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CONFIMI
Rassegna Stampa del 05/12/2014
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INDICE
CONFIMI
05/12/2014 QN - Il Resto del Carlino - Modena
«E' Bper la bancapiù vicina al territorio»
6
05/12/2014 QN - Il Resto del Carlino - Reggio Emilia
Conti correnti e fatturati crescono, ma calano affidamenti bancari
7
05/12/2014 Corriere di Verona - Verona
Oddono, il veronese che fa impazzire gli inglesi con il gelato
8
05/12/2014 Gazzetta di Mantova - Nazionale
Api, gli auguri da Shakespeare
9
05/12/2014 Gazzetta di Modena - Nazionale
Confimi, ecco le pagelle delle imprese alle banche
10
05/12/2014 L'Arena di Verona
Dà il gelato agli inglesi e ora punta a Oriente
11
05/12/2014 Cronaca di Verona
CHRISTIAN ODDONO VINCITORE DEL PREMIO VERONA GIOVANI 2014
12
05/12/2014 La Voce di Mantova
Le scadenze del protocollo MCTCNet2 per i Centri di Revisione
13
05/12/2014 La Voce di Mantova
Auguri dall'Api divagando su Shakespeare
14
05/12/2014 Prima Pagina - Modena
Banche-imprese, i rubinetti sono ancora stretti
15
CONFIMI WEB
03/12/2014 www.infobuild.it 10:22
Decreto Semplificazioni: si può fare meglio!
18
SCENARIO ECONOMIA
05/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
Padoan: l'Italia decisiva nella svolta Ue sul lavoro
20
05/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale
«Anche Google rispetti le nostre regole»
21
05/12/2014 Il Sole 24 Ore
Il tempo diventa l'alleato di Draghi
24
05/12/2014 Il Sole 24 Ore
La coperta corta è il rischio del QE
26
05/12/2014 Il Sole 24 Ore
De Benedetti: «La moda cambi passo»
27
05/12/2014 La Repubblica - Nazionale
Bce, più tempo per gli aiuti "Non serve l'unanimità per agire" Giù le Borse, Milano
perde il 2,77%
29
05/12/2014 La Repubblica - Nazionale
South Stream addio Saipem si ferma Gazprom già pensa a un nuovo tracciato solo
per gli amici
30
05/12/2014 La Repubblica - Nazionale
"Wind pronta a dare Infostrada per fare di Metroweb il perno di un nuovo piano per la
fibra"
31
05/12/2014 La Stampa - Nazionale
L'ASSALTO ALLA SPESA PUBBLICA
33
05/12/2014 MF - Nazionale
La voluntary disclosure ora è legge
34
05/12/2014 MF - Nazionale
I tre fardelli che frenano il mondo del lavoro
35
05/12/2014 L'Espresso
UNIPOL cambia verso
36
05/12/2014 L'Espresso
Che affare LE onlus
38
05/12/2014 L'Espresso
Vado, ritorno e Pago caro
41
05/12/2014 L'Espresso
Corruzione senza vergogna
44
SCENARIO PMI
05/12/2014 Il Sole 24 Ore
Londra nuova frontiera delle imprese
48
05/12/2014 La Repubblica - Nazionale
Pmi Prove tecniche di rilancio
49
05/12/2014 La Repubblica - Nazionale
Risorse fresche per rilanciare la produzione
51
05/12/2014 ItaliaOggi
Sito per cercare i fondi pubblici
52
05/12/2014 MF - Nazionale
NONSOLOMARE
53
CONFIMI
10 articoli
05/12/2014
QN - Il Resto del Carlino - Modena
Pag. 7
(diffusione:165207, tiratura:206221)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'INDAGINE I RISULTATI DEL FORM FINANZA' DI APMI CONFIMI
«E' Bper la bancapiù vicina al territorio»
Bene il supporto di Unicredit alle start-up
E' LA BPER la banca più presente per numero di rapporti di conto intrattenuti con le imprese, seguita da
Unicredit e Banco Popolare. E' quanto emerso dal rapporto del Forum Finanza 2014' di Apmi Confimi
impresa Modena, nell'ambito dell'indagine annuale relativa appunto ai rapporti impresa-banca. I risultati sono
stati presentati ieri nella sede dell'associazione e l'analisi ha messo in luce anche l'indice di gradimento nei
confronti degli istituti di credito. In tale contesto, le 200 aziende che hanno risposto all'indagine (tra Reggio e
Modena, poco più della metà appartenenti al settore metalmeccanico), hanno cambiato il loro giudizio rispetto
al 2012. Infatti la Credem ha assunto il primo posto in classifica, superando la Bper, che risulta comunque la
più vicina al territorio in termini di rapporti di conto corrente e fatturato. Alla stessa, infatti, si rivolgono ben
116 aziende sulle 200 intervistate. «Il nostro obiettivo è quello di analizzare e migliorare il rapporto tra
imprese e banche in termini di collaborazione e trasparenza - spiega il presidente dell'associazione Giovanni
Gorzanelli -, non vogliamo certo combattere le banche, ma trovare la strada per instaurare rapporti sempre
migliori». Tra le criticità rilevate nell'indagine, fa notare Gorzanelli, vi è una percentuale ancora alta: ovvero il
13.5% di aziende che hanno dovuto registrare riduzioni degli affidamenti. Inoltre 125 imprese non hanno
indicato alcun rating, quindi non hanno consapevolezza del proprio punteggio sul sistema bancario. «Vi è
ancora la tendenza delle banche - fanno presente il responsabile dell'area finanza Giacomo Ferraresi e il
direttore dell'associazione Mario Lucenti - a restare sulla difensiva', segno che ancora la fiducia sull'economia
del nostro paese non è stata posta. Ma è un percorso che va fatto insieme». Altro punto dolente' messo in
luce da Ferraresi, è quello del scarsissimo utilizzo dei Consorzi Fidi, a cui non fa ricorso il 75.88% degli
intervistati. Le cause? Poca informazione ma anche lungaggini burocratiche. Uno dei dati positivi rilevato
nell'indagine, risulta invece il supporto ottenuto nel 2013 dalle Start-up, soprattutto da Unicredit. Proprio per le
nuove aziende, su cui i giovani intendono investire, per il 2015 Apmi Confimi lancia una campagna che
garantisce tutti i servizi all'impresa per il primo anno, alleggerendo quindi i costi di inizio attività. Valentina
Reggiani Image: 20141205/foto/510.jpg
CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014
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05/12/2014
QN - Il Resto del Carlino - Reggio emilia
Pag. 10
(diffusione:165207, tiratura:206221)
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ALLEANZA COOP
Conti correnti e fatturati crescono, ma calano affidamenti bancari
Disdetta del contratto, il direttore Bezzi spiega: «Crisi economica, risorse in calo»
ANCHE se complessivamente conti correnti e fatturati crescono, pesano ancora i concordati di continuità. La
riduzione degli affidamenti bancari non dilaga ma resta una realtà. E più che altro, i tre quarti delle aziende
non hanno fatto alcun ricorso ai consorzi fidi, uno strumento che dunque risulta più che mai da rivedere. Così
come le fiere. E intanto, le banche preferite' degli imprenditori emiliani cambiano. È Confimi Impresa, la
confederazione delle piccole e medie industrie manifatturiere, a scattare una fotografia dello stato di salute
dell'economia modenese e reggiana attraverso il suo form finanza 2014. Il report Modena-Reggio è stato
presentato ieri: emerge che ai consorzi fidi, struttura su cui la Regione ha investito milioni, non si è rivolto fino
al 75,88% delle aziende. Tra chi ne fatto ricorso, comunque, la metalmeccanica sbanca col 61,82%. Allo
stesso tempo, ancora il 13,53% di imprese segnala di aver ricevuto riduzioni di affidamenti da parte delle
banche. Anche le fiere, ormai, sembrano poco interessanti per le pmi: nell'ambito del report solo il 41,55% vi
ha partecipato, e solo il 39,61% e' interessato a questo tipo di promozione. Concentrandosi sulle banche,
secondo il report quelle che piu' hanno finanziato le startup sono soprattutto Unicredit seguita, a distanza, da
Banca di Cavola e Sassuolo, Interprovinciale e Popolare Alto Adige. I dati di gradimento verso le prime 13
banche del territorio, poi, mostrano un certo movimento. Se nel 2012 il podio era rappresentato, nell'ordine,
da Bper, Unicredit, Caricento e Carisbo, con riferimento al 2013 la classifica recita Credem (8,07 su 10 il voto
medio), Cariparma (7,75), Unicredit (7,41) e Unipol (7). Image: 20141205/foto/691.jpg
CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014
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05/12/2014
Corriere di Verona - Verona
Pag. 9
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Oddono, il veronese che fa impazzire gli inglesi con il gelato
Premiato da Apindustria . «Lì c'è meno burocrazia...»
VERONA I negozianti di South Kensington quando, nel 2004, aprì la sua prima gelateria scossero la testa e
gli diedero al massimo 6 mesi di vita. «Me l'hanno rivelato dopo anni - sorride Christian Oddono - e adesso
tengono aperti i loro negozi anche di domenica perché in gelateria da me c'è la coda e a loro conviene». Nel
frattempo è nata e si è sviluppata la Oddono's Gelati Italiani, il gruppo che conta 5 gelaterie a Londra, la
sesta in arrivo a febbraio, una decina di punti vendita in altrettanti ristoranti, il premio di miglior gelateria del
Regno Unito in bacheca dal 2007 e innumerevoli corteggiamenti per esportare il gelato Oddono's al di fuori
dei confini inglesi.Per queste ragioni, Christian Oddono è l'imprenditore che Apindustria Verona ha scelto
come vincitore della 7^ edizione del Premio Verona Giovani. Oddono, infatti, è veronese: per lui diploma al
Liceo scientifico Messedaglia, poi laurea alla Bocconi e lavoro alla city londinese in corporate finance e
ricerca finanziaria. La vita nella capitale britannica non è male, ma manca una cosa: il gelato. Manca così
tanto al Head of Research, ruolo che nel frattempo aveva raggiunto per un'importante gruppo finanziario, che
Oddono decide di abbandonare la City, tornare in Italia, iscriversi a un corso di formazione per gelatai e
imparare il mestiere. Da qui parte la nuova avventura imprenditoriale.«Era incredibile per me - racconta vedere gli inglesi mangiare tanto gelato di catene industriali e non poter provare il vero gelato italiano. Io
avevo in mente quello che ci faceva mia nonna: la mattina andava al mercato, comprava le uova e il latte
fresco e ci faceva un gelato alla crema buonissimo. E il fatto è che non c'è modo migliore di farlo se non farlo
fresco e mangiarlo subito».Una volta apprese le tecniche, quindi Oddono torna a Londra e lì apre le sue
gelaterie: laboratorio a vista, prodotti naturali e di qualità, nessun conservante, gelato fatto al momento con
materie prime italiane così come la tecnologia e i macchinari utilizzati. L'anno scorso la Oddono's ha
registrato un fatturato di 2,2 milioni, quest'anno saranno di più, una trentina di dipendenti e la concreta
possibilità di aprire franchising a Dubai, in Malesia, in Thailandia e in Medio Oriente.«l progetto di Oddono è
un esempio per le nostre Pmi. Dovremmo prendere spunto da lui, puntare sulla qualità e valorizzare il nostro
Dna», ha detto Alessandro Ferrari, presidente dei giovani di Apindustria consegnandogli il premio. Vero
anche se, per adesso, Oddono non ha intenzione di portare le sue gelaterie in Italia. «Non per paura della
concorrenza, perché quella fa sempre bene, ma perché il mestiere dell'imprenditore è molto bello, ma è
meglio farlo in un Paese con poca burocrazia"». Quindi, per assaggiare il gelato Oddono's al pistacchio o
quello alle nocciole del Piemonte, famosi a Londra, non resta che andare a provarli direttamente dove si
fanno. © RIPRODUZIONE RISERVATA
CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014
8
05/12/2014
Gazzetta di Mantova - Ed. nazionale
Pag. 10
(diffusione:33451, tiratura:38726)
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Api , gli auguri da Shakespeare Il brindisi al teatro Sociale, pensando alla crisi e alla forza di uscirne
Api , gli auguri da Shakespeare
Api, gli auguri da Shakespeare
Il brindisi al teatro Sociale, pensando alla crisi e alla forza di uscirne
Anche quelli di Shakespeare erano tempi di crisi. Le banche non davano facilmente credito. A Londra i
banchieri erano chiamati "lombardi", Lombard Street era ed è la via della banche. Il povero Shakespeare
dovette ingegnarsi non poco per diventare quell'imprenditore che fu. Le sue opere lui non le pubblicava, se le
teneva care e le faceva fruttare nei teatri: erano il capitale della sua azienda. Altri beni erano il teschio
(simbolo della morte, Amleto), la corona (il potere, Enrico V) e così via. E poi - lui che era un provinciale,
veniva dalla cittadina di Stratford - aveva messo su un teatro a Londra, il Globe. Non c'è quindi da stupirsi se
ieri sera Apindustria ha adottato Shakespeare e lo ha portato al Teatro Sociale per celebrare i 450 anni dalla
sua nascita. Un modo intelligente per fare gli auguri di Natale, un brindisi scespiriano per gli imprenditori
dell'associazione delle piccole e medie industrie di Mantova e provincia e per le loro famiglie. Un colpo di
genio a cominciare dagli attori che erano sul palco. Un solo vero attore, Claudio Soldà, mentre gli altri tre
erano musicantore, narrattore e formattore. Nel senso che Davide Foroni era un mix di musico e cantore,
Giacomo Cecchin di narratore e attore e Eros Tugnoli un docente che fa formazione e si diverte a recitare.
Testi ridotti e rielaborati per l'occasione presi da Amleto, Macbeth e Enrico V, due tragedie e un dramma
storico. «Shakespeare ha saputo cogliere nelle sue opere la drammaticità e la forza dell'uomo, in un contesto
difficile è riuscito a creare entusiasmo, che è quello che le nostre imprese cercano di fare», ha detto il
presidente Apindustria Francesco Ferrari nella prolusione allo spettacolo. Insomma la forza
dell'immaginazione per promuovere lo sviluppo culturale e anche quello economico. Alla fine del "viaggio alla
scoperta dei valori d'impresa" attraverso Shakespeare c'è stato il brindisi nel foyer. Gilberto Scuderi
CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014
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05/12/2014
Gazzetta di Modena - Ed. nazionale
Pag. 10
(diffusione:10626, tiratura:14183)
Confimi , ecco le pagelle delle imprese alle banche
Confimi, ecco le pagelle
delle imprese alle banche
IN EVIDENZA CREDEM
Solitamente sono le banche a valutare le imprese. Qualche volta accade il contrario. E così hanno fatto gli
associati di Confimi Impresa, che da Modena e Bologna hanno dato le loro pagelle agli istituti di credito con
cui hanno rapporti. Una fotografia che abbraccia tutto il 2013. Il fulcro è rappresentato dalla classifica di
gradimento (con voti da 1 a 10) delle banche da parte delle associate, un campione pari al 41,73% (per il
94% si tratta di micro o piccole imprese, la maggior parte delle quali del settore metalmeccanico, il 50,24%),
sia modenesi che reggiane. Al primo posto c'è Credem, con un voto dell'8,07, rispetto a un 5,95 del 2012; a
colpire il suo posizionamento: slitta al primo posto, rispetto al decimo del 2012. Altro scostamento importante,
ma in senso inverso, è quello di Bper: se nel 2012 era al primo posto con un punteggio pari a 7,27, nel 2013
scende al sesto posto con punteggio 6,82. Sul podio medaglia d'argento a Cariparma, con un voto medio del
7,75 (era di 6,5 nel 2012); medaglia di bronzo per Unicredit con un 7,41 (era 7,17 nel 2012). Una classifica va precisato - dalla valenza circoscritta alle imprese associate e alle banche con cui hanno rapporti. La
ricerca mette in evidenza come sia Bper la banca con cui le aziende del campione hanno maggiori rapporti,
con 116 rapporti aperti, seguono Unicredit (103) e Banco Popolare (72), che insieme rappresentano quasi il
61% dei rapporti totali. «La fotografia scattata con questa indagine - dice Mario Lucenti, direttore di Confimi
Impresa Modena - ci aiuta a capire come e dove indirizzare i nostri sforzi. Sono emersi dati interessanti
riguardo il ruolo dei consorzi fidi, o il livello di consapevolezza del rating». Tra le domande, infatti, c'era anche
quella relativa al livello di consapevolezza del rating: delle 207 imprese che hanno risposto, oltre il 60% non
ha indicato alcun rating. «Questo apre una riflessione - spiega Giacomo Ferraresi, responsabile area finanza
di Confimi Impresa Modena - capire se questa percentuale è dovuta alla mancanza di consapevolezza o se le
aziende non hanno voluto indicarlo». Altro punto importante è quello relativo alla riduzione degli affidamenti
da parte delle banche. Il 13,53% delle imprese del campione ha risposto di avere subito una riduzione. Un
dato che potrebbe apparire contenuto. «Ma ricordiamo - dice il presidente Gorzanelli - che parliamo di pmi.
Una riduzione di questa portata può creare un effetto domino». Felicia Buonomo
CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014
10
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Confimi , ecco le pagelle delle imprese alle banche IN EVIDENZA CREDEM
05/12/2014
L'Arena di Verona
Pag. 9
(diffusione:49862, tiratura:383000)
Dà il gelato agli inglesi e ora punta a Oriente
Christian Oddono Una lunga fila, ordinata, come solo gli inglesi sanno fare, fuori dal negozio, sotto la neve,
per poter acquistare una vaschetta del suo gelato. È stato in quel momento, ormai una decina di anni fa, che
Christian Oddono, imprenditore veronese trapiantato a Londra, si è reso conto delle potenzialità del suo
business. Da allora ha lanciato una catena di cinque gelaterie, più una decina di punti vendita esterni, nel
cuore della metropoli britannica per un giro d'affari che oggi supera i due milioni di euro. A lui è andato
quest'anno il Premio Verona Giovani, istituito dal Gruppo giovani imprenditori di Apindustria e giunto alla
settima edizione. «Nel 2013 avevamo focalizzato l'attenzione sull'importanza del team e del fare squadra,
quest'anno invece il premio si è indirizzato verso la forza del made in Italy all'estero», ha dichiarato
Alessandro Ferrari, presidente di Apindustria Giovani. «Questo tema è particolarmente caro alla nostra realtà
economica, e soprattutto alle piccole e medie imprese, che spesso puntano su questo fattore chiave per
differenziarsi ed essere competitivi sui mercati internazionali». Oddono, 44 anni, ha ripercorso la sua storia di
imprenditore veronese all'estero. Dopo aver studiato al liceo Messedaglia e poi all'Università Bocconi a
Milano, ha iniziato la sua carriera nella corporate finance e nella ricerca azionaria di Londra, diventando
successivamente Head of Research di Activest. «Nel 2004, notando l'assenza del gelato artigianale a
Londra, ho deciso di iniziare l'avventura, aprendo la prima gelateria "Oddono's Gelati Italiani" a South
Kensington», ha raccontato Oddono. «Prima che altri decidessero di lanciare questo business, ho deciso di
provarci io: sono tornato in Italia e ho frequentato una scuola professionale per poi aprire il negozio a
Londra». Partendo dalla ricetta della nonna, l'imprenditore veronese è riuscito a rilanciare questo prodotto
tipicamente italiano in una chiave nuova, puntando sulla freschezza e sulla qualità degli ingredienti,
accuratamente selezionati. Pistacchio di Bronte, nocciole del Piemonte, latte fresco delle campagne inglesi.
«A Londra, così come in Italia, stiamo assistendo alla riscoperta dei prodotti alimentari genuini», ha
sottlineato Oddono, che sta per aprire la sesta gelateria e ha in programma di estendere in franchising la
catena anche verso Medioriente e Asia. «Nel 2014 abbiamo raggiunto un fatturato di 2,2 milioni di euro,
rispetto agli 1,8 del 2013», precisa l'imprenditore, che nel 2007 ha vinto il premio come Miglior gelateria del
Regno Unito. «Pur senza stravolgere il prodotto, abbiamo cercato di adattare le ricette ai gusti inglesi: per
internazionalizzarsi infatti è importante capire caratteristiche e gusti del mercato».
CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014
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APINDUSTRIA . Premio Verona del gruppo giovani a Christian Oddono
05/12/2014
Cronaca di Verona
Pag. 4
CHRISTIAN ODDONO VINCITORE DEL PREMIO VERONA GIOVANI 2014
Laureato in economia ha aperto una catena di gelaterie italiane a Londra. Chiude il 2014 con un fatturato in
crescita rispetto all'anno precedente, di 1 milione e 500 sterline
Decretato il vincitore della 7° edizione del Premio Verona Giovani presso la sede di Apindustria Verona. Il
vincitore, scelto dopo un'accurata selezione, è christian oddono , im prenditore di origine veronese che ha
saputo avventurarsi in un'impresa di grande successo. L'incontro è stato tenuto da arturo alberti , presidente
di Apindustria Verona, alessan dro Ferrari , presidente di Apigiovani Verona e alessan dro rania , consigliere
di Api giovani Verona. Christian Od dono, laureato in economia all'Università Bocconi, ha la sciato il mondo
della consulenza finanziaria per aprire nel 2004 una catena di gelaterie Oddono's Gelati Italiani a Lon dra,
facendo conoscere Verona e il Made in Italy all'estero e puntando sull'alta qualità dei suoi prodotti,
rigorosamente di origine naturale e la trasparenza dei suoi laboratori artigianali. Oddo no's Gelati Italiani oggi
conta cinque shop e a Febbraio 2015 è prevista l'apertura di un sesto punto vendita londinese, il fatturato
2013 è stato di 1 milione e 500 mila sterline mentre nel 2014 di 1 milione e 800 mila. "Il nostro obiettivo è
quello di rendere internazionale un prodotto semplice come il gelato fresco e artigianale" ha dichiarato
l'imprenditore veronese Christian Oddo no. "Sognare non costa nulla. Vorremmo esportare il nostro marchio
anche al di fuori del Regno unito, donando ancora più prestigio al Made in Italy e analizzando in modo
approfondito i vari mercati, cogliendo la particolarità di ogni luogo e andando incontro ai gusti della
popolazione consumatrice. Uno dei segreti dell'internazionalizzazione infatti è interpretare le esigenze ed i
gusti del cliente, diversi a seconda della cultura e del luogo geografico. Al mo mento l'Italia non è fra i nostri
prossimi mercati, stiamo puntando ad aree dove la concorrenza ed il costo del lavoro sono minori e le
agevolazioni fiscali maggiori, come i Paesi Asiatici ed il Medio Oriente". "Il progetto di Oddono è un esempio
per le nostre pmi. Dovremmo prendere spunto da lui, puntare sulla qualità e valorizzare il nostro DNA" ha
concluso così la conferenza stampa Alessandro Ferrari, presidente di Apigiovani Verona. La consegna del
premio
CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014
12
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aPi nduStri a
05/12/2014
La Voce di Mantova
Pag. 10
Le scadenze del protocollo MCTCNet2 per i Centri di Revisione
MCTCNet2: una sigla che racconta il futuro della tracciabilità per i Centri di revisioni dei veicoli sarà al centro
di un incontro organizzato da Apindustria e dal Gruppo Govi (officine veicoli industriali) in collaborazione con
la Direzione della Motorizzazione Civile di Mantova. L'incontro si terrà domani, 6 dicembre, alle ore 9 nella
sede di Apindustria Mantova in via Ilaria Alpi 4 a Mantova. «Abbiamo fortemente voluto questo incontro sottolinea Marco Zanoni , Presidente del Gruppo Govi (officine veicoli industriali) - perché tra i nostri obiettivi
c'è quello di fornire alle aziende gli strumenti per applicare al meglio e interpretare efficacemente le novità.
Siamo grati alla Motorizzazione Civile di Mantova di aver risposto positivamente alle nostre istanze per fare il
punto sulle imminenti scadenze previste dal protocollo di comunicazione MCTCNet2». Questo è stato
introdotto nei Centri di revisione veicoli autorizzati alla fine degli anni Novanta affinché le procedure relative
alle revisioni fossero uniformi e comuni a tutti gli operatori di settore sull'intero territorio nazionale, definendo
un linguaggio di comunicazione comune per tutte le attrezzature utilizzate per la revisione dei veicoli.
«Finalmente sembra siamo arrivati alla fine di questo percorso lungo e tortuoso aggiunge Sergio Vecchi ,
consigliere Apindustria e membro del gruppo G.O.V.I - il protocollo MCTCNet2 è l'evolu zione del precedente
protocollo, introdotto per tentare di rispondere alla necessità di certificazione dei dati prodotti dal sistema e
per rendere uniforme e completamente tracciabile l'intero iter delle operazioni di revisione conservandone i
dati». L'introduzione di questo sistema dovrebbe consentire di eliminare gli abusi e le "fa l s e r ev i s i o n i "
(ad esempio garantisce la presenza in sede di revisione del veicolo da revisionare attraverso il
riconoscimento della targa) e quindi di aumentare il livello di sicurezza stradale garantendo nel contempo il
monitoraggio costante del parco veicoli circolante. Le aziende interessate a partecipare possono telefonare
allo 0376-221823 oppure inviare un'e-mail a: svilupposervi [email protected] .
CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014
13
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
DOMANI IL TEMA SARÀ T R AT TATO IN APINDUSTRIA
05/12/2014
La Voce di Mantova
Pag. 10
Una piacevole serata con una breve divagazione tra le più famose opere di Shakespeare, un brindisi
prenatalizio e scambio di auguri. L'appuntamento, organizzato da Apindustria di Mantova, si è tenuto ieri al
teatro Sociale. Lo spettacolo è stato presentato dal presidente Francesco Ferrari che ha illustrato la scelta del
drammaturgo inglese e i brani e musiche alla scoperta dei valori d'impresa con protagonisti Eros Tugnoli,
Claudio Soldà e Davide Foroni . Sul palco sono saliti anche il direttore generale della Banca Popolare di
Mantova Annibale Ottolina e il sindaco di Mantova Nicola Sodano . «Sentiamo il peso della crisi - ha notato
Sodano e ci rendiamo conto che il momento economico è molto difficile. Ma sentiamo anche il bisogno di
trovare la coesione per uscire dalla crisi. Il Comune di Mantova ha voluto lanciare un segnale di ottimismo
organizzando la mostra di Mirò a Palazzo Te per valorizzare la risorsa cultura e dare un impulso a tutte le
attività economiche che ruotano attorno al turismo». Sodano, in segno di gratitudine nei confronti della
Associazione delle Piccole e Medie Imprese, ha donato al presidente Ferrari il catalogo della mostra di Mirò
"L'impulso creativo".
CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014
14
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Auguri dall' Api divagando su Shakespeare
05/12/2014
Prima Pagina - Modena
Pag. 3
Banche-imprese, i rubinetti sono ancora stretti
Ma il rapporto migliora: Credem, Cariparma e Unicredit al top
di LUCA GARDINALE «Cara banca, oggi il tuo voto è...». Se fino ad oggi erano stati soprattutto loro, gli istituti
di credito, a valutare le imprese, con le conseguenti decisioni di concedere o meno finanziamenti, ora la
situazione si è ribaltata. A dare i voti alle banche del territorio e nazionali, infatti, sono stati gli imprenditori
associati ad Apmi Confimi di Modena e Reggio Emilia: numeri poi raccolti dall'associazione, che ha elaborato
i dati nel 'For m finanza 2014', presentato ieri mattina nella sede Apmi dal presidente Giovanni Gorzanelli, dal
direttore Mario Lucenti e dal responsabile dell'area finanza Giacomo Ferraresi. La valutazione Le aziende
associate sono state così chiamate ad esprimersi sugli elementi più rilevanti della gestione finanziaria e non
solo, dal numero dei rapporti di conto agli affidamenti, dalle garanzie richieste a questioni più strettamente
legate all'attività imprenditoriale, come i Paesi di esportazione e la partecipazione alle fiere. Un'i niziat iva
partita proprio dalla necessità di conoscere e migliorare il rapporto tra impresa e banca, in un contesto in cui
ultimamente l'istituto di credito non è visto tanto come un partner a fianco dell'impresa, ma piuttosto come
una controparte dalla quale, in qualche caso, ci si deve addirittura difendere. Il campione All'indagine hanno
risposto oltre 200 aziende, di cui poco più della metà appartenenti al settore metalmeccanico, con
rappresentanza anche dei settori edilizia (12,08%), servizi (10,14%), commercio (9,66%), tessile (5,80%),
chimic a ( 4 , 8 3 % ) , a l i m e n t a r e (3,86%), editoria-grafica (2,42%) e Ict (0,97%), e con una media di
dipendenti va dai 6 ai 30 lavoratori. Per quanto riguarda il numero di rapporti di conto intrattenuti, la banca p i
ù p r e s e n t e è l a B p e r (24,27%), seguita da Unicredit (21,55%) e Banco popolare (15,06%). Indice di
gradimento Ma qual è dunque il giudizio degli imprenditori nei confronti delle banche? Detto che circa il 60%
delle aziende non ha espresso un indice di rating, al primo posto si attesta la Credem, con un giudizio che
cresce dal 5,95 (su un massimo di 10) del 2012 ad un ottimo 8,07 per il 2013. Al secondo posto, sempre in
crescita rispetto all'anno precedente, c'è Cariparma, passata dal 6,50 al 7,75, mentre anche Unicredit
migliora leggermente, passando dal voto medio di 7,17/10 a 7,41. Al quarto posto c'è Unipol, con 7 (nel 2012
era 5,86), seguito da Cari Cento, in discesa dal 7,13 al 6,86. Sesta la Bper, che si attesta sul 6,82, in calo
rispetto al 7,27 dell'anno precedente. Restando sulle banche del territorio, il Banco popolare è undicesimo,
passando dal 6,18 al 6,03. Riduzione degli affidamenti Un dato molto interessante, sempre per quanto
riguarda il rapporto impresa-banca, è quello relativo alle aziende che nel 2013 hanno ricevuto una riduzione
di affidamenti da parte delle banche, pari al 13,50%. «Un dato preoccupante - spiega il presidente di Apmi
Confimi Gorzanelli - perché la riduzione di un affidamento può mettere in crisi una piccola impresa, e in
generale perché questo numero può influire sul rapporto stesso tra impresa e banca». «Se ci sono ancora
delle banche 'sul la difensiva' - spiega il direttore Mario Lucenti - significa che la tranquillità, su questo
aspetto, ancora non c'è». Tra gli altri dati interessant i e m e r s i d a ll 'inda gine c'è quello relativo ai cons o r
z i f i d i , struttura sulla quale la Regione ha investito milioni di euro: tre aziende intervistate su q u at t ro ( i l
75,88%) non hanno fatto alcun ricorso a questo strumento, che evidentemente è da rivedere. «L'azienda riprende Gorzanelli deve vivere il consorzio fidi come un aiuto al mercato, e non come un ulteriore passaggio
da evitare». Tra i pochi settori che hanno fatto ricorso ai consorzi fidi, comunque, spicca quello
metalmeccanico, che guida la classifica con il 61,82%, mentre l'edilizia è ferma al 12,73%, preceduta dai
servizi, al 14,55%. Stato di salute Come stanno, dunque, le nostre pmi? «Le piccole e medie imprese delle
province di Modena e Reggio Emilia hanno una gran voglia di ripartire conclude Lucenti - puntando
soprattutto sui mercati esteri. Ma chiedono alle banche un aiuto. Non siamo sicuramente ancora fuori dalla
crisi, ma la fiducia dell'i m p re n d i to re c'è: ora bisogna sostenerla». Intanto, l'associazione prova a metterci
del suo: a chi si iscrive nel 2015 verrà garantito un anno di servizi gratuiti. APMI CONFIMI Da sinistra, il
CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014
15
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IL RATING DELLE BANCHE Nei grafici, le valutazioni delle imprese nel 2013 rispetto al 2012. Sotto, a
destra, la riduzione dei fidi concessi l'anno scorso L'indagine 2013 rivela che nel 13,5% dei casi gli
affidamenti sono stati ridotti APMI CONFIMI
05/12/2014
Prima Pagina - Modena
Pag. 3
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direttore Mario Lucenti, il presidente Giovanni Gorzanelli e il responsabile area finanza Giacomo Ferraresi
CONFIMI - Rassegna Stampa 05/12/2014
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CONFIMI WEB
1 articolo
03/12/2014
10:22
www.infobuild.it
Sito Web
Ben venga l'abolizione della responsabilità fiscale su appalti e subappalti (è la fine di un incubo), bene la
comunicazione telematica delle dichiarazioni d'intento (che passa dal fornitore al cliente assorbendo i pesanti
problemi sanzionatori e dimezzando - a livello nazionale - gli adempimenti complessivi in materia), bene la
comunicazione black list (che diventa annuale assorbendo 15 scadenze infrannuali), bene anche alcune altre
semplificazioni minori che sono diventate legge con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto Decreto
Legislativo 21 novembre 2014, n. 175.
E' un risultato che testimonia l'importanza delle azioni promosse dal sistema associativo a presidio e difesa
delle imprese e, in particolare, da Confimi Impresa, confederazione nazionale delle imprese manifatturiere e
dell'impresa privata.
"Non c'è pero né tempo né spazio per "gongolare", sostiene Flavio Lorenzin, Vicepresidente di Confimi
Impresa con delega alle semplificazioni e ai rapporti con la PA.
"In Italia le semplificazioni sono come la tela di Penelope e la burocrazia è sempre in agguato, anche quando
non ci si mette il fisco".
Sono ancora troppo freschi, ad esempio, i ricordi della "tragedia", sfiorata sul filo di rasoio, in merito
all'aggiornamento delle carte di circolazione dei veicoli aziendali. Fra qualche giorno, poi, riaffioreranno, in
tutta la loro incredibile irrazionalità, TASI ed IMU che colpiscono troppo pesantemente anche i capannoni
(casa delle imprese) i cui versamenti a saldo si innescano in un calendario ancora troppo fitto di scadenze.
Nel 2015, poi, fra le altre, arriveranno: il "730 precompilato" (con nuovi adempimenti e oneri chiesti ai sostituiti
d'imposta); la fatturazione elettronica verso la PA con l'obbligo di conservazione sostitutiva a norma
(adempimento imposto ma non necessario ai fini degli obiettivi di efficientamento della PA); la nota integrativa
in formato XBRL e l'obbligo del rendiconto finanziario.
Infine, conclude Lorenzin, "non possiamo che plaudire, nel complesso, alle misure contenute nel decreto, ma
non possiamo spingerci oltre la sufficienza risicata".
Nel decreto, ad esempio, mancano ancora all'appello misure altre misure per le quali Confimi promette di
proseguire la propria azione, come l'eliminazione, nel reverse charge, dell'obbligo dell'autofatturazione o
integrazione (adempimento che potrebbe essere sostituito con una semplice separata annotazione) e
l'aumento della soglia per i visti di conformità ai fini della compensazione dei crediti fiscali (onere che pesa
troppo nei bilanci delle PMI).
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 05/12/2014
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Decreto Semplificazioni: si può fare meglio!
SCENARIO ECONOMIA
15 articoli
05/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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Padoan: l'Italia decisiva nella svolta Ue sul lavoro
Pier Carlo Padoan
C aro direttore,
il commento di Luigi Offeddu sulla presidenza di turno dell'Ue («L'ultima occasione per riscattare il semestre
europeo», il Corriere della Sera , 4 dicembre) sottovaluta quanto è stato fatto dall'Italia a partire dal primo
luglio.
Soffermandomi brevemente sui temi di mia competenza, mi limito a ricordare che sei mesi fa crescita e
investimenti erano temi estranei alla prospettiva di Bruxelles.
Grazie all'iniziativa italiana, oggi l'Unione Europea è al lavoro su tre fronti: le carenze sia sul lato della
domanda che sul lato dell'offerta, la necessità di spingere l'acceleratore sugli investimenti (la task force BeiCommissione nata a Milano in settembre ha anticipato il piano Juncker, così che già all'Ecofin di martedì
prossimo potremo valutare una massa critica di progetti sui quali fare confluire le risorse), la relazione tra
l'attuazione delle riforme strutturali e la flessibilità nel consolidamento di bilancio. Dalla recente valutazione
delle leggi di stabilità dei Paesi membri dell'Unione monetaria traspare in modo netto la consapevolezza di
quanto queste dimensioni delle economie nazionali siano legate tra loro e con i destini comunitari. Il lavoro
della presidenza italiana ha certamente contributo a far maturare questa consapevolezza.
Il commento ricorda anche che ci eravamo impegnati a migliorare l'integrazione interna ma ignora i risultati
raggiunti nelle misure di contrasto a evasione ed elusione fiscale, che rendono più eque ed equilibrate le
condizioni competitive tra imprese (abbiamo raggiunto l'accordo politico per avviare lo scambio automatico di
informazioni fiscali dal 2017 e martedì prossimo potremmo conseguire l'accordo per una clausola antielusiva
nella direttiva che regola la distribuzione di profitti tra società di uno stesso gruppo aziendale).
Infine, abbiamo messo nell'agenda dei prossimi mesi la Capital Markets Union quale passo ulteriore per
l'integrazione del mercato finanziario.
Questi sono solo gli esiti più evidenti di un lavoro negoziale che deve mettere d'accordo 28 Stati diversi. In
Europa come in Italia non esistono bacchette magiche e i risultati non si manifestano da un giorno all'altro,
ma il lavoro che il governo e l'amministrazione stanno conducendo con tenacia sta già contribuendo a
cambiare l'orientamento del Paese e delle istituzioni comunitarie.
Pier Carlo Padoan
Ministro dell'Economia
e delle Finanze
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014
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La lettera il ministro
05/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
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«Anche Google rispetti le nostre regole»
Buttarelli, il garante europeo: su trasparenza e privacy i colossi Usa dovranno adeguarsi
Beppe Severgnini
«Google un posto sicuro per i dati degli utenti? Non sono d'accordo. Credo che i nostri dati saranno sempre
di più nelle nuvole, ma i nostri diritti devono stare con i piedi per terra. Non devono essere virtuali. C'è ancora
poca trasparenza sull'uso delle informazioni personali»: ne è convinto il magistrato Giovanni Buttarelli, 57
anni, nuovo garante europeo della protezione dei dati personali. a pagina 27
Ieri il Parlamento europeo e il Consiglio Ue hanno formalizzato la nomina di Giovanni Buttarelli come
European data protection supervisor (Edps), garante europeo della protezione dei dati personali. Magistrato
ordinario dal 1986, Buttarelli (classe 1957, nato a Frascati) è stato segretario generale dell'Autorità garante
per la protezione dei dati personali in Italia dal 1997 al 2009, e vice dell'Ufficio europeo dal 2009. È la sua
prima intervista nel nuovo incarico. Risponde in collegamento Skype da Bruxelles.
Privacy. Lei lo pronuncia all'inglese (pri-va-cy) o all'americana (prai-va-cy)?
«Tutt'e due, a seconda della collocazione geografica del discorso».
C'è chi ha commentato la sua nomina come «un successo italiano». È corretto?
«Sì. Credo sia un'occasione da capitalizzare come sistema-Paese. L'Italia è sottorappresentata nelle
istituzioni europee a livello amministrativo-burocratico. Questa è un'importante carica dal punto di vista
gerarchico. Siamo un Paese fondatore dell'Ue. Possiamo e dobbiamo fare e contare di più nei processi
decisionali».
«Il Garante europeo della protezione dei dati è un'istituzione sempre più importante, ma ancora da costruire a
pieno. Ragione in più per scegliere un leader carismatico», ha detto Eva Joly, membro della commissione
Libe (Libertà civili, giustizia e affari interni) del Parlamento europeo. Lei è un leader carismatico, dottor
Buttarelli?
«I requisiti prevedevano la scelta di una persona capace di rappresentare la protezione dei dati ai più alti
livelli internazionali. Mi auguro che la scelta abbia avuto successo. C'è una top ten list di esperti credibili nel
mondo, ed è una lista abbastanza attendibile».
Molto bene. Ma non ha risposto alla domanda. Lei è un leader carismatico?
«Credo di avere attendibilità a livello internazionale per far passare questi principi su scala non solo europea.
In questa materia non basta il politico affascinante che seduce, ci vuole un lavoro di lungo respiro. Sono qui
dopo un investimento di oltre vent'anni».
Lei si chiede in un tweet, in inglese: «Big data (una raccolta di dati tanto grande e complessa da richiedere
strumenti differenti da quelli tradizionali, ndr ) è una sfida troppo grande per la protezione dei dati? La riforma
Ue è abbastanza robusta/flessibile per affrontare la questione su scala mondiale?». Può rispondere a se
stesso, se vuole.
«Sì, la riforma europea è la risposta alla rivoluzione Big data. Non è necessario ripensare i principi di tutela
dei diritti, bensì applicarli in modo completo. Ci vuole una privacy digitale, dinamica, fresca, sburocratizzata e
soprattutto attenta alle nuove tecnologie. Non possiamo pensare che ogni nuova tecnologia detti soluzioni
nella forma "prendere o lasciare". C'è anche una valutazione di sostenibilità, di accettabilità etica. Non
possiamo avere diritti fondamentali low cost».
Una priorità?
«Nel post-mondo della sorveglianza globale, la riforma della privacy dev'essere assolutamente approvata
entro il prossimo anno, in modo definitivo: è la mia priorità delle priorità. Applicheremo queste leggi nel
mondo a chiunque offrirà beni e servizi a individui in Europa, o li profilerà. Anche se solo due dei venti big
data player sono stabiliti nell'Unione. I dati sono il petrolio del futuro, il sangue vitale dei processi decisionali,
ma possono essere anche un'arma nucleare».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014
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INTERVISTA
05/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014
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Non rischiamo il «tecnopanico», come l'ha definito Jeff Jervis?
«Io non ho una "Googlefobia". Spero che il dialogo transatlantico prosegua e il Ttip (Transatlantic trade and
investment partnership, Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti, ndr ) veda presto la luce: è
il trattato dei trattati. Ma non a spese dei diritti fondamentali».
Lei è d'accordo nel separare il motore di ricerca dai servizi commerciali di Google?
«Non è una mia competenza. Diciamo però che abbiamo chiesto alle autorità che si occupano di antitrust di
incorporare i principi di privacy nelle loro attività».
Il Corriere in estate ha intervistato Eric Schmidt, il numero uno di Google. Ci ha detto: «Google oggi è il posto
più sicuro dove mettere i propri dati». È d'accordo?
«Sicuro per chi? Per chi li maneggia o per gli utenti? Se parlava degli utenti, non sono d'accordo. Credo che i
nostri dati saranno sempre di più nelle nuvole, ma i nostri diritti devono stare con i piedi per terra. Non devono
essere virtuali. C'è ancora poca trasparenza sull'uso delle informazioni personali, anche per giuste finalità di
law enforcement ».
The Economist sostiene che dobbiamo farci un esame di coscienza: le iniziative contro Google non sono un
modo per difendere l'arretratezza tecnologica europea?
«Un autorevolissimo esponente americano mi ha detto: "Per i prossimi 5-6 anni il dialogo sarà tra la Silicon
Valley e Bruxelles. Bruxelles il centro di gravità delle regole, la California il centro delle tecnologie.
Washington vedrà passare questi flussi del dialogo". L'Europa ha l'obbligo, in base al nuovo trattato di
Lisbona, di legiferare. Non è una facoltà o una scelta. E credo che Google come tutti gli altri grandi player
abbia tutto l'interesse ad avere regole armonizzate. Oggi dialoga con 28 Paesi, domani avrà un solo
interlocutore europeo».
La sua immagine dei flussi tra la California e Bruxelles è affascinante, ma a Washington, che sta nel mezzo,
c'è gente abile nell'acchiappare le informazioni che passano. Dica la verità: quando ha letto dello scandalo
Nsa/Datagate è rimasto sorpreso, almeno dalle dimensioni del fenomeno?
«Tutti i servizi del mondo che fanno attività di intelligence devono spiare. Come magistrato ritengo che, se lo
fanno sobriamente, in un quadro di maggiore trasparenza, ne guadagnano loro stessi. L'appetito bulimico
delle informazioni non giova. La trasparente sobrietà aiuta ad avere credibilità nei confronti del cittadino. C'è
un accordo in definizione con gli Stati Uniti (Umbrella agreement). Mi auguro di collaborare alla sua
conclusione entro il prossimo anno».
Diritto all'oblio. Che senso ha l'intervento della Corte di giustizia, se su Google.com tutto rimarrebbe
invariato?
«Pochi giorni fa, 28 autorità nazionali e la nostra autorità europea hanno approvato un documento che dice
chiaramente: questo "spezzatino" non ha cittadinanza nella normativa attuale. Non possiamo operare una
distinzione in base al posto in cui una società mette i server o crea il suo quartier generale. Prodotto globale,
tutela globale».
Google, Facebook e gli altri dovrebbero usare default setting che garantiscono la privacy, e lasciare agli
utenti la possibilità di rinunciarvi (opt-in). Mentre, come sa, oggi avviene il contrario: uno è dentro e, se
proprio vuole, esce (opt-out). Possiamo chiedere questo ai grandi operatori della Rete?
«Non dobbiamo "chiedere" a queste società di farlo. Questa è la regola europea. Che poi queste società
sviluppino applicazioni contrarie a questi principi - sulle quali poi fanno sistematicamente marcia indietro - è
un'altra cosa».
Lei ha un account Twitter, con soli 351 follower, il 351° sono io. L'ultimo suo tweet (in tutto sono 15) è del 21
maggio. Perché sta su Twitter, allora?
«Mi aspettavo la domanda e ho la risposta pronta. Doveroso self-restraint (auto limitazione ndr ) nel corso
della lunga procedura di selezione. Ora twitterò di più, promesso. Mi sono anche preso la libertà di aprire un
blog personale: spero di poterlo fare all'inizio dell'anno».
05/12/2014
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:619980, tiratura:779916)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Il suo incarico viene definito dai media Data protection watchdog, letteralmente «cane da guardia della
protezione dei dati». Lei è autorizzato a mordere o solo ad abbaiare?
«Questa piccola Autorità abbaierà di meno. Occuparsi di diritti fondamentali non significa essere
fondamentalisti. Non siamo gli ayatollah della protezione dei dati, ma vogliamo svolgere un ruolo importante.
Dobbiamo essere efficaci, però. Non solo mordere, ma esserci. Non si riduce a una questione di tutela dei
diritti: stiamo parlando dell'assetto della società futura. Dobbiamo prevenire forme postmoderne di
totalitarismo democratico».
(ha collaborato
Stefania Chiale)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Chi è
Giovanni Buttarelli
(nella foto) è nato a Frascati nel 1957.
È stato segretario generale dell'Autorità garante
per la protezione dei dati personali in Italia dal 1997 (anno della sua istituzione) al 2009, e vice dell'Ufficio
europeo dal 2009 Buttarelli, magistrato,
è stato uno degli autori della normativa italiana
sulla protezione
dei dati personali È già stato presidente e vicepresidente dell'Autorità comune di controllo (Acc) prevista dalla
Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen Ha presieduto presso il Consiglio dell'Unione europea
il Gruppo che ha elaborato la prima direttiva sulla tutela della vita privata nelle telecomu-nicazioni
Non conta dove una società ha
la sua sede Prodotto globale, tutela globale
Nei prossimi anni il dialogo sui diritti sarà tra Silicon Valley
e Bruxelles
05/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Il tempo diventa l'alleato di Draghi
Donato Masciandaro
Se vuoi la pace prepara la guerra. Ovvero: non serve l'unanimità quando la banca centrale deve mettere in
atto un'azione di politica monetaria decisiva per adempiere al proprio mandato.
Il presidente della Banca centrale europea (Bce) Mario Draghi ha fatto di necessità virtù, di fronte a due fatti.
Da un lato permane una situazione economica di trappola della liquidità in cui non si intravvedono significativi
segnali di miglioramento, anzi. Dall'altro lato continua la situazione di trappola politica all'interno del consiglio
della Bce, in cui una parte dei suoi colleghi sono ostili a misure non convenzionali di politica monetaria basate
sull'acquisto di titoli. Le due trappole possono essere aggirate prendendo il tempo come alleato e operando in
modo che sia le condizioni economiche sia quelle politiche siano più favorevoli all'azione monetaria. Per cui
oggi non si agisce, ma già si disegna l'azione per domani.
Le parole di Draghi hanno confermato che la situazione di trappola della liquidità in cui versa l'economia
dell'Unione non accenna a mostrare segnali di miglioramento. C'è una trappola della liquidità quando le
normali operazioni di politica monetaria non trasmettono stimoli all'economia reale. Quando i prezzi calano, in
condizioni normali la Banca centrale sa cosa fare e ci riesce: immettere liquidità nel sistema. Il suo bilancio
cresce, cresce la moneta e il credito, gli operatori riequilibrano i loro portafogli, aumentano gli investimenti in
attività più rischiose, finanziarie e reali. La deflazione è scongiurata, cresce l'economia reale.
La Bce vive nel mondo a rovescia in cui la catena di trasmissione della politica monetaria è già rotta fin dal
primo anello: le dimensioni del suo bilancio sono ritenute insufficienti e l'anemia si trasmette alle variabili
monetarie e creditizie, fino alla stagnazione degli investimenti reali. Con il passare dei mesi, poi, la situazione
è resa ancora più incerta da due nuovi shock.
Continua pagina 3
Continua da pagina 1
Da un lato vi è la caduta del prezzo del petrolio: il ribasso del costo delle materie prime è un fenomeno di cui
occorre ancora capire la natura - transitoria o permanente - e gli effetti sulla dinamica delle variabili reali e
nominali, che possono essere sia positivi che negativi. In più ci sono le tensioni geopolitiche, situazione russa
in testa, con tutti gli effetti a catena che ne conseguono, inclusa la dinamica del tasso di cambio. Da questo
punto di vista, è significativo notare come la rottura della catena di trasmissione - quindi l'effetto trappola della
liquidità - colpisca anche la relazione tra tassi di cambio e variabili reali. Finora il continuo deprezzamento
dell'euro non si è per nulla associato a un miglioramento delle esportazioni nette dell'Unione, che anzi sono
peggiorate.
In una trappola della liquidità - Draghi continua a ripeterlo - occorre muovere sia l'offerta aggregata con le
politiche strutturali, sia la domanda aggregata con politiche di investimento pubbliche e private, a partire dal
piano Juncker.
E la politica monetaria? La politica monetaria può puntare a riparare il meccanismo di trasmissione con
operazioni straordinarie. Si può puntare a dare una scossa alle aspettative di inflazione - per evitare che
diventino di disinflazione - modificando l'obiettivo numerico che rappresenta la stabilità monetaria per la Bce:
passare dal 2 al 3 o al 4, anche solo temporaneamente. Ma di cambiare obiettivo in Bce finora non si è
parlato affatto.
Un'altra strada è quella di arricchire gli strumenti della politica monetaria, affiancando alla leva dei tassi di
interesse - oramai a zero - la strada degli acquisiti di titoli finanziari. L'obiettivo dell'acquisto di titoli finanziari è
quello di provare a "colpire" le aspettative, e allo stesso tempo di riattivare le dinamiche virtuose di
riallocazione dei portafogli che fanno fluire la liquidità verso gli investimenti rischiosi, meglio se produttivi.
Ma è sull'acquisto di titoli finanziari che si presenta la trappola politica. L'acquisto di titoli ha effetti collaterali.
L'acquisto di titoli pubblici ha effetti fiscali e redistributivi. L'acquisto di titoli privati ha effetti redistributivi.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014
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LA STRATEGIA BCE
05/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014
25
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L'acquisto di titoli esteri e di valute ha effetti transnazionali. Infine l'acquisto di titoli in generale può avere
effetti sulla rischiosità dell'attività della banca centrale, che può riverberarsi alla fine sui contribuenti.
Il problema della Bce è che essendo una banca centrale la cui azione si riverbera su più sovranità nazionali dai tedeschi ai greci - una sua azione di acquisto di titoli finanziari difficilmente può ottenere una unanimità di
consensi. Questo Draghi lo sa. Per questo non ha esitato a chiarire che - escludendo operazioni in oro nessuna opzione verrà trascurata pur di difendere il mandato della Bce. L'unanimità non serve.
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05/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 1
(diffusione:334076, tiratura:405061)
La coperta corta è il rischio del QE
di Isabella Bufacchi
di Isabella Bufacchi
Le banche centrali sono formidabili perchè hanno un potere infinito. In teoria, possono stampare moneta
all'infinito. Questo superpotere, che sui mercati non ha eguali, le rende potenzialmente imbattibili.
Continua pagina 2
Le loro minacce incutono terrore, la loro moral suasion impone rispetto. Il quantitative easing, che consiste
nell'espansione del bilancio della banca centrale tramite acquisto di bond, è considerato sul mercato uno
strumento formidabile proprio per le sue dimensioni, quella "size" che può ingrandirsi a dismisura per centrare
il bersaglio, per raggiungere l'obiettivo. Così si è mossa la Federal Reserve con QE1, QE2 e QE3.
Di "size" il presidente della Bce Mario Draghi ne ha parlato anche ieri e in più occasioni durante la
conferenza stampa al termine del board. La Bce ha intenzione di far salire di circa 1.000 miliardi il suo
bilancio, per tornare alle dimensioni di inizio 2012. Lo farà con un pacchetto di misure che per il momento
consiste in «almeno» due anni di a cquisti di cartolarizzazioni ABS e covered bond e otto TLTRO (credito
mirato all'economia) fino al giugno 2016.
Il deterioramento del quadro economico (il Pil europeo che va peggio del previsto) e dell'inflazione (più bassa
delle attese), l'impatto del crollo violento del prezzo del petrolio (per ora -30% in cinque mesi) e il rischio di un
restringimento delle condizioni del credito in luogo di un allentamento (l'inflazione sempre più bassa può far
lievitare rendimenti reali) sono tutte variabili che, se confermate, porteranno la Bce a rivedere quanto prima
(forse a gennaio) le dimensioni, la tempistica e la composizione delle misure di politica monetaria nonstandard.
Ma le dimensioni, la size, pur essendo potenzialmente infinite resteranno per ora circoscritte a quanto
programmato. La Bce valuterà se Abs + covered bond + TLTRO nell'arco di due anni riusciranno ad
aumentare il bilancio di 1000 miliardi rendendo efficace la politica monetaria non convenzionale per
agevolare il credito all'economia e riportare l'inflazione attorno al 2 per cento. Ecco perchè il mercato è
convinto che entro il primo trimestre del prossimo anno la Bce sarà costretta - senza voto all'unanimità - ad
aggiungere alla lista degli asset acquistati i titoli di Stato degli Stati dell'eurozona. Le modalità dell'estensione
del QE ai titoli sovrani sono in fase di studio e discussione nei nuovi quartieri generali della Bce: a differenza
delle banche centrali di Stati Uniti, Inghilterra e Giappone, il QE europeo è unico perchè il bacino dei titoli di
Stato è composto da bond di 18 Paesi con rating (affidalità creditizia) molto diversi tra loro. (Eppoi il QE in
Giappone non ha funzionato, in assenza di adeguate riforme strutturali e politica fiscale).
Resta la size del QE Bce. Per arrivare a quota 1000 miliardi si terrà conto delle due LTRO triennali che entro
febbraio 2015 saranno estinte (mancano all'appello 200 miliardi circa di rimborsi delle banche) e dei titoli di
Stato acquistati al picco della crisi del debito sovrano con il Securities markets programme e che via via
vengono rimborsati (dei 100 miliardi di BTp acquistati tra la fine del 2011 e l'inizio del 2012 la Bce ne avrebbe
in bilancio 70 miliardi circa). Di titoli di Stato la Bce potrebbe comprarne tra 400 e 600 miliardi, di cui la
percentuale italiana difficilmente arriverebbe ai 100 miliardi del vecchio SMP. La coperta appare già corta.
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© RIPRODUZIONE RISERVATA Italia Spagna Acquisti Bce per Paese 88 63 1-3 28 21 3-5 23 17 5-7 18 10
7-10 19 16 Percentuale del debito emesso 8 11 Percentuale sul totale dei bond governativi 5 10 Fonte: ECB,
Bloomberg, UniCredit Research Qe sui Governativi da 500 miliardi di euro Scenario 1
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014
26
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L'ANALISI
05/12/2014
Il Sole 24 Ore - Moda 24
Pag. 23
(diffusione:334076, tiratura:405061)
De Benedetti: «La moda cambi passo»
Paola Bottelli
a «Alle aziende italiane della moda, e non solo della moda, manca la capacità di fare il salto: il prodotto da
solo non basta. Servono organizzazione, processi, know how: ed è lì che molti imprenditori, anche geniali,
vanno a schiantarsi». Marco De Benedetti è director e co-head dell'Europe Buyout Group di Carlyle: nel track
record primeggia l'acquisizione, con successiva Ipo di successo, di Moncler, produttore di piumini di lusso, da
cui il colosso del private equity è uscito definitivamente nel giugno scorso. Dal luglio 2012, Carlyle è entrato in
Twin-Set, di cui ora detiene il 72% del capitale, mentre il restante 28% è nelle mani dei fondatori dell'azienda:
il ceo Tiziano Sgarbi e il direttore creativo Simona Barbieri.
De Benedetti, con Twin-Set puntate a replicare la performance di Moncler?
Sgarbi e Barbieri sono riusciti a intercettare i profondi mutamenti imposti dall'avvento del fast fashion: catene
come Zara e H&M hanno rivoluzionato il mercato e Twin-Set è stato in Italia tra i marchi in grado di
competere nel canale multimarca tradizionale. Questo è avvenuto anche grazie alla capacità industriale che
Twin-Set ha alle spalle, un vero punto di forza.
Qual è la sfida ora?
Quella di sbarcare all'estero, in primis in Europa, grazie alle stesse leve: un prodotto fresco, una supply chain
che consente un prezzo contenuto e una rotazione frequente nei negozi. Il mercato si sta polarizzando: da un
lato il lusso e dall'altro il value for money, con le seconde linee o linee giovani moribonde a causa dei prezzi
troppo alti e dalla scarsa aspirazionalità.
L'estero però è complesso...
Se un marchio funziona bene sul mercato italiano, dove il consumatore è sofisticato, anche se ora compra
poco, può funzionare bene anche all'estero.
Quanto fattura il brand e quanto state investendo?
Nel 2013 i ricavi erano di 177 milioni e gli investimenti sono una quindicina di milioni all'anno: una cifra
importante, destinata sia al retail sia alle infrastrutture.
E le stime 2014?
In un mercato difficile come è quello attuale, Twin-Set sta crescendo del 20% quest'anno. Un risultato
estremamente incoraggiante come, del resto, è stato il bond da 150 milioni emesso in luglio: non tutte le
aziende italiane possono permetterselo.
Quando quoterete Twin-Set?
Non c'è nessuna data prestabilita ma, come in tutti i nostri investimenti, abbiamo un piano di creazione di
valore: ci vorranno due anni di track record e ora siamo al primo. Prima del 2016-17 non se ne parla.
Su Moncler che cosa vi aveva spinti all'investimento?
Nel mondo del lusso il piumino era una delle poche categorie completamente vergini, dunque un'opportunità.
E sottolineo che il nodo della monostagionalità si sta rapidamente sciogliendo, visto che ora l'estate pesa per
il 35% del fatturato.
Ha altri dossier sul tavolo?
Come sempre molti: ci sono settori che seguiamo in modo proattivo, ma per sei mesi non arriveranno deal
nella moda.
Solo marchi italiani?
No, abbiamo analizzato casi in Francia e ora uno in Spagna, ma l'Italia ci interessa di più per ovvie ragioni. In
ogni caso le aziende devono avere capacità di crescita internazionale.
La dimensione?
Non siamo interessati a creare aziende da 50-100 milioni di ricavi quanto, piuttosto, a prenderle a quella
dimensione e portarle a 300-400 milioni: sempre che, alla base, ci sia la capacità di differenziarsi.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014
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intervista
05/12/2014
Il Sole 24 Ore - Moda 24
Pag. 23
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014
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Molti imprenditori sono però restii a rivolgersi al private equity.
Noi del private equity possiamo essere utile per portare know how a chi si è già affermato grazie a un
particolare talento creativo, ma ha limiti oggettivi, sotto il profilo della cultura d'impresa, per volare alto. Per
noi c'è l'opportunità di aiutarli ad avere il coraggio di osare.
Il capitalismo italiano è spesso individualista...
Sì, è un male italico.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Private equity. Marco De Benedetti (Carlyle)
05/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 2
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Bce, più tempo per gli aiuti "Non serve l'unanimità per agire" Giù le Borse,
Milano perde il 2,77%
Cresce il pessimismo sulla crescita: rivisti al ribasso Pil e inflazione. "Acceleriamo i lavori per studiare
l'acquisto di titoli pubblici"
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ANDREA TARQUINI
BERLINO. Mario Draghi rinvia all'inizio dell'anno prossimo le promesse misure straordinarie della Banca
centrale europea contro la crisi economica dell'eurozona, ma avverte in un monito che suona rivolto
soprattutto alla Bundesbank: per deciderle non serve l'unanimità, il quantitative easing e altre decisioni non
convenzionali rientrano nel nostro mandato. E sono per di più sempre più giustificate, dal momento che le
prognosi dell'istituto sulla crescita nell'eurozona sono drasticamente corrette al ribasso. E riesplode puntuale
lo scontro al vertice Bce tra due linee - rigorismo tedesco contro interventismo in stile Fed richiesto
dall'Europa meridionale.
«Oggi - ha detto Draghi - abbiamo discusso dell'acquisto di titoli di Stato e di altre attività, il direttivo è
arrivato alla conclusione che su questa ipotesi serva ancora lavoro, ma acceleriamo comunque lo studio delle
nuove misure». Immediata la reazione dei mercati: giù le Borse europee che hanno chiuso tutte in negativo,
con Milano maglia nera: meno 2,77%. Lo spread tra gli interessi dei Bund tedeschi e i titoli sovrani italiani è
prima salito da 123 a quota 130, per poi scendere a 126.
Il consiglio direttivo della Eurotower, riunito ieri a Francoforte, ha deciso di lasciare i tassi centrali invariati al
minimo storico, cioè 0,05% il saggio principale, meno 0,20 quello sui depositi e 0,30 il tasso marginale. Lo
staff della Bce, ha detto Draghi, «ha intensificato i suoi preparativi per ulteriori misure che potrebbero, se
necessario, essere attuate in misura tempestiva». Anche perché nei prossimi mesi sarà possibile un ulteriore
calo dell'inflazione, legato alle aspettative sui prezzi dell'energia. Il presidente Bce ha voluto sottolineare non
solo che il Consiglio «se necessario resta unanime sull'eventuale ricorso a misure non convenzionali», ma
soprattutto che un eventuale "quantitative easing" è «tra gli strumenti a disposizione nell'ambito del nostro
mandato» e che per essere attivato «non ha bisogno dell'unanimità nel nostro direttivo». Ogni misura
eccezionale è possibile a fronte dell'emergenza, ha sottolineato Draghi, escludendo solo l'acquisto di oro.
Draghi non è ottimista sulla crescita: crescita media del Pil nell'eurozona di appena lo 0,8% nell'anno che sta
per concludersi, di un magro 1% l'anno prossimo e dell'1,5 nel 2016. Un taglio drastico, rispetto alle previsioni
Bce di settembre che erano rispettivamente dello 0,9, dell'1,6 e dell'1,9.. La crescita si è indebolita e la
chance di ripresa resta modesta anche in prospettiva, ha detto ancora Draghi aumentando preoccupazioni e
pessimismo. All'inizio del 2015 la Bce valuterà di nuovo la situazione riservandosi di intervenire anche senza
unanimità, e «non tollererà deviazioni prolungate della stabilità dei prezzi».
Foto: AVVERSARI Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, con Mario Draghi, presidente della Bce
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014
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La crisi
05/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 34
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South Stream addio Saipem si ferma Gazprom già pensa a un nuovo
tracciato solo per gli amici
Anche i francesi mollano l'opera Mosca vuole assicurare il gas ai regimi alleati nei Balcani
LUCA PAGNI
MILANO. Per l'Europa e per la sicurezza degli approvvigionamenti del gas di cui ha bisogno «non è una
tragedia». Gerard Mastrallet, amministratore delegato di Suez Gaz De France, una dei leader del settore
energia del Vecchio Continente il fatto che i russi vogliano rinunciare alla costruzione del South Stream, è
l'autorevole conferma della posizione ai piani alti dell'Unione europea. «Non sono sicuro - ha aggiunto il
numero uno del gruppo controllato dal governo francese - che il progetto potesse essere portato a
conclusione. Si tratta di un investimento molto ingente e non del tutto indispensabile».
Traduzione: erano i russi a volerlo a tutti i costi per portare il gas in Europa non passando più per l'Ucraina,
ma con il crollo del prezzo del petrolio e dei contratti di lungo periodo per il gas (strettamente correlati) ora
non sono in grado di sostenerne più i costi.
Se ci fosse bisogno di ulteriori conferme dell'addio al gasdotto che avrebbe dovuto passare sotto il Mar Nero,
ieri anche l'italiana Saipem - che aveva vinto la gara dell'appalto da 2,4 miliardi - ha ricevuto la notifica di
sospensione lavori: «Riguarda tutti i mezzi navali ad oggi impegnati nelle attività relative alla posa delle
tubazioni», si legge in una nota al mercato.
Ma è solo una conferma della volontà russa. Gazprom, il colosso del gas controllato direttamente dal
Cremlino, sta già lavorando alla nuova strategia. Per portare gas ai pesi dell'est Europa, soprattutto a quelli
politicamente più vicini a Mosca, sta pensando un nuovo tracciato: un gasdotto che dall'Ungheria o
dall'Austria scenda verso la Serbia e la Macedonia. In alternativa, il gas potrebbe arrivare dalla Turchia
(esiste già un collegamento sottomarino con la Crimea russa) e da lì risalire attraverso la Grecia. Come si
vede la partita è aperta: l'unica certezza in più è che le navi di Saipem che erano in viaggio verso la base di
partenza in Russia invertiranno la rotta.
Foto: CANTIERI FERMI Ieri Saipem, in foto l'ad Umberto Vergine, ha ricevuto lo stop ai lavori su South
Stream
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014
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IL PUNTO
05/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 34
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Wind pronta a dare Infostrada per fare di Metroweb il perno di un nuovo
piano per la fibra"
Parla l'ad Maximo Ibarra: senza uno schema pubblico-privato non si rispetta l'Agenda digitale Anche sulle reti
mobili vi possono essere sinergie tra gli operatori per sviluppare la tecnologia nostri azionisti hanno esplorato
la possibilità di fare accordi con H3G ma senza risultati Le nuove offerte sono costruite per nuclei familiari con
banda larga dentro e fuori casa, Tv e sim mobili
GIOVANNI PONS
MILANO. Le avances di Telecom Italia per la quota di maggioranza di Metroweb hanno fatto tornare
d'attualità l'idea di un piano nazionale per le reti di nuova generazione. A cui potrebbe partecipare anche
Wind, come rivela l'ad Maximo Ibarra. Dottor Ibarra, Wind è attiva nella telefonia fissa attraverso Infostrada.
Avete anche voi un piano per sviluppare la banda larga attraverso la posa della fibra? «Siamo interessati a
coprire con Infostrada le città più importanti e che danno un ritorno economico, come Milano, Bologna,
Genova.
Ma mi preme constatare che queste aree più profittevoli sono, ovviamente, allo stesso momento al centro
dell'attenzione anche degli altri operatori. Se si procede così, si avranno in Italia 30 città cablate da quattro
operatori diversi e il resto del Paese in una condizione da digital divide».
L'Agenda Digitale prevede di portare la banda a 100 Mega all'85% della popolazione entro il 2020. E a 30
Mega al restante 15%. E' realistico un risultato del genere? «Non credo possa essere raggiunto questo
obbiettivo se non cambiando schema e pensando a una partnership pubblico-privato.
Occorre formare un veicolo che comprenda tutti gli operatori e la Cdp, che possa fare investimenti a lungo
termine beneficiando anche delle risorse che, per la prima volta, il governo ha deciso di mettere a
disposizione». Dopo anni di discussioni su una società della rete che doveva nascere con uno scorporo da
Telecom ora la stessa Telecom e Vodafone hanno messo gli occhi su Metroweb. Si potrebbe ripartire da lì?
«Secondo me sì. Metroweb può essere il germe da cui partire per realizzare la partnershipa cui mi riferivo
prima. Ma dovrebbe essere aperta a tutti i principali operatori della telefonia fissa e garantire parità di
accessoe tariffe competitive agli attori del mercato. Solo così si può andare oltre le 20-30 città principalie
raggiungere, invece, gli obbiettivi dell'Agenda Digitale».
Dunque anche Wind sarebbe interessata a entrare nel capitale di Metroweb, dove sono già presenti Fastweb
e la Cdp, e insieme a Telecom e Vodafone partecipare a un piano strategico per cablare tutta l'Italia? «Sì, noi
potremmo partecipare al capitale apportando gli asset di Infostrada in modo da rendere ancora più
consistente il veicolo di partenza. Essendo un soggetto pubblico-privato non investirà solo nelle aree con
ritorni sostenibili ma avrà una vista più lunga. Sarebbe un'operazione di sistema intelligente». E chi dovrebbe
controllare la Metroweb allargata? «Le quote di partecipazione sono un aspetto tecnico, non conta se
qualcuno pesa più di un altro. L'importanteè la governance: in una società di questo tipo le decisioni
strategiche devono essere prese da una maggioranza qualificata e allargata. Certo, per un progetto del
genere ci vuole molto pragmatismo». I vostri concorrenti diranno che volete socializzare la rete perché non
avete risorse sufficienti per investire da soli. È così? «No, non è così. Ogni anno investiamo 900 milioni in
tecnologia e con una gestione efficiente abbiamo fatto passi da gigante su clientie quote di mercato. Oggi
Wind sui segmenti residenzialee partite Iva è molto vicina a Vodafone e Telecom. Produciamo un miliardo di
cash flow all'anno con 22 milioni di clienti nel mobile, 3 milioni nel fisso e il nostro Ebitda è molto vicino a
quello del secondo operatore. Abbiamo rinegoziato il debito con un risparmio di 350 milioni all'anno e stiamo
vendendo le torri di trasmissione. Abbiamo puntato per primi sulla convergenza e sullo sviluppo dei canali
digitali. Da cinque anni siamo primi nella customer satisfaction». Voi state vendendo le torri, Telecom le vuole
quotare in Borsa come ha fatto Raiway.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014
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INTERVISTA
05/12/2014
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 34
(diffusione:556325, tiratura:710716)
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014
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Anche sulla rete mobile pare che gli operatori si stiano muovendo in ordine sparso.
«E' vero ma anche per le reti mobili sarebbe possibile un consolidamento intelligente. Una Tower company
che gestisse le reti di diversi operatori potrebbe ottenere sinergie a vari livelli, agevolando la condivisione,
diminuendo il numero complessivo delle torri a vantaggio dell'ambientee dei costi di affitto, risparmiando sui
costi dell'energia, di condizionamento e di manutenzione». Anche negli investimenti in tecnologia mobile si
potrebbero ottenere sinergie tra i diversi operatori? «Dialogando tra operatori si potrebbero fare, con le stesse
risorse, molte più cose e accelerare il processo di innovazione tecnologica. Ora siamo al 4G e già si sta
parlando di 5G tra cinque anni e non più tra dieci. Per far fronte a tutti gli investimenti necessari sarebbe
razionale condividere i diversi livelli di tecnologia che si posizionano sopra torri gestite da un operatore
unico».
Il consolidamento del mercato tlc passa anche attraverso i produttori di contenuti, come dimostrano
Telefonica in Spagna e Bt e Vodafone in Gran Bretagna. Perché si sta andando in questa direzione? «Perché
l'interesse dei clienti si sta orientando: un soggetto vuole usufruire di banda ultralarga indoore outdoor anche
finoa 100 Mega, contenuti Tv e sim card mobili con certi volumi di Giga a disposizione. I contenuti Tv
possono essere esclusivi o meno e non venire solo da Sky o Mediaset Premium ma anche dai cosiddetti
Over the top».
I vostri azionisti si sono parlati a più riprese con quelli di H3g per cercare di arrivare a una fusione in Italia,
ma senza risultati concreti. C'è spazio per ulteriori approfondimenti? «Gli azionisti di Wind hanno dichiarato
che sono state condotte esplorazioni con il gruppo H3G per eventuali joint venture che non hanno prodotto
alcun risultato. Devo anche dire che con la rinegoziazione di 8 miliardi di debito, compiuta prima dell'estate, la
nostra situazione oggi è tranquilla».
Foto: MANAGER Maximo Ibarra è ad di Wind dal 2012 e partecipa al management board di Vimpelcom
05/12/2014
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:309253, tiratura:418328)
STEFANO LEPRI
Lo scandalo di Roma ci indica quale è la vera riforma strutturale che deve fare l'Italia. Non quelle che altri
Paesi ci indicano con monotona insistenza, e che tardano a mostrare effetti dove sono state attuate, ma
quella che serve a noi. Occorre ripulire il nostro Stato. Corruzione della politica e inefficienza della spesa
sono due facce di un problema unico. PAGINA Parlare di mafia o di cupole dà poco l'idea di questo tipo di
crimine organizzato nuovo e insieme simbolico, di dove può portare il declino italiano. Scopriamo una entità
razionalmente dedita a sfruttare l'unica risorsa ancora abbondante nel nostro Paese, la spesa pubblica.
Possiamo sospettare che ne esistano anche altrove, magari in forma non così sguaiatamente malavitosa
come a Roma. A posteriori, comprendiamo anche meglio la rabbia popolare contro le indennità degli eletti,
certo da ridurre eppure indispensabili in una democrazia. Nasceva dalla sensazione che solo lì, in una
nazione da lungo tempo in ristagno economico, i soldi si moltiplicassero con facilità: lo scialo dei rimborsi
spese ne era, innanzitutto, un indizio. Finora, non sapevano incontrarsi l'indignazione di massa contro i «costi
della politica» e i ragionamenti sull'urgenza di rivedere a fondo le uscite pubbliche. A ogni tentativo di incidere
era troppo facile rispondere «prima risparmino i potenti». Vediamo ora, invece, cosche attrezzate nello
spremere guadagni da qualsiasi capitolo di spesa, perfino i più nobili. Tutta la spesa discrezionale può
nascondere malaffare; tutta va riveduta, resa trasparente al massimo. Ciò che Matteo Renzi ha detto sulle
società partecipate degli enti locali è un buon inizio; porta tuttavia a domandare come mai i suggerimenti dati
a suo tempo dal commissario alla spesa Carlo Cottarelli siano ancora dentro i cassetti. Nella precedente
ondata di scandali, 1991-1992, i vecchi partiti gestivano gli affari in prima persona. Oggi, meno radicati i
partiti, fluttuanti i loro consensi, il business si è fatto autonomo, cosi da garantire favori anche nell'alternanza;
ben insinuato nella burocrazia, protegge anche dall'emergere di forze nuove. Senza più ideologie, «dare
spazio ai privati» (purché amici) o «pubblico è meglio» diventano slogan intercambiabili a seconda delle
convenienze. Soprattutto negli enti locali l'uso della spesa è troppo arbitrario, oltre che assai meno criticato
dai mezzi di informazione. Attorno a Comuni e Regioni gira questo demi-monde di faccendieri privi di
competenze serie in qualsiasi ramo, di imprese inadatte a competere su ogni mercato, di finte cooperative
con pretesi scopi sociali, di fabbricatori di chiacchiere alla moda. In una economia intorpidita, dove far soldi
con un lavoro onesto è arduo, anche per le aziende la tentazione diventa fortissima. Un arricchimento
improvviso, altrove improbabile, lì si può realizzare. Troppo rischioso imbarcarsi in una iniziativa di vera
innovazione; meglio attrezzarsi a inscenare una «startup» finta, che ungendo certe ruote godrà di un buon
sussidio. E in tutto questo non ci sarebbe «nulla in più da tagliare»? Certo che c'è, ed è questa la via per
arrivare a pagare meno tasse e per fare un po' più di investimenti validi. Tutto ciò che le amministrazioni
pubbliche fanno va verificato nei suoi esiti, va giudicato dai suoi effetti: in altri Paesi questo avviene. In più, il
Comune di Roma si trova in dissesto finanziario strutturale. Già prima che erompesse lo scandalo, stupiva
che nessun politico di peso ambisse a esserne sindaco, carica così visibile non solo all'interno dei nostri
confini. Temono che la capitale sia troppo difficile da governare? E' un caso nazionale, questo, che prima di
tutto merita un esame spietato dei conti.
Foto: Illustrazione di Gianni Chiostri
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014
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L'ASSALTO ALLA SPESA PUBBLICA
05/12/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:104189, tiratura:173386)
Luisa Leone
Ok defi nitivo del Senato Le Entrate pubblicano online il modello Leone a pagina 4 Riesce a tagliare in tempo
il traguardo la voluntary disclosure. Dopo un iter tormentato, ieri il Senato ha dato il via libera definitivo al
testo già approvato dalla Camera dei Deputati, trasformandolo in legge. Il provvedimento, come anticipato
nelle settimane scorse da MF-Milano Finanza, è stato in bilico fino all'ultimo momento e, se fosse slittato di un
solo giorno, con l'entrata nel vivo della sessione di bilancio, sarebbe stato difficile portare a casa il risultato
entro fine anno. Comunque le cose sono andate diversamente: nella notte tra mercoledì e giovedì le
commissioni Giustizia e Finanze hanno dato via libera al testo, senza modifiche, nonostante fossero stati
presentati circa 130 emendamenti (tutti respinti), tra i quali anche alcuni del Pd. Nei giorni precedenti
l'esecutivo aveva invitato a proseguire senza ulteriori perdite di tempo, ritirando le proposte di modifica e
promettendo che uno spazio per eventuali aggiustamenti riguardo il nuovo reato di autoriciclaggio potrebbe
essere trovato nel provvedimento sulla criminalità economica. Insomma, qualche piccolo ritocco è ancora
possibile, ma l'approvazione di ieri consente ai contribuenti infedeli di ravvedersi in tempo, anche perché ieri
sera l'Agenzia delle Entrate ha subito pubblicato la bozza di modello per aderire alla voluntary disclosure sul
suo sito. Nella richiesta di accesso alla procedura si dovranno indicare, tra l'altro, i dati del contribuente, quelli
del rappresentante e del professionista, le attività estere e i maggiori imponibili e ritenute non operative.
Rispettare la scadenza di fine anno era fondamentale perché le banche svizzere e lussemburghesi, in cui è
depositata la gran parte delle somme nascoste al fisco italiano, avevano dato ai clienti stranieri come termine
ultimo per mettersi in regola con il Paese di origine proprio il 31 dicembre 2014. Ma la legge sull'emersione
dei capitali consente la regolarizzazione anche a chi avesse occultato beni in Italia e con le stesse identiche
procedure e benefici. Però, come ha sottolineato ieri il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, la voluntary
«non è un condono, perché chi aderisce paga tutto il dovuto»; gli sconti previsti sono infatti solo sulle
sanzioni. A renderla attraente, in un contesto in cui anche gli ex paradisi fiscali stanno progressivamente
dicendo addio al segreto bancario, sono piuttosto le coperture penali (totali o parziali) sui reati più
comunemente legati all'evasione fiscale e soprattutto la non punibilità per l'autoriciclaggio. Infine c'è la
possibilità di pagare il dovuto non in un'unica soluzione ma in tre rate. Questo per quanto riguarda i principali
vantaggi il punto di vista dei contribuenti. Invece dal punto di vista dello Stato è di particolare importanza il
fatto che l'approvazione della legge potrebbe avvicinare l'atteso accordo tra Roma e Berna sullo scambio
automatico d'informazioni. Nel provvedimento, infatti, si prevede un trattamento di favore per chi decide di
lasciare i beni in un Paese estero oggi in black list, se questo sceglie di aderire a un accordo con l'Italia entro
due mesi dall'entrata in vigore della voluntary. A sottolineare questo aspetto ieri è stato il responsabile
economico del Partito Democratico Filippo Taddei: «Con questa legge l'Italia potrà chiedere una rapida
conclusione delle trattative in corso con la Svizzera per concludere un accordo bilaterale che consenta agli
italiani che detengono disponibilità finanziarie in quel Paese un percorso ordinato e legale di emersione. In
questo modo questi capitali possono tornare a rafforzare l'economia e l'impresa italiana». Un punto, quello
delle risorse che la legge approvata ieri potrà portare alle casse dello Stato (si stima tra 3 e 8 miliardi di euro
una tantum), che è stato toccato anche da Padoan: «Auspico che tutti coloro che sono potenzialmente
interessati utilizzino questa opportunità per mettersi in regola. I proventi, che prudenzialmente non sono
quantificati nel bilancio dello Stato, contribuiranno a dare sollievo alle finanze pubbliche». Infine anche il
premier Matteo Renzi ha plaudito a suo modo, immancabilmente via twitter, al via libera al provvedimento
sulla voluntary disclosure: «Approvato anche rientro dei capitali e autoriciclaggio. È proprio #lavoltabuona».
(riproduzione riservata)
Foto: Pier Carlo Padoan Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/voluntary
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014
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La voluntary disclosure ora è legge
05/12/2014
MF - Ed. nazionale
Pag. 20
(diffusione:104189, tiratura:173386)
I tre fardelli che frenano il mondo del lavoro
Angelo Pasquarella*
Siamo entrati nella società della conoscenza, ma ci stiamo portando dietro regole funzionali alla società
industriale. Per quanto riguarda il mondo del lavoro in particolare dobbiamo sbarazzarci di tre fardelli: il
reintegro, la logica delle mansioni e gli automatismi salariali. Questi tre istituti rispondono a criteri che, nella
gran parte dei casi, appaiono oggi anacronistica. È anche da premettere che la classica contrapposizione tra
dipendenti e datori di lavoro si sta anch'essa trasformando. Da una parte l'azienda appare oggi, in una
situazione fortemente competitiva, come un bene comune che, per sopravvivere, ha bisogno di uno sforzo e
di una visione comune (coinvolgimento dei lavoratori). Dall'altra parte occorre considerare il ruolo sempre più
importante degli operatori della conoscenza (i knowledge worker), inquadrati nei modi più svariati, la cui
natura, nei processi produttivi, è più assimilabile al capitale che al lavoro. Il valore aggiunto delle moderne
merci è dato in parte minoritaria dalla combinazione capitale/lavoro e in misura maggioritaria dall'apporto di
coloro che sono in grado di rendere le merci attrattive sul mercato attraverso l'aggiunta di tecnologia,
arte/estetica, servizi e capacità mercantile. In buona sostanza sono i knowledge worker che consentono quel
processo innovativo senza il quale non si ha la possibilità di coniugare un alto livello di produzione
manifatturiera con un elevato tenore di vita. È questo capitale umano che esprime la capacità progettuale e di
innovazione necessaria ad ancorare ancora le attività più tipicamente industriali all'occidente. Lo spartiacque
che si è formato tra il mondo che ha caratterizzato buona parte del secolo scorso e il mondo postindustriale è
costituito proprio da questa nuova combinazione tra capitale, lavoro e operatori della conoscenza. Ma
torniamo ai tre fardelli e al perché dobbiamo liberarcene. Gran parte del lavoro è oggi svolto in gruppo. Si
presuppone cioè che esista una piena e completa sintonia tra più operatori per ottenere un risultato utile: è la
squadra che vince. Ecco perché non ha nessun senso il reintegro, anche quando non vi sia alcuna apparente
giusta causa. Quando il lavoro non consiste nello svolgere con diligenza un'attività specifica eseguendo
individualmente precise operazioni, ma nel collaborare con un team all'interno di una logica aziendale, un
qualsiasi motivo di incompatibilità, a differenza dei lavori parcellizzati, può rendere inefficace l'azione di tutti. Il
secondo fardello è rappresentato dal mansionario. Questo ha un significato all'interno di processi produttivi
stabili e rigidi, che non sono soggetti a continui cambiamenti come quelli che oggi sono richiesti dalle
esigenze di mercato. Le mansioni non rimangono più uguali per anni, ma la tecnologia tende a metterle in
discussione. Non è quindi più funzionale operare attraverso mansionari per gestire un modello organizzativo
soggetto a variazioni frequenti. Il terzo punto riguarda gli automatismi salariali legati ad anzianità e
automatismi di carriera. Questo istituto risponde alla volontà di premiare la fedeltà del lavoratore in un
contesto che vede staticità delle mansioni per lunghi periodi. In un contesto dinamico conviene impiegare le
risorse legate agli automatismi come incentivi alla trasformazione e alla crescita professionale degli operatori.
Dobbiamo però domandarci se così facendo noi stiamo mettendo in discussione i diritti dei lavoratori. Il
cambiamento del contesto comporta anche un cambiamento dei diritti. I nuovi diritti dei lavoratori, più che
nella stabilità (il diritto non può garantire le condizioni economiche affinché vi sia occupazione), consisteranno
nella garanzia che dovremo dare di crescita professionale affinché siano sempre adeguati alle situazioni in
cambiamento. Il diritto che va garantito non sarà l'occupazione, ma l'occupabilità che deriva da due aspetti: a)
la garanzia a una formazione continua professionale e personale (durante tutta la vita lavorativa) basata su
una politica industriale lungimirante; b) la copertura economica che garantisca un reddito nei momenti di crisi
di un settore in attesa di un reinserimento in un nuovo settore o in nuove qualifiche. (riproduzione riservata) *
Amministratore delegato Projectland
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014
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COMMENTI & ANALISI
05/12/2014
L'Espresso - N.49 - 11 dicembre 2014
Pag. 124
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UNIPOL cambia verso
Più soci stranieri e meno vincoli con le coop. Così Carlo Cimbri ridisegna la compagnia. Grazie anche al filo
diretto con Matteo Renzi
vittorio malagutti
Il cambio della guardia è andato in scena a metà novembre nell'indifferenza generale. Giusto poche righe
nelle cronache fnanziarie. Ma la nomina di Giuseppe Recchi nel consiglio di amministrazione di Unipol non
può certo essere liquidata come un avvenimento di routine. A fare il suo ingresso nel fortino delle coop è il
presidente di Telecom, un manager di ampi e consolidati rapporti nell'alta fnanza nostrana, dagli Agnelli a
Mediobanca, un uomo di relazioni che si porta in dote rapporti di altissimo livello a Wall Street come a
Washington. Insomma, il nuovo consigliere di Unipol vanta una carriera distante mille miglia dall'universo
cooperativo, da quello che un tempo veniva defnito il mondo della fnanza rossa. A Bologna, però, Recchi non
è certo approdato per caso. A spalancargli le porte è stato Carlo Cimbri, il numero uno del gruppo
assicurativo che, dopo aver completato il tormentato percorso dell'acquisizione della Fonsai dei Ligresti,
adesso sta giocando una partita di potere tutta sua. Tra Cimbri e Recchi, va detto, c'è un'intensa
frequentazione, se non un'amicizia, nata negli ultimi due anni e coltivata grazie a numerosi incontri anche al
di fuori delle occasioni uff ciali. Di recente, per dire, il capo di Unipol non ha mancato di partecipare alla
presentazione del saggio sulla politica energetica nazionale dato alle stampe dal manager torinese, che per
tre anni, fno al maggio scorso, è stato anche al vertice dell'Eni come presidente. La poltrona assegnata, a
sorpresa, al presidente di Telecom non rappresenta però solo il frutto di un legame personale. Negli ambienti
fnanziari, l'ingresso di Recchi nel board della compagnia delle Coop viene letto come un segnale chiaro di
rottura rispetto al passato, la spia di un cambiamento che, peraltro, non ha certo preso le mosse adesso. Del
resto un motivo ci sarà, se Cimbri si sta guadagnando sul campo il sopran nome di "Marchionne delle
polizze". Come il numero uno di Fiat Chrysler, anche l'amministratore delegato del gruppo bolognese, un
colosso che vale in Borsa oltre 6 miliardi di euro, sembra sempre più insofferente alle tradizionali regole del
gioco. E allora il gran capo di Unipol annuncia, proclamandolo a tutta pagina dalle colonne del "Sole 24 Ore",
che la compagnia bolognese si prepara a dare l'addio all'Ania, l'associazione di categoria delle assicurazioni.
Ad aprire la strada, due anni fa, era stato Marchionne, che ha scelto di abbandonare al suo destino la
Confndustria. La svolta di Unipol è arrivata proprio alla vigilia dell'apertura delle trattative per il rinnovo del
contratto di categoria. E i sindacati, ovviamente, hanno accolto la notizia con una certa preoccupazione. Il
timore è che Cimbri abbia intenzione di andare dritto allo scontro, abbandonando garanzie e mediazioni del
passato. Si vedrà. Di certo il manager ha chiuso in gran fretta la pratica Ania, liquidata come un organismo
pletorico che esprime, parole sue, «una politica sostanzialmente conservatrice». Il vento nuovo della politica
non è estraneo a queste scelte di rottura. E se Marchionne ha fnito per diventare un punto di riferimento fsso
per Matteo Renzi, anche Cimbri sembra ansioso di allinearsi al nuovo che avanza. La presenza al governo di
un ministro targato Coop come l'ex presidente della Lega nazionale, Giuliano Poletti, non può che facilitare
l'intesa con Palazzo Chigi. E d'altra parte anche i vertici del gruppo assicurativo hanno già dimostrato con
cretamente il loro sostegno alla politica governativa. Il 6 novembre scorso il presidente di Unipol, Pierluigi
Stefanini, ha partecipato alla cena di fnanziamen to del Pd, staccando un assegno da mille euro. E qualche
settimana prima Cimbri era tra le decine di vip invitati al matri monio di Marco Carrai, l'amico intimo che
affianca il premier sin dai primi passi della sua carriera nelle istituzioni. Del resto, nell'ultimo anno, il manager
di Unipol ha già avuto occasione di incontrare il presidente del Consiglio, con cui ormai può vantare un
rapporto diretto. I loro obiettivi appaiono in buona misura comuni. L'uno e l'altro, si stanno dando un gran da
fare come rottamatori. Renzi, con le sue scelte di politica economica e del lavoro, ha messo all'angolo il
variegato schieramento etichettabile come sinistra Pd. E intanto anche il capo dell'Unipol si sta muovendo
senza riguardi nei confronti di quella parte del movimento cooperativo più vicina al vecchio nucleo dirigente
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Economia assicurazioni
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dei Democratici. Negli ultimi mesi per esempio, Cimbri non ha fatto mistero di puntare all'ingresso
nell'azionariato della compagnia di nuovi investitori istituzionali stranieri. E la nomina di Recchi in consiglio
sembra studiata apposta per attirare i grandi fondi anglosassoni, con cui il presidente di Telecom ha da
tempo stabilito ottimi rapporti. Sono i soldi, adesso, a fare la differenza rispetto ai vecchi e consolidati rapporti
tra Unipol e il mondo cooperativo.Le grandi coop di costruzioni azioniste del gruppo assicurativo, stremate
dalla crisi, non hanno più la forza fnanziaria di dettar legge come un tempo. Anzi, la compagnia guidata da
Cimbri, con i suoi ricchi bilanci, è diventata per loro una sorta di scialuppa di salvataggio che può garantire
liquidità sotto forma di dividendi. Se la passano un po' meglio i colossi della grande distribuzione come Coop
Adriatica e Coop Nordest, proprietarie anche loro, direttamente o tramite le holding Holmo e Finsoe, di
importanti pacchetti di titoli Unipol. In tempi di magra però è essenziale che le cedole distribuite dalla
compagnia di assicurazioni salgano il più velocemente possibile ai piani superiori per alimentare i bilanci delle
coop. Non è un caso, allora, che lunedì primo dicembre sia stato annunciato il riassetto della catena di
controllo del gruppo assicurativo. In sostanza, la holding Finsoe, a cui fa capo il pacchetto di maggioranza
della compagnia, è destinata a sciogliersi e i titoli di Unipol verranno assegnati alle grandi cooperative
azioniste. Una mossa di questo tipo era da tempo attesa sui mercati, così come veniva data come imminente
anche l'altra no vità comunicata insieme alla semplifcazione della struttura azionaria. Entro poche settimane,
infatti, sarà varata la conversione in ordinarie delle azioni di risparmio UnipolSai. Anche la controllante Unipol
Gruppo Finanziario (Ugf) prevede di togliere dal listino i propri titoli privilegiati, che saranno scambiati con
quelli ordinari. Cimbri si dice fdu cioso. «La nostra offerta è congrua», ha dichiarato agli analisti. Il gruppo
comunque ha già stanziato 60 milioni da destinare ai soci che preferiranno uscire di scena cedendo le loro
azioni piuttosto che aderire alla conversione. A questo punto il numero uno di Unipol è atteso al varco anche
di un'altra importante novità. Al momento, infatti, Cimbri comanda con i gradi di amministratore delegato, sia
nella holding Ugf, sia in UnipolSai, la società a cui fa capo il business delle polizze. Una simile
concentrazione di poteri non ha eguali tra i gruppi fnanziari quotati in Borsa. Per questo già mesi fa l'Ivass,
l'Authority che vigila sulle compagnie di assicu razioni, aveva chiesto che il manager rinunciasse a uno dei
due incarichi. Una prima indicazione in questo senso risale al giugno 2012, a cui ha fatto seguito un nuovo
intervento della stessa Ivass, un anno dopo. Adesso tocca a Cimbri fare fnalmente un passo indietro. Foto: A.
Casasoli/FotoA3 Foto: N.Cambi/Massimo Sestini, FotoA3
Scatole cinesi addio 12,1 % Coop Nordest 10,7 % Cefa Capital Services Coop Adriatica 12,5 % Holmo
Finsoe 3,22 % Unipol Sai Altre 30 cooperative 73,2 % 23,8 % 31,4 % 63 % 14,7 % 53 % Manutencoop Altre
24 cooperative Unipol Gruppo Finanziario
L'assetto di controllo di UnipolSai è destinato a cambiare entro l'anno prossimo. Infatti, secondo quanto
annunciato lunedì primo dicembre, la holding Finsoe, che possiede la quota di controllo del gruppo
assicurativo si scioglierà e i titoli di Unipol Gruppo Finanziario (Ugf) verranno assegnati alle cooperative
azioniste della stessa Finsoe. Verrà così eliminata almeno una delle due scatole finanziarie che compongono
la complessa catena finanziaria che dalla capofila Holmo porta fino ad UnipolSai, la società nata dalla fusione
con la Fonsai dei Ligresti a cui fa capo il business delle polizze.
Foto: In Alto A destrA: lA torre unIpol A bolognA, sede del gruppo. A sInIstrA: CArlo CImbrI
Foto: nEl consiglio Entra il prEsidEntE di tElEcom, giusEppE rEcchi. chE vanta strEtti rapporti con i fondi usa
GIUSEPPE RECChI, PRESIDENTE TELECOM E NEO CONSIGLIERE UNIPOL. SOTTO: IL RENzIANO
MARCO CARRAI
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Che affare LE onlus
Il governo studia la riforma delle imprese solidali. E scatena lo scontro interno al terzo settore. In nome del
business
roberta carlini
Confindustria già lo chiama «il quarto settore», per dire che quello conosciuto come «terzo» - il mondo della
solidarietà e delle onlus - appartiene ormai al passato. Colossi della fnanza internazionale accorrono, alla
ricerca di nuovi campi da dissodare. Ci puntano i governi, per affdare a qualcun altro i servizi tagliati dalla
crisi delle casse pubbliche. Arrivano gli istituti di credito, attratti da soggetti che - nonostante le apparenze nel ripagare i debiti si rivelano spesso più affdabili di tutti gli altri. Persino i palazzinari, fniti i tempi di
rendimenti a doppia cifra degli afftti, si accontenterebbero del 3-4 per cento che può venire dall'housing
sociale, come si chiamano le moderne case popolari. Sanità e cultura, volontariato e flantropia, polisportive e
assistenza sociale, servizio civile e alta fnanza: per l'intero universo della solidarietà è arrivato il momento di
cambiare defnitivamente faccia, dando il via a una nuova corsa all'oro. Perché nel non proft, sta arrivando il
proft. Lo sparo di partenza l'ha dato Matteo Renzi, presentando la legge di riforma del Terzo Settore nella sua
prima manovra fnanziaria, quella degli 80 euro per intendersi. «Non dobbiamo dire "uh che carini quelli del
Terzo settore", ma "il Terzo settore crea lavoro"», aveva detto il premier. E il lavoro, in effetti, il mondo
solidale lo mantiene più degli altri: con un aumento degli occupati del 40 per cento dal 2001 al 2011 (ultimo
anno preso in considerazione dal censimento pubblicato nel 2014 dall'Istat), è stato l'unico al riparo dalla
prima fase della crisi. Il censimento chiarisce dove e perché crescono «i carini» del terzo settore, che da solo
fa il 4,7 per cento del Pil. Sono oltre 300 mila entità, 680 mila i lavoratori dipendenti e 270 mila gli esterni, ai
quali si aggiungono 5 milioni di volontari. Il grosso si affolla nella voce "cultura, sport e ricreazione", e qui
dentro c'è di tutto: dal circolo della birra alla cooperativa di giovani studenti che tiene aperte le catacombe
sotto il quartiere Sanità, a Napoli. Ma gli occupati e i soldi stanno soprattutto nella sanità, nell'assistenza e
nell'istruzione: ci si concentrano i tre quarti dei lavoratori. La sanità è quella che ha la quota più ampia di
risorse, con un fatturato di 11 miliardi. Ci sono le classiche cooperative che lavorano per gli ospedali e i
Comuni, ma anche le tante che vendono direttamente sul mercato. Realtà economiche grosse, che coprono
uno spazio che si amplia sempre di più, mentre lo Stato taglia le spese per il welfare. Per tutti arriva la novità
più consistente della riforma: la trasformazione in "impresa sociale". Che signifca la caduta di alcuni paletti
fnora rigidi: il divieto di distribuire proftti e la democrazia interna, assicurata dal principio "una testa, un voto".
Resteranno solo alcuni limiti, per salvaguardare l'aggettivo "sociale". Già, ma quali? La patata bollente è
adesso in mano al parlamento. Che ha appena ultimato una sflza lunghissima di audizioni, dall'Arci al
notariato, da Confndustria a Banca Etica, dalla comunità di San Patrignano all'associazione Libera di don
Luigi Ciotti. E si è diviso - così come è diviso il mondo del non proft - non mancando di provocare la consueta
spaccatura nel Pd. Come ha notato il settimanale "Vita", organo del non profit e grande sponsor della
rivoluzione economica, la riforma è al momento nelle mani della minoranza democratica, che è maggioritaria
nella Commissione Affari sociali della Camera: deputati molto vicini alle realtà di base del non proft ma anche
alla sua burocrazia, cresciuta negli anni e resistente al cambiamento. Mentre l'ala più pro-market è da sempre
ben presente agli incontri renziani della Leopolda. Ma la questione va oltre il gioco politico del momento. La si
può vedere come una sfda tra pro-market e pro-social; innovatori e conservatori; entusiasti e dubbiosi; il
nuovo mondo della "fnanza d'impatto sociale" e il piccolo mondo antico dei circoli Acli e Arci; chi vuole aprire
senza remore al nuovo, e chi invece tenta di mettere degli argini ai nuovi furbetti in salsa sociale.Se ha fatto
scalpore il Circolo del golf di Torino che riceve il 5 per mille (vedi articolo a pagina 130), cosa succederà
quando vedremo i fnanzieri di Goldman Sachs o i consulenti di Ernst & Young dentro le case popolari, gli
ambulatori sanitari, l'accoglienza? Non è uno scenario lontano. Né da temere, dice Giuseppe Guerini,
presidente del colosso della cooperazione sociale Federsolidarietà. Che vede bussare alla sua porta più
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Economia nuovi mercati
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fnanza che imprenditori: «Lo si può capire. La capacità di restituire i prestiti ottenuti, nel settore, è altissima.
Dunque c'è tutta una parte di fnanza che è interessata, perché cerca nuovi campi d'azione e ne guadagna in
reputazione». Altro che lavoratori ai margini. Quello dell'impresa sociale «è un modello di sviluppo per il
Paese», fa eco Stefano Granata, presidente del consorzio Cgm. Che non è solo il più grosso aggregato di
cooperative sociali; è anche, da tempo, l'apripista di un modello ibrido, che mette insieme mercato e sociale.
Un modello radicato nel cattolicesimo lombardo, che da un po' cerca di emancipare le cooperative sociali
dalla dipendenza dal committente pubblico. Hanno messo su Welfare Italia, una rete con 25 centri sanitari in
tutto il Paese, per dare prestazioni private a prezzi competitivi con il ticket. Lavorano con la multinazionale
Gaz de France in Toscana, per le piccole centrali a energie rinnovabili legate all'agricoltura. Granata fa un
esempio attuale, visto quel che accade nelle case popolari: «L'housing sociale può attrarre capitali privati,
che una volta avevano ritorni fno al 40 per cento ma adesso non guadagnano niente. Allora diventa appetibile
una formula in cui si prevedono afftti dimezzati rispetto a quelli di mercato: noi garantiamo la piena abitabilità
e l'accompagnamento sociale, loro hanno un rendimento attorno al 3-4 per cento». I cattolici di Cgm sono in
prima fla, tra i sostenitori pro-market. La loro tradizione di "ibrido" tra proft e non proft non ha avuto diffcoltà a
intendersi con la nuova moda della "finanza d'impatto sociale", il cui principale sponsor politico è il leader
conservatore inglese David Cameron, che ha fortemente voluto una task force apposita del G8: il suo board
italiano è presieduto da Giovanna Melandri, che dal 2012 è nel ramo "economia sociale" con la Human
Foundation. Assidua agli incontri è anche Letizia Moratti con San Patrignano. Ultrà della riforma, chiamato da
Renzi a suo testimonial, è poi l'imprenditore Enzo Manes, leopoldino, flantropo del forentino Dynamo Camp.
E poi Confndustria, che con San Patrignano ha dedicato una giornata di studi alla nascita del "quarto settore".
«A noi non preoccupa la contaminazione, lo sbarco nel proft lo abbiamo fatto da quando siamo nati», dice
Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica, «ma attenzione: se si perdono le caratteristiche proprie del sociale,
radicamento col territorio, trasparenza e coerenza, si perdono anche i vantaggi competitivi del nostro
settore». Con il che, si introduce il nodo cruciale su cui ci si sta scontrando. Edo Patriarca - uno dei deputati
della pattuglia non proft, una provenienza scout che lo avvicina al premier e la presidenza del Centro
nazionale per il volontariato che lo rende sensibile alle ragioni dei puristi - lo riassume così: «Conta solo
quello che si fa o ciò che si è?». Sulla prima soluzione, c'è tutto il mondo pro-market: basta misurare l'impatto
sociale di un'impresa, non interessa la sua carta d'identità. Arriveranno dunque, con la nuova legge, criteri di
misurazione certifcabili, rintracciabili, dell'impatto sociale: una specie di "socialometro". Per dire, i ras delle
cliniche alla Angelucci potrebbero entrare in una non profit della sanità: basta che producano "impatto
sociale". L'altra strada - chiarire cos'è un'impresa sociale - è anch'essa problematica. Da tempo il terzo
settore puro ha perso la sua identità, e non solo per le coop truffaldine o quelle che legavano gli anziani ai
letti: «Non mi preoccupano tanto i cattivi quanto i buoni», dice Giovanni Moro, autore di un libretto dal titolo
provocatorio: "Contro il non profit", nel quale si denuncia la perdita dei contenuti di utilità sociale e il marketing
della bontà. Dunque, come valutare i "buoni" adesso che si perde anche l'ultimo baluardo, il non proft? Il testo
del governo prevede che le attuali coop sociali si trasformino di diritto in imprese sociali: dunque sono salve,
anche se a volte la loro utilità collettiva lascia assai a desiderare. Per il futuro, più che fssare requisiti ci si
affda a dei paletti. Guerini, dalle coop, propone «un tetto agli utili che si possono distribuire: al massimo il 40
per cento». Patriarca, gran cucitore tra le due anime del non proft, invita tutti a non avere tabù, in particolare
sugli utili, ma non vuole che nell'impresa sociale possa arrivare uno, comprare quote e comandare: «Serve
una governance trasparente, non si può affdare tutto il controllo a chi ha la maggioranza». Punto su cui il
sottosegretario Luigi Bobba, che ha traghettato questa riforma dal governo Letta a quello di Renzi, si limita a
dire: basta garantire che le imprese non siano scalabili. Quanto alla quota di proft dentro il non proft, sarà di
tutto rispetto: «Mi pare ragionevole che possano redistribuire non più della metà dei propri utili; e dare
rendimenti non superiori a quelli dei buoni postali fruttiferi, aumentati del tasso di infazione». Così fatte, le
imprese sociali sono pronte, dice Bobba, ad allargarsi oltre i settori tradizionali dell'assistenza, e sbarcare
«nel microcredito, inserimento lavorativo, commercio equo, housing sociale ed agricoltura sociale». E i fondi?
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Il tesoretto da 500 milioni, promesso da Renzi con l'annuncio della riforma, ancora non c'è. Ci sono 50 milioni
stanziati nella legge di stabilità: il resto arriverà, dice Bobba, mettendo insieme banche, la solita Cassa
depositi e prestiti, fondazioni bancarie, altri soggetti interessati. Così, con pochi soldi, il governo potrebbe
portare a casa una riforma ad altissimo consenso: il vasto mondo che, tra titolari, lavoratori e volontari, gira
attorno al non proft, interessato soprattutto al riordino della bolgia attuale ma non indifferente alle potenzialità
della trasformazione in impresa sociale; il piccolo ma infuente pianeta di chi vuole entrare nel business; un po'
più deflati, gli innovatori dell'economia sociale, quelli che - per dirla con Flaviano Zandonai, ricercatore ed
esponente del vivace mondo delle coop sociali del modello trentino - da tempo aspettano "il loro Oscar",
inteso come Farinetti. Per fare con la solidarietà quel che il creatore di Eataly ha fatto con lo slow food: un
affare. Foto: S. Pavesi/Contrasto, FotoA3, Imagoeconomica Foto: S.Dal Pozzolo/Contrasto
SoPrA: letIzIA morAttI. In Alto: dIStrIbuzIone dI CIbo A mIlAno. A SInIStrA: gIovAnnA melAndrI
Quanto lavoro Altri 6,7% Ambiente 0,6%
Assistenza sociale e protezione civile 33,1% Cultura e sport 6,7% Suddivisione dei lavoratori dipendenti delle
associazione non proft per settore di attività Totale addetti 680.000 Sanità 23,3% Istruzione e ricerca 17,8%
Sviluppo economico e coesione sociale 10,8% Fonte: Istat
Foto: la CaSa Famiglia "CaPitano ultimo", a roma cadrà il diviEto di distribuirE i profitti. E i puristi tEmono la
scalata dEi potEnti allE istituzioni sociali
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Vado, ritorno e Pago caro
Avevano sfruttato le favorevoli leggi del Lussemburgo. Poi, per regolare i conti col fisco italiano, 35 aziende
hanno dovuto versare 2,5 miliardi. Ecco le loro storie
paolo biondani e leo sisti
Due mesi fa, mentre si preparava a diventare presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker
ha respinto sdegnato ogni critica alla piccola ma ricchissima nazione di cui è stato premier dal 1995 al 2013:
«Nessuno è mai stato in grado di convincermi che il Lussemburgo sia un paradiso fscale. Il Granducato
adotta misure in linea con la legge europea». Poi è esploso lo scandalo Lux-leaks: 86 giornalisti del network
"Icij" (per l'Italia, "l'Espresso") hanno rivelato gli accordi segreti (in gergo, "tax ruling") tra il fsco
lussemburghese e migliaia di grandi aziende a caccia di esenzioni sulle tasse. Ma il ministro lussemburghese
delle fnanze, Pierre Gramegna, resta certo che l'Europa di Juncker assolverà il Granducato: «Le accuse
rivolte al Lussemburgo si dimostreranno infondate. Siamo fiduciosi che la Commissione europea concluderà
che nessun privilegio fiscale è stato concesso alle società che hanno chiesto i tax ruling». I due politici hanno
senz'altro ragione, nel senso che il sistema fscale del Granducato ha sicuramente rispettato tutte le norme
lussemburghesi. Il problema è che in molti casi sembra avere violato platealmente le leggi di altri Paesi, a
cominciare dall'Italia. Con distorsioni e abusi sistematici delle direttive europee che regolano le imposte sulle
società. "L'Espresso" ha schedato decine di istruttorie aperte dal fsco italiano contro aziende nazionali o
gruppi multinazionali accusati di essersi autoridotti le tasse, in sostanza, utilizzando apposite strutture
societarie create in Lussemburgo. Il problema riguarda anche altri Stati importanti dell'Unione europea, come
Irlanda, Olanda e Gran Bretagna. In tempi di crisi nera e bilanci in rosso, tutti i governi interessati respingono
accuse e sospetti di voler attirare aziende straniere offrendo una sorta di elusione legalizzata delle imposte.
Sta di fatto, però, che in Italia almeno 35 grandi società, fnite sotto accusa per queste forme di "shopping
fscale", hanno accettato di versare al nostro erario, per mettersi in regola, non meno di due miliardi e 545
milioni di euro solo negli ultimi cinque anni. Si tratta di un bilancio parziale, perché riguarda solo i gruppi di
maggiori dimensioni e comprende solo le somme già incassate dallo Stato italiano attraverso indagini fscali
recenti e conoscibili. Al conto si potrebbero aggiungere altri 897 milioni contestati solo ad alcune delle stesse
35 grandi aziende, ma non ancora riscossi. Mentre molte altre inchieste, anche penali, sono ancora segrete.
In questo elenco, inoltre, non rientrano le accuse di frode internazionale per nascondere capitali all'estero,
magari in paesi offshore, come quelle che hanno portato a sequestrare alla famiglia Riva il miliardario "tesoro
dell'Ilva": i casi qui considerati, invece, riguardano solo i benefci ottenuti in Europa alla luce del sole. Vantaggi
che il fsco italiano considera abnormi, ma che per Lussemburgo, Olanda o Irlanda, sono del tutto legali. I RE
DELLA MODA Molte grandi firme del made in Italy hanno "ottimizzato" le tasse spostando in altri Paesi
europei, soprattutto in Lussemburgo, le società che commercializzano marchi e licenze, le tesorerie
fnanziarie o le casseforti personali dei proprietari. Al primo posto nella classifca delle riscossioni, almeno per
ora, c'è il gruppo Prada, che l'anno scorso ha versato al fsco italiano circa 470 milioni. L'istruttoria riguardava
la quotazione della grande casa di moda alla borsa di Hong Kong, che ha fruttato ricchissime plusvalenze,
incassate all'estero tramite società olandesi e lussemburghesi. Un caso aperto da una verifca della Guardia di
Finanza, che nel luglio 2013 sequestrò i computer del commercialista milanese del gruppo. Ora la stilista
Miuccia Prada e il marito manager Patrizio Bertelli non solo hanno sanato la pendenza fscale con quel
versamento record, ma hanno anche riportato in Italia la catena societaria di controllo, come precisa la
società a "l'Espresso". In questi mesi anche il gruppo Armani ha regolarizzato i suoi rapporti con l'estero
saldando all'erario italiano circa 270 milioni: nel mirino c'erano i fussi fnanziari a favore di tre gruppi di società
consociate tra l'Europa e Hong Kong. Ammonta a 56 milioni, invece, la somma sborsata dalla famiglia
Marzotto per chiudere la pendenza fscale sulla società lussemburghese Icg, creata per incassare i proftti
della vendita del gruppo Valentino al fondo Permira. Quest'ultimo ha poi rivenduto la stessa casa di moda a
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un gruppo del Qatar. Sempre Permira ha versato al fsco italiano altri 70 milioni per una vertenza sui fussi
fnanziari con il Lussemburgo e le isole britanniche. Altri due fondi esteri molto attivi nelle scalate a grandi
aziende italiane hanno aderito in questi anni ai verbali notifcati dal nucleo di Milano della Finanza: Apax ha
versato 12 milioni, Bc Partners altri 17. Anche Domenico Dolce e Stefano Gabbana, pienamente assolti dalla
Cassazione nel processo penale, hanno versato circa 40 milioni di Iva, contestata dal fsco italiano alla loro
struttura lussemburghese. Resta invece aperto un contenzioso-bis da 340 milioni per le imposte sui redditi.
Nel 2004 infatti, per gestire i marchi D&G, era stata creata in Lussemburgo la società Gado, che pagava solo
il 4 per cento di tasse. Comunque il verdetto fscale defnitivo riguarderà solo il passato: anche i due stilisti
infatti hanno già rimpatriato le loro ex lussemburghesi. Intanto Bulgari, acquistata nel 2012 dal gruppo
francese Lvmh, ha versato 42 milioni al fsco nazionale: sotto accusa c'era lo spostamento, in una tesoreria
del Granducato, di una robusta quota dei proftti incassati in Italia. EDITORIA E INTERNET Tra le indagini in
corso, le più importanti riguardano i colossi della rete, che raccolgono miliardi in tutto il mondo attraverso
società lussemburghesi o irlandesi, pagando tasse minime. Ad esempio Google, che in Italia ha entrate
pubblicitarie stimate in oltre un miliardo, nel 2013 ha versato al nostro fsco meno di due milioni, Apple 4,8
milioni, Amazon 840 mila euro, Facebook 170 mila, eBay zero. In casi come questi l'arma dei nostri inquirenti
è il concetto di «stabile organizzazione»: quando un gruppo estero sostiene che in Italia ha solo uffci di
rappresentanza o società di servizi, il fsco può ribattere che si tratta di una vera azienda, non dichiarata. Per
questo l'Agenzia delle entrate ora ha denunciato Apple alla Procura di Milano, che ha aperto un'inchiesta per
evasione: sotto accusa 225 milioni di tasse non pagate, nel solo biennio 20112012, su un presunto imponibile
di oltre un miliardo. La Guardia di Finanza sta indagando anche su Amazon, Google e altre società di
Internet, ma queste istruttorie sono ancora segrete. Per ora eBay è l'unico big di Internet che ha dovuto
liquidare 4 milioni al fsco italiano per i soli proftti del 2009. Intanto la sede fiscale del gruppo si è spostata in
Svizzera. E la nostra Agenzia delle entrate continua ad approfondire. Stessa situazione per la Walt Disney,
che in Italia si presenta come società di servizi: senza ammettere alcuna colpa, la società americana ha
comunque sborsato all'erario italiano circa 25 milioni. Apple, interpellata da "l'Espresso", dichiara che «paga
ogni dollaro ed euro di tasse dovute», «è continuamente oggetto di verifche in tutto il mondo» e in Italia ha già
vinto un processo fscale per gli anni 20072009, per cui è «sicura che l'accertamento in corso giungerà alla
stessa conclusione». Google defnisce «normale che un'azienda sia sottoposta a controlli fscali» e chiarisce di
aver pagato «2,6 miliardi di dollari di tasse, pari al 20,4 per cento degli utili, solo nei primi nove mesi del 2014,
la maggior parte negli Stati Uniti», mentre in Europa «rispetta le normative di tutti i Paesi» e ha stabilito la
sede in Irlanda per benefciare degli «incentivi fscali utilizzati da molti governi per attrarre investimenti che
creano lavoro e crescita: se ai politici non piacciono queste leggi, hanno il potere di cambiarle». La Disney
invece precisa che «le maggiori imposte corrisposte» riguardano «transazioni con società del gruppo
sottoposte a tassazione piena negli Stati Uniti e in Gran Bretagna». Negli anni d'oro dell'editoria, anche le
aziende italiane hanno aperto società lussemburghesi. Il gruppo Cir (editore de "l'Espresso") ha chiuso la
relativa vertenza versando all'erario italiano 12 milioni. Mentre Mediaset per la sua lussemburghese ha
pagato 21 milioni. INDUSTRIE MULTINAZIONALI In questi casi tra le pratiche sotto accusa c'è il "transfer
pricing": prezzi e costi ricaricati, nei rapporti tra società dello stesso gruppo, per trasferire i proftti italiani alla
casa madre o comunque all'estero. Per uscire da una vertenza di questo genere il gruppo americano Verizon
ha saldato al fsco italiano 41 milioni. Arcelor Mittal, che opera nel nostro paese attraverso una holding
lussemburghese, ha pagato 47 milioni. Altri 38 sono arrivati da Glencore, che ha la base fscale in Svizzera.
Mentre Ikea Italia, che a Lugano ha la centrale europea per gli acquisti, è al centro di indagini fscali non
ancora concluse, per somme che al momento si aggirano sui 100 milioni di euro. Nell'ottobre 2014 il patron di
Luxottica, Leonardo Del Vecchio, ha staccato un assegno di 146 milioni per chiudere un contenzioso sui
dividendi incamerati in Lussemburgo dalla sua società-cassaforte Delfn. La stessa holding di famiglia aveva
già versato al fsco italiano altri 235 milioni per sistemare una pendenza del 2009 nata proprio dal trasloco
della capogruppo dall'Italia al Lussemburgo. Il gruppo Techint della famiglia Rocca ha sanato con 25 milioni
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una questione fscale maturata nel 2010: sotto tiro la tassazione di oltre mezzo miliardo di dividendi che
dall'Italia, via Lussemburgo, risalivano a tre società delle Antille Olandesi, capeggiate dalla San Faustin di
Curaçao. Dopo il 2010 la catena di controllo del gruppo, a cui fanno capo le italiane Techint, Tenova e le
cliniche Humanitas, è traslocata dai Caraibi in Lussemburgo. Proprio da qui è tornata in Italia, nel 2012, la
holding Sintonia della famiglia Benetton, che negli stessi mesi ha chiuso una lite tributaria su quella società
lussemburghese girando al nostro fsco quasi 20 milioni di euro. Tra le «stabili organizzazioni in Italia»,
invece, il primato spetta alla tedesca Bosch, che ha versato ben 324 milioni. E poi ha subito la beffa di non
vedersi riconoscere in Germania quelle tasse italiane. Anche Wind ha avuto grossi problemi per il travaso di
ricavi a favore di consociate estere, in particolare lussemburghesi, attive nel periodo in cui era controllato dal
magnate egiziano Sawiris. Dopo essersi opposto a rilievi per oltre un miliardo, il gruppo si è messo in regola
con il fsco italiano versando, in totale, circa 200 milioni. Fastweb invece ha composto le sue vertenze
tributarie con circa 70 milioni, che si aggiungono alle somme sborsate dal suo ex azionista Silvio Scaglia,
assolto da ogni accusa penale per l'affare Mokbel: un assegno di 63 milioni, calcolato sulle plusvalenze da lui
incassate in Lussemburgo mentre si dichiarava residente a Londra. BANCHE E FINANZA In questo ramo
molte indagini scottanti sono ancora in corso. Tra quelle più recenti e non più segrete spiccano le verifche
fscali su una società irlandese di Mediolanum, sotto tiro per 344 milioni di redditi esentasse, che le Fiamme
Gialle considera imponibili. Il gruppo fondato da Ennio Doris precisa di considerare tutte le accuse
«illegittime», di averle contestate anche attivando un «arbitrato europeo» e comunque, per prudenza, ha «già
accantonato a bilancio circa 60 milioni». La banca Fortis è invece al centro di un caso notevole di "dividend
washing": ci sono società offshore che sembrano vendere azioni di società italiane proprio alla vigilia della
distribuzione dei dividendi, abbattendo così le tasse a poco più dell'1 per cento; ma subito dopo le
ricomprano. Il tutto, grazie a un contratto speciale che in pratica consente di spartirsi quel "risparmio fscale".
Alla fne la banca, che agiva per conto di ricchi clienti, è scesa a patti impegnandosi a riconoscere all'erario un
totale di 240 milioni. Mentre pochi giorni fa l'italiana Azimut, «solo per uscire dall'incertezza e senza alcun
riconoscimento» di colpe, ha chiuso una vertenza sul "transfer pricing" accettando di sborsare 117 milioni.
Tutte le società citate in questo articolo, interpellate da "l'Espresso", dichiarano di aver sempre rispettato la
legge e di non aver mai realizzato alcuna evasione o elusione delle tasse. Nessuna, però, ha smentito le cifre
che risultano già riscosse dall'erario. ha collaborato Alfredo Faieta PRADA, ARMANI, LUXOTTICA,
DOLCE&GABANNA, BC PARTNERS, BVULGARI, MARZOTTO, APAX, PERMIRA VALENTINO , BOSCH ,
RYNAYR , VERIZON, WIND, GLENCORE, BENETTON, Foto: D. Scudieri - Imagoeconomica, G. Haenel Laif / Contrasto, Afp / Getty Images MEDIASET, GOOGLE, AMAZON, EBAY, APPLE Foto: A. Casasoli A3(2)
Foto: Il grafico in queste pagine mostra le società con attività nel Granducato o in altri paesi dell'Unione
Europea finite nel mirino della Guardia di Finanza. Per ciascuna sono indicati gli importi già versati al Fisco
italiano per chiudere le controversie o le somme contestate dagli investigatori nei procedimenti tributari
ancora in corso
Foto: SAverIo CApoLupo, ComAnDAnte DeLLe FIAmme GIALLe. In ALto: Le SeDI DI GooGLe e boSCH
gruppo ligresti gruppo ciarrapico hbg gaming aiazzone mete
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Corruzione senza vergogna
Il malaffare dilaga. Con metodi sempre più evoluti: un tempo era casareccio, ora è globale. L'analisi dell'ex
ministro
CoLLoQuio Con GiovAnni MAriA fLiCk di denise pArdo
Icorrotti si sono moltiplicati mentre c'è stata una selezione naturale della razza dei corruttori». Giovanni Maria
Flick, ex ministro di Grazia e Giustizia del governo di Romano Prodi, ex presidente della Corte costituzionale,
ha studiato a fondo l'evoluzione della corruzione. L'ha fatto anche in occasione del centenario della nascita di
Guido Carli che ha conosciuto molto bene e che già nel 1993 aveva capito la portata inarrestabile del dilagare
del fenomeno. Flick è un tecnico del ramo, dice con un sorriso, che può vantare tre master nella materia,
essendo stato commissario dell'Ospedale San Raffaele, vice commissario dell'Expo e presidente del
Comitato che porta il suo nome a Finmeccanica, società per la quale ora sta scrivendo il codice d'integrità e
anticorruzione. L'inchiesta su Mafia Capitale mostra un livello di malaffare senza precedenti.
Antropologicamente parlando, a che punto è la corruzione? «Negli oltre venti anni passati da Mani pulite e
dalle stragi di Capaci e via D'Amelio c'è stata una buffa situazione. Con estrema fatica abbiamo cominciato a
capire che non si può convivere né con la criminalità organizzata né con la corruzione ma non si è messo
bene a fuoco che non si può convivere neppure con la criminalità economica. Il che è assurdo perché
l'esperienza insegna che proprio Mafia city, Tangentopoli e Nerolandia sono i vertici di un triangolo delle
Bermude della illegalità». C'è differenza tra la corruzione di Mani pulite e quella di oggi? «Sostanziale. Fino a
Mani pulite si rubava soprattutto per fare politica. Oggi è il contrario, molti fanno politica per trovare occasione
di rubare. Nel 1993 Guido Carli aveva previsto che la situazione già drogata potesse defagrare. Credeva che
il Trattato di Maastrich fosse l'unica speranza di controllo su una finanza pubblica allegra e protesa al
consenso. Non poteva immaginare che dopo Tangentopoli la corruzione sarebbe tornata a esplodere come
leggiamo tutti i giorni sui giornali». Quale è stata l'evoluzione della corruzione? «Negli anni Novanta era più
casereccia. Dal 2000 più politica. Dal primo decennio del terzo secolo a oggi diventa globale, negli affari, nel
mercato. Prima era punita solo la corruzione pubblica, ma dal 2012 con le pesanti sollecitazioni degli
americani diventa reato anche pagare il privato. Nel '96, quando ero al governo, cercammo di introdurre quel
Daspo ("confessa, paga e levati dai piedi") che ora il premier propone. Il Vaticano l'ha applicato e punisce da
due a tre anni l'autoriciclaggio, che speriamo si vari anche da noi. Lo dico da professorino non da
professorone». Gli italiani sono un popolo corrotto? «Rispondo come Antonio Canova a Napoleone che
sosteneva che tutti gli italiani erano ladri: "Non tutti, ma buonaparte"». C'è stata una trasformazione della
figura del corruttore? «La razza dei corruttori ha seguito Darwin: ha avuto una selezione naturale, ad operare
sono rimasti i più bravi, i più capaci. I corrotti, hanno seguito il precetto della Bibbia, sono cresciuti e si sono
moltiplicati grazie all'epidemia della corruzione. Se un nuovo impiegato arriva in un uffcio dove tutti prendono
la mazzetta o un imprenditore partecipa a una gara in cui tutti la offrono come fa a resistere? E se è capace
di resistere, è tagliato fuori». Allora non c'è soluzione. «In America il "whistle blower", il suonatore di fschietto
che segnala in modo coperto le irregolarità in cui s'imbatte è considerato uno che lavora utilmente per la
collettività. Da noi è quasi un reietto: "chi fa la spia non è fglio di Maria", no? Va trovata una via di mezzo,
recuperando il valore della vergogna, della reputazione, della legalità sostanziale e non solo formale». La
corruzione ha cambiato pelle? «Sì, non più la mazzetta - roba da opera pia - ma la consulenza, la
triangolazione, le tangenti internazionali con biglietto di andata e ritorno. Anche la pubblica amministrazione
ha cambiato pelle con le privatizzazioni, l'outsourcing, il decentramento, e soprattutto con l'insidia più
pericolosa: considerare la grande opera come un caso emergenziale. Ci si muove con ritardo e così la logica
dell'emergenza diventa nemica della legalità. Lo è stato per le Olimpiadi di Torino, per il G 20 dell'Aquila, per
l'Expo, per un territorio che si disfa». È un vizio o è un nuovo mezzo? «È un'abitudine inveterata della
mentalità italiana, ma che poi qualcuno ci marci capita di frequente. Nel frattempo l'Europa si è mossa». In
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 05/12/2014
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INTERVISTA Attualità la questione morale
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quale direzione? «Per spiegarmi userò delle espressioni goliardiche. Ci sono due tipi di reato. C'è la
corruzione in cui il privato dice "gustavo dandolo", cioè avevo piacere di pagare per ottenere un vantaggio. E
c'è il pubblico uffciale che risponde "io godevo prendendolo". Poi c'è la concussione, ovvero il privato
costretto a pagare, "soffrivo dandolo", e il pubblico uffciale che dice "godevo prendendolo"». In effetti sono più
goliardiche che giuridiche. «A un certo punto l'Europa ha detto "i protagonisti del reato passano da una
condizione all'altra, c'è troppa confusione". Così abbiamo introdotto una terza ipotesi la corruzione o
concussione per induzione in cui il privato dice: "un po' gustavo, un po' soffrivo". Ma devo constatare che
l'interpretazione provoca un po' di grattacapi ». Bisogna intervenire anche sulla legge sulla prescrizione. «Va
modifcata, non c'è dubbio, ma con equilibrio, tenendo conto sia dell'esigenza dell'imputato che di quella della
vittima. Nessuno dei due può rimanere sotto lo scacco di un procedimento infinito. C'è assoluta necessità di
cambiare anche le sconcertanti modifche della legge Cirielli e, punto fondamentale, la prescrizione non può
essere un mezzo per sfuggire al processo. Bisogna essere però attenti a non cedere a ondate emozionali
come nel caso dell'Eternit a Torino dove ha contato più la mancanza di una legge sul disastro ambientale che
la prescrizione». Poi è arrivato il Web a cambiare profondamente la scena. «La trasparenza è segno di
democrazia. Il giudice costituzionale americano Louis Brandeis, spero di non sbagliarmi se no Zagrebelsky mi
riprende - sto scherzando - dice che la trasparenza è come il sole, porta la salute, elimina le infezioni. La
corruzione è malattia fortemente contagiosa. Ben venga la trasparenza del Web, il controllo civico nel seguire
l'andamento di un appalto, il risultato di un concorso. In questo senso la legge anticorruzione del 2012 ha
cercato di fare qualcosa ma pensando alle polemiche sull'applicazione della parte amministrativa, ci si rende
conto di quanto sia diffcile introdurre questo concetto. Il che mi fa davvero pensare che noi siamo soprattutto
un paese di avvocati». Come considera la legge anticorruzione? «Costruisce un'impalcatura forse troppo
burocratica. Dà malignamente la sensazione che si voglia tenere la gente occupata a riempire scartoffe o per
impedire di corrompere o di farsi corrompere o di combattere la corruzione». Il Web è anche un nuovo
strumento di corruzione. «Fa parte del discorso di fondo della globalizzazione. Il denaro può fare il giro del
mondo in un minuto ma io percepisco con un po' di paura l'abolizione della dimensione del tempo e dello
spazio. Secondo me sapere usare il congiuntivo è una gran cosa perché ti consente di collocare gli
accadimenti nella loro dimensione storica di successione». Quali passi avanti si sono fatti e quali indietro?
«Le videoconferenze, i collaboratori di giustizia, i sequestri, le informazioni antimafa hanno portato buoni
risultati nella lotta alla criminalità organizzata. Sulla corruzione, a parte la legge del 2012 e il commissario
nazionale, si è fatto poco o nulla visto che ci si è affdati soltanto al giudice penale nonostante le condizioni
della nostra giustizia. Pen so che invece si debbano usare gli stessi strumenti investigativi destinati alla
criminalità organizzata. E smettere di considerare la corruzione una tassa sull'ineffcienza, una sorta di
sacrifcio all'ineffcienza della pubblica amministrazione». Per anni c'è stato un blocco di nome Silvio
Berlusconi. Ora cosa sta cambiando? «Ci sono delle indicazioni internazionali legate alle nuove dimensioni
dei mercati che non si possono più ignorare. È stato ormai accertato che non basta punire visto che per
punire devi prima scoprire. La prevenzione va fatta su un piano sistemico, chiedendo alle imprese di fare
prevenzione e alla società di ristabilire una cultura della vergogna e della reputazione. Questo si salda con la
nuova percezione che la corruzione non sia solo offesa alla legalità ma componente della crisi in atto e
ostacolo agli investimenti del nostro paese». Servirebbero nuove leggi? «Per carità, no. Moltiplicare leggi è
modo per alimentare la corruzione perché porta con sé l'applicazione del detto del Talmud: "Una parola disse
l'Altissimo, l'uomo ne capì due". Bisogna semplifcare non aumentare. Anche perché non è più in vendita l'atto
d'uffcio, ma la funzione. Non vado con i soldi in bocca a chiedere al funzionario pubblico di darmi quella
licenza ma gli dico che lo metto al libro paga. Il pagamento della disponibilità, il mettere a disposizione il
proprio potere è molto più grave di un singolo atto». Difficile essere ottimisti, lei lo è? «L'ottimista dice:
"questo è il miglior mondo possibile". Il pessimista commenta: "purtroppo". Io sono ottimista per varie ragioni,
perché fnalmente si parla sul serio del problema, perché si è cominciato a capire che fare proftto a qualsiasi
prezzo ti fotte, perché con la crisi economica e sociale gli sprechi, lo sperpero del denaro pubblico, le cattive
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L'Espresso - N.49 - 11 dicembre 2014
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pratiche della politica e della pubblica amministrazione diventano davvero non più sopportabili. Il problema è
che noi rischiamo di rendere diffcile ciò che è facile attraverso ciò che è inutile. Figuriamoci quando le cose
non sono facili come nel triangolo delle Bermude dell'illegalità». Foto: Tania - A3, M. D'Ottavio, Webphoto
Foto: P. Cerroni - Imagoeconomica, C. Morandi - Agf
L'Italia ancora bocciata
Il rigore morale dell'eroe borghese Giorgio Ambrosoli viene celebrato dalla Rai con una fiction in prima serata,
ma a 35 anni dall'uccisione del professionista che si oppose a Michele Sindona la situazione dell'Italia della
legalità resta pessima. Il rapporto di Transparency International pubblicato questa settimana mostra quanto
sia grave il male. L'indice della corruzione percepita pone il nostro paese al 69mo posto nel mondo, alla pari
con Romania, Grecia e Bulgaria: persino la Turchia sta meglio di noi. In testa alla classifica delle "mani
pulite"c'è la Danimarca, seguita da Nuova Zelanda, Finlandia, Svezia e Norvegia. In fondo Afghanistan,
Sudan, Corea del Nord e Somalia. E l'Italia, con un voto in pari a 43 su 100, è in coda all'Occidente,
surclassata anche da paesi africani come Botswana, Ghana, Namibia, Rwanda e pure da alcuni Stati arabi
come Emirati Uniti, Qatar, Kuwait e Arabia Saudita. Un altro pessimo segnale, che rimarca la nostra distanza
dalle economie avanzate. Quest'anno per la prima volta è entrata in funzione una struttura contro la
corruzione, affidata a Raffaele Cantone, che sta intervenendo dovunque per cercare di imporre trasparenza
nella gestione del denaro pubblico e delle grandi opere. Ma il problema richiede una mobilitazione più ampia,
delle forze politiche e della società. Transparency sta cercando di introdurre anche nel nostro paese la figura
del whistle blower, che segnala gli illeciti dall'interno di aziende ed enti: ha creato una piattaforma online per
ricevere le denunce con garanzia di anonimato. Manca però ancora una tutela legale per i whistle blower
italiani e finora i progetti di legge sono tutti falliti.
Foto: giovanni maria flick. a destra: l'area dell'expo e in basso pierfrancesco favino interpreta giorgio
ambrosoli
Foto: PrIMo gregAntI e, A sInIstrA, gIAnCArlo gAlAn, ProtAgonIstI deglI sCAndAlI exPo e Mose
SCENARIO PMI
5 articoli
05/12/2014
Il Sole 24 Ore
Pag. 13
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Londra nuova frontiera delle imprese
Leonardo Maisano
londra
L'Italia cresce nel Regno Unito. Aumentano le aziende, gli occupati, il fatturato a conferma che la capacità di
attrazione che esercita Londra va molto oltre l'emigrazione di giovani, studenti o lavoratori, in cerca di nuove
prospettive, ma affascina anche il mondo delle imprese.
Lo suggerisce il survey 2009-2013 preparato dalla Camera di Commercio e industria italiana per il Regno
Unito che è presentato oggi a un evento organizzato dall'Ambasciata italiana di Londra. Nel triennio le
imprese italiane hanno generato nuovi investimenti per 1,2 miliardi di sterline con 369 progetti focalizzati
soprattutto nei settori delle energie rinnovabili, meccanica avanzata, industria creativa e digitale. Il risultato è
che il numero di imprese attive, congrue con i criteri di ricerca messi a punto dalla Camera, sono oggi 695 (lo
stock totale supera le 900) con un fatturato globale che sfiora i 25 miliardi di sterline e occupa 48 mila
persone. Rispetto alla ricerca precedente 2006-2009 che aveva evidenziato il contraccolpo della crisi il
fatturato globale di manifattura e servizi (la attività di commercio non sono considerate) di aziende italiane nel
Regno Unito è aumentato del 44% e gli occupati del 17 per cento. I settori che in assoluto hanno una
significativa presenza italiana sono: aerospazio e difesa (Finmeccanica è realtà di primissimo piano),
automotive ed energia. Segue in forte progressione l'alimentare sempre più punto di forza
dell'imprenditorialità del nostro Paese.
L'Italia gioca quindi un ruolo crescente in una terra che resta calamita per le aziende di tutto il mondo se è
vero che gli Fdi, gli investimenti esteri diretti, nel Regno Unito sono aumentati del 14% fra il 2012 e il 2013.
«L'Italia consolida la sua presenza - spiega Leonardo Simonelli Santi presidente della Camera - . Gli
investitori sono attratti dalla dinamica triangolare che esercita il Regno Unito in grado di muoversi con grande
agio sui mercati dell'Ue, degli Usa e del Commonweath. Apprezzano sia il contesto ambientale che significa
semplificazione amministrativa sia quello fiscale. La corporate tax veleggia verso il 20% e che ora sono state
messe a punto agevolazioni specifiche per le Pmi». Un contesto sul quale pesa una sola grande incognita:
l'adesione alla Ue della Gran Bretagna che il governo di Cameron, se vincerà le elezioni, sottoporrà a
referendum .
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 05/12/2014
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Il caso. Le nostre aziende aumentano il fatturato (+44%) e gli occupati (+17%)
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La Repubblica - Ed. nazionale
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Pmi Prove tecniche di rilancio
In un quadro tutt'altro che roseo non mancano le note positive: in questi sette anni di recessione 3.472 Pmi
italiane sono riuscite a raddoppiare il loro giro d'affari Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea:
"Le Pmi ci stanno molto a cuore perché contribuiscono per 80% all'occupazione nell'area dell'euro" Nel
delicato settore della meccanica di precisione le società italiane continuano a essere considerate una temibile
concorrenza dai colossi tedeschi Le piccole e medie imprese , che rapprese
MARCO FROJO
Se le piccole e medie imprese prosperano, l'economia italiana cresce; se sono in difficoltà, l'intero Paese va
in crisi. Se c'era bisogno di un'ulteriore conferma di questo assioma, questa è arrivata con la crisi, con il
corollario che si vedrà la luce in fondo al tunnel solo quando si creeranno le condizioni che consentiranno alle
Pmi di tornare a crescere. Le imprese di piccole e medie dimensioni rappresentano infatti il 95% del tessuto
economico italiano e, nonostante le difficoltà poste dalla crisi, dalla burocrazia e dalla fiscalità, continuano a
mostrare una grande vitalità, soprattutto quelle che hanno puntato sull'export. Nel settore della meccanica di
precisione, per esempio, le società italiane continuano a essere considerate una temibile concorrenza dai
colossi tedeschi che, oltre a vantare dimensioni decisamente più grandi e avere quindi una maggiore capacità
di spesa per la ricerca e lo sviluppo, possono contare su un'economia domestica che si è lasciata alle spalle
la recessione da molti trimestri.
I danni causati al settore delle Pmi dai sette anni di crisi sono però enormi.
Una fotografia molto dettagliata è stata scattata di recente dal Cerved che nel suo primo "Rapporto Pmi"
rileva come dal 2007 a oggi una Pmi su cinque pare abbia chiuso i battenti: 13mila sono fallite, 5mila hanno
avuto una procedura concorsuale non fallimentare e 23mila sono state liquidate volontariamente. Numeri
altrettanto pesanti emergono dall'analisi della redditività: in sette anni il margine operativo lordo delle Pmi è
sceso del 31% e il ritorno sul capitale investito (Roe) si è dimezzato, passando dal 13,9% al 5,6%. Oggi le
piccole e medie aziende attive in Italia sono in Italia 144mila e complessivamente hanno un giro d'affari di
851 miliardi, con un valore aggiunto di 183 miliardi pari al 12% del Pil, a fronte di debiti finanziari per 271
miliardi. Secondo i parametri stabiliti dall'Unione Europea possono definirsi Pmi le aziende con un fatturato
compreso tra 2 e 50 milioni e tra 10 e 250 dipendenti. In un quadro tutt'altro che roseo non mancano però le
note positive, la più importante delle quali è che ben 3.472 Pmi, in questi sette anni di crisi, hanno
raddoppiato il giro d'affari. La maggior parte di queste aziende è votata all'export, da sempre uno dei punti di
forza dell'economia italiana e unica vera ancora di salvezza per tutto il periodo della crisi. Secondo
un'indagine Istat condotta su 30mile imprese con oltre 20 dipendenti, tra il 2010 e il 2013, il 51% di esse ha
visto crescere il proprio fatturato estero e, fra queste ultime, due su tre sono riuscite a compesare il calo del
fatturato domestico con i risultati conseguiti sui mercati internazionali.
L'altra buona notizia è che le Pmi sopravvissute sono più robuste e hanno una situazione finanziaria meno
rischiosa. Secondo quanto dettato dalle nuove regole di Basilea, hanno infatti continuato a ricevere sostegno
dal sistema bancario solo le imprese più solide, mentre molte di quelle che hanno chiuso erano già in crisi
prima dello scoppio della bolla dei subprime. Il 2015 potrebbe essere l'anno della svolta anche per le Pmi,
soprattutto perché la restrizione del credito si sta allentando. Seguendo la strada imboccata dai big del
settore, un numero sempre maggiore di istituti di credito sta mettendo a punto un'offerta dedicata alle piccole
e medie imprese (per esempio Intensa Sanpaolo, vedere articolo nella pagina a destra) e un ulteriore
sostegno dovrebbe arrivare dalle istituzioni.
La Cassa Depositi e prestiti, per esempio, ha siglato un accordo con la sua omologa tedesca, il KfW, per
garantire finanziamenti pari a 300 milioni alle Pmi (più altri 200 milioni che sosterranno la realizzazione di
progetti infrastrutturali ad alta efficienza energetica). Si attende poi che il "Piano per il credito alle Pmi"
lanciato dalla Banca Centrale Europea nel giugno scorso dia tutti i suoi frutti. L'importanza che l'Eurotower
assegnava al successo di queste misure era tutta racchiusa nelle parole del presidente Mario Draghi che,
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 05/12/2014
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Le Guide Vie d'uscita dalla crisi
05/12/2014
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 05/12/2014
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
presentandole, ha detto: «Le Pmi ci stanno molto a cuore perché contribuiscono per l'80% all'occupazione
nell'area dell'euro».
Un'affermazione che per l'Italia assume particolare valore.
mila
144
851
mld LE PMI ITALIANE che al momento sono in attività.
I sette anni di crisi economica hanno fatto scendere il margine operativo lordo del 31% IL GIRO D'AFFARI
delle 144mila piccole e medie imprese italiane, con un valore aggiunto di 183 miliardi pari al 12% del Pil, a
fronte di 271 miliardi di debiti finanziari
10-250
2-50
mila
51%
13 IL FATTURATO L'altro parametro stabilito dalla Ue: una Pmi deve avere un fatturato minimo di 2 milioni e
non superiore a 50 I DIPENDENTI Secondo i parametri stabiliti dall'Unione europea si definiscono Pmi le
aziende che hanno fra 10 e 250 dipendenti LE PMI CRESCIUTE ALL'ESTERO Secondo un'indagine Istat, tra
il 2010 e il 2013 il 51% delle imprese con oltre 20 dipendenti ha visto crescere il proprio fatturato estero LE
AZIENDE FALLITE DAL 2007 A OGGI Inoltre 5mila hanno avuto una procedura concorsuale non fallimentare
e 23mila sono state liquidate volontariamente FONTE: RAPPORTO PMI CERVED
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La Repubblica - Ed. nazionale
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Risorse fresche per rilanciare la produzione
Un'intesa che mette al servizio delle aziende specifiche competenze per sostenere piani di sviluppo, soluzioni
e investimenti
VITO DE CEGLIA
Dieci miliardi di euro per sostenere la domanda di credito di tante piccole e medie imprese virtuose che
rappresentano la struttura portante del sistema produttivo italiano. Sono le risorse "fresche" messe a
disposizione da Intesa Sanpaolo attraverso il nuovo accordo, il quinto, sottoscritto con la Piccola Industria di
Confindustria. Risorse che si aggiungono ai 35 miliardi stanziati negli anni precedenti. Al centro dell'intesa,
già operativa sul territorio con accordi tra Banca e Associazioni datoriali locali, è stato tracciato il percorso da
seguire per "una crescita possibile". A partire dal 2015, anno in cui ci sarà l'Expo di Milano, di cui Intesa
Sanpaolo è "global banking partner". Sono tre i pilastri su cui l'accordo punta: crescita dimensionale,
innovazione, export.
Per la crescita, l'intesa mette al servizio delle Pmi le competenze specialistiche della banca per sostenere gli
investimenti, i piani di sviluppo e le soluzioni più adatte a ottimizzare i processi aziendali. Soprattutto, nei
rapporti con la pubblica amministrazione al fine di semplificare le procedure e gli adempimenti fiscali come il
servizio di gestione elettronica delle fatture.
Per l'innovazione, l'accordo rafforza AdottUp, il progetto avviato nel 2013 per favorire un'exit industriale alle
start up ad alto potenziale di sviluppo. Nello stesso tempo, con MatchUp ne amplia il raggio d'azione
estendendolo anche a imprese già operative. Tra i servizi offerti sono compresi anche quelli dei fondi Atlante
Ventures e piattaforme di incontro tra domanda e offerta di innovazione come Start Up Iniziative e Officine
Formative, il centro di alta formazione di Intesa Sanpaolo dedicata alle imprese.
Per l'export, infine, l'accordo include un'ampia piattaforma di prodotti e servizi di consulenza a 360° proposti
dal team di specialisti di Intesa Sanpaolo a supporto delle strategie di espansione delle Pmi.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 05/12/2014
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Le Guide / Lo scenario
05/12/2014
ItaliaOggi
Pag. 15
(diffusione:88538, tiratura:156000)
Sito per cercare i fondi pubblici
Si chiama So'Fi, ed è il primo sito internet di ricerca di finanziamenti pubblici e bancari destinati agli
imprenditori, dirigenti di azienda e singoli aspiranti imprenditori. È stato predisposto in Francia per aiutare le
imprese a orientarsi nella galassia dei fondi pubblici, comunitari, statali, regionali, locali che vengono messi a
disposizione delle imprese, ma che queste difficilmente riescono a captare. In Francia esistono all'incirca 6
mila dispositivi di aiuti pubblici alle imprese che totalizzano complessivamente 60 miliardi l'anno erogati da
quasi mille diversi sportelli. Difficile per i capi d'azienda raccapezzarsi in un tale mercato. Per semplificargli la
vita una squadra di consulenti esperti in finanziamenti pubblici ha lanciato il sito So'Fi per guidare gli
imprenditori passo passo a trovare la soluzione di finanziamento adatta alle loro necessità. I criteri di idoneità
sono spesso complessi. Risultato: gli aiuti pubblici sono perlopiù utilizzati dalle grandi imprese e troppo poco
dalle pmi e dai singoli aspiranti imprenditori. È vero che la ricerca di aiuti richiede tempo, e che nelle piccole
strutture il titolare non ha il tempo di applicarsi, così la piattaforma web So'Fi gli facilita il compito identificando
gli aiuti con una simulazione e una diagnosi gratuita. In seguito, gli propone un audit completo di ideoneità, a
pagamento. In funzione del settore, della grandezza dell'impresa, dei posti di lavoro creati, l'ammontare
dell'assistenza può andare da 3 mila a 300 mila euro. Per arrivare è bene avere buone informazioni al
momento giusto. © Riproduzione riservata
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 05/12/2014
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60 miliardi l'anno per le imprese francesi
05/12/2014
MF - Ed. nazionale - fashion
Pag. 6
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NONSOLOMARE
VIASAT RIVUOLE L'OSCAR Dopo l'Oscar del Bilan io vinto nel 2009, Viasat Group è stata nuovamente
selezionata quest'anno tra le finaliste del premio nella sezione «Medie e piccole imprese non quotate». Nel
2013 il gruppo specializzato nella progettazione e realizzazione di sistemi e servizi di sicurezza e protezione
con applicazione di tecnologie satellitari ha chiuso con ricavi consolidati di 39,4 milioni di euro, Mol superiore
a 10 milioni, indebitamento finanziario inferiore al milione e risultato netto positivo per di 1,5 milioni.
CORRIDOIO PER IKEA L'Agenzia delle Dogane dei Monopoli ha dato un ulteriore impulso al progetto «Il
Trovatore» attraverso l'attivazione di corridoi controllati per trasferire immediatamente i container in arrivo nei
porti di Genova e La Spezia al nodo logistico di Piacenza della Ikea, dove saranno completate le operazioni
di importazione. La collaborazione tra l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e Ikea costituisce un banco di
prova per decongestionare gli spazi portuali e ridurre i tempi del ciclo di import, consentendo alle aziende di
integrare gli adempimenti doganali con le proprie procedure logistiche. I corridoi controllati e lo Sportello
Unico Doganale consentiranno, con la collaborazione delle altre Amministrazioni nazionali coinvolte, di ridurre
al minimo i tempi di sdoganamento. Un'importante semplificazione in vista dell'incremento delle operazioni di
importazione connesse all'Expo 2015.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 05/12/2014
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MF SHIPPING & LOGISTICA