Mario De Caro - David Macarthur Naturalismo scientifico e naturalismo liberalizzato∗ I. «La scienza è la misura di tutte le cose, di quelle che sono per ciò che sono e di quelle che non sono per ciò che non sono».1 Con questa parafrasi del celebre motto protagoreo, all’inizio degli anni Sessanta Wilfrid Sellars compendiava il naturalismo scientifico, una concezione che da allora ha conosciuto enorme fortuna nell’ambito filosofico di matrice analitica, al punto da divenire largamente maggioritaria. In questa luce, non sorprenderà che, in riferimento a tale concezione, il termine ‘svolta naturalistica’ si stia ormai imponendo come nuova categoria storiografica.2 Il naturalismo scientifico è oggetto della pars destruens del presente volume, che nella sua pars construens propugna invece (da una pluralità di punti di vista) una forma alternativa di naturalismo, più aperta e pluralistica, che chiameremo naturalismo liberalizzato.3 Naturalismo scientifico e naturalismo liberalizzato condividono alcune tesi fondamentali. Entrambe queste concezioni negano che la filosofia possa appellarsi legittimamente a entità, proprietà e processi soprannaturali ed ambedue rigettano la tradizionale tesi secondo la quale la filosofia è una forma privilegiata di sapere, in grado di fondare tutte le altre. Tra il naturalismo scientifico e quello liberalizzato vi sono, tuttavia, anche profonde differenze. Queste due concezioni divergono, in primo luogo, rispetto alla definizione del rapporto che deve intercorrere tra la filosofia e la scienza: per il naturalismo scientifico tra filosofia e scienza non può che esservi continuità (una continuità che, in linea di principio, potrebbe sfociare nel completo assorbimento della filosofia da parte della scienza); per il naturalismo liberalizzato tra filosofia e scienza deve intercorrere piuttosto un nesso di compatibilità. Come ampiamente argomentato nei ∗ Introduzione di La Mente e la natura, Fazi, Roma 2004 (si tratta della traduzione italiana di M. De Caro - D. Macarthur (a cura di), Naturalism in Question, Harvard University Press, Cambridge (MA) 2004), antologia con saggi di B. Stroud, J. Dupré, H. Putnam, H. Price, J. McDowell, D. Macarthur, A. Bilgrami, D. Davidson, J. Hornsby, M. De Caro, S.L. White, C. Rovane, E. Kelly, S. Cavell. 1 W. Sellars, “Empiricism and the Philosophy of Mind”, in Science, Perception and Reality, London, Routledge, 1963, p. 173. 2 Cfr., per esempio, B. Stroud, “Il fascino del naturalismo”, in questo volume, p. 00 e W.L. Craig J.P. Moreland, Naturalism. A Critical Analysis, London, Routledge, 2000, p. 12. 3 Questa denominazione ci pare più adatta, per la concezione difesa in questo volume, di quanto non lo siano i possibili calchi delle corrispondenti denominazioni inglesi (come ‘broad’ o ‘expansive’ o ‘liberal’ o ‘common sense naturalism’); e ciò sia per questioni eufoniche o di non perfetta corrispondenza semantica tra i termini inglesi e quelli italiani sia perché ‘naturalismo liberalizzato’ richiama la cosiddetta ‘fase liberalizzata dell’empirismo logico’, che fu appunto la fase in cui quella concezione si fece più aperta ed epistemologicamente tollerante (cfr. P. Parrini, L’empirismo logico. Aspetti storici e prospettive teoriche, Roma, Carocci, 2002). saggi di questa raccolta, inoltre, il naturalismo liberalizzato si distingue da quello scientifico sia per la più inclusiva interpretazione di cio che è ‘naturale’ (e, conseguentemente, per una più limitata interpretazione di ciò che è ‘soprannaturale’) sia per la concezione più liberale dello statuto della scienza, del suo oggetto e dei suoi metodi. Sebbene, come detto, il naturalismo scientifico sia oggi ampiamente maggioritario, la discussione tra i fautori di queste due forme di naturalismo si è fatta via via più serrata, coinvolgendo i maggiori filosofi di estrazione analitica, come Quine, Fodor, Dennett e Chomsky (per il naturalismo scientifico) e Davidson, Putnam, Stroud e McDowell (per quello liberalizzato). In questa prospettiva, la traduzione italiana di questo volume sembra giungere a proposito per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, auspicabilmente esso contribuirà al proseguimento del dibattito sulle prospettive del naturalismo che, sia pure con molto ritardo, si è finalmente sviluppato anche da noi 4 (di fatto, sino ad anni recenti, l’endemica influenza sulla nostra cultura di prospettive antinaturalistiche di varia ispirazione aveva marginalizzato le discussioni metafilosofiche sulle prospettive del naturalismo e, più in generale, sulla relazione tra filosofia e scienza). Inoltre questo volume può forse svolgere una funzione nel dibattito filosofico italiano anche per una seconda ragione: ossia per la peculiare forma di naturalismo che esso difende, alternativa tanto al naturalismo scientifico quanto all’antinaturalismo. Nel nostro contesto filosofico, in effetti, il naturalismo liberalizzato non è ancora sufficientemente conosciuto e apprezzato; anzi, tradizionalmente, molti filosofi italiani si sono arrocati o su posizioni di retriva antiscientificità oppure – ma in misura molto minore, e per una reazione in parte comprensibile – su un’acritica accettazione della tesi del primato epistemologico ed ontologico della scienza. A lungo, dunque, la discussione italiana sui rapporti tra filosofia e scienza si è mossa all’interno della mesta alternativa tra un obsoleto antinaturalismo e un acritico scientismo. Questo volume si propone di dimostrare che, in questo caso, tertium datur. 4 Cfr., tra gli altri, N. Vassallo, La naturalizzazione dell’epistemologia. Contro una soluzione quineana, Milano, Franco Angeli, 1997; E. Agazzi, N. Vassallo (a cura di), Introduzione al naturalismo filosofico contemporaneo, Milano, Franco Angeli, 1998; D. Marconi (a cura di), Naturalismo e naturalizzazione, Vercelli, Edizioni Mercurio, 1999 (con saggi di D. Marconi, D. Koppelberg, N. Vassallo, M. Pera, M. Di Francesco, M. Frixione, V. Tommaso e A. Lenci, A. Voltolini, A. Coliva, P. Donatelli); N. Vassallo, Teorie della conoscenza filosofico-naturalistiche, Milano, FrancoAngeli, 1999; A. Pagnini, Teoria della conoscenza, Milano, Tea, 1995; S. Nannini, “Naturalismo e individualismo metodologico”, in W. Asholt, S. Kanngießer (Hrsg.), Literatur, Sprache, Kultur. Studien zu Ehren von Lothar Knapp, Osnabrück, Secolo, 1996; D. Marconi, Filosofia e scienza cognitiva, Roma-Bari, Laterza, 2001; N. Vassallo, Conoscenza e natura, Genova, De Ferrari Editore, 2002; P. Parrini (a cura di), Conoscenza e cognizione. Tra filosofia e scienza cognitiva, Milano, Guerini, 2002; S. Nannini, “Seconda natura o naturalismo crudo? Una critica a John McDowell”, in R. Egidi, M. Dell’Utri, M. De Caro (a cura di), Normatività, fatti, valori, Macerata, Quodlibet, 2003, pp. 97-104. II. Nel corso della storia della filosofia, il termine naturalismo è stato applicato a un gran numero di concezioni: da quelle dei filosofi ionici all’aristotelismo all’epicureismo, dal panteismo di Telesio, Bruno e Campanella allo spinozismo, dalla filosofia scozzese di Hume, da una parte, e di Reid, dall’altra, al positivismo ottocentesco, dal pragmatismo all’empirismo logico. Da molti punti di vista, queste concezioni sono molto differenti tra loro e anche rispetto alle forme contemporanee di naturalismo. Tuttavia – come nota Hilary Putnam nel suo saggio in questo volume – il naturalismo scientifico ha alcuni importanti elementi in comune con il positivismo ottocentesco, al punto da poterne essere considerato una versione aggiornata e più rigorosa.5 Il naturalismo liberalizzato, invece, incorpora alcuni importanti elementi della tradizione pragmatista e persino alcuni elementi del naturalismo aristotelico. Sui debiti del naturalismo liberalizzato verso il pragmatismo e l’aristotelismo hanno tuttavia scritto diffusamente Hilary Putnam e John McDowell, in volumi facilmente reperibili anche nella nostra lingua.6 In questa sede, allora, è forse più utile dare qualche cenno sul nesso di continuità tra naturalismo scientifico e positivismo ottocentesco, che viene appena accennato da Putnam nel suo saggio im questa raccolta. Secondo Putnam, del positivismo ottocentesco il naturalismo scientifico contemporaneo ripropone (sorprendentemente, peraltro) sopprattutto lo spirito scientistico: un’accusa, questa, formulata molto di frequente – anche in alcuni dei saggi raccolti in questa antologia – e che dunque merita un breve approfondimento, soprattutto rispetto all’accezione precisa del termine ‘scientismo’. Innanzi tutto, va ricordato che quando venne introdotto nel dibattito filosofico – dapprima in quello di lingua inglese e poi nelle altre lingue europee –7, il termine ‘scientismo’ non aveva una connotazione negativa, in quanto significava soltanto «l’atteggiamento proprio di chi si avvale dei metodi e dei procedimenti della scienza».8 Presto, tuttavia, tale termine fu usato in un’accezione assai più controversa, in quanto prese a significare «l’atteggiamento di chi dà importanza 5 H. Putnam, “Il contenuto e il fascino del naturalismo”, in questo volume, p. 00, n. 00. Sulla matrice pragmatista del naturalismo liberalizzato, cfr. H. Putnam, The Collapse of the Fact/Value Dichotomy and Other Essays, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 2002 [trad. it. Fatto/valore. Fine di una dicotomia e altri saggi, Roma, Fazi, 2004]; sui debiti di questa concezione con il naturalismo aristotelico, cfr. McDowell, Mind and World, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1994 [trad. it Mente e mondo, Torino, Einaudi, 1999], passim; Id., “Two Sorts of Naturalism”, in Mind, Value and Reality, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 2001, pp. 167-197. 7 Secondo il Merriam-Webster’s Ninth New Collegiate Dictionary, Springfield, Merriam Webster, 19919, il termine è attestato a partire dal 1877. 8 N. Abbagnano, Dizionario di Filosofia, Torino, UTET, 19602, p. 770. 6 preoponderante alla scienza nei confronti delle altre attività umane o ritiene che non ci siano limiti alla validità e all’estensione della conoscenza scientifica».9 Questa definizione è composta di due clausole tra loro disgiunte, che hanno avuto diversa fortuna.10 Secondo un modo comune di interpretare la prima clausola, soltanto la scienza può scoprire le verità del mondo; secondo la seconda, la scienza può potenzialmente scoprire tutte le verità. Già i positivisti più giudiziosi si accorsero però dell’implausibile ottimismo epistemico che connotava la seconda clausola: e si pensi, in questo senso, al riferimento spenceriano all’Inconoscibile o al celebre motto «Ignorabimus!» di Emil Du Bois Reymond: due modi di sottolineare che vi sono questioni – quelle concernenti i principi ultimi, peraltro – rispetto alle quali la scienza non troverà mai risposta. Veniva così respinta la seconda clausola della definizione di scientismo data sopra, secondo la quale la scienza può scoprire tutte le verità. Ben più duratura, invece, si dimostrò la prima delle due clausole, quella secondo la quale tutte le verità epistemicamente accessibili sono in linea di principio accessibili mediante la scienza (e dunque le verità inaccessibili alla scienza sono inaccessibili tout court). In questa luce, anche quando rifiutava il mito il mito dell’onniscienza scientifica il positivismo rimaneva una chiara espressione di scientismo, nella misura in cui aderiva all’idea che le scienze sono le sole legittime fonti di conoscenza. Secondo la prospettiva positivistica, infatti, le altre presunte fonti di conoscenza (l’intuizione, il senso comune, l’arte ecc.) o erano illegittime oppure erano parassitarie rispetto alle scienze o ancora, nel migliore dei casi, erano surrogati temporanei del sapere scientifico, cui si doveva ricorrere, in virtù della nostra debolezza cognitiva, ma che in linea di principio potevano essere in tutto rimpiazzate dalle scienze naturali. Inteso in questa accezione, il termine ‘scientismo’ divenne una bandiera del positivismo, di cui designò l’antispiritualismo e l’idea secondo la quale la metafisica dovrebbe essere soppiantata dalla scienza. Viceversa, però, gli antipositivisti si appropriarono di tale termine, usandolo in senso denigratorio (e questa connotazione negativa del termine divenne poi prevalente nel lessico intellettuale). In questa prospettiva, espressa con forza per esempio da Bersgon e Boutroux, tra la scienza e la filosofia c’è una radicale frattura – se non una completa incommensurabilità. Un’idea che sarà poi ripetuta da molta parte della tradizione continentale (dallo Husserl di Krisis a Heidegger, da Gadamer a Ricoeur, da Derrida al continentale d’adozione Charles Taylor), ma anche da una parte della filosofia analitica, in particolare da un settore della tradizione wittgensteiniana. 9 Ibid. Naturalmente, avendo questa definizione carattere disgiuntivo, è sufficiente che uno dei due disgiunti si applichi a una certa concezione per poterla correttamente definire, alla luce di tale definizione, una forma di scientismo. 10 III. Se, allora, con il termine ‘scientismo’ intendiamo – riprendendo la definizione sopra ricordata – «l’atteggiamento di chi dà importanza preponderante alla scienza nei confronti delle altre attività umane», è senz’altro corretto dire che i toni e lo spirito dello scientismo sono oggi riproposti dai fautori del naturalismo scientifico. In questo senso si consideri, per esempio, quanto recentemente scritto da Daniel Dennett, uno dei campioni di questo indirizzo filosofico, a proposito della funzione della filosofia: le indagini filosofiche non sono superiori, né prioritarie, alle indagini delle scienze naturali ma ad esse connesse ... In questo senso, il lavoro proprio dei filosofi è quello di chiarire e unificare le prospettive spesso contrastanti [delle scienze] in una singola visione dell’universo. In questa prospettiva, dunque, avendo perduto la propria classica funzione fondazionale, alla filosofia non resta che il mero compito di sistematizzare i risultati scientifici. Ancora più celebre e recisa, in questo senso, l’opinione di Quine a proposito di una delle branche fondamentali della filosofia, la teoria della conoscenza (da cui, peraltro, il naturalismo scientifico contemporaneo ha preso le mosse). In un passo famoso scriveva dunque Quine: «L’epistemologia, o qualcosa di simile, trova il suo posto come capitolo della psicologia e quindi della scienza naturale. Essa studia un fenomeno naturale, cioè un soggetto umano fisico ».11 Più recentemente, poi, il rigorismo naturalistico di Quine arrivava a sfiorare il sarcasmo, quando dichiarava che l’epistemologia altro non è che una branca dell’ingegneria!12 In questa prospettiva, dunque, la continuità con la scienza porta all’annullamento della filosofia. Né si può dimenticare che il carattere scientistico del naturalismo scientifico ha conseguenze pervasive, oltre che controverse, non solo dal punto di vista epistemologico e da quello metodologico, ma anche dal punto di vista ontologico. Significativa, in questo senso, la posizione di Jaegwon Kim, uno tra i maggiori fautori di questa concezione, secondo il quale tale concezione ha carattere «imperialistico; esso pretende di offrire una ‘copertura completa’ [della realtà] ... ed esige un prezzo ontologico terribilmente alto».13 11 W.V. Quine, “Epistemology Naturalized”, in Ontological Relativity and Other Essays, New York, Columbia University Press, 1969, p. 82 [trad. it, La relatività ontologica e altri saggi, Roma, Armando, 1986, p. 106]. 12 W.V. Quine, “Reply to Morton White,”, in L. Hahn, P. Schilpp (eds.), The Philosophy of W. V. Quine, Chicago, Open Court, 19982, pp. 663-665. 13 Jaegwon Kim, “Mental Causation and Two Conceptions of Mental Properties”, paper non pubblicato, cit. in W.L. Craig, W.P. Moreland (eds.), Naturalism. A Critical Analysis, cit., p. xi. Kim difende con coerenza una forma estrema di naturalismo scientifico (da lui definita ‘materialismo non riduzionista’ o ‘fisicalismo non riduzionista’). A suo giudizio, d’altra parte, i tentativi di moderare l’imperialismo ontologico di tale concezione, sviluppando un naturalismo Al pari del positivismo ottocentesco, suo predecessore nella genealogia dello scientismo, il naturalismo scientifico contemporaneo ha dunque una chiara inclinazione egemonizzante. Ciononostante – o forse proprio per questo – tale concezione incontra oggi enormi fortune. IV. Per dare un’idea di quanto sia possente, oggi, l’onda del naturalismo scientifico, è sufficiente guardare agli innumerevoli tentativi operati dai suoi fautori per ‘naturalizzare’ i concetti filosofici. Detto in breve, la naturalizzazione di un concetto implica che esso venga ridotto a concetti naturalisticamente accettabili oppure che si provi che quel concetto può essere eliminato dal vocabolario filosofico.14 In questo spirito, ‘l’epistemologia naturalizzata’ di W.V. Quine, A. Goldman e molti altri, ha tentato la naturalizzazione dei concetti epistemologici di giustificazione e conoscenza.15 J. Fodor, R. Millikan, F. Dretske e legioni di altri teorici dell’evoluzione, cognitivisti e teorici dell’informazione hanno tentato la naturalizzazione dell’intenzionalità,16 mentre W. Lycan e D. Dennett hanno provato anche con la coscienza.17 I concetti morali sono stati sottoposti a trattamenti naturalistici da parte di P. Railton, G. Harman, D. Lewis, R. Boyd, A. Gibbard, e S. Blackburn,18 mentre dei numeri e di altri concetti matematici si sono occupati da un punto di vista naturalistico H. Field e P. Maddy.19 Tentativi di naturalizzare il libero arbitrio e la responsabilità moderato, danno luogo ad incoerenze oppure producono obsolete metafisiche antiscientifiche (cfr. “The Myth of Nonreductive Materialism”, «Proceedings and Addresses of the American Philosophical Association», 63, 1989, pp. 31-47. 14 Tra le teorie scientifiche cui i fautori del naturalismo scientifico ricorrono più frequentemente per i loro tentativi di naturalizzazione dei concetti filosofici figurano la microfisica, la teoria dell’evoluzione, la genetica, la teoria dell’informazione. Nei saggi di questo volume si troveranno molte critiche al modo in cui queste teorie vengono interpretate e utilizzate per le presunte riduzioni. Per alcune osservazioni sul ruolo, talora meramente ideologico, svolto in tali contesti dalla teoria dell’evoluzione, cfr. D. Marconi, “Introduzione” a Naturalismo e naturalizzazione, cit., pp. 7-8. 15 Sulla naturalizzazione dell’epistemologia, cfr. H. Kornblith (ed.), Naturalizing Epistemology, Cambridge (Mass.), Bradford Books, MIT Press, 19942. 16 J. Fodor, Psychosemantics: the Problem of Meaning in the Philosophy of Mind, Cambridge (Mass.), MIT Press, 1987; Id., A Theory of Content and Other Essays, Cambridge (Mass.), MIT Press, 1990; R.G. Millikan, Language, Thought, and Other Biological Categories, Cambridge (Mass.), MIT Press, 1984; Ead., Language: A Biological Model, volume on line (http://vm.uconn.edu/~wwwphil/langct.htm); F. Dretske, Knowledge and the Flow of Information, Cambridge (Mass.), MIT Press, 1981. 17 W. Lycan, Consciousness, Bradford Books, Cambridge (Mass.), MIT Press, 1987; D. Dennett, Consciousness Explained, Boston, Back Bay Books, 1992. 18 Sul naturalismo in etica, si vedano “Toward Fin de Siècle Ethics: Some Trends”, «Philosophical Review, 101, 1982, pp. 115-190 e E. Villanueva (ed.), “Naturalism and Normativity”, in Philosophical Issues, 4, Ridgeview, Atascadero, 1993. 19 H. Field, Science without Numbers, Oxford, Blackwell, 1980; P. Maddy, Naturalism in Mathematics, Oxford, Oxford University Press, 1997. morale sono stati operati da Dennett, D. Wegner e altri.20 La naturalizzazione dei concetti estetici e religiosi è altresì nel programma di vari filosofi contemporanei;21 né si possono dimenticare gli ancor più estremistici tentativi di quanti tentano di dimostrare che, dal punto di vista ontologico, tutto può essere ridotto al livello microfisico (sul Web si può persino trovare un Credo dei fautori del cosiddetto ‘Canberra Plan’, che recita esplicitamente: “Noi vogliamo riduzioni interteoriche e la sopravvenienza di ogni cosa dal microfisico”).22 Ci si potrebbe chiedere cosa rimanga alla filosofia, oltre a tutti questi progetti di naturalizzazione. Forse non molto – se non la famosa ‘neurofilosofia’ propugnata da Patricia Churchland.23 Infine, come già accennato, alcuni fautori del naturalismo scientifico, nell’ammettere quanto questi tentativi di naturalizzazione dei concetti filosofici siano insoddisfacenti, giungono in sostanza a decretare la morte stessa della filosofia: in questa prospettiva, cioè, l’irriducibilità di una nozione filosofica a concetti scientificamente approvati ne dimostra l’illegittimità. Così, per esempio, Colin McGinn afferma apertis verbis che la conoscenza, la coscienza, l’io, il libero arbitrio e il significato rimarranno per sempre “misteri” e che, per questo, la filosofia (non essendo in grando di risolvere i problemi cui si dedica) è un’attività “futile”.24 Ad ogni modo, tutti questi tentativi di naturalizzare i concetti filosofici (ancorché di assai dubbia efficacia, come si argomenta in questo volume) mostrano quanto sia possente oggi la pressione del naturalismo scientifico sul mondo analitico. Un fenomeno sostanzialmente nuovo, naturalmente, considerato che nessuno dei padri fondatori della filosofia analitica avrebbe accettato una concezione di questo genere: non Frege, non Wittgenstein, non G.E. Moore e neppure Russell. V. Come si diceva, il presente volume è, in primo luogo, una critica serrata del naturalismo scientifico; ma a questo proposito sono importanti due precisazioni. Innanzi tutto, una tale prospettiva critica non implica che gli autori qui raccolti non riconoscano a questa concezione dignità intellettuale e rilevanza filosofica. Ancorché molto contestabile, insomma, il naturalismo scientifico è una concezione filosoficamente significativa. In secondo luogo, è importante ricordare 20 D. Dennett, Freedom Evolves, New York, Viking, 2003; D.M. Wegner, The Illusion of Conscious Will, Bradford Books, Cambridge (Mass.), MIT Press, 2002. 21 L. Furst, P. Skrine, Naturalism, London, Routledge,1971; K. Nielsen, “Naturalistic Explanations of Theistic Beliefs”, in P.L. Quinn, C. Taliaferro (eds.), A Companion to Philosophy of Religion, Oxford, Blackwell, 1997, pp. 402-409. 22 http://web.syr.edu/~dpnolan/philosophy/Credo.html. L’autore del Credo del Canberra Plan è un filosofo di St. Andrews, Daniel Nolan. 23 P.S. Churchland, Neurophilosophy: Toward a Unified Science of the Mind-Brain, Cambridge (Mass.), MIT Press, 1986. 24 C. McGinn, The Mysterious Flame. Conscious Minds in a Material World, New York, Basic Books, 1999. che il punto di vista degli autori raccolti in questo volume (tra cui alcuni dei massimi filosofi contemporanei, da Donald Davidson a Hilary Putnam, da Stanley Cavell a John McDowell) non è quello di una visione radicalmente antinaturalistica à la Boutroux o à la Bergson. A giudizio degli autori qui raccolti, piuttosto, è importante perseguire una via media tra le due unilaterali visioni del naturalismo scientifico e dell’antinaturalismo. Quest’antologia si propone, allora, di delinare anche i contorni di un naturalismo liberalizzato o non scientistico, in grado di collocare il mondo umano, nella sua irriducibile specificità, nel quadro di una concezione della natura più ampia di quella fornita dal naturalismo scientistico – senza per questo ricadere in obsolete forme metafisiche antiscientifiche. Il naturalismo liberalizzato qui difeso, dunque, si incentra sull’irriducibile pluralità delle forme di comprensione della realtà, e del mondo umano in particolare, e sulla costitutiva autonomia della filosofia, alla quale spetta come compito peculiare quello di dialogare (senza alcuna pretesa fondazionale o egemonica), oltre che con le scienze forti, anche con le arti e con le scienze sociali, con il senso comune e con la storia della filosofia.
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