N° 1 - APRILE 2014 – DIFFUSIONE GRATUITA OUTDOOR TRIBÙ COORDINAZIONE PROGETTO Anno I - N° 1 SPECIALE TOUR DU RUTOR DIFFUSIONE GRATUITA Pubblicato nel mese di aprile 2014 ALESSANDRO VIANI [email protected] FABIO MENINO [email protected] WWW.OUTDOORTRIBU.IT Hanno contribuito alla realizzazione di questo speciale: ADELE Milloz, BARBARA Luboz, CARLO Ceola, DAMIANO Lenzi, ENZO Brusasca, FABRIZIO Scalvinoni, GIANCARLO Costa, KATIA Fori, MAURIZIO Torri, MIREIA Mirò, NICO Cantoni, NICOLA Alfieri, ORIOL Cardona Coll, RICCARDO Selvatico, STEFANO Jeantet, SOPHIE Mollard In questa foto: la salita ghiacciaio dello Chateu Blanc vista dall’abitato di Planaval © R&C archivio Montura 3.102 m 2.963 m 2.629 m 2.335 m 2.297 m 1.819 m 1.805 m 1.654 m Feleumaz 1.654 m Mont Arp-‐Vieille Ca1n Benevy Valgrisenche Becca dei QuaFro Den1 Senior e Master maschile 1. Damiano Lenzi-‐MaFeo Eydallin (ITA) 7h28.32 2. Matheo Jacquemod-‐William Bon Mardion (FRA) 7h38.04 3. Xavier Gachet-‐Valen1n Favre (FRA) 7h38.18 4. Manfred Reichegger-‐Lorenzo Holzknecht (ITA) 7h41.01 5. Davide Galizzi-‐Tadei Pivk (ITA) 7h53.11 6. Pierre-‐Francois Gachet-‐Adrien Piccot (FRA) 7h56.55 7. Filippo Beccari-‐Nejc Kuhar (ITA-‐SLO) 7h59.30 8. Nadir Maguet-‐Filippo Barazzuol (ITA) 8h02.58 9. Werner Mar1-‐Leo Viret (SUI-‐FRA) 8h21.33 10. Francoi Cazzanelli-‐Stefano Stradelli (ITA) 8h33.31 Senior e Master femminile 1. Lae11a Roux-‐Maude Mathys (FRA-‐SUI) 9h17.27 2. Francesca Mar1nella-‐Laura Besseghini (ITA) 10h06.28 3. Jennifer Fiechter – Axelle Mollaret (SUI-‐FRA) 10h12.34 4. Mireia Mirò Varela-‐Marta Riba (ESP) 10h 29.33 5. Marion Maneglia-‐Melanie Bernier (FRA-‐CAN) 11h07.46 Grand Coussa Valgrisenche 0 km 0 m D+ 0 cambi assetto Bonne 14 km 1.989 m D+ 8 cambi assetto Senior e Master 610 Tot. Partiti Tot. Arrivati 550 Tot. Ritirati 50 M. Partiti M. Ritirati 560 46 50 F. Partite F. Ritirate 4 3.422 m 3.485 m VALLE D’AOSTA 3.320 m 2.868 m 2.850 m ITALIA 1.654 m 1.554 m Chateau Blanc Tete du Rutor 1.554 m Punta Flambeau Ghiacciaio del Chateau Blanc Rifugio degli angeli Valgrisenche Planaval 33 km 4.628 m D+ 20 cambi assetto Planaval 51,5 km 6.562 m D+ 29 cambi assetto Cadetti maschile Cadetti e Junior 1. Enrico Loss-‐Gabriele Leonardi (ITA) 4h44.18 2. Micola Bertocchi-‐Daniel Carobbio (ITA) 5h01.11 3. Michele Cazzanelli-‐MaFeo GoFardelli (ITA) 5h08.35 4. Davide Gusmeroli-‐MaFeo Corazza (ITA) 5h13.07 5. Jerome Perruquet-‐Jean Luc Perron (ITA) 5h29.34 Tot. Partiti Junior Maschile 1. Federico Nicolini-‐Oriol Cardona (ITA-‐ESP) 4h35.08 2. William Perrier-‐Samuel Equi (FRA) 4h50.20 3. Simon Bellabouvier-‐Paul Chavanes (FRA) 4h67.28 4. Erik PeFavino-‐David Frena (ITA) 5h10.21 5. Enrico Cognen-‐Giovanni Gelmi (ITA) 5h10.21 Junior femminile 1. Sophie Mollard-‐Adele Milloz (FRA) 5h42.22 2. Giorgia Dalla Zanna-‐Joelle Vicari (ITA) 6h05.52 3. Natalia Mastrota-‐Laura Balet (ITA-‐ESP) 6h34.01 22 20 Tot. Arrivati 2 Tot. Ritirati M. Partiti 19 2 M. Ritirati 3 F. Partite F. Ritirate 0 © Stefano Jeantet Nulla di nuovo bolle in pentola… TRASVERSALITA’ | La prima uscita ufficiale di Outdoor Tribù, quella sulle nevi della Valgrisenche, ha dato il via al primo degli speciali sul mondo outdoor. Un progetto “trasversale” che raccoglie quanto di bello abbiamo ammirato di Fabio Menino A dire il vero, erano almeno tre mesi che ci stavamo pensando. Più di una volta abbiamo ragionato su quale fosse il modo migliore per cercare di creare qualcosa di nuovo, qualcosa che potesse raccontare al meglio la magia che circonda lo sport fatto all’aria aperta, qualcosa che descrivesse al meglio il nostro entusiasmo. Alla vigilia del Tour du Rutor, però, non avevamo ancora le idee molto chiare. Nonostante questo piccolo particolare, abbiamo deciso di andarci, speranzosi che qualcosa di buono sarebbe accaduto. E infatti, in modo del tutto istintivo, dopo la tre giorni valdostana abbiamo capito che di nuovo da inventare c’era ben poco; avevamo già a nostra disposizione quanto ci serviva e, oltretutto, lo avevamo senza dover fare grossi sforzi creativi. Abbiamo immaginato che il più bel lavoro che avessimo potuto fare sarebbe stato quello di riportare fedelmente quanto avevamo visto, sentito e provato sul campo. In tre giorni, abbiamo ammirato e assaporato splendidi contesti naturali, atleti a dir poco eroici, tradizioni locali ancora vive, spettatori appassionati e organizzatori professionali. Oltretutto, dal lato di chi cerca di fare informazione, non siamo stati gli unici ad aver vissuto tutto questo. Essendo il Tour du Rutor una delle gare più prestigiose nel contesto internazionale dello sci alpinismo, come noi, infatti, c’erano altri interlocutori intenti a raccontare o mostrare i principali accadimenti. Senza pensarci su troppo, forse fuori dagli schemi abituali, abbiamo cercato di dare trasversalità al nostro progetto e abbiamo chiesto anche a loro di raccontarci qualcosa. Ecco allora che oltre alle preziose testimonianze di chi ha vissuto il Rutor da concorrente, abbiamo riportato anche quelle dei tanti amici che erano presenti svolgendo il loro lavoro; fo- tografi, giornalisti e addetti stampa, ovvero preziosi componenti di quella che per noi è realmente una tribù. Ed è per questo motivo che ci teniamo a ringraziarli pubblicamente. Sono Carlo Ceola, Giancarlo Costa, Maurizio Torri e Riccardo Selvatico. Abbiamo voluto raccontare una storia fatta di competizione, e di atleti ma anche di persone, ambienti, paesaggi e tradizioni di un’intera valle. Questo per noi è stato il Tour du Rutor, ovvero un microcosmo fatto di particolari da custodire gelosamente tra i ricordi, una delle più evidenti dimostrazioni che i grandi appuntamenti outdoor sono tali se vivono in simbiosi con il loro territorio. Il merito di tutto questo è di chi, nell’ormai lontano 1995, ha ideato e costruito questo grande evento e l’ha saputo far crescere in XVII edizioni; è lo Sci Club Corrado Gex di Arvier, vera e propria fucina di giovani talenti dello sci alpinismo, il cui mentore porta il nome di Marco Camandona. E non sono elogi scritti tanto per riempire la prima pagina di questo speciale. Se oggi il Tour du Rutor è riconosciuto per la sua unicità è perché rispecchia in pieno l’anima e la mentalità dei suoi organizzatori, gente di montagna che rispetta la montagna e si appassiona per essa. Gente che va subito al sodo delle questioni senza cercare inutili fronzoli. Avremmo voluto farci raccontare qualcosa della sua creatura dallo stesso Marco Camandona ma, essendo per l’appunto un uomo di montagna, finita la competizione, si è riposato giusto un giorno per poi partire alla volta di un’altra grande avventura in Nepal, per una spedizione che punta a conquistare la cima del Kanchenjunga (8.598 m), la terza vetta più alta al mondo. Con lui, tra gli altri, c’è il valdostano François Cazzanelli, anche lui reduce dalle fatiche del Tour du Rutor ma non come organizzatore bensì come concorrente. Anche questo è il Rutor. © R&C archivio Montura © Fabio Menino Iniziamo dai giovani FUTURO SICURO | In gara c’erano anche i giovani delle categorie Cadetti e Juniores. Per loro, tre tappe come per i grandi ma con percorsi ridotti. Ci hanno conquistato per carattere, livello agonistico e per la spregiudicatezza in discesa di Fabio Menino Alcune premesse sono d’obbligo; è giusto precisare di chi stiamo parlando, di cosa e di come lo hanno fatto. Le categorie giovanili presenti al Tour du Rutor erano gli Juniores e i Cadetti. La prima comprende i ragazzi dai 18 ai 20 anni, la seconda quelli dai 15 ai 17 anni. Anche loro, come gli adulti, vista la peculiarità del percorso con passaggi impegnativi, hanno gareggiato in coppia. Alla partenza del primo giorno, erano schierate 22 squadre giovanili per un totale di 44 atleti. Di queste, sono una non è riuscita a portare a termine la prova. Sul cos’hanno fatto, possiamo dire fin da subito che questo merita la massima considerazione. Se è vero che il loro percorso è stato ridotto rispetto agli adulti, quello che è rimasto basterebbe da solo a lasciare perplesso un normale appassionato sci alpinista del fine settimana. In tre giorni, infatti, i Cadetti hanno macinato 3.300 metri di dislivello positivo, gli Juniores ben 5.000. Per i tempi finali, 4h44’ per i primi Cadetti e 4h35’ per i primi Juniores. E’ pur vero che in gara non c’erano delle ragazze tra i Cadetti ma solo 6 tra gli Juniores ed è altrettanto vero che siamo ancora lontani dai 166 giovani che hanno partecipato una settimana prima alla Pierra Menta, in Francia, ma è altrettanto vero che quanto si è visto in Valgrisanche è qualcosa di estremamente importante per il futuro dello sci alpinismo. Sul come l’hanno fatto, mi piace raccontare due episodi vissuti in prima persona. Il primo si riferisce alla seconda giornata di gara. Stavo scendendo dalla Grand Coussa, la prima salita del percorso. Poco prima di arrivare nel paesino di Bonne, mi sono fermato a un tornante della poderale. In prossimità della curva, ho visto posizionate al suo interno alcune bandierine se- gnaletiche con la scritta Tour du Rutor e ho pensato bene di sdraiarmi per scattare alcune fotografie al passaggio degli atleti. Detto sinceramente, ero consapevole di essere in mezzo al percorso ma ero comunque all’interno della traiettoria e confidavo che i ragazzi non avrebbero stretto la curva. Penso che si sia trattato di una squadra di Juniores ma non ne sono sicuro, del resto i fisici di questi giovani atleti giocano brutti scherzi. Sta di fatto che il secondo ragazzo, non solo mi ha sfiorato con gli sci e toccato con un bastone ma nei metri successivi ha inveito ripetutamente nei miei confronti in modo deciso. Anche se sul momento anch’io ho replicato qualcosa, devo confessare che quanto accaduto mi è poi rimasto impresso. Ho letto in quello sfogo tanta grinta e determinazione, una sana cattiveria agonistica che, se esternata da un un giovane atleta, per me è ancora più affascinante. Il secondo episodio, invece, si riferisce alla prima giornata di gara. Ero alla base del Feleumaz, poco sotto il punto in cui gli adulti calzavano i ramponi e i giovani scendevano verso l’arrivo. Mi ero spostato vicino a Carlo per fotografare i primi in discesa. La più logica delle conseguenze della caduta che vidi, furono proprio le parole di Carlo: “non poteva che finire così”. In effetti, avevamo visto un giovane scendere a tutta velocità, incurante della pendenza, delle gobbe e della neve fresca. Dopo svariate capriole, come se nulla fosse accaduto, si e rimesso gli sci, si è risistemato la maschera ed è ripartito ancora più determinato di prima. Oltre le enormi doti fisiche che si esternano in un passo deciso in salita, penso che quanto ho visto in discesa al Rutor, esprima al meglio la spensieratezza di questi ragazzi. Ecco perché in questo progetto siamo partiti da quello che solitamente è la conclusione. Lo abbiamo fatto perché i giovani ci hanno fatto sognare, esattamente come loro sognano di di- Marco Camandona con due dei suoi ragazzi all’arrivo di Planaval ventare come Lenzi o Eyadallin. Li abbiamo ammirati per tre giorni e dobbiamo confessare che li abbiamo anche invidiati e non poco. Una giusta invidia dovuta al fatto di non poter tornare indietro nel tempo, alla loro età, e di fare esattamente quello che fanno loro. Così giovani, stanno praticando uno sport tanto duro quanto ricco di insegnamenti. Stanno facendo esperienze, alcuni di loro anche a livello internazionale e, cosa più importante, una volta adulti, si scopriranno amanti e conoscitori della montagna ancora più di quanto non lo siano già adesso. Lo sci alpinismo, come del resto tutti gli sport, ha bisogno della tribù dei giovani e non solo per lo spettacolo che sanno offrire. Ha bisogno di respirare il loro entusiasmo e di gioire con loro, ha bisogno di avere la consapevolezza che il futuro è in buone mani. E dopo averli visti in azione, oggi più che mai, siamo sicuri che tra qualche anno, qualcuno di questi 44 ragazzi comparirà nelle zone alte della classifica del Tour du Rutor degli adulti. Anzi, siamo altrettanto sicuri che qualcuno di loro lo vincerà anche. Ed è per questo motivo che abbiamo voluto citarli tutti, dal primo all’ultimo, perché mai co- © Fabio Menino me in questo caso, per noi, la classifica ha un aspetto marginale: CADETTI MASCHILE Enrico Loss, Gabriele Leonardi, Nicola Bertocchi, Daniel Garobbio, Michele Cazzanelli, Matteo Gottardelli, Davide Gusmeroli, Matteo Corazza, Jerome Perruquet, Jean Luc Perron, Loic Brouet, Robin Gaydon, Erwin Ronzon, Daniele Soppelsa JUNIORES FEMMINILE Sophie Mollard, Adèle Milloz, Giorgia Dalla Zanna, Joele Hélène Vicari, Natalia Mastrota, Laura Balet Caixach JUNIORES MASCHILE Federico Nicolini, Oriol Cardona Coll, William Perrier, Samuel Equy, Simon Bellabouvier, Paul Chavanes, Erik Pettavino, David Frena, Enrico Cognein, Giovanni Gelmi, Corentin Cerutti, Jonathan Battuz, Maurizio Bugna, Marco Donina, Mathias Trento, Andrea Dellavalle, Roger Bovard, Jordi Favre, Jean Marc Perrier, Mathieu Podio, André Aymonod, Simone Tarchini, Henri Aymonod, Michele Carrelli ADELE MILLOZ CLASSE 1996| Adele frequenta il liceo Roger Frison Roche a Chamonix e ha fatto il suo esordio nello sci alpinismo nel 2011. Al suo primo anno negli Juniores, con la compagna Sophie Mollard, tra le altre, quest’anno ha vinto la Pierra Menta e il Tour du Rutor due prestigiose gare della Grande Course. “Per me il Tour du Ruitor è una gran bella gara, organizzata molto bene e con una grande atmosfera! Il percorso è a dir poco spettacolare, in particolare quello del secondo giorno di gara con una portata assolutamente "vertiginosa". Quest'anno, per me il Rutor è stato pieno di emozioni positive. E’ stato un grande fine settimana vissuto con una grande compagna di squadra”. (Adele Milloz) ORIOL CARDONA COLL CLASSE 1994 | Dopo la vittoria alla Pierra Menta della settimana precedente in coppia con Rémi Bonnet, per Oriol è arrivato il secondo successo nella Grande Course. Ha vinto il Rutor con l’italiano Federico Nicolini, amico e avversario di molte sfide e che lo precede al primo posto nella classifica generale di Coppa del Mondo Juniores. “Finire la stagione vincendo il Tour du Rutor e stata una cosa fantastica. Mi sono divertito molto con Federico e penso che per entrambi e stato qualcosa che non si può spiegare. Vincerla insieme, dopo un’intera stagione lottando come rivali nella coppa del mondo, è stato qualcosa di fantastico.”. (Oriol Cardona Coll) © Fabio Menino © Fabio Menino SOPHIE MOLLARD CLASSE 1995 | Sophie frequenta il liceo Roger Frison Roche a Chamonix. Con la compagna Adele quest’anno ha vinto la Pierra Menta e il Tour du Rutor. In Coppa del Mondo, è terza nella classifica generale, in quella individuale e nella disciplina vertical. “Il Rutor sono stai tre giorni di follia con Adele, la mia compagna di squadra. Tre giorni di divertimento sciando in un ambiente meraviglioso e con un tempo splendido. I percorsi sono stati superlativi, soprattutto il sabato e la domenica, che erano più a lunghe e più tecniche rispetto al venerdì. Aspettavamo questa gara da due anni e non siamo rimaste deluse. Inoltra, alla prossima edizione del Tour del Rutor. (Sophie Mollard) Erik Pettavino e David Frena in azione (4° Juniores) © Fabio Menino © Fabio Menino Enrico Loss in azione sulla salita del secondo giorno (1° Cadetti) © Fabio Menino Saver One Everywhere for life L’arresto cardiaco improvviso L’arresto cardiaco può colpire chiunque, senza preavviso senza tener conto di età, sesso o preparazione sportiva. Ogni anno un numero elevato di persone vengono colpite dalla cosiddetta morte cardiaca improvvisa. In Italia si registrano oltre 60.000 casi all’anno, più di 150 ogni giorno. Spesso i mezzi di soccorso, per varie motivazioni, non possono arrivare in tempo per soccorrere una persona colpita da arresto cardiaco. In questo caso l’utilizzo di un defibrillatore è l’unico trattamento efficace ed in grado di salvare la vita al paziente. Cosa dice la Legge La recente Legge Balduzzi (D.L. 13 Settembre 2012, n.157, convertito in Legge 8 Novembre 2012, n.189) , obbliga le Società Sportive a dotarsi di un defibrillatore; la sensibilizzazione sulla necessità di intervenire tempestivamente nei casi di arresto cardiaco ha già prodotto numerose proposte per estendere l’obbligatorietà di possedere un DAE anche ad altre realtà (parchi cittadini, uffici pubblici, supermercati, teatri, ecc…) In paesi dove la cultura della defibrillazione precoce è già affermata le percentuali di sopravvivenza ad un arresto cardiaco sono stupefacenti. La catena della sopravvivenza Distribuito da : RIVOGAS MEDICAL S.r.l. Gas Medicinali ed Attrezzature Sanitarie Via dell’Industria, 4 – 15048 Valenza (AL) Tel. 0131.940835 Fax 0131.947827 PRIMA TAPPA © Fabio Menino Manfred Reichegger in testa alla corsa sulla prima salita della prima tappa Quando il freddo alle mani sparì all’improvviso DIMENSIONE PARALLELA | Possono esistere tanti modi per seguire una gara ma quando si cerca di salire in alto, nel regno degli atleti, spesso capitano cose inaspettate di Fabio Menino A mia discolpa confesso che presto sempre la massima attenzione cercando di concentrarmi. Anche questa mattina, di buon ora, una volta pagato il pedaggio al casello di Aosta, mi sono ripetuto più di una volta che sarei dovuto uscire ad Aosta Ovest. Come non detto, ho perso l’uscita e mi tocca entrare nelle gallerie fino a Morgex. Come magra consolazione, ma molto appagante, la vista del Monte Bianco riesce a farmi tornare immediatamente il buon umore. A dirla tutta, una volta arrivato a Valgrisenche, mi sono anche ripetuto di prestare attenzione ad imboccare nel punto giusto l’ultima discesa di gara, quella che porta ai 2.600 metri della Becca dei Quattro Denti, dalla cui cima ho deciso di immortalare i passaggi degli atleti. E pensare che quella discesa l’avevo già fatta in gara nel 2012. Come non detto, anche questa volta mi sono distratto e mi ritrovo altrove, sulla prima salita di gara. Sinceramente non so dove sto andando ma sono rincuorato dal fatto che lungo il percorso ci sono molti appassionati che, come me, stanno salendo. Quando poi mi supera Gloriana Pellissier, mi convinco che qualcosa di bello da vedere ci sarà anche su questa parte iniziale di gara. Si, ammetto che all’inizio è stato abbastanza frustante; io stavo cercando di fare del mio meglio e lei mi ha passato in tutta disinvoltura mentre parlava allegramente con un’altra persona. Ma si, dai, da una che di edizioni del Rutor ne ha vinte otto, ci può stare. Finito il lungo traverso che riporta in direzione dell’alta valle, la traccia incomincia a salire più ripida, arrivano le prime conversioni e, inevitabilmente, i miei primi problemi. Finalmente, in un tornante, incontro Maurizio e Carlo e mi realizzo che anche questa volta mi è andata bene. Se loro si sono fermati qui, vuol dire che è un buon punto d’osservazione. Il problema è che siamo all’ombra, la temperatura è discretamente bassa e i miei guanti sono umidi di sudore; ben presto mi accorgo che il freddo alle mani diventa sempre più insopportabile. Mi consola il fatto che non sono l’unico ad avere freddo, Carlo corricchia ripetutamente dalla sua posizione a quella dove ci troviamo io e Maurizio, nel vano tentativo di scaldarsi. Alzo lo sguardo e osservo la piazzuola dell’organizzazione, il punto esatto in cui gli atleti si toglieranno gli sci per procedere a piedi. Dal basso vediamo salire i primi atleti, sono i giovani ma il loro passo si distingue immediatamente da quello dei molti appassionati saliti anche loro quassù con gli sci. A breve distanza arrivano anche gli adulti. Il primo e Manfred Reichegger. E’ concentrato e sembra avere un buon margine sulle coppie inseguitrici. Ha la tutina aperta sul petto, quasi come se non si trovasse nella nostra stessa condizione ambientale. Finalmente arrivano anche Damiano Lenzi e Matteo Eydallin. Il primo ride a una battuta di Maurizio, il secondo sembra più affaticato. In modo avventato e da perfetto incompetente, penso che per loro sarà dura, che in questo Rutor gli peseranno molto le fatiche della scorsa settimana quando hanno vinto la quattro giorni della Pierra Menta. Riconosco anche Nadir Maguet, con le maniche tirate su, Barazzuol, Beccari e Franco Collè. Poi, per gli altri, ai loro gesti atletici tanto aggraziati quanto efficaci, non riesco ad associare un nome in particolare. Mi capita lo stesso in estate con la corsa, non riesco a non emozionarmi, penso di essere nel posto giusto nel momento giusto. Realizzo che per la terza volta di oggi, però, ho dimenticato qualcosa. Per qualche minuto è scomparso il freddo alle mani, per qualche minuto ho vissuto in una realtà parallela. Grazie ragazzi! © Fabio Menino Nejc Kuhar e Filippo Beccari in azione sulla salita del Feleumaz (7° assoluti) BARBARA LUBOZ IL RUTOR E’ TUTTO | Barbara è la moglie di Marco Camandona, l’uomo che più di ogni altro simboleggia il Tour du Rutor. Originaria di Planaval, è parte attiva nell’organizzazione della gara e della gestione dello Sci Club Corrado Gex. Compito piuttosto difficile quello di descrivere cosa rappresenta per me il Millet Tour du Rutor Extreme. Dovessi dirlo in una sola parola, direi TUTTO! Mi ricordo che nel 1994 eravamo a Rhêmes al Trofeo Rollandoz io, Marco e altri appassionati dello sci alpinismo. Era una bella giornata primaverile, eravamo seduti in un prato e chiacchierando è nata l’idea di organizzare una gara di sci alpinismo a Planaval, frazione di Arvier, alla quale entrambi siamo molto legati. Io perché originaria del posto e Marco perché sin da bambino ha passato le sue estati giocando tra i boschi di questa splendida località. E così, grazie all’aiuto della Pro Loco e dello sci club Corrado Gex, nel 1995 organizziamo il 1° Tour du Rutor. O meglio, il 1° TDR della nuova generazione, perché non dobbiamo dimenticare che già nel 1933 era stata disputata un’ edizione sul versante di La Thuile vinta dalla squadra Minatori Fascisti composta da Alberto Chenoz, Francesco Chenoz e Bartolomeo Carrel. Credo che quello che contraddistingue il TDR dalle altre gare di sci alpinismo sia la voglia di osare. Noi in un certo senso siamo sempre stati i promotori di qualcosa… e questo “osare” negli anni ci ha premiati, già nell’edizione del 2012 avevamo avuto un buon successo ma l’edizione di quest’anno forse è stata quasi perfetta, anche grazie alla meteo più che favorevole. Sponsor, atleti, pubblico e addetti al lavoro ci hanno fatto i complimenti di persona o con e-mail molto incoraggianti, perché vi assicuro che il giorno successivo ti viene da dire “questa è l’ultima volta”. Siamo molto stanchi e il lavoro anche a riflettori spenti è ancora molto. C’è una burocrazia incredibile dietro ad un evento di questo genere ma, fortunatamente, dopo qualche giorno di riposo il pensiero è di nuovo lì a meditare su cosa fare di nuovo e di diverso nell’edizione successiva e abbiamo già delle idee per il 2016. Ho detto “quasi perfetta” perché siamo ben consapevoli che si può e soprattutto si deve sempre cercare di migliorare; ci sono piccole pecche, che magari atleti e spettatori non hanno notato, ma che noi dell’organizzazione abbiamo visto e a me © Fabio Menino personalmente danno un fastidio incredibile. La nostra mania, quasi maniacale, di perfezione e di cura dei particolari, siamo consapevoli che a volte sia esagerata, ma anche questo è una particolarità del TDR. Inoltre, noi non vogliamo essere un evento semplicemente agonisticosportivo ma vogliamo essere e dare qualcosa di più. Crediamo nella promozione del territorio, della tradizione, della cultura montana e dei nostri prodotti tipici. Infatti, organizziamo parecchi eventi collaterali, che sono molto impegnativi, ma che ci danno tanta soddisfazione e sono certa che gran parte della gente che soggiorna ad Arvier, Valgrisenche o nei comuni limitrofi si porta a casa un bel ricordo non solo legato all’evento sportivo in se. Colgo l’occasione per ringraziare gli atleti (senza di loro non ci sarebbe il TDR), gli spettatori (quest’anno numerosi), gli sponsor pubblici e privati ma soprattutto TUTTI i volontari (oltre 200), perché tutte queste figure sono importantissime e necessarie per il successo di una manifestazione come la nostra. Concludo semplicemente scrivendo che posso definire il TDR “all’avanguardia” forse perché in parte rispecchia ideali, personalità e passione di Marco che scherzando si definisce appunto un uomo all’avanguardia! © Fabio Menino CARLO CEOLA CONTEMPLAZIONE A FIL DI CIELO | Carlo è un professionista della comunicazione in ambito sportivo. Con l’amico Riccardo ha seguito il Tour di Rutor per Montura. Loro hanno firmato le gallery fotografiche tra le più apprezzate dagli utenti. “L’elicottero mi ha scaricato al Colle dello Chateau Blanc con la prima rotazione, c’erano ancore le ombre lunghe del mattino disegnate sulla neve, tranne una: quella grossa e inconfondibile di Stefano Mottini. Lui era sul ghiacciaio dall’alba a dirigere le operazioni, come sempre una direzione impeccabile la sua, “tutto sotto controllo”. Dopo aver ricevuto il suo benestare sulla posi- zione in cui mi sarei appostato per fotografare, mi sono addentrato con gli sci ai piedi nel ghiacciaio. Obiettivo la cresta aerea di Punta Flambeau che ho raggiunto dopo un tratto a piedi lungo la parete attrezzata con le corde. Incedere lento il mio, la doppietta Pierra-Rutor in 10 giorni si fa sentire. Trasporto macchine fotografiche, obiettivi, un cavalletto, go pro e lo zaino affardellato da scialpinista. Mi trovo da solo a percorrere la cresta, e vorrei non finisse mai tanto è bella. Il mio incedere è distratto dal quel 360° di montagne che mi attorniano. Devo porre attenzione a dove metto i piedi, ma il richiamo del Bianco, del Grand Combin, la Grivola, l’Emilius, il Gran Paradiso e di altre decine di vette attorno a me hanno il sopravvento. E così mi fermo a contemplarle, in una giornata tiepida, velata da una luce che rende il panorama ancor più magico. Sono rimasto inebetito su quella cresta per parecchio tempo, ritto immobile a girare su me stesso, svegliato di soprassalto dal rombo dell’elicottero che rotava poco sopra di me. Gli ufo in tutina erano in arrivo, esco dalla traccia quel tanto che basta e via di scatti a raffica. Mi sposto lungo cresta, cerco la luce migliore, adesso arrivano a flotte, sono in tantissimi. Tanti amici, tanti sorrisi, quella cresta che fino a pochi minuti prima mi ospitava solitario in religioso silenzio, ora è percorsa in tutta la sua lunghezza da un serpentone colorato interminabile. Trovo un varco tra una squadra e l'altra, mi infilo e continuo a scattare in mezzo a loro. Sono pervaso da euforia contagiosa, condivido per un attimo le loro emozioni, mi assicuro alla stessa corda e mi lascio trasportare. Veloci infilano gli sci e spariscono nel ghiacciaio. Tutto in un attimo torna come prima. La profonda traccia in cresta delimita l'orizzonte, il silenzio torna sovrano. Un ultimo sguardo, ripongo la macchina fotografica e chiudo la porta. (Carlo Ceola) © R&C archivio Montura Photo© Fabio Menino © Fabio Menino Filippo Barazzuol precede il compagno di squadra Nadir Maguet Filippo Beccari, quest’anno Photo© Fabio Menino anche per lui l’accoppiata © Fabio Menino Nadir Maguet, giovane talento valdostano dello Sci Club Corrado Gex Pierra Mente-Rutor. Fabio Menino Menino Photo©©Fabio DAMIANO II LENCE LENZI ROMANTICISMO | Damiano Lenzi ha vinto il Tour du Rutor 2014 con il compagno di squadra Matteo Eydallin, entrambi portacolori del Gruppo Sportivo Esercito “In vetta al Rutor, quasi a 3.500 metri di quota, abbiamo trovato tantissimo pubblico. Nonostante tutto, stanchezza e competizione, ho toccato la madonnina e poi mi sono buttato giù per la lunga e insidiosa discesa finale. Questo e stato il momento più bello e più significativo di tutta la gara, uno di quelli che fa capire quanto il nostro sport sia fato di gente romantica, che si apposta in quota alle prime ore del mattino accanto ad una madonnina bianca per vederci, per incitarci e chiaramente anche per soddisfazione personale. Questo e il Tour du Rutor”. (Damiano Lenzi) © Fabio Menino NICO CANTONI EMOZIONI CHE TI CAMBIANO | Nico svolge l’attività di cuoco nel ristorante di famiglia, La Maison, a Fornovo (PR). Ci ha raccontato il suo avvicinamento alla grande corsa valdostana, la sua prima partecipazione alla Grande Course “Il mio Tour du Rutor Extreme 2014 parte da lontano. Sono sempre stato appassionato di montagna e fin da bambino lo sci è sempre stato un mio grande amore. Anche se vivo in pianura, appena il lavoro lo permette scappo verso i monti, la mia vera casa. Ma veniamo a noi. Dopo aver fatto qualche gara di Coppa dell'Appennino l'anno scorso, quest'anno, dopo la stagione “trail” pensavo di riposare. Invece, tutto è cambiato quando un giorno in monta- gna, un pò per caso, un pò per destino, mi sono ritrovato ad allenarmi con Lucia, fortissima scialpinista e skyrunner del posto. Ricorderò sempre quelle due salite che abbiamo fatto insieme. Pensavo di morire e per ogni passo che facevo avanti ne facevo due indietro. Però, settimana dopo settimana ho continuato a macinare dislivello e “spiare” i compagni di allenamento, cercando di imparare il più possibile da loro. Ma le gare non erano nei miei pensieri. Fino al giorno in cui arriva la chiamata di Alex, presidente della nostra società di skialp, che mi spiega in poche parole che il suo compagno è infortunato e sarebbe contento di fare il Rutor con me. In pochi secondi fui catapultato nello spirito Grande Course; appena avevo due minuti, guardavo i vari video e sognavo. Fra pochi mesi sarei stato anch'io nella mischia. Poi sono arrivate le gare di preparazione: Transcavallo, Lagorai-Cima d'Asta e Sellaronda. Tutto sembrava filare liscio ma pochi giorni prima della partenza arrivò una chiamata inaspettata, destinata a cambiare il tutto. Alex ha impegni di lavoro e non può partecipare. Quando ti ritrovi a pochi giorni prima di una gara come quella del Tour du Rutor senza socio, quello che prima poteva sembrarti difficile inizia a sembrarti impossibile. Invece un'altra volta il destino mi è stato amico. Dopo giorni passati al telefono, tra mille indecisioni, all'ultimo l'organizzazione mi da un contatto di un atleta rimasto anche lui da solo. Ci sentiamo subito per telefono e già dalla voce e da una prima chiacchierata provo un bel feeling. Restiamo d'accordo che ci saremmo sentiti la mattina per la conferma. La mattina seguente squilla il telefono: bastano poche parole, si fa squadra. Non ci resta che correre. Giovedi pomeriggio arrivo ad Arvier, cerco Igor tra la folla del palazzetto dello sport e finalmente ci incontriamo di persona. Una stretta di mano, e subito a ritirare il pettorale. Poi ci spostiamo verso il briefing dove Camandona, guida alpina nonché organizzatore della gara, ci spiega la prima tappa del venerdi. A questo punto potrei iniziare a raccontare di dislivelli, tratti tecnici o discese ma preferisco parlare di emozioni anche se non è facile. Perchè quelle che lasciano queste esperienze, sono emozioni che ti cambiano, che ti restano impresse nella memoria per sempre. Momenti indimenticabili. Come il passaggio sulla testa del Rutor, durante la seconda tappa, quando finalmente si arriva ad accarezzare la statua della Madonna, forse la stessa che già durante la mattinata mi era apparsa più volte. Ma come continuava a ripetermi Igor: “mai mulè!”. E cosi ho fatto. Pensando a chi mi stava permettendo di essere lì a vivere il mio sogno lavorando per me, agli amici in gara. Avanti passo dopo passo, senza mai fermarsi. Perchè credo che per noi, comuni mortali, la sfida più grande sia vincere con se stessi. Nei momenti di crisi, dove senti che non ce la fai più e dove tutto sembra perso ma dove, invece, tieni duro e non molli, vincendo le difficoltà che sembravano insuperabili e spostando i tuoi limiti un po' più in là, è allora lì che senti di aver fatto qualcosa di grande. E' cosi che mi sono sentito durante l'ultima indimenticabile discesa verso Planaval, quando ho capito che ormai è fatta. Igor mi aspetta, vediamo l'arrivo, ci stringiamo le mani e le alziamo al cielo. Io lo abbraccio, consapevole che senza di lui non sarei mai riuscito ad arrivare in fondo. E cosi, oltre ad aver portato a termine quest'avventura, sento che lungo il percorso del Tour du Rutor ho trovato cose ben più preziose; sono le persone che ho avuto il piacere di conoscere, persone con le mie stesse passioni, persone alla ricerca delle tue stesse emozioni. Con loro ho avuto il piacere di condividere momenti unici e spero di poterne condividere tanti altri in futuro. E poi, anche se la gara è finita, noi continuiamo a correre, perchè la vita reale chiama. Adesso non mi resta altro che salutare la Valgrisenche. Imbocco l'autostrada viaggiando veloce verso casa, guardando la luce del tramonto da dietro i finestrini e sognando già le prossime avventure. (Nico Cantoni) © Fabio Menino SECONDA TAPPA © Stefano Jeantet Cambio pelli al Grad Coussa per Francois Cazzanelli (10° assoluti) © Fabio Menino © Fabio Menino I francesi William Bon Mardion e Matheo Jacquemod (2° assoluti) © Fabio Menino © R&C archivio Montura ENZO BRUSASCA ATMOSFERA INDIMENTICABILE | Enzo è un impresario edile e lavora nell’azienda di famiglia a Cantavenna (AL). Alterna lo sci alpinismo d’inverno e il trail running d’estate. Con il Rutor ha porato a termine la sua prima gara della Grande Course “Tour du Rutor, tre giorni per tre tappe, tre giorni per 7.000 m di dislivello, tre giorni di fatiche ed imprecazioni ma anche tre giorni di gioie ed emozioni. Tra i ricordi di salite durissime, discese ripide, e temutissimi cancelli orari un ricordo su tutti: ultima tappa, il mio compagno accusa e sulla cresta mi chiede di restargli vicino. Sci sul sacco e ramponi ai piedi, faccio il passo ed ecco la sorpresa, Colle dello Chateau Blanc, un luogo fuori mano, con un bel ristoro e soprattutto con un tifo degno di questa competizione. Un’immagine, un’atmosfera e un emozione che non potrò mai dimenticare. in discesa concentrati a non farsi male, in sottofondo iniziamo a sentire la voce dell'immancabile Gadin, ecco i gonfiabili, gli amici a congratularsi, ora è veramente finita e, purtroppo, appena passata la fatica, questo un po mi rattrista ma tra due anni sarà sicuramente di nuovo Tour du Rutor”. (Enzo Brusasca) Il rumeno Ionel Suciu e il francese Jean Charles Baquet (105° assoluti) © R&C archivio Montura FABRIZIO SCALVINONI TRA SOFFERENZA E ORGOGLIO | Fabrizio è un appassionato praticante, in inverno dello sci alpinismo e in estate dello skyrruning. Quest’anno, tra le altre gare, ha portato a casa l’accoppiata Pierra Menta-Tour du Rutor “Eccomi qui, a soli 4 giorni dal Pierra Menta, ancora con grandissime emozioni vive nella mente, tanta stanchezza nelle gambe e con un nuovo amico, sono di nuovo con gli sci ai piedi pronto per entrare in griglia di partenza di una nuova grande avventura che durerà 3 giorni e ci porterà a toccare tre grandi cime sopra i 3.000 metri in Valgrisanche: il Tour du Rutor Extreme. Subito il mio corpo e la mia mente hanno idee totalmente diverse che, piano piano, si influen- zano a vicenda. La mente è tutta felice per essere alla partenza di una gara tanto sognata, sperata, voluta..... il corpo e le gambe, invece, sono ancora stanchi e mandano segni inequivocabili: "questo non è il posto giusto!!!! Sarebbe stato molto meglio un bel letto caldo o un divano comodo". In pochi minuti, provo tante idee confuse: gioia, paura e preoccupazione di ripartire per una gara a tappe essendo consapevole che il fisico si sarebbe potuto opp- porre da un momento all'altro. Ho solo il tempo per una stretta di mano e qualche raccomandazione con il mio nuovo compagno sulla nostra andatura e...... pronti via!!!!!! Le gambe si mettono in moto e sembra persino che l'opera di convincimento sia servita e si parte, testa bassa e "a tutta". Ogni tanto alzo lo sguardo per scrutare questi bellissimi paesaggi che ci circondano. Un'occhiata veloce al mio compagno e un rapido scambio di opinioni e poi avanti, si procede ancora. La prima tappa se ne va senza molti intoppi e senza accorgermene siamo già alla discesa finale in prossimità dell'arrivo. Il pubblico ci incita con campanacci, urla, applausi. Poco più avanti, scorgo i miei amici che ci hanno seguito in quest’avventura. La mia emozione è fortissima e visibile a tutti. All'arrivo, la paura del mattino lascia spazio alla felicità di avere portato a termine la prima tappa senza alcun problema e con la giusta carica per affrontare il secondo giorno con più ottimismo. Giusto il tempo per racimolare le idee e le stanche ossa ed eccoci alla mattina seguente, nuovamente pronti per questa grande sfida. La voglia di far bene è tanta e oggi decidiamo di partire un pò più avanti e come sempre.... non troppo forte..... cosa che puntualmente viene smentita. Partenza a tutta nella stradina, discesa con le pelli, attraversamento di ciò che resta della diga, risalita sul ripidissimo costolone erboso e, solo nel momento di rimettere gli sci, mi accorgo che la nostra partenza è stata esageratamente forte e le energie si sono già dimezzate nonostante siamo solo alla prima mezz'ora di gara. Con il cuore che corre all'impazzata per l'eccessiva fatica e la troppa foga della partenza salgo un pò arrancando. Le gambe danno i primi segni di dolore ma non posso mollare, non adesso!!! Tra me e me penso che non sarebbe giusto per il mio compagno e poi non posso ritirarmi, non l'ho mai fatto e non voglio farlo proprio in questa gara. Recupero il mio solito passo per permettere alle gambe di riposare un pò e mi accorgo che la cosa funziona: prima salita, discesa, seconda salita, tratto a piedi, discesa e poi inizia l'ultima salita, la più lunga e la più difficile e in quota, che mi permetterà di abbracciare la tanto attesa madonnina della testa del Rutor. E poi una domanda mi assale: ce la farò? Le gambe non collaborano sono stanche, lente e la fatica è tanta, ma una cosa mi consola: nessuno ci supera; ciò vuol dire che tutto sommato la nostra andatura non è poi così lenta e piano piano giungiamo al primo tratto di canale a piedi con i ramponi calzati. Mi guardo un pò in giro, cerco di recuperare energie e riparto sapendo che in cima al canale sicuramente troverò i miei amici ad incitarmi ed aiutarmi psicologicamente ad affrontare gli ultimi 300 m di dislivello della giornata. A metà canale, infatti, comincio già a sentirne le loro voci, gridano il mio nome e l'emozione sale. Col pensiero mi ritrovo catapultato al sabato precedente, al Pierra Menta, sull'anticima del Grand Mont in mezzo a più di 3000 persone e provo ancora quelle grandissime emozioni: pelle d'oca e lacrime a fior di pelle! Tutto questo tifo mi fa tirar fuori un pò di orgoglio e forza per aumentare leggermente il passo e arrivo alla sommità del canale volando. Ora, la convinzione di farcela aumenta. Una bevuta, due battute con gli amici, uno sguardo a un panorama mozzafiato e poi via, incontro alla tanto desiderata cima. Pochi metri e poi le gambe ritornano un pezzo di legno e non ne vogliono proprio più sapere, la fatica è tanta e allora si comincia a lasciare imprecazioni al vento tipo, “ma chi me l'ha fatto fare, questa è l'ultima volta, non ci casco più, tutta questa fatica non giustifica la passione, tu sei pazzo a fare una cosa simile, al limite venivo qui a fare il tifo ai miei amici”.... e cose simili. Senza nemmeno accorgermene, mi ritrovo sulla vetta a dare un bacio veloce alla tanto sognata madonnina, uno sguardo all'orizzonte e poi giù, più veloci possibile verso l'arrivo, verso la fine di questo calvario. Quasi all'arrivo incontro il mio amico Fabio che, probabilmente sotto l'effetto dell'alcol o di non so quale sostanza, mi incita dicendo che mi vede bene e realmente riposato, Boh!!!!!!!!! Queste sue parole mi fanno sorridere ma, nonostante io sia consapevole che ciò non corrisponda alla verità, arrivano al momento giusto e mi aiutano a racimolare quelle ultime forze sufficienti ad arrivare all'arrivo. Ed eccoci finalmente sotto allo striscione d'arrivo, ci abbracciamo e, solo allora, capisco che anche per il mio compagno di squadra non è stata una per il mio compagno di squadra non è stata una passeggiata. Lo vedo particolarmente provato e con i crampi a fior di pelle, sorrido e mi consola sapere di non essere stato l'unico a soffrire oggi. E’ stata una tappa veramente dura e allora decido di fare qualche massaggio dopo pranzo e godermi un pò di meritato riposo. Le giornate, qui ad Arvier, volano letteralmente e in men che non si dica, giunge il momento di preparare l'attrezzatura per il giorno seguente ed andare a dormire con la consapevolezza che l'indomani sarà l'ultima tappa, forse la più bella sotto l'aspetto alpinistico e ambientale ma soprattutto la consapevolezza che domani, anche strisciando, si deve assolutamente arrivare all'arrivo e tagliare il traguardo! Già di buon mattino una montagna di tutine colorate invadono Planaval e l'emozione dell'ultimo giorno è palpabile in tutti. Scruto gente tesa e immersa nei propri pensieri, già con la testa sotto il tanto agognato striscione d'arrivo. Ancora pochi minuti e si parte, nessun pensiero se non quello di farcela e portare "a casa" tutte queste grandissime emozioni, tutte le sofferenze, le paure, la felicità e tenerle chiuse strette strette nel proprio cuore. Oggi, forse per inerzia, le gambe girano bene e con la consapevolezza che il Rutor oramai "è nostro", andiamo via leggeri godendoci il bellissimo panorama, le montagne, le valli e tutto quello che la natura ci offre a questa quota. Ci siamo quasi, ancora pochi metri e siamo giunti alla cima, via le pelli il più velocemente possibile, una pacca sulla spalla al mio socio un sorriso di complicità per la consapevolezza di avercela ormai quasi fatta, un brivido di emozione e giù a tutta fino all'arrivo dove ad attenderci troviamo un folto pubblico e tutti i nostri amici a sostenere i loro beniamini. Questo Rutor mi ha dato sentimenti indescrivibili che posso solo rivivere dentro di me ma anche tanta fatica, attimi di sofferenza, paura di non farcela e una montagna di emozioni. Una gara di sci alpinismo vera per sci alpinisti veri senza mezzi termini. È giunta l'ora di tornare a casa, uno sguardo alle montagne, un veloce ricordo dei tre giorni bellissimi appena passati. Fatica? Sofferenza? Ma quando mai. Una promessa: cascasse il mondo tra due anni si torna al Tour du Rutor Extreme!!!!!!! (Fabrizio Scalvinoni) Il francese Matheo Jacquemod al termine della terza tappa © Fabio Menino © Fabio Menino GIANCARLO COSTA SPOT MAGNIFICO | Giancarlo da anni racconta lo sport outdoor sul portale Runningpassion.lastampa.it. Durante le gare, specie quelle in Piemonte, è facile incontrarlo in montagna in compagnia della sua fedele tavola “Raccontare una gara di scialpinismo come il Tour du Rutor, percorrendo in 3 giorni oltre 5000 dei 7000 metri di dislivello previsti, non è opera di masochismo giornalistico, visto che c'era l'elicottero per portare in quota fotografi e giornalisti, ma il solo modo che conosco per trasmettere le emozioni che si provano a correre, fare assistenza o vedere da semplici spettatori una contesa come una gara di scialpinismo della Grande Course. Vedere gli attacchi di Manfred Reicchegger, il procedere sicuro in tutte le occasioni dei vincitori Damiano Lenzi e Matteo Eydallin, il volto affaticato del giovane Matheo Jacquemoud letteralmente al traino del compagno per tutta la gara e i sorrisi della vincitrice francese Laetitia Roux, è solo un aspetto della gara. Poi c'è la pancia del gruppo, dove si sgomita nelle lunghe colonne nei canali da salire con i ramponi. Infine le retrovie, dove la fatica è tanta, le soddisfazioni agonistiche magari poche, ma la gioia di completare un simile percorso, che in 3 tappe fa percorrere quasi tutte le gite della Valgrisenche, non ha prezzo. La Valgrisenche a fil di cielo, come racconta la voce dello scialpinismo Silvano Gadin, la soddisfazione di Marco Camandona, molto di più di un organizzatore, che corona il suo sogno di fare del Tour du Rutor una gara che non ha niente da invidiare alla Pierra Menta, anzi forse quest'anno si può dire che gli allievi hanno superato i maestri francesi. Chi non ama le gare in montagna magari continuerà a pensarla alla stessa maniera, ma per chi ama le montagne in tutte le sue forme, anche quella dello scialpinismo agonistico, questi 3 giorni sono stati un magnifico spot, per la Valgrisenche, per la Valle d'Aosta e per i popolo dello scialpinismo. (Giancarlo Costa) © Fabio Menino © Fabio Menino KATIA FORI e NICOLA ALFIERI GIOCO DI COPPIA | Katia è direttrice di banca e Nicola esercita la professione di Avvocato. Oltre alla passione per la corsa a piedi, dove Katia eccelle tra le migliori specialiste italiane, da qualche anno si sono innamorati dello sci alpinismo “Dopo aver concluso il Trofeo Mezzalama nel 2013, il Tor des Géants nel 2010 e il Tour du Rutor nel 2012, avevamo chiuso un cerchio indimenticabile, per i posti attraversati (amiamo la Valle d’Aosta) e per le emozioni provate. Ma quando nell’inverno 2014 ci si è presentata ancora l’opportunità di partecipare alla gara scialpinistica della Valgrisenche non abbiamo saputo resistere. Così, il 27 marzo, ci siamo ritrovati ad Arvier a rincontrare gli amici co- nosciuti in tanti anni di attività. Il Rutor è una gara molto impegnativa, non solo per i dislivelli da affrontare e le parti alpinistiche mai banali ma, soprattutto, perché si svolge a coppie e prevede tre tappe. Vivere per interi giorni in completa simbiosi con il tuo compagno d’avventura, affrontando spesso difficoltà a cui non si è abituati, non è banale. La nostra fortuna è che la nostra squadra, essendo noi sposati, funziona bene ed è affiatata. In quei gi- orni il pensiero è rivolto più al compagno che a te stesso, più alla sua fatica che alla tua e oltre alla tua fatica ti fai carico anche della sua. Però, dall’altro canto, anche la gioia di superare insieme i momenti di difficoltà raddoppia, è tutto amplificato per due. Personalmente ho sofferto molto il primo giorno, non avevo le gambe e neanche la testa. Ho finito la tappa solo grazie a Nicola che mi ha supportato (e sopportato) tutta la gara. Le parti si sono invertite nel secondo giorno, quando Nicola ha avuto una bella crisi nella lunga salita che porta in vetta al Rutor. Io ho cercato Tadei Pivik alla partenza della terza tappa (5° assoluto) in tutti i modi di farmi carico materialmente e psicologicamente di tutto quanto fosse nelle mie possibilità e la sua capacità è stata quella di farsi aiutare. Finalmente, il terzo giorno, è stata l’apoteosi; sole, creste, neve e noi due che nonostante la stanchezza trovavamo anche la forza di ridere e scherzare tra di noi e con i volontari. La giornata è scivolata via veloce ed è stata fantastica. Arrivare insieme sotto il gonfiabile dell’arrivo, la dimostrazione di avercela fatta anche questa volta, è stata la felicità allo stato puro. Quindi, grazie Rutor, arrivederci al 2016. (Katia Fori) © Fabio Menino Damiano Lenzi e Matteo Eydallin nell’ultima discesa della seconda tappa L’austriaco Jacob Herrmann e il tedesco Philipp Reiter (11° assoluti) © Fabio Menino © Fabio Menino Photo© Fabio Menino © Fabio Menino MAURIZIO TORRI PASSIONE PER L’EXTREME | Maurizio è l’ideatore e il gestore del portale Sportdimontagna.com, un riferimento per tutti gli appassionati. Da questa stagione, ha anche creato il primo TG televisivo sugli sport outdoor. “Difficile dire quale sia stato il momento più significativo del mio primo Tour du Rutor da dietro le quinte. Sarà perché la gara della “Valgrisa” è da sempre la mia preferita, sarà per l’amicizia che mi lega allo staff dello Sci Club Corrado Gex, sarà per i tracciati mozzafiato, sarà per la grande passione della sua gente che è riuscita a fare crescere e migliorare l’evento edizione dopo edizione…. ma mi trovo davvero in difficoltà nel rispondere a questa domanda. Non so, forse è troppo facile sciorinare un aneddoto sulla gara, o sulle performance degli atleti. Pensandoci bene, una delle cose che più mi ha colpito è stata la degustazione del sabato sera. Molte volte ho sentito parlare dell’importanza di legare un evento al territorio. Molte volte ho sentito politici locali riempirsi la bocca con concetti quali "sport come volano per la promozione turistica delle aree alpine”…. Ne ho sentito parlare appunto, ma ben poche volte ho visto una Valle unita e coesa nella presentazione e promozione delle proprie eccellenze. E proprio qui sta la bravura del comitato organizzatore. Già perché non è cosa facile radicare nelle persone e dei non sportivi la consapevolezza che una kermesse del calibro del TDR fosse un’occasione d’oro. Una di quelle che non si possono lasciare sfuggire. Lo scialpinismo vero, quello “ uro e puro”, quello fatto di gare tecniche, di salite massacranti, discese mozzafiato, ripidi couloir e creste esposte, non andrà mai alle olimpiadi. Lo sappiamo, ma ci viene anche da dire “chi se ne frega”. A noi le gare come il Tour du Rutor piacciono proprio purché sono EXTREME. Perché fanno sognare la gente, perché fanno muovere il pubblico e perché riescono a coinvolgere la persone del posto. Siano essi contadini, viticultori, negozianti o alunni delle scuole”. (Maurizio Torri) © Fabio Menino MIREIA MIRÓ VARELA IL RITORNO | Nonostante abbia solo 26 anni, quest’anno Mireia si è ritirata dalle competizioni. In carriera ha già vinto tutto, tra cui due edizioni del Rutor, nel 2012 con Laetitia Roux e nel 2011 con Gloriana Pellissier. Per la gara valdostana, è tornata a correre con la connazionale Marta Riba. “Una delle cose che ho amato di più del Tour du Rutor è stata la sensazione che avrò sempre il mio piccolo posto nel mondo delle corse. Grazie a tutte le persone che mi fanno sentire così amata, siete una grande famiglia! Nella seconda tappa abbiamo combattuto per il terzo posto fino all’ultima salita, ma poi io ho iniziato ad accusare la stanchezza... mi sono sentita fortunata di avere Marta con me. Alla fine, è stato molto piacevole finire la settimana e la gara con il terzo posto di tappa e il quarto nella classifica generale. Marta è stata un’ottima compagna di squadra durante questi tre giorni in cui ho sofferto, ma anche dove ho provato un piacere immenso nel tornare in questi luoghi”. (Mireia Mirò) © Fabio Menino © Fabio Menino TERZA TAPPA © Fabio Menino © Fabio Menino Matteo Eydallin e Damiano Lenzi dopo il successo finale © Fabio Menino I francesi Matheo Jacquemon e William Bon Mardion all’arrivo a Planaval © Fabio Menino STEFANO JEANTET PAROLA ALLE IMMAGINI | Ex atleta di biathlon e sci di fondo, Stefano ha ha conciliato il suo lavoro di maestro di sci e di guida con la passione per la fotografia. E’ riuscito ad immortalare alcuni passaggi con immagini a dir poco stupende “Il Tour l’ho vissuto attraverso un obiettivo fotografico, il mio primo pensiero è stato “Chi ve lo fa frate????? “ Mentre l’ultimo è stato “Aaaahhhhh…. adesso ho capito, fantastico!!!!!!!” Sono un uomo di poche parole che si esprime con le immagini.”. (Stefano Jeantet) © Fabio Menino © Fabio Menino Dall’usus al cottet fino alla Consorterie de Planaval e ai tsafiòi, storia di una rivendicazione popolare TERRENI E CAMINI | Alle origini della suggestiva frazione della Valgrisenche che ospita la tappa conclusiva del Tour du Rutor di Fabio Menino Quando sulla linea d’arrivo della tappa conclusiva del Tour du Rutor, lo speaker Silvano Gadin ha speso parole di apprezzamento nei confronti del villaggio di Planaval, accostandolo al principato di Andorra, sede abituale di grandi appuntamenti dello sci alpinismo, ammetto che sul momento non ho prestato particolare attenzione al suo discorso. Solo dopo essere entrato nelle piccole vie della frazione, ammirandone le costruzioni, le sue parole mi sono ritornate in mente e ho cercato di approfondire la questione. In effetti, anche se non si può parlare di principato a tutti gli effetti, la lunga storia di Planaval ha portato a qualcosa, per certi versi, di abbastanza simile. A Planaval vi ero già stato nel 2012 sempre in occasione del Rutor. Anche all’ora, la vista di questo caratteristico villaggio sito a 1.557 metri di quota, ai piedi del Ruitor ed ai margini del vasto pianoro che gli ha conferito il toponimo, ha suscitato in me una sensazione particolarmente gradevole, soprattutto se messa in relazione con i ripidi scorci che offre la prima parte della Valgrisenche. Scoprirne a grandi tratti la storia, devo ammettere che è stato altrettanto piacevole. A ridosso del suo grande prato, quello da dove è partita l’ultima tappa del Rutor, vi è una costruzione che più di ogni altra porta indietro nel tempo. Si tratta della casa forte di Planaval, nota anche come casa forte dei Signori d'Avise o casa forte di Rodolfo d'Avise, la cui costruzione risale all’inizio del 1300. La famiglia de Avisio (d’Avise), alla quale i Savoia avevano riconosciuto, sin dal 1243, la dominazione sul feudo, precedentemente riferibile al vescovo di Aosta, esercitava il suo potere sui territori ad occidente del corso d’acqua della Valgrisenche, tra i quali quelli di Planaval. Un tempo, lo sfruttamento dei terreni rappresentava una delle maggiori forme di sostentamento delle piccole comunità di montagna. Prima dell’avvento delle Signorie, nel XIV secolo, la piccola proprietà privata, con caratteristiche molto simili all’attuale, era ampiamente diffusa su tutto il territorio valdostano. Tuttavia, le vicende legate all’istituto della proprietà privata mutarono con l’avvento delle Signorie. Ciascun feudatario, in virtù della sua nomina, diveniva l’unico titolare di ogni piccolo appezzamento compreso nella propria giurisdizione, limitando fortemente il mantenimento dei propri terreni in capo ai singoli. L’opera di “esproprio” globale da essi compiuta, estingueva completamente la figura della proprietà privata. Il Re richiedeva al proprio feudatario di gestire l’appezzamento concessogli: tra i compiti riconosciutigli sussisteva quello di sfruttare al massimo i terreni. Per adempiere a tale incarico il Signore, a sua volta, imponeva alle comunità locali l’amministrazione dei terreni: ai membri della comunità era in effetti concessa la possibilità di trarre sostentamento direttamente dagli appezzamenti baronali, mediante coltivazioni, sfruttamenti e trasformazioni. Tali rapporti venivano regolati attraverso l’istituto dell’usus. Quest’ultimo permetteva alla comunità di coltivare i terreni del Signore e di trattenere quanto necessario per la propria sopravvivenza; parte del raccolto veniva invece riscosso dal feudatario come forma di censo per la relativa concessione. L’istituto in questione godeva di caratteristiche molto simili all’attuale diritto d’uso e a quelle del contratto d’affitto (locazione dei terreni). La costituzione di diritti d’uso era abituale anche a Planaval, dove i piccoli appezzamenti venivano infeudati sia ai privati che alla comunità nel suo complesso, intendendo per tale l’intero quartier dessus, comprensivo delle frazioni di Planaval, Chez-les-Roset, La Clusaz, Revers e Chez-les-Gex. La scarsa conoscenza della scrittura, limita fortemente la presenza di fonti storiche che testimonino oggi questa realtà. I documenti esistenti si riferiscono più che altro al periodo di decadenza delle Signorie (seconda metà del 1700). Tali testimonianze si traggono maggiormente dagli actes de reconnaissance, strumenti siglati per “rinnovare” il rapporto instauratosi mediante la stipulazione dell’usus. A tal proposito, il feudatario richiedeva che l’atto venisse accompagnato da una redevance, un’ imposta in denaro o sotto altra forma, da corrispondere oltre al censo, in segno di “riconoscenza” verso il Signore per aver concesso la possibilità di coltivare i suoi terreni. Il feudatario richiedeva la sottoscrizione degli actes de reconnaissance soprattutto in occasione di eventi eccezionali o a carattere personale, come ad esempio nascite, nozze, banchetti, che necessitavano di forte liquidità. La decadenza quasi definitiva delle Signorie e la perdita continua di potere rendeva questa pratica particolarmente diffusa soprattutto nella seconda metà del XVIII secolo, con l’obiettivo appunto di estorcere quanto più possibile dai contadini. Dai documenti si evince inoltre, che l’istituzione dell’usus veniva principalmente concessa dai Signori locali, ma non in maniera esclusiva. Le istituzioni della Chiesa, soprattutto nel periodo di lotta per le investiture, avevano acquisito forte potere nel regno ottenendo, conseguentemente, potere amministrativo in talune giurisdizioni. Nel territorio di Planaval il parroco di Avise possedeva alcuni proprietà che venivano concesse in uso alla comunità nel suo complesso. I territori in questione, come risulta dall’acte de reconaissance del 25 agosto 1744, erano le Bois de l’ Allée, Entre les Aigues, la Lyabel, la Cotaz de Marco, ai giorni nostri in parte di proprietà della “Consorteria di Planaval”. Il Signore di Avise, invece, era proprietario dei seguenti terreni, concessi in uso al quartier de Planaval con i successivi actes de reconnaissances: les Crêtes et Confession, (un tempo entrambi probabilmente indicati comunemente Crêtes); un artifice de moulin dit le moulin dessus; praz du moulin, Cloz e les arbéz. Allo stesso va inoltre attribuita la proprietà dei terreni delle Crettettes per il quale non sono stati rinvenuti actes de reconnaissance, ma risulta in possesso della collettività dal Régistre des propriétes del 1783. Dall’analisi complessiva di questi documenti (actes de reconnaissance e registri) è possibile individuare, anche se in maniera del tutto approssimativa corrispondenza con attuali possedimenti della “Consorteria de Planaval”. Nel territorio regionale, l’attività esplicata da Carlo Emanuele III per recuperare autorità, costò al ducato di Aosta la perdita della antiche libertà e franchigie, ma fu tuttavia diretta a far scomparire l’ineguaglianza civile mediante importanti riforme (fu questo l’aspetto positivo dell’assetto reale). Con le lettere patenti del 24 novembre del 1764 fu creata la Royale Délégation che negli anni 1768 e 1769 istituì il catasto in vista della perequazione fondiaria, cioè la ripartizione delle imposte in base alla quantità di beni fondiari posseduti da ciascuno. Quest’ultimo venne istituito anche per la comunità di Leverogne e vi risultavano iscritti quali possessori (e non proprietari) dei terreni del bois des Crêtes e le Crettettes, le comunità dei villaggi di Planaval, Chez-les-Roset, Chezles-Gex, Revers e la Clusaz. Inoltre, va sottolineato che, nel successivo Régistre des propriétes costituito nel 1783, tra i beni del signore de Blonay figurava la presenza del territorio delle Crettettes: è probabile che le quartier de Planaval sfruttasse ancora quel terreno come feudo di diritto privato (possessori), trattandosi di proprietà baronale; nello stesso alla comunità di Planaval risultano invece intestati soltanto il mulino ed il forno. Un altro compito della Royale Délégation fu l’accertamento degli affrancamenti dei censi, imposto con un editto del 1784. I comuni (formati di recente) e i singoli furono così in grado di liberarsi dai canoni feudali dovuti al signore versando un capitale stabilito e diventando così pieni proprietari dei terreni e degli altri beni quali acque per l’irrigazione, mulini, forni ecc.. La comunità di Planaval nel 1789 viene iscritta nel registro dei cottet (debitori) del Signore de Blonay. Il cottet rappresentava la somma necessaria da versare al fine di acquisire la piena proprietà dei fondi e liberarsi dai canoni feudali. Già a partire dal registro del 1790, Planaval non risulta più iscritta nell’ elenco dei debitori, essendo riuscita autonomamente ad adempiere all’imposta affrancatagli. Ciò nonostante, quello stesso anno, la Comunauté d’Arvier (Comune) registra a suo nome, nel catasto comunale, la proprietà dei beni del bois des Crêtes, del mulino e del forno. Pur sospettando una sorta di abuso tenendo conto della qualità degli appezzamenti, l’errata iscrizione si giustifica per la singolairtà della vicenda della “Consorteria de Planaval”: è in effetti raro constatare su tutto il territorio valdostano la presenza di agglomerati cittadini che abbiano adempiuto autonomamente al proprio censo, acquisendone, pertanto, la piena proprietà. Al fine di modernizzare il più possibile il regno assoluto di Carlo Emanuele III, la Royale Délégation aveva in effetti disposto che, nel caso in cui il singolo o le piccole comunità di villaggio non fossero riuscite ad adempiere autonomamente al “riscatto”, il Comune avrebbe dovuto contribuire a saldare l’imposta affrancata, diventando così proprietario al cinquanta per cento (il restante al singolo o alla comunità inadempiente). L’erronea iscrizione del terreno del bois des Crêtes, del mulino e del forno, si risolse nel 1812, quando i detti appezzamenti vennero intestati correttamente a nome dei Plan-alèn. La correzione è probabilmente da attribuire all’intervento della Royale Délégation, la quale cessò definitivamente la propria attività nel 1822. Inoltre il periodo si caratterizzò per la perdita definitiva del potere amministrativo da parte delle Signorie locali, potere che veniva affidato ai comuni recentemente istituiti. In ottemperanza a quest’opera di ammodernamento il Signore de Blonay perse completamente le funzioni reali sul territorio del feudo ad esso concesso, cedendo il passo ai comuni di Arvier ed Avise. A partire da queste vicende (in particolar modo la caduta delle Signorie e l’avvento dei comuni, che abolirono le antiche forme di ressort e dei quartier), è ipotizzabile la nascita della Consorterie, volta appunto a mantenere l’amministrazione di questi terreni comuni. Nel corso degli anni, i terreni della “Consoteria de Planaval” furono oggetto di vicende giudiziali, inerenti soprattutto alla continua rivendica della proprietà du bois des Crêtes. Nel 1923 lo Stato Italiano, al fine di diventare unico proprietario dei beni ancora in comune con i privati, sancì la liquidazione dei “restanti usi civici”, ovverosia l’acquisto delle comproprietà venutesi a creare in seguito al mancato “riscatto” autonomo dell’affrancamento del censo. Problemi inerenti alle proprietà della “Consoteria de Planaval” non sarebbero dovuti sorgere, visto che risultava dagli atti il suo corretto adempimento autonomo e la successiva correzione dell’intestazione catastale del 1812. Nonostante ciò, nel 1923 il bois des Crêtes venne nuovamente intestato al Comune di Arvier in comproprietà con la Communauté de Planaval. Onde evitare la perdita del bene in questione, divenne necessario rivendicare, presso il commissario per la liquidazione degli usi civici, la proprietà di tale appezzamento. Dopo la presentazione dell’istanza da parte della Communauté de Planaval, il commissario per la liquidazione, nominò il geometra Luigi Richard incaricato di individuare il legittimo proprietario del bois des Crêtes. Il professionista, individuò quali unici proprietari della zona in questione, gli abitanti di Planaval. Nel 1940, in seguito a tale dichiarazione, il Comune e la Consorterie si conciliarono. La Consorterie ottenne, infine, il titolo per l’iscrizione catastale a suo nome del bois des Crêtes. Il 17 aprile 1955, con atto del Notaio Mario Norat, viene costituito il consorzio denominato “Consoteria de Planaval” che comprende i seguenti terreni: Bois des Crêtes et Bois de l’ Allée; Bois des Crêtettes; Confession; Tchamon; La Becca. L’articolo 4 dello Statuto disciplina i requisiti degli aventi diritto alla “Consoteria de Planaval”. Quest’ultimo individua quali membri della consorteria gli abitanti della frazione stessa, proprietari ed usufruttuari, nonché tutti i proprietari di fabbricati ad uso abitativo siti nella medesima frazione. La sola proprietà di terreni se non accompagnata dalla dimora o dalla proprietà di fabbricati non può dar diritto ad essere consorzista. L’articolo formalizza il concetto consuetudinario di “tsafiòi” mediante il quale si individuano i membri della “Consoteria de Planaval” basandosi sui camini, quale elemento essenziale di un fabbricato abitabile. Inoltre, l’articolo in questione è fortemente legalo agli actes de reconnaissance dove già al tempo si parlava esclusivamente di abitanti. In seguito alla promulgazione della legge regionale n. 14 del 1973, la Consorterie nel 1987, ottenne con decreto emesso dal presidente della giunta, la qualifica di Consorteria pubblica; qualità essenziale che permette oggi di applicare a quest’ultima la disciplina degli enti pubblici. © Fabio Menino © Fabio Menino Laura Besseghini all’arrivo di Planaval (2° femminile) © Fabio Menino © Fabio Menino Francesca Martinelli all’arrivo di Planaval (2° femminile) © Fabio Menino © Fabio Menino Le bandierine del volontario IL RUTOR CHE COLORA LE MONTAGNE | A primavera inoltrata, la malinconia di una stagione invernale che sta per terminare si unisce alla consapevolezza di dover aspettare altri due anni per il prossimo Rutor. Noi cercheremo di esserci… di Fabio Menino Dopo due giorni di sci, per la tappa conclusiva del Rutor ho deciso di rimanere al traguardo con l’intento di fotografare gli atleti alla partenza e all’arrivo. Mi piace l’idea di cercare qualche particolare come ila gioia e la fatica scolpite sul viso dei protagonisti. Sono già trascorse quasi tre ore dall’arrivo dei primi concorrenti e decido di risalire l’ultimo tratto del percorso per osservare qualche altro atleta da una prospettiva differente. Prima dell’ultimo rettilineo c’è una leggera curva verso sinistra e un piccolo salto causato dal ponticello che attraversa il fiume. In questo preciso punto, la svizzera Maude Mathys è finita diritta giù nel pendio, forse stremata dal ritmo che le ha imposto la compagna Laetitia Roux in queste tre giornate. Mi siedo al sole e incomincio a scattare cercando le regolazioni migliori della mia macchina fotografica. Vedo alcuni atleti che sbagliano strada poco prima del ponte. Si tratta di pochi metri ma questo li costringe ad attraversare una lingua di prato. Quelli che seguono fanno lo stesso e decido di risalire nel punto incriminato per risistemare meglio le bandierine segnaletiche. Al solo pensiero che questi ragazzi debbano fare uno sforzo aggiuntivo quando vedono il traguardo sotto di loro non mi fa stare tranquillo. Uno alla volta, vedo passare anche Nico, Katia e Nicola. Provo tanta emozione per loro perchè immagino che, dopo quanto hanno ammirato nei tre giorni, questi ultimi metri di gara per loro saranno qualcosa di straordinario. Me li immagino mentre, nel loro intimo, si fanno i complimenti a se stessi per aver portato a termine una prova di questo tipo. Arriva anche un signore a piedi e in mano tiene uno sci spaccato in due. Intuisco che abbia prestato assistenza a qualche atleta perché nell’ Altra mano tiene uno sci di una marca differente. Scatto ancora qualche fotografia sull’arrivo, cogliendo un rituale che accompagna tutti gli atleti; chi precede, si ferma sulla linea delimitata dall’ultimo arco gonfiabile, attende il suo compagno e poi gli stringe la mano o l’abbraccia prima di concludere la gara. E’ un qualcosa che si ripete da più di cinque ore e che ha coinvolto tanto i giovani quanto i grandi, tanto i primi quanto gli ultimi concorrenti che sto ammirando. All’appello manca ancora Enzo e mi affretto a tornare al traguardo perché il suo arrivo voglio immortalarlo da davanti. Con piacere ascolto la voce ormai roca di Silvano Gadin che in modo professionale continua imperterrito nel suo lavoro, trovando la parola giusta per chiunque attraversi il traguardo. All’improvviso, mi accorgo che la scena sta di colpo cambiando, quasi in modo malinconico. I volontari hanno incominciato a srotolare i tanti striscioni pubblicitari presenti e la scena perde di colore. Dall’alto, vedo anche arrivare un ragazzo che stringe tra le braccia un grosso fascio di bandierine rosse. Probabilmente è un rituale che è accaduto anche nei due giorni precedenti ma quello di oggi decreta la fine di un’altra edizione del Rutor ed è per questo che porta con se un certo qual senso di malinconia. Penso a queste belle montagne che il prossimo inverno vedranno come al solito molti appassionati risalire con gli sci i loro pendii ma penso anche che ci vorranno altri due anni per riassaporare i profumi e ammirare i colori del Tour du Rutor. Finalmente arriva anche Enzo e mi ritorna l’allegria. Lo vedo felice e soddisfatto di se stesso. E uno degli ultimi concorrenti ma qui al Rutor, senza nessuna demagogia come spesso si usa, questo dettaglio è veramente insignificante. Lunga vita al Rutor e a tutti i suoi colori. © Fabio Menino © Fabio Menino © Fabio Menino N° 2 - GIUGNO 2014 – DIFFUSIONE GRATUITA © Paolo Secco
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