CARE COLLINE 21/09/1946 Care lettrici, osservatrici, ascoltatrici. Care Colline, vi lascio un altro frammento di me, lo lascio ai vostri venti, alle acque, alle foglie ormai secche e ingiallite. Vi lascio queste mie parole, questa lettera, ennesima ma ultima. Parto, mi ospiteranno lontani cugini. Parto per l’Argentina: amo il suono di questa parola, risuona un' eco di libertà ogni volta che la pronuncio. Un addio, un arrivederci. Vi saluto. Saluto voi, osservatrici d’infanzia, di adolescenza; ascoltatrici di pensieri rumorosi, di pianti su quel ramo. Per anni ho sognato e sperato di volare via, come uno dei vostri uccelli solitari, e abbandonare tutto, avere una nuova vita, dimenticare. Vorrei poter selezionare i ricordi, scordare quelli più duri. E le immagini crude fisse negli occhi, attimi immortalati, infiniti. Poter essere una nuova me. Spensieratezza. Ed ora? Ora la malinconia mi prende e si fa sentire, care Colline, anche un po' di timore. Dove troverò rifugio in una grande città? A chi rivolgerò i dubbi, a chi permetterò di ascoltare i singhiozzi? Forse è il momento, forse la paura del cambiamento e il non sapere ciò che mi aspetta, ma ora che sto partendo e vi saluto, saluto anche la mia giovane età, fatta di alti e bassi, che avete seguito passo dopo passo; e adesso che mi sono allontanata da lei, dall'adolescenza, voglio ricordarla felice, gioiosa. Voglio sapermi ricordare come una giovane tra tante, comune, lontana dalla crudeltà umana. Vi lascio, abbandono, i ricordi di Guerra. Vi lascio la partenza di un padre coraggioso che non ha mai fatto ritorno. Lo ricorderò tra le vigne, tra i grappoli maturi che non mi permetteva di assaggiare. “Masnò, el vin l’è mac per i grand”, diceva, e la mia impazienza di crescere aumentava. Vi lascio la disperazione di mia madre di fronte a un comune pezzo di carta, un telegramma che ancora porta con sé, nella speranza di poter accettare, un giorno, la scomparsa di un amore. La ricorderò con la farina sul grembiule, le mani nella pasta dei futuri agnolotti domenicali. Vi lascio la fame, il terrore, il frastuono degli aeroplani, lo scarso raccolto, la prigionia nella mia stessa camera. Aria, cielo, nocciole, campi, vigne, care Colline, quanto vi ho desiderate, sognate, ripromettendomi che sarei tornata a correre, a rifugiarmi sotto i vostri alberi. Voglio ricordare i momenti trascorsi in vostra compagnia! Come quella volta in cui ho portato Lui, la prima volta intendo, sull'albero proibito, sul mio ramo. Nonostante la paura che dominava i nostri spiriti, quel timore che più volte ci aveva costretto a rimandare. Ma un giorno d’estate, forse più grigia di quelle passate, che pareva sereno, raccogliemmo coraggio e impulsività adolescenziale e decidemmo di incontrarci in alto, tra i vostri –ma oramai appartengono anche a me- rami. E stava lì. Zitto. Mi guardava, mi osservava, tanto che pensai mi leggesse dentro. Poi si avvicinò, rimase fermo, a respirarmi i capelli. “Potrei innamorarmi di te solo per il tuo profumo”. Disse, sorrise. Nacque un amore, uno di quelli che non si perde mai, e sbocciò qui, tra le tue foglie. Ma marcì lontano, sull'orlo di una strada. “Torino”, disse. “Scappo a Torino”. “Portami con te”, provai il desiderio di dire, di urlare. Ma la gola rimase muta. Annuii. Mi lasciò lì, con gli occhi bassi e il cuore a pezzi. Un amore come pochi, quante volte ve ne ho parlato. Gli occhi piccoli, le mani grandi e le labbra scure. Ricordate? Lascio nelle vostre mani i ricordi migliori e quelli più tristi, le prime volte, le ultime, i litigi, le lacrime, le risate, gli amici, l’”odi et amo”. A voi, amiche fedeli. Vi saluto, vi dico arrivederci, perché non si sa mai dove porti la vita. Abbandono questo pezzo di carta alle acque, al vostro Belbo, ne farò una barchetta, una di quelle che facevo così bene da bambina. Mi tuffo ad occhi chiusi e a braccia aperte in un futuro buio, in una vita tutta nuova. Argentea. Arrivederci care colline, arrivederci. Elena Branda III C LICEO SCIENTIFICO G. GALILEI- NIZZA MONFERRATO
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