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TEATRO ZANDONAI
LUNEDì 1 DICEMBRE 2014 - ORE 20.45
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aLeXander KoBrIn pianoforte
Ludwig van BEETHOVEN
(1770-1827)
Sonata in fa diesis magg. n. 24 op. 78
Adagio cantabile - Allegro non troppo
Allegro vivace
Sonata in mi maggiore n. 30 op. 109
Vivace ma non troppo
Prestissimo
Andante molto cantabile ed espressivo
[Pieno di canto, con il più intimo sentimento]
Frédéric CHOPIN
(1810-1849)
12 Studi op. 25
n. 1 in la bemolle maggiore
n. 2 in fa minore
n. 3 in fa maggiore
n. 4 in la minore
n. 5 in mi minore
n. 6 in sol diesis minore
n. 7 in do diesis minore
n. 8 in do bemolle maggiore
n. 9 in sol bemolle maggiore
n. 10 in si minore
n. 11 in la minore
n. 12 in do minore
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Moscovita di 34 anni, alexander Kobrin, primo premio ai Concorsi Busoni e Van Cliburn, ha sempre ricevuto unanimi apprezzamenti per le straordinarie qualità tecniche, inLe maggiori sale da concerto del mondo lo hanno ospitato: Wigmore Hall, Kennedy Center, Munich Herkulesaal, Philarmonie di Berlino, Sala Verdi di Milano, Albert Hall a Londra. L’interprete si è esibito con la Tokyo Philarmonic, l’English Chamber Orchestra, l’Orchestre de la Suisse Romande, la Swedish Radio Symphony, la
Deutsches Symphonie Orchester, la Warsaw Philarmonic, la BBC Symphony Orchestra.
Alexander Kobrin ha inoltre collaborato con illustri direttori quali Mihail Pletnev, Vassily
Sinaisky, James Conlon, Claus Peter Flor, Mark Elder, Vassily Petrenko e Yuri Bashmet.
L’artista è stato invitato inoltre al Festival de la Roque d’Antheron, ai BBC Proms, al Beethoven Easter Festival, al Ravinia Festival, all’Enescu International Festival di Bucarest e al
celebre Klavier- Festival Ruhr. Alexander Kobrin è spesso invitato come membro di giuria
nei concorsi Nehaus di Mosca, Blüthner Golden Tone Award di Vienna, Rosalyn Tureck
Competition di New York.
Dal 2010 il pianista è docente presso la Columbia University e dal 2013 ricopre lo stesso
incarico presso la Facoltà della Steinhardt School all’Università di New York.
Harmonia Mundi, Quartz, Centauri e King Records per le quali sono stati incise opere di
Haydn, Schumann, Brahms, Rachmaninov e Chopin.
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ASSOCIAZIONE FILARMONICA DI ROVERETO
note aL PrograMMa
Ludwig van Beethoven è stato il massimo
creatore di sonate per pianoforte. Cominciò ad
esercitarsi in questo genere ancora adolescente
anni prima della morte. Le opere di questo genere, una trentina in tutto, furono testimoni di un
continuo rovello creativo che lo vide esploratore
coraggioso della scrittura musicale nel passaggio tra il Classicismo ed il Romanticismo. Se i
primi passi nella sonata partirono dagli esempi
cominciò a manipolare questa forma sia dall’esterno, agendo sulla struttura dei movimenti, sia
dall’interno, introducendo relazioni armoniche
mai ascoltate. Nella sua prima fase creativa le
musiche si allungano in quei punti nevralgici
portatori di una possibile evoluzione/rivoluzione, in quelle battute di collegamento tra i temi,
in quelle sezioni di sviluppo che non erano mai
state le vere protagoniste dell’opera. Con l’inizio
del secondo periodo stilistico, quello eroico, la
ricerca di Beethoven passa dalla forma all’armonia, sperimentando abbinamenti tonali così scorretti per la tradizione quanto affascinanti per la
creatività del sommo autore, che per rinnovare
la sonata si muove dunque verso il futuro ma
anche verso il passato, nel recupero di fantasie,
variazioni e fughe. Per il pubblico dell’epoca le
Sonate beethoveniane dovevano apparire certamente bizzarre se solo pensiamo che ancora oggi
gli ultimi numeri ci stupiscono per alcune scelte
così innovative. Certo è che accompagnarono
l’ascesa di un nuovo strumento, il pianoforte, che
alle sue maggiori sonorità e agli effetti del pedale di risonanza. Alle Sonate di Beethoven - così
complesse, così virtuosistiche, così evolute - si
deve, inoltre, lo spostamento dell’attività musicale dai salotti privati alle sale da concerto.
La Sonata op. 78 appartiene al gruppo delle sonate piccole, quelle cioè dalla n. 24 alla n. 27 che
seguirono l’”Appassionata”. Dopo l’esperienza
esaltante del Quinto Concerto per pianoforte
ed orchestra, l’Imperatore, Beethoven torna ad
una sonata di soli due movimenti, ad una forma
contenuta e ad uno stile che del clavicembalo ricorda l’eleganza e la brillantezza. Per dirla con le
parole di Piero Rattalino, «la grande architettura
viene miniaturizzata, la dialettica cede al lirismo, il grande teatro diventa teatro da camera».
Fu composta nel 1809 e dedicata a Thérèse de
Brunswick, riconosciuta all’epoca, con scalpore, come l’Amata Immortale del compositore
(in realtà individuata poi in Antonia Brentano).
Il colore delicato di questa Sonata può trovarsi
non solo nelle scelte melodiche di Beethoven ma
anche in un dato prettamente tecnico, ossia la
sua realizzazione praticamente esclusiva sui tasti neri, dovuta alla scelta della tonalità, fa diesis
maggiore. Il primo movimento, Allegro ma non
troppo, occupa quasi interamente i dieci minuti
totali della composizione, lasciando poca voce
alle volatine dell’Allegro vivace nella forma del
rondò. L’innovazione formale di questa sonata
sta nelle quattro battute iniziali: un Adagio cantabile che non è solo un’introduzione, in quanto
di carattere compiuto, ma nemmeno un movimento a sè stante, in quanto eccessivamente breve, comunque mai utilizzato sin qui dall’autore.
Ascoltando la Sonata op. 109 si può capire immediamente cosa s’intende per aggressione beethoveniana sulla forma. È una delle ultime tre sonate pensate dall’autore, composta nel 1820 e pubblicata con la dedica a Massimiliana Brentano,
Amata Immortale. Scritta
nei canonici tre movimenti, questa sonata rivela
arditezze mai sperimentate prima. È decisamente squilibrata nelle durate a favore dell’ultimo
tempo, che si presenta nella forma di tema con
variazioni. Il movimento iniziale doveva risultare all’epoca frammentato, con i suoi due temi
distinti nettamente in due tempi opposti – uno
Vivace ma non troppo, l’altro Adagio espressivo
– sebbene melodicamente fusi. Di seguito, senza staccare il pedale dall’ultimo accordo, parte
il secondo movimento, Prestissimo, con il suo
impatto sonoro e la sua feroce cavalcata. Di ampio respiro ed amorosa tenerezza è l’ultimo movimento, Andante molto cantabile ed espressivo.
Una sonata, l’op. 109, che non richiede grandi
pochi, ma una grande musicalità e un cuore puro.
La storia degli studi per pianoforte comincia nel
Settecento nelle pagine dei Clavierübungen bachiani e prosegue negli studi del tedesco Cramer,
dell’italiano Clementi e dell’austriaco Czerny.
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Ma è solo nel Romanticismo con Liszt e Chopin
che l’esercizio per tastiera destinato allo studio
privato si trasforma in una pagina di musica destinata all’esecuzione pubblica.
Il giovane Fryderyk Chopin pubblica due
raccolte di Studi tra il 1833 ed il 1837: l’op. 10
dedicata all’amico Liszt e l’op. 25 dedicata alla
compagna di lui, Marie d’Agoult. Lo stimolo a
comporre ventiquattro studi, divisi in due cicli
di dodici, fu da un lato il Clavincembalo ben
temperato di Bach, il cui Primo Preludio in do
maggiore è precisamente il punto di partenza del
primo numero dell’op. 10, e dall’altro l’ascolto
del funambolico Paganini. Ciascuno studio parte
nica ma lo fa attraverso una vena artistica. Gli
studi di Chopin sono in generale monotematici,
presentano cioè un solo tema, o meglio un’unica
idea circoscritta su un particolare problema tecnico, come ad esempio gli arpeggi, le scale cromatiche, le ottave leggere, le terze, le seste e via
dicendo, ma anche il tocco e l’agilità. Nell’op. 10
tonale (coppie formate da tonalità maggiore e relativa minore), mentre gli studi op. 25 procedono
in senso musicale, legati in un unicum artistico. Nati per migliorare le capacità tecniche dei
pianisti all’inizio del XIX secolo – per Charles
Rosen la tecnica degli studi chopiniani «allunga
la mano, sviluppa i muscoli, accresce l’elasticità,
leggere anche una ricerca artistica di una nuova
timbrica attraverso nuovi tocchi, quasi pre-impressionista, come suggerisce Piero Rattalino.
Per questo motivo si riporta di seguito una breve
descrizione di ciascuno dei dodici studi indicando anche il nome suggestivo, ma assolutamente
non originale, che li accompagna. Il n. 1 (Arpa
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eolica) si basa sull’arpeggio e richiede un tocco
veramente luminoso ed un’accurata tecnica del
legato. Il n. 2 (Api) nasconde, sotto una morbida agilità, l’insidia di una precisa poliritmia tra
le due mani che, se non rispettata, porta ad un
falso ritmo. Il n. 3 (Cavaliere) richiede l’agilità leggera delle due mani insieme mentre il n.
4 presenta lo staccato in continuo controtempo
con la mano destra. Il n. 5 è uno dei pochi che
presenta una sezione centrale contrastante, con
un primo tema alla mano destra con una seconda
minore (un’acciaccatura all’ascolto, da cui il titolo “Note sbagliate
do tema di più ampio respiro alla mano sinistra
nella parte centrale. Il n. 6 affronta le scale per
doppie terze cromatiche alla mano destra mentre
il n. 7 (Violoncello) è il primo movimento lento del ciclo e si presenta come uno studio più di
interpretazione che di tecnica. Il n. 8 si costruisce sulle doppie seste in entrambe le mani. Il n.
9 (Farfalla) è il più breve della raccolta con le
sue ventiquattro battute in cui la mano destra affronta ottave leggere e staccate mentre la sinistra
accompagna con salti sempre più ampi. Nel n.
10 proseguono le ottave, questa volta legate, per
uno studio nuovamente tripartito. Il n. 11 (Vento
invernale) è tra i più conosciuti dell’op. 25, con
la sua introduzione lenta di quattro battute (in
realtà aggiunta all’ultimo da Chopin su consiglio
di un amico) dopo la quale si scatena un vortice
di note alla mano destra. L’ultimo studio della
raccolta, il n. 12 (Oceano), ritorna sugli arpeggi, risuonando quasi come una nuova e matura
trascrizione del primo studio dell’op. 10, ideale
conclusione dei ventiquattro esercizi di tecnica e
d’arte chopiniana.
ASSOCIAZIONE FILARMONICA DI ROVERETO
Monique Ciola