elenco dei docenti del triennio suddivisi per classe

N° 1 - APRILE 2014 – DIFFUSIONE GRATUITA
OUTDOOR TRIBÙ
COORDINAZIONE PROGETTO
Anno I - N° 1 SPECIALE TOUR DU RUTOR
DIFFUSIONE GRATUITA
Pubblicato nel mese di aprile 2014
ALESSANDRO VIANI
[email protected]
FABIO MENINO
[email protected]
WWW.OUTDOORTRIBU.IT
Hanno contribuito alla realizzazione di questo speciale:
ADELE Milloz, BARBARA Luboz, CARLO Ceola, DAMIANO Lenzi, ENZO Brusasca,
FABRIZIO Scalvinoni, GIANCARLO Costa, KATIA Fori, MAURIZIO Torri, MIREIA Mirò,
NICO Cantoni, NICOLA Alfieri, ORIOL Cardona Coll, RICCARDO Selvatico,
STEFANO Jeantet, SOPHIE Mollard
In questa foto: la salita ghiacciaio dello Chateu Blanc vista dall’abitato di Planaval
© R&C archivio Montura
3.102 m 2.963 m 2.629 m 2.335 m 2.297 m 1.819 m 1.805 m 1.654 m Feleumaz 1.654 m Mont Arp-­‐Vieille Ca1n Benevy Valgrisenche Becca dei QuaFro Den1 Senior e Master maschile
1. Damiano Lenzi-­‐MaFeo Eydallin (ITA) 7h28.32 2. Matheo Jacquemod-­‐William Bon Mardion (FRA) 7h38.04 3. Xavier Gachet-­‐Valen1n Favre (FRA) 7h38.18 4. Manfred Reichegger-­‐Lorenzo Holzknecht (ITA) 7h41.01 5. Davide Galizzi-­‐Tadei Pivk (ITA) 7h53.11 6. Pierre-­‐Francois Gachet-­‐Adrien Piccot (FRA) 7h56.55 7. Filippo Beccari-­‐Nejc Kuhar (ITA-­‐SLO) 7h59.30 8. Nadir Maguet-­‐Filippo Barazzuol (ITA) 8h02.58 9. Werner Mar1-­‐Leo Viret (SUI-­‐FRA) 8h21.33 10. Francoi Cazzanelli-­‐Stefano Stradelli (ITA) 8h33.31 Senior e Master femminile
1. Lae11a Roux-­‐Maude Mathys (FRA-­‐SUI) 9h17.27 2. Francesca Mar1nella-­‐Laura Besseghini (ITA) 10h06.28 3. Jennifer Fiechter – Axelle Mollaret (SUI-­‐FRA) 10h12.34 4. Mireia Mirò Varela-­‐Marta Riba (ESP) 10h 29.33 5. Marion Maneglia-­‐Melanie Bernier (FRA-­‐CAN) 11h07.46 Grand Coussa Valgrisenche 0 km
0 m D+
0 cambi assetto
Bonne 14 km
1.989 m D+
8 cambi assetto
Senior e Master
610
Tot. Partiti
Tot. Arrivati
550
Tot. Ritirati
50
M. Partiti
M. Ritirati
560
46
50
F. Partite
F. Ritirate
4
3.422 m 3.485 m VALLE D’AOSTA 3.320 m 2.868 m 2.850 m ITALIA 1.654 m 1.554 m Chateau Blanc Tete du Rutor 1.554 m Punta Flambeau Ghiacciaio del Chateau Blanc Rifugio degli angeli Valgrisenche Planaval 33 km
4.628 m D+
20 cambi assetto
Planaval 51,5 km
6.562 m D+
29 cambi assetto
Cadetti maschile
Cadetti e Junior
1. Enrico Loss-­‐Gabriele Leonardi (ITA) 4h44.18 2. Micola Bertocchi-­‐Daniel Carobbio (ITA) 5h01.11 3. Michele Cazzanelli-­‐MaFeo GoFardelli (ITA) 5h08.35 4. Davide Gusmeroli-­‐MaFeo Corazza (ITA) 5h13.07 5. Jerome Perruquet-­‐Jean Luc Perron (ITA) 5h29.34 Tot. Partiti
Junior Maschile
1. Federico Nicolini-­‐Oriol Cardona (ITA-­‐ESP) 4h35.08 2. William Perrier-­‐Samuel Equi (FRA) 4h50.20 3. Simon Bellabouvier-­‐Paul Chavanes (FRA) 4h67.28 4. Erik PeFavino-­‐David Frena (ITA) 5h10.21 5. Enrico Cognen-­‐Giovanni Gelmi (ITA) 5h10.21 Junior femminile
1. Sophie Mollard-­‐Adele Milloz (FRA) 5h42.22 2. Giorgia Dalla Zanna-­‐Joelle Vicari (ITA) 6h05.52 3. Natalia Mastrota-­‐Laura Balet (ITA-­‐ESP) 6h34.01 22
20
Tot. Arrivati
2
Tot. Ritirati
M. Partiti
19
2
M. Ritirati
3
F. Partite
F. Ritirate
0
© Stefano Jeantet
Nulla di nuovo bolle in pentola…
TRASVERSALITA’ | La prima uscita ufficiale di Outdoor Tribù, quella sulle nevi
della Valgrisenche, ha dato il via al primo degli speciali sul mondo outdoor. Un
progetto “trasversale” che raccoglie quanto di bello abbiamo ammirato
di Fabio Menino
A dire il vero, erano almeno tre mesi che ci
stavamo pensando. Più di una volta abbiamo
ragionato su quale fosse il modo migliore per
cercare di creare qualcosa di nuovo, qualcosa
che potesse raccontare al meglio la magia che
circonda lo sport fatto all’aria aperta, qualcosa
che descrivesse al meglio il nostro entusiasmo.
Alla vigilia del Tour du Rutor, però, non
avevamo ancora le idee molto chiare.
Nonostante questo piccolo particolare, abbiamo
deciso di andarci, speranzosi che qualcosa di
buono sarebbe accaduto. E infatti, in modo del
tutto istintivo, dopo la tre giorni valdostana
abbiamo capito che di nuovo da inventare c’era
ben poco; avevamo già a nostra disposizione
quanto ci serviva e, oltretutto, lo avevamo senza
dover fare grossi sforzi creativi. Abbiamo immaginato che il più bel lavoro che
avessimo potuto fare sarebbe stato quello di
riportare fedelmente quanto avevamo visto,
sentito e provato sul campo. In tre giorni,
abbiamo ammirato e assaporato splendidi
contesti naturali, atleti a dir poco eroici,
tradizioni locali ancora vive, spettatori
appassionati e organizzatori professionali. Oltretutto, dal lato di chi cerca di fare
informazione, non siamo stati gli unici ad aver
vissuto tutto questo. Essendo il Tour du Rutor
una delle gare più prestigiose nel contesto
internazionale dello sci alpinismo, come noi,
infatti, c’erano altri interlocutori intenti a
raccontare o mostrare i principali accadimenti.
Senza pensarci su troppo, forse fuori dagli
schemi abituali, abbiamo cercato di dare
trasversalità al nostro progetto e abbiamo
chiesto anche a loro di raccontarci qualcosa.
Ecco allora che oltre alle preziose testimonianze
di chi ha vissuto il Rutor da concorrente,
abbiamo riportato anche quelle dei tanti amici
che erano presenti svolgendo il loro lavoro; fo-
tografi, giornalisti e addetti stampa, ovvero
preziosi componenti di quella che per noi è
realmente una tribù. Ed è per questo motivo che
ci teniamo a ringraziarli pubblicamente. Sono
Carlo Ceola, Giancarlo Costa, Maurizio Torri e
Riccardo Selvatico.
Abbiamo voluto raccontare una storia fatta di
competizione, e di atleti ma anche di persone,
ambienti, paesaggi e tradizioni di un’intera
valle. Questo per noi è stato il Tour du Rutor,
ovvero un microcosmo fatto di particolari da
custodire gelosamente tra i ricordi, una delle più
evidenti
dimostrazioni
che
i
grandi
appuntamenti outdoor sono tali se vivono in
simbiosi con il loro territorio.
Il merito di tutto questo è di chi, nell’ormai
lontano 1995, ha ideato e costruito questo
grande evento e l’ha saputo far crescere in XVII
edizioni; è lo Sci Club Corrado Gex di Arvier,
vera e propria fucina di giovani talenti dello sci
alpinismo, il cui mentore porta il nome di Marco
Camandona. E non sono elogi scritti tanto per
riempire la prima pagina di questo speciale. Se
oggi il Tour du Rutor è riconosciuto per la sua
unicità è perché rispecchia in pieno l’anima e la
mentalità dei suoi organizzatori, gente di
montagna che rispetta la montagna e si
appassiona per essa. Gente che va subito al sodo
delle questioni senza cercare inutili fronzoli. Avremmo voluto farci raccontare qualcosa della
sua creatura dallo stesso Marco Camandona ma,
essendo per l’appunto un uomo di montagna,
finita la competizione, si è riposato giusto un
giorno per poi partire alla volta di un’altra
grande avventura in Nepal, per una spedizione
che punta a conquistare la cima del
Kanchenjunga (8.598 m), la terza vetta più alta
al mondo. Con lui, tra gli altri, c’è il valdostano
François Cazzanelli, anche lui reduce dalle
fatiche del Tour du Rutor ma non come
organizzatore bensì come concorrente. Anche
questo è il Rutor.
© R&C archivio Montura
© Fabio Menino
Iniziamo dai giovani
FUTURO SICURO | In gara c’erano anche i giovani delle categorie Cadetti e
Juniores. Per loro, tre tappe come per i grandi ma con percorsi ridotti. Ci hanno
conquistato per carattere, livello agonistico e per la spregiudicatezza in discesa
di Fabio Menino
Alcune premesse sono d’obbligo; è giusto
precisare di chi stiamo parlando, di cosa e di
come lo hanno fatto. Le categorie giovanili presenti al Tour du Rutor
erano gli Juniores e i Cadetti. La prima
comprende i ragazzi dai 18 ai 20 anni, la
seconda quelli dai 15 ai 17 anni. Anche loro,
come gli adulti, vista la peculiarità del percorso
con passaggi impegnativi, hanno gareggiato in
coppia. Alla partenza del primo giorno, erano
schierate 22 squadre giovanili per un totale di 44
atleti. Di queste, sono una non è riuscita a
portare a termine la prova.
Sul cos’hanno fatto, possiamo dire fin da subito
che questo merita la massima considerazione. Se
è vero che il loro percorso è stato ridotto rispetto
agli adulti, quello che è rimasto basterebbe da
solo a lasciare perplesso un normale
appassionato sci alpinista del fine settimana. In
tre giorni, infatti, i Cadetti hanno macinato
3.300 metri di dislivello positivo, gli Juniores
ben 5.000. Per i tempi finali, 4h44’ per i primi
Cadetti e 4h35’ per i primi Juniores. E’ pur vero che in gara non c’erano delle
ragazze tra i Cadetti ma solo 6 tra gli Juniores ed
è altrettanto vero che siamo ancora lontani dai
166 giovani che hanno partecipato una settimana
prima alla Pierra Menta, in Francia, ma è
altrettanto vero che quanto si è visto in
Valgrisanche è qualcosa di estremamente
importante per il futuro dello sci alpinismo.
Sul come l’hanno fatto, mi piace raccontare due
episodi vissuti in prima persona. Il primo si
riferisce alla seconda giornata di gara. Stavo
scendendo dalla Grand Coussa, la prima salita
del percorso. Poco prima di arrivare nel paesino
di Bonne, mi sono fermato a un tornante della
poderale. In prossimità della curva, ho visto
posizionate al suo interno alcune bandierine se-
gnaletiche con la scritta Tour du Rutor e ho
pensato bene di sdraiarmi per scattare alcune
fotografie al passaggio degli atleti. Detto
sinceramente, ero consapevole di essere in
mezzo al percorso ma ero comunque all’interno
della traiettoria e confidavo che i ragazzi non
avrebbero stretto la curva. Penso che si sia
trattato di una squadra di Juniores ma non ne
sono sicuro, del resto i fisici di questi giovani
atleti giocano brutti scherzi. Sta di fatto che il
secondo ragazzo, non solo mi ha sfiorato con gli
sci e toccato con un bastone ma nei metri
successivi ha inveito ripetutamente nei miei
confronti in modo deciso.
Anche se sul
momento anch’io ho replicato qualcosa, devo
confessare che quanto accaduto mi è poi rimasto
impresso. Ho letto in quello sfogo tanta grinta e
determinazione, una sana cattiveria agonistica
che, se esternata da un un giovane atleta, per me
è ancora più affascinante.
Il secondo episodio, invece, si riferisce alla
prima giornata di gara. Ero alla base del
Feleumaz, poco sotto il punto in cui gli adulti
calzavano i ramponi e i giovani scendevano
verso l’arrivo. Mi ero spostato vicino a Carlo
per fotografare i primi in discesa. La più logica
delle conseguenze della caduta che vidi, furono
proprio le parole di Carlo: “non poteva che finire
così”. In effetti, avevamo visto un giovane
scendere a tutta velocità, incurante della
pendenza, delle gobbe e della neve fresca. Dopo
svariate capriole, come se nulla fosse accaduto,
si e rimesso gli sci, si è risistemato la maschera
ed è ripartito ancora più determinato di prima.
Oltre le enormi doti fisiche che si esternano in
un passo deciso in salita, penso che quanto ho
visto in discesa al Rutor, esprima al meglio la
spensieratezza di questi ragazzi. Ecco perché in questo progetto siamo partiti da
quello che solitamente è la conclusione. Lo
abbiamo fatto perché i giovani ci hanno fatto
sognare, esattamente come loro sognano di di-
Marco Camandona con due dei
suoi ragazzi all’arrivo di
Planaval
ventare come Lenzi o Eyadallin. Li abbiamo ammirati per tre giorni e dobbiamo
confessare che li abbiamo anche invidiati e non
poco. Una giusta invidia dovuta al fatto di non
poter tornare indietro nel tempo, alla loro età, e
di fare esattamente quello che fanno loro. Così
giovani, stanno praticando uno sport tanto duro
quanto ricco di insegnamenti. Stanno facendo
esperienze, alcuni di loro anche a livello
internazionale e, cosa più importante, una volta
adulti, si scopriranno amanti e conoscitori della
montagna ancora più di quanto non lo siano già
adesso. Lo sci alpinismo, come del resto tutti gli
sport, ha bisogno della tribù dei giovani e non
solo per lo spettacolo che sanno offrire. Ha
bisogno di respirare il loro entusiasmo e di
gioire con loro, ha bisogno di avere la
consapevolezza che il futuro è in buone mani. E dopo averli visti in azione, oggi più che mai,
siamo sicuri che tra qualche anno, qualcuno di
questi 44 ragazzi comparirà nelle zone alte della
classifica del Tour du Rutor degli adulti. Anzi,
siamo altrettanto sicuri che qualcuno di loro lo
vincerà anche.
Ed è per questo motivo che abbiamo voluto
citarli tutti, dal primo all’ultimo, perché mai co-
© Fabio Menino
me in questo caso, per noi, la classifica ha un
aspetto marginale:
CADETTI MASCHILE
Enrico Loss, Gabriele Leonardi, Nicola
Bertocchi, Daniel Garobbio, Michele
Cazzanelli, Matteo Gottardelli, Davide
Gusmeroli, Matteo Corazza, Jerome Perruquet,
Jean Luc Perron, Loic Brouet, Robin Gaydon,
Erwin Ronzon, Daniele Soppelsa
JUNIORES FEMMINILE
Sophie Mollard, Adèle Milloz, Giorgia Dalla
Zanna, Joele Hélène Vicari, Natalia Mastrota,
Laura Balet Caixach
JUNIORES MASCHILE
Federico Nicolini, Oriol Cardona Coll, William Perrier,
Samuel Equy, Simon Bellabouvier, Paul
Chavanes, Erik Pettavino, David Frena, Enrico
Cognein, Giovanni Gelmi, Corentin Cerutti,
Jonathan Battuz, Maurizio Bugna, Marco
Donina, Mathias Trento, Andrea Dellavalle,
Roger Bovard, Jordi Favre, Jean Marc Perrier,
Mathieu Podio, André Aymonod, Simone
Tarchini, Henri Aymonod, Michele Carrelli
ADELE MILLOZ
CLASSE 1996| Adele frequenta il liceo Roger Frison Roche a Chamonix e ha fatto il
suo esordio nello sci alpinismo nel 2011. Al suo primo anno negli Juniores, con la
compagna Sophie Mollard, tra le altre, quest’anno ha vinto la Pierra Menta e il Tour du
Rutor due prestigiose gare della Grande Course.
“Per me il Tour du Ruitor è una gran
bella gara, organizzata molto bene e con
una grande atmosfera! Il percorso è a dir
poco spettacolare, in particolare quello
del secondo giorno di gara con una
portata assolutamente "vertiginosa".
Quest'anno, per me il Rutor è stato pieno
di emozioni positive. E’ stato un grande
fine settimana vissuto con una grande
compagna di squadra”. (Adele Milloz)
ORIOL CARDONA COLL
CLASSE 1994 | Dopo la vittoria alla Pierra Menta della settimana precedente in coppia
con Rémi Bonnet, per Oriol è arrivato il secondo successo nella Grande Course. Ha
vinto il Rutor con l’italiano Federico Nicolini, amico e avversario di molte sfide e che lo
precede al primo posto nella classifica generale di Coppa del Mondo Juniores.
“Finire la stagione vincendo il Tour
du Rutor e stata una cosa fantastica.
Mi sono divertito molto con Federico
e penso che per entrambi e stato
qualcosa che non si può spiegare.
Vincerla insieme, dopo un’intera
stagione lottando come rivali nella
coppa del mondo, è stato qualcosa di
fantastico.”. (Oriol Cardona Coll)
© Fabio Menino
© Fabio Menino
SOPHIE MOLLARD
CLASSE 1995 | Sophie frequenta il liceo Roger Frison Roche a Chamonix. Con la
compagna Adele quest’anno ha vinto la Pierra Menta e il Tour du Rutor. In Coppa del
Mondo, è terza nella classifica generale, in quella individuale e nella disciplina vertical.
“Il Rutor sono stai tre giorni di follia con Adele,
la mia compagna di squadra. Tre giorni di
divertimento sciando in un ambiente meraviglioso
e con un tempo splendido. I percorsi sono stati
superlativi, soprattutto il sabato e la domenica,
che erano più a lunghe e più tecniche rispetto al
venerdì. Aspettavamo questa gara da due anni e
non siamo rimaste deluse. Inoltra, alla prossima
edizione del Tour del Rutor. (Sophie Mollard)
Erik Pettavino e David Frena
in azione (4° Juniores)
© Fabio Menino
© Fabio Menino
Enrico Loss in azione sulla
salita del secondo giorno
(1° Cadetti)
© Fabio Menino
Saver One
Everywhere for life
L’arresto cardiaco improvviso
L’arresto cardiaco può colpire chiunque, senza
preavviso senza tener conto di età, sesso o
preparazione sportiva.
Ogni anno un numero elevato di persone
vengono colpite dalla cosiddetta morte cardiaca
improvvisa. In Italia si registrano oltre 60.000
casi all’anno, più di 150 ogni giorno.
Spesso i mezzi di soccorso, per varie motivazioni,
non possono arrivare in tempo per soccorrere
una persona colpita da arresto cardiaco.
In questo caso l’utilizzo di un defibrillatore è
l’unico trattamento efficace ed in grado di
salvare la vita al paziente.
Cosa dice la Legge
La recente Legge Balduzzi (D.L. 13 Settembre
2012, n.157, convertito in Legge 8 Novembre
2012, n.189) , obbliga le Società Sportive a
dotarsi di un defibrillatore; la sensibilizzazione
sulla necessità di intervenire tempestivamente
nei casi di arresto cardiaco ha già prodotto
numerose proposte per estendere
l’obbligatorietà di possedere un DAE anche ad
altre realtà (parchi cittadini, uffici pubblici,
supermercati, teatri, ecc…)
In paesi dove la cultura della defibrillazione
precoce è già affermata le percentuali di
sopravvivenza ad un arresto cardiaco sono
stupefacenti.
La catena della sopravvivenza
Distribuito da :
RIVOGAS MEDICAL S.r.l.
Gas Medicinali ed Attrezzature Sanitarie
Via dell’Industria, 4 – 15048 Valenza (AL)
Tel. 0131.940835 Fax 0131.947827
PRIMA TAPPA © Fabio Menino
Manfred Reichegger in testa
alla corsa sulla prima salita
della prima tappa
Quando il freddo alle mani sparì all’improvviso
DIMENSIONE PARALLELA | Possono esistere tanti modi per seguire una gara ma
quando si cerca di salire in alto, nel regno degli atleti, spesso capitano cose inaspettate
di Fabio Menino
A mia discolpa confesso che presto sempre la
massima attenzione cercando di concentrarmi.
Anche questa mattina, di buon ora, una volta
pagato il pedaggio al casello di Aosta, mi sono
ripetuto più di una volta che sarei dovuto uscire
ad Aosta Ovest. Come non detto, ho perso
l’uscita e mi tocca entrare nelle gallerie fino a
Morgex. Come magra consolazione, ma molto
appagante, la vista del Monte Bianco riesce a
farmi tornare immediatamente il buon umore. A
dirla tutta, una volta arrivato a Valgrisenche, mi
sono anche ripetuto di prestare attenzione ad
imboccare nel punto giusto l’ultima discesa di
gara, quella che porta ai 2.600 metri della Becca
dei Quattro Denti, dalla cui cima ho deciso di
immortalare i passaggi degli atleti. E pensare
che quella discesa l’avevo già fatta in gara nel
2012. Come non detto, anche questa volta mi
sono distratto e mi ritrovo altrove, sulla prima
salita di gara.
Sinceramente non so dove sto andando ma sono
rincuorato dal fatto che lungo il percorso ci sono
molti appassionati che, come me, stanno
salendo. Quando poi mi supera Gloriana
Pellissier, mi convinco che qualcosa di bello da
vedere ci sarà anche su questa parte iniziale di
gara. Si, ammetto che all’inizio è stato
abbastanza frustante; io stavo cercando di fare
del mio meglio e lei mi ha passato in tutta
disinvoltura mentre parlava allegramente con
un’altra persona. Ma si, dai, da una che di
edizioni del Rutor ne ha vinte otto, ci può stare.
Finito il lungo traverso che riporta in direzione
dell’alta valle, la traccia incomincia a salire più
ripida, arrivano le prime conversioni e,
inevitabilmente, i miei primi problemi.
Finalmente, in un tornante, incontro Maurizio e
Carlo e mi realizzo che anche questa volta mi è
andata bene. Se loro si sono fermati qui, vuol
dire che è un buon punto d’osservazione.
Il problema è che siamo all’ombra, la
temperatura è discretamente bassa e i miei
guanti sono umidi di sudore; ben presto mi
accorgo che il freddo alle mani diventa sempre
più insopportabile. Mi consola il fatto che non
sono l’unico ad avere freddo, Carlo corricchia
ripetutamente dalla sua posizione a quella dove
ci troviamo io e Maurizio, nel vano tentativo di
scaldarsi. Alzo lo sguardo e osservo la piazzuola
dell’organizzazione, il punto esatto in cui gli
atleti si toglieranno gli sci per procedere a piedi.
Dal basso vediamo salire i primi atleti, sono i
giovani ma il loro passo si distingue
immediatamente
da
quello
dei
molti
appassionati saliti anche loro quassù con gli sci. A breve distanza arrivano anche gli adulti. Il
primo e Manfred Reichegger. E’ concentrato e
sembra avere un buon margine sulle coppie
inseguitrici. Ha la tutina aperta sul petto, quasi
come se non si trovasse nella nostra stessa
condizione ambientale. Finalmente arrivano
anche Damiano Lenzi e Matteo Eydallin. Il
primo ride a una battuta di Maurizio, il secondo
sembra più affaticato. In modo avventato e da
perfetto incompetente, penso che per loro sarà
dura, che in questo Rutor gli peseranno molto le
fatiche della scorsa settimana quando hanno
vinto la quattro giorni della Pierra Menta.
Riconosco anche Nadir Maguet, con le maniche
tirate su, Barazzuol, Beccari e Franco Collè. Poi,
per gli altri, ai loro gesti atletici tanto aggraziati
quanto efficaci, non riesco ad associare un nome
in particolare.
Mi capita lo stesso in estate con la corsa, non
riesco a non emozionarmi, penso di essere nel
posto giusto nel momento giusto. Realizzo che
per la terza volta di oggi, però, ho dimenticato
qualcosa. Per qualche minuto è scomparso il
freddo alle mani, per qualche minuto ho vissuto
in una realtà parallela. Grazie ragazzi!
© Fabio Menino
Nejc Kuhar e Filippo Beccari in
azione sulla salita del Feleumaz
(7° assoluti)
BARBARA LUBOZ
IL RUTOR E’ TUTTO | Barbara è la moglie di Marco Camandona, l’uomo che più di
ogni altro simboleggia il Tour du Rutor. Originaria di Planaval, è parte attiva
nell’organizzazione della gara e della gestione dello Sci Club Corrado Gex.
Compito piuttosto difficile quello di descrivere
cosa rappresenta per me il Millet Tour du Rutor
Extreme. Dovessi dirlo in una sola parola, direi
TUTTO! Mi ricordo che nel 1994 eravamo a
Rhêmes al Trofeo Rollandoz io, Marco e altri
appassionati dello sci alpinismo. Era una bella
giornata primaverile, eravamo seduti in un
prato e chiacchierando è nata l’idea di
organizzare una gara di sci alpinismo a
Planaval, frazione di Arvier, alla quale entrambi
siamo molto legati. Io perché originaria del
posto e Marco perché sin da bambino ha
passato le sue estati giocando tra i boschi di
questa splendida località. E così, grazie
all’aiuto della Pro Loco e dello sci club
Corrado Gex, nel 1995 organizziamo il 1° Tour
du Rutor. O meglio, il 1° TDR della nuova
generazione, perché non dobbiamo dimenticare
che già nel 1933 era stata disputata un’ edizione
sul versante di La Thuile vinta dalla squadra
Minatori Fascisti composta da Alberto Chenoz,
Francesco Chenoz e Bartolomeo Carrel.
Credo che quello che contraddistingue il TDR
dalle altre gare di sci alpinismo sia la voglia di
osare. Noi in un certo senso siamo sempre stati i
promotori di qualcosa… e questo “osare” negli
anni ci ha premiati, già nell’edizione del 2012
avevamo avuto un buon successo ma l’edizione
di quest’anno forse è stata quasi perfetta, anche
grazie alla meteo più che favorevole. Sponsor,
atleti, pubblico e addetti al lavoro ci hanno fatto
i complimenti di persona o con e-mail molto
incoraggianti, perché vi assicuro che il giorno
successivo ti viene da dire “questa è l’ultima
volta”. Siamo molto stanchi e il lavoro anche a
riflettori spenti è ancora molto. C’è una
burocrazia incredibile dietro ad un evento di
questo genere ma, fortunatamente, dopo qualche
giorno di riposo il pensiero è di nuovo lì a
meditare su cosa fare di nuovo e di diverso
nell’edizione successiva e abbiamo già delle
idee per il 2016. Ho detto “quasi perfetta”
perché siamo ben consapevoli che si può e
soprattutto si deve sempre cercare di
migliorare; ci sono piccole pecche, che magari
atleti e spettatori non hanno notato, ma che noi
dell’organizzazione abbiamo visto e a me
© Fabio Menino
personalmente danno un fastidio incredibile. La nostra mania, quasi maniacale, di perfezione
e di cura dei particolari, siamo consapevoli che
a volte sia esagerata, ma anche questo è una
particolarità del TDR. Inoltre, noi non vogliamo
essere un evento semplicemente agonisticosportivo ma vogliamo essere e dare qualcosa di
più. Crediamo nella promozione del territorio,
della tradizione, della cultura montana e dei
nostri prodotti tipici. Infatti, organizziamo
parecchi eventi collaterali, che sono molto
impegnativi, ma che ci danno tanta
soddisfazione e sono certa che gran parte della
gente che soggiorna ad Arvier, Valgrisenche o
nei comuni limitrofi si porta a casa un bel
ricordo non solo legato all’evento sportivo in se.
Colgo l’occasione per ringraziare gli atleti
(senza di loro non ci sarebbe il TDR), gli
spettatori (quest’anno numerosi), gli sponsor
pubblici e privati ma soprattutto TUTTI i
volontari (oltre 200), perché tutte queste figure
sono importantissime e necessarie per il
successo di una manifestazione come la nostra.
Concludo semplicemente scrivendo che posso
definire il TDR “all’avanguardia” forse perché
in parte rispecchia ideali, personalità e
passione di Marco che scherzando si definisce
appunto un uomo all’avanguardia! © Fabio Menino
CARLO CEOLA
CONTEMPLAZIONE A FIL DI CIELO | Carlo è un professionista della
comunicazione in ambito sportivo. Con l’amico Riccardo ha seguito il Tour di Rutor per
Montura. Loro hanno firmato le gallery fotografiche tra le più apprezzate dagli utenti.
“L’elicottero mi ha scaricato al Colle dello
Chateau Blanc con la prima rotazione, c’erano
ancore le ombre lunghe del mattino disegnate
sulla neve, tranne una: quella grossa e
inconfondibile di Stefano Mottini. Lui era sul
ghiacciaio dall’alba a dirigere le operazioni,
come sempre una direzione impeccabile la sua,
“tutto sotto controllo”.
Dopo aver ricevuto il suo benestare sulla posi-
zione in cui mi sarei appostato per fotografare,
mi sono addentrato con gli sci ai piedi nel
ghiacciaio. Obiettivo la cresta aerea di Punta
Flambeau che ho raggiunto dopo un tratto a
piedi lungo la parete attrezzata con le corde.
Incedere lento il mio, la doppietta Pierra-Rutor
in 10 giorni si fa sentire. Trasporto macchine fotografiche, obiettivi, un
cavalletto, go pro e lo zaino affardellato da scialpinista. Mi trovo da solo a percorrere la
cresta, e vorrei non finisse mai tanto è bella. Il
mio incedere è distratto dal quel 360° di
montagne che mi attorniano. Devo porre
attenzione a dove metto i piedi, ma il richiamo
del Bianco, del Grand Combin, la Grivola,
l’Emilius, il Gran Paradiso e di altre decine di
vette attorno a me hanno il sopravvento. E così
mi fermo a contemplarle, in una giornata
tiepida, velata da una luce che rende il
panorama ancor più magico. Sono rimasto
inebetito su quella cresta per parecchio tempo,
ritto immobile a girare su me stesso, svegliato di
soprassalto dal rombo dell’elicottero che rotava
poco sopra di me. Gli ufo in tutina erano in
arrivo, esco dalla traccia quel tanto che basta e
via di scatti a raffica. Mi sposto lungo cresta, cerco la luce migliore, adesso arrivano a flotte,
sono in tantissimi. Tanti amici, tanti sorrisi,
quella cresta che fino a pochi minuti prima mi
ospitava solitario in religioso silenzio, ora è
percorsa in tutta la sua lunghezza da un
serpentone colorato interminabile. Trovo un
varco tra una squadra e l'altra, mi infilo e
continuo a scattare in mezzo a loro. Sono
pervaso da euforia contagiosa, condivido per un
attimo le loro emozioni, mi assicuro alla stessa
corda e mi lascio trasportare. Veloci infilano gli
sci e spariscono nel ghiacciaio. Tutto in un
attimo torna come prima. La profonda traccia in
cresta delimita l'orizzonte, il silenzio torna
sovrano. Un ultimo sguardo, ripongo la
macchina fotografica e chiudo la porta. (Carlo Ceola)
© R&C archivio Montura
Photo© Fabio Menino
© Fabio Menino
Filippo Barazzuol precede il
compagno di squadra Nadir
Maguet
Filippo Beccari, quest’anno
Photo©
Fabio
Menino
anche per
lui l’accoppiata
© Fabio Menino
Nadir Maguet, giovane talento
valdostano dello Sci Club
Corrado Gex
Pierra Mente-Rutor.
Fabio Menino
Menino
Photo©©Fabio
DAMIANO II LENCE LENZI ROMANTICISMO | Damiano Lenzi ha vinto il Tour du Rutor 2014 con il compagno di
squadra Matteo Eydallin, entrambi portacolori del Gruppo Sportivo Esercito
“In vetta al Rutor, quasi a 3.500 metri di quota,
abbiamo
trovato
tantissimo
pubblico.
Nonostante tutto, stanchezza e competizione, ho
toccato la madonnina e poi mi sono buttato giù
per la lunga e insidiosa discesa finale. Questo e
stato il momento più bello e più significativo di
tutta la gara, uno di quelli che fa capire quanto
il nostro sport sia fato di gente romantica, che
si apposta in quota alle prime ore del mattino
accanto ad una madonnina bianca per vederci,
per incitarci e chiaramente anche per
soddisfazione personale. Questo e il Tour du
Rutor”.
(Damiano Lenzi)
© Fabio Menino
NICO CANTONI
EMOZIONI CHE TI CAMBIANO | Nico svolge l’attività di cuoco nel ristorante di
famiglia, La Maison, a Fornovo (PR). Ci ha raccontato il suo avvicinamento alla grande
corsa valdostana, la sua prima partecipazione alla Grande Course
“Il mio Tour du Rutor Extreme 2014 parte da
lontano. Sono sempre stato appassionato di
montagna e fin da bambino lo sci è sempre stato
un mio grande amore. Anche se vivo in pianura,
appena il lavoro lo permette scappo verso i
monti, la mia vera casa. Ma veniamo a noi.
Dopo aver fatto qualche gara di Coppa
dell'Appennino l'anno scorso, quest'anno, dopo
la stagione “trail” pensavo di riposare. Invece,
tutto è cambiato quando un giorno in monta-
gna, un pò per caso, un pò per destino, mi sono
ritrovato ad allenarmi con Lucia, fortissima
scialpinista e skyrunner del posto. Ricorderò
sempre quelle due salite che abbiamo fatto
insieme. Pensavo di morire e per ogni passo che
facevo avanti ne facevo due indietro. Però,
settimana dopo settimana ho continuato a
macinare dislivello e “spiare” i compagni di
allenamento, cercando di imparare il più
possibile da loro. Ma le gare non erano nei miei
pensieri. Fino al giorno in cui arriva la
chiamata di Alex, presidente della nostra società
di skialp, che mi spiega in poche parole che il
suo compagno è infortunato e sarebbe contento
di fare il Rutor con me. In pochi secondi fui
catapultato nello spirito Grande Course;
appena avevo due minuti, guardavo i vari video
e sognavo. Fra pochi mesi sarei stato anch'io
nella mischia. Poi sono arrivate le gare di
preparazione: Transcavallo, Lagorai-Cima
d'Asta e Sellaronda. Tutto sembrava filare liscio
ma pochi giorni prima della partenza arrivò una
chiamata inaspettata, destinata a cambiare il
tutto. Alex ha impegni di lavoro e non può
partecipare. Quando ti ritrovi a pochi giorni
prima di una gara come quella del Tour du
Rutor senza socio, quello che prima poteva
sembrarti difficile inizia a sembrarti impossibile.
Invece un'altra volta il destino mi è stato amico.
Dopo giorni passati al telefono, tra mille
indecisioni, all'ultimo l'organizzazione mi da un
contatto di un atleta rimasto anche lui da solo.
Ci sentiamo subito per telefono e già dalla voce
e da una prima chiacchierata provo un bel
feeling. Restiamo d'accordo che ci saremmo
sentiti la mattina per la conferma. La mattina
seguente squilla il telefono: bastano poche
parole, si fa squadra. Non ci resta che correre.
Giovedi pomeriggio arrivo ad Arvier, cerco Igor
tra la folla del palazzetto dello sport e
finalmente ci incontriamo di persona. Una
stretta di mano, e subito a ritirare il pettorale.
Poi ci spostiamo verso il briefing dove
Camandona, guida alpina nonché organizzatore
della gara, ci spiega la prima tappa del venerdi.
A questo punto potrei iniziare a raccontare di
dislivelli, tratti tecnici o discese ma preferisco
parlare di emozioni anche se non è facile.
Perchè quelle che lasciano queste esperienze,
sono emozioni che ti cambiano, che ti restano
impresse nella memoria per sempre. Momenti
indimenticabili. Come il passaggio sulla testa
del Rutor, durante la seconda tappa, quando
finalmente si arriva ad accarezzare la statua
della Madonna, forse la stessa che già durante
la mattinata mi era apparsa più volte. Ma come
continuava a ripetermi Igor: “mai mulè!”. E
cosi ho fatto. Pensando a chi mi stava
permettendo di essere lì a vivere il mio sogno
lavorando per me, agli amici in gara. Avanti
passo dopo passo, senza mai fermarsi. Perchè
credo che per noi, comuni mortali, la sfida più
grande sia vincere con se stessi. Nei momenti di
crisi, dove senti che non ce la fai più e dove
tutto sembra perso ma dove, invece, tieni duro e
non molli,
vincendo le difficoltà che
sembravano insuperabili e spostando i tuoi
limiti un po' più in là, è allora lì che senti di
aver fatto qualcosa di grande. E' cosi che mi
sono sentito durante l'ultima indimenticabile
discesa verso Planaval, quando ho capito che
ormai è fatta. Igor mi aspetta, vediamo l'arrivo,
ci stringiamo le mani e le alziamo al cielo. Io lo
abbraccio, consapevole che senza di lui non
sarei mai riuscito ad arrivare in fondo. E cosi,
oltre ad aver portato a termine quest'avventura,
sento che lungo il percorso del Tour du Rutor ho
trovato cose ben più preziose; sono le persone
che ho avuto il piacere di conoscere, persone
con le mie stesse passioni, persone alla ricerca
delle tue stesse emozioni. Con loro ho avuto il
piacere di condividere momenti unici e spero di
poterne condividere tanti altri in futuro. E poi,
anche se la gara è finita, noi continuiamo a
correre, perchè la vita reale chiama. Adesso non
mi resta altro che salutare la Valgrisenche.
Imbocco l'autostrada viaggiando veloce verso
casa, guardando la luce del tramonto da dietro i
finestrini e sognando già le prossime avventure.
(Nico Cantoni)
© Fabio Menino
SECONDA TAPPA © Stefano Jeantet
Cambio pelli al Grad Coussa
per Francois Cazzanelli
(10° assoluti)
© Fabio Menino
© Fabio Menino
I francesi William Bon
Mardion e Matheo Jacquemod
(2° assoluti)
© Fabio Menino
© R&C archivio Montura
ENZO BRUSASCA
ATMOSFERA INDIMENTICABILE | Enzo è un impresario edile e lavora nell’azienda
di famiglia a Cantavenna (AL). Alterna lo sci alpinismo d’inverno e il trail running
d’estate. Con il Rutor ha porato a termine la sua prima gara della Grande Course
“Tour du Rutor, tre giorni per tre tappe, tre
giorni per 7.000 m di dislivello, tre giorni di
fatiche ed imprecazioni ma anche tre giorni di
gioie ed emozioni. Tra i ricordi di salite
durissime, discese ripide, e temutissimi cancelli
orari un ricordo su tutti: ultima tappa, il mio
compagno accusa e sulla cresta mi chiede di
restargli vicino. Sci sul sacco e ramponi ai
piedi, faccio il passo ed ecco la sorpresa, Colle
dello Chateau Blanc, un luogo fuori mano, con
un bel ristoro e soprattutto con un tifo degno di
questa
competizione.
Un’immagine,
un’atmosfera e un emozione che non potrò mai
dimenticare. in discesa concentrati a non farsi
male, in sottofondo iniziamo a sentire la voce
dell'immancabile Gadin, ecco i gonfiabili, gli
amici a congratularsi, ora è veramente finita e,
purtroppo, appena passata la fatica, questo un
po mi rattrista ma tra due anni sarà sicuramente
di nuovo Tour du Rutor”. (Enzo Brusasca)
Il rumeno Ionel Suciu e il
francese Jean Charles Baquet
(105° assoluti)
© R&C archivio Montura
FABRIZIO SCALVINONI
TRA SOFFERENZA E ORGOGLIO | Fabrizio è un appassionato praticante, in inverno
dello sci alpinismo e in estate dello skyrruning. Quest’anno, tra le altre gare, ha portato a
casa l’accoppiata Pierra Menta-Tour du Rutor
“Eccomi qui, a soli 4 giorni dal Pierra Menta,
ancora con grandissime emozioni vive nella
mente, tanta stanchezza nelle gambe e con un
nuovo amico, sono di nuovo con gli sci ai piedi
pronto per entrare in griglia di partenza di una
nuova grande avventura che durerà 3 giorni e ci
porterà a toccare tre grandi cime sopra i 3.000
metri in Valgrisanche: il Tour du Rutor Extreme.
Subito il mio corpo e la mia mente hanno idee
totalmente diverse che, piano piano, si influen-
zano a vicenda. La mente è tutta felice per
essere alla partenza di una gara tanto sognata,
sperata, voluta..... il corpo e le gambe, invece,
sono ancora stanchi e mandano segni
inequivocabili: "questo non è il posto giusto!!!!
Sarebbe stato molto meglio un bel letto caldo o
un divano comodo". In pochi minuti, provo tante
idee confuse: gioia, paura e preoccupazione di
ripartire per una gara a tappe essendo
consapevole che il fisico si sarebbe potuto opp-
porre da un momento all'altro. Ho solo il tempo
per una stretta di mano e qualche
raccomandazione con il mio nuovo compagno
sulla nostra andatura e...... pronti via!!!!!!
Le gambe si mettono in moto e sembra persino
che l'opera di convincimento sia servita e si
parte, testa bassa e "a tutta". Ogni tanto alzo lo
sguardo per scrutare questi bellissimi paesaggi
che ci circondano. Un'occhiata veloce al mio
compagno e un rapido scambio di opinioni e poi
avanti, si procede ancora.
La prima tappa se ne va senza molti intoppi e
senza accorgermene siamo già alla discesa
finale in prossimità dell'arrivo. Il pubblico ci
incita con campanacci, urla, applausi. Poco più
avanti, scorgo i miei amici che ci hanno seguito
in quest’avventura. La mia emozione è
fortissima e visibile a tutti. All'arrivo, la paura
del mattino lascia spazio alla felicità di avere
portato a termine la prima tappa senza alcun
problema e con la giusta carica per affrontare il
secondo giorno con più ottimismo. Giusto il tempo per racimolare le idee e le
stanche ossa ed eccoci alla mattina seguente,
nuovamente pronti per questa grande sfida. La
voglia di far bene è tanta e oggi decidiamo di
partire un pò più avanti e come sempre.... non
troppo forte..... cosa che puntualmente viene
smentita. Partenza a tutta nella stradina,
discesa con le pelli, attraversamento di ciò che
resta della diga, risalita sul ripidissimo
costolone erboso e, solo nel momento di
rimettere gli sci, mi accorgo che la nostra
partenza è stata esageratamente forte e le
energie si sono già dimezzate nonostante siamo
solo alla prima mezz'ora di gara. Con il cuore
che corre all'impazzata per l'eccessiva fatica e
la troppa foga della partenza salgo un pò
arrancando. Le gambe danno i primi segni di
dolore ma non posso mollare, non adesso!!! Tra
me e me penso che non sarebbe giusto per il mio
compagno e poi non posso ritirarmi, non l'ho
mai fatto e non voglio farlo proprio in questa
gara. Recupero il mio solito passo per
permettere alle gambe di riposare un pò e mi
accorgo che la cosa funziona: prima salita,
discesa, seconda salita, tratto a piedi, discesa e
poi inizia l'ultima salita, la più lunga e la più
difficile e in quota, che mi permetterà di
abbracciare la tanto attesa madonnina della
testa del Rutor. E poi una domanda mi assale:
ce la farò? Le gambe non collaborano sono
stanche, lente e la fatica è tanta, ma una cosa mi
consola: nessuno ci supera; ciò vuol dire che
tutto sommato la nostra andatura non è poi così
lenta e piano piano giungiamo al primo tratto di
canale a piedi con i ramponi calzati. Mi guardo
un pò in giro, cerco di recuperare energie e
riparto sapendo che in cima al canale
sicuramente troverò i miei amici ad incitarmi ed
aiutarmi psicologicamente ad affrontare gli
ultimi 300 m di dislivello della giornata. A metà
canale, infatti, comincio già a sentirne le loro
voci, gridano il mio nome e l'emozione sale. Col
pensiero mi ritrovo catapultato al sabato
precedente, al Pierra Menta, sull'anticima del
Grand Mont in mezzo a più di 3000 persone e
provo ancora quelle grandissime emozioni:
pelle d'oca e lacrime a fior di pelle! Tutto questo
tifo mi fa tirar fuori un pò di orgoglio e forza
per aumentare leggermente il passo e arrivo
alla sommità del canale volando. Ora, la
convinzione di farcela aumenta. Una bevuta,
due battute con gli amici, uno sguardo a un
panorama mozzafiato e poi via, incontro alla
tanto desiderata cima. Pochi metri e poi le
gambe ritornano un pezzo di legno e non ne
vogliono proprio più sapere, la fatica è tanta e
allora si comincia a lasciare imprecazioni al
vento tipo, “ma chi me l'ha fatto fare, questa è
l'ultima volta, non ci casco più, tutta questa
fatica non giustifica la passione, tu sei pazzo a
fare una cosa simile, al limite venivo qui a fare
il tifo ai miei amici”.... e cose simili. Senza
nemmeno accorgermene, mi ritrovo sulla vetta a
dare un bacio veloce alla tanto sognata
madonnina, uno sguardo all'orizzonte e poi giù,
più veloci possibile verso l'arrivo, verso la fine
di questo calvario. Quasi all'arrivo incontro il
mio amico Fabio che, probabilmente sotto
l'effetto dell'alcol o di non so quale sostanza, mi
incita dicendo che mi vede bene e realmente
riposato, Boh!!!!!!!!!
Queste sue parole mi fanno sorridere ma,
nonostante io sia consapevole che ciò non
corrisponda alla verità, arrivano al momento
giusto e mi aiutano a racimolare quelle ultime
forze sufficienti ad arrivare all'arrivo. Ed eccoci
finalmente sotto allo striscione d'arrivo, ci
abbracciamo e, solo allora, capisco che anche
per il mio compagno di squadra non è stata una
per il mio compagno di squadra non è stata una
passeggiata. Lo vedo particolarmente provato e
con i crampi a fior di pelle, sorrido e mi consola
sapere di non essere stato l'unico a soffrire oggi.
E’ stata una tappa veramente dura e allora
decido di fare qualche massaggio dopo pranzo e
godermi un pò di meritato riposo. Le giornate,
qui ad Arvier, volano letteralmente e in men che
non si dica, giunge il momento di preparare
l'attrezzatura per il giorno seguente ed andare a
dormire con la consapevolezza che l'indomani
sarà l'ultima tappa, forse la più bella sotto
l'aspetto alpinistico e ambientale ma soprattutto
la consapevolezza che domani, anche
strisciando, si deve assolutamente arrivare
all'arrivo e tagliare il traguardo! Già di buon
mattino una montagna di tutine colorate
invadono Planaval e l'emozione dell'ultimo
giorno è palpabile in tutti. Scruto gente tesa e
immersa nei propri pensieri, già con la testa
sotto il tanto agognato striscione d'arrivo.
Ancora pochi minuti e si parte, nessun pensiero
se non quello di farcela e portare "a casa" tutte
queste grandissime emozioni, tutte le sofferenze,
le paure, la felicità e tenerle chiuse strette strette
nel proprio cuore. Oggi, forse per inerzia, le
gambe girano bene e con la consapevolezza che
il Rutor oramai "è nostro", andiamo via leggeri
godendoci il bellissimo panorama, le montagne,
le valli e tutto quello che la natura ci offre a
questa quota. Ci siamo quasi, ancora pochi
metri e siamo giunti alla cima, via le pelli il più
velocemente possibile, una pacca sulla spalla al
mio socio un sorriso di complicità per la
consapevolezza di avercela ormai quasi fatta, un
brivido di emozione e giù a tutta fino all'arrivo
dove ad attenderci troviamo un folto pubblico e
tutti i nostri amici a sostenere i loro beniamini.
Questo Rutor mi ha dato sentimenti
indescrivibili che posso solo rivivere dentro di
me ma anche tanta fatica, attimi di sofferenza,
paura di non farcela e una montagna di
emozioni. Una gara di sci alpinismo vera per sci
alpinisti veri senza mezzi termini. È giunta l'ora
di tornare a casa, uno sguardo alle montagne,
un veloce ricordo dei tre giorni bellissimi
appena passati. Fatica? Sofferenza? Ma quando
mai. Una promessa: cascasse il mondo tra due
anni si torna al Tour du Rutor Extreme!!!!!!!
(Fabrizio Scalvinoni)
Il francese Matheo Jacquemod
al termine della terza tappa
© Fabio Menino
© Fabio Menino
GIANCARLO COSTA
SPOT MAGNIFICO | Giancarlo da anni racconta lo sport outdoor sul portale
Runningpassion.lastampa.it. Durante le gare, specie quelle in Piemonte, è facile
incontrarlo in montagna in compagnia della sua fedele tavola
“Raccontare una gara di scialpinismo come il
Tour du Rutor, percorrendo in 3 giorni oltre
5000 dei 7000 metri di dislivello previsti, non è
opera di masochismo giornalistico, visto che
c'era l'elicottero per portare in quota fotografi e
giornalisti, ma il solo modo che conosco per
trasmettere le emozioni che si provano a
correre, fare assistenza o vedere da semplici
spettatori una contesa come una gara di
scialpinismo della Grande Course. Vedere gli attacchi di Manfred Reicchegger, il
procedere sicuro in tutte le occasioni dei
vincitori Damiano Lenzi e Matteo Eydallin, il
volto
affaticato
del
giovane
Matheo
Jacquemoud letteralmente al traino del
compagno per tutta la gara e i sorrisi della
vincitrice francese Laetitia Roux, è solo un
aspetto della gara. Poi c'è la pancia del gruppo,
dove si sgomita nelle lunghe colonne nei canali
da salire con i ramponi. Infine le retrovie, dove
la fatica è tanta, le soddisfazioni agonistiche
magari poche, ma la gioia di completare un
simile percorso, che in 3 tappe fa percorrere
quasi tutte le gite della Valgrisenche, non ha
prezzo.
La Valgrisenche a fil di cielo, come racconta la
voce dello scialpinismo Silvano Gadin, la
soddisfazione di Marco Camandona, molto di
più di un organizzatore, che corona il suo sogno
di fare del Tour du Rutor una gara che non ha
niente da invidiare alla Pierra Menta, anzi forse
quest'anno si può dire che gli allievi hanno
superato i maestri francesi. Chi non ama le gare in montagna magari
continuerà a pensarla alla stessa maniera, ma
per chi ama le montagne in tutte le sue forme,
anche quella dello scialpinismo agonistico,
questi 3 giorni sono stati un magnifico spot, per
la Valgrisenche, per la Valle d'Aosta e per i
popolo dello scialpinismo. (Giancarlo Costa)
© Fabio Menino
© Fabio Menino
KATIA FORI e NICOLA ALFIERI
GIOCO DI COPPIA | Katia è direttrice di banca e Nicola esercita la professione di
Avvocato. Oltre alla passione per la corsa a piedi, dove Katia eccelle tra le migliori
specialiste italiane, da qualche anno si sono innamorati dello sci alpinismo
“Dopo aver concluso il Trofeo Mezzalama nel
2013, il Tor des Géants nel 2010 e il Tour du
Rutor nel 2012, avevamo chiuso un cerchio
indimenticabile, per i posti attraversati (amiamo
la Valle d’Aosta) e per le emozioni provate. Ma
quando nell’inverno 2014 ci si è presentata
ancora l’opportunità di partecipare alla gara
scialpinistica della Valgrisenche non abbiamo
saputo resistere. Così, il 27 marzo, ci siamo
ritrovati ad Arvier a rincontrare gli amici co-
nosciuti in tanti anni di attività. Il Rutor è una
gara molto impegnativa, non solo per i dislivelli
da affrontare e le parti alpinistiche mai banali
ma, soprattutto, perché si svolge a coppie e
prevede tre tappe. Vivere per interi giorni in
completa simbiosi con il tuo compagno
d’avventura, affrontando spesso difficoltà a cui
non si è abituati, non è banale. La nostra
fortuna è che la nostra squadra, essendo noi
sposati, funziona bene ed è affiatata. In quei gi-
orni il pensiero è rivolto più al compagno che a
te stesso, più alla sua fatica che alla tua e oltre
alla tua fatica ti fai carico anche della sua.
Però, dall’altro canto, anche la gioia di
superare insieme i momenti di difficoltà
raddoppia, è tutto amplificato per due.
Personalmente ho sofferto molto il primo
giorno, non avevo le gambe e neanche la testa.
Ho finito la tappa solo grazie a Nicola che mi ha
supportato (e sopportato) tutta la gara. Le parti
si sono invertite nel secondo giorno, quando
Nicola ha avuto una bella crisi nella lunga
salita che porta in vetta al Rutor. Io ho cercato
Tadei Pivik alla partenza della
terza tappa (5° assoluto)
in tutti i modi di farmi carico materialmente e
psicologicamente di tutto quanto fosse nelle mie
possibilità e la sua capacità è stata quella di
farsi aiutare. Finalmente, il terzo giorno, è stata
l’apoteosi; sole, creste, neve e noi due che
nonostante la stanchezza trovavamo anche la
forza di ridere e scherzare tra di noi e con i
volontari. La giornata è scivolata via veloce ed
è stata fantastica. Arrivare insieme sotto il
gonfiabile dell’arrivo, la dimostrazione di
avercela fatta anche questa volta, è stata la
felicità allo stato puro. Quindi, grazie Rutor,
arrivederci al 2016. (Katia Fori)
© Fabio Menino
Damiano Lenzi e Matteo
Eydallin nell’ultima discesa
della seconda tappa
L’austriaco Jacob Herrmann e
il tedesco Philipp Reiter
(11° assoluti)
© Fabio Menino
© Fabio Menino
Photo© Fabio Menino
© Fabio Menino
MAURIZIO TORRI
PASSIONE PER L’EXTREME | Maurizio è l’ideatore e il gestore del portale
Sportdimontagna.com, un riferimento per tutti gli appassionati. Da questa stagione, ha
anche creato il primo TG televisivo sugli sport outdoor.
“Difficile dire quale sia stato il momento più
significativo del mio primo Tour du Rutor da
dietro le quinte. Sarà perché la gara della
“Valgrisa” è da sempre la mia preferita, sarà
per l’amicizia che mi lega allo staff dello Sci
Club Corrado Gex, sarà per i tracciati
mozzafiato, sarà per la grande passione della
sua gente che è riuscita a fare crescere e
migliorare l’evento edizione dopo edizione…. ma mi trovo davvero in difficoltà nel rispondere a questa domanda.
Non so, forse è troppo facile sciorinare un
aneddoto sulla gara, o sulle performance degli
atleti. Pensandoci bene, una delle cose che più
mi ha colpito è stata la degustazione del sabato
sera. Molte volte ho sentito parlare
dell’importanza di legare un evento al territorio.
Molte volte ho sentito politici locali riempirsi la
bocca con concetti quali "sport come volano per
la promozione turistica delle aree alpine”…. Ne ho sentito parlare appunto, ma ben poche
volte ho visto una Valle unita e coesa nella
presentazione e promozione delle proprie
eccellenze. E proprio qui sta la bravura del
comitato organizzatore. Già perché non è cosa
facile radicare nelle persone e dei non sportivi
la consapevolezza che una kermesse del calibro
del TDR fosse un’occasione d’oro. Una di
quelle che non si possono lasciare sfuggire.
Lo scialpinismo vero, quello “ uro e puro”, quello fatto di gare tecniche, di salite
massacranti, discese mozzafiato, ripidi couloir e
creste esposte, non andrà mai alle olimpiadi. Lo
sappiamo, ma ci viene anche da dire “chi se ne
frega”. A noi le gare come il Tour du Rutor
piacciono proprio purché sono EXTREME.
Perché fanno sognare la gente, perché fanno
muovere il pubblico e perché riescono a
coinvolgere la persone del posto. Siano essi
contadini, viticultori, negozianti o alunni delle
scuole”. (Maurizio Torri)
© Fabio Menino
MIREIA MIRÓ VARELA IL RITORNO | Nonostante abbia solo 26 anni, quest’anno Mireia si è ritirata dalle
competizioni. In carriera ha già vinto tutto, tra cui due edizioni del Rutor, nel 2012 con
Laetitia Roux e nel 2011 con Gloriana Pellissier. Per la gara valdostana, è tornata a
correre con la connazionale Marta Riba.
“Una delle cose che ho amato di più del Tour du
Rutor è stata la sensazione che avrò sempre il
mio piccolo posto nel mondo delle corse. Grazie
a tutte le persone che mi fanno sentire così
amata, siete una grande famiglia!
Nella
seconda tappa abbiamo combattuto per il terzo
posto fino all’ultima salita, ma poi io ho iniziato
ad accusare la stanchezza... mi sono sentita
fortunata di avere Marta con me.
Alla fine, è stato molto piacevole finire la
settimana e la gara con il terzo posto di tappa e
il quarto nella classifica generale. Marta è stata
un’ottima compagna di squadra durante questi
tre giorni in cui ho sofferto, ma anche dove ho
provato un piacere immenso nel tornare in
questi luoghi”. (Mireia Mirò)
© Fabio Menino
© Fabio Menino
TERZA TAPPA © Fabio Menino
© Fabio Menino
Matteo Eydallin e Damiano
Lenzi dopo il successo finale
© Fabio Menino
I francesi Matheo Jacquemon e
William Bon Mardion
all’arrivo a Planaval
© Fabio Menino
STEFANO JEANTET
PAROLA ALLE IMMAGINI | Ex atleta di biathlon e sci di fondo, Stefano ha ha
conciliato il suo lavoro di maestro di sci e di guida con la passione per la fotografia. E’
riuscito ad immortalare alcuni passaggi con immagini a dir poco stupende
“Il Tour l’ho vissuto attraverso un
obiettivo fotografico, il mio primo
pensiero è stato “Chi ve lo fa frate?????
“ Mentre l’ultimo è stato “Aaaahhhhh….
adesso ho capito, fantastico!!!!!!!”
Sono un uomo di poche parole che si
esprime con le immagini.”. (Stefano Jeantet)
© Fabio Menino
© Fabio Menino
Dall’usus al cottet fino alla Consorterie de
Planaval e ai tsafiòi, storia di una
rivendicazione popolare
TERRENI E CAMINI | Alle origini della suggestiva frazione della Valgrisenche che
ospita la tappa conclusiva del Tour du Rutor
di Fabio Menino
Quando sulla linea d’arrivo della tappa
conclusiva del Tour du Rutor, lo speaker Silvano
Gadin ha speso parole di apprezzamento nei
confronti del villaggio di Planaval, accostandolo
al principato di Andorra, sede abituale di grandi
appuntamenti dello sci alpinismo, ammetto che
sul momento non ho prestato particolare
attenzione al suo discorso. Solo dopo essere entrato nelle piccole vie della
frazione, ammirandone le costruzioni, le sue
parole mi sono ritornate in mente e ho cercato di
approfondire la questione. In effetti, anche se
non si può parlare di principato a tutti gli effetti,
la lunga storia di Planaval ha portato a qualcosa,
per certi versi, di abbastanza simile. A Planaval vi ero già stato nel 2012 sempre in
occasione del Rutor. Anche all’ora, la vista di
questo caratteristico villaggio sito a 1.557 metri
di quota, ai piedi del Ruitor ed ai margini del
vasto pianoro che gli ha conferito il toponimo,
ha suscitato in me una sensazione
particolarmente gradevole, soprattutto se messa
in relazione con i ripidi scorci che offre la prima
parte della Valgrisenche. Scoprirne a grandi
tratti la storia, devo ammettere che è stato
altrettanto piacevole.
A ridosso del suo grande prato, quello da dove è
partita l’ultima tappa del Rutor, vi è una
costruzione che più di ogni altra porta indietro
nel tempo. Si tratta della casa forte di Planaval,
nota anche come casa forte dei Signori d'Avise o
casa forte di Rodolfo d'Avise, la cui costruzione
risale all’inizio del 1300. La famiglia de Avisio (d’Avise), alla quale i
Savoia avevano riconosciuto, sin dal 1243, la
dominazione sul feudo, precedentemente
riferibile al vescovo di Aosta, esercitava il suo
potere sui territori ad occidente del corso
d’acqua della Valgrisenche, tra i quali quelli di
Planaval. Un tempo, lo sfruttamento dei terreni
rappresentava una delle maggiori forme di
sostentamento delle piccole comunità di
montagna. Prima dell’avvento delle Signorie,
nel XIV secolo, la piccola proprietà privata, con
caratteristiche molto simili all’attuale, era
ampiamente diffusa su tutto il territorio
valdostano. Tuttavia, le vicende legate all’istituto della
proprietà privata mutarono con l’avvento delle
Signorie. Ciascun feudatario, in virtù della sua
nomina, diveniva l’unico titolare di ogni piccolo
appezzamento
compreso
nella
propria
giurisdizione,
limitando
fortemente
il
mantenimento dei propri terreni in capo ai
singoli. L’opera di “esproprio” globale da essi
compiuta, estingueva completamente la figura
della proprietà privata. Il Re richiedeva al
proprio feudatario di gestire l’appezzamento
concessogli: tra i compiti riconosciutigli
sussisteva quello di sfruttare al massimo i
terreni. Per adempiere a tale incarico il Signore,
a sua volta, imponeva alle comunità locali
l’amministrazione dei terreni: ai membri della
comunità era in effetti concessa la possibilità di
trarre
sostentamento
direttamente
dagli
appezzamenti baronali, mediante coltivazioni,
sfruttamenti e trasformazioni. Tali rapporti
venivano regolati attraverso l’istituto dell’usus.
Quest’ultimo permetteva alla comunità di
coltivare i terreni del Signore e di trattenere
quanto necessario per la propria sopravvivenza;
parte del raccolto veniva invece riscosso dal
feudatario come forma di censo per la relativa
concessione. L’istituto in questione godeva di
caratteristiche molto simili all’attuale diritto
d’uso e a quelle del contratto d’affitto (locazione
dei terreni).
La costituzione di diritti d’uso era abituale
anche a Planaval, dove i piccoli appezzamenti
venivano infeudati sia ai privati che alla
comunità nel suo complesso, intendendo per tale
l’intero quartier dessus, comprensivo delle
frazioni di Planaval, Chez-les-Roset, La Clusaz,
Revers e Chez-les-Gex. La scarsa conoscenza
della scrittura, limita fortemente la presenza di
fonti storiche che testimonino oggi questa realtà.
I documenti esistenti si riferiscono più che altro
al periodo di decadenza delle Signorie (seconda
metà del 1700). Tali testimonianze si traggono
maggiormente dagli actes de reconnaissance,
strumenti siglati per “rinnovare” il rapporto
instauratosi mediante la stipulazione dell’usus.
A tal proposito, il feudatario richiedeva che
l’atto venisse accompagnato da una redevance,
un’ imposta in denaro o sotto altra forma, da
corrispondere oltre al censo, in segno di
“riconoscenza” verso il Signore per aver
concesso la possibilità di coltivare i suoi terreni.
Il feudatario richiedeva la sottoscrizione degli
actes de reconnaissance soprattutto in occasione
di eventi eccezionali o a carattere personale,
come ad esempio nascite, nozze, banchetti, che
necessitavano di forte liquidità. La decadenza
quasi definitiva delle Signorie e la perdita
continua di potere rendeva questa pratica
particolarmente diffusa soprattutto nella seconda
metà del XVIII secolo, con l’obiettivo appunto
di estorcere quanto più possibile dai contadini.
Dai documenti si evince inoltre, che l’istituzione
dell’usus veniva principalmente concessa dai
Signori locali, ma non in maniera esclusiva. Le
istituzioni della Chiesa, soprattutto nel periodo
di lotta per le investiture, avevano acquisito
forte
potere
nel
regno
ottenendo,
conseguentemente, potere amministrativo in
talune giurisdizioni. Nel territorio di Planaval il parroco di Avise
possedeva alcuni proprietà che venivano
concesse in uso alla comunità nel suo
complesso. I territori in questione, come risulta
dall’acte de reconaissance del 25 agosto 1744,
erano le Bois de l’ Allée, Entre les Aigues, la
Lyabel, la Cotaz de Marco, ai giorni nostri in
parte di proprietà della “Consorteria di
Planaval”.
Il Signore di Avise, invece, era proprietario dei
seguenti terreni, concessi in uso al quartier de
Planaval con i successivi actes de
reconnaissances: les Crêtes et Confession, (un
tempo
entrambi
probabilmente
indicati
comunemente Crêtes); un artifice de moulin dit
le moulin dessus; praz du moulin, Cloz e les
arbéz.
Allo stesso va inoltre attribuita la proprietà dei
terreni delle Crettettes per il quale non sono stati
rinvenuti actes de reconnaissance, ma risulta in
possesso della collettività dal Régistre des
propriétes del 1783. Dall’analisi complessiva di
questi documenti (actes de reconnaissance e
registri) è possibile individuare, anche se in
maniera del tutto approssimativa corrispondenza
con attuali possedimenti della “Consorteria de
Planaval”. Nel territorio regionale, l’attività esplicata da
Carlo Emanuele III per recuperare autorità,
costò al ducato di Aosta la perdita della antiche
libertà e franchigie, ma fu tuttavia diretta a far
scomparire l’ineguaglianza civile mediante
importanti riforme (fu questo l’aspetto positivo
dell’assetto reale). Con le lettere patenti del 24
novembre del 1764 fu creata la Royale
Délégation che negli anni 1768 e 1769 istituì il
catasto in vista della perequazione fondiaria,
cioè la ripartizione delle imposte in base alla
quantità di beni fondiari posseduti da ciascuno.
Quest’ultimo venne istituito anche per la
comunità di Leverogne e vi risultavano iscritti
quali possessori (e non proprietari) dei terreni
del bois des Crêtes e le Crettettes, le comunità
dei villaggi di Planaval, Chez-les-Roset, Chezles-Gex, Revers e la Clusaz. Inoltre, va
sottolineato che, nel successivo Régistre des
propriétes costituito nel 1783, tra i beni del
signore de Blonay figurava la presenza del
territorio delle Crettettes: è probabile che le
quartier de Planaval sfruttasse ancora quel
terreno come feudo di diritto privato
(possessori), trattandosi di proprietà baronale;
nello stesso alla comunità di Planaval risultano
invece intestati soltanto il mulino ed il forno. Un altro compito della Royale Délégation fu
l’accertamento degli affrancamenti dei censi,
imposto con un editto del 1784. I comuni
(formati di recente) e i singoli furono così in
grado di liberarsi dai canoni feudali dovuti al
signore versando un capitale stabilito e
diventando così pieni proprietari dei terreni e
degli altri beni quali acque per l’irrigazione,
mulini, forni ecc.. La comunità di Planaval nel
1789 viene iscritta nel registro dei cottet
(debitori) del Signore de Blonay. Il cottet
rappresentava la somma necessaria da versare al
fine di acquisire la piena proprietà dei fondi e
liberarsi dai canoni feudali. Già a partire dal
registro del 1790, Planaval non risulta più
iscritta nell’ elenco dei debitori, essendo riuscita
autonomamente ad adempiere all’imposta
affrancatagli. Ciò nonostante, quello stesso
anno, la Comunauté d’Arvier (Comune) registra
a suo nome, nel catasto comunale, la proprietà
dei beni del bois des Crêtes, del mulino e del
forno. Pur sospettando una sorta di abuso
tenendo conto della qualità degli appezzamenti,
l’errata iscrizione si giustifica per la singolairtà
della vicenda della “Consorteria de Planaval”: è
in effetti raro constatare su tutto il territorio
valdostano la presenza di agglomerati cittadini
che abbiano adempiuto autonomamente al
proprio censo, acquisendone, pertanto, la piena
proprietà.
Al fine di modernizzare il più possibile il regno
assoluto di Carlo Emanuele III, la Royale
Délégation aveva in effetti disposto che, nel
caso in cui il singolo o le piccole comunità di
villaggio non fossero riuscite ad adempiere
autonomamente al “riscatto”, il Comune avrebbe
dovuto contribuire a saldare l’imposta
affrancata, diventando così proprietario al
cinquanta per cento (il restante al singolo o alla
comunità inadempiente). L’erronea iscrizione
del terreno del bois des Crêtes, del mulino e del
forno, si risolse nel 1812, quando i detti
appezzamenti vennero intestati correttamente a
nome dei Plan-alèn. La correzione è
probabilmente da attribuire all’intervento della
Royale
Délégation,
la
quale
cessò
definitivamente la propria attività nel 1822.
Inoltre il periodo si caratterizzò per la perdita
definitiva del potere amministrativo da parte
delle Signorie locali, potere che veniva affidato
ai
comuni
recentemente
istituiti.
In
ottemperanza a quest’opera di ammodernamento
il Signore de Blonay perse completamente le
funzioni reali sul territorio del feudo ad esso
concesso, cedendo il passo ai comuni di Arvier
ed Avise. A partire da queste vicende (in
particolar modo la caduta delle Signorie e
l’avvento dei comuni, che abolirono le antiche
forme di ressort e dei quartier), è ipotizzabile la
nascita della Consorterie, volta appunto a
mantenere l’amministrazione di questi terreni
comuni. Nel corso degli anni, i terreni della “Consoteria
de Planaval” furono oggetto di vicende
giudiziali, inerenti soprattutto alla continua
rivendica della proprietà du bois des Crêtes. Nel
1923 lo Stato Italiano, al fine di diventare unico
proprietario dei beni ancora in comune con i
privati, sancì la liquidazione dei “restanti usi
civici”, ovverosia l’acquisto delle comproprietà
venutesi a creare in seguito al mancato
“riscatto” autonomo dell’affrancamento del
censo. Problemi inerenti alle proprietà della
“Consoteria de Planaval” non sarebbero dovuti
sorgere, visto che risultava dagli atti il suo
corretto adempimento autonomo e la successiva
correzione dell’intestazione catastale del 1812.
Nonostante ciò, nel 1923 il bois des Crêtes
venne nuovamente intestato al Comune di
Arvier in comproprietà con la Communauté de
Planaval. Onde evitare la perdita del bene in questione,
divenne necessario rivendicare, presso il
commissario per la liquidazione degli usi civici,
la proprietà di tale appezzamento. Dopo la
presentazione dell’istanza da parte della
Communauté de Planaval, il commissario per la
liquidazione, nominò il geometra Luigi Richard
incaricato di individuare il legittimo proprietario
del bois des Crêtes. Il professionista, individuò
quali unici proprietari della zona in questione,
gli abitanti di Planaval. Nel 1940, in seguito a
tale dichiarazione, il Comune e la Consorterie si
conciliarono. La Consorterie ottenne, infine, il
titolo per l’iscrizione catastale a suo nome del
bois des Crêtes.
Il 17 aprile 1955, con atto del Notaio Mario
Norat, viene costituito il consorzio denominato
“Consoteria de Planaval” che comprende i
seguenti terreni: Bois des Crêtes et Bois de l’
Allée; Bois des Crêtettes; Confession; Tchamon;
La Becca.
L’articolo 4 dello Statuto disciplina i requisiti
degli aventi diritto alla “Consoteria de
Planaval”. Quest’ultimo individua quali membri
della consorteria gli abitanti della frazione
stessa, proprietari ed usufruttuari, nonché tutti i
proprietari di fabbricati ad uso abitativo siti
nella medesima frazione. La sola proprietà di
terreni se non accompagnata dalla dimora o
dalla proprietà di fabbricati non può dar diritto
ad essere consorzista. L’articolo formalizza il
concetto consuetudinario di “tsafiòi” mediante il
quale si individuano i membri della “Consoteria
de Planaval” basandosi sui camini, quale
elemento essenziale di un fabbricato abitabile.
Inoltre, l’articolo in questione è fortemente
legalo agli actes de reconnaissance dove già al
tempo si parlava esclusivamente di abitanti.
In seguito alla promulgazione della legge
regionale n. 14 del 1973, la Consorterie nel
1987, ottenne con decreto emesso dal presidente
della giunta, la qualifica di Consorteria pubblica;
qualità essenziale che permette oggi di applicare
a quest’ultima la disciplina degli enti pubblici.
© Fabio Menino
© Fabio Menino
Laura Besseghini all’arrivo di
Planaval
(2° femminile)
© Fabio Menino
© Fabio Menino
Francesca Martinelli all’arrivo
di Planaval
(2° femminile)
© Fabio Menino
© Fabio Menino
Le bandierine del volontario
IL RUTOR CHE COLORA LE MONTAGNE | A primavera inoltrata, la malinconia di
una stagione invernale che sta per terminare si unisce alla consapevolezza di dover
aspettare altri due anni per il prossimo Rutor. Noi cercheremo di esserci…
di Fabio Menino
Dopo due giorni di sci, per la tappa conclusiva
del Rutor ho deciso di rimanere al traguardo con
l’intento di fotografare gli atleti alla partenza e
all’arrivo. Mi piace l’idea di cercare qualche
particolare come ila gioia e la fatica scolpite sul
viso dei protagonisti. Sono già trascorse quasi tre ore dall’arrivo dei
primi concorrenti e decido di risalire l’ultimo
tratto del percorso per osservare qualche altro
atleta da una prospettiva differente.
Prima dell’ultimo rettilineo c’è una leggera
curva verso sinistra e un piccolo salto causato
dal ponticello che attraversa il fiume. In questo
preciso punto, la svizzera Maude Mathys è finita
diritta giù nel pendio, forse stremata dal ritmo
che le ha imposto la compagna Laetitia Roux in
queste tre giornate. Mi siedo al sole e
incomincio a scattare cercando le regolazioni
migliori della mia macchina fotografica. Vedo alcuni atleti che sbagliano strada poco
prima del ponte. Si tratta di pochi metri ma
questo li costringe ad attraversare una lingua di
prato. Quelli che seguono fanno lo stesso e
decido di risalire nel punto incriminato per
risistemare meglio le bandierine segnaletiche. Al
solo pensiero che questi ragazzi debbano fare
uno sforzo aggiuntivo quando vedono il
traguardo sotto di loro non mi fa stare tranquillo.
Uno alla volta, vedo passare anche Nico, Katia e
Nicola. Provo tanta emozione per loro perchè
immagino che, dopo quanto hanno ammirato nei
tre giorni, questi ultimi metri di gara per loro
saranno qualcosa di straordinario. Me li
immagino mentre, nel loro intimo, si fanno i
complimenti a se stessi per aver portato a
termine una prova di questo tipo.
Arriva anche un signore a piedi e in mano tiene
uno sci spaccato in due. Intuisco che abbia
prestato assistenza a qualche atleta perché nell’
Altra mano tiene uno sci di una marca
differente. Scatto ancora qualche fotografia
sull’arrivo, cogliendo un rituale che accompagna
tutti gli atleti; chi precede, si ferma sulla linea
delimitata dall’ultimo arco gonfiabile, attende il
suo compagno e poi gli stringe la mano o
l’abbraccia prima di concludere la gara. E’ un
qualcosa che si ripete da più di cinque ore e che
ha coinvolto tanto i giovani quanto i grandi,
tanto i primi quanto gli ultimi concorrenti che
sto ammirando.
All’appello manca ancora Enzo e mi affretto a
tornare al traguardo perché il suo arrivo voglio
immortalarlo da davanti. Con piacere ascolto la
voce ormai roca di Silvano Gadin che in modo
professionale continua imperterrito nel suo
lavoro, trovando la parola giusta per chiunque
attraversi il traguardo.
All’improvviso, mi accorgo che la scena sta di
colpo cambiando, quasi in modo malinconico. I
volontari hanno incominciato a srotolare i tanti
striscioni pubblicitari presenti e la scena perde
di colore. Dall’alto, vedo anche arrivare un
ragazzo che stringe tra le braccia un grosso
fascio di bandierine rosse. Probabilmente è un
rituale che è accaduto anche nei due giorni
precedenti ma quello di oggi decreta la fine di
un’altra edizione del Rutor ed è per questo che
porta con se un certo qual senso di malinconia.
Penso a queste belle montagne che il prossimo
inverno vedranno come al solito molti
appassionati risalire con gli sci i loro pendii ma
penso anche che ci vorranno altri due anni per
riassaporare i profumi e ammirare i colori del
Tour du Rutor.
Finalmente arriva anche Enzo e mi ritorna
l’allegria. Lo vedo felice e soddisfatto di se
stesso. E uno degli ultimi concorrenti ma qui al
Rutor, senza nessuna demagogia come spesso si
usa, questo dettaglio è veramente insignificante.
Lunga vita al Rutor e a tutti i suoi colori.
© Fabio Menino
© Fabio Menino
© Fabio Menino
N° 2 - GIUGNO 2014 – DIFFUSIONE GRATUITA
© Paolo Secco