Il dibattito sullo spostamento del portale del Banco Mediceo di Milano Jessica Gritti Politecnico di Milano, Dipartimento di Architettura e Studi Urbani «È questo un tesoro dello stato, una gemma inapprezzabile per la città nostra». Con queste parole Giuseppe Mongeri nel 1862 denunciava su “La Perseveranza” il timore che uno dei pezzi più significativi e scenografici presenti oggi presso le Civiche Raccolte d’Arte del Castello Sforzesco, varcasse il confine e confluisse, come molte altre opere in quegli anni, presso qualche collezione straniera (additato soprattutto sul mercato internazionale era in quel periodo il «Museo di Kensington», ovvero il Victoria & Albert Museum di Londra). È il momento più drammatico della lunga vicenda che ha condotto l’opera dalla sua collocazione originaria all’attuale presenza nella sala XIV del museo, al piano terra dell’ala nord della corte ducale. Si tratta del cosiddetto Portale del Banco Mediceo, appartenuto più propriamente al palazzo di Cosimo Medici in Milano (già via Bossi n. 1774-3, oggi via dei Bossi n. 4), scelto come sede del banco e residenza di Pigello Portinari, amministratore della filiale milanese (cfr. de Roover, 1988). Lo smontaggio del portale dal sito risale agli anni sessanta del XIX secolo, quando il palazzo apparteneva ai Valtorta, i quali, desiderando ricostruire l’edificio, nel 1862 cedettero la porta marmorea per 23.000 lire al mercante d’arte Giuseppe Baslini. La vicenda è rivelata, oltre dal citato contributo di Mongeri, da una sua lettera a Giovanni Morelli del 12 novembre dello stesso anno, nella quale racconta come Baslini fosse già in possesso anche di altri pezzi provenienti dal palazzo, ossia dei busti clipeati in terracotta, oggi anch’essi parte delle Civiche Raccolte d’Arte, e dell’affresco foppesco staccato dal cortile e oggi nella Wallace Collection di Londra (1862, 12 novembre: Archivio Zavaritt, Bergamo; Anderson, 1994, pp. 29-30). L’intervento spetta alla consulta del neo-nato Museo Patrio di Archeologia di Milano, che nel gennaio del 1863 aveva già intrapreso trattative con Baslini, a quanto risulta da una missiva di Giuseppe Bertini a Robinson del V&A Museum (1863, 30 gennaio: carte di J.C. Robinson, Department of Western Art, Ashmolean Museum, Oxford, fascicolo 48; Anderson, 1994, p. 31). Infatti, in una seduta straordinaria del Consiglio del Comune di Milano del 10 marzo 1864 si riporta al n. XLI il Concorso all’acquisto della porta storico-artistica di casa Valtorta, via Bossi 1774-3. Nel rapporto si parla di «conservazione in Milano» e si evince che era stata stipulata una scrittura tra il Museo e l’antiquario il 9 ottobre 1863, per la quale con delibera del 5 novembre 1863 il Comune aveva stanziato 5000 lire. Il problema sotteso alla relazione comunale sembra l’opportunità o meno di assicurare la conservazione in città del monumento, in sfavore della quale si pronuncia il dottor Parola, che si oppone alla spesa da parte del Comune, con l’auspicio che gli stessi soldi piuttosto che servire ad assicurare la permanenza in città di un monumento antico, potessero essere spesi per favorire le arti del tempo. La decisione si conclude ai voti e si delibera quindi che il Comune partecipi all’acquisto del portale e che alle 5000 lire si aggiungano altre 3380 lire utili a raggiungere la somma totale di 24.000 lire stabilita e, inoltre, che la Giunta municipale si occupi anche del ritiro e del trasporto del monumento, perché sia posto in deposito presso il Museo Patrio di Archeologia. Infatti, nell’Elenco generale e cronologico degli oggetti pervenuti al Museo patrio di archeologia per acquisto, dono o per deposito dall’anno 1863 (manoscritto Museo Patrio di Archeologia in Milano) il portale compare al n. 480 (I, ff. 53v-54r) come «Porta monumentale scolpita in marmo con figure ed altre decorazioni ornamentali»: se ne indica l’acquisto dell’agosto 1864 da Giuseppe Baslini, la provenienza dalla casa Valtorta (già Medici, già Bossi) e segue poi una lunga nota di osservazioni nelle quali si specifica che la trattativa si è potuta concludere grazie all’intervento non solo del Museo e del Comune di Milano, ma anche di diversi privati al prezzo di 25.000 lire. Nel frattempo, nel gennaio del 1864, Giuseppe Mongeri aveva già potuto, ancora una volta sulle pagine de “La Perseveranza”, manifestare il grido di gioia per il successo dell’operazione con le enfatiche parole «Ecco un grande monumento salvo all’Italia, salvo a Milano!». Successivamente, nel dicembre del 1864 Giovanni Valtorta dona, inoltre, al Museo i pezzi di terracotta decorativa che ornavano il palazzo: si tratta probabilmente di alcuni dei frammenti provenienti dalla facciata e ancora presso i depositi del Castello. Il museo conserva, inoltre, otto dei dieci (o dodici) busti in terracotta già segnalati da Venanzio De Pagave (il passo è in Casati, 1885) e Mongeri (Mongeri, 1862; Mongeri 1864; Caldara, 2003a; Caldara, 2003b) che ornavano il cortile del palazzo (Caimi, 1874, p. 9; nel manoscritto Museo Patrio di Archeologia sono al n. 2301). A queste indicazioni si possono aggiungere i dibattiti che accompagnarono la vicenda, testimoniati da un inedito fascicolo di documenti intitolato «Sulla conservazione della porta artistica di casa Valtorta», conservato oggi presso l’Archivio Storico Civico di Milano. I documenti mostrano come lo smontaggio del portale del Banco Mediceo abbia rappresentato un caso limite, relativo alla conservazione in loco di oggetti di elevato interesse storico e artistico. Il fascicolo consente, inoltre, di chiarire una volta per tutte la complessa vicenda della vendita del portale da Giovanni Valtorta all’antiquario Baslini, della successiva richiesta da parte del Museo Patrio di Archeologia e del concorso del Comune di Milano, contenendo perfino i nomi di tutti i privati che contribuirono economicamente ad assicurare il portale alle collezioni civiche, nomi che, come vedremo, riservano alcune interessanti sorprese. Sembra che tutto sia nato dal rifiuto della Commissione d’ornato di approvare i progetti di riforma della facciata del palazzo (disegni allegati al fascicolo) da parte di Giovanni Battista Valtorta, che voleva semplicemente sbarazzarsi del portale. Credo si tratti di uno dei primi casi in cui la Commissione giudica l’esistenza stessa del portale come un impedimento alla riforma della facciata, in ragione del suo elevato valore storico e artistico, asserendo che i disegni non «…li potrebbe approvare fuorché quando venissero modificati: 1. conservando al posto la porta artistica e storica attuale…». Le discussioni successive mostrano chiaramente il problema della conservazione dei monumenti in assenza di una legge che ne garantisse la tutela. Infatti, Valtorta muoveva le sue ragioni a partire dal diritto inviolabile legato alla proprietà privata stabilito dal Codice Civile e dallo Statuto del Regno e da dubbi sui compiti stessi della Commissione d’ornato, accusata di intromettersi in questioni aliene alle sue funzioni. Tra l’aprile e il giugno del 1863 la Commissione aveva interpellato la Consulta del Museo Patrio di Archeologia, che si era rifiutata di esprimere il valore commerciale della porta e si pronunciava in favore di una conservazione in loco, affinché essa non perdesse la sua importanza storica. La pratica contiene, inoltre, le richieste da parte del Comune di Milano di consulti a diverse istituzioni, tra le quali anche il Comune di Venezia, che invia una breve, ma chiara relazione sulle norme di conservazione dei monumenti, nella quale si trovano esposte le leggi veneziane seicentesche e settecentesche e la citazione di alcuni esempi significativi (relazione sulla quale si intende proporre alcune riflessioni nell’ambito di questo intervento). Si tratta di temi che si trovano al centro, pochi anni dopo, del Congresso Storico Artistico di Milano del 1872 (al quale anche Boito prese parte), nell’ambito del quale un’intera sessione è dedicata ai problemi legati alla tutela e relativa legislazione da applicare ai monumenti di proprietà privata, e che costituiscono i prodromi delle formulazioni teoriche e pratiche boitiane.
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