Visioni e proiezioni sul paesaggio renano nel Romanticismo franco-tedesco e in particolare nell’opera di Heinrich Heine. Introduzione “Les paysages dont le Rhin est entouré sont superbes presque partout; on dirait que ce fleuve est le génie tutelaire de l'Allemagne; ses flots sont purs, rapides et majestueux comme la vie d'un ancien héros. Le Danube se divise en plusieurs branches. Les ondes de l'Elbe et de la Sprée se troublent facilement par l'orage. Le Rhin seul est presque inaltérable. Les contrées qu'il traverse paraissent tout à la fois si sérieuses et si variées, si fertiles et si solitaires qu'on serait tenté de croire que c'est lui même qui les a cultivées, et que les hommes d'à présent n'y sont pour rien. Ce fleuve raconte, en passant, les hauts faits des temps jadis, et l'ombre d'Arminius semble errer encore sur ces rivages escarpés”,1 così Mme de Staël nel suo monumentale trattato De l’Allemagne, che costituirà a lungo il filtro principale attraverso cui la Francia guarderà ai territori oltre il Reno. La storia di questo fiume è soprattutto la storia di un confine, che si fa tanto più interessante nel momento in cui la Germania comincia a formarsi un’autocoscienza come nazione: solo a partire da allora, secondo Michel Espagne, si può infatti parlare di un transfer culturale tra Francia e Germania2. Possiamo aggiungere che proprio questo confronto tra i due paesi contribuisce a rafforzare il sentimento di un’identità tedesca. Secondo Hohmi Bhabha, infatti, “è negli interstizi – emersi dal sovrapporsi e succedersi delle differenze – che vengono negoziate le esperienze intersoggettive e collettive di appartenenza ad una nazione, di interesse della comunità o di valore culturale”3. Negli intestizi, ovvero negli spazi in-between, nelle terre di confine, come appunto quelle renane. Gli autori Tra i testi fondativi della mitizzazione di questo fiume c’è sicuramente il Rheinmärchen di Clemens Brentano, frutto di un viaggio compiuto dallo scrittore nel 1802 insieme ad Achim von Arnim. Il protagonista, Radlauf, intreccia con il Vater Rhein un rapporto ricco di sfumature. Il fiume è visto alternativamente come un padre (Vater, appunto, quindi strettamente connesso al concetto di Vaterland) o come una madre poiché partecipa dell’elemento acquatico; come un dio cristiano cui rivolgere preghiere e confessioni (Brentano, come si sa, proveniva da una famiglia cattolica) o come una divinità pagana, che combatte accanto all’eroe o visita i sogni dei personaggi alla maniera degli dei dell’Iliade; o ancora come una musa, che insegna al pio mugnaio a cantare e ne riceve dunque in dono dei bellissimi Lieder. Dalla piuma di Brentano nasce poi l’ondina Lore Lay, presentata per la prima volta in 1 Mme de Staël, De l’Allemagne, Garnier Flammarion, Paris, 1968, p. 52. Michel Espagne, Les transferts culturels franco-allemands, Presses Universitaires de France (coll. Perspectives Germaniques), Paris, 1999, p. 17. 3 Hohmi Bhabha, I luoghi della cultura, Meltemi Editore, Roma, 2001, p. 12. 22 1 un Lied inserito nel romanzo Godwi oder das steinerne Bild der Mutter. La pretesa è che questa storia sia invece un’antica tradizione renana, la quale, benché si tratti di un originale brentaniano, seppur ispirato ad alcuni miti classici, come quello di Eco o quello delle sirene. Una Frau Lureley compare anche nel già citato Rheinmärchen, ma stavolta con dei tratti diversi (il mito ripreso è piuttosto quello di Amore e Psiche) e con un peso assai maggiore all’interno del testo. A seguito di operazioni di questo tipo e anche grazie all’importanza storica e politica del fiume in questione, i paesaggi renani diventano una tappa imprescindibile per i viaggiatori romantici. Tra questi c’è lo scrittore francese Victor Hugo, il quale nel 1842 pubblica Le Rhin. Esso nasce inizialmente come un pamphlet sulla questione renana, che vada ad inserirsi nella disputa alla quale presero parte, tra gli altri, Alfred de Musset, Alphonse de Lamartine ed Edgar Quinet per i francesi e Max Schneckenburger e Nikolaus Becker per i tedeschi e che trova un’eco persino ne L’éducation sentimentale di Flaubert. Per dare credibilità alle proprie posizioni politiche, ovvero l’auspicio che Francia e Germania collaborino insieme ad arginare l’Inghilterra e la Russia, Victor Hugo tira fuori dal cassetto le lettere redatte in occasione di alcuni viaggi sul Reno compiuti tra il 1838 e il 1839. Alla fine il libello politico progettato in origine diventa una semplice conclusione (che nelle edizioni moderne di Le Rhin spesso non è neanche riportata) apposta ad un testo che è un journal intime più che che un journal de voyage. Victor Hugo è il protagonista indiscusso di queste 39 lettere, o meglio, lo è il suo paesaggio interiore. Per Albert Béguin4, Victor Hugo “non faceva differenza fra l’immensità dei cieli e il mondo della sua vita interiore”. Il paesaggio si trova ad essere qui svincolato dalla propria storicità [cfr. Michel Le Bris5] e si fa cassa di risonanza delle rêverie dell’autore. Le lettere IX (redatta ad Aquisgrana), X (a Colonia), XVI (a St. Goar), XVIII (a Bacharach), XX (a Bingen), XXV (a Magonza) e XXVIII (a Heidelberg) condividono la stessa impostazione: nel finale della lettera, l’autore si trova, al tramonto o in piena notte, in una posizione elevata e si abbandona a delle envolées liriche. Nel primo di questi passi si parla esplicitamente di una trasfigurazione operata dallo sguardo dell’autore, che avvolge ciò che lo circonda come una nebbia leggera (è frequente l’uso di parole quali fumée o vapeurs), che verrà plasticamente rappresentata anni dopo in alcuni acquerelli dello stesso Hugo, che hanno come soggetto delle vedute renane. Tra i viaggiatori eccellenti che hanno solcato i territori renani alla fine degli anni ’30 dell’800 c’è un altro importante scrittore francese: Alexandre Dumas. Dalla sua cronaca di viaggio viene fuori il ritratto di un turista rapido e spesso volutamente impreciso: non si informa su come vadano scritte certe parole in tedesco perché le 4 5 Albert Béguin, L’anima romantica e il sogno, Il Saggiatore, Milano, 2003, p. 506. Victor Hugo, Le Rhin, préface de Michel Le Bris, Christian Pivot Editeur, Saint-Cyr-sur-Loire, 1996, p. 20. 2 trova troppo complicate o comunque non sufficientemente importanti, si rifiuta di soffermarsi sulle descrizioni dei monumenti e così via. Afferma, in apertura, di non voler accettare l’aiuto di alcuna guida in modo tale da avere l’impressione che ogni attrazione notevole sia una sua scoperta, se non addirittura una sua creazione, la quale scomparirà una volta che egli stesso sarà passato oltre. La cifra di Les bords du Rhin è in effetti la creatività, l’estro dumasiano. Secondo il romanziere francese “il est impossible de ne pas conter quelque chronique bien étrange quand on parle de l’Allemagne” ed egli non si tira certo indietro di fronte all’occasione di poter ancorare dei racconti quantomai inverosimili e fantastici a dei dati reali: una rovina, un ponte, una chiesa, tutto può fornire da spunto per la creazione continua di fiabe e leggende, quasi sempre mera invenzione dell’autore. Avviene qui, in maniera più scoperta, ciò che si era già verificato con la Lore Lay di Brentano, personaggio che infatti Dumas riprende nella sua cronaca, dandone per scontata l’origine tradizionale e facendone una creatura dai tratti romanzeschi. A Francoforte, Dumas viene raggiunto dall’amico Gérard de Nerval, traduttore del Faust e fondamentale figura di raccordo tra la cultura francese e quella tedesca. Appassionato lettore del De l’Allemagne, egli si qualifica, in una delle sezioni dell’opera che narra di quella stessa escursione sulle sponde del Reno, come un “viaggiatore entusiasta”. Alla definizione del concetto di “entusiasmo” è dedicata proprio l’ultima sezione del De l’Allemagne. Questo elevato sentimento del bello, che vira verso il sogno e l’astrazione, è tra l’altro, per Mme de Staël, la condizione necessaria perché si possa godere appieno di un viaggio. Nerval si reca in Germania portando nel suo bagaglio culturale l’immagine di una terra in cui a farla da padroni sono i sogni, l’immaginazione, la creatività, la filosofia. Il suo editore, Jules Janin, ci informa nell’introduzione a “Lorely, souvenirs d’Allemagne” che per Nerval la Germania “a toujours été son grand rêve”. E tuttavia Nerval sa che non dovrebbe fidarsi della bella ondina Lorely, “de sa grâce trompeuse” e si insinua in lui il sospetto che tutte queste aspettative possano essere tradite: Car, à vrai dire, et c’est là l’impression dont on est saisi tout d’abord, toute cette nature a l’air artificiel. Ces arbres sont découpés, ces maisons sont peintes, ces montagnes sont de vastes toiles tendues sur châssis, le long desquelles les villageois descendent par des praticables, et l’on cherche sur le ciel de fond si quelque tache d’huile ne va pas trahir enfin la main humaine et dissiper l’illusion. On ajouterait foi, là surtout, à cette rêverie de Henri Heine, qui, étant enfant, s’imaginait que tous les soirs il y avait des domestiques qui venaient rouler les prairies comme des tapis, décrochaient le soleil, serraient les arbres dans un magasin, et qui, le lendemain matin, avant qu’on ne fût levé dans la nature, remettaient toute chose en place, brossaient les prés, époussetaient les arbres et rallumaient la lampe universelle.6 Secondo il critico Ross Chambers, la velocità con la quale si muoveva il viaggiatore Nerval sarebbe stata dettata dalla paura che, fermandosi troppo a lungo, l’illusione 6 Gérard de Nerval, Lorely, souvenirs d’Allemagne, Éditions Le Joyeux Roger, Montréal, 2011, p. 34. 3 potesse manifestarsi come tale.7 L’entusiasmo diventa allora esaltazione: della velocità, certo. Ma anche follia, così come la definirà (e la subirà) più avanti nel corso della sua vita Nerval stesso: “l’épanchement du rêve dans la vie réelle”. Non è un caso che Gérard de Nerval citi Heinrich Heine. Quest’ultimo è infatti uno degli autori tedeschi da lui tradotti (oltre che un suo caro amico). Heine decide di seguire personalmente la traduzione in francese delle proprie “rêvasseries allemandes” poiché ci tiene a non essere frainteso proprio nel paese che costituisce per lui una seconda patria. Si può immaginare quale peso assuma il confine Reno nella vita e nella poetica di uno scrittore vissuto a metà tra Germania e Francia. Nel 1844 egli scrive Deutschland, ein Wintermärchen, una sorta di resoconto di viaggio, in versi e dal tono satirico, che può facilmente essere inserito nella lunga serie dei nostoi della letteratura occidentale. Nella prefazione Heine dice di aspettarsi di essere visto come un traditore della Patria e decide pertanto di rispondere a queste accuse ribadendo il proprio legame con il Padre Reno. Egli non vorrà mai cedere il Reno ai francesi (“Freund den Franzosen, denen du den freien Rhein abtreten willst”) per la semplice ragione che il Reno gli appartiene, in quanto suo padre (“ich bin des freien Rheins noch weit freirer Sohn”). E quando il protagonista arriverà sulle sponde del Reno, questo episodio assumerà i tratti di un vero e proprio padre. Heine gli promette un riscatto letterario dai brutti versi di Nikolaus Becker, che lo hanno politisch kompromettiert, attraverso un besseres Lied. La riappropriazione di un’identità nazionale va qui dunque di pari passo col ritrovamento dell’ispirazione letteraria. La più famosa delle opere heiniane legate al Reno è di certo la Lorelei: Heine porta avanti la pretesa che si tratti di una storia appartenente alla tradizione popolare renana, ma avvolge il tutto nella vena ironica che lo contraddistingue. Costruendo il quadro romantico per eccellenza (die Luft ist kühl und es dunkelt,/ und ruhig fließt der Rhein;/ Der Gipfel des Berges funkelt,/ Im Abendsonnenschein) Heine vuole in realtà dare un esempio di quella poesia romantica costruita a tavolino mettendo insieme un fiume, una montagna, il tramonto quasi fossero ingredienti prescritti in una ricetta. L’autore spiega in Atta Troll che ciò che lo spinge ad irridere questo tipo di poesia è proprio la volontà di difenderla e preservare gli ideali romantici dall’insincerità e dal cattivo gusto di chi se ne sta impadronendo. L’autore insegna al lettore a diffidare dei paesaggi troppo scopertamente poetici anche in un altro testo ambientato sulle sponde del Reno: Der Rabbi von Bacharach. Qui sono le rovine di St. Werner ad offrire uno splendido spettacolo, ma solo a chi le osservi superficialmente passandovi davanti in un giorno d’estate: esse nascondo infatti una storia di antisemitismo. Lo stesso antisemitismo costringe il Rabbino e sua moglie Sara a fuggire da Bacharach anche se la notte serena di primavera avrebbe fatto presagire tutt’altro… ma non al lettore di Heinrich Heine, che ormai avrà imparato a diffidare. 7 Ross Chambers, Gérard de Nerval et la poétique du voyage, Corti, Paris, 1969. 4 Conclusioni L’insincerità del paesaggio, o meglio della costruzione del paesaggio è un problema fattosi sempre più attuale. Michael Jakob, in un saggio di pubblicazione piuttosto recente, parla di inautenticità: Criticare la non autenticità del paesaggio odierno implica l’esistenza di un punto di vista atto a definire un paesaggio autentico. Autentico sarà un paesaggio dato a sorpresa a un individuo e non a una collettività o attraverso una coscienza collettiva, un pezzo di natura scoperto e non riconosciuto.8 Ciò che fa perdere autenticità al paesaggio è il filtro culturale cui il soggetto (l’altro polo fondamentale per la definizione di paesaggio sempre secondo Jakob) viene sottoposto. È questo, a ben guardare, il dramma di Nerval: l’idealizzazione della Germania lo ha alienato da una realtà che pure lui sente confusamente esserci sotto quelle immagini (la traccia d’olio), ma che non vuole accettare. Certo, il discorso di Jakob si riferisce più al bombardamento cui è sottoposto l’uomo contemporaneo, eppure i germi di alcuni fenomeni come ad esempio il turismo di massa o il “paesaggio da cartolina” nascono proprio nel periodo di cui si sta trattando. Passando davanti allo scoglio della Loreley, Hugo riflette su quanto la fama dell’ondina, e lo sfruttamento che ne è derivato, abbiano nociuto al fascino del luogo: Il y a là un écho célèbre qui se repète, dit-on, sept fois tout ce qu’on lui dit ou tout ce qu’on lui chante. Si je ne craignais pas d’avoir l’air d’un homme qui cherche à nuire à la réputation des échos, j’avouerais que, pour moi, l’écho n’a jamais été au delà de cinq répétitions. […] Il est probable que l’oréade de Lurley, jadis courtisée par tant de princes et de comtes mythologiques, commence à s’enrouer et à s’ennuyer. Cette pauvre nymphe n’a plus aujourd’hui qu’un seul adorateur, lequel s’est creusée vis-à-vis d’elle sur l’autre bord du Rhin, deux petites chambres dans les rochers, et passe sa journée à lui jouer du cor de chasse et à lui tirer des coups de fusil. Cet homme, qui fait travailler l’écho et qui en vit, est un vieux et brave hussard français. […] Du reste, pour un promeneur qui ne s’y attend pas, l’effet de l’écho de Lureley est extraordinaire.9 Anche il turista di massa Dumas, lontano da disapprovare questo atteggiamento, descrive magistralmente l’affollarsi sul ponte di tutti i viaggiatori, anche quelli più pigri e distratti, al momento del passaggio davanti alla Lorelei: persino il turista più disinteressato vuole poter dire di aver visto ciò di cui tutti parlano. E questo accadeva solo pochi decenni dopo la creazione di questo “falso mito” da parte di Brentano. Questo viaggio lungo il Reno romantico permette inoltre di azzardare una risposta ad una questione tanto dibattuta: il Reno è francese o tedesco? Per molti intellettuali francesi il Reno è prima di tutto una questione politica, quindi collettiva; per Dumas è uno spunto per la scrittura, per una cronaca da condividere con un pubblico; per lo stesso Nerval, il cui enjeu è sicuramente più personale, il Reno è quasi assimilabile ad una favolosa terra d’Oriente. Da quanto emerge dunque 8 9 Michael Jakob, Il Paesaggio, Il Mulino, Bologna, 2009, p. 12. Victor Hugo, Le Rhin, lettres à un ami, Françsoi Bourin Editeur, Paris, 2011, pp. 193-194. 5 dall’atteggiamento di Victor Hugo e Alexandre Dumas, ma anche di Mme de Staël e Nerval, i francesi si accostano al Reno come se si trattasse di un luogo-altro-da-sé, funzionale certo a definire se stessi, per esempio come patria della socialità, ma sempre in contrapposizione alla Germania, terra di individui che dialogano in solitaria con le proprie idee. I tedeschi invece specchiandosi nel Reno vi scorgono se stessi e cercano la propria origine, la propria identità nazionale. I problemi politici e letterari del padre Reno sono gli stessi da cui si sente attanagliato Heine. E Brentano vede nel Reno tutto: un Dio/padre, il solo capace di portare una rigenerazione: “Am Rheine fahr ich hin und her und such den Frühling”. Insomma, bisognerà dare ragione a Nerval, quando afferma che sulla Germania Mme de Staël ha già detto tutto, e assegnare definitivamente al Reno il ruolo di “génie tutelaire de l’Allemagne”. 6
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