - Nazionale Pmi Prove tecniche di rilancio 49 05/12/2014 La Repubblica - Nazionale Risorse fresche per rilanciare la produzione 51 05/12/2014 ItaliaOggi Sito per cercare i fondi pubblici 52 05/12/2014 MF - Nazionale NONSOLOMARE 53 CONFIMI 10 articoli 05/12/2014 QN - Il Resto del Carlino - Modena Pag. 7 (diffusione:165207, tiratura:206221) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato L'INDAGINE I RISULTATI DEL FORM FINANZA' DI APMI CONFIMI «E' Bper la bancapiù vicina al territorio» Bene il supporto di Unicredit alle start-up E' LA BPER la banca più presente per numero di rapporti di conto intrattenuti con le imprese, seguita da Unicredit e Banco Popolare. E' quanto emerso dal rapporto del Forum Finanza 2014' di Apmi Confimi impresa Modena, nell'ambito dell'indagine annuale relativa appunto ai rapporti impresa-banca. I risultati sono stati presentati ieri nella sede dell'associazione e l'analisi ha messo in luce anche l'indice di gradimento nei confronti degli istituti di credito. In tale contesto, le 200 aziende che hanno risposto all'indagine (tra Reggio e Modena, poco più della metà appartenenti al settore metalmeccanico), hanno cambiato il loro giudizio rispetto al 2012. Infatti la Credem ha assunto il primo posto in classifica, superando la Bper, che risulta comunque la più vicina al territorio in termini di rapporti di conto corrente e fatturato. Alla stessa, infatti, si rivolgono ben 116 aziende sulle 200 intervistate. «Il nostro obiettivo è quello di analizzare e migliorare il rapporto tra imprese e banche in termini di collaborazione e trasparenza - spiega il presidente dell'associazione Giovanni Gorzanelli -, non vogliamo certo combattere le banche, ma trovare la strada per instaurare rapporti sempre migliori». Tra le criticità rilevate nell'indagine, fa notare Gorzanelli, vi è una percentuale ancora alta: ovvero il 13.5% di aziende che hanno dovuto registrare riduzioni degli affidamenti. Inoltre 125 imprese non hanno indicato alcun rating, quindi non hanno consapevolezza del proprio punteggio sul sistema bancario. «Vi è ancora la tendenza delle banche - fanno presente il responsabile dell'area finanza Giacomo Ferraresi e il direttore dell'associazione Mario Lucenti - a restare sulla difensiva', segno che ancora la fiducia sull'economia del nostro paese non è stata posta. Ma è un percorso che va fatto insieme». Altro punto dolente' messo in luce da Ferraresi, è quello del scarsissimo utilizzo dei Consorzi Fidi, a cui non fa ricorso il 75.88% degli intervistati. Le cause? Poca informazione ma anche lungaggini burocratiche. Uno dei dati positivi rilevato nell'indagine, risulta invece il supporto ottenuto nel 2013 dalle Start-up, soprattutto da Unicredit. Proprio per le nuove aziende, su cui i giovani intendono investire, per il 2015 Apmi Confimi lancia una campagna che garantisce tutti i servizi all'impresa per il primo anno, alleggerendo quindi i costi di inizio attività. Valentina Reggiani Image: 20141205/foto/510.jpg CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014 6 05/12/2014 QN - Il Resto del Carlino - Reggio emilia Pag. 10 (diffusione:165207, tiratura:206221) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato ALLEANZA COOP Conti correnti e fatturati crescono, ma calano affidamenti bancari Disdetta del contratto, il direttore Bezzi spiega: «Crisi economica, risorse in calo» ANCHE se complessivamente conti correnti e fatturati crescono, pesano ancora i concordati di continuità. La riduzione degli affidamenti bancari non dilaga ma resta una realtà. E più che altro, i tre quarti delle aziende non hanno fatto alcun ricorso ai consorzi fidi, uno strumento che dunque risulta più che mai da rivedere. Così come le fiere. E intanto, le banche preferite' degli imprenditori emiliani cambiano. È Confimi Impresa, la confederazione delle piccole e medie industrie manifatturiere, a scattare una fotografia dello stato di salute dell'economia modenese e reggiana attraverso il suo form finanza 2014. Il report Modena-Reggio è stato presentato ieri: emerge che ai consorzi fidi, struttura su cui la Regione ha investito milioni, non si è rivolto fino al 75,88% delle aziende. Tra chi ne fatto ricorso, comunque, la metalmeccanica sbanca col 61,82%. Allo stesso tempo, ancora il 13,53% di imprese segnala di aver ricevuto riduzioni di affidamenti da parte delle banche. Anche le fiere, ormai, sembrano poco interessanti per le pmi: nell'ambito del report solo il 41,55% vi ha partecipato, e solo il 39,61% e' interessato a questo tipo di promozione. Concentrandosi sulle banche, secondo il report quelle che piu' hanno finanziato le startup sono soprattutto Unicredit seguita, a distanza, da Banca di Cavola e Sassuolo, Interprovinciale e Popolare Alto Adige. I dati di gradimento verso le prime 13 banche del territorio, poi, mostrano un certo movimento. Se nel 2012 il podio era rappresentato, nell'ordine, da Bper, Unicredit, Caricento e Carisbo, con riferimento al 2013 la classifica recita Credem (8,07 su 10 il voto medio), Cariparma (7,75), Unicredit (7,41) e Unipol (7). Image: 20141205/foto/691.jpg CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014 7 05/12/2014 Corriere di Verona - Verona Pag. 9 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Oddono, il veronese che fa impazzire gli inglesi con il gelato Premiato da Apindustria . «Lì c'è meno burocrazia...» VERONA I negozianti di South Kensington quando, nel 2004, aprì la sua prima gelateria scossero la testa e gli diedero al massimo 6 mesi di vita. «Me l'hanno rivelato dopo anni - sorride Christian Oddono - e adesso tengono aperti i loro negozi anche di domenica perché in gelateria da me c'è la coda e a loro conviene». Nel frattempo è nata e si è sviluppata la Oddono's Gelati Italiani, il gruppo che conta 5 gelaterie a Londra, la sesta in arrivo a febbraio, una decina di punti vendita in altrettanti ristoranti, il premio di miglior gelateria del Regno Unito in bacheca dal 2007 e innumerevoli corteggiamenti per esportare il gelato Oddono's al di fuori dei confini inglesi.Per queste ragioni, Christian Oddono è l'imprenditore che Apindustria Verona ha scelto come vincitore della 7^ edizione del Premio Verona Giovani. Oddono, infatti, è veronese: per lui diploma al Liceo scientifico Messedaglia, poi laurea alla Bocconi e lavoro alla city londinese in corporate finance e ricerca finanziaria. La vita nella capitale britannica non è male, ma manca una cosa: il gelato. Manca così tanto al Head of Research, ruolo che nel frattempo aveva raggiunto per un'importante gruppo finanziario, che Oddono decide di abbandonare la City, tornare in Italia, iscriversi a un corso di formazione per gelatai e imparare il mestiere. Da qui parte la nuova avventura imprenditoriale.«Era incredibile per me - racconta vedere gli inglesi mangiare tanto gelato di catene industriali e non poter provare il vero gelato italiano. Io avevo in mente quello che ci faceva mia nonna: la mattina andava al mercato, comprava le uova e il latte fresco e ci faceva un gelato alla crema buonissimo. E il fatto è che non c'è modo migliore di farlo se non farlo fresco e mangiarlo subito».Una volta apprese le tecniche, quindi Oddono torna a Londra e lì apre le sue gelaterie: laboratorio a vista, prodotti naturali e di qualità, nessun conservante, gelato fatto al momento con materie prime italiane così come la tecnologia e i macchinari utilizzati. L'anno scorso la Oddono's ha registrato un fatturato di 2,2 milioni, quest'anno saranno di più, una trentina di dipendenti e la concreta possibilità di aprire franchising a Dubai, in Malesia, in Thailandia e in Medio Oriente.«l progetto di Oddono è un esempio per le nostre Pmi. Dovremmo prendere spunto da lui, puntare sulla qualità e valorizzare il nostro Dna», ha detto Alessandro Ferrari, presidente dei giovani di Apindustria consegnandogli il premio. Vero anche se, per adesso, Oddono non ha intenzione di portare le sue gelaterie in Italia. «Non per paura della concorrenza, perché quella fa sempre bene, ma perché il mestiere dell'imprenditore è molto bello, ma è meglio farlo in un Paese con poca burocrazia"». Quindi, per assaggiare il gelato Oddono's al pistacchio o quello alle nocciole del Piemonte, famosi a Londra, non resta che andare a provarli direttamente dove si fanno. © RIPRODUZIONE RISERVATA CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014 8 05/12/2014 Gazzetta di Mantova - Ed. nazionale Pag. 10 (diffusione:33451, tiratura:38726) La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Api , gli auguri da Shakespeare Il brindisi al teatro Sociale, pensando alla crisi e alla forza di uscirne Api , gli auguri da Shakespeare Api, gli auguri da Shakespeare Il brindisi al teatro Sociale, pensando alla crisi e alla forza di uscirne Anche quelli di Shakespeare erano tempi di crisi. Le banche non davano facilmente credito. A Londra i banchieri erano chiamati "lombardi", Lombard Street era ed è la via della banche. Il povero Shakespeare dovette ingegnarsi non poco per diventare quell'imprenditore che fu. Le sue opere lui non le pubblicava, se le teneva care e le faceva fruttare nei teatri: erano il capitale della sua azienda. Altri beni erano il teschio (simbolo della morte, Amleto), la corona (il potere, Enrico V) e così via. E poi - lui che era un provinciale, veniva dalla cittadina di Stratford - aveva messo su un teatro a Londra, il Globe. Non c'è quindi da stupirsi se ieri sera Apindustria ha adottato Shakespeare e lo ha portato al Teatro Sociale per celebrare i 450 anni dalla sua nascita. Un modo intelligente per fare gli auguri di Natale, un brindisi scespiriano per gli imprenditori dell'associazione delle piccole e medie industrie di Mantova e provincia e per le loro famiglie. Un colpo di genio a cominciare dagli attori che erano sul palco. Un solo vero attore, Claudio Soldà, mentre gli altri tre erano musicantore, narrattore e formattore. Nel senso che Davide Foroni era un mix di musico e cantore, Giacomo Cecchin di narratore e attore e Eros Tugnoli un docente che fa formazione e si diverte a recitare. Testi ridotti e rielaborati per l'occasione presi da Amleto, Macbeth e Enrico V, due tragedie e un dramma storico. «Shakespeare ha saputo cogliere nelle sue opere la drammaticità e la forza dell'uomo, in un contesto difficile è riuscito a creare entusiasmo, che è quello che le nostre imprese cercano di fare», ha detto il presidente Apindustria Francesco Ferrari nella prolusione allo spettacolo. Insomma la forza dell'immaginazione per promuovere lo sviluppo culturale e anche quello economico. Alla fine del "viaggio alla scoperta dei valori d'impresa" attraverso Shakespeare c'è stato il brindisi nel foyer. Gilberto Scuderi CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014 9 05/12/2014 Gazzetta di Modena - Ed. nazionale Pag. 10 (diffusione:10626, tiratura:14183) Confimi , ecco le pagelle delle imprese alle banche Confimi, ecco le pagelle delle imprese alle banche IN EVIDENZA CREDEM Solitamente sono le banche a valutare le imprese. Qualche volta accade il contrario. E così hanno fatto gli associati di Confimi Impresa, che da Modena e Bologna hanno dato le loro pagelle agli istituti di credito con cui hanno rapporti. Una fotografia che abbraccia tutto il 2013. Il fulcro è rappresentato dalla classifica di gradimento (con voti da 1 a 10) delle banche da parte delle associate, un campione pari al 41,73% (per il 94% si tratta di micro o piccole imprese, la maggior parte delle quali del settore metalmeccanico, il 50,24%), sia modenesi che reggiane. Al primo posto c'è Credem, con un voto dell'8,07, rispetto a un 5,95 del 2012; a colpire il suo posizionamento: slitta al primo posto, rispetto al decimo del 2012. Altro scostamento importante, ma in senso inverso, è quello di Bper: se nel 2012 era al primo posto con un punteggio pari a 7,27, nel 2013 scende al sesto posto con punteggio 6,82. Sul podio medaglia d'argento a Cariparma, con un voto medio del 7,75 (era di 6,5 nel 2012); medaglia di bronzo per Unicredit con un 7,41 (era 7,17 nel 2012). Una classifica va precisato - dalla valenza circoscritta alle imprese associate e alle banche con cui hanno rapporti. La ricerca mette in evidenza come sia Bper la banca con cui le aziende del campione hanno maggiori rapporti, con 116 rapporti aperti, seguono Unicredit (103) e Banco Popolare (72), che insieme rappresentano quasi il 61% dei rapporti totali. «La fotografia scattata con questa indagine - dice Mario Lucenti, direttore di Confimi Impresa Modena - ci aiuta a capire come e dove indirizzare i nostri sforzi. Sono emersi dati interessanti riguardo il ruolo dei consorzi fidi, o il livello di consapevolezza del rating». Tra le domande, infatti, c'era anche quella relativa al livello di consapevolezza del rating: delle 207 imprese che hanno risposto, oltre il 60% non ha indicato alcun rating. «Questo apre una riflessione - spiega Giacomo Ferraresi, responsabile area finanza di Confimi Impresa Modena - capire se questa percentuale è dovuta alla mancanza di consapevolezza o se le aziende non hanno voluto indicarlo». Altro punto importante è quello relativo alla riduzione degli affidamenti da parte delle banche. Il 13,53% delle imprese del campione ha risposto di avere subito una riduzione. Un dato che potrebbe apparire contenuto. «Ma ricordiamo - dice il presidente Gorzanelli - che parliamo di pmi. Una riduzione di questa portata può creare un effetto domino». Felicia Buonomo CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014 10 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Confimi , ecco le pagelle delle imprese alle banche IN EVIDENZA CREDEM 05/12/2014 L'Arena di Verona Pag. 9 (diffusione:49862, tiratura:383000) Dà il gelato agli inglesi e ora punta a Oriente Christian Oddono Una lunga fila, ordinata, come solo gli inglesi sanno fare, fuori dal negozio, sotto la neve, per poter acquistare una vaschetta del suo gelato. È stato in quel momento, ormai una decina di anni fa, che Christian Oddono, imprenditore veronese trapiantato a Londra, si è reso conto delle potenzialità del suo business. Da allora ha lanciato una catena di cinque gelaterie, più una decina di punti vendita esterni, nel cuore della metropoli britannica per un giro d'affari che oggi supera i due milioni di euro. A lui è andato quest'anno il Premio Verona Giovani, istituito dal Gruppo giovani imprenditori di Apindustria e giunto alla settima edizione. «Nel 2013 avevamo focalizzato l'attenzione sull'importanza del team e del fare squadra, quest'anno invece il premio si è indirizzato verso la forza del made in Italy all'estero», ha dichiarato Alessandro Ferrari, presidente di Apindustria Giovani. «Questo tema è particolarmente caro alla nostra realtà economica, e soprattutto alle piccole e medie imprese, che spesso puntano su questo fattore chiave per differenziarsi ed essere competitivi sui mercati internazionali». Oddono, 44 anni, ha ripercorso la sua storia di imprenditore veronese all'estero. Dopo aver studiato al liceo Messedaglia e poi all'Università Bocconi a Milano, ha iniziato la sua carriera nella corporate finance e nella ricerca azionaria di Londra, diventando successivamente Head of Research di Activest. «Nel 2004, notando l'assenza del gelato artigianale a Londra, ho deciso di iniziare l'avventura, aprendo la prima gelateria "Oddono's Gelati Italiani" a South Kensington», ha raccontato Oddono. «Prima che altri decidessero di lanciare questo business, ho deciso di provarci io: sono tornato in Italia e ho frequentato una scuola professionale per poi aprire il negozio a Londra». Partendo dalla ricetta della nonna, l'imprenditore veronese è riuscito a rilanciare questo prodotto tipicamente italiano in una chiave nuova, puntando sulla freschezza e sulla qualità degli ingredienti, accuratamente selezionati. Pistacchio di Bronte, nocciole del Piemonte, latte fresco delle campagne inglesi. «A Londra, così come in Italia, stiamo assistendo alla riscoperta dei prodotti alimentari genuini», ha sottlineato Oddono, che sta per aprire la sesta gelateria e ha in programma di estendere in franchising la catena anche verso Medioriente e Asia. «Nel 2014 abbiamo raggiunto un fatturato di 2,2 milioni di euro, rispetto agli 1,8 del 2013», precisa l'imprenditore, che nel 2007 ha vinto il premio come Miglior gelateria del Regno Unito. «Pur senza stravolgere il prodotto, abbiamo cercato di adattare le ricette ai gusti inglesi: per internazionalizzarsi infatti è importante capire caratteristiche e gusti del mercato». CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014 11 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato APINDUSTRIA . Premio Verona del gruppo giovani a Christian Oddono 05/12/2014 Cronaca di Verona Pag. 4 CHRISTIAN ODDONO VINCITORE DEL PREMIO VERONA GIOVANI 2014 Laureato in economia ha aperto una catena di gelaterie italiane a Londra. Chiude il 2014 con un fatturato in crescita rispetto all'anno precedente, di 1 milione e 500 sterline Decretato il vincitore della 7° edizione del Premio Verona Giovani presso la sede di Apindustria Verona. Il vincitore, scelto dopo un'accurata selezione, è christian oddono , im prenditore di origine veronese che ha saputo avventurarsi in un'impresa di grande successo. L'incontro è stato tenuto da arturo alberti , presidente di Apindustria Verona, alessan dro Ferrari , presidente di Apigiovani Verona e alessan dro rania , consigliere di Api giovani Verona. Christian Od dono, laureato in economia all'Università Bocconi, ha la sciato il mondo della consulenza finanziaria per aprire nel 2004 una catena di gelaterie Oddono's Gelati Italiani a Lon dra, facendo conoscere Verona e il Made in Italy all'estero e puntando sull'alta qualità dei suoi prodotti, rigorosamente di origine naturale e la trasparenza dei suoi laboratori artigianali. Oddo no's Gelati Italiani oggi conta cinque shop e a Febbraio 2015 è prevista l'apertura di un sesto punto vendita londinese, il fatturato 2013 è stato di 1 milione e 500 mila sterline mentre nel 2014 di 1 milione e 800 mila. "Il nostro obiettivo è quello di rendere internazionale un prodotto semplice come il gelato fresco e artigianale" ha dichiarato l'imprenditore veronese Christian Oddo no. "Sognare non costa nulla. Vorremmo esportare il nostro marchio anche al di fuori del Regno unito, donando ancora più prestigio al Made in Italy e analizzando in modo approfondito i vari mercati, cogliendo la particolarità di ogni luogo e andando incontro ai gusti della popolazione consumatrice. Uno dei segreti dell'internazionalizzazione infatti è interpretare le esigenze ed i gusti del cliente, diversi a seconda della cultura e del luogo geografico. Al mo mento l'Italia non è fra i nostri prossimi mercati, stiamo puntando ad aree dove la concorrenza ed il costo del lavoro sono minori e le agevolazioni fiscali maggiori, come i Paesi Asiatici ed il Medio Oriente". "Il progetto di Oddono è un esempio per le nostre pmi. Dovremmo prendere spunto da lui, puntare sulla qualità e valorizzare il nostro DNA" ha concluso così la conferenza stampa Alessandro Ferrari, presidente di Apigiovani Verona. La consegna del premio CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014 12 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato aPi nduStri a 05/12/2014 La Voce di Mantova Pag. 10 Le scadenze del protocollo MCTCNet2 per i Centri di Revisione MCTCNet2: una sigla che racconta il futuro della tracciabilità per i Centri di revisioni dei veicoli sarà al centro di un incontro organizzato da Apindustria e dal Gruppo Govi (officine veicoli industriali) in collaborazione con la Direzione della Motorizzazione Civile di Mantova. L'incontro si terrà domani, 6 dicembre, alle ore 9 nella sede di Apindustria Mantova in via Ilaria Alpi 4 a Mantova. «Abbiamo fortemente voluto questo incontro sottolinea Marco Zanoni , Presidente del Gruppo Govi (officine veicoli industriali) - perché tra i nostri obiettivi c'è quello di fornire alle aziende gli strumenti per applicare al meglio e interpretare efficacemente le novità. Siamo grati alla Motorizzazione Civile di Mantova di aver risposto positivamente alle nostre istanze per fare il punto sulle imminenti scadenze previste dal protocollo di comunicazione MCTCNet2». Questo è stato introdotto nei Centri di revisione veicoli autorizzati alla fine degli anni Novanta affinché le procedure relative alle revisioni fossero uniformi e comuni a tutti gli operatori di settore sull'intero territorio nazionale, definendo un linguaggio di comunicazione comune per tutte le attrezzature utilizzate per la revisione dei veicoli. «Finalmente sembra siamo arrivati alla fine di questo percorso lungo e tortuoso aggiunge Sergio Vecchi , consigliere Apindustria e membro del gruppo G.O.V.I - il protocollo MCTCNet2 è l'evolu zione del precedente protocollo, introdotto per tentare di rispondere alla necessità di certificazione dei dati prodotti dal sistema e per rendere uniforme e completamente tracciabile l'intero iter delle operazioni di revisione conservandone i dati». L'introduzione di questo sistema dovrebbe consentire di eliminare gli abusi e le "fa l s e r ev i s i o n i " (ad esempio garantisce la presenza in sede di revisione del veicolo da revisionare attraverso il riconoscimento della targa) e quindi di aumentare il livello di sicurezza stradale garantendo nel contempo il monitoraggio costante del parco veicoli circolante. Le aziende interessate a partecipare possono telefonare allo 0376-221823 oppure inviare un'e-mail a: svilupposervi [email protected] . CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014 13 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato DOMANI IL TEMA SARÀ T R AT TATO IN APINDUSTRIA 05/12/2014 La Voce di Mantova Pag. 10 Una piacevole serata con una breve divagazione tra le più famose opere di Shakespeare, un brindisi prenatalizio e scambio di auguri. L'appuntamento, organizzato da Apindustria di Mantova, si è tenuto ieri al teatro Sociale. Lo spettacolo è stato presentato dal presidente Francesco Ferrari che ha illustrato la scelta del drammaturgo inglese e i brani e musiche alla scoperta dei valori d'impresa con protagonisti Eros Tugnoli, Claudio Soldà e Davide Foroni . Sul palco sono saliti anche il direttore generale della Banca Popolare di Mantova Annibale Ottolina e il sindaco di Mantova Nicola Sodano . «Sentiamo il peso della crisi - ha notato Sodano e ci rendiamo conto che il momento economico è molto difficile. Ma sentiamo anche il bisogno di trovare la coesione per uscire dalla crisi. Il Comune di Mantova ha voluto lanciare un segnale di ottimismo organizzando la mostra di Mirò a Palazzo Te per valorizzare la risorsa cultura e dare un impulso a tutte le attività economiche che ruotano attorno al turismo». Sodano, in segno di gratitudine nei confronti della Associazione delle Piccole e Medie Imprese, ha donato al presidente Ferrari il catalogo della mostra di Mirò "L'impulso creativo". CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014 14 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Auguri dall' Api divagando su Shakespeare 05/12/2014 Prima Pagina - Modena Pag. 3 Banche-imprese, i rubinetti sono ancora stretti Ma il rapporto migliora: Credem, Cariparma e Unicredit al top di LUCA GARDINALE «Cara banca, oggi il tuo voto è...». Se fino ad oggi erano stati soprattutto loro, gli istituti di credito, a valutare le imprese, con le conseguenti decisioni di concedere o meno finanziamenti, ora la situazione si è ribaltata. A dare i voti alle banche del territorio e nazionali, infatti, sono stati gli imprenditori associati ad Apmi Confimi di Modena e Reggio Emilia: numeri poi raccolti dall'associazione, che ha elaborato i dati nel 'For m finanza 2014', presentato ieri mattina nella sede Apmi dal presidente Giovanni Gorzanelli, dal direttore Mario Lucenti e dal responsabile dell'area finanza Giacomo Ferraresi. La valutazione Le aziende associate sono state così chiamate ad esprimersi sugli elementi più rilevanti della gestione finanziaria e non solo, dal numero dei rapporti di conto agli affidamenti, dalle garanzie richieste a questioni più strettamente legate all'attività imprenditoriale, come i Paesi di esportazione e la partecipazione alle fiere. Un'i niziat iva partita proprio dalla necessità di conoscere e migliorare il rapporto tra impresa e banca, in un contesto in cui ultimamente l'istituto di credito non è visto tanto come un partner a fianco dell'impresa, ma piuttosto come una controparte dalla quale, in qualche caso, ci si deve addirittura difendere. Il campione All'indagine hanno risposto oltre 200 aziende, di cui poco più della metà appartenenti al settore metalmeccanico, con rappresentanza anche dei settori edilizia (12,08%), servizi (10,14%), commercio (9,66%), tessile (5,80%), chimic a ( 4 , 8 3 % ) , a l i m e n t a r e (3,86%), editoria-grafica (2,42%) e Ict (0,97%), e con una media di dipendenti va dai 6 ai 30 lavoratori. Per quanto riguarda il numero di rapporti di conto intrattenuti, la banca p i ù p r e s e n t e è l a B p e r (24,27%), seguita da Unicredit (21,55%) e Banco popolare (15,06%). Indice di gradimento Ma qual è dunque il giudizio degli imprenditori nei confronti delle banche? Detto che circa il 60% delle aziende non ha espresso un indice di rating, al primo posto si attesta la Credem, con un giudizio che cresce dal 5,95 (su un massimo di 10) del 2012 ad un ottimo 8,07 per il 2013. Al secondo posto, sempre in crescita rispetto all'anno precedente, c'è Cariparma, passata dal 6,50 al 7,75, mentre anche Unicredit migliora leggermente, passando dal voto medio di 7,17/10 a 7,41. Al quarto posto c'è Unipol, con 7 (nel 2012 era 5,86), seguito da Cari Cento, in discesa dal 7,13 al 6,86. Sesta la Bper, che si attesta sul 6,82, in calo rispetto al 7,27 dell'anno precedente. Restando sulle banche del territorio, il Banco popolare è undicesimo, passando dal 6,18 al 6,03. Riduzione degli affidamenti Un dato molto interessante, sempre per quanto riguarda il rapporto impresa-banca, è quello relativo alle aziende che nel 2013 hanno ricevuto una riduzione di affidamenti da parte delle banche, pari al 13,50%. «Un dato preoccupante - spiega il presidente di Apmi Confimi Gorzanelli - perché la riduzione di un affidamento può mettere in crisi una piccola impresa, e in generale perché questo numero può influire sul rapporto stesso tra impresa e banca». «Se ci sono ancora delle banche 'sul la difensiva' - spiega il direttore Mario Lucenti - significa che la tranquillità, su questo aspetto, ancora non c'è». Tra gli altri dati interessant i e m e r s i d a ll 'inda gine c'è quello relativo ai cons o r z i f i d i , struttura sulla quale la Regione ha investito milioni di euro: tre aziende intervistate su q u at t ro ( i l 75,88%) non hanno fatto alcun ricorso a questo strumento, che evidentemente è da rivedere. «L'azienda riprende Gorzanelli deve vivere il consorzio fidi come un aiuto al mercato, e non come un ulteriore passaggio da evitare». Tra i pochi settori che hanno fatto ricorso ai consorzi fidi, comunque, spicca quello metalmeccanico, che guida la classifica con il 61,82%, mentre l'edilizia è ferma al 12,73%, preceduta dai servizi, al 14,55%. Stato di salute Come stanno, dunque, le nostre pmi? «Le piccole e medie imprese delle province di Modena e Reggio Emilia hanno una gran voglia di ripartire conclude Lucenti - puntando soprattutto sui mercati esteri. Ma chiedono alle banche un aiuto. Non siamo sicuramente ancora fuori dalla crisi, ma la fiducia dell'i m p re n d i to re c'è: ora bisogna sostenerla». Intanto, l'associazione prova a metterci del suo: a chi si iscrive nel 2015 verrà garantito un anno di servizi gratuiti. APMI CONFIMI Da sinistra, il CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014 15 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato IL RATING DELLE BANCHE Nei grafici, le valutazioni delle imprese nel 2013 rispetto al 2012. Sotto, a destra, la riduzione dei fidi concessi l'anno scorso L'indagine 2013 rivela che nel 13,5% dei casi gli affidamenti sono stati ridotti APMI CONFIMI 05/12/2014 Prima Pagina - Modena Pag. 3 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato direttore Mario Lucenti, il presidente Giovanni Gorzanelli e il responsabile area finanza Giacomo Ferraresi CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014 16 CONFIMI WEB 1 articolo 03/12/2014 10:22 www.infobuild.it Sito Web Ben venga l'abolizione della responsabilità fiscale su appalti e subappalti (è la fine di un incubo), bene la comunicazione telematica delle dichiarazioni d'intento (che passa dal fornitore al cliente assorbendo i pesanti problemi sanzionatori e dimezzando - a livello nazionale - gli adempimenti complessivi in materia), bene la comunicazione black list (che diventa annuale assorbendo 15 scadenze infrannuali), bene anche alcune altre semplificazioni minori che sono diventate legge con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto Decreto Legislativo 21 novembre 2014, n. 175. E' un risultato che testimonia l'importanza delle azioni promosse dal sistema associativo a presidio e difesa delle imprese e, in particolare, da Confimi Impresa, confederazione nazionale delle imprese manifatturiere e dell'impresa privata. "Non c'è pero né tempo né spazio per "gongolare", sostiene Flavio Lorenzin, Vicepresidente di Confimi Impresa con delega alle semplificazioni e ai rapporti con la PA. "In Italia le semplificazioni sono come la tela di Penelope e la burocrazia è sempre in agguato, anche quando non ci si mette il fisco". Sono ancora troppo freschi, ad esempio, i ricordi della "tragedia", sfiorata sul filo di rasoio, in merito all'aggiornamento delle carte di circolazione dei veicoli aziendali. Fra qualche giorno, poi, riaffioreranno, in tutta la loro incredibile irrazionalità, TASI ed IMU che colpiscono troppo pesantemente anche i capannoni (casa delle imprese) i cui versamenti a saldo si innescano in un calendario ancora troppo fitto di scadenze. Nel 2015, poi, fra le altre, arriveranno: il "730 precompilato" (con nuovi adempimenti e oneri chiesti ai sostituiti d'imposta); la fatturazione elettronica verso la PA con l'obbligo di conservazione sostitutiva a norma (adempimento imposto ma non necessario ai fini degli obiettivi di efficientamento della PA); la nota integrativa in formato XBRL e l'obbligo del rendiconto finanziario. Infine, conclude Lorenzin, "non possiamo che plaudire, nel complesso, alle misure contenute nel decreto, ma non possiamo spingerci oltre la sufficienza risicata". Nel decreto, ad esempio, mancano ancora all'appello misure altre misure per le quali Confimi promette di proseguire la propria azione, come l'eliminazione, nel reverse charge, dell'obbligo dell'autofatturazione o integrazione (adempimento che potrebbe essere sostituito con una semplice separata annotazione) e l'aumento della soglia per i visti di conformità ai fini della compensazione dei crediti fiscali (onere che pesa troppo nei bilanci delle PMI). CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 05/12/2014 18 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Decreto Semplificazioni: si può fare meglio! SCENARIO ECONOMIA 15 articoli 05/12/2014 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 1 (diffusione:619980, tiratura:779916) Padoan: l'Italia decisiva nella svolta Ue sul lavoro Pier Carlo Padoan C aro direttore, il commento di Luigi Offeddu sulla presidenza di turno dell'Ue («L'ultima occasione per riscattare il semestre europeo», il Corriere della Sera , 4 dicembre) sottovaluta quanto è stato fatto dall'Italia a partire dal primo luglio. Soffermandomi brevemente sui temi di mia competenza, mi limito a ricordare che sei mesi fa crescita e investimenti erano temi estranei alla prospettiva di Bruxelles. Grazie all'iniziativa italiana, oggi l'Unione Europea è al lavoro su tre fronti: le carenze sia sul lato della domanda che sul lato dell'offerta, la necessità di spingere l'acceleratore sugli investimenti (la task force BeiCommissione nata a Milano in settembre ha anticipato il piano Juncker, così che già all'Ecofin di martedì prossimo potremo valutare una massa critica di progetti sui quali fare confluire le risorse), la relazione tra l'attuazione delle riforme strutturali e la flessibilità nel consolidamento di bilancio. Dalla recente valutazione delle leggi di stabilità dei Paesi membri dell'Unione monetaria traspare in modo netto la consapevolezza di quanto queste dimensioni delle economie nazionali siano legate tra loro e con i destini comunitari. Il lavoro della presidenza italiana ha certamente contributo a far maturare questa consapevolezza. Il commento ricorda anche che ci eravamo impegnati a migliorare l'integrazione interna ma ignora i risultati raggiunti nelle misure di contrasto a evasione ed elusione fiscale, che rendono più eque ed equilibrate le condizioni competitive tra imprese (abbiamo raggiunto l'accordo politico per avviare lo scambio automatico di informazioni fiscali dal 2017 e martedì prossimo potremmo conseguire l'accordo per una clausola antielusiva nella direttiva che regola la distribuzione di profitti tra società di uno stesso gruppo aziendale). Infine, abbiamo messo nell'agenda dei prossimi mesi la Capital Markets Union quale passo ulteriore per l'integrazione del mercato finanziario. Questi sono solo gli esiti più evidenti di un lavoro negoziale che deve mettere d'accordo 28 Stati diversi. In Europa come in Italia non esistono bacchette magiche e i risultati non si manifestano da un giorno all'altro, ma il lavoro che il governo e l'amministrazione stanno conducendo con tenacia sta già contribuendo a cambiare l'orientamento del Paese e delle istituzioni comunitarie. Pier Carlo Padoan Ministro dell'Economia e delle Finanze © RIPRODUZIONE RISERVATA SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 20 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato La lettera il ministro 05/12/2014 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 1 (diffusione:619980, tiratura:779916) «Anche Google rispetti le nostre regole» Buttarelli, il garante europeo: su trasparenza e privacy i colossi Usa dovranno adeguarsi Beppe Severgnini «Google un posto sicuro per i dati degli utenti? Non sono d'accordo. Credo che i nostri dati saranno sempre di più nelle nuvole, ma i nostri diritti devono stare con i piedi per terra. Non devono essere virtuali. C'è ancora poca trasparenza sull'uso delle informazioni personali»: ne è convinto il magistrato Giovanni Buttarelli, 57 anni, nuovo garante europeo della protezione dei dati personali. a pagina 27 Ieri il Parlamento europeo e il Consiglio Ue hanno formalizzato la nomina di Giovanni Buttarelli come European data protection supervisor (Edps), garante europeo della protezione dei dati personali. Magistrato ordinario dal 1986, Buttarelli (classe 1957, nato a Frascati) è stato segretario generale dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali in Italia dal 1997 al 2009, e vice dell'Ufficio europeo dal 2009. È la sua prima intervista nel nuovo incarico. Risponde in collegamento Skype da Bruxelles. Privacy. Lei lo pronuncia all'inglese (pri-va-cy) o all'americana (prai-va-cy)? «Tutt'e due, a seconda della collocazione geografica del discorso». C'è chi ha commentato la sua nomina come «un successo italiano». È corretto? «Sì. Credo sia un'occasione da capitalizzare come sistema-Paese. L'Italia è sottorappresentata nelle istituzioni europee a livello amministrativo-burocratico. Questa è un'importante carica dal punto di vista gerarchico. Siamo un Paese fondatore dell'Ue. Possiamo e dobbiamo fare e contare di più nei processi decisionali». «Il Garante europeo della protezione dei dati è un'istituzione sempre più importante, ma ancora da costruire a pieno. Ragione in più per scegliere un leader carismatico», ha detto Eva Joly, membro della commissione Libe (Libertà civili, giustizia e affari interni) del Parlamento europeo. Lei è un leader carismatico, dottor Buttarelli? «I requisiti prevedevano la scelta di una persona capace di rappresentare la protezione dei dati ai più alti livelli internazionali. Mi auguro che la scelta abbia avuto successo. C'è una top ten list di esperti credibili nel mondo, ed è una lista abbastanza attendibile». Molto bene. Ma non ha risposto alla domanda. Lei è un leader carismatico? «Credo di avere attendibilità a livello internazionale per far passare questi principi su scala non solo europea. In questa materia non basta il politico affascinante che seduce, ci vuole un lavoro di lungo respiro. Sono qui dopo un investimento di oltre vent'anni». Lei si chiede in un tweet, in inglese: «Big data (una raccolta di dati tanto grande e complessa da richiedere strumenti differenti da quelli tradizionali, ndr ) è una sfida troppo grande per la protezione dei dati? La riforma Ue è abbastanza robusta/flessibile per affrontare la questione su scala mondiale?». Può rispondere a se stesso, se vuole. «Sì, la riforma europea è la risposta alla rivoluzione Big data. Non è necessario ripensare i principi di tutela dei diritti, bensì applicarli in modo completo. Ci vuole una privacy digitale, dinamica, fresca, sburocratizzata e soprattutto attenta alle nuove tecnologie. Non possiamo pensare che ogni nuova tecnologia detti soluzioni nella forma "prendere o lasciare". C'è anche una valutazione di sostenibilità, di accettabilità etica. Non possiamo avere diritti fondamentali low cost». Una priorità? «Nel post-mondo della sorveglianza globale, la riforma della privacy dev'essere assolutamente approvata entro il prossimo anno, in modo definitivo: è la mia priorità delle priorità. Applicheremo queste leggi nel mondo a chiunque offrirà beni e servizi a individui in Europa, o li profilerà. Anche se solo due dei venti big data player sono stabiliti nell'Unione. I dati sono il petrolio del futuro, il sangue vitale dei processi decisionali, ma possono essere anche un'arma nucleare». SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 21 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato INTERVISTA 05/12/2014 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 1 (diffusione:619980, tiratura:779916) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 22 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Non rischiamo il «tecnopanico», come l'ha definito Jeff Jervis? «Io non ho una "Googlefobia". Spero che il dialogo transatlantico prosegua e il Ttip (Transatlantic trade and investment partnership, Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti, ndr ) veda presto la luce: è il trattato dei trattati. Ma non a spese dei diritti fondamentali». Lei è d'accordo nel separare il motore di ricerca dai servizi commerciali di Google? «Non è una mia competenza. Diciamo però che abbiamo chiesto alle autorità che si occupano di antitrust di incorporare i principi di privacy nelle loro attività». Il Corriere in estate ha intervistato Eric Schmidt, il numero uno di Google. Ci ha detto: «Google oggi è il posto più sicuro dove mettere i propri dati». È d'accordo? «Sicuro per chi? Per chi li maneggia o per gli utenti? Se parlava degli utenti, non sono d'accordo. Credo che i nostri dati saranno sempre di più nelle nuvole, ma i nostri diritti devono stare con i piedi per terra. Non devono essere virtuali. C'è ancora poca trasparenza sull'uso delle informazioni personali, anche per giuste finalità di law enforcement ». The Economist sostiene che dobbiamo farci un esame di coscienza: le iniziative contro Google non sono un modo per difendere l'arretratezza tecnologica europea? «Un autorevolissimo esponente americano mi ha detto: "Per i prossimi 5-6 anni il dialogo sarà tra la Silicon Valley e Bruxelles. Bruxelles il centro di gravità delle regole, la California il centro delle tecnologie. Washington vedrà passare questi flussi del dialogo". L'Europa ha l'obbligo, in base al nuovo trattato di Lisbona, di legiferare. Non è una facoltà o una scelta. E credo che Google come tutti gli altri grandi player abbia tutto l'interesse ad avere regole armonizzate. Oggi dialoga con 28 Paesi, domani avrà un solo interlocutore europeo». La sua immagine dei flussi tra la California e Bruxelles è affascinante, ma a Washington, che sta nel mezzo, c'è gente abile nell'acchiappare le informazioni che passano. Dica la verità: quando ha letto dello scandalo Nsa/Datagate è rimasto sorpreso, almeno dalle dimensioni del fenomeno? «Tutti i servizi del mondo che fanno attività di intelligence devono spiare. Come magistrato ritengo che, se lo fanno sobriamente, in un quadro di maggiore trasparenza, ne guadagnano loro stessi. L'appetito bulimico delle informazioni non giova. La trasparente sobrietà aiuta ad avere credibilità nei confronti del cittadino. C'è un accordo in definizione con gli Stati Uniti (Umbrella agreement). Mi auguro di collaborare alla sua conclusione entro il prossimo anno». Diritto all'oblio. Che senso ha l'intervento della Corte di giustizia, se su Google.com tutto rimarrebbe invariato? «Pochi giorni fa, 28 autorità nazionali e la nostra autorità europea hanno approvato un documento che dice chiaramente: questo "spezzatino" non ha cittadinanza nella normativa attuale. Non possiamo operare una distinzione in base al posto in cui una società mette i server o crea il suo quartier generale. Prodotto globale, tutela globale». Google, Facebook e gli altri dovrebbero usare default setting che garantiscono la privacy, e lasciare agli utenti la possibilità di rinunciarvi (opt-in). Mentre, come sa, oggi avviene il contrario: uno è dentro e, se proprio vuole, esce (opt-out). Possiamo chiedere questo ai grandi operatori della Rete? «Non dobbiamo "chiedere" a queste società di farlo. Questa è la regola europea. Che poi queste società sviluppino applicazioni contrarie a questi principi - sulle quali poi fanno sistematicamente marcia indietro - è un'altra cosa». Lei ha un account Twitter, con soli 351 follower, il 351° sono io. L'ultimo suo tweet (in tutto sono 15) è del 21 maggio. Perché sta su Twitter, allora? «Mi aspettavo la domanda e ho la risposta pronta. Doveroso self-restraint (auto limitazione ndr ) nel corso della lunga procedura di selezione. Ora twitterò di più, promesso. Mi sono anche preso la libertà di aprire un blog personale: spero di poterlo fare all'inizio dell'anno». 05/12/2014 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 1 (diffusione:619980, tiratura:779916) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 23 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Il suo incarico viene definito dai media Data protection watchdog, letteralmente «cane da guardia della protezione dei dati». Lei è autorizzato a mordere o solo ad abbaiare? «Questa piccola Autorità abbaierà di meno. Occuparsi di diritti fondamentali non significa essere fondamentalisti. Non siamo gli ayatollah della protezione dei dati, ma vogliamo svolgere un ruolo importante. Dobbiamo essere efficaci, però. Non solo mordere, ma esserci. Non si riduce a una questione di tutela dei diritti: stiamo parlando dell'assetto della società futura. Dobbiamo prevenire forme postmoderne di totalitarismo democratico». (ha collaborato Stefania Chiale) © RIPRODUZIONE RISERVATA Chi è Giovanni Buttarelli (nella foto) è nato a Frascati nel 1957. È stato segretario generale dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali in Italia dal 1997 (anno della sua istituzione) al 2009, e vice dell'Ufficio europeo dal 2009 Buttarelli, magistrato, è stato uno degli autori della normativa italiana sulla protezione dei dati personali È già stato presidente e vicepresidente dell'Autorità comune di controllo (Acc) prevista dalla Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen Ha presieduto presso il Consiglio dell'Unione europea il Gruppo che ha elaborato la prima direttiva sulla tutela della vita privata nelle telecomu-nicazioni Non conta dove una società ha la sua sede Prodotto globale, tutela globale Nei prossimi anni il dialogo sui diritti sarà tra Silicon Valley e Bruxelles 05/12/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) Il tempo diventa l'alleato di Draghi Donato Masciandaro Se vuoi la pace prepara la guerra. Ovvero: non serve l'unanimità quando la banca centrale deve mettere in atto un'azione di politica monetaria decisiva per adempiere al proprio mandato. Il presidente della Banca centrale europea (Bce) Mario Draghi ha fatto di necessità virtù, di fronte a due fatti. Da un lato permane una situazione economica di trappola della liquidità in cui non si intravvedono significativi segnali di miglioramento, anzi. Dall'altro lato continua la situazione di trappola politica all'interno del consiglio della Bce, in cui una parte dei suoi colleghi sono ostili a misure non convenzionali di politica monetaria basate sull'acquisto di titoli. Le due trappole possono essere aggirate prendendo il tempo come alleato e operando in modo che sia le condizioni economiche sia quelle politiche siano più favorevoli all'azione monetaria. Per cui oggi non si agisce, ma già si disegna l'azione per domani. Le parole di Draghi hanno confermato che la situazione di trappola della liquidità in cui versa l'economia dell'Unione non accenna a mostrare segnali di miglioramento. C'è una trappola della liquidità quando le normali operazioni di politica monetaria non trasmettono stimoli all'economia reale. Quando i prezzi calano, in condizioni normali la Banca centrale sa cosa fare e ci riesce: immettere liquidità nel sistema. Il suo bilancio cresce, cresce la moneta e il credito, gli operatori riequilibrano i loro portafogli, aumentano gli investimenti in attività più rischiose, finanziarie e reali. La deflazione è scongiurata, cresce l'economia reale. La Bce vive nel mondo a rovescia in cui la catena di trasmissione della politica monetaria è già rotta fin dal primo anello: le dimensioni del suo bilancio sono ritenute insufficienti e l'anemia si trasmette alle variabili monetarie e creditizie, fino alla stagnazione degli investimenti reali. Con il passare dei mesi, poi, la situazione è resa ancora più incerta da due nuovi shock. Continua pagina 3 Continua da pagina 1 Da un lato vi è la caduta del prezzo del petrolio: il ribasso del costo delle materie prime è un fenomeno di cui occorre ancora capire la natura - transitoria o permanente - e gli effetti sulla dinamica delle variabili reali e nominali, che possono essere sia positivi che negativi. In più ci sono le tensioni geopolitiche, situazione russa in testa, con tutti gli effetti a catena che ne conseguono, inclusa la dinamica del tasso di cambio. Da questo punto di vista, è significativo notare come la rottura della catena di trasmissione - quindi l'effetto trappola della liquidità - colpisca anche la relazione tra tassi di cambio e variabili reali. Finora il continuo deprezzamento dell'euro non si è per nulla associato a un miglioramento delle esportazioni nette dell'Unione, che anzi sono peggiorate. In una trappola della liquidità - Draghi continua a ripeterlo - occorre muovere sia l'offerta aggregata con le politiche strutturali, sia la domanda aggregata con politiche di investimento pubbliche e private, a partire dal piano Juncker. E la politica monetaria? La politica monetaria può puntare a riparare il meccanismo di trasmissione con operazioni straordinarie. Si può puntare a dare una scossa alle aspettative di inflazione - per evitare che diventino di disinflazione - modificando l'obiettivo numerico che rappresenta la stabilità monetaria per la Bce: passare dal 2 al 3 o al 4, anche solo temporaneamente. Ma di cambiare obiettivo in Bce finora non si è parlato affatto. Un'altra strada è quella di arricchire gli strumenti della politica monetaria, affiancando alla leva dei tassi di interesse - oramai a zero - la strada degli acquisiti di titoli finanziari. L'obiettivo dell'acquisto di titoli finanziari è quello di provare a "colpire" le aspettative, e allo stesso tempo di riattivare le dinamiche virtuose di riallocazione dei portafogli che fanno fluire la liquidità verso gli investimenti rischiosi, meglio se produttivi. Ma è sull'acquisto di titoli finanziari che si presenta la trappola politica. L'acquisto di titoli ha effetti collaterali. L'acquisto di titoli pubblici ha effetti fiscali e redistributivi. L'acquisto di titoli privati ha effetti redistributivi. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 24 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato LA STRATEGIA BCE 05/12/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 25 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato L'acquisto di titoli esteri e di valute ha effetti transnazionali. Infine l'acquisto di titoli in generale può avere effetti sulla rischiosità dell'attività della banca centrale, che può riverberarsi alla fine sui contribuenti. Il problema della Bce è che essendo una banca centrale la cui azione si riverbera su più sovranità nazionali dai tedeschi ai greci - una sua azione di acquisto di titoli finanziari difficilmente può ottenere una unanimità di consensi. Questo Draghi lo sa. Per questo non ha esitato a chiarire che - escludendo operazioni in oro nessuna opzione verrà trascurata pur di difendere il mandato della Bce. L'unanimità non serve. © RIPRODUZIONE RISERVATA 05/12/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) La coperta corta è il rischio del QE di Isabella Bufacchi di Isabella Bufacchi Le banche centrali sono formidabili perchè hanno un potere infinito. In teoria, possono stampare moneta all'infinito. Questo superpotere, che sui mercati non ha eguali, le rende potenzialmente imbattibili. Continua pagina 2 Le loro minacce incutono terrore, la loro moral suasion impone rispetto. Il quantitative easing, che consiste nell'espansione del bilancio della banca centrale tramite acquisto di bond, è considerato sul mercato uno strumento formidabile proprio per le sue dimensioni, quella "size" che può ingrandirsi a dismisura per centrare il bersaglio, per raggiungere l'obiettivo. Così si è mossa la Federal Reserve con QE1, QE2 e QE3. Di "size" il presidente della Bce Mario Draghi ne ha parlato anche ieri e in più occasioni durante la conferenza stampa al termine del board. La Bce ha intenzione di far salire di circa 1.000 miliardi il suo bilancio, per tornare alle dimensioni di inizio 2012. Lo farà con un pacchetto di misure che per il momento consiste in «almeno» due anni di a cquisti di cartolarizzazioni ABS e covered bond e otto TLTRO (credito mirato all'economia) fino al giugno 2016. Il deterioramento del quadro economico (il Pil europeo che va peggio del previsto) e dell'inflazione (più bassa delle attese), l'impatto del crollo violento del prezzo del petrolio (per ora -30% in cinque mesi) e il rischio di un restringimento delle condizioni del credito in luogo di un allentamento (l'inflazione sempre più bassa può far lievitare rendimenti reali) sono tutte variabili che, se confermate, porteranno la Bce a rivedere quanto prima (forse a gennaio) le dimensioni, la tempistica e la composizione delle misure di politica monetaria nonstandard. Ma le dimensioni, la size, pur essendo potenzialmente infinite resteranno per ora circoscritte a quanto programmato. La Bce valuterà se Abs + covered bond + TLTRO nell'arco di due anni riusciranno ad aumentare il bilancio di 1000 miliardi rendendo efficace la politica monetaria non convenzionale per agevolare il credito all'economia e riportare l'inflazione attorno al 2 per cento. Ecco perchè il mercato è convinto che entro il primo trimestre del prossimo anno la Bce sarà costretta - senza voto all'unanimità - ad aggiungere alla lista degli asset acquistati i titoli di Stato degli Stati dell'eurozona. Le modalità dell'estensione del QE ai titoli sovrani sono in fase di studio e discussione nei nuovi quartieri generali della Bce: a differenza delle banche centrali di Stati Uniti, Inghilterra e Giappone, il QE europeo è unico perchè il bacino dei titoli di Stato è composto da bond di 18 Paesi con rating (affidalità creditizia) molto diversi tra loro. (Eppoi il QE in Giappone non ha funzionato, in assenza di adeguate riforme strutturali e politica fiscale). Resta la size del QE Bce. Per arrivare a quota 1000 miliardi si terrà conto delle due LTRO triennali che entro febbraio 2015 saranno estinte (mancano all'appello 200 miliardi circa di rimborsi delle banche) e dei titoli di Stato acquistati al picco della crisi del debito sovrano con il Securities markets programme e che via via vengono rimborsati (dei 100 miliardi di BTp acquistati tra la fine del 2011 e l'inizio del 2012 la Bce ne avrebbe in bilancio 70 miliardi circa). Di titoli di Stato la Bce potrebbe comprarne tra 400 e 600 miliardi, di cui la percentuale italiana difficilmente arriverebbe ai 100 miliardi del vecchio SMP. La coperta appare già corta. @isa_bufacchi [email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA Italia Spagna Acquisti Bce per Paese 88 63 1-3 28 21 3-5 23 17 5-7 18 10 7-10 19 16 Percentuale del debito emesso 8 11 Percentuale sul totale dei bond governativi 5 10 Fonte: ECB, Bloomberg, UniCredit Research Qe sui Governativi da 500 miliardi di euro Scenario 1 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 26 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato L'ANALISI 05/12/2014 Il Sole 24 Ore - Moda 24 Pag. 23 (diffusione:334076, tiratura:405061) De Benedetti: «La moda cambi passo» Paola Bottelli a «Alle aziende italiane della moda, e non solo della moda, manca la capacità di fare il salto: il prodotto da solo non basta. Servono organizzazione, processi, know how: ed è lì che molti imprenditori, anche geniali, vanno a schiantarsi». Marco De Benedetti è director e co-head dell'Europe Buyout Group di Carlyle: nel track record primeggia l'acquisizione, con successiva Ipo di successo, di Moncler, produttore di piumini di lusso, da cui il colosso del private equity è uscito definitivamente nel giugno scorso. Dal luglio 2012, Carlyle è entrato in Twin-Set, di cui ora detiene il 72% del capitale, mentre il restante 28% è nelle mani dei fondatori dell'azienda: il ceo Tiziano Sgarbi e il direttore creativo Simona Barbieri. De Benedetti, con Twin-Set puntate a replicare la performance di Moncler? Sgarbi e Barbieri sono riusciti a intercettare i profondi mutamenti imposti dall'avvento del fast fashion: catene come Zara e H&M hanno rivoluzionato il mercato e Twin-Set è stato in Italia tra i marchi in grado di competere nel canale multimarca tradizionale. Questo è avvenuto anche grazie alla capacità industriale che Twin-Set ha alle spalle, un vero punto di forza. Qual è la sfida ora? Quella di sbarcare all'estero, in primis in Europa, grazie alle stesse leve: un prodotto fresco, una supply chain che consente un prezzo contenuto e una rotazione frequente nei negozi. Il mercato si sta polarizzando: da un lato il lusso e dall'altro il value for money, con le seconde linee o linee giovani moribonde a causa dei prezzi troppo alti e dalla scarsa aspirazionalità. L'estero però è complesso... Se un marchio funziona bene sul mercato italiano, dove il consumatore è sofisticato, anche se ora compra poco, può funzionare bene anche all'estero. Quanto fattura il brand e quanto state investendo? Nel 2013 i ricavi erano di 177 milioni e gli investimenti sono una quindicina di milioni all'anno: una cifra importante, destinata sia al retail sia alle infrastrutture. E le stime 2014? In un mercato difficile come è quello attuale, Twin-Set sta crescendo del 20% quest'anno. Un risultato estremamente incoraggiante come, del resto, è stato il bond da 150 milioni emesso in luglio: non tutte le aziende italiane possono permetterselo. Quando quoterete Twin-Set? Non c'è nessuna data prestabilita ma, come in tutti i nostri investimenti, abbiamo un piano di creazione di valore: ci vorranno due anni di track record e ora siamo al primo. Prima del 2016-17 non se ne parla. Su Moncler che cosa vi aveva spinti all'investimento? Nel mondo del lusso il piumino era una delle poche categorie completamente vergini, dunque un'opportunità. E sottolineo che il nodo della monostagionalità si sta rapidamente sciogliendo, visto che ora l'estate pesa per il 35% del fatturato. Ha altri dossier sul tavolo? Come sempre molti: ci sono settori che seguiamo in modo proattivo, ma per sei mesi non arriveranno deal nella moda. Solo marchi italiani? No, abbiamo analizzato casi in Francia e ora uno in Spagna, ma l'Italia ci interessa di più per ovvie ragioni. In ogni caso le aziende devono avere capacità di crescita internazionale. La dimensione? Non siamo interessati a creare aziende da 50-100 milioni di ricavi quanto, piuttosto, a prenderle a quella dimensione e portarle a 300-400 milioni: sempre che, alla base, ci sia la capacità di differenziarsi. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 27 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato intervista 05/12/2014 Il Sole 24 Ore - Moda 24 Pag. 23 (diffusione:334076, tiratura:405061) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 28 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Molti imprenditori sono però restii a rivolgersi al private equity. Noi del private equity possiamo essere utile per portare know how a chi si è già affermato grazie a un particolare talento creativo, ma ha limiti oggettivi, sotto il profilo della cultura d'impresa, per volare alto. Per noi c'è l'opportunità di aiutarli ad avere il coraggio di osare. Il capitalismo italiano è spesso individualista... Sì, è un male italico. © RIPRODUZIONE RISERVATA Foto: Private equity. Marco De Benedetti (Carlyle) 05/12/2014 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 2 (diffusione:556325, tiratura:710716) Bce, più tempo per gli aiuti "Non serve l'unanimità per agire" Giù le Borse, Milano perde il 2,77% Cresce il pessimismo sulla crescita: rivisti al ribasso Pil e inflazione. "Acceleriamo i lavori per studiare l'acquisto di titoli pubblici" DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ANDREA TARQUINI BERLINO. Mario Draghi rinvia all'inizio dell'anno prossimo le promesse misure straordinarie della Banca centrale europea contro la crisi economica dell'eurozona, ma avverte in un monito che suona rivolto soprattutto alla Bundesbank: per deciderle non serve l'unanimità, il quantitative easing e altre decisioni non convenzionali rientrano nel nostro mandato. E sono per di più sempre più giustificate, dal momento che le prognosi dell'istituto sulla crescita nell'eurozona sono drasticamente corrette al ribasso. E riesplode puntuale lo scontro al vertice Bce tra due linee - rigorismo tedesco contro interventismo in stile Fed richiesto dall'Europa meridionale. «Oggi - ha detto Draghi - abbiamo discusso dell'acquisto di titoli di Stato e di altre attività, il direttivo è arrivato alla conclusione che su questa ipotesi serva ancora lavoro, ma acceleriamo comunque lo studio delle nuove misure». Immediata la reazione dei mercati: giù le Borse europee che hanno chiuso tutte in negativo, con Milano maglia nera: meno 2,77%. Lo spread tra gli interessi dei Bund tedeschi e i titoli sovrani italiani è prima salito da 123 a quota 130, per poi scendere a 126. Il consiglio direttivo della Eurotower, riunito ieri a Francoforte, ha deciso di lasciare i tassi centrali invariati al minimo storico, cioè 0,05% il saggio principale, meno 0,20 quello sui depositi e 0,30 il tasso marginale. Lo staff della Bce, ha detto Draghi, «ha intensificato i suoi preparativi per ulteriori misure che potrebbero, se necessario, essere attuate in misura tempestiva». Anche perché nei prossimi mesi sarà possibile un ulteriore calo dell'inflazione, legato alle aspettative sui prezzi dell'energia. Il presidente Bce ha voluto sottolineare non solo che il Consiglio «se necessario resta unanime sull'eventuale ricorso a misure non convenzionali», ma soprattutto che un eventuale "quantitative easing" è «tra gli strumenti a disposizione nell'ambito del nostro mandato» e che per essere attivato «non ha bisogno dell'unanimità nel nostro direttivo». Ogni misura eccezionale è possibile a fronte dell'emergenza, ha sottolineato Draghi, escludendo solo l'acquisto di oro. Draghi non è ottimista sulla crescita: crescita media del Pil nell'eurozona di appena lo 0,8% nell'anno che sta per concludersi, di un magro 1% l'anno prossimo e dell'1,5 nel 2016. Un taglio drastico, rispetto alle previsioni Bce di settembre che erano rispettivamente dello 0,9, dell'1,6 e dell'1,9.. La crescita si è indebolita e la chance di ripresa resta modesta anche in prospettiva, ha detto ancora Draghi aumentando preoccupazioni e pessimismo. All'inizio del 2015 la Bce valuterà di nuovo la situazione riservandosi di intervenire anche senza unanimità, e «non tollererà deviazioni prolungate della stabilità dei prezzi». Foto: AVVERSARI Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, con Mario Draghi, presidente della Bce SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 29 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato La crisi 05/12/2014 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 34 (diffusione:556325, tiratura:710716) South Stream addio Saipem si ferma Gazprom già pensa a un nuovo tracciato solo per gli amici Anche i francesi mollano l'opera Mosca vuole assicurare il gas ai regimi alleati nei Balcani LUCA PAGNI MILANO. Per l'Europa e per la sicurezza degli approvvigionamenti del gas di cui ha bisogno «non è una tragedia». Gerard Mastrallet, amministratore delegato di Suez Gaz De France, una dei leader del settore energia del Vecchio Continente il fatto che i russi vogliano rinunciare alla costruzione del South Stream, è l'autorevole conferma della posizione ai piani alti dell'Unione europea. «Non sono sicuro - ha aggiunto il numero uno del gruppo controllato dal governo francese - che il progetto potesse essere portato a conclusione. Si tratta di un investimento molto ingente e non del tutto indispensabile». Traduzione: erano i russi a volerlo a tutti i costi per portare il gas in Europa non passando più per l'Ucraina, ma con il crollo del prezzo del petrolio e dei contratti di lungo periodo per il gas (strettamente correlati) ora non sono in grado di sostenerne più i costi. Se ci fosse bisogno di ulteriori conferme dell'addio al gasdotto che avrebbe dovuto passare sotto il Mar Nero, ieri anche l'italiana Saipem - che aveva vinto la gara dell'appalto da 2,4 miliardi - ha ricevuto la notifica di sospensione lavori: «Riguarda tutti i mezzi navali ad oggi impegnati nelle attività relative alla posa delle tubazioni», si legge in una nota al mercato. Ma è solo una conferma della volontà russa. Gazprom, il colosso del gas controllato direttamente dal Cremlino, sta già lavorando alla nuova strategia. Per portare gas ai pesi dell'est Europa, soprattutto a quelli politicamente più vicini a Mosca, sta pensando un nuovo tracciato: un gasdotto che dall'Ungheria o dall'Austria scenda verso la Serbia e la Macedonia. In alternativa, il gas potrebbe arrivare dalla Turchia (esiste già un collegamento sottomarino con la Crimea russa) e da lì risalire attraverso la Grecia. Come si vede la partita è aperta: l'unica certezza in più è che le navi di Saipem che erano in viaggio verso la base di partenza in Russia invertiranno la rotta. Foto: CANTIERI FERMI Ieri Saipem, in foto l'ad Umberto Vergine, ha ricevuto lo stop ai lavori su South Stream SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 30 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato IL PUNTO 05/12/2014 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 34 (diffusione:556325, tiratura:710716) "Wind pronta a dare Infostrada per fare di Metroweb il perno di un nuovo piano per la fibra" Parla l'ad Maximo Ibarra: senza uno schema pubblico-privato non si rispetta l'Agenda digitale Anche sulle reti mobili vi possono essere sinergie tra gli operatori per sviluppare la tecnologia nostri azionisti hanno esplorato la possibilità di fare accordi con H3G ma senza risultati Le nuove offerte sono costruite per nuclei familiari con banda larga dentro e fuori casa, Tv e sim mobili GIOVANNI PONS MILANO. Le avances di Telecom Italia per la quota di maggioranza di Metroweb hanno fatto tornare d'attualità l'idea di un piano nazionale per le reti di nuova generazione. A cui potrebbe partecipare anche Wind, come rivela l'ad Maximo Ibarra. Dottor Ibarra, Wind è attiva nella telefonia fissa attraverso Infostrada. Avete anche voi un piano per sviluppare la banda larga attraverso la posa della fibra? «Siamo interessati a coprire con Infostrada le città più importanti e che danno un ritorno economico, come Milano, Bologna, Genova. Ma mi preme constatare che queste aree più profittevoli sono, ovviamente, allo stesso momento al centro dell'attenzione anche degli altri operatori. Se si procede così, si avranno in Italia 30 città cablate da quattro operatori diversi e il resto del Paese in una condizione da digital divide». L'Agenda Digitale prevede di portare la banda a 100 Mega all'85% della popolazione entro il 2020. E a 30 Mega al restante 15%. E' realistico un risultato del genere? «Non credo possa essere raggiunto questo obbiettivo se non cambiando schema e pensando a una partnership pubblico-privato. Occorre formare un veicolo che comprenda tutti gli operatori e la Cdp, che possa fare investimenti a lungo termine beneficiando anche delle risorse che, per la prima volta, il governo ha deciso di mettere a disposizione». Dopo anni di discussioni su una società della rete che doveva nascere con uno scorporo da Telecom ora la stessa Telecom e Vodafone hanno messo gli occhi su Metroweb. Si potrebbe ripartire da lì? «Secondo me sì. Metroweb può essere il germe da cui partire per realizzare la partnershipa cui mi riferivo prima. Ma dovrebbe essere aperta a tutti i principali operatori della telefonia fissa e garantire parità di accessoe tariffe competitive agli attori del mercato. Solo così si può andare oltre le 20-30 città principalie raggiungere, invece, gli obbiettivi dell'Agenda Digitale». Dunque anche Wind sarebbe interessata a entrare nel capitale di Metroweb, dove sono già presenti Fastweb e la Cdp, e insieme a Telecom e Vodafone partecipare a un piano strategico per cablare tutta l'Italia? «Sì, noi potremmo partecipare al capitale apportando gli asset di Infostrada in modo da rendere ancora più consistente il veicolo di partenza. Essendo un soggetto pubblico-privato non investirà solo nelle aree con ritorni sostenibili ma avrà una vista più lunga. Sarebbe un'operazione di sistema intelligente». E chi dovrebbe controllare la Metroweb allargata? «Le quote di partecipazione sono un aspetto tecnico, non conta se qualcuno pesa più di un altro. L'importanteè la governance: in una società di questo tipo le decisioni strategiche devono essere prese da una maggioranza qualificata e allargata. Certo, per un progetto del genere ci vuole molto pragmatismo». I vostri concorrenti diranno che volete socializzare la rete perché non avete risorse sufficienti per investire da soli. È così? «No, non è così. Ogni anno investiamo 900 milioni in tecnologia e con una gestione efficiente abbiamo fatto passi da gigante su clientie quote di mercato. Oggi Wind sui segmenti residenzialee partite Iva è molto vicina a Vodafone e Telecom. Produciamo un miliardo di cash flow all'anno con 22 milioni di clienti nel mobile, 3 milioni nel fisso e il nostro Ebitda è molto vicino a quello del secondo operatore. Abbiamo rinegoziato il debito con un risparmio di 350 milioni all'anno e stiamo vendendo le torri di trasmissione. Abbiamo puntato per primi sulla convergenza e sullo sviluppo dei canali digitali. Da cinque anni siamo primi nella customer satisfaction». Voi state vendendo le torri, Telecom le vuole quotare in Borsa come ha fatto Raiway. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 31 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato INTERVISTA 05/12/2014 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 34 (diffusione:556325, tiratura:710716) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 32 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Anche sulla rete mobile pare che gli operatori si stiano muovendo in ordine sparso. «E' vero ma anche per le reti mobili sarebbe possibile un consolidamento intelligente. Una Tower company che gestisse le reti di diversi operatori potrebbe ottenere sinergie a vari livelli, agevolando la condivisione, diminuendo il numero complessivo delle torri a vantaggio dell'ambientee dei costi di affitto, risparmiando sui costi dell'energia, di condizionamento e di manutenzione». Anche negli investimenti in tecnologia mobile si potrebbero ottenere sinergie tra i diversi operatori? «Dialogando tra operatori si potrebbero fare, con le stesse risorse, molte più cose e accelerare il processo di innovazione tecnologica. Ora siamo al 4G e già si sta parlando di 5G tra cinque anni e non più tra dieci. Per far fronte a tutti gli investimenti necessari sarebbe razionale condividere i diversi livelli di tecnologia che si posizionano sopra torri gestite da un operatore unico». Il consolidamento del mercato tlc passa anche attraverso i produttori di contenuti, come dimostrano Telefonica in Spagna e Bt e Vodafone in Gran Bretagna. Perché si sta andando in questa direzione? «Perché l'interesse dei clienti si sta orientando: un soggetto vuole usufruire di banda ultralarga indoore outdoor anche finoa 100 Mega, contenuti Tv e sim card mobili con certi volumi di Giga a disposizione. I contenuti Tv possono essere esclusivi o meno e non venire solo da Sky o Mediaset Premium ma anche dai cosiddetti Over the top». I vostri azionisti si sono parlati a più riprese con quelli di H3g per cercare di arrivare a una fusione in Italia, ma senza risultati concreti. C'è spazio per ulteriori approfondimenti? «Gli azionisti di Wind hanno dichiarato che sono state condotte esplorazioni con il gruppo H3G per eventuali joint venture che non hanno prodotto alcun risultato. Devo anche dire che con la rinegoziazione di 8 miliardi di debito, compiuta prima dell'estate, la nostra situazione oggi è tranquilla». Foto: MANAGER Maximo Ibarra è ad di Wind dal 2012 e partecipa al management board di Vimpelcom 05/12/2014 La Stampa - Ed. nazionale Pag. 1 (diffusione:309253, tiratura:418328) STEFANO LEPRI Lo scandalo di Roma ci indica quale è la vera riforma strutturale che deve fare l'Italia. Non quelle che altri Paesi ci indicano con monotona insistenza, e che tardano a mostrare effetti dove sono state attuate, ma quella che serve a noi. Occorre ripulire il nostro Stato. Corruzione della politica e inefficienza della spesa sono due facce di un problema unico. PAGINA Parlare di mafia o di cupole dà poco l'idea di questo tipo di crimine organizzato nuovo e insieme simbolico, di dove può portare il declino italiano. Scopriamo una entità razionalmente dedita a sfruttare l'unica risorsa ancora abbondante nel nostro Paese, la spesa pubblica. Possiamo sospettare che ne esistano anche altrove, magari in forma non così sguaiatamente malavitosa come a Roma. A posteriori, comprendiamo anche meglio la rabbia popolare contro le indennità degli eletti, certo da ridurre eppure indispensabili in una democrazia. Nasceva dalla sensazione che solo lì, in una nazione da lungo tempo in ristagno economico, i soldi si moltiplicassero con facilità: lo scialo dei rimborsi spese ne era, innanzitutto, un indizio. Finora, non sapevano incontrarsi l'indignazione di massa contro i «costi della politica» e i ragionamenti sull'urgenza di rivedere a fondo le uscite pubbliche. A ogni tentativo di incidere era troppo facile rispondere «prima risparmino i potenti». Vediamo ora, invece, cosche attrezzate nello spremere guadagni da qualsiasi capitolo di spesa, perfino i più nobili. Tutta la spesa discrezionale può nascondere malaffare; tutta va riveduta, resa trasparente al massimo. Ciò che Matteo Renzi ha detto sulle società partecipate degli enti locali è un buon inizio; porta tuttavia a domandare come mai i suggerimenti dati a suo tempo dal commissario alla spesa Carlo Cottarelli siano ancora dentro i cassetti. Nella precedente ondata di scandali, 1991-1992, i vecchi partiti gestivano gli affari in prima persona. Oggi, meno radicati i partiti, fluttuanti i loro consensi, il business si è fatto autonomo, cosi da garantire favori anche nell'alternanza; ben insinuato nella burocrazia, protegge anche dall'emergere di forze nuove. Senza più ideologie, «dare spazio ai privati» (purché amici) o «pubblico è meglio» diventano slogan intercambiabili a seconda delle convenienze. Soprattutto negli enti locali l'uso della spesa è troppo arbitrario, oltre che assai meno criticato dai mezzi di informazione. Attorno a Comuni e Regioni gira questo demi-monde di faccendieri privi di competenze serie in qualsiasi ramo, di imprese inadatte a competere su ogni mercato, di finte cooperative con pretesi scopi sociali, di fabbricatori di chiacchiere alla moda. In una economia intorpidita, dove far soldi con un lavoro onesto è arduo, anche per le aziende la tentazione diventa fortissima. Un arricchimento improvviso, altrove improbabile, lì si può realizzare. Troppo rischioso imbarcarsi in una iniziativa di vera innovazione; meglio attrezzarsi a inscenare una «startup» finta, che ungendo certe ruote godrà di un buon sussidio. E in tutto questo non ci sarebbe «nulla in più da tagliare»? Certo che c'è, ed è questa la via per arrivare a pagare meno tasse e per fare un po' più di investimenti validi. Tutto ciò che le amministrazioni pubbliche fanno va verificato nei suoi esiti, va giudicato dai suoi effetti: in altri Paesi questo avviene. In più, il Comune di Roma si trova in dissesto finanziario strutturale. Già prima che erompesse lo scandalo, stupiva che nessun politico di peso ambisse a esserne sindaco, carica così visibile non solo all'interno dei nostri confini. Temono che la capitale sia troppo difficile da governare? E' un caso nazionale, questo, che prima di tutto merita un esame spietato dei conti. Foto: Illustrazione di Gianni Chiostri SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 33 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato L'ASSALTO ALLA SPESA PUBBLICA 05/12/2014 MF - Ed. nazionale Pag. 1 (diffusione:104189, tiratura:173386) Luisa Leone Ok defi nitivo del Senato Le Entrate pubblicano online il modello Leone a pagina 4 Riesce a tagliare in tempo il traguardo la voluntary disclosure. Dopo un iter tormentato, ieri il Senato ha dato il via libera definitivo al testo già approvato dalla Camera dei Deputati, trasformandolo in legge. Il provvedimento, come anticipato nelle settimane scorse da MF-Milano Finanza, è stato in bilico fino all'ultimo momento e, se fosse slittato di un solo giorno, con l'entrata nel vivo della sessione di bilancio, sarebbe stato difficile portare a casa il risultato entro fine anno. Comunque le cose sono andate diversamente: nella notte tra mercoledì e giovedì le commissioni Giustizia e Finanze hanno dato via libera al testo, senza modifiche, nonostante fossero stati presentati circa 130 emendamenti (tutti respinti), tra i quali anche alcuni del Pd. Nei giorni precedenti l'esecutivo aveva invitato a proseguire senza ulteriori perdite di tempo, ritirando le proposte di modifica e promettendo che uno spazio per eventuali aggiustamenti riguardo il nuovo reato di autoriciclaggio potrebbe essere trovato nel provvedimento sulla criminalità economica. Insomma, qualche piccolo ritocco è ancora possibile, ma l'approvazione di ieri consente ai contribuenti infedeli di ravvedersi in tempo, anche perché ieri sera l'Agenzia delle Entrate ha subito pubblicato la bozza di modello per aderire alla voluntary disclosure sul suo sito. Nella richiesta di accesso alla procedura si dovranno indicare, tra l'altro, i dati del contribuente, quelli del rappresentante e del professionista, le attività estere e i maggiori imponibili e ritenute non operative. Rispettare la scadenza di fine anno era fondamentale perché le banche svizzere e lussemburghesi, in cui è depositata la gran parte delle somme nascoste al fisco italiano, avevano dato ai clienti stranieri come termine ultimo per mettersi in regola con il Paese di origine proprio il 31 dicembre 2014. Ma la legge sull'emersione dei capitali consente la regolarizzazione anche a chi avesse occultato beni in Italia e con le stesse identiche procedure e benefici. Però, come ha sottolineato ieri il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, la voluntary «non è un condono, perché chi aderisce paga tutto il dovuto»; gli sconti previsti sono infatti solo sulle sanzioni. A renderla attraente, in un contesto in cui anche gli ex paradisi fiscali stanno progressivamente dicendo addio al segreto bancario, sono piuttosto le coperture penali (totali o parziali) sui reati più comunemente legati all'evasione fiscale e soprattutto la non punibilità per l'autoriciclaggio. Infine c'è la possibilità di pagare il dovuto non in un'unica soluzione ma in tre rate. Questo per quanto riguarda i principali vantaggi il punto di vista dei contribuenti. Invece dal punto di vista dello Stato è di particolare importanza il fatto che l'approvazione della legge potrebbe avvicinare l'atteso accordo tra Roma e Berna sullo scambio automatico d'informazioni. Nel provvedimento, infatti, si prevede un trattamento di favore per chi decide di lasciare i beni in un Paese estero oggi in black list, se questo sceglie di aderire a un accordo con l'Italia entro due mesi dall'entrata in vigore della voluntary. A sottolineare questo aspetto ieri è stato il responsabile economico del Partito Democratico Filippo Taddei: «Con questa legge l'Italia potrà chiedere una rapida conclusione delle trattative in corso con la Svizzera per concludere un accordo bilaterale che consenta agli italiani che detengono disponibilità finanziarie in quel Paese un percorso ordinato e legale di emersione. In questo modo questi capitali possono tornare a rafforzare l'economia e l'impresa italiana». Un punto, quello delle risorse che la legge approvata ieri potrà portare alle casse dello Stato (si stima tra 3 e 8 miliardi di euro una tantum), che è stato toccato anche da Padoan: «Auspico che tutti coloro che sono potenzialmente interessati utilizzino questa opportunità per mettersi in regola. I proventi, che prudenzialmente non sono quantificati nel bilancio dello Stato, contribuiranno a dare sollievo alle finanze pubbliche». Infine anche il premier Matteo Renzi ha plaudito a suo modo, immancabilmente via twitter, al via libera al provvedimento sulla voluntary disclosure: «Approvato anche rientro dei capitali e autoriciclaggio. È proprio #lavoltabuona». (riproduzione riservata) Foto: Pier Carlo Padoan Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/voluntary SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 34 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato La voluntary disclosure ora è legge 05/12/2014 MF - Ed. nazionale Pag. 20 (diffusione:104189, tiratura:173386) I tre fardelli che frenano il mondo del lavoro Angelo Pasquarella* Siamo entrati nella società della conoscenza, ma ci stiamo portando dietro regole funzionali alla società industriale. Per quanto riguarda il mondo del lavoro in particolare dobbiamo sbarazzarci di tre fardelli: il reintegro, la logica delle mansioni e gli automatismi salariali. Questi tre istituti rispondono a criteri che, nella gran parte dei casi, appaiono oggi anacronistica. È anche da premettere che la classica contrapposizione tra dipendenti e datori di lavoro si sta anch'essa trasformando. Da una parte l'azienda appare oggi, in una situazione fortemente competitiva, come un bene comune che, per sopravvivere, ha bisogno di uno sforzo e di una visione comune (coinvolgimento dei lavoratori). Dall'altra parte occorre considerare il ruolo sempre più importante degli operatori della conoscenza (i knowledge worker), inquadrati nei modi più svariati, la cui natura, nei processi produttivi, è più assimilabile al capitale che al lavoro. Il valore aggiunto delle moderne merci è dato in parte minoritaria dalla combinazione capitale/lavoro e in misura maggioritaria dall'apporto di coloro che sono in grado di rendere le merci attrattive sul mercato attraverso l'aggiunta di tecnologia, arte/estetica, servizi e capacità mercantile. In buona sostanza sono i knowledge worker che consentono quel processo innovativo senza il quale non si ha la possibilità di coniugare un alto livello di produzione manifatturiera con un elevato tenore di vita. È questo capitale umano che esprime la capacità progettuale e di innovazione necessaria ad ancorare ancora le attività più tipicamente industriali all'occidente. Lo spartiacque che si è formato tra il mondo che ha caratterizzato buona parte del secolo scorso e il mondo postindustriale è costituito proprio da questa nuova combinazione tra capitale, lavoro e operatori della conoscenza. Ma torniamo ai tre fardelli e al perché dobbiamo liberarcene. Gran parte del lavoro è oggi svolto in gruppo. Si presuppone cioè che esista una piena e completa sintonia tra più operatori per ottenere un risultato utile: è la squadra che vince. Ecco perché non ha nessun senso il reintegro, anche quando non vi sia alcuna apparente giusta causa. Quando il lavoro non consiste nello svolgere con diligenza un'attività specifica eseguendo individualmente precise operazioni, ma nel collaborare con un team all'interno di una logica aziendale, un qualsiasi motivo di incompatibilità, a differenza dei lavori parcellizzati, può rendere inefficace l'azione di tutti. Il secondo fardello è rappresentato dal mansionario. Questo ha un significato all'interno di processi produttivi stabili e rigidi, che non sono soggetti a continui cambiamenti come quelli che oggi sono richiesti dalle esigenze di mercato. Le mansioni non rimangono più uguali per anni, ma la tecnologia tende a metterle in discussione. Non è quindi più funzionale operare attraverso mansionari per gestire un modello organizzativo soggetto a variazioni frequenti. Il terzo punto riguarda gli automatismi salariali legati ad anzianità e automatismi di carriera. Questo istituto risponde alla volontà di premiare la fedeltà del lavoratore in un contesto che vede staticità delle mansioni per lunghi periodi. In un contesto dinamico conviene impiegare le risorse legate agli automatismi come incentivi alla trasformazione e alla crescita professionale degli operatori. Dobbiamo però domandarci se così facendo noi stiamo mettendo in discussione i diritti dei lavoratori. Il cambiamento del contesto comporta anche un cambiamento dei diritti. I nuovi diritti dei lavoratori, più che nella stabilità (il diritto non può garantire le condizioni economiche affinché vi sia occupazione), consisteranno nella garanzia che dovremo dare di crescita professionale affinché siano sempre adeguati alle situazioni in cambiamento. Il diritto che va garantito non sarà l'occupazione, ma l'occupabilità che deriva da due aspetti: a) la garanzia a una formazione continua professionale e personale (durante tutta la vita lavorativa) basata su una politica industriale lungimirante; b) la copertura economica che garantisca un reddito nei momenti di crisi di un settore in attesa di un reinserimento in un nuovo settore o in nuove qualifiche. (riproduzione riservata) * Amministratore delegato Projectland SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 35 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato COMMENTI & ANALISI 05/12/2014 L'Espresso - N.49 - 11 dicembre 2014 Pag. 124 (diffusione:369755, tiratura:500452) UNIPOL cambia verso Più soci stranieri e meno vincoli con le coop. Così Carlo Cimbri ridisegna la compagnia. Grazie anche al filo diretto con Matteo Renzi vittorio malagutti Il cambio della guardia è andato in scena a metà novembre nell'indifferenza generale. Giusto poche righe nelle cronache fnanziarie. Ma la nomina di Giuseppe Recchi nel consiglio di amministrazione di Unipol non può certo essere liquidata come un avvenimento di routine. A fare il suo ingresso nel fortino delle coop è il presidente di Telecom, un manager di ampi e consolidati rapporti nell'alta fnanza nostrana, dagli Agnelli a Mediobanca, un uomo di relazioni che si porta in dote rapporti di altissimo livello a Wall Street come a Washington. Insomma, il nuovo consigliere di Unipol vanta una carriera distante mille miglia dall'universo cooperativo, da quello che un tempo veniva defnito il mondo della fnanza rossa. A Bologna, però, Recchi non è certo approdato per caso. A spalancargli le porte è stato Carlo Cimbri, il numero uno del gruppo assicurativo che, dopo aver completato il tormentato percorso dell'acquisizione della Fonsai dei Ligresti, adesso sta giocando una partita di potere tutta sua. Tra Cimbri e Recchi, va detto, c'è un'intensa frequentazione, se non un'amicizia, nata negli ultimi due anni e coltivata grazie a numerosi incontri anche al di fuori delle occasioni uff ciali. Di recente, per dire, il capo di Unipol non ha mancato di partecipare alla presentazione del saggio sulla politica energetica nazionale dato alle stampe dal manager torinese, che per tre anni, fno al maggio scorso, è stato anche al vertice dell'Eni come presidente. La poltrona assegnata, a sorpresa, al presidente di Telecom non rappresenta però solo il frutto di un legame personale. Negli ambienti fnanziari, l'ingresso di Recchi nel board della compagnia delle Coop viene letto come un segnale chiaro di rottura rispetto al passato, la spia di un cambiamento che, peraltro, non ha certo preso le mosse adesso. Del resto un motivo ci sarà, se Cimbri si sta guadagnando sul campo il sopran nome di "Marchionne delle polizze". Come il numero uno di Fiat Chrysler, anche l'amministratore delegato del gruppo bolognese, un colosso che vale in Borsa oltre 6 miliardi di euro, sembra sempre più insofferente alle tradizionali regole del gioco. E allora il gran capo di Unipol annuncia, proclamandolo a tutta pagina dalle colonne del "Sole 24 Ore", che la compagnia bolognese si prepara a dare l'addio all'Ania, l'associazione di categoria delle assicurazioni. Ad aprire la strada, due anni fa, era stato Marchionne, che ha scelto di abbandonare al suo destino la Confndustria. La svolta di Unipol è arrivata proprio alla vigilia dell'apertura delle trattative per il rinnovo del contratto di categoria. E i sindacati, ovviamente, hanno accolto la notizia con una certa preoccupazione. Il timore è che Cimbri abbia intenzione di andare dritto allo scontro, abbandonando garanzie e mediazioni del passato. Si vedrà. Di certo il manager ha chiuso in gran fretta la pratica Ania, liquidata come un organismo pletorico che esprime, parole sue, «una politica sostanzialmente conservatrice». Il vento nuovo della politica non è estraneo a queste scelte di rottura. E se Marchionne ha fnito per diventare un punto di riferimento fsso per Matteo Renzi, anche Cimbri sembra ansioso di allinearsi al nuovo che avanza. La presenza al governo di un ministro targato Coop come l'ex presidente della Lega nazionale, Giuliano Poletti, non può che facilitare l'intesa con Palazzo Chigi. E d'altra parte anche i vertici del gruppo assicurativo hanno già dimostrato con cretamente il loro sostegno alla politica governativa. Il 6 novembre scorso il presidente di Unipol, Pierluigi Stefanini, ha partecipato alla cena di fnanziamen to del Pd, staccando un assegno da mille euro. E qualche settimana prima Cimbri era tra le decine di vip invitati al matri monio di Marco Carrai, l'amico intimo che affianca il premier sin dai primi passi della sua carriera nelle istituzioni. Del resto, nell'ultimo anno, il manager di Unipol ha già avuto occasione di incontrare il presidente del Consiglio, con cui ormai può vantare un rapporto diretto. I loro obiettivi appaiono in buona misura comuni. L'uno e l'altro, si stanno dando un gran da fare come rottamatori. Renzi, con le sue scelte di politica economica e del lavoro, ha messo all'angolo il variegato schieramento etichettabile come sinistra Pd. E intanto anche il capo dell'Unipol si sta muovendo senza riguardi nei confronti di quella parte del movimento cooperativo più vicina al vecchio nucleo dirigente SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 36 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Economia assicurazioni 05/12/2014 L'Espresso - N.49 - 11 dicembre 2014 Pag. 124 (diffusione:369755, tiratura:500452) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 37 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato dei Democratici. Negli ultimi mesi per esempio, Cimbri non ha fatto mistero di puntare all'ingresso nell'azionariato della compagnia di nuovi investitori istituzionali stranieri. E la nomina di Recchi in consiglio sembra studiata apposta per attirare i grandi fondi anglosassoni, con cui il presidente di Telecom ha da tempo stabilito ottimi rapporti. Sono i soldi, adesso, a fare la differenza rispetto ai vecchi e consolidati rapporti tra Unipol e il mondo cooperativo.Le grandi coop di costruzioni azioniste del gruppo assicurativo, stremate dalla crisi, non hanno più la forza fnanziaria di dettar legge come un tempo. Anzi, la compagnia guidata da Cimbri, con i suoi ricchi bilanci, è diventata per loro una sorta di scialuppa di salvataggio che può garantire liquidità sotto forma di dividendi. Se la passano un po' meglio i colossi della grande distribuzione come Coop Adriatica e Coop Nordest, proprietarie anche loro, direttamente o tramite le holding Holmo e Finsoe, di importanti pacchetti di titoli Unipol. In tempi di magra però è essenziale che le cedole distribuite dalla compagnia di assicurazioni salgano il più velocemente possibile ai piani superiori per alimentare i bilanci delle coop. Non è un caso, allora, che lunedì primo dicembre sia stato annunciato il riassetto della catena di controllo del gruppo assicurativo. In sostanza, la holding Finsoe, a cui fa capo il pacchetto di maggioranza della compagnia, è destinata a sciogliersi e i titoli di Unipol verranno assegnati alle grandi cooperative azioniste. Una mossa di questo tipo era da tempo attesa sui mercati, così come veniva data come imminente anche l'altra no vità comunicata insieme alla semplifcazione della struttura azionaria. Entro poche settimane, infatti, sarà varata la conversione in ordinarie delle azioni di risparmio UnipolSai. Anche la controllante Unipol Gruppo Finanziario (Ugf) prevede di togliere dal listino i propri titoli privilegiati, che saranno scambiati con quelli ordinari. Cimbri si dice fdu cioso. «La nostra offerta è congrua», ha dichiarato agli analisti. Il gruppo comunque ha già stanziato 60 milioni da destinare ai soci che preferiranno uscire di scena cedendo le loro azioni piuttosto che aderire alla conversione. A questo punto il numero uno di Unipol è atteso al varco anche di un'altra importante novità. Al momento, infatti, Cimbri comanda con i gradi di amministratore delegato, sia nella holding Ugf, sia in UnipolSai, la società a cui fa capo il business delle polizze. Una simile concentrazione di poteri non ha eguali tra i gruppi fnanziari quotati in Borsa. Per questo già mesi fa l'Ivass, l'Authority che vigila sulle compagnie di assicu razioni, aveva chiesto che il manager rinunciasse a uno dei due incarichi. Una prima indicazione in questo senso risale al giugno 2012, a cui ha fatto seguito un nuovo intervento della stessa Ivass, un anno dopo. Adesso tocca a Cimbri fare fnalmente un passo indietro. Foto: A. Casasoli/FotoA3 Foto: N.Cambi/Massimo Sestini, FotoA3 Scatole cinesi addio 12,1 % Coop Nordest 10,7 % Cefa Capital Services Coop Adriatica 12,5 % Holmo Finsoe 3,22 % Unipol Sai Altre 30 cooperative 73,2 % 23,8 % 31,4 % 63 % 14,7 % 53 % Manutencoop Altre 24 cooperative Unipol Gruppo Finanziario L'assetto di controllo di UnipolSai è destinato a cambiare entro l'anno prossimo. Infatti, secondo quanto annunciato lunedì primo dicembre, la holding Finsoe, che possiede la quota di controllo del gruppo assicurativo si scioglierà e i titoli di Unipol Gruppo Finanziario (Ugf) verranno assegnati alle cooperative azioniste della stessa Finsoe. Verrà così eliminata almeno una delle due scatole finanziarie che compongono la complessa catena finanziaria che dalla capofila Holmo porta fino ad UnipolSai, la società nata dalla fusione con la Fonsai dei Ligresti a cui fa capo il business delle polizze. Foto: In Alto A destrA: lA torre unIpol A bolognA, sede del gruppo. A sInIstrA: CArlo CImbrI Foto: nEl consiglio Entra il prEsidEntE di tElEcom, giusEppE rEcchi. chE vanta strEtti rapporti con i fondi usa GIUSEPPE RECChI, PRESIDENTE TELECOM E NEO CONSIGLIERE UNIPOL. SOTTO: IL RENzIANO MARCO CARRAI 05/12/2014 L'Espresso - N.49 - 11 dicembre 2014 Pag. 128 (diffusione:369755, tiratura:500452) Che affare LE onlus Il governo studia la riforma delle imprese solidali. E scatena lo scontro interno al terzo settore. In nome del business roberta carlini Confindustria già lo chiama «il quarto settore», per dire che quello conosciuto come «terzo» - il mondo della solidarietà e delle onlus - appartiene ormai al passato. Colossi della fnanza internazionale accorrono, alla ricerca di nuovi campi da dissodare. Ci puntano i governi, per affdare a qualcun altro i servizi tagliati dalla crisi delle casse pubbliche. Arrivano gli istituti di credito, attratti da soggetti che - nonostante le apparenze nel ripagare i debiti si rivelano spesso più affdabili di tutti gli altri. Persino i palazzinari, fniti i tempi di rendimenti a doppia cifra degli afftti, si accontenterebbero del 3-4 per cento che può venire dall'housing sociale, come si chiamano le moderne case popolari. Sanità e cultura, volontariato e flantropia, polisportive e assistenza sociale, servizio civile e alta fnanza: per l'intero universo della solidarietà è arrivato il momento di cambiare defnitivamente faccia, dando il via a una nuova corsa all'oro. Perché nel non proft, sta arrivando il proft. Lo sparo di partenza l'ha dato Matteo Renzi, presentando la legge di riforma del Terzo Settore nella sua prima manovra fnanziaria, quella degli 80 euro per intendersi. «Non dobbiamo dire "uh che carini quelli del Terzo settore", ma "il Terzo settore crea lavoro"», aveva detto il premier. E il lavoro, in effetti, il mondo solidale lo mantiene più degli altri: con un aumento degli occupati del 40 per cento dal 2001 al 2011 (ultimo anno preso in considerazione dal censimento pubblicato nel 2014 dall'Istat), è stato l'unico al riparo dalla prima fase della crisi. Il censimento chiarisce dove e perché crescono «i carini» del terzo settore, che da solo fa il 4,7 per cento del Pil. Sono oltre 300 mila entità, 680 mila i lavoratori dipendenti e 270 mila gli esterni, ai quali si aggiungono 5 milioni di volontari. Il grosso si affolla nella voce "cultura, sport e ricreazione", e qui dentro c'è di tutto: dal circolo della birra alla cooperativa di giovani studenti che tiene aperte le catacombe sotto il quartiere Sanità, a Napoli. Ma gli occupati e i soldi stanno soprattutto nella sanità, nell'assistenza e nell'istruzione: ci si concentrano i tre quarti dei lavoratori. La sanità è quella che ha la quota più ampia di risorse, con un fatturato di 11 miliardi. Ci sono le classiche cooperative che lavorano per gli ospedali e i Comuni, ma anche le tante che vendono direttamente sul mercato. Realtà economiche grosse, che coprono uno spazio che si amplia sempre di più, mentre lo Stato taglia le spese per il welfare. Per tutti arriva la novità più consistente della riforma: la trasformazione in "impresa sociale". Che signifca la caduta di alcuni paletti fnora rigidi: il divieto di distribuire proftti e la democrazia interna, assicurata dal principio "una testa, un voto". Resteranno solo alcuni limiti, per salvaguardare l'aggettivo "sociale". Già, ma quali? La patata bollente è adesso in mano al parlamento. Che ha appena ultimato una sflza lunghissima di audizioni, dall'Arci al notariato, da Confndustria a Banca Etica, dalla comunità di San Patrignano all'associazione Libera di don Luigi Ciotti. E si è diviso - così come è diviso il mondo del non proft - non mancando di provocare la consueta spaccatura nel Pd. Come ha notato il settimanale "Vita", organo del non profit e grande sponsor della rivoluzione economica, la riforma è al momento nelle mani della minoranza democratica, che è maggioritaria nella Commissione Affari sociali della Camera: deputati molto vicini alle realtà di base del non proft ma anche alla sua burocrazia, cresciuta negli anni e resistente al cambiamento. Mentre l'ala più pro-market è da sempre ben presente agli incontri renziani della Leopolda. Ma la questione va oltre il gioco politico del momento. La si può vedere come una sfda tra pro-market e pro-social; innovatori e conservatori; entusiasti e dubbiosi; il nuovo mondo della "fnanza d'impatto sociale" e il piccolo mondo antico dei circoli Acli e Arci; chi vuole aprire senza remore al nuovo, e chi invece tenta di mettere degli argini ai nuovi furbetti in salsa sociale.Se ha fatto scalpore il Circolo del golf di Torino che riceve il 5 per mille (vedi articolo a pagina 130), cosa succederà quando vedremo i fnanzieri di Goldman Sachs o i consulenti di Ernst & Young dentro le case popolari, gli ambulatori sanitari, l'accoglienza? Non è uno scenario lontano. Né da temere, dice Giuseppe Guerini, presidente del colosso della cooperazione sociale Federsolidarietà. Che vede bussare alla sua porta più SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 38 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Economia nuovi mercati 05/12/2014 L'Espresso - N.49 - 11 dicembre 2014 Pag. 128 (diffusione:369755, tiratura:500452) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 39 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato fnanza che imprenditori: «Lo si può capire. La capacità di restituire i prestiti ottenuti, nel settore, è altissima. Dunque c'è tutta una parte di fnanza che è interessata, perché cerca nuovi campi d'azione e ne guadagna in reputazione». Altro che lavoratori ai margini. Quello dell'impresa sociale «è un modello di sviluppo per il Paese», fa eco Stefano Granata, presidente del consorzio Cgm. Che non è solo il più grosso aggregato di cooperative sociali; è anche, da tempo, l'apripista di un modello ibrido, che mette insieme mercato e sociale. Un modello radicato nel cattolicesimo lombardo, che da un po' cerca di emancipare le cooperative sociali dalla dipendenza dal committente pubblico. Hanno messo su Welfare Italia, una rete con 25 centri sanitari in tutto il Paese, per dare prestazioni private a prezzi competitivi con il ticket. Lavorano con la multinazionale Gaz de France in Toscana, per le piccole centrali a energie rinnovabili legate all'agricoltura. Granata fa un esempio attuale, visto quel che accade nelle case popolari: «L'housing sociale può attrarre capitali privati, che una volta avevano ritorni fno al 40 per cento ma adesso non guadagnano niente. Allora diventa appetibile una formula in cui si prevedono afftti dimezzati rispetto a quelli di mercato: noi garantiamo la piena abitabilità e l'accompagnamento sociale, loro hanno un rendimento attorno al 3-4 per cento». I cattolici di Cgm sono in prima fla, tra i sostenitori pro-market. La loro tradizione di "ibrido" tra proft e non proft non ha avuto diffcoltà a intendersi con la nuova moda della "finanza d'impatto sociale", il cui principale sponsor politico è il leader conservatore inglese David Cameron, che ha fortemente voluto una task force apposita del G8: il suo board italiano è presieduto da Giovanna Melandri, che dal 2012 è nel ramo "economia sociale" con la Human Foundation. Assidua agli incontri è anche Letizia Moratti con San Patrignano. Ultrà della riforma, chiamato da Renzi a suo testimonial, è poi l'imprenditore Enzo Manes, leopoldino, flantropo del forentino Dynamo Camp. E poi Confndustria, che con San Patrignano ha dedicato una giornata di studi alla nascita del "quarto settore". «A noi non preoccupa la contaminazione, lo sbarco nel proft lo abbiamo fatto da quando siamo nati», dice Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica, «ma attenzione: se si perdono le caratteristiche proprie del sociale, radicamento col territorio, trasparenza e coerenza, si perdono anche i vantaggi competitivi del nostro settore». Con il che, si introduce il nodo cruciale su cui ci si sta scontrando. Edo Patriarca - uno dei deputati della pattuglia non proft, una provenienza scout che lo avvicina al premier e la presidenza del Centro nazionale per il volontariato che lo rende sensibile alle ragioni dei puristi - lo riassume così: «Conta solo quello che si fa o ciò che si è?». Sulla prima soluzione, c'è tutto il mondo pro-market: basta misurare l'impatto sociale di un'impresa, non interessa la sua carta d'identità. Arriveranno dunque, con la nuova legge, criteri di misurazione certifcabili, rintracciabili, dell'impatto sociale: una specie di "socialometro". Per dire, i ras delle cliniche alla Angelucci potrebbero entrare in una non profit della sanità: basta che producano "impatto sociale". L'altra strada - chiarire cos'è un'impresa sociale - è anch'essa problematica. Da tempo il terzo settore puro ha perso la sua identità, e non solo per le coop truffaldine o quelle che legavano gli anziani ai letti: «Non mi preoccupano tanto i cattivi quanto i buoni», dice Giovanni Moro, autore di un libretto dal titolo provocatorio: "Contro il non profit", nel quale si denuncia la perdita dei contenuti di utilità sociale e il marketing della bontà. Dunque, come valutare i "buoni" adesso che si perde anche l'ultimo baluardo, il non proft? Il testo del governo prevede che le attuali coop sociali si trasformino di diritto in imprese sociali: dunque sono salve, anche se a volte la loro utilità collettiva lascia assai a desiderare. Per il futuro, più che fssare requisiti ci si affda a dei paletti. Guerini, dalle coop, propone «un tetto agli utili che si possono distribuire: al massimo il 40 per cento». Patriarca, gran cucitore tra le due anime del non proft, invita tutti a non avere tabù, in particolare sugli utili, ma non vuole che nell'impresa sociale possa arrivare uno, comprare quote e comandare: «Serve una governance trasparente, non si può affdare tutto il controllo a chi ha la maggioranza». Punto su cui il sottosegretario Luigi Bobba, che ha traghettato questa riforma dal governo Letta a quello di Renzi, si limita a dire: basta garantire che le imprese non siano scalabili. Quanto alla quota di proft dentro il non proft, sarà di tutto rispetto: «Mi pare ragionevole che possano redistribuire non più della metà dei propri utili; e dare rendimenti non superiori a quelli dei buoni postali fruttiferi, aumentati del tasso di infazione». Così fatte, le imprese sociali sono pronte, dice Bobba, ad allargarsi oltre i settori tradizionali dell'assistenza, e sbarcare «nel microcredito, inserimento lavorativo, commercio equo, housing sociale ed agricoltura sociale». E i fondi? 05/12/2014 L'Espresso - N.49 - 11 dicembre 2014 Pag. 128 (diffusione:369755, tiratura:500452) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 40 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Il tesoretto da 500 milioni, promesso da Renzi con l'annuncio della riforma, ancora non c'è. Ci sono 50 milioni stanziati nella legge di stabilità: il resto arriverà, dice Bobba, mettendo insieme banche, la solita Cassa depositi e prestiti, fondazioni bancarie, altri soggetti interessati. Così, con pochi soldi, il governo potrebbe portare a casa una riforma ad altissimo consenso: il vasto mondo che, tra titolari, lavoratori e volontari, gira attorno al non proft, interessato soprattutto al riordino della bolgia attuale ma non indifferente alle potenzialità della trasformazione in impresa sociale; il piccolo ma infuente pianeta di chi vuole entrare nel business; un po' più deflati, gli innovatori dell'economia sociale, quelli che - per dirla con Flaviano Zandonai, ricercatore ed esponente del vivace mondo delle coop sociali del modello trentino - da tempo aspettano "il loro Oscar", inteso come Farinetti. Per fare con la solidarietà quel che il creatore di Eataly ha fatto con lo slow food: un affare. Foto: S. Pavesi/Contrasto, FotoA3, Imagoeconomica Foto: S.Dal Pozzolo/Contrasto SoPrA: letIzIA morAttI. In Alto: dIStrIbuzIone dI CIbo A mIlAno. A SInIStrA: gIovAnnA melAndrI Quanto lavoro Altri 6,7% Ambiente 0,6% Assistenza sociale e protezione civile 33,1% Cultura e sport 6,7% Suddivisione dei lavoratori dipendenti delle associazione non proft per settore di attività Totale addetti 680.000 Sanità 23,3% Istruzione e ricerca 17,8% Sviluppo economico e coesione sociale 10,8% Fonte: Istat Foto: la CaSa Famiglia "CaPitano ultimo", a roma cadrà il diviEto di distribuirE i profitti. E i puristi tEmono la scalata dEi potEnti allE istituzioni sociali 05/12/2014 L'Espresso - N.49 - 11 dicembre 2014 Pag. 36 (diffusione:369755, tiratura:500452) Vado, ritorno e Pago caro Avevano sfruttato le favorevoli leggi del Lussemburgo. Poi, per regolare i conti col fisco italiano, 35 aziende hanno dovuto versare 2,5 miliardi. Ecco le loro storie paolo biondani e leo sisti Due mesi fa, mentre si preparava a diventare presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker ha respinto sdegnato ogni critica alla piccola ma ricchissima nazione di cui è stato premier dal 1995 al 2013: «Nessuno è mai stato in grado di convincermi che il Lussemburgo sia un paradiso fscale. Il Granducato adotta misure in linea con la legge europea». Poi è esploso lo scandalo Lux-leaks: 86 giornalisti del network "Icij" (per l'Italia, "l'Espresso") hanno rivelato gli accordi segreti (in gergo, "tax ruling") tra il fsco lussemburghese e migliaia di grandi aziende a caccia di esenzioni sulle tasse. Ma il ministro lussemburghese delle fnanze, Pierre Gramegna, resta certo che l'Europa di Juncker assolverà il Granducato: «Le accuse rivolte al Lussemburgo si dimostreranno infondate. Siamo fiduciosi che la Commissione europea concluderà che nessun privilegio fiscale è stato concesso alle società che hanno chiesto i tax ruling». I due politici hanno senz'altro ragione, nel senso che il sistema fscale del Granducato ha sicuramente rispettato tutte le norme lussemburghesi. Il problema è che in molti casi sembra avere violato platealmente le leggi di altri Paesi, a cominciare dall'Italia. Con distorsioni e abusi sistematici delle direttive europee che regolano le imposte sulle società. "L'Espresso" ha schedato decine di istruttorie aperte dal fsco italiano contro aziende nazionali o gruppi multinazionali accusati di essersi autoridotti le tasse, in sostanza, utilizzando apposite strutture societarie create in Lussemburgo. Il problema riguarda anche altri Stati importanti dell'Unione europea, come Irlanda, Olanda e Gran Bretagna. In tempi di crisi nera e bilanci in rosso, tutti i governi interessati respingono accuse e sospetti di voler attirare aziende straniere offrendo una sorta di elusione legalizzata delle imposte. Sta di fatto, però, che in Italia almeno 35 grandi società, fnite sotto accusa per queste forme di "shopping fscale", hanno accettato di versare al nostro erario, per mettersi in regola, non meno di due miliardi e 545 milioni di euro solo negli ultimi cinque anni. Si tratta di un bilancio parziale, perché riguarda solo i gruppi di maggiori dimensioni e comprende solo le somme già incassate dallo Stato italiano attraverso indagini fscali recenti e conoscibili. Al conto si potrebbero aggiungere altri 897 milioni contestati solo ad alcune delle stesse 35 grandi aziende, ma non ancora riscossi. Mentre molte altre inchieste, anche penali, sono ancora segrete. In questo elenco, inoltre, non rientrano le accuse di frode internazionale per nascondere capitali all'estero, magari in paesi offshore, come quelle che hanno portato a sequestrare alla famiglia Riva il miliardario "tesoro dell'Ilva": i casi qui considerati, invece, riguardano solo i benefci ottenuti in Europa alla luce del sole. Vantaggi che il fsco italiano considera abnormi, ma che per Lussemburgo, Olanda o Irlanda, sono del tutto legali. I RE DELLA MODA Molte grandi firme del made in Italy hanno "ottimizzato" le tasse spostando in altri Paesi europei, soprattutto in Lussemburgo, le società che commercializzano marchi e licenze, le tesorerie fnanziarie o le casseforti personali dei proprietari. Al primo posto nella classifca delle riscossioni, almeno per ora, c'è il gruppo Prada, che l'anno scorso ha versato al fsco italiano circa 470 milioni. L'istruttoria riguardava la quotazione della grande casa di moda alla borsa di Hong Kong, che ha fruttato ricchissime plusvalenze, incassate all'estero tramite società olandesi e lussemburghesi. Un caso aperto da una verifca della Guardia di Finanza, che nel luglio 2013 sequestrò i computer del commercialista milanese del gruppo. Ora la stilista Miuccia Prada e il marito manager Patrizio Bertelli non solo hanno sanato la pendenza fscale con quel versamento record, ma hanno anche riportato in Italia la catena societaria di controllo, come precisa la società a "l'Espresso". In questi mesi anche il gruppo Armani ha regolarizzato i suoi rapporti con l'estero saldando all'erario italiano circa 270 milioni: nel mirino c'erano i fussi fnanziari a favore di tre gruppi di società consociate tra l'Europa e Hong Kong. Ammonta a 56 milioni, invece, la somma sborsata dalla famiglia Marzotto per chiudere la pendenza fscale sulla società lussemburghese Icg, creata per incassare i proftti della vendita del gruppo Valentino al fondo Permira. Quest'ultimo ha poi rivenduto la stessa casa di moda a SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 41 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Primo Piano scandalo luxleaks 05/12/2014 L'Espresso - N.49 - 11 dicembre 2014 Pag. 36 (diffusione:369755, tiratura:500452) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 42 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato un gruppo del Qatar. Sempre Permira ha versato al fsco italiano altri 70 milioni per una vertenza sui fussi fnanziari con il Lussemburgo e le isole britanniche. Altri due fondi esteri molto attivi nelle scalate a grandi aziende italiane hanno aderito in questi anni ai verbali notifcati dal nucleo di Milano della Finanza: Apax ha versato 12 milioni, Bc Partners altri 17. Anche Domenico Dolce e Stefano Gabbana, pienamente assolti dalla Cassazione nel processo penale, hanno versato circa 40 milioni di Iva, contestata dal fsco italiano alla loro struttura lussemburghese. Resta invece aperto un contenzioso-bis da 340 milioni per le imposte sui redditi. Nel 2004 infatti, per gestire i marchi D&G, era stata creata in Lussemburgo la società Gado, che pagava solo il 4 per cento di tasse. Comunque il verdetto fscale defnitivo riguarderà solo il passato: anche i due stilisti infatti hanno già rimpatriato le loro ex lussemburghesi. Intanto Bulgari, acquistata nel 2012 dal gruppo francese Lvmh, ha versato 42 milioni al fsco nazionale: sotto accusa c'era lo spostamento, in una tesoreria del Granducato, di una robusta quota dei proftti incassati in Italia. EDITORIA E INTERNET Tra le indagini in corso, le più importanti riguardano i colossi della rete, che raccolgono miliardi in tutto il mondo attraverso società lussemburghesi o irlandesi, pagando tasse minime. Ad esempio Google, che in Italia ha entrate pubblicitarie stimate in oltre un miliardo, nel 2013 ha versato al nostro fsco meno di due milioni, Apple 4,8 milioni, Amazon 840 mila euro, Facebook 170 mila, eBay zero. In casi come questi l'arma dei nostri inquirenti è il concetto di «stabile organizzazione»: quando un gruppo estero sostiene che in Italia ha solo uffci di rappresentanza o società di servizi, il fsco può ribattere che si tratta di una vera azienda, non dichiarata. Per questo l'Agenzia delle entrate ora ha denunciato Apple alla Procura di Milano, che ha aperto un'inchiesta per evasione: sotto accusa 225 milioni di tasse non pagate, nel solo biennio 20112012, su un presunto imponibile di oltre un miliardo. La Guardia di Finanza sta indagando anche su Amazon, Google e altre società di Internet, ma queste istruttorie sono ancora segrete. Per ora eBay è l'unico big di Internet che ha dovuto liquidare 4 milioni al fsco italiano per i soli proftti del 2009. Intanto la sede fiscale del gruppo si è spostata in Svizzera. E la nostra Agenzia delle entrate continua ad approfondire. Stessa situazione per la Walt Disney, che in Italia si presenta come società di servizi: senza ammettere alcuna colpa, la società americana ha comunque sborsato all'erario italiano circa 25 milioni. Apple, interpellata da "l'Espresso", dichiara che «paga ogni dollaro ed euro di tasse dovute», «è continuamente oggetto di verifche in tutto il mondo» e in Italia ha già vinto un processo fscale per gli anni 20072009, per cui è «sicura che l'accertamento in corso giungerà alla stessa conclusione». Google defnisce «normale che un'azienda sia sottoposta a controlli fscali» e chiarisce di aver pagato «2,6 miliardi di dollari di tasse, pari al 20,4 per cento degli utili, solo nei primi nove mesi del 2014, la maggior parte negli Stati Uniti», mentre in Europa «rispetta le normative di tutti i Paesi» e ha stabilito la sede in Irlanda per benefciare degli «incentivi fscali utilizzati da molti governi per attrarre investimenti che creano lavoro e crescita: se ai politici non piacciono queste leggi, hanno il potere di cambiarle». La Disney invece precisa che «le maggiori imposte corrisposte» riguardano «transazioni con società del gruppo sottoposte a tassazione piena negli Stati Uniti e in Gran Bretagna». Negli anni d'oro dell'editoria, anche le aziende italiane hanno aperto società lussemburghesi. Il gruppo Cir (editore de "l'Espresso") ha chiuso la relativa vertenza versando all'erario italiano 12 milioni. Mentre Mediaset per la sua lussemburghese ha pagato 21 milioni. INDUSTRIE MULTINAZIONALI In questi casi tra le pratiche sotto accusa c'è il "transfer pricing": prezzi e costi ricaricati, nei rapporti tra società dello stesso gruppo, per trasferire i proftti italiani alla casa madre o comunque all'estero. Per uscire da una vertenza di questo genere il gruppo americano Verizon ha saldato al fsco italiano 41 milioni. Arcelor Mittal, che opera nel nostro paese attraverso una holding lussemburghese, ha pagato 47 milioni. Altri 38 sono arrivati da Glencore, che ha la base fscale in Svizzera. Mentre Ikea Italia, che a Lugano ha la centrale europea per gli acquisti, è al centro di indagini fscali non ancora concluse, per somme che al momento si aggirano sui 100 milioni di euro. Nell'ottobre 2014 il patron di Luxottica, Leonardo Del Vecchio, ha staccato un assegno di 146 milioni per chiudere un contenzioso sui dividendi incamerati in Lussemburgo dalla sua società-cassaforte Delfn. La stessa holding di famiglia aveva già versato al fsco italiano altri 235 milioni per sistemare una pendenza del 2009 nata proprio dal trasloco della capogruppo dall'Italia al Lussemburgo. Il gruppo Techint della famiglia Rocca ha sanato con 25 milioni 05/12/2014 L'Espresso - N.49 - 11 dicembre 2014 Pag. 36 (diffusione:369755, tiratura:500452) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 43 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato una questione fscale maturata nel 2010: sotto tiro la tassazione di oltre mezzo miliardo di dividendi che dall'Italia, via Lussemburgo, risalivano a tre società delle Antille Olandesi, capeggiate dalla San Faustin di Curaçao. Dopo il 2010 la catena di controllo del gruppo, a cui fanno capo le italiane Techint, Tenova e le cliniche Humanitas, è traslocata dai Caraibi in Lussemburgo. Proprio da qui è tornata in Italia, nel 2012, la holding Sintonia della famiglia Benetton, che negli stessi mesi ha chiuso una lite tributaria su quella società lussemburghese girando al nostro fsco quasi 20 milioni di euro. Tra le «stabili organizzazioni in Italia», invece, il primato spetta alla tedesca Bosch, che ha versato ben 324 milioni. E poi ha subito la beffa di non vedersi riconoscere in Germania quelle tasse italiane. Anche Wind ha avuto grossi problemi per il travaso di ricavi a favore di consociate estere, in particolare lussemburghesi, attive nel periodo in cui era controllato dal magnate egiziano Sawiris. Dopo essersi opposto a rilievi per oltre un miliardo, il gruppo si è messo in regola con il fsco italiano versando, in totale, circa 200 milioni. Fastweb invece ha composto le sue vertenze tributarie con circa 70 milioni, che si aggiungono alle somme sborsate dal suo ex azionista Silvio Scaglia, assolto da ogni accusa penale per l'affare Mokbel: un assegno di 63 milioni, calcolato sulle plusvalenze da lui incassate in Lussemburgo mentre si dichiarava residente a Londra. BANCHE E FINANZA In questo ramo molte indagini scottanti sono ancora in corso. Tra quelle più recenti e non più segrete spiccano le verifche fscali su una società irlandese di Mediolanum, sotto tiro per 344 milioni di redditi esentasse, che le Fiamme Gialle considera imponibili. Il gruppo fondato da Ennio Doris precisa di considerare tutte le accuse «illegittime», di averle contestate anche attivando un «arbitrato europeo» e comunque, per prudenza, ha «già accantonato a bilancio circa 60 milioni». La banca Fortis è invece al centro di un caso notevole di "dividend washing": ci sono società offshore che sembrano vendere azioni di società italiane proprio alla vigilia della distribuzione dei dividendi, abbattendo così le tasse a poco più dell'1 per cento; ma subito dopo le ricomprano. Il tutto, grazie a un contratto speciale che in pratica consente di spartirsi quel "risparmio fscale". Alla fne la banca, che agiva per conto di ricchi clienti, è scesa a patti impegnandosi a riconoscere all'erario un totale di 240 milioni. Mentre pochi giorni fa l'italiana Azimut, «solo per uscire dall'incertezza e senza alcun riconoscimento» di colpe, ha chiuso una vertenza sul "transfer pricing" accettando di sborsare 117 milioni. Tutte le società citate in questo articolo, interpellate da "l'Espresso", dichiarano di aver sempre rispettato la legge e di non aver mai realizzato alcuna evasione o elusione delle tasse. Nessuna, però, ha smentito le cifre che risultano già riscosse dall'erario. ha collaborato Alfredo Faieta PRADA, ARMANI, LUXOTTICA, DOLCE&GABANNA, BC PARTNERS, BVULGARI, MARZOTTO, APAX, PERMIRA VALENTINO , BOSCH , RYNAYR , VERIZON, WIND, GLENCORE, BENETTON, Foto: D. Scudieri - Imagoeconomica, G. Haenel Laif / Contrasto, Afp / Getty Images MEDIASET, GOOGLE, AMAZON, EBAY, APPLE Foto: A. Casasoli A3(2) Foto: Il grafico in queste pagine mostra le società con attività nel Granducato o in altri paesi dell'Unione Europea finite nel mirino della Guardia di Finanza. Per ciascuna sono indicati gli importi già versati al Fisco italiano per chiudere le controversie o le somme contestate dagli investigatori nei procedimenti tributari ancora in corso Foto: SAverIo CApoLupo, ComAnDAnte DeLLe FIAmme GIALLe. In ALto: Le SeDI DI GooGLe e boSCH gruppo ligresti gruppo ciarrapico hbg gaming aiazzone mete 05/12/2014 L'Espresso - N.49 - 11 dicembre 2014 Pag. 52 (diffusione:369755, tiratura:500452) Corruzione senza vergogna Il malaffare dilaga. Con metodi sempre più evoluti: un tempo era casareccio, ora è globale. L'analisi dell'ex ministro CoLLoQuio Con GiovAnni MAriA fLiCk di denise pArdo Icorrotti si sono moltiplicati mentre c'è stata una selezione naturale della razza dei corruttori». Giovanni Maria Flick, ex ministro di Grazia e Giustizia del governo di Romano Prodi, ex presidente della Corte costituzionale, ha studiato a fondo l'evoluzione della corruzione. L'ha fatto anche in occasione del centenario della nascita di Guido Carli che ha conosciuto molto bene e che già nel 1993 aveva capito la portata inarrestabile del dilagare del fenomeno. Flick è un tecnico del ramo, dice con un sorriso, che può vantare tre master nella materia, essendo stato commissario dell'Ospedale San Raffaele, vice commissario dell'Expo e presidente del Comitato che porta il suo nome a Finmeccanica, società per la quale ora sta scrivendo il codice d'integrità e anticorruzione. L'inchiesta su Mafia Capitale mostra un livello di malaffare senza precedenti. Antropologicamente parlando, a che punto è la corruzione? «Negli oltre venti anni passati da Mani pulite e dalle stragi di Capaci e via D'Amelio c'è stata una buffa situazione. Con estrema fatica abbiamo cominciato a capire che non si può convivere né con la criminalità organizzata né con la corruzione ma non si è messo bene a fuoco che non si può convivere neppure con la criminalità economica. Il che è assurdo perché l'esperienza insegna che proprio Mafia city, Tangentopoli e Nerolandia sono i vertici di un triangolo delle Bermude della illegalità». C'è differenza tra la corruzione di Mani pulite e quella di oggi? «Sostanziale. Fino a Mani pulite si rubava soprattutto per fare politica. Oggi è il contrario, molti fanno politica per trovare occasione di rubare. Nel 1993 Guido Carli aveva previsto che la situazione già drogata potesse defagrare. Credeva che il Trattato di Maastrich fosse l'unica speranza di controllo su una finanza pubblica allegra e protesa al consenso. Non poteva immaginare che dopo Tangentopoli la corruzione sarebbe tornata a esplodere come leggiamo tutti i giorni sui giornali». Quale è stata l'evoluzione della corruzione? «Negli anni Novanta era più casereccia. Dal 2000 più politica. Dal primo decennio del terzo secolo a oggi diventa globale, negli affari, nel mercato. Prima era punita solo la corruzione pubblica, ma dal 2012 con le pesanti sollecitazioni degli americani diventa reato anche pagare il privato. Nel '96, quando ero al governo, cercammo di introdurre quel Daspo ("confessa, paga e levati dai piedi") che ora il premier propone. Il Vaticano l'ha applicato e punisce da due a tre anni l'autoriciclaggio, che speriamo si vari anche da noi. Lo dico da professorino non da professorone». Gli italiani sono un popolo corrotto? «Rispondo come Antonio Canova a Napoleone che sosteneva che tutti gli italiani erano ladri: "Non tutti, ma buonaparte"». C'è stata una trasformazione della figura del corruttore? «La razza dei corruttori ha seguito Darwin: ha avuto una selezione naturale, ad operare sono rimasti i più bravi, i più capaci. I corrotti, hanno seguito il precetto della Bibbia, sono cresciuti e si sono moltiplicati grazie all'epidemia della corruzione. Se un nuovo impiegato arriva in un uffcio dove tutti prendono la mazzetta o un imprenditore partecipa a una gara in cui tutti la offrono come fa a resistere? E se è capace di resistere, è tagliato fuori». Allora non c'è soluzione. «In America il "whistle blower", il suonatore di fschietto che segnala in modo coperto le irregolarità in cui s'imbatte è considerato uno che lavora utilmente per la collettività. Da noi è quasi un reietto: "chi fa la spia non è fglio di Maria", no? Va trovata una via di mezzo, recuperando il valore della vergogna, della reputazione, della legalità sostanziale e non solo formale». La corruzione ha cambiato pelle? «Sì, non più la mazzetta - roba da opera pia - ma la consulenza, la triangolazione, le tangenti internazionali con biglietto di andata e ritorno. Anche la pubblica amministrazione ha cambiato pelle con le privatizzazioni, l'outsourcing, il decentramento, e soprattutto con l'insidia più pericolosa: considerare la grande opera come un caso emergenziale. Ci si muove con ritardo e così la logica dell'emergenza diventa nemica della legalità. Lo è stato per le Olimpiadi di Torino, per il G 20 dell'Aquila, per l'Expo, per un territorio che si disfa». È un vizio o è un nuovo mezzo? «È un'abitudine inveterata della mentalità italiana, ma che poi qualcuno ci marci capita di frequente. Nel frattempo l'Europa si è mossa». In SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 44 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato INTERVISTA Attualità la questione morale 05/12/2014 L'Espresso - N.49 - 11 dicembre 2014 Pag. 52 (diffusione:369755, tiratura:500452) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 45 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato quale direzione? «Per spiegarmi userò delle espressioni goliardiche. Ci sono due tipi di reato. C'è la corruzione in cui il privato dice "gustavo dandolo", cioè avevo piacere di pagare per ottenere un vantaggio. E c'è il pubblico uffciale che risponde "io godevo prendendolo". Poi c'è la concussione, ovvero il privato costretto a pagare, "soffrivo dandolo", e il pubblico uffciale che dice "godevo prendendolo"». In effetti sono più goliardiche che giuridiche. «A un certo punto l'Europa ha detto "i protagonisti del reato passano da una condizione all'altra, c'è troppa confusione". Così abbiamo introdotto una terza ipotesi la corruzione o concussione per induzione in cui il privato dice: "un po' gustavo, un po' soffrivo". Ma devo constatare che l'interpretazione provoca un po' di grattacapi ». Bisogna intervenire anche sulla legge sulla prescrizione. «Va modifcata, non c'è dubbio, ma con equilibrio, tenendo conto sia dell'esigenza dell'imputato che di quella della vittima. Nessuno dei due può rimanere sotto lo scacco di un procedimento infinito. C'è assoluta necessità di cambiare anche le sconcertanti modifche della legge Cirielli e, punto fondamentale, la prescrizione non può essere un mezzo per sfuggire al processo. Bisogna essere però attenti a non cedere a ondate emozionali come nel caso dell'Eternit a Torino dove ha contato più la mancanza di una legge sul disastro ambientale che la prescrizione». Poi è arrivato il Web a cambiare profondamente la scena. «La trasparenza è segno di democrazia. Il giudice costituzionale americano Louis Brandeis, spero di non sbagliarmi se no Zagrebelsky mi riprende - sto scherzando - dice che la trasparenza è come il sole, porta la salute, elimina le infezioni. La corruzione è malattia fortemente contagiosa. Ben venga la trasparenza del Web, il controllo civico nel seguire l'andamento di un appalto, il risultato di un concorso. In questo senso la legge anticorruzione del 2012 ha cercato di fare qualcosa ma pensando alle polemiche sull'applicazione della parte amministrativa, ci si rende conto di quanto sia diffcile introdurre questo concetto. Il che mi fa davvero pensare che noi siamo soprattutto un paese di avvocati». Come considera la legge anticorruzione? «Costruisce un'impalcatura forse troppo burocratica. Dà malignamente la sensazione che si voglia tenere la gente occupata a riempire scartoffe o per impedire di corrompere o di farsi corrompere o di combattere la corruzione». Il Web è anche un nuovo strumento di corruzione. «Fa parte del discorso di fondo della globalizzazione. Il denaro può fare il giro del mondo in un minuto ma io percepisco con un po' di paura l'abolizione della dimensione del tempo e dello spazio. Secondo me sapere usare il congiuntivo è una gran cosa perché ti consente di collocare gli accadimenti nella loro dimensione storica di successione». Quali passi avanti si sono fatti e quali indietro? «Le videoconferenze, i collaboratori di giustizia, i sequestri, le informazioni antimafa hanno portato buoni risultati nella lotta alla criminalità organizzata. Sulla corruzione, a parte la legge del 2012 e il commissario nazionale, si è fatto poco o nulla visto che ci si è affdati soltanto al giudice penale nonostante le condizioni della nostra giustizia. Pen so che invece si debbano usare gli stessi strumenti investigativi destinati alla criminalità organizzata. E smettere di considerare la corruzione una tassa sull'ineffcienza, una sorta di sacrifcio all'ineffcienza della pubblica amministrazione». Per anni c'è stato un blocco di nome Silvio Berlusconi. Ora cosa sta cambiando? «Ci sono delle indicazioni internazionali legate alle nuove dimensioni dei mercati che non si possono più ignorare. È stato ormai accertato che non basta punire visto che per punire devi prima scoprire. La prevenzione va fatta su un piano sistemico, chiedendo alle imprese di fare prevenzione e alla società di ristabilire una cultura della vergogna e della reputazione. Questo si salda con la nuova percezione che la corruzione non sia solo offesa alla legalità ma componente della crisi in atto e ostacolo agli investimenti del nostro paese». Servirebbero nuove leggi? «Per carità, no. Moltiplicare leggi è modo per alimentare la corruzione perché porta con sé l'applicazione del detto del Talmud: "Una parola disse l'Altissimo, l'uomo ne capì due". Bisogna semplifcare non aumentare. Anche perché non è più in vendita l'atto d'uffcio, ma la funzione. Non vado con i soldi in bocca a chiedere al funzionario pubblico di darmi quella licenza ma gli dico che lo metto al libro paga. Il pagamento della disponibilità, il mettere a disposizione il proprio potere è molto più grave di un singolo atto». Difficile essere ottimisti, lei lo è? «L'ottimista dice: "questo è il miglior mondo possibile". Il pessimista commenta: "purtroppo". Io sono ottimista per varie ragioni, perché fnalmente si parla sul serio del problema, perché si è cominciato a capire che fare proftto a qualsiasi prezzo ti fotte, perché con la crisi economica e sociale gli sprechi, lo sperpero del denaro pubblico, le cattive 05/12/2014 L'Espresso - N.49 - 11 dicembre 2014 Pag. 52 (diffusione:369755, tiratura:500452) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014 46 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato pratiche della politica e della pubblica amministrazione diventano davvero non più sopportabili. Il problema è che noi rischiamo di rendere diffcile ciò che è facile attraverso ciò che è inutile. Figuriamoci quando le cose non sono facili come nel triangolo delle Bermude dell'illegalità». Foto: Tania - A3, M. D'Ottavio, Webphoto Foto: P. Cerroni - Imagoeconomica, C. Morandi - Agf L'Italia ancora bocciata Il rigore morale dell'eroe borghese Giorgio Ambrosoli viene celebrato dalla Rai con una fiction in prima serata, ma a 35 anni dall'uccisione del professionista che si oppose a Michele Sindona la situazione dell'Italia della legalità resta pessima. Il rapporto di Transparency International pubblicato questa settimana mostra quanto sia grave il male. L'indice della corruzione percepita pone il nostro paese al 69mo posto nel mondo, alla pari con Romania, Grecia e Bulgaria: persino la Turchia sta meglio di noi. In testa alla classifica delle "mani pulite"c'è la Danimarca, seguita da Nuova Zelanda, Finlandia, Svezia e Norvegia. In fondo Afghanistan, Sudan, Corea del Nord e Somalia. E l'Italia, con un voto in pari a 43 su 100, è in coda all'Occidente, surclassata anche da paesi africani come Botswana, Ghana, Namibia, Rwanda e pure da alcuni Stati arabi come Emirati Uniti, Qatar, Kuwait e Arabia Saudita. Un altro pessimo segnale, che rimarca la nostra distanza dalle economie avanzate. Quest'anno per la prima volta è entrata in funzione una struttura contro la corruzione, affidata a Raffaele Cantone, che sta intervenendo dovunque per cercare di imporre trasparenza nella gestione del denaro pubblico e delle grandi opere. Ma il problema richiede una mobilitazione più ampia, delle forze politiche e della società. Transparency sta cercando di introdurre anche nel nostro paese la figura del whistle blower, che segnala gli illeciti dall'interno di aziende ed enti: ha creato una piattaforma online per ricevere le denunce con garanzia di anonimato. Manca però ancora una tutela legale per i whistle blower italiani e finora i progetti di legge sono tutti falliti. Foto: giovanni maria flick. a destra: l'area dell'expo e in basso pierfrancesco favino interpreta giorgio ambrosoli Foto: PrIMo gregAntI e, A sInIstrA, gIAnCArlo gAlAn, ProtAgonIstI deglI sCAndAlI exPo e Mose SCENARIO PMI 5 articoli 05/12/2014 Il Sole 24 Ore Pag. 13 (diffusione:334076, tiratura:405061) Londra nuova frontiera delle imprese Leonardo Maisano londra L'Italia cresce nel Regno Unito. Aumentano le aziende, gli occupati, il fatturato a conferma che la capacità di attrazione che esercita Londra va molto oltre l'emigrazione di giovani, studenti o lavoratori, in cerca di nuove prospettive, ma affascina anche il mondo delle imprese. Lo suggerisce il survey 2009-2013 preparato dalla Camera di Commercio e industria italiana per il Regno Unito che è presentato oggi a un evento organizzato dall'Ambasciata italiana di Londra. Nel triennio le imprese italiane hanno generato nuovi investimenti per 1,2 miliardi di sterline con 369 progetti focalizzati soprattutto nei settori delle energie rinnovabili, meccanica avanzata, industria creativa e digitale. Il risultato è che il numero di imprese attive, congrue con i criteri di ricerca messi a punto dalla Camera, sono oggi 695 (lo stock totale supera le 900) con un fatturato globale che sfiora i 25 miliardi di sterline e occupa 48 mila persone. Rispetto alla ricerca precedente 2006-2009 che aveva evidenziato il contraccolpo della crisi il fatturato globale di manifattura e servizi (la attività di commercio non sono considerate) di aziende italiane nel Regno Unito è aumentato del 44% e gli occupati del 17 per cento. I settori che in assoluto hanno una significativa presenza italiana sono: aerospazio e difesa (Finmeccanica è realtà di primissimo piano), automotive ed energia. Segue in forte progressione l'alimentare sempre più punto di forza dell'imprenditorialità del nostro Paese. L'Italia gioca quindi un ruolo crescente in una terra che resta calamita per le aziende di tutto il mondo se è vero che gli Fdi, gli investimenti esteri diretti, nel Regno Unito sono aumentati del 14% fra il 2012 e il 2013. «L'Italia consolida la sua presenza - spiega Leonardo Simonelli Santi presidente della Camera - . Gli investitori sono attratti dalla dinamica triangolare che esercita il Regno Unito in grado di muoversi con grande agio sui mercati dell'Ue, degli Usa e del Commonweath. Apprezzano sia il contesto ambientale che significa semplificazione amministrativa sia quello fiscale. La corporate tax veleggia verso il 20% e che ora sono state messe a punto agevolazioni specifiche per le Pmi». Un contesto sul quale pesa una sola grande incognita: l'adesione alla Ue della Gran Bretagna che il governo di Cameron, se vincerà le elezioni, sottoporrà a referendum . © RIPRODUZIONE RISERVATA SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 05/12/2014 48 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Il caso. Le nostre aziende aumentano il fatturato (+44%) e gli occupati (+17%) 05/12/2014 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 52 (diffusione:556325, tiratura:710716) Pmi Prove tecniche di rilancio In un quadro tutt'altro che roseo non mancano le note positive: in questi sette anni di recessione 3.472 Pmi italiane sono riuscite a raddoppiare il loro giro d'affari Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea: "Le Pmi ci stanno molto a cuore perché contribuiscono per 80% all'occupazione nell'area dell'euro" Nel delicato settore della meccanica di precisione le società italiane continuano a essere considerate una temibile concorrenza dai colossi tedeschi Le piccole e medie imprese , che rapprese MARCO FROJO Se le piccole e medie imprese prosperano, l'economia italiana cresce; se sono in difficoltà, l'intero Paese va in crisi. Se c'era bisogno di un'ulteriore conferma di questo assioma, questa è arrivata con la crisi, con il corollario che si vedrà la luce in fondo al tunnel solo quando si creeranno le condizioni che consentiranno alle Pmi di tornare a crescere. Le imprese di piccole e medie dimensioni rappresentano infatti il 95% del tessuto economico italiano e, nonostante le difficoltà poste dalla crisi, dalla burocrazia e dalla fiscalità, continuano a mostrare una grande vitalità, soprattutto quelle che hanno puntato sull'export. Nel settore della meccanica di precisione, per esempio, le società italiane continuano a essere considerate una temibile concorrenza dai colossi tedeschi che, oltre a vantare dimensioni decisamente più grandi e avere quindi una maggiore capacità di spesa per la ricerca e lo sviluppo, possono contare su un'economia domestica che si è lasciata alle spalle la recessione da molti trimestri. I danni causati al settore delle Pmi dai sette anni di crisi sono però enormi. Una fotografia molto dettagliata è stata scattata di recente dal Cerved che nel suo primo "Rapporto Pmi" rileva come dal 2007 a oggi una Pmi su cinque pare abbia chiuso i battenti: 13mila sono fallite, 5mila hanno avuto una procedura concorsuale non fallimentare e 23mila sono state liquidate volontariamente. Numeri altrettanto pesanti emergono dall'analisi della redditività: in sette anni il margine operativo lordo delle Pmi è sceso del 31% e il ritorno sul capitale investito (Roe) si è dimezzato, passando dal 13,9% al 5,6%. Oggi le piccole e medie aziende attive in Italia sono in Italia 144mila e complessivamente hanno un giro d'affari di 851 miliardi, con un valore aggiunto di 183 miliardi pari al 12% del Pil, a fronte di debiti finanziari per 271 miliardi. Secondo i parametri stabiliti dall'Unione Europea possono definirsi Pmi le aziende con un fatturato compreso tra 2 e 50 milioni e tra 10 e 250 dipendenti. In un quadro tutt'altro che roseo non mancano però le note positive, la più importante delle quali è che ben 3.472 Pmi, in questi sette anni di crisi, hanno raddoppiato il giro d'affari. La maggior parte di queste aziende è votata all'export, da sempre uno dei punti di forza dell'economia italiana e unica vera ancora di salvezza per tutto il periodo della crisi. Secondo un'indagine Istat condotta su 30mile imprese con oltre 20 dipendenti, tra il 2010 e il 2013, il 51% di esse ha visto crescere il proprio fatturato estero e, fra queste ultime, due su tre sono riuscite a compesare il calo del fatturato domestico con i risultati conseguiti sui mercati internazionali. L'altra buona notizia è che le Pmi sopravvissute sono più robuste e hanno una situazione finanziaria meno rischiosa. Secondo quanto dettato dalle nuove regole di Basilea, hanno infatti continuato a ricevere sostegno dal sistema bancario solo le imprese più solide, mentre molte di quelle che hanno chiuso erano già in crisi prima dello scoppio della bolla dei subprime. Il 2015 potrebbe essere l'anno della svolta anche per le Pmi, soprattutto perché la restrizione del credito si sta allentando. Seguendo la strada imboccata dai big del settore, un numero sempre maggiore di istituti di credito sta mettendo a punto un'offerta dedicata alle piccole e medie imprese (per esempio Intensa Sanpaolo, vedere articolo nella pagina a destra) e un ulteriore sostegno dovrebbe arrivare dalle istituzioni. La Cassa Depositi e prestiti, per esempio, ha siglato un accordo con la sua omologa tedesca, il KfW, per garantire finanziamenti pari a 300 milioni alle Pmi (più altri 200 milioni che sosterranno la realizzazione di progetti infrastrutturali ad alta efficienza energetica). Si attende poi che il "Piano per il credito alle Pmi" lanciato dalla Banca Centrale Europea nel giugno scorso dia tutti i suoi frutti. L'importanza che l'Eurotower assegnava al successo di queste misure era tutta racchiusa nelle parole del presidente Mario Draghi che, SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 05/12/2014 49 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Le Guide Vie d'uscita dalla crisi 05/12/2014 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 52 (diffusione:556325, tiratura:710716) SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 05/12/2014 50 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato presentandole, ha detto: «Le Pmi ci stanno molto a cuore perché contribuiscono per l'80% all'occupazione nell'area dell'euro». Un'affermazione che per l'Italia assume particolare valore. mila 144 851 mld LE PMI ITALIANE che al momento sono in attività. I sette anni di crisi economica hanno fatto scendere il margine operativo lordo del 31% IL GIRO D'AFFARI delle 144mila piccole e medie imprese italiane, con un valore aggiunto di 183 miliardi pari al 12% del Pil, a fronte di 271 miliardi di debiti finanziari 10-250 2-50 mila 51% 13 IL FATTURATO L'altro parametro stabilito dalla Ue: una Pmi deve avere un fatturato minimo di 2 milioni e non superiore a 50 I DIPENDENTI Secondo i parametri stabiliti dall'Unione europea si definiscono Pmi le aziende che hanno fra 10 e 250 dipendenti LE PMI CRESCIUTE ALL'ESTERO Secondo un'indagine Istat, tra il 2010 e il 2013 il 51% delle imprese con oltre 20 dipendenti ha visto crescere il proprio fatturato estero LE AZIENDE FALLITE DAL 2007 A OGGI Inoltre 5mila hanno avuto una procedura concorsuale non fallimentare e 23mila sono state liquidate volontariamente FONTE: RAPPORTO PMI CERVED 05/12/2014 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 53 (diffusione:556325, tiratura:710716) Risorse fresche per rilanciare la produzione Un'intesa che mette al servizio delle aziende specifiche competenze per sostenere piani di sviluppo, soluzioni e investimenti VITO DE CEGLIA Dieci miliardi di euro per sostenere la domanda di credito di tante piccole e medie imprese virtuose che rappresentano la struttura portante del sistema produttivo italiano. Sono le risorse "fresche" messe a disposizione da Intesa Sanpaolo attraverso il nuovo accordo, il quinto, sottoscritto con la Piccola Industria di Confindustria. Risorse che si aggiungono ai 35 miliardi stanziati negli anni precedenti. Al centro dell'intesa, già operativa sul territorio con accordi tra Banca e Associazioni datoriali locali, è stato tracciato il percorso da seguire per "una crescita possibile". A partire dal 2015, anno in cui ci sarà l'Expo di Milano, di cui Intesa Sanpaolo è "global banking partner". Sono tre i pilastri su cui l'accordo punta: crescita dimensionale, innovazione, export. Per la crescita, l'intesa mette al servizio delle Pmi le competenze specialistiche della banca per sostenere gli investimenti, i piani di sviluppo e le soluzioni più adatte a ottimizzare i processi aziendali. Soprattutto, nei rapporti con la pubblica amministrazione al fine di semplificare le procedure e gli adempimenti fiscali come il servizio di gestione elettronica delle fatture. Per l'innovazione, l'accordo rafforza AdottUp, il progetto avviato nel 2013 per favorire un'exit industriale alle start up ad alto potenziale di sviluppo. Nello stesso tempo, con MatchUp ne amplia il raggio d'azione estendendolo anche a imprese già operative. Tra i servizi offerti sono compresi anche quelli dei fondi Atlante Ventures e piattaforme di incontro tra domanda e offerta di innovazione come Start Up Iniziative e Officine Formative, il centro di alta formazione di Intesa Sanpaolo dedicata alle imprese. Per l'export, infine, l'accordo include un'ampia piattaforma di prodotti e servizi di consulenza a 360° proposti dal team di specialisti di Intesa Sanpaolo a supporto delle strategie di espansione delle Pmi. SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 05/12/2014 51 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Le Guide / Lo scenario 05/12/2014 ItaliaOggi Pag. 15 (diffusione:88538, tiratura:156000) Sito per cercare i fondi pubblici Si chiama So'Fi, ed è il primo sito internet di ricerca di finanziamenti pubblici e bancari destinati agli imprenditori, dirigenti di azienda e singoli aspiranti imprenditori. È stato predisposto in Francia per aiutare le imprese a orientarsi nella galassia dei fondi pubblici, comunitari, statali, regionali, locali che vengono messi a disposizione delle imprese, ma che queste difficilmente riescono a captare. In Francia esistono all'incirca 6 mila dispositivi di aiuti pubblici alle imprese che totalizzano complessivamente 60 miliardi l'anno erogati da quasi mille diversi sportelli. Difficile per i capi d'azienda raccapezzarsi in un tale mercato. Per semplificargli la vita una squadra di consulenti esperti in finanziamenti pubblici ha lanciato il sito So'Fi per guidare gli imprenditori passo passo a trovare la soluzione di finanziamento adatta alle loro necessità. I criteri di idoneità sono spesso complessi. Risultato: gli aiuti pubblici sono perlopiù utilizzati dalle grandi imprese e troppo poco dalle pmi e dai singoli aspiranti imprenditori. È vero che la ricerca di aiuti richiede tempo, e che nelle piccole strutture il titolare non ha il tempo di applicarsi, così la piattaforma web So'Fi gli facilita il compito identificando gli aiuti con una simulazione e una diagnosi gratuita. In seguito, gli propone un audit completo di ideoneità, a pagamento. In funzione del settore, della grandezza dell'impresa, dei posti di lavoro creati, l'ammontare dell'assistenza può andare da 3 mila a 300 mila euro. Per arrivare è bene avere buone informazioni al momento giusto. © Riproduzione riservata SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 05/12/2014 52 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato 60 miliardi l'anno per le imprese francesi 05/12/2014 MF - Ed. nazionale - fashion Pag. 6 (diffusione:104189, tiratura:173386) NONSOLOMARE VIASAT RIVUOLE L'OSCAR Dopo l'Oscar del Bilan io vinto nel 2009, Viasat Group è stata nuovamente selezionata quest'anno tra le finaliste del premio nella sezione «Medie e piccole imprese non quotate». Nel 2013 il gruppo specializzato nella progettazione e realizzazione di sistemi e servizi di sicurezza e protezione con applicazione di tecnologie satellitari ha chiuso con ricavi consolidati di 39,4 milioni di euro, Mol superiore a 10 milioni, indebitamento finanziario inferiore al milione e risultato netto positivo per di 1,5 milioni. CORRIDOIO PER IKEA L'Agenzia delle Dogane dei Monopoli ha dato un ulteriore impulso al progetto «Il Trovatore» attraverso l'attivazione di corridoi controllati per trasferire immediatamente i container in arrivo nei porti di Genova e La Spezia al nodo logistico di Piacenza della Ikea, dove saranno completate le operazioni di importazione. La collaborazione tra l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e Ikea costituisce un banco di prova per decongestionare gli spazi portuali e ridurre i tempi del ciclo di import, consentendo alle aziende di integrare gli adempimenti doganali con le proprie procedure logistiche. I corridoi controllati e lo Sportello Unico Doganale consentiranno, con la collaborazione delle altre Amministrazioni nazionali coinvolte, di ridurre al minimo i tempi di sdoganamento. Un'importante semplificazione in vista dell'incremento delle operazioni di importazione connesse all'Expo 2015. SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 05/12/2014 53 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato MF SHIPPING & LOGISTICA
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