Gregorianum - Luigi Gioia osb

Gregorianum
Estratto
LUIGI GIOIA, OSB, Il carattere teologale, storico ed ecclesiale dell’identità
personale in Agostino
Pontificia Universitas Gregoriana
Roma 2014 - 95/3
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
Gregorianum
JACEK ONISZCZUK, S.I., Caino come tipo antitetico di Cristo nella
Prima Lettera di Giovanni
MAURIZIO GUIDI, OFMCap, L’annuncio pasquale di Lc 24,1-12 e la
sua ricontestualizzazione liturgica
LUIGI GIOIA, OSB, Il carattere teologale, storico ed ecclesiale
dell’identità personale in Agostino
YILUN CAI, Desiderium naturale vivendi Deum in Robert Bellarmine’s
Commentary on Summa theologiae
WILLIAM M. WRIGHT IV, Echoes of Biblical Apocalyptic in the
Encyclical Teaching of Benedict XVI
PAUL GILBERT, S.I., Écriture phénoménologique et méthode patristique.
Les frontières de la philosophie et de la théologie selon Emmanuel Falque
RANDALL S. ROSENBERG, Guarding a Metaphysics of the Whole
Person. Walker Percy and Bernard Lonergan
LLOYD BAUGH, S.I., Evoking the Resurrection in Recent Cinema. The
Challenge of the Gospel
Pontificia Universitas Gregoriana
Roma 2014 - 95/3
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
GREGORIANUM 95, 3 (2014) 487-509
Luigi GIOIA, OSB
Il carattere teologale, storico ed ecclesiale
dell’identità personale in Agostino
I. AGOSTINO E LA SOGGETTIVITÀ MODERNA
Nella sua indagine sulle sorgenti del «sé» e sullo sviluppo dell’identità
moderna, Charles Taylor attribuisce senza riserve ad Agostino l’introduzione
di ciò che chiama «l’interiorità di una riflessività radicale» nel pensiero
occidentale1. Se un atteggiamento di attenzione à sé, di cura si sé, attende tibi
ipse, non era sconosciuto prima di lui, con Agostino «l’attenzione è trasferita
dal dominio degli oggetti conosciuti a quello dell’attività stessa della conoscenza. [...] Diventiamo consapevoli della nostra consapevolezza, cerchiamo
di sperimentare il nostro sperimentare»2. Tale interiorità è considerata da
Taylor «radicale» perché tutto si trasferisce dal punto di vista del sé e la base
di ogni evidenza in campo gnoseologico diventa quella della propria
esistenza: «La caratteristica di questa certezza è che è una certezza per me;
sono certo della mia esistenza: la certezza riposa sul fatto che soggetto e
oggetto della conoscenza sono la stessa persona. È la certezza della presenza
à sé»3. Su tale certezza riposa quella relativa all’esistenza stessa di Dio: «Al
termine di questa strada vediamo che la nostra attività [cognitiva] è sostenuta
e diretta da Dio»4, non «giusto come oggetto trascendente o principio di
ordine», non «giusto come ciò che aspiriamo a vedere», ma come «ciò che
conferisce al nostro occhio la capacità di vedere»5.
Una interpretazione analoga si incontra presso Wayne Hankey, uno studioso americano che ha consacrato una serie di studi di grande interesse alla questione della posterità agostiniana soprattutto negli ambiti convenzionalmente
———––
1
C. TAYLOR, Sources of the self: the making of the modern identity, Cambridge, Mass.
1989, 131.
2
C. TAYLOR, Sources of the self (cf. nt. 1), 130 (mia traduzione).
3
C. TAYLOR, Sources of the self (cf. nt. 1), 133.
4
C. TAYLOR, Sources of the self (cf. nt. 1), 136.
5
C. TAYLOR, Sources of the self (cf. nt. 1), 129.
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
488
LUIGI GIOIA, OSB
denominati «modernità» e «post-modernità». Secondo Hankey, la riflessione
su di sé in Plotino si scontra con un ostacolo insormontabile: «Per Plotino,
essere e volontà non appartengono all’Uno in un atto di riflessione su di sé.
Un tale atto dividerebbe l’Uno, situandolo al di sopra e al di sotto di sé, ricevendo se stesso da se stesso come se fosse da un altro. [...] Non vi è quindi
una riflessività di distinzione da sé nell’Uno»6. Nell’unione con l’Uno, l’individuo «ritorna a sé, ma non è se stesso. Certamente, conoscenza di sé e
comprensione dell’Uno non possono coesistere. Siamo aldilà dell’essere e
della conoscenza di sé, perché l’Uno è egli stesso aldilà dell’essere e della
riflessività»7. Il confronto con Plotino permette di misurare la novità agostiniana: «la riflessività è condotta fino in fondo»8 attraverso una trasformazione
teologica della divina triade plotiniana di anima, nous e Uno: Agostino
«unifica il sé e lo conduce all’unione con Dio nella conoscenza di sé più
completamente di quanto non lo avesse fatto Plotino»9. Il risultato di questo
superamento di Plotino, secondo Hankey, sta nell’unità tra pensiero, essere e
mente umana. Ciò permette ad Agostino di concepire l’esistenza e la natura
delle sostanze incorporee. «Egli giunge a questa concezione attraverso la
riflessione sul suo proprio pensiero come al tempo stesso incorporeo and
indubitabilmente esistente»10. Una tale conoscenza è quella che lo conduce
alla fede e alla conversione, «è — conclude iperbolicamente Hankey —
conoscenza salfivica»11.
Sia Taylor che Hankey fanno riferimento al legame ben conosciuto tra
conoscenza di sé e conoscenza di Dio che attraversa tutta l’opera di Agostino:
Noverim me, noverim te affermava infatti già nei dialoghi di Cassiciaco12. Ma
se tale legame è indiscutibile, due delle caratteristiche che questi autori gli
attribuiscono richiedono una verifica critica: il sé agostiniano emergerebbe
nel processo di ricerca di una doppia certezza, quella gnoseologica e quella
riguardante la natura e l’esistenza di Dio; stabilita la prima, Agostino giungerebbe alla seconda. Tale ordine non è neutro. Esso è già gravido della
possibilità di dispensarsi dall’affermare l’esistenza di Dio. Infatti, pur essendo
in questa ricostruzione Dio ancora fondamento dell’essere personale e pur
essendo la certezza della sua esistenza intrinseca rispetto alla certezza di sé,
dimora nondimeno una conseguenza della certezza della soggettività. Le basi
per una identità tra pensiero, essere e individualità sono dunque stabilite.
———––
6
W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God as Other in Augustine: Problems for a Postmodern Retrieval», Bochumer philosophisches Jahrbuch für Antike und Mittelalter 4 (1999)
113-114.
7
W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 114.
8
W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 117.
9
W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 117.
10
W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 118.
11
W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 118.
12
AGOSTINO, Soliloquia, II,i,1 (CSEL 89,45).
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
IDENTITÀ PERSONALE IN AGOSTINO
489
Si è creduto di poter individuare un «proto-cogito» cartesiano in
Agostino13 e si può addirittura trovare la formulazione quasi letterale di un
dubito, ergo sum nel De Trinitate14. È indubbio, naturalmente, che Cartesio
abbia ben conosciuto Agostino e che si sia direttamente ispirato ai suoi scritti
per sviluppare le sue idee. Ma si può davvero affermare che «Agostino deduce l’esistenza direttamente dal fatto di sbagliarsi»15, stabilendo così una
identità tra soggettività, pensiero ed essere16?
Si possono assimilare conoscenza di sé e conoscenza di Dio17, affermare
che l’interiorizzazione è ciò che permette di giungere a Dio18, perché «Dio
deve essere trovato nell’intimità della presenza a se stessi»19, e considerare
così Agostino come «l’origine di quella corrente della spiritualità occidentale
che ha cercato la certezza di Dio interiormente» [...], «l’origine dell’argomento ontologico»20? In questo quadro, «il principio dell’esame di sé nel
libro 10 [del DT] è un’audace escatologia realizzata nella quale» si conosce se
stessi come Dio è conosciuto»21? Il sé del DT è razionale, incorporeo, possiede l’essere e, «che raggiunga o meno la conoscenza di Dio, ha ciò che gli ci
vuole per essere un sé, ha una “auto-completezza a priori” (prior self
completeness)»22.
L’argomento di Agostino non è che la mente [...] non conosce se stessa — la
mente conosce sempre se stessa, perché è sempre immediatamente presente a se
stessa, e quindi conosciuta da se stessa meglio di quanto non lo sia qualsiasi altra
cosa. [Il suo argomento è] piuttosto [...] che la mente conosce se stessa confusamente. [...] Non dobbiamo cercare di aggiungere nulla a quanto già sappiamo
esistere, ma piuttosto sottrarre quanto vi abbiamo aggiunto illecitamente. [...] [La
mente resterà allora] con una conoscenza della sua natura o sostanza23.
———––
13
C. TAYLOR, Sources of the self (cf. nt. 1), 132: «In order to prove that we know
something, Augustine makes the fateful proto-Cartesian move: he shows his interlocutor that
he cannot doubt his own existence, since “if you did not exist it would be impossible for you
to be deceived”».
14
AGOSTINO, De Trinitate 10.14 (CCL 50,327): «Viuere se tamen et meminisse et
intellegere et uelle et cogitare et scire et iudicare quis dubitet? Quandoquidem etiam si
dubitat, uiuit; si dubitat, unde dubitet meminit; si dubitat, dubitare se intellegit; si dubitat,
certus esse uult; si dubitat, cogitat; si dubitat, scit se nescire; si dubitat, iudicat non se temere
consentire oportere. Quisquis igitur alicunde dubitat de his omnibus dubitare non debet quae
si non essent, de ulla re dubitare non posset».
15
W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 96.
16
W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 118.
17
W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 109.
18
C. TAYLOR, Sources of the self (cf. nt. 1), 132.
19
C. TAYLOR, Sources of the self (cf. nt. 1), 134.
20
C. TAYLOR, Sources of the self (cf. nt. 1), 140.
21
W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 91-92.
22
W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 121.
23
S.P. MENN, Descartes and Augustine, Cambridge – New York 1998, 252 citato da W.J.
HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 111.
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
490
LUIGI GIOIA, OSB
Non c’è nulla di meglio per problematizzare un’interpretazione che quella
di esporla a una provocazione. Siamo davvero certi che esista un sé in
Agostino? Non sono mancati studiosi agostiniani di una certa autorevolezza
per negarlo, osservando che «non esiste una parola latina che equivalga al
nostro [...] «sé», che connoti cioè l’individuo come oggetto della propria
riflessione o introspezione»24. L’ego latino, è risaputo, appare solo per stabilire un contrasto o una distinzione tra individui; i termini abitualmente (ed
erroneamente secondo alcuni)25 tradotti con le particelle sé (self in inglese), o
sono assenti nel testo latino, o sono usati in riferimento a quello che Agostino
chiama mens, cioè «la mente nelle sue specifiche orientazioni interiori e
superiori di giudizio razionale su oggetti forniti dalla percezione sensoriale
(scientia) o dalla contemplazione della verità eterna (sapientia)»26; o ancora
in riferimento all’interior homo, il quale tutto è fuorché questa «realtà interiore, stabile, sempre pronta a essere intravista per mezzo di una visione
interiore purificata [...], accessibile alla coscienza di sé, ma essenzialmente
isolata dagli altri sé»27.
Sulla stessa linea si situano una serie di autorevoli interpreti anglosassoni
di Agostino (Rowan Williams, Lewis Ayres et John Milbank) le cui analisi
lungi dal considerare Agostino come l’autore della privatizzazione dell’io, lo
propongono come un rimedio contro la fondamentale illusione della modernità, vale a dire quella che fa dell’io privato l’arbitro e la sorgente dei valori
nel mondo. Il sé agostiniano, secondo questi interpreti, non è una «identità
spirituale atemporale», ma «un sé in movimento», che conosce «la propria
incompletezza temporale e la propria motivazione per mezzo del desiderio»28.
Esso è caratterizzato da due limiti fondamentali: «non può contemplare la
verità eterna come un oggetto in sé» (ma solo attraverso una mediazione di
carattere temporale e sensibile); «la riflessione su di sé non può essere la
percezione della mente stessa come oggetto»29. Ciò di cui la mente diventa
consapevole è della sua attività, del suo desiderio, della sua incompletezza, e
del suo radicale orientamento verso l’altro da sé30.
Una interpretazione analoga del sé agostiniano si incontra in Jean-Luc
Marion: il paradosso diverse volte ripreso da Agostino, «factus eram mihi
———––
24
R. INNES, «Integrating the Self through the Desire of God», Augustinian studies 28
(1997) 69.
25
J.C. CAVADINI, «Reconsidering the Self in Augustin's Thought», Augustinian studies 38
(2007) 120-123.
26
R. INNES, «Integrating the Self» (cf. nt. 24), 69.
27
J.C. CAVADINI, «Reconsidering the Self» (cf. nt. 25), 120 e 122.
28
R. WILLIAMS, «De Trinitate», in A.D. FITZGERALD, ed., Augustine Through the Ages:
and Encyclopedia, Grand Rapids, MI 1999, 849.
29
R. WILLIAMS, «The Paradoxes of Self-knowledge in the De Trinitate», in J. LIEHNARD,
ed., Augustine: Presbyter factus sum, New York 1993, 122.
30
R. WILLIAMS, «Sapientia and the Trinity. Reflections on De Trinitate», in B. BRUNNER,
ed., Mélanges T. J. van Bavel, Collectanea Augustiniana, Leuven 1990, 320.
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
IDENTITÀ PERSONALE IN AGOSTINO
491
magna quaestio»31 attesta quanto l’io non appaia a se stesso come una
conoscenza, come un oggetto, ma come una domanda definitiva32. Lungi
dall’essere l’espressione di un fallimento della conoscenza, di una limitazione
della coscienza di sé o di un’aporia, la quaestio di S. Agostino è la via verso
un modo totalmente diverso di conquistare ciò che sono come tale»33. Un
approccio basato sulla stretta equivalenza tra pensabile ed essere conduce a
una definizione dell’uomo, ma
pretendere di conoscere e di definire l’uomo con un concetto inevitabilmente
conduce a una decisione che lo trasforma in oggetto, o piuttosto a una decisione
riguardo alla sua umanità secondo l’oggettivazione che avremo prodotto. Definire
l’uomo con un concetto non conduce sempre o immediatamente a ucciderlo, ma
riempie la prima condizione richiesta per eliminare tutto quello che non rientra in
questa definizione. [...] Si apre la temibile regione nella quale l’uomo prende
decisioni riguardo alla normalità e quindi riguardo alla vita e alla morte, di altri
esseri umani34.
Affermare che la quaestio agostiniana conduce a una affermazione di
quello che Marion chiama il «privilegio di inconoscibilità per l’uomo»,
perché a immagine del Dio inconoscibile, non trova riscontri diretti nelle
opere dell’ipponate35, ma l’impossibilità di una identificazione di se stessi a
se stessi36 è una conseguenza inevitabile della concezione dell’identità personale di Agostino. «Nelle Confessioni, il rovescio della conoscenza di sé è una
ignoranza che costringe, per così dire, il soggetto a appoggiarsi non su ciò che
sa di se stesso, ma su ciò su cui Dio lo illumina riguardo a se stesso»37.
Per dirimere queste divergenze nell’interpretazione dell’identità personale
agostiniana procederemo dunque con una verifica fondata soprattutto su una
analisi incrociata delle Confessioni e del De Trinitate.
———––
31
AGOSTINO, Confessiones, 4,9 (CCL 27,44).
J.-L. MARION, «Mihi magna quaestio factus sum: The Privilege of Unknowing», The
Journal of Religion 85/1 (2005), 1-24.
33
J.-L. MARION, «Mihi magna quaestio factus sum» (cf. nt. 32), 7.
34
J.-L. MARION, «Mihi magna quaestio factus sum» (cf. nt. 32), 11-12 (mia traduzione).
35
J.-L. MARION, «Mihi magna quaestio factus sum» (cf. nt. 32), 15-16, dove invece
Marion cita Gregorio di Nissa.
36
I. BOCHET, «Une identité reçue de Dieu», Le firmament de l’Écriture: l’herméneutique
augustinienne, Paris 2004, 300: «Une telle quête suppose qu’il n’y ait pas d’adéquation de soi
à soi».
37
I. BOCHET, «Une identité reçue de Dieu» (cf. nt. 36), 305. Cf. AGOSTINO, Confessiones,
10,7 (CCL 27,158): «Confesserò dunque quanto so di me, e anche quanto ignoro di me,
perché quanto so di me, lo so per tua illuminazione, e quanto ignoro di me, lo ignoro finché le
mie tenebre si mutino quale il mezzogiorno nel tuo volto».
32
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
492
LUIGI GIOIA, OSB
II. L’APPARIZIONE DEL SÉ NELLE CONFESSIONI
Le Confessioni, lo sappiamo, si aprono con una preghiera38 nella quale già
nell’arco della prima pagina, il soggetto iniziale alla terza persona, homo («et
laudare te uult homo»), lascia il posto alla prima persona singolare: «da mihi,
domine, scire et intellegere». Significativamente, questo «io» appare nell’atto
non di interrogare se stesso, ma Dio. E l’interrogazione verte su una priorità:
bisogna prima lodare Dio, o prima invocarlo, o prima conoscerlo? L’io appare nell’atto non di riflettere su di sè, ma di rivolgersi ad altri da sé, chiedendo:
Signore, vieni prima tu o vengo prima io? E la risposta conduce a un primo
inatteso decentramento da sé: «Ti invoca, Signore, la mia fede, che mi hai
dato e ispirato mediante l’umanità del tuo Figlio, mediante l’opera del tuo
predicatore» («inuocat te, domine, fides mea, quam dedisti mihi, quam
inspirasti mihi per humanitatem filii tui, per ministerium predicatoris tui»). Il
soggetto diventa la fede; fede e io si identificano; chi interroga è una «fede»
data, ispirata attraverso una mediazione esterna, sensibile, temporale: «Credo,
perciò parlo» («Credo, propter quod et loquor»). Ma non è tutto. Un altro
robusto fattore di decentramento da sé è rappresentato dall’identità del Dio
interrogato, declinata attraverso una serie di attributi che ne sottolineano
immanenza e trascendenza, immutabilità e coinvolgimento nella storia,
sufficienza e bisogno, «nomen esse» et «nomen misericordiae»39. Appare
dunque un io la cui consapevolezza di sé sorge in risposta a un interlocutore
che non si può oggettivare, che non può essere trattato alla terza persona, di
fronte al quale è impossibile assumere una distanza, rivendicare una neutralità
e che soprattutto lo precede.
Se vi è dunque qualcosa in Agostino che potremmo chiamare un «sé», il
meno che si possa dire è che esso si lascia cogliere non in un movimento di
auto-riflessività ma dialogicamente; non spontaneamente, di sua iniziativa,
ma per vocazione, perché pro-vocato, con-vocato attraverso una mediazione
di carattere storico e temporale («predicatum enim es nobis» e «per ministerium predicatoris tui»); non per conoscere se stesso, ma per ri-conoscersi, riflettersi in questa presenza che lo precede e lo rivela a se stesso40. Se si può
parlare di riflessività in Agostino, non è in riferimento a un atto di
———––
38
AGOSTINO, Confessiones, 1,1 a 1,7 (CCL 27,1-4).
AGOSTINO, Sermones, 6,4 (CCL 41,64). Cf. E. GILSON, Philosophie et Incarnation selon
saint Augustin in A.M. VANNIER, ed., Saint Augustin: Philosophie et Incarnation, Ginevra
1999.
40
Cf. I. BOCHET, «Une identité reçue de Dieu» (cf. nt. 36), 325 che cita la seguente frase di
Goulvain Madec: «Les deux métaphores ont exactement le même sens: mon intimum n’est
autre que mon summum; ce qui est frappant et qui fait sens, c’est l’adjonction paradoxale des
comparatifs: interior, superior, à des superlatifs, intimum, summum. L’intériorité augustinienne est le substantif d’un comparatif; elle n’est pas une introspection narcissique, mais
l’exigence même de l’être spirituel constitué par la tension ou l’attrait que Dieu crée en lui, en
le créant à son image».
39
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
IDENTITÀ PERSONALE IN AGOSTINO
493
«riflessione primordiale su di sé» (radical reflexivity)41, ma nell’atto di
riflettere Dio, di scoprirsi in riflesso rispetto a Dio, immagine di Dio.
Vale la pena soffermarsi sul carattere non spontaneo della conoscenza di
sé, sulla conoscenza di sé come vocazione. È significativo che il leit-motive
del libro 10 del De Trinitate sia il celebre oracolo delfico gnw/qi seauto,n,
ripreso da Socrate e spesso citato da Cicerone42. Agostino lo riprende non
meno di 10 volte in questo libro43. La saggezza filosofica aveva già stabilito
che la conoscenza di sé è la risposta a un invito che viene dal di fuori, ha un
carattere dialogico, necessita di una mediazione temporale44.
Un’osservazione analoga può essere fatta riguarda alla necessità di una
pro-vocazione per la conoscenza in generale. Il libro 10 del De Trinitate indaga ripetutamente su cosa inneschi il processo di conoscenza. La ricerca
(inquisitio) comincia quando un desiderio (appetitus) ci induce a indagare e
cercare ciò che vogliamo conoscere45. Cosa spiega però il risvegliarsi di
questo desiderio? Poiché uno dei postulati della gnoseologia agostiniana è che
nessuno può amare ciò che gli è sconosciuto46, l’origine della ricerca va
attribuita a una qualche forma di «conoscenza che preceda la conoscenza». È
questo uno dei casi nei quali Agostino ricorre alla metafora della illuminazione. Quando desideriamo percepire il significato di una parola sconosciuta,
siamo stimolati dalla percezione dell’utilità e della bellezza del linguaggio e
delle possibilità da esso aperte per stabilire relazioni con altre persone. In
questo caso, una tale bellezza e utilità sono percepite «nella luce della verità»
(in luce ueritatis). Ciò è concepito sia in termini attivi con il ricorso alla
metafora del vedere, sia in termini passivi come il risultato di qualcosa che
«tocca» la nostra anima: «Un ideale (species) tocca l’anima che conosce e
pensa, nel quale viene in luce lo splendore dell’intesa tra le anime resa
possibile dalla comprensione delle parole udite e pronunciate»47. Tutta una
serie di metafore evocate in riferimento all’illuminazione attribuiscono un
ruolo attivo alla luce o ai suoi sinonimi: riguardo al giudizio di verità, si dice
———––
41
C. TAYLOR, Sources of the self (cf. nt. 1), 131.
Cf. per esempio CICERONE, De finibus bonorum et malorum, 3,22,73 e la lista di altri
passaggi citati in CCL 50,316, nota 32.
43
Cf. soprattutto la sezione AGOSTINO, De Trinitate, 10,11-13 (CCL 50,324-327).
44
Che nel De Trinitate la necessità di questo invito denoti una anomalia nel processo di
conoscenza non compromette il valore paradigmatico che del resto Agostino stesso gli riconosce rispetto all’attività filosofica in generale, cf. L. GIOIA, The theological epistemology of
Augustin's De Trinitate, Oxford 2008, 205-207.
45
AGOSTINO, De Trinitate, 9,18 (CCL 50,310).
46
AGOSTINO, De Trinitate, 10,1 (CCL 50,311): «rem prorsus ignotam amare omnino
nullus potest».
47
AGOSTINO, De Trinitate, 10,2 (CCL 50,314): «Species namque illa tangit animum quam
nouit et cogitat in qua elucet decus consociandorum animorum in uocibus notis audiendis
atque reddendis».
42
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
494
LUIGI GIOIA, OSB
che esso «brilla dall’alto»48; la forma della verità (forma ueritatis) riversa una
luce incorruttibile sulla vista delle nostre menti49; la species nella quale brilla
la bellezza della conoscenza del linguaggio tocca (tangere) le nostre anime50;
ancora la luce tocca (tangit) anche coloro i quali vivono nel peccato, poiché
anche loro conoscono l’eternità e a volte emettono giudizi esatti51. La teoria
dell’illuminazione è più la riformulazione del paradosso di questa «conoscenza prima della conoscenza» che un reale tentativo di spiegarla. Nel
quadro di questa nostra indagine, essa ribadisce in termini più astratti il
carattere della conoscenza in generale come risultato di una pro-vocazione, di
qualcosa che ci precede.
Ma dobbiamo verificare la necessità di questa pro-vocazione riguardo alla
conoscenza di sé e per questo possiamo cominciare con il ricorrere al libro 10
delle Confessioni. In esso scopriamo che anche per la conoscenza di sé
occorre una illuminazione, questa volta non attribuita alle idee, ma a Dio
stesso:
Confesserò dunque quanto so di me, e anche quanto ignoro di me, perché quanto
so di me, lo so per tua illuminazione, e quanto ignoro di me, lo ignoro finché
le mie tenebre si mutino quale il mezzogiorno nel tuo volto52.
L’itinerario di conoscenza di sé si dispiega attraverso il processo ben noto
di interiorità e trascendenza53. Quale ne è il punto di partenza? Cosa lo
innesca? Quale è la certezza sulla quale esso riposa?
Ciò che sento in modo non dubbio, anzi certo, Signore, è che ti amo. Folgorato al
cuore da te mediante la tua parola, ti amai, e anche il cielo e la terra e tutte le cose
in essi contenute, ecco, da ogni parte mi dicono di amarti, come lo dicono senza
posa a tutti gli uomini, affinché non abbiano scuse. Più profonda misericordia
avrai di colui del quale avesti misericordia, userai misericordia a colui verso il
———––
48
AGOSTINO, De Trinitate, 9,10: «claret desuper» (CCL 50,302).
AGOSTINO, De Trinitate, 9,11 (CCL 50,303).
50
AGOSTINO, De Trinitate, 10,2 (CCL 50,314).
51
AGOSTINO, De Trinitate, 14,21 (CCL 50,450).
52
Conf. 10,7 (CCL 27,158): «Confitear ergo quid de me sciam, confitear et quid de me
nesciam, quoniam et quod de me scio, te mihi lucente scio, et quod de me nescio, tandiu
nescio, donec fiant tenebrae meae sicut meridies in vultu tuo».
53
Conf. 10,9 (CCL 27,159s): «Et direxi me ad me et dixi mihi: "Tu quis es?". Et respondi:
"Homo". Et ecce corpus et anima in me mihi praesto sunt, unum exterius et alterum interius.
Quid horum est, unde quaerere debui Deum meum, quem iam quaesiveram per corpus a terra
usque ad caelum, quousque potui mittere nuntios radios oculorum meorum? Sed melius quod
interius. Ei quippe renuntiabant omnes nuntii corporales praesidenti et iudicanti de
responsionibus caeli et terrae et omnium, quae in eis sunt, dicentium: “Non sumus Deus”, et:
“Ipse fecit nos”. Homo interior cognovit haec per exterioris ministerium; ego interior cognovi
haec, ego, ego animus per sensum corporis mei. Interrogaui mundi molem de Deo meo, et
respondit mihi: “Non ego sum, sed ipse me fecit”».
49
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
IDENTITÀ PERSONALE IN AGOSTINO
495
quale fosti misericordioso. Altrimenti cielo e terra ripeterebbero le tue lodi a sordi.
Ma che amo, quando amo te?54.
Appare in questa citazione la certezza di partenza, la certezza che precede
l’interiorizzazione e la pro-voca: «Ciò che sento in modo non dubbio, anzi
certo, Signore, è che ti amo». Come il pungolo che innesca il processo di
conoscenza è un desiderio la cui origine misteriosa è descritta attraverso la
metafora dell’illuminazione, così il processo di interiorizzazione è innescato
da un amore che inspiegabilmente è già presente, già orienta, già stimola, già
sospinge la confessio, cioè la conoscenza di sé che si produce nell’atto stesso
di ri-conoscenza di Dio, ri-conoscenza a Dio. Ritroviamo quanto già attestato
nella preghiera iniziale delle Confessioni: l’ordine tra conoscenza di sé e
conoscenza di Dio, coscienza di sé e coscienza di Dio è l’inverso di quello
che ci aspetteremmo. Esiste una forma di «conoscenza prima della
conoscenza» di Dio che precede la presa di coscienza di sé, la risveglia, la
stimola, la orienta: «Quid autem amo, cum te amo?»55.
III. IL DE TRINITATE
È stato detto del De Trinitate che esso «decodifica la metafisica della relazione tra conoscenza di sé e conoscenza di Dio presupposta dalle Confessioni»56. E difatti nel De Trinitate, e soprattutto nel rapporto tra il libro VIII e
i libri IX-X, si trova una riformulazione teorica della conoscenza di sé come
vocazione e dell’anteriorità della pro-vocazione di Dio esposta nelle
Confessioni in forma narrativa. Ai fini della nostra indagine, sarà opportuno
(1) cominciare con un breve esame del processo di conoscenza intellettuale;
poi (2) identificare le caratteristiche del soggetto della conoscenza intellettuale, vale a dire la mens; saremo pronti allora per (3) seguire l’argomento
sviluppato da Agostino riguardo alla conoscenza di sé57.
———––
54
Conf. 10,8 (CCL 27,158s): «Non dubia, sed certa conscientia, Domine, amo te.
Percussisti cor meum verbo tuo, et amavi te. Sed et caelum et terra et omnia, quae in eis sunt,
ecce undique mihi dicunt, ut te amem, nec cessant dicere omnibus, ut sint inexcusabiles.
Altius autem tu misereberis, cui misertus eris, et misericordiam praestabis, cui misericors
fueris; alioquin caelum et terra surdis loquuntur laudes tuas. Quid autem amo, cum te amo?».
Notare anche in questo caso la mediazione temporale: «Percussisti cor meum verbo tuo, et
amavi te».
55
La domanda ritorna in AGOSTINO, Confessiones, 10,8 (CCL 27,159).
56
W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 92: «The De Trinitate works out
the metaphysics underlying the relation between self-knowledge and the knowledge of God
which the Confessiones presuppose».
57
Per una analisi più approfondita cf. L. GIOIA, The theological epistemology (cf. nt. 44),
190-218.
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
496
LUIGI GIOIA, OSB
1. Il processo di conoscenza intellettuale
In una delle descrizioni più sintetiche del processo di conoscenza intellettuale del trattato Agostino afferma quanto segue:
Dunque in quella eterna verità, secondo la quale tutte le cose temporali sono state
create, vediamo, con lo sguardo della mente, la forma (forma) secondo la quale
siamo e secondo la quale, con ragione vera e retta, facciamo qualsiasi cosa in noi o
nei corpi; grazie a essa concepiamo in noi una conoscenza (notitia) vera, che
abbiamo presso di noi come un verbo (verbum), che generiamo dicendolo al di
dentro di noi e che nascendo non si separa da noi58.
L’atto di giudicare la conoscenza proveniente dai sensi — e il nostro agirealla luce della verità eterna è illustrato attraverso la metafora della concezione
di una nozione (notitia) che a sua volta è generata come un verbo (verbum).
Questo verbo è descritto in questi termini: «conoscenza con amore»59. La
produzione di questa nuova realtà nel processo di conoscenza comporta
l’inseparabilità tra conoscenza e volontà caratteristica della teoria della
conoscenza di Agostino.
Nella conoscenza intellettuale, la volontà svolge un ruolo determinante fin
dall’inizio inaugurando il processo di conoscenza come una «brama di
trovare» (appetitus inueniendi), che è una forma di amore60. Essa mette il
soggetto conoscente in uno stato di sospensione (pendet), fino a che questi
non trova il riposo per mezzo di una copulatio con l’oggetto conosciuto:
«Questo stesso desiderio, che spinge verso la cosa da conoscere, diventa
amore della cosa conosciuta quando possiede e abbraccia questa prole in cui
si compiace, cioè la conoscenza, e la unisce al suo generatore» 61.
La stessa volontà che è all’origine del processo di conoscenza, lo conduce
dunque al suo compimento o riposo. Questo completamento del processo di
conoscenza continua a essere illustrato per mezzo della metafora della
generazione con la distinzione tra la concezione e la nascita, il «verbo
concepito» e il «verbo nato». Non cercheremmo la definizione di una cosa –
cioè di conoscerla – né ci preoccuperemmo di stabilirne la bellezza o l’utilità,
se un appetito non stimolasse il nostro interesse. Lo stesso appetito non
potrebbe considerarsi soddisfatto dalla semplice rappresentazione di una
———––
58
AGOSTINO, De Trinitate, 9,12 (CCL 50,303): «In illa igitur aeterna ueritate ex qua
temporalia facta sunt omnia, formam secundum quam sumus et secundum quam uel in nobis
uel in corporibus uera et recta ratione aliquid operamur uisu mentis aspicimus, atque inde
conceptam rerum ueracem notitiam tamquam uerbum apud nos habemus et dicendo intus
gignimus, nec a nobis nascendo discedit».
59
AGOSTINO, De Trinitate, 9,15 (CCL 50,307): «cum amore notitia».
60
AGOSTINO, De Trinitate, 10,4 (CCL 50,315).
61
AGOSTINO, De Trinitate, 9,18 (CCL 50,310): «appetitus quo inhiatur rei cognoscendae
fit amor cognitae dum tenet atque amplectitur placitam prolem, id est notitiam gignentique
coniungit».
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
IDENTITÀ PERSONALE IN AGOSTINO
497
nozione (cioè quando il verbo è «concepito»): il suo dinamismo interiore
raggiunge il suo fine, il suo riposo, solo nella effettiva copulatio tra il soggetto conoscente e l’oggetto bramato (solo allora il verbo è «nato»).
Ciononostante, questo processo di conoscenza varia a seconda che il suo
oggetto siano delle realtà corporali o delle realtà intellettuali.
Nel caso di realtà temporali o corporali, il processo cognitivo potrebbe
essere descritto come segue: qualcosa è registrato dalla nostra attività sensoriale; questa sensazione risveglia in noi il desiderio di conoscere l’oggetto che
l’ha causata e di apprezzarne il valore; questo desiderio ci conduce a volgere
l’attenzione verso le ragioni e i modelli perché ci permettano di definire e di
valutare l’oggetto conosciuto; a questo punto, se questa definizione o
valutazione ci diletta al punto da convertire l’attrazione iniziale in amore,
concepiamo un verbo (conoscenza con amore); questo amore, però, non è
soddisfatto fino a che non c’è unione (copulatio) con la cosa conosciuta: solo
allora, il verbo non sarà solo ‘concepito’, ma realmente “nato”62.
Nel caso della conoscenza di realtà spirituali (spiritualia), c’è una identità
tra il verbo concepito e il verbo nato. Qui, la nozione non è solo la rappresentazione di qualcosa che rimane fuori di noi e che, una volta conosciuta,
deve ancora essere raggiunta e posseduta. Con le realtà spirituali, la nozione
stessa è sia oggetto di amore — conoscenza con amore — che del riposo
della volontà. Il verbo concepito e il verbo nato sono identici quando la
volontà si riposa nella conoscenza stessa, cosa che accade nell’amore delle
realtà spirituali63.
La ragione di questa distinzione rispetto alla conoscenza delle realtà spirituali è di capitale importanza. Nel caso di una realtà corporale o temporale
posso davvero dire di conoscerla non quando ne ho elaborato solo una
rappresentazione mentale, ma quando effettivamente la possiedo o ne traggo
godimento. Nel caso di realtà spirituali e soprattutto di realtà che hanno una
connotazione morale, quello che possiedo mentalmente non è solo una
rappresentazione, ma la realtà stessa, purché al processo di conoscenza
corrisponda una effettiva trasformazione della mia volontà, cioè una
conversione, resa possibile dall’amore o, piuttosto, dal giusto tipo di amore
(come vedremo). Essendo il verbo interiore (nel quale consiste la conoscenza)
una «nozione amata», posso dire di conoscere la giustizia, per esempio, non
———––
62
AGOSTINO, De Trinitate, 9,14 (CCL 50,305): «In amore autem carnalium
temporaliumque rerum [...] alius est conceptus uerbi, alius partus. Illic enim quod cupiendo
concipitur adipiscendo nascitur, quoniam non sufficit auaritiae nosse et amare aurum nisi et
habeat, neque nosse et amare uesci aut concumbere nisi etiam id agat, neque nosse et amare
honores et imperia nisi proueniant».
63
AGOSTINO, De Trinitate, 9,14 (CCL 50,305): «Conceptum autem uerbum et natum
idipsum est cum uoluntas in ipsa notitia conquiescit, quod fit in amore spiritalium. Qui enim
uerbi gratia perfecte nouit perfecteque amat iustitiam, iam iustus est etiamsi nulla exsistat
secundum eam forinsecus per membra corporis operandi necessitas».
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
498
LUIGI GIOIA, OSB
quando ho capito cosa essa sia, non quando sono capace di fornirne una
definizione, ma solo quando l’ho amata, cioè ho aderito a essa, mi sono
convertito a essa, mi sono lasciato formare e trasformare da essa:
E come potranno diventare [giusti], se non aderendo a questa stessa forma che
intuiscono, per essere formati da essa e diventare anime giuste, non più soltanto
per percezione e dicendo che giusta è l’anima «che ordina la sua vita e la sua
condotta secondo la scienza e la ragione e distribuisce a ciascuno il suo», ma per
vivere anch’essi secondo giustizia e improntare a essa la loro condotta distribuendo a ciascuno il suo, in modo che non debbano nulla a nessuno, se non
l’amore vicendevole? E come si aderisce a quella forma se non amandola?64
2. Il soggetto della conoscenza
Il soggetto di questa attività di conoscenza è la mens:
Perciò la mente, come raccoglie per mezzo dei sensi del corpo le conoscenze delle
realtà corporee, così raccoglie le conoscenze delle realtà incorporee per mezzo di
se stessa. Dunque conosce anche se stessa per mezzo di se stessa, perché è
incorporea. Infatti, se non si conosce, non si ama.65
Il carattere paradossale della mens appare immediatamente: essendo essa
una realtà incorporea ed essendo le realtà incorporee conosciute attraverso la
mens, la mens conosce se stessa solo per mezzo di se stessa. E poiché, come
abbiamo visto nella descrizione del processo di conoscenza delle realtà
spirituali, queste ultime comportano il ruolo dell’amore e una conversione,
occorre concludere quanto segue: conoscere se stessi non è elaborare una
definizione di se stessi, ma è inseparabilmente prendere coscienza di sé
aderendo a sé, prendere coscienza di sé amandosi.
E difatti, una estesa e dettagliata dimostrazione stabilisce che la mente non
conosce se stessa nel modo nel quale ogni altro oggetto è conosciuto, cioè
attraverso la conoscenza empirica66 oppure alla luce delle ragioni eterne67.
Non è neanche esatto affermare che la mente conosce se stessa attraverso se
stessa, come se le due cose potessero essere separate, cioè come se la mente
potesse essere considerata anche solo per un momento in astrazione dalla
———––
64
AGOSTINO, De Trinitate, 8,9 (CCL 50,283): «Quod unde (iusti) esse poterunt nisi
inhaerendo eidem ipsi formae quam intuentur ut inde formentur et sint iusti animi, non tantum
cernentes et dicentes iustum esse animum “qui scientia atque ratione in uita ac moribus sua
quique distribuit”, sed etiam ut ipsi juste uiuant justeque morati sint sua cuique distribuendo
ut nemini quidquam debeant nisi ut inuicem diligant? Et unde inhaeretur illi formae nisi
amando?».
65
AGOSTINO, De Trinitate, 9,3 (CCL 50,296): «Mens ergo ipsa sicut corporearum rerum
notitias per sensus corporis colligit sic incorporearum per semetipsam. Ergo et se ipsam per se
ipsam nouit quoniam est incorporea. Nam si non se nouit, non se amat».
66
Cf. AGOSTINO, De Trinitate, 9,9 (CCL 50,301).
67
AGOSTINO, De Trinitate, 10,5 (CCL 50,317).
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
IDENTITÀ PERSONALE IN AGOSTINO
499
conoscenza di sé. In realtà, la mente è conoscenza di sé. Questo è affermato
con chiarezza nella citazione seguente:
Ma quando si dice allo spirito: Conosci te stesso, nello stesso istante (eo ictu) in
cui comprende le parole te stesso, esso si conosce e questo per la sola ragione che
è presente a se stesso. Se al contrario non comprende ciò che gli si dice, non lo fa
di certo. Gli si comanda dunque di fare ciò che fa nell’atto di comprendere il
comando stesso68.
Questo punto è ribadito molte volte, in forme diverse. Anche quando la
mente cerca di conoscere se stessa, già conosce se stessa nell’atto di compiere
questo tentativo; paradossalmente, anche quando la mente pensa di ignorare
se stessa o dubita riguardo a se stessa o a qualsiasi altra cosa, di fatto conosce
se stessa nell’atto di ignorare o di dubitare69. L’eo ictu di questa citazione fa
da eco all’eo ipso del passaggio che segue:
Dunque, il fatto stesso (eo ipso) che essa si cerchi è la prova che essa è a se stessa
più nota che sconosciuta. Infatti, quando cerca di conoscersi, si conosce come colei
che cerca se stessa e che ignora se stessa70.
In aggiunta all’inevitabilità della conoscenza di sé, vi è l’impossibilità per
la mente di conoscere se stessa solo parzialmente: essa può conoscere se
stessa solo interamente, tota71.
Questa è la base concettuale dell’elaborazione della triade della memoria di
sé, della conoscenza di sé e dell’amore di sé che, nel corso del libro 10,
appare come quella che più perfettamente corrisponde alle caratteristiche
formali della confessione del mistero trinitario (unità, trinità, uguaglianza
etc...) e quindi corrisponde all’immagine di Dio in noi72. Senza soffermarci in
questo studio sulla sua genesi, ci limiteremo a rilevare quanto in essa ci
permette di capire meglio l’identità personale agostiniana.
3. La conoscenza di sè come pro-vocazione
Sulla base della ricostruzione sommaria della teoria della conoscenza di
Agostino condotta finora, diventa adesso possibile percepire come anche nel
———––
68
AGOSTINO, De Trinitate, 10,12 (CCL 50,326): «Cum dicitur menti: “Cognosce te
ipsam”, eo ictu quo intellegit quod dictum est “Te ipsam”, cognoscit se ipsam, nec ob aliud
quam eo quod sibi praesens est. Si autem quod dictum est non intellegit, non utique facit. Hoc
igitur ei praecipitur ut faciat quod cum praeceptum ipsum intellegit facit».
69
AGOSTINO, De Trinitate, 10,5 and 10,14 (CCL 50,318 e 327).
70
AGOSTINO, De Trinitate,10,5 (CCL 50,318): «Quapropter eo ipso quo se quaerit magis
se sibi notam quam ignotam esse conuincitur. Nouit enim se quaerentem atque nescientem
dum se quaerit ut nouerit».
71
AGOSTINO, De Trinitate, 10,6 (CCL 50,318).
72
AGOSTINO, De Trinitate, 10,17 (CCL 50,329).
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
500
LUIGI GIOIA, OSB
quadro più teorico del De Trinitate sia ribadita la sua concezione della
conoscenza di sé come vocazione e come risultato di una pro-vocazione
emersa in forma narrativa nelle Confessioni.
Tutto verte intorno alla natura dell’amore di sé che, insieme alla
conoscenza e alla memoria di sé, è costitutivo della mens.
Un postulato decisivo della epistemologia agostiniana è che a partire dalla
conoscenza empirica fino a quella delle realtà intellettuali nella luce della
verità stessa, la volontà non è mai neutra. Volontà, per Agostino, significa
desiderio, amore, aspirazione. Essa non può mai essere considerata come una
forza meccanica, adeguatamente regolata da una ragione che potrebbe
disporne senza ostacoli per il perseguimento dei propri obbiettivi. La dichiarazione più importante riguardo al ruolo della volontà nel processo di
conoscenza e in particolar modo riguardo al ruolo della volontà nel processo
di generazione del verbo interiore, è la seguente: «questo verbo è concepito
per amore o della creatura o del creatore, cioè o della natura mutevole o della
verità immutabile»73. E se questa affermazione non fosse stata chiara abbastanza, l’alternativa è immediatamente espressa come segue: «o per concupiscenza o per carità»74. La volontà che determina il processo di conoscenza è
o una forma di concupiscenza o l’amore donato da Dio; o inverte il retto
ordine tra usare e gioire o ne rispetta la gerarchia. La concupiscenza consiste
nel gioire (frui) di ciò che dovrebbe svolgere solo un ruolo strumentale (uti) e
nel cercare il proprio riposo in esso, compromettendo la possibilità di ottenere
la felicità per la quale siamo fatti e invertendo altresì il dinamismo
fondamentale della nostra vita morale e cognitiva.
Sulla base di quanto stabilito finora, possiamo adesso approfondire la
nostra analisi dell’identità personale agostiniana, soprattutto in merito alla
questione della sua alienazione e della sua dipendenza da una “vocazione”.
Per parafrasare la celebre frase della Città di Dio75, due amori non solo fanno
due città, ma danno anche origine a due manifestazioni della identità
personale: l’amor sui conduce a una perdita di coscienza e di conoscenza di
sé, a una alienazione da sé; l’amor Dei (inteso prima come amore da Dio e
poi per Dio) invece conduce alla presa di coscienza della propria identità
personale e al compimento del suo dinamismo («vocazione»).
———––
73
AGOSTINO, De Trinitate, 9,13 (CCL 50,304): «Quod uerbum amore concipitur siue
creaturae siue creatoris, id est aut naturae mutabilis aut incommutabilis ueritatis».
74
AGOSTINO, De Trinitate, 9,13 (CCL 50,304): «aut cupiditate aut caritate».
75
AGOSTINO, De Civitate Dei, 14,28 (CCL 48,451): «Fecerunt itaque civitates duas amores
duo, terrenam scilicet amor sui usque ad contemptum Dei, caelestem vero amor Dei usque ad
contemptum sui».
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
IDENTITÀ PERSONALE IN AGOSTINO
501
IV. L’ALIENAZIONE DA SÉ
Cominciamo con la relazione tra il tipo sbagliato di amore e l’alienazione
da sé. Esso è illustrato dal paradosso già menzionato che tanto cruccia
Agostino: come mai il «conosci te stesso» è dovuto diventare un comando,
malgrado la conoscenza di sé costituisca la sostanza stessa della nostra
anima? Questo paradosso è scelto per illustrare le conseguenze della concupiscenza sulla conoscenza di sé e, attraverso la conoscenza di sé, sull’intero
processo di conoscenza e diventa così il punto di partenza per dimostrare
quale sia l’unico modo di restaurare la conoscenza umana, vale a dire l’amore
(dilectio) ristabilito e esemplificato da Cristo e riversato nei nostri cuori per
mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. O, per usare il tema dell’immagine di Dio, per dimostrare come l’immagine sia rinnovata o riformata nella
conoscenza di Dio, nella agnitio Dei.
Come è possibile, dunque, che un dato gnoseologico così fondamentale
come la conoscenza di sé ci sia diventato inaccessibile? Tutta la sezione
compresa tra i libri 9 e 14 può essere vista come un tentativo per risolvere
questo mistero. Agostino stesso dichiara apertamente nel libro 14 che la sua
intenzione era stata quella di condurre il suo lettore a riconoscere che non
conosce, che ignora la cosa più fondamentale riguardo a se stesso, vale a dire
che è conoscenza di sé76.
Il suo stesso sforzo di chiarificazione non acquieta completamente la sua
perplessità: «Come possa [la mente] non essere percepita da se stessa quando
non pensa a se stessa, visto che non può esistere senza se stessa, come se essa
sia una cosa e la percezione di se stessa un’altra: ecco una cosa che non so
scoprire»77.
Nel tentare di spiegare questa anomalia, egli sviluppa una sorta di genesi
dell’alienazione da sé che è uno dei passaggi più suggestivi di tutto il trattato
e che deve essere analizzato da vicino78.
Il colpevole di questa disastrosa dimenticanza di sé è la concupiscenza,
cioè il disordine nella relazione tra usare e gioire delle cose (uti e frui). La
perversione della nostra volontà è collegata all’orgoglio: attribuiamo questi
doni a noi stessi per un rifiuto di riconoscere la nostra dipendenza da Dio, per
una auersio: «ma invece di restare calma e di gioire di essi come occorrerebbe farlo, la mente vuole rivendicarli per sé, e piuttosto che essere come
———––
76
AGOSTINO, De Trinitate, 14,9 (CCL 50A,432-434).
AGOSTINO, De Trinitate, 14,8 (CCL 50A,431): «Quomodo autem quando se non cogitat
(mens) in conspectu suo non sit cum sine se ipsa numquam esse possit quasi aliud sit ipsa,
aliud conspectus eius, inuenire non possum».
78
AGOSTINO, De Trinitate, 10,7 (CCL 50,320).
77
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
502
LUIGI GIOIA, OSB
lui per mezzo dei suoi doni, vuole essere ciò che egli è per se stessa. Così si
allontana da lui»79.
Il primo risultato di questo allontanamento (auersio) è una situazione di
permanente insoddisfazione, poiché solo Dio può soddisfarci. Ne consegue
una concentrazione sempre più ansiosa sulle nostre azioni e sui piaceri tratti
dalla conoscenza delle realtà esteriori, quae foris sunt. La natura fuggevole di
questa realtà causa un senso di insicurezza permanente che contribuisce al
carattere ossessivo del nostro coinvolgimento in esse. Il combinarsi
dell’influenza di questa ansietà e di questa insicurezza conferisce una tale
forza alla capacità della concupiscenza di unirci all’oggetto conosciuto, che
diventiamo progressivamente incapaci di discernere tra ciò che conosciamo e
noi stessi. In un certo qual senso, conferiamo all’oggetto bramato qualcosa
della nostra essenza – diventiamo cioè ignari della nostra natura spirituale e
perdiamo ogni distanza rispetto alle nostre azioni, alle cose che desideriamo,
agli oggetti che possediamo: «la mente si sbaglia quando congiunge se stessa
a queste immagini con un amore così estravagante che arriva a percepire se
stessa come qualcosa dello stesso tipo. [...] Insomma, quando la mente percepisce se stessa in questo modo, pensa di essere essa stessa corporale»80.
La genesi della nostra alienazione da noi stessi può dunque essere riassunta
come segue: concupiscenza e orgoglio, tentativi ansiosi di trovare la nostra
soddisfazione altrove che in Dio, progressiva dipendenza da ciò che è
esteriore a noi fino al punto di dimenticare noi stessi (obliuio sui) e di diventare incapaci di percepire noi stessi separatamente dalle realtà esterne alle
quali ci aggrappiamo così disperatamente. La dimenticanza di sé, cioè la
perdita della nostra capacità naturale di conoscere noi stessi, risulta dalla
errata articolazione tra usare e gioire, cioè da un amore di sé invertito. Perdiamo la capacità di pensare noi stessi (se cogitare), di desiderare o di amare
secondo la nostra propria natura: «sotto colui al quale dovrebbe essere
soggetta e sopra ciò che dovrebbe dominare; sotto colui dal quale dovrebbe
essere governata, sopra ciò che dovrebbe governare»81.
Questa perdita non solo conduce a un fallimento dal punto di vista etico,
cioè al totale capovolgimento del giusto ordine dell’amore, ma ha ulteriori
conseguenze per la conoscenza in se stessa che si lasciano intravedere dietro
gli errori di carattere filosofico. Giusto dopo il passaggio fin qui riassunto,
Agostino stabilisce un legame tra la dimenticanza di sé che ostacola la
conoscenza di sé e una serie di errori filosofici che riguardano la natura
———––
79
AGOSTINO, De Trinitate, 10,7 (CCL 50,320): «Et cum stare debeat ut eis fruatur, uolens
ea sibi tribuere et non ex illo similis illius sed ex se ipsa esse quod ille est auertitur ab eo».
80
AGOSTINO, De Trinitate, 10,8 (CCL 50,321): «Errat autem mens cum se istis imaginibus
tanto amore coniungit ut etiam se esse aliquid huiusmodi existimet. [...] Cum itaque se tale
aliquid putat, corpus esse se putat».
81
AGOSTINO, De Trinitate, 10,7 (CCL 50,320): «sub eo scilicet cui subdenda est, supra ea
quibus praeponenda est; sub illo a quo regi debet, supra ea quae regere debet».
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
IDENTITÀ PERSONALE IN AGOSTINO
503
dell’anima. La causa degli errori dei fisici, degli atomisti, degli stoici che
identificarono la natura dell’anima con una delle realtà corporali è la perdita
della nostra capacità di conoscere noi stessi. Tutti questi filosofi non avevano
capito che la mente è una sostanza incorporea e che la causa di questo errore
non è che la mente non è conoscibile nella sua natura spirituale, ma nel fatto
che aggiungiamo delle immagini corporali a essa82. Infatti,
poiché essa [la mente] è nelle cose alle quali pensa con amore — le cose sensibili,
cioè le cose corporee — con le quali si è familiarizzata per amore, essa non è più
capace di essere in se stessa senza le immagini dei corpi. L’origine del suo errore
umiliante è nella sua incapacità di separarsi dalle immagini delle cose sentite per
vedersi sola. Quelle infatti si sono unite a essa in modo straordinario con il legame
dell’amore ed è questa la loro impurità, perché quando si sforza di pensare sé sola,
si identifica con ciò senza cui non può pensarsi83.
V. CARITÀ E IDENTITÀ PERSONALE
Se dunque da una parte la cupiditas imprigiona nell’oblio di sé e impedisce
una presa di coscienza della propria identità personale, dall’altra la carità ci
libera da questa cecità e conduce alla conoscenza di sé autentica. Un
passaggio del libro 9, già parzialmente citato, ci aiuterà a precisare questo
punto:
Questo verbo è concepito per amore o della creatura o del creatore, cioè o della
natura mutevole, o della verità immutabile. È dunque per concupiscenza o per
carità; non che non si debba amare la creatura, ma se questo amore viene riferito al
creatore, non sarà più concupiscenza, ma carità. C’è infatti concupiscenza, quando
la creatura è amata per se stessa. Allora non è più di utilità per chi ne usa, ma
corrompe chi di essa fruisce. Dato perciò che la creatura o ci è uguale o ci è
inferiore, bisogna usare di quella inferiore in vista di Dio, fruire invece di quella
uguale, ma in Dio. Come infatti tu devi compiacerti di te stesso, non in te stesso
bensì in Colui che ti ha creato, così pure di colui che ami come te stesso. Di noi
dunque e dei fratelli gioiamo in Dio e non osiamo abbandonarci a noi stessi e
lasciarci trascinare, per così dire, verso il basso84.
———––
82
AGOSTINO, De Trinitate, 10,9s (CCL 50,322).
AGOSTINO, De Trinitate, 10,11 (CCL 50,324): «quia in his est quae cum amore cogitat,
sensibilibus autem, id est corporalibus, cum amore assuefacta est, non ualet sine imaginibus
eorum esse in semetipsa. Hinc ei oboritur erroris dedecus dum rerum sensarum imagines
secernere a se non potest ut se solam uideat; cohaeserunt enim mirabiliter glutino amoris. Et
haec est eis immunditia quoniam dum se solam nititur cogitare hoc se putat esse sine quo se
non potest cogitare».
84
AGOSTINO, De Trinitate, 9,13 (CCL 50,304): «Quod uerbum amore concipitur siue
creaturae siue creatoris, id est aut naturae mutabilis aut incommutabilis ueritatis. Ergo aut
cupiditate aut caritate, non quo non sit amanda creatura, sed si ad creatorem refertur ille amor,
non iam cupiditas sed caritas erit. Tunc enim est cupiditas cum propter se amatur creatura.
83
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
504
LUIGI GIOIA, OSB
Per cominciare, questo passaggio risolve la questione dell’articolazione tra
usare e gioire nell’amore per il prossimo e per Dio. Le altre persone non
svolgono un ruolo semplicemente strumentale (uti) in vista di un diletto (frui)
che ci è permesso di cercare solo in Dio. Al contrario, c’è un riposo, una
gioia, un diletto già nella carità fraterna. La carità fraterna non è
semplicemente un mezzo in vista di un fine, ma un fine in se stesso,
inseparabile dal fine ultimo dell’amore per Dio. Dire che occorre gioire del
fratello non «in vista di» Dio, ma «in» Dio, significa che lo amiamo «da»
Dio, «per mezzo di» Dio. In altre parole, l’articolazione tra usare e gioire in
questo passaggio presuppone la teologia della carità sviluppata nel libro 8 del
De Trinitate:
Questa connessione [tra 1Gv 4,16 e 4,7] mostra in maniera sufficiente e chiara che
questo amore fraterno [...] non solo viene da Dio, ma che, secondo una così grande
autorità, è Dio stesso. Quando dunque amiamo il fratello per mezzo dell’amore (de
dilectione), amiamo il fratello per mezzo di Dio (de deo)» 85.
Ma c’è di più. Questo passaggio mostra che anche l’amore di sé (cioè
questo amore di sé che è elemento costitutivo della conoscenza e della
memoria di sé, cioè della nostra identità personale) obbedisce esattamente
alla stessa relazione tra uti e frui valida per l’amore del prossimo: «Come
infatti tu devi compiacerti di te stesso, non in te stesso bensì in Colui che ti ha
creato, così pure di colui che ami come te stesso. Di noi dunque e dei fratelli
gioiamo in Dio»86. Possiamo e anzi dobbiamo amare noi stessi «per mezzo»
dell’amore che viene da Dio (dilectio), esattamente come dobbiamo farlo per
l’amore del prossimo. Esiste un giusto tipo di riposo, di diletto, di gioia in se
stessi che non solo non ci distoglie da Dio, ma già rappresenta un’anticipazione del riposo, del diletto e della gioia che troveremo in Dio nella vita
futura.
L’identità personale implica dunque il riferimento alla carità senza la quale
non vi è un autentico amore di sé e dunque non vi è memoria di sé e
conoscenza di sé — e questa carità esiste solo in movimento, solo nell’atto di
essere ricevuta e di riversarsi verso il prossimo e verso Dio. Ma una vocazione e una pro-vocazione sono costantemente necessari per avviare e
———––
Tunc non utentem adiuuat sed corrumpit fruentem. Cum ergo aut par nobis aut inferior
creatura sit, inferiore utendum est ad deum, pari autem fruendum sed in deo. Sicut enim te
ipso non in te ipso frui debes sed in eo qui fecit te, sic etiam illo quem diligis tamquam te
ipsum. Et nobis ergo et fratribus in domino fruamur, et inde nos nec ad nosmetipsos remittere
et quasi relaxare deorsum uersus audeamus».
85
AGOSTINO, De Trinitate, 8,12 (CCL 50,288): «Ista contextio satis aperteque declarat
ipsam fraternam dilectionem [...] non solum ex deo sed etiam deum esse tanta auctoritate
praedicari. Cum ergo de dilectione diligimus fratrem, de deo diligimus fratrem».
86
AGOSTINO, De Trinitate, 9,13 (CCL 50,304): «Sicut enim te ipso non in te ipso frui
debes sed in eo qui fecit te, sic etiam illo quem diligis tamquam te ipsum. Et nobis ergo et
fratribus in domino fruamur».
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
IDENTITÀ PERSONALE IN AGOSTINO
505
sostenere questo processo, vale a dire una mediazione temporale e storica
costituita tanto dall’economia della salvezza, quanto da quella delle relazioni
con altri-da-sé, o il prossimo, o la comunità di coloro che sono con-vocati nel
quadro di questa stessa economia, ne diventano consapevolmente gli attori e i
testimoni nei confronti dell’umanità intera.
Due osservazioni vanno fatte a questo riguardo.
In primo luogo, non è superfluo ricordare che l’Agostino del De Trinitate è
lo stesso successivamente impegnato nella crisi donatista e poi in quella
pelagiana, nel corso delle quali elabora con vigore il carattere storico,
comunitario, concreto della carità e l’inabilità dello spirito creato di salvare se
stesso87, quindi la necessità dell’iniziativa di Dio, della vocazione e della provocazione di Dio.
Poi, occorre almeno menzionare l’argomento del libro 8 del De Trinitate,
consacrato appunto ad affermare l’inseparabilità tra amore da/per Dio e
amore per il prossimo. Se ci scopriamo capaci di amare è perché siamo nati
da Dio e perché già lo conosciamo88.
C’è quindi una priorità dell’amore per il prossimo, cioè della manifestazione esteriore, storica e comunitaria di questo amore sulla sua percezione
interiore: «Ama dunque il prossimo, e mira dentro di te la fonte da cui
scaturisce l’amore del prossimo: ci vedrai, in quanto ti è possibile, Dio»89.
L’identità personale, dunque, formalmente descritta come «memoria di sé,
conoscenza di sé, amore di sé», implica necessariamente il riferimento ad
altri da sé. Tutta la pedagogia del DT intende condurre a conoscere e sperimentare se stessi come immagine, come riflesso di una realtà, una res altra,
che è appunto Dio90. Concretamente, essere immagine vuol dire aver bisogno
di riferirsi, di relazionarsi ad altri rispetto a sé, cioè a Dio e più esattamente
all’economia attraverso la quale Dio si fa conoscere e agisce: «La risposta
———––
87
R. WILLIAMS, «The Paradoxes of Self-knowledge» (cf. nt. 29), 132.
AGOSTINO, De Trinitate, 8,12 (CCL 50,288).
89
Cf. AGOSTINO, In Johannis evangelium tractatus, 17,8 (CCL 36,175): «Dilige ergo
proximum et intuere in te unde diligis proximum; ibi uidebis, ut poteris, deum».
90
Tutto il discorso agostiniano sulla soggettività si sviluppa come una esegesi di Gen 1,26:
«E Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza». Alla luce
della dottrina agostiniana della creazione, appare quanto questa immagine non sia una realtà
statica. Piuttosto che una immagine di Dio, sarebbe più esatto chiamarlo immagine da Dio e
verso Dio, poiché in essa la volontà à sospinta da una carità il cui solo compimento, la cui
sola beatitudine è il riposo in Dio. Si è spesso colpiti nel constatare quanto la definizione del
desiderio e quella dell’immagine di Dio in Agostino si assomiglino tra di loro e si
correspondano. Cf. R. INNES, «Integrating the Self» (cf. nt. 24), 72: «We must therefore
properly speak not simply of desire for God, but rather desire of God. God is both the object
of our desire and he who places this desire for himself within us». La soggettività moderna, in
termini agostiniani, corrisponderebbe piuttosto a un rinnegamento di sé come immagine: «se
ci fosse un uso del termine «sé» (self) riconducibile ad Agostino, sarebbe quello dell’anima
orgogliosa che ha reificato se stessa come res ultima, rispetto alla quale anche Dio è diventato
significatore», J.C. CAVADINI, «Reconsidering the Self» (cf. nt. 25), 127 (mia traduzione).
88
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
506
LUIGI GIOIA, OSB
alla “rettificazione” dell’immagine, per ri-formarla dalle sue inversioni e
ricondurla allo stato di «riferimento-a», non è maggiore introspezione, ma
attenzione alle realtà esteriori che aiutano a mediare questa ri-forma
nell’amore di Dio in Cristo»91.
Appare dunque con evidenza quanto la riflessione agostiniana su di sé
«non sia una percezione della mente stessa come oggetto, ma una presa di
coscienza dell’attività della mens e del suo movimento. Questo movimento
diventa a sua volta intellegibile solo come il movimento del desiderio»92. È
noto il ruolo della delectatio nella dinamica morale e gnoseologica
agostiniana, vale a dire la necessità di una sorgente esterna di attrazione:
«Una persona non può entrare in azione autonomamente, puramente
volendolo. [...] La sola sorgente di azione possibile è la delectatio: niente
altro muove la volontà»93. Due citazione di Agostino tra innumerevoli altre lo
attestano:
«Chi abbraccia con l’anima qualcosa che non lo diletti?»94.
«E quando comincia a non rimanere più nascosto ciò che si deve fare e dove si
deve tendere, anche allora, se tutto ciò non arriva altresì a dilettare e a farsi amare,
non si agisce, non si esegue, non si vive bene»95.
Diletta ciò che è altro da sé, non solo perché esteriore all’anima, ma perché
indipendente dal controllo assoluto della volontà: «La psicologia di Agostino
diventa un sottile gioco tra la volontà cosciente e una sorgente di motivazione
che sfugge al controllo della volontà»96.
Il processo di unificazione che caratterizza l’ascesi e la mistica agostiniana
avviene certo grazie a una interiorizzazione che permette di sottrarsi alla
frammentazione insita nell’esperienza della condizione temporale. La presa di
distanza dalle realtà temporali insita in questa interiorizzazione, però, è
selettiva. Non tutte le realtà temporali sono un ostacolo, anzi questa presa di
distanza è permessa proprio da quelli che nel De Trinitate sono chiamati gli
utilia temporalia, gli elementi temporali e sensibili “utili”, quelli cioè
attraverso i quali Dio viene a noi e noi andiamo a Dio97, quelli attraverso i
———––
91
J.C. CAVADINI, «Reconsidering the Self» (cf. nt. 25), 128.
R. WILLIAMS, «The Paradoxes of Self-knowledge» (cf. nt. 29), 122.
93
R. INNES, «Integrating the Self» (cf. nt. 24), 92-93, che quota i passaggi che seguono.
94
AGOSTINO, Ad Simplicianum, 1,21 (CCL 44,53) «Quis autem animo amplectitur aliquid
quod eum non delectat?».
95
AGOSTINO, De spiritu et littera, 3,5 (CSEL 60,157): «et cum id quod agendum et quo
nitendum est coeperit non latere, nisi etiam delectet et ametur, non agitur, non suscipitur, non
bene vivitur».
96
R. INNES, «Integrating the Self » (cf. nt. 24), 93.
97
AGOSTINO, De Trinitate, 4,24 (CCL 50,191-193), dove afferma che esattamente come
l’amore disordinato per ler realtà temporali era l’espressione della nostra condizione
peccatrice, così queste stesse realtà temporali sono necessarie per il processo di guarigione: ci
92
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
IDENTITÀ PERSONALE IN AGOSTINO
507
quali l’amore di Dio converte la nostra volontà e restaura la nostra capacità di
amare in modo retto.
Questa considerazione apre la questione della relazione tra tempo e costituzione dell’identità personale che potremo qui solo rapidamente menzionare.
Da quanto affermato finora, è chiaro che è difficile conciliare la concezione agostiniana dell’identità personale e l’esistenza di un presente senza
tempo, non storico e eterno accessibile al pensiero umano98. Il ricorso al
concetto di sostanza, una semetipsius tota ac simul possessio (definizione
dell’eternità di Boezio) implica che la temporalità è accidentale nella definizione del sé: il sé non possiede nessuna storia. Ma una tale «detemporalizzazione del sé non fa che renderlo ancora più enigmatico» e concretamente
«non interviene se non in gravi forme di patologie»99. «L’idea di una
coscienza spettatrice fuori dal tempo di ciò che le appare temporalmente è
trivialmente falsa», poiché «non esiste una coscienza del tempo, come se il
tempo fosse [...] suscettibile di diventare il contenuto della coscienza. C’è,
invece, la coscienza perpetua di un flusso. [...] La coscienza non è la testimone atemporale di un flusso di apparizioni, ma è presa in esso. Il tempo
misura tanto il sé quanto l’altro da sé che gli appare»100.
Vi è dunque uno stretto legame tra identità personale e tempo, tra l’enigma
dell’io e l’enigma del tempo, non per caso trattati consecutivamente nei libri
10 e 11 delle Confessioni. L’io di Agostino è immerso nel tempo; la nostra
identità personale è storica al punto da essere costituita, secondo Agostino,
dalle esperienze delle quali ci ricordiamo pienamente, malgrado la sua
consapevolezza dell’esistenza paradossale di zone di esperienza che possiamo
solo parzialmente ricordare101. È il presupposto fondamentale della distensio:
«appartiene all’ego di durare; gli appartiene di affermare la sua uguaglianza a
se stesso nel tempo (o malgrado il flusso temporale); gli appartiene di non
essere mai raccolto in un punto nel tempo, ma di essere disteso tra ciò che è
stato e ciò che non è ancora»102. Ritroviamo quindi anche nella relazione al
tempo la concezione dinamica e estroversa dell’identità personale: «Non
possiamo parlare della coscienza e del suo presente (vivente), senza parlarne
come di una coscienza vivente; e il vivente si manifesta sempre in un
———––
sono realtà temporali utili (utilia temporalia) che «ci aiutano a ritrovare la salute e, una volta
risanati, ci conducono alle realtà eterne», «suscipiunt sanandos et traiciunt ad aeterna
sanatos».
98
W.J. HANKEY, «Self-Knowledge and God» (cf. nt. 6), 83.
99
J.-Y. LACOSTE, «De soi à soi», La phénoménalité de Dieu: neuf études, Paris 2008, 188.
100
J.-Y. LACOSTE, «De soi à soi» (cf. nt. 99), 180-181 (mia traduzione).
101
G. O’ DALY, Augustine's Philosophy of Mind, London 1987, 135 e 148, citato da
R. INNES, «Integrating the Self» (cf. nt. 24), 85.
102
J.-Y. LACOSTE, «De soi à soi» (cf. nt. 99), 187.
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
508
LUIGI GIOIA, OSB
dispiegamento temporale. [...] Parlare di distensio è parlare di un io capace di
mettere tra parentesi tutto ciò che non sia la sua soggettività»103.
VI. CONCLUSIONE
È dunque chiaro quanto una interpretazione della dinamica agostiniana di
interiorità e trascendenza in chiave «moderna» o «pre-cartesiana» sia inattendibile104. Tanto le Confessioni dal punto di vista narrativo, quanto il De
Trinitate da un punto di vista gnoseologico e metafisico ci orientano in senso
esattamente opposto. Non vi è conoscenza di sè senza amore di sè. Tuttavia
l’amore non è mai neutro, ma può essere solo di due tipi: o è un amore
disordinato che distrae da sè e impedisce del tutto la conoscenza di sè; o è
l’amore teologale e ecclesiale, la carità, che ristabilendo la giusta relazione tra
se stessi, Dio e le altre creature, restituisce la possibilità di conoscere se
stessi. Una tale dinamica della conoscenza di sè potrà essere descritta non
semplicemente in termini di interiorità e trascendenza, ma di vocazione o
pro-vocazione divina, dono della carità mediata storicamente nella comunità
ecclesiale e solo allora interiorizzazione e, se si vuole, trascendenza. Per
definizione infatti la carità precede ogni movimento di interiorità o interiorizzazione, ci raggiunge solo per mezzo dell’incarnazione del Figlio e della
predicazione (cioè della Parola), è autentica solo nell’atto di amare i fratelli.
Ne emerge una fisionomia dell’identità personale inaspettata: essa è
preceduta dall’iniziativa di Dio ed è resa possibile solo attraverso la mediazione temporale dell’appartenenza alla comunità di coloro che sono stati
condotti a prendere coscienza di essere amati da Dio e che ritrovano così la
possibilità di amare e conoscere se stessi in Dio. L’identità personale agostiniana è dunque teologale, storica ed ecclesiale.
Pontificio Ateneo S. Anselmo
Piazza Cavalieri di Malta, 5
00153 Roma (Italia)
———––
103
Luigi GIOIA, OSB
J.-Y. LACOSTE, «De soi à soi» (cf. nt. 99), 187.
Non ci soffermiamo qui su quanto una interpretazione di Cartesio che sottoponga la
certezza di Dio alla certezza di sé sia essa stessa attendibile. Per un confronto su questa
questione tra Agostino e Cartesio, cf. J.-L. MARION, Au lieu du soi. L’approche de Saint
Augustin, Paris 2008, 89-108.
104
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
IDENTITÀ PERSONALE IN AGOSTINO
509
RIASSUNTO
Descrivere l’identità personale agostiniana in termini di interiorità e trascendenza
non è sufficiente. Tale approccio ha condotto a una interpretazione dell’io neutrale e
non storica che precederebbe e addirittura fungerebbe da fondamento alla conoscenza
di Dio. Se si esamina il dinamismo della conoscenza di sé nelle Confessioni e nel De
Trinitate ci si rende conto al contrario di quanto l’identità personale agostiniana sia
teologale, storica ed ecclesiale.
Parole chiave: Agostino, identità personale, conoscenza di sé, interiorità, trascendenza, Confessioni, De Trinitate.
ABSTRACT
Describing the Augustinian notion of personal identity in terms of interiority and
transcendance is not enough. This approach has led to a neutral and non historical
notion of the self which would precede knowledge of God and even act as the latter’s
foundation. Examination of the dynamism of self-knowledge in the Confessions and
in the De Trinitate shows the extent to which the Augustinian notion of personal
identity is theological, historical and ecclesial
Keywords: Augustine, Personal identity, Self-knowledge, interiority, transcendance,
Confessions, De Trinitate
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati
© Gregorian Biblical Press 2014 - Tutti i diritti riservati